Volume degli atti 2013 parte I - Società Italiana di Diagnostica di

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Volume degli atti 2013 parte I - Società Italiana di Diagnostica di
con il patrocinio di:
SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.
VOLUME DEGLI ATTI
Monreale (Palermo) 23 - 25 Ottobre 2013 - Genoardo Park Hotel
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Società Italiana
di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria
XV Congresso Nazionale
S.I.Di.L.V.
Monreale (PA)
Genoardo Park Hotel
23-25 Ottobre 2013
VOLUME DEGLI ATTI
1
A cura di Santo Caracappa, Rossella Lelli, Giorgia Montanari e il Comitato Scientifico
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale
S.I.Di.L.V.
- Monreale
(PA),
23-25 Ottobre 2013
Consiglio
Direttivo
S.I.D
i.L.V.
Alfredo Caprioli, Presidente
Elena Bozzetta, Vice Presidente
Paolo Cordioli, Segretario
Antonio Fasanella, Tesoriere
Monica Cagiola, Membro
Giuseppe Arcangeli, Membro
Sergio Rosati, Membro
Gian Luca Autorino, Past President
Antonio Battisti, Revisore dei Conti
Fabrizio Vitale, Revisore dei Conti
Aldo Marongiu, Revisore dei Conti
Comitato Scientifico
Rossella Colomba Lelli, Palermo
Salvatore Dara, Palermo
Vincenzo Ferrantelli, Palermo
Maria Foti, Messina
Annalisa Guercio, Palermo
Anna Maria Fausta Marino, Catania
Antonino Panebianco, Messina
Alessandra Stancanelli, Caltanissetta
Alessandra Torina, Palermo
Gesualdo Vesco, Palermo
Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V.
Comitato Organizzatore
Santo Caracappa, Palermo
Giuseppina Chiarenza, Palermo
Antonella Costa, Palermo
Vittoria Currò, Palermo
Guido Ruggero Loria, Palermo
Stefano Reale, Palermo
Antonino Salina, Palermo
Maria Luisa Scatassa, Palermo
Francesco Paolo Tronca, Palermo
Giusy Alimena, Palermo
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma - Tel. 0521 290191 - Fax 0521 945334
e-mail: [email protected]
www.sidilv.org - www.mvcongressi.com
PROVIDER ECM
Via G. Marinuzzi, 3 - 90129 Palermo - Tel. +39 091 6565471 Email: [email protected]
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Prefazione
Dopo Trani e Sorrento, anche l’edizione 2013 del Congresso Nazionale, la quindicesima, si svolge in una regione del
Mezzogiorno d’Italia: la Sicilia, e in particolare nella splendida cittadina di Monreale. Di questo dobbiamo ringraziare
l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia e la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Messina, che
hanno reso possibile l’organizzazione dell’evento.
I nostri soci e ospiti potranno certamente godere delle bellezze naturali e dello straordinario patrimonio culturale
ed enogastronomico di quest’area del nostro Paese. Ma anche di un programma scientifico di elevato livello, con
esperti di levatura internazionale che hanno accolto l’invito a partecipare e tratteranno argomenti di grande rilevanza
e attualità: il contributo della metagenomica alla diagnostica delle infezioni virali di interesse veterinario, lo sviluppo
di farmaci biotecnologici, il contributo della microbiologia predittiva alla sicurezza alimentare, le problematiche
diagnostiche legate alle morie di mammiferi marini, un evento che ha occupato le pagine dei giornali italiani nello
scorso inverno.
I contributi scientifici presentati al Congresso e pubblicati in questo volume hanno superato la soglia dei 200 (a Sorrento
furono 192) e possiamo quindi prevedere un elevato numero di iscritti. I colleghi membri del Comitato Scientifico
hanno dedicato grande attenzione alla valutazione dei lavori presentati e alla selezione di quelli da destinare alla
presentazione orale, e per questo lavoro li ringrazio caldamente. Anche la partecipazione degli sponsor del settore,
che presenteranno come sempre le novità della loro produzione e hanno organizzato interessanti simposi satellite,
può essere considerata soddisfacente. Considerando la situazione economica particolarmente difficile del nostro
Paese, i numeri del Congresso testimoniano ancora una volta l’interesse della comunità scientifica nei confronti della
nostra Società.
Nell’ultimo anno è continuato l’impegno del Consiglio Direttivo a perseguire la crescita culturale della Società
incoraggiando l’attività scientifica dei giovani ricercatori: anche quest’anno saranno attribuiti riconoscimenti ai migliori
lavori presentati ai nostri congressi e, soprattutto, saranno assegnate borse di studio per supportare brevi soggiorni
di studio in laboratori esteri, volti a favorire il perfezionamento della formazione post-universitaria di giovani studiosi
operanti nel campo della diagnostica di laboratorio veterinaria.
Il XV Congresso vedrà anche l’ elezione del nuovo Consiglio Direttivo, che dovrà lavorare per mantenere il costante e
progressivo trend di crescita di SIDiLV e dovrà affrontare due importanti impegni internazionali assunti dalla Società:
l’organizzazione del III Congresso della Europen Association of Veterinary Laboratory Diagnosticians (EAVLD),
che si terrà a Pisa il 12-15 Ottobre 2014, e del XVIII Congresso della World Association of Veterinary Laboratory
Diagnosticians (WAVLD), che si terrà a Sorrento nel Giugno 2017. Mi auguro pertanto che i Soci partecipino numerosi
alle elezioni e tengano conto del valore scientifico dei candidati e delle esperienze da loro maturate, anche in seno
alla Società.
A proposito dell’organizzazione dei congressi internazionali sopra menzionati, desidero esprimere un sincero
ringraziamento all’amico Pietro Montanari, che ci incoraggiato a intraprendere questa avventura, e allo staff di M.V.
Congressi, che ha collaborato con grande professionalità al successo della candidatura SIDiLV.
Questo sarà anche l’ultimo Congresso del mio mandato di Presidente. Sono stati tre anni impegnativi ma densi di
soddisfazioni, che hanno visto SIDiLV giocare un ruolo importante nel panorama della Medicina Veterinaria italiana.
La Presidenza della Società è stata per me un arricchimento dal punto di vista professionale e umano e desidero
ringraziare pubblicamente gli amici che hanno lavorato con me nel Consiglio Direttivo.
Nell’augurare a tutti i convenuti un proficuo lavoro e una piacevole permanenza in Sicilia, rivolgo un sincero
ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo XV Congresso: il Comitato
Organizzativo, lo staff di M.V. Congressi, gli sponsor del settore e soprattutto la Direzione i colleghi dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, che hanno tenacemente voluto l’organizzazione del Congresso e che ci
hanno permesso di tenerlo in una sede prestigiosa, nella cornice di una delle più belle cittadine italiane.
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Alfredo Caprioli
Presidente S.I.Di.L.V.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Il XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. si svolge
con il patrocinio di:
Università degli Studi di Palermo
Università degli Studi di Messina
OIE – World Organization for Animal Health
Città di Palermo
Assessorato Regionale delle Risorse Agricole ed Alimentari
Il Comitato Organizzatore del XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. è grato ai seguenti
Enti ed Aziende per il fattivo contributo alla realizzazione dell’evento:
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia
COLDIRETTI
CALATRASI
CASTELLUCCI MIANO
AGROLABO
BIO-RAD LABORATORIES
FOSS ITALIA
ID-VET
IDEXX LABORATORIES
LIFE TECHNOLOGIES ITALIA
MEDICAL SERVICE 2000
OXOID
PALL ITALIA
PRIONICS ITALIA
QIAGEN
REAL GENE
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
INDICE
LETTURE PLENARIE, COMUNICAZIONI ORALI
8
INQUINANTI INORGANICI E ORGANICI NEL MOLOSSO DI CESTONI
(TADARIDA TENIOTIS)
Cannavacciuolo A., Accurso D., Tomassini A., Isani G., Cappi F., Vitellino M., Menotta S.
29
PROFILI DI CONTAMINAZIONE DA IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA)
NELLE MOZZARELLE DI BUFALA AFFUMICATE MEDIANTE DIFFERENTI TECNICHE
DI LAVORAZIONE
Marigliano L., Citro A., Marotta M., Seccia G., Serpe F., Di Nicola C., Esposito M.
31
STUDIO DI UN NUOVO METODO T-NOS PER LO SCREENING DI OGM E UGM IN FAST
PCR REAL-TIME
Pierboni E., Curcio L., Tovo G.R., Rondini C.
34
NUOVI PUNTI DI VISTA NEL CAMPO DELL’ ISTOLOGIA APPLICATA ALLA
RICERCA DI TRATTAMENTI ILLECITI CON STEROIDI SESSUALI IN VITELLI
DA CARNE
Richelmi G.B., Pezzolato M., D’Angelo A., Bellino C., Ruta F., Meistro S., Perazzini A.Z.,
Caramelli M., Bozzetta E.
36
NEW VIRUSES IN VETERINARY MEDICINE DETECTED BY METAGENOMIC
APPROACHES
Granberg F.
38
RIASSORTIMENTO ED EVOLUZIONE FILOGENETICA DEI VIRUS INFLUENZALI
SUINI H1N2: CONFRONTO TRA I CEPPI ITALIANI ED EUROPEI
Moreno A., Gabanelli E., Sozzi E., Lelli D., Chiapponi C., Ciccozzi M., Gianguglielmo Z.,
Cordioli P.
39
RUOLO DELLA POLARIZZAZIONE DEI MACROFAGI DURANTE L’INFEZIONE DA
SMALL RUMINANT LENTIVIRUS
Bertolotti L., Crespo H., Juganaru M., Glaria I., De Andrés D., Amorena B., Reina R.,
Rosati S.
41
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI CAMPO DI PESTE EQUINA ISOLATI
IN NAMIBIA TRA IL 2006 E IL 2008
Bortone G., Cosseddu G.M., Molini U., Scacchia M., Lelli R., Monaco F.
43
SORVEGLIANZA ENTOMOLOGICA DEL VIRUS WEST NILE IN EMILIA-ROMAGNA
NEL 2013
Calzolari M., Bonilauri P., Defilippo F., Maioli G., Pinna M., Cordioli P., Lelli D., Bellini R.,
Natalini S., Angelini P., Dottori M.
45
SORVEGLIANZA PER NOROVIRUS IN ITALIA 2012-2013
Martella V., Medici M.C., Tummolo F., Calderaro A., De Grazia S., Terio V., Buonavoglia C.,
Giammanco G.M.
47
EFFICIENZA DI IXODES RICINUS NELLA TRASMISSIONE TRANSOVARICA DI
FRANCISELLA TULARENSIS. NOTE PRELIMINARI
Genchi M., Prati P., Manfredini A., Vicari N., Bragoni R., Sacchi L., Epis S., Fabbi M.
50
NUOVE VARIANTI DI BRONCHITE INFETTIVA NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI
SICILIANI
Antoci F., Tumino G., Guercio A., Coniglio A., Chiaracane G., Sallemi S.*, Terregino C.,
Purpari G.
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DIAGNOSI DI ENTERITI INFETTIVE DI ORIGINE VIRALE NEL CANE
Purpari G., Mira F., Cannella V., Di Marco P., Buttaci C., Macaluso G., Guercio A.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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CARATTERIZZAZIONE GENETICA E FILOGENESI DI CRYPTOCOCCUS GATTII
ISOLATO IN SARDEGNA DA CAPRE CON MENINGO-ENCEFALITE
Maestrale C., Masia M., Pintus D., Lollai S., Contu C., Cabras P., D’Ascenzo V., Ligios C.
56
ANALISI DELLA VARIABILITA’ GENETICA DELLE API SICILIANE PER IL RECUPERO
DELLE SOTTOSPECIE A RISCHIO
Reale S., Cosenza M., Dall’Olio R., Costa C., Oliveri E., Zaffora G., Piazza A., Vitale F.
58
LEPTOSPIROSI IN ANIMALI SELVATICI PROVENIENTI DA DIFFERENTI HABITAT
SARDI
Piredda I., Palmas B., Noworol M., Canu M., Picardeau M., Falchi A., Pintore A., Denurra D.,
Ruiu A., Ponti M.N.
60
PREVALENZA DI LISTERIA MONOCYTOGENES NEGLI STABILIMENTI DI
PRODUZIONE DI PRODOTTI A BASE DI LATTE: UN NUOVO APPROCCIO PER IL
CONTROLLO AMBIENTALE
D’Amico S., Daminelli P., Cosciani Cunico E., Todeschi S., Tilola M., Crotta M., Gradassi M.
Andreoli G., Colmegna S., Vitali A., Losio M.N.
62
BIOCONTROLLO DI LISTERIA MONOCYTOGENES ATTRAVERSO L’ UTILIZZO DI
BATTERIOFAGI P100 IN RICOTTA SALATA PRODOTTA IN SARDEGNA
Terrosu G., Pirisi A., Melillo R., Mura E., Pes M., Rossi M.L., Fadda A.
64
DINAMICHE DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. E L.MONOCYTOGENES IN
DUE SALUMI ITALIANI: SALAME TIPO CACCIATORE E SALAME TIPO FELINO
Bellio A., Astegiano S., Adriano D., Bianchi D.M., Gallina S., Zuccon F., Civalleri N., Liuni F.F.,
Rovetto F., Mataragas M., Cocolin L., Decastelli L.
66
MODELLAZIONE MATEMATICA DELLE INTERAZIONI MICROBICHE
IN UN
ECOSISTEMA COMPLESSO
Cosciani Cunico E., Daminelli P., Baranyi J., D’Amico S., Sfameni C., Dalzini E., Losio M.N.,
Varisco G.
VALUTAZIONE DEI RISCHI-BENEFICI ASSOCIATI AL CONSUMO DI LATTE CRUDO
VACCINO ATTRAVERSO L’APPROCCIO BRAFO
Cibin V., Barrucci F., Losasso C., Cappa V., Ricci A.
SVILUPPO DI FARMACI BIOTECNOLOGICI INNOVATIVI PER LE MALATTIE
DEGENERATIVE
Giacca M.
68
71
74
LISTERIA FLEISCHMANNII E LISTERIA ROCOURTIAE: CARATTERIZZAZIONE DEI
PRIMI ISOLATI IN ITALIA
Caruso M., Latorre L., Parisi A., Fraccalvieri R., Padalino I., Goffredo E., Santagada G.
76
ESCHERICHIA COLI ENTEROAGGREGATIVI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA:
NUOVO PATOTIPO O EVENTO ACCIDENTALE?
Grande L., Ranieri P., Michelacci V., Tozzoli R., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S.
79
NANOPARTICELLE DI ARGENTO E SALMONELLA: EFFICACIA ANTIBATTERICA E
MECCANISMO DI RESISTENZA
Losasso C., Belluco S., Cibin V., Cappa V., Zavagnin P., Longo A., Gallocchio F., Ricci A.
82
ATTIVITÀ CITOTOSSICA DEL PENTADECANO IN COLTURE DI LEISHMANIA
Bruno F., Castelli G., Piazza M., Lo Verde V., Migliazzo A., Vitale F.
84
10
MICROBIAL CHALLENGE TESTS AND PREDICTIVE MODELLING SOFTWARE
FOR EVALUATING AND IMPROVING FOOD SAFETY - A CASE STUDY WITH
LISTERIA MONOCYTOGENES AND READY-TO-EAT FOOD
Mejlholm O., Dalgaard P.
86
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
ISOLATI IN UN CASEIFICIO AZIENDALE NEL BIENNIO 2011/2012
Macori G., Bellio A., Bianchi D.M., Gallina S., Adriano D., Zuccon F., Gramaglia M.,
Monfardini S., Fabbri M., Ghia C.A., Cazzaniga G.F., Riina M.V., Acutis P.L., Decastelli L.
88
CONFRONTO TRA FAGI VEICOLANTI LA VEROCITOTOSSINA IN CEPPI DI
ESCHERICHIA COLI ENTEROAGGREGATIVI: EVOLUZIONE CONVERGENTE DI UN
NUOVO PATOTIPO
Michelacci V., Grande L., Ranieri P., Ashton P., Jenkins C., Tozzoli R., Maugliani A., Caprioli A.,
Morabito S.
91
CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI VIRUS HAV ISOLATO DA ALIMENTI E UOMO
NEL CORSO DI UN FOCOLAIO EPIDEMICO DI EPATITE A CORRELATA AL CONSUMO
DI FRUTTI DI BOSCO IN ITALIA
Pavoni E.
93
EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI BACILLUS ANTHRACIS IN ALBANIA
Peculi A., Marino L., Giangrossi L., Boci J., Affuso A., Sabia C., Fasanella A.
95
CARATTERIZZAZIONE ANTIGENICA DELLA GLICOPROTEINA E DI BUBALINE
HERPESVIRUS 1 E SVILUPPO DI UN TEST PER LA DIFFERENZIAZIONE SIEROLOGICA DELLE INFEZIONI DA ALPHAHERPESVIRUS NEL BUFALO MEDITERRANEO
Nogarol C., De Carlo E., Masoero L., Bertolotti L., Caruso C., Profiti M., Martucciello A.,
Galiero G., Cordioli P., Nardelli S., Ingravalle F., Rosati S.
97
VALIDAZIONE DI 16S-RDNA-PCR-DGGE PER LA DIAGNOSI DI MICOPLASMOSI IN
CAMPO VETERINARIO
Rodio S., Baldasso E., Fincato A., Qualtieri K., Moronato M.L., Catania S.
99
SVILUPPO DI UN TEST SIEROLOGICO INDIRETTO SU LATTE DI MASSA PER LA
SORVEGLIANZA SANITARIA DI ALLEVAMENTI BOVINI INDENNI DA IBR
Bertolotti L., Nogarol C., Profiti M., Ariello D., Varetto L., Rosati S.
102
MARINE MAMMAL
DIAGNOSIS
Gulland F.
104
UNUSUAL
MORTALITY
EVENTS:
DILEMMAS
WITH
EVENTO DI MORTALITA’ ANOMALA DI CETACEI LUNGO LE COSTE TIRRENICHE
Pautasso A., Mazzariol S., Terracciano G., Scholl F., Cardeti G., Fichi G., De Carlo E.,
Di Nocera F., Lucifora G., Caracappa S., Guercio A., Puleio R., Pintore A., Denurra D.,
Mignone W., Goria M., Podestà M., Pavan G., Di Guardo G., Casalone C., Franco A.
105
CARATTERIZZAZIONE
FENOTIPICA
E
GENOTIPICA
DI
ISOLATI
DI
PHOTOBACTERIUM DAMSELAE SUBSP. DAMSELAE DA STENELLE STRIATE
(STENELLA COERULEOALBA) SPIAGGIATE SULLE COSTE DEL TIRRENO NEL 2013:
RISULTATI PRELIMINARI
Caprioli A., Franco A., Alba P., Cocumelli C., Terracciano G., Ianzano A., Lorenzetti S.,
Dottarelli S., Di Matteo P., Donati V., Sorbara L., Buccella C., Onorati R., Di Nocera F.,
Fichi G., Cerci T., Eleni C., Battisti A.
107
CARATTERIZZAZIONE GENETICA DEI CETACEI SPIAGGIATI NELLE
SICILIANE
Reale S., Vitale F., Cosenza M., Currò V., Pitti R., Lupo T., Caracappa S.
110
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COSTE
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POSTERS
SENSIBILITA’ AD ANTIMICOTICI IN LIEVITI ISOLATI DA SPECIE ANIMALI UMBRE:
DATI PRELIMINARI
Agnetti F., Crotti S., Maresca C., Scoccia E., Tentellini M., Circolo A., Marini C., Pitzurra L.
STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI ED ENTEROTOSSINA STAFILOCOCCICA
IN FORMAGGI A LATTE OVINO PASTORIZZATO DELLA REGIONE LAZIO
Amiti S., Marozzi S., Di Giamberardino F., Dell’Aira E., Colonna S., Migliore G., Tommassetti F.,
Bossù T., Lanni L.
RESAZURIN MICROTITRE ASSAY PER LO SCREENING RAPIDO DELL’ANTIBIOTICO RESISTENZA NEL MYCOBACTERIUM BOVIS
Armas F., Boniotti M.B., Pacciarini M.L., Mazzone P., Di Marco V., Marianelli C.
COMPORTAMENTO DI L.MONOCYTOGENES E S.AUREUS IN UN FORMAGGIO
PORZIONATO E CONFEZIONATO SOTTOVUOTO
Astegiano S., Bellio A., Traversa A., Adriano D., Bianchi D.M., Gallina S., Gramaglia M.,
Zuccon F., Corvonato M., Mantoan P., Radium P., Vitale N., Decastelli L.
STUDIO PRELIMINARE SULLA PREVALENZA DI TOXOPLASMA GONDII IN SUINI
MACELLATI IN PIEMONTE
Barbero R., Dezzutto D., Vitale N., Ferroglio E., Gennero M.S., Bergagna S.
ICAA, MECA E LEUCOCIDINA PANTON-VALENTINE (PVL) IN CEPPI DI
STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE E DA PRODOTTI LATTIERO
CASEARI IN PUGLIA
Basanisi M.G., Pedale R., Nobili G., Cafiero M.A., Chiocco D., La Salandra G.
CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DI DIFFERENTI GENOTIPI DI PAENIBACILLUS
LARVAE
Bassi S., Pizzuto A.
ISOLAMENTO DI P.LARVAE IN API IMPORTATE DALL’ARGENTINA: CONFRONTO
DELLA SENSIBILITA’ AGLI ANTIBIOTICI DEI CEPPI ISOLATI CON QUELLA DI CEPPI
ITALIANI
Bassi S., Milito M., Giacomelli A., Carra E., Cordaro G., Cersini A., Formato G., Pizzuto A.,
Amoruso R., Franco A.
VIEW 2.0: EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI VISUALIZZAZIONE DEGLI ESITI
ON-LINE DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E
DELLE MARCHE
Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J.B., Faccenda L., Mingolla A.
DESK: REINGEGNERIZZAZIONE DEI SISTEMI DI SUPPORTO E DI CONTROLLO
NELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE
MARCHE
Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J.B., Faccenda L., Mingolla A.
115
117
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122
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STUDIO DELL’INTERAZIONE TRA NANOPARTICELLE METALLICHE E CEPPI
DI SALMONELLA ENTERICA ATTRAVERSO LA MICROSCOPIA ELETTRONICA A
TRASMISSIONE
Berton V., Montesi F., Losasso C., Belluco S., Cibin V., Terregino C., Ricci A.
138
CONTENUTO DELLE VARIE FRAZIONI PROTEICHE NEL SIERO DI PECORE DI
DIFFERENTI ETA’
Bonelli P., Serra S.P., Re R., Pilo G., Pais L., Fresi S., Nicolussi P.
141
INDAGINI SULLA PRESENZA DI ESCHERICHIA COLI VEROCITOTOSSICI (VTEC) IN
ALLEVAMENTI DI BOVINI DA LATTE DEL LODIGIANO
Borella L., Bianchini V., Lentini L., Sabatucci G., Bertasi B., Finazzi G., Luini M.
143
12
IMPATTO DELLE VERNICI ANTI-FOULING SULL’AMBIENTE ACQUATICO: LIVELLI DI
RAME, ZINCO E STAGNO NEL LAGO D’ORTA E NEL LAGO MAGGIORE
Brizio P., Benedetto A., Scanzio T., Arsieni P., Abete M.C., Prearo M.
146
LA SOIA: UN INDICATORE AMBIENTALE DI CONTAMINAZIONE DA METALLI
Brizio P., Abete M.C., Pellegrino M., Ferrero M., Curcio A., Squadrone S.
148
KIT ELISA PRONTO-USO PER DIAGNOSI E SIEROTIPIZZAZIONE DI VIRUS AFTOSI
Brocchi E., Dho G., Grazioli S., Ferris N.
150
RILEVAZIONE DI GENI CODIFICANTI LE TOSSINE DIARROICHE ED EMETICA IN
CEPPI DI BACILLUS CEREUS ISOLATI DA ALIMENTI
Buscemi M.D., Frasnelli M., Cammi G., Bardasi L., Bertasi B., Dalzini E., Andreoli G.,
Bragoni R., Fabbi M., Vicari N.
152
RIPRODUCIBILITA’ DEL METODO ISTOLOGICO PER LA VALUTAZIONE E
CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI DEGLI ANIMALI DOMESTICI: COLORAZIONE CON
EMATOSSILINA EOSINA
Campanella C., Crescio M.I., Baioni E., Vito G., Dellepiane M., Ratto A., Ferrari A.
154
INTERFERENZA DELLE MODALITA’ DI CONSERVAZIONE DEL LATTE SULLE
PERFORMANCES DEI TEST DIAGNOSTICI PER BRUCELLOSI E LEUCOSI BOVINA
ENZOOTICA.
Canale G., Barbero R., Bergagna S., Contrucci M., Dezzutto D., Gennero M.S.
156
L’ATTIVITA’ DI PROFICIENCY TEST-PROVIDER DEL LABORATORIO DI RIFERIMENTO
NAZIONALE ED EUROPEO PER ESCHERICHIA COLI DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI
SANITA’
Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Ferreri C., Minelli F., Marziano M.L., Babsa S.,
Maugliani A., Galati F.
159
RODITORI SELVATICI CATTURATI NEL TERRITORIO PALERMITANO: POSSIBILI
RESERVOIR DI LEISHMANIA?
Caracappa S., Torina A., Disclafani R., Nucatolo G., Piazza M., Migliazzo A., Galuppo L.,
Nifosì D., Castelli G., Bruno F.
162
VALUTAZIONI SULLA QUALITÀ IGIENICO- SANITARIA DI SESAMO IMPORTATO DA
PAESI EXTRACOMUNITARI
Cardamone C., D’oca M.C., Oliveri G., Nicastro L., Arculeo P., Di Noto A.M.
164
L’IMPATTO MEDIATICO DELLA PARVOVIROSI DEL CANE: INGIUSTIFICATO ALLARME
PER UN CEPPO MUTATO DI CPV-2 A ROMA NEL 2012
Cardeti G., Barcaioli R., Sittinieri S., Dante G., Cittadini M., Desario C., Decaro N.,
Amaddeo D.
166
RICERCA DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE E GENI CODIFICANTI DA
STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE E FORMAGGI DELLA REGIONE
LAZIO
Carfora V., Marri N., Sagrafoli D., Boselli C., Giacinti G., Patriarca D., Pietrini P., Giangolini G.,
Amatiste S.
169
ISOLAMENTO DI PSEUDORABIES VIRUS (PRV) GENOTIPO II IN VOLPE ROSSA
ITALIANA (VULPES VULPES)
Caruso C.C., Dondo A., Cerutti F., Masoero L., Rosamilia A., D’Errico V., Grattarola C.,
Acutis P.L., Peletto S.
172
EPATITE E (HEV): INDAGINE SIEROLOGICA, VIROLOGICA E FILOGENETICA SULLA
POPOLAZIONE DI CINGHIALI PIEMONTESI
Caruso C.C., Modesto P., Peletto S., Bertolini S., Soncin A., De Marco L., Buholzer P., Boin C.
Acutis P.L., Masoero L.
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
ESTRATTI POLISACCARIDI DA ALGHE DEL MEDITERRANEO: VALUTAZIONI
DELL’ATTIVITà CITOTOSSICA IN COLTURE DI LEISHMANIA INFANTUM
Castelli G., Bruno F., Migliazzo A., Vitale F., Piazza M., Armeli Minicante S., Michelet S.,
Sfriso A., Morabito M., Genovese G.
177
EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI PARVOVIRUS DEI CARNIVORI IN PUGLIA E
BASILICATA
Catanzariti R., Decaro N., Padalino I., Parisi A., Desario C., Narcisi D., Palazzo L., Nardella
La Porta A., Cavaliere N., Buonavoglia C.
179
MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI METALLI PESANTI (PIOMBO, CADMIO E
MERCURIO)NEI PRODOTTI ITTICI COMMERCIALIZZATI IN PUGLIA NEL 2012
Chiaravalle A.E., Iammarino M., Miedico O., Pompa C., Tarallo M.
181
SVILUPPO DI UN TEST DIAGNOSTICO IN REAL TIME PCR PER LA DIAGNOSI DI
MICOPLASMI AVIARI PATOGENI
Ciprì V., Puleio R., Macaluso G., Messina F., Sallemi S., Tumino G., Antoci F., Messina A.,
Tamburello A., Loria G.R.
183
APPLICAZIONE DELLA PCR REAL TIME PER LA RILEVAZIONE DI ANISAKIDAE IN
PRODOTTI ITTICI: PRIMI RISULTATI
Costa A., Sciortino S., Migliazzo A., Giangrosso G., Ferrantelli V.
207
VALUTAZIONE COMPARATIVA FRA TRE METODICHE DI LABORATORIO PER
L’IDENTIFICAZIONE DI LIEVITI DI ORIGINE ANIMALE
Crotti S., Agnetti F., Maresca C., Scoccia E., D’Angelo G., Palmieri M., Morganti G., Papa P.,
Pitzurra L.
209
A FAST REAL-TIME PCR ASSAY FOR THE DETECTION OF CHLAMYDIA SPECIES FROM
ANIMAL SAMPLES
Curcio L., Sebastiani C., Ciullo M., Biagetti M.*
211
RILIEVI PARASSITOLOGICI IN VOLPI IN SICILIA
Currò V., Antoci F., Disclafani R., Galluzzo P., Randazzo V., Lo Biundo G., Barreca S.,
Galuppo L., Caracappa S.
213
MIELOPATIA DEGENERATIVA NEI CANI
Cutarelli A.*, De Roma A., Cecere B., Mandato D., Polli M., Riva J., Guarino A., Galiero G.,
Corrado F.
215
217
VALIDAZIONE DEL METODO SURETECT REAL-TIME PCR DI THERMO SCIENTIFIC
PER LA DETERMINAZIONE DI SALMONELLA IN CAMPIONI ALIMENTARI E
AMBIENTALI
Cloke J., Zodo T.F., Clark D., Radcliff R., Leon-velarde C., Larson N., Dave K.
185
STUDIO DELL’ESPRESSIONE DEL BIOFILM, DELLA CELLULOSA E DELLE FIMBRIE
CURLI IN CEPPI DI SALMONELLA SPP ISOLATI DA CINGHIALE
Cocchi M., Deotto S., Ustulin M., Di Giusto T., Di Sopra G., Conedera G., Vio D.
187
SERRATOSPICULOSI (SERRATOSPICULUM TENDO) NEI RAPACI DIURNI DEL SUD
ITALIA CON LA PRIMA SEGNALAZIONE D’INFEZIONE IN UN ASTORE (ACCIPITER
GENTILIS)
D’Alessio N., Di Prisco F., Troisi S., Degli Uberti B., Fusco G., D’Amore M., Guarino A.,
Veneziano V., Santoro M.
189
MASTITE DA PROTOTHECA ZOPFII GENOTIPO 2 NEL BUFALO (BUBALUS BUBALIS)
IN UN ALLEVAMENTO CAMPANO
De Carlo E., Muto M., Alfano D., Lucibelli M.G., Gallo A., Guarino A., Martucciello A.
219
RHDV2 IN ALLEVAMENTI CUNICOLI PIEMONTESI
De Somma D., Lavazza A., Caruso C.C., Zoppi S., Cerrina P., Cavadini P., Giorgi I.,
Masoero L., Capucci L., Dondo A.
221
CANINE PNEUMOVIRUS IN CANI CON MALATTIA RESPIRATORIA
Decaro N., Pinto P., Mari V., Elia G., Larocca V., Camero M., Terio V., Losurdo M., Martella V.,
Buonavoglia C.
224
REPORT DI UN CASO DI MENINGIOMA IN UNA TIGRE DELLO ZOO DI NAPOLI
Degli Uberti B., Laricchiuta P., Campolo M., D’Amore M., Mizzoni V., Rosato G.
226
INDAGINI TOSSICOLOGICHE VETERINARIE (PARTE I): CASI DI AVVELENAMENTO IN
LIGURIA
Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Ercolini C., Ferrari A., Gili M.
228
INDAGINI TOSSICOLOGICHE VETERINARIE (PARTE II): PRINCIPALI SOSTANZE
IDENTIFICATE NEI CASI DI AVVELENAMENTO IN LIGURIA
Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Ercolini C., Ferrari A., Gili M.
230
SCHMALLENBERG: MODALITA’ DI GESTIONE E DESCRIZIONE DELLA CASISTICA IN
REGIONE PIEMONTE
D’Errico V., Grattarola C., Giorgi I., Perosino M., Zoppi S., Monaco F., Dondo A.
232
INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. IN ALLEVAMENTI
BOVINI DELLA REGIONE VALLE D’AOSTA
Dezzutto D., Bergagna S., Gennero M.S., Rosa R., Vitale N., Orusa R., Barbero R., Vevey M.
Ruffier M., Barbero R., Domenis L.
234
UTILIZZO DEL SISTEMA INFORMATIVO APPA-RE ALL’INTERNO DEI LABORATORI
DELL’IZS&AM “G.CAPORALE”
Colangeli P., Ricci L., Cioci D.
ASSOCIAZIONE TRA IL POLIMORFISMO 140T DEL GENE MHC DI CLASSE IIB E LA
RESISTENZA ALLA LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA
Colussi S., Prearo M., Maniaci M.G., Scanzio T., Peletto S., Bertuzzi S., Favaro L., Modesto P.,
Ru G., Desiato R., Acutis P.L.
191
MONITORAGGIO DEL VIRUS DELL’EPATITE A NEI PRODOTTI VEGETALI
Consoli M., Galuppini E., Ferrari M., Malanga M., Meletti F., Pavoni E., Petteni A., Losio M.N.
193
VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA SU PRODOTTI TIPICI DELLA PASTICCERIA
SICILIANA
Corpina G.G., Ventura V.P., Cadili V., Pillera A., Bonaventura T., Spartà D., Marino A.M.F.
GENETIC REASONS OF MEDITERRANEAN BUFFALOES INFERTILITY
Corrado F., De Roma A., Cutarelli A., Mandato D., Cecere B., Coletta A., Cerino P., Guarino A.,
Galiero G.
195
197
CARATTERIZZAZIONE DI UN CEPPO DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
METICILLINO-RESISTENTE (MRSA) E CATALASI NEGATIVO ISOLATO DA UN
CANE
Corrente M., Ventrella G., Parisi A., Desario C., Narcisi D., Buonavoglia D.
199
INDAGINE SULLA PRESENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS E DI MRSA NEL LATTE
DI MASSA DI ALLEVAMENTI CAPRINI DELLA LOMBARDIA
Cortimiglia C., Franco A., Battisti A., Colombo L., Stradiotto K., Vezzoli F., Luini M.
201
LARVE DI ANISAKIDAE ISOLATE DA PRODOTTI ITTICI D’IMPORTAZIONE:
IDENTIFICAZIONE MORFOLOGICA E MOLECOLARE
Costa A., Palumbo P., Graci S., Cammilleri G., Fischetti R., Marconi P., Ferrantelli V.
204
14
15
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
PRODUZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI ANTIIMMUNOGLOBULINE EQUINE PER LA DIAGNOSI DELLE MALATTIE INFETTIVE
DEGLI EQUIDI
Di Febo T., Luciani M., Ciarelli A., Bortone G., Di Pancrazio C., Rodomomti D., Teodori L.,
Tittarelli M.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
236
ESPRESSIONE DELL’ENZIMA 5-LOX NEL CERVELLO DI STENELLE STRIATE
(STENELLA COERULEOALBA) SPIAGGIATE E CON O SENZA (MENINGO)-ENCEFALITI
DI NATURA INFETTIVA
Di Guardo G., Di Francesco A., Falconi A., Baffoni M., Di Francesco C.E., Marsilio F.,
Mazzariol S., Centelleghe C., Casalone C., Mignone W., Cocumelli C., Eleni C., Petrella A.,
Troiano P., Marsili L., Maccarrone M., Giacominelli-stuffler R.
239
PROFILI DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN STAFILOCOCCHI COAGULASI
POSITIVI ISOLATI DA MASTITE OVINA IN ALLEVAMENTI SICILIANI: RISULTATI
PRELIMINARI
Emanuele M.C., Agnello S., Bosco R., Piraino C., Vicari D., Scatassa M.L.
240
DETERMINAZIONE DI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA) IN MOLLUSCHI
(MYTILUS GALLOPROVINCIALIS) E PESCI (TRACHURUS TRACHURUS) PRELEVATI
NELL’AREA MARINA DI TARANTO
Esposito M., Urbani V., Marigliano L., Seccia G., Casamassima F., Gesualdo G., Mambelli
P., Nardelli V.
APPLICAZIONE DEL TRIAGE IN UN ISTITUTO ZOOPROFILATTICO – ANALISI,
ENTRATA IN PRODUZIONE E RISULTATI PRELIMINARI
Faccenda L., Pecorelli I., Berretta C., Biasini G., Capuccella M., Costarelli S., Olivieri E.,
Saccoccini R., Tonazzini S., Cenci T., Mingolla A.
CASE REPORT: TUBERCOLOSI DA MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. HOMINISSUIS
IN UN CANE DI RAZZA BASSET HOUND
Ferraro G., Sandri C., Masserdotti C., Varello K., Zoppi S., Goria M., Perosino M., Dondo A.
STENURUS GLOBICEPHALAE BAYLIS ET DAUBNEY, 1925 (NEMATODA:
PSEUDALIIDAE) E CRASSICAUDA GRAMPICOLA (NEMATODA: SPIRURIDA) IN DUE
GRAMPUS GRISEUS (G. CUVIER, 1812) SPIAGGIATI SULLA COSTA TOSCANA
Fichi G., Manfredi M.T., Gazzonis A.L., Mazzariol S., Centellegre C., Carratori S.,
Di Guardo G., Fischetti R., Terracciano G.
RISULTATI DEI CONTROLLI UFFICIALI EFFETTUATI SU ALIMENTI DI ORIGINE
VEGETALE PRESSO L’IZS PLV NEL PERIODO 2009-2012
Galleggiante Crisafulli A., Vencia W., Decastelli L., Abete M.C., Brusa F., Pistone G.,
Ferrari A., Ercolini C., Caramelli M., Chiavacci L., Barbaro A.
SALMONELLA SPP. E LISTERIA MONOCYTOGENES IN PRODOTTI A BASE DI CARNE:
RISULTATI DEI CONTROLLI EFFETTUATI IN PIEMONTE NEL BIENNIO 2011-2012
Galleggiante Crisafulli A., Bianchi D.M., Decastelli L., Monfardini S., Brusa F., Pistone G.,
Chiavacci L., Barbaro A.
RICERCA DI RESIDUI DI AVERMECTINE E MILBEMICINE IN TESSUTI E LATTE:
CONFRONTO TRA DIVERSE FASI STAZIONARIE PER LA PURIFICAZIONE DEL
CAMPIONE
Gamba V., Abete M.C., Borra A., Massafra S., Giomi A., Stella P., Dusi G., Gili M.
RILEVAMENTO DI LARVE DI TOXOCARA SPP. IN MUSCOLI DI CORVIDI
SOTTOPOSTI
A
DIGESTIONE
ARTIFICIALE
PER
LA
RICERCA
DI
TRICHINELLA SPP.
Garbarino C., Silva R., Merialdi G., Merenda M., Bolognesi E., Licata E., Genchi C.,
Marucci G., Pozio E.
16
242
244
246
249
252
254
256
259
DIAGNOSI DI LABORATORIO DELLA LEPTOSPIROSI IN FAUNA DOMESTICA E
SELVATICA DEL TERRITORIO PALERMITANO
Gargano V., Vesco G., Sciacca C., Arnone M., Lo Giudice V., Villari S.
261
SVILUPPO DI MARCATORI MITOCONDRIALI PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE
DALLE MATRICI DI ESCHE AVVELENATE: UN CONTRIBUTO ALLE INDAGINI FORENSI
NEI REATI CONTRO GLI ANIMALI
Garofalo L., Fanelli R., Fico R., Lorenzini R.
264
UNA SCELTA DA CONDIVIDERE: PIANO DI MONITORAGGIO REGIONALE DELLA
RISTORAZIONE COLLETTIVA
Garofalo F., Pesce A., De Marco G., Romano M., Salzano C., De Felice A., Guarino A.
266
BRUCELLA CETI: BIOTIPIZZAZIONE E GENOTIPIZZAZIONE TRAMITE MLVA-16 MLST
E SNPS WGS
Garofolo G., Di Giannatale E., Ancora M., Marcacci M., Orsini M., Persiani T., Marotta F.,
Zilli K., Cammà C.
268
SPIROCERCA LUPI: UN PARASSITA RARO O UNA PARASSITOSI OCCULTA?
DESCRIZIONE DI UN CASO DI ANEURISMA AORTICO NELLA VOLPE
Gavaudan S., Moscatelli F., Graziosi T., Morandi F., Tomasi V., Fioranelli F., Angelico G.
270
IDENTIFICAZIONE DEL PROFILO ENTEROTOSSICO DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
METICILLINO SENSIBILI (MSSA) E STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO
RESISTENTI (MRSA) ISOLATI DA LATTE BOVINO
Giacinti G., Sagrafoli D., Giangolini G., Rosa G., Tammaro A., Bovi E., Marri N., Carfora V.,
Franco A., Amatiste S.
271
VALUTAZIONE DELL’INCIDENZA DI AVVELENAMENTI DA CUMARINICI NELLA
REGIONE SICILIA MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA AD ALTA PRESSIONE
(HPLC/DAD)
Giangrosso G., Cicero A., Migliazzo A., Vella A., Ferrantelli V.
273
DETECTION OF COCCIDIOSTATS AT CARRY-OVER IN FEED: RESULTS OF A SURVEY
PERFORMED IN THE PERIOD 2011-2012 IN PIEDMONT REGION
Gili M., Stella P., Ostorero F., Abete M.C.
275
MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS (MAP): VALUTAZIONI
PRELIMINARI SU PROTOCOLLO DIAGNOSTICO POST MORTEM
IN BOVINI
MACELLATI DI ALLEVAMENTI INFETTI
Giorgi I., Goria M., Romano A., Garrone A., Bozzetta E., Varello K., Dondo A.
277
DIAGNOSI DI LABORATORIO DI TOXOPLASMOSI SU UN ASINO
Giunta R.P., Salvaggio A., Alfonzetti T., Aparo A., Bauso R., Conti R., Marino A.M.F.
279
EFFETTI DELL’IRRAGGIAMENTO CON RAGGI X DI BASSA ENERGIA SULLA
SOPRAVVIVENZA DI SALMONELLA SPP.
Goffredo E., Azzarito L., Mangiacotti M., Altieri P., Chiaravalle E.
281
SORVEGLIANZA PER EMOPLASMI FELINI IN SUD ITALIA 2007-2011
Greco G., Ventrella G., Lorusso E., Decaro N., Martella V., Valentini L., Buonavoglia C.
284
VALUTAZIONE DELL’INTERFERENZA DELLA SINDROME ENTEROPATICA SULLA
QUALITA’ DELLE CARCASSE SUINE AL MACELLO
Grindatto A., Careddu M.E., Burzio G., Tron S., Gambino F., Apicella M., Varello K.,
Meistro S., Monnier M., Goria M., Decastelli L., Ru G.
286
ORDINANZA MINISTERIALE 18 DICEMBRE 2008: ATTIVITA’ DI SORVEGLIANZA
DELLA SEZIONE DI CUNEO DELL’IZS DEL PIEMONTE LIGURIA E VALLE D’AOSTA
Grindatto A., Pistone G., Rutigliano B., Lotti R., Caracciolo F., Fioravanti F., Leporati M.,
Capra P., Gili M., Biolatti P.G.
288
17
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
VALIDAZIONE DEL PROCESSO PRODUTTIVO DI UN
TRADIZIONALE. CONTROLLO DI SALMONELLA
Grisenti M.S., Frustoli M.A., Passera E., Dondi S., Barbuti S.
SALAME
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
ITALIANO
290
STUDIO PRELIMINARE PER L’UTILIZZO DELL’IMMUBLOT COME METODO DI
CONFERMA PER LA RICERCA DI ALLERGENI
Guglielmetti C., Mazza M., Buonincontro G., Fragassi S., Vencia W., Acutis P.L., Decastelli L.
291
INDAGINE PRELIMINARE SULLA CONTAMINAZIONE DA RADIONUCLIDI BETA
EMITTENTI (90SR) NEI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE
Iammarino M., Bortone N., Mangiacotti M., Chiaravalle A.E.
295
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI OCRATOSSINA A LUNGO LA FILIERA
PRODUTTIVA DELLA LIQUIRIZIA (GLYCYRRHIZA GLABRA)
Imbimbo S., Arace O., Castellano V., Soprano V., Esposito M.
MYCOBACTERIUM BOVIS NELL’UOMO NELL’ITALIA NORD OCCIDENTALE:
CONFRONTO TRA I CEPPI NELL’INDAGINE EPIDEMIOLOGICA
Irico L., Ferraro G., D’Errico V., Mondo A., Turchi A., Goria M., Zoppi S., Chiavacci L.,
Dondo A.
PROGETTO PILOTA DI SORVEGLIANZA SULLA MORTALITA’ DEGLI ALVEARI:
RISULTATI PRELIMINARI IN PIEMONTE
Irico L., D’Errico V., Caruso C., Vitale N., Radaelli M.C., Romano A., Mogliotti P., Masoero L.,
Goria M., Chiavacci L., Dondo A., Possidente R.
298
300
303
INDAGINI NEUROPATOLOGICHE IN CETACEI SPIAGGIATI LUNGO LE COSTE LIGURI
(2007-2012)
Iulini B., Giorda F., Pautasso A., Pintore M.D., Tittarelli C., Romano A., Goria M., Serracca L.,
Grattarola C., Dondo A., Di Guardo G., Mignone W., Casalone C.
306
CARATTERIZZAZIONE PROTEOMICA DI BRUCELLA SUIS PER L’IDENTIFICAZIONE
DI TARGET ANTIGENICI PROTEICI DA IMPIEGARE AD USO DIAGNOSTICO
Krasteva I., Travaglini D., Smith D., Inglis N., Tittarelli M., Sacchini F.
308
RILIEVI ANATOMOPATOLOGICI IN CASO DI AVVELENAMENTO DOLOSO NELLE
PROVINCE DI FIRENZE, PRATO E PISTOIA
Lombardo A., Ambrogi C., Corrias F., Ragona G., Fico R., Brajon G.
310
A SURVEY FOR YESSOTOXIN IN SHELLFISH FARMED AND MARKETED IN THE
SARDINIA REGION IN 2013
Lorenzoni G., Arras I., Sanna G., Mudadu A., Muzzigoni C., Tedde G., Santucciu C., Nicolussi P.,
Marongiu E., Virgilio S.
INDAGINE SIEROLOGICA SU FEBBRE Q NELL’UOMO IN CATEGORIE A RISCHIO
Lucchese L., Raoult D., Marangon S., Mion M., Giurisato I., Barberio A., Lonardi U.,
Natale A.
SVILUPPO DI UNA ELETTROFORESI SU GEL IN GRADIENTE DENATURANTE (DGGE)
PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE DI MYCOPLASMI
Macaluso G., Puleio R., Ciprì V., Tamburello A., Loria G.R.
GENETIC ASSESSMENT THROUGHOUT MT-DNA SEQUENCING FROM WILD
POPULATIONS OF SICILIAN ROCK PARTRIDGE AS PRELIMINARY STEP FOR SPECIES
CONSERVATION
Macaluso G., Puleio R., Reale S., Lo Valvo M., Manno C., Loria G.R., Vitale F.
PIANO DI SELEZIONE GENETICA PER LA RESISTENZA ALLE ENCEFALOPATIE
SPONGIFORMI TRASMISSIBILI DEGLI OVINI NELLA REGIONE SICILIA: EFFICACE
STRUMENTO DI CONTROLLO
Macrì D., Bivona M., Buttitta O., Galante A., Randazzo V., Calderone S., Vitale F.
18
312
314
316
318
320
VALIDAZIONE DI UN METODO DI PROVA IN REAL TIME PCR: DETERMINAZIONE
DEI POLIMORFISMI A SINGOLO NUCLEOTIDE (SNPS) NEI CODONI 136, 154 E 171,
MARCATORI DELLA SUSCETTIBILITÀ ALLA SCRAPIE NELLA SPECIE OVINA
Macrì D., Bivona M., Buttitta O., Lo Verde V., Acutis P.L., Chetta M., Muzzupappa C.,
Reale S.,Vitale F.
322
SENSIBILITA’ AGLI ANTIMICROBICI DI BRACHYSPIRA HYODYSENTERIAE IN ITALIA
DAL 2005 AL 2013
Magistrali C.F., Cucco L., Scoccia E., Tartaglia M., Luppi A., Bonilauri P., Biasi G., Merialdi G.,
Maresca C.
324
CLOSTRIDIUM DIFFICILE NELLA FILIERA DEL VITELLO A CARNE BIANCA
Magistrali C.F., Cucco L., Felici A., Dettori A., Filippini G., Broccatelli S., Bano L., Pezzotti G.
326
CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI DI CLOSTRIDIUM DIFFICILE NELLA FILIERA DEL
VITELLO A CARNE BIANCA
Magistrali C.F., Cucco L., Maresca C., Tartaglia M., Filippini G., Broccatelli S., Drigo I.,
Bano L., Pezzotti G.
329
SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA DEI MICRORGANISMI PATOGENI DI INTERESSE
ALIMENTARE
Malanga M., Bertasi B., Pavoni E., Losio M.N.
331
ZANZARE ESOTICHE (AEDES) NEI PORTI PUGLIESI: RISULTATI PRELIMINARI DI
UNO STUDIO PILOTA
Mancini G., Chiocco D., Galante D., Palmisano L., Raele D., Nardella La Porta C., Schino G.,
Cafiero M.A.
333
BATTERI LATTICI CON ATTIVITA’ ANTIBATTERICA ISOLATI DA FORMAGGI
TRADIZIONALI SICILIANI
Mancuso I., Carrozzo A., Ducato B., Todaro M., Miraglia V., Macaluso G., Fiorenza G.,
Scatassa M.L.
336
STUDIO RETROSPETTIVO SULLA PRESENZA DI CLAMIDIE ATIPICHE IN CAMPIONI
DI SPECIE AVIARIE
Manfredini A., Bellotti M., Labalestra I., Petasecca D., Mandola M.L., Rizzo F., Prati P.,
Fabbi M., Magnino S., Vicari N.
339
EFFETTI DELLA RIMOZIONE DEL SIERO FETALE BOVINO NELLA COLTIVAZIONE DI
IBRIDOMI: UTILIZZO DI TERRENI SERUM-FREE
Manna L., Armillotta G., Di Febo T., Luciani M., Ciarelli A., Di Ventura M.
341
IL VIRUS DELLA BLUETONGUE RIAPPARE IN SARDEGNA: CARATTERIZZAZIONE
MOLECOLARE E FILOGENESI DEI CEPPI COINVOLTI
Marcacci M., Marini V., Spedicato M., Carmine I., Carvelli A., Puggioni G., Lorusso A.,
Savini G.
344
MONITORAGGIO DELLE CROSS CONTAMINAZIONI DA PAT NEI LABORATORI CHE
ESEGUONO LE ANALISI UFFICIALI NEI MANGIMI
Marchis D., Amato G., Benedetto A., Brusa B., Abete M.C.
347
SORVEGLIANZA MORTALITA’ API 2012/2013: RISULTATI UMBRI
Maresca C., Dettori A., Scoccia E., Valentini A., Ghittino C., Macellari P.
349
VALUTAZIONE DELL’EFFICIENZA DEL KIT BOVIGAM®2
Marineo S., Mossi P., Crucitti D., Vargetto D., Giarratana R., Caracappa S.
351
NESTED- PCR PER LA DIAGNOSI DI TOXOPLASMA GONDII
Marino A.M.F., Alfonzetti T., Puglisi M.L., Aparo A., Vitale F., Reale S.
353
19
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
RISULTATI DI UN TEST RFLP SU CEPPI VACCINALI DI CANINE DISTEMPER VIRUS
IN ITALIA
Mira F., Purpari G., Gucciardi F., Di Bella S., Guercio A.
380
357
PRIMO CASO DI FEBBRE CATARRALE MALIGNA IN UN CERVO PUDU (PUDU PUDA)
OSPITATO IN UN GIARDINO ZOOLOGICO
Modesto P., Biolatti C., Grattarola C., Varello K., Iulini B., Mandola M.L., Dondo A., Goria M.,
Rocca F., Acutis P.L.
382
359
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA DIFFUSIONE DI ALCUNI AGENTI ZOONOTICI
ALIMENTARI NEI CINGHIALI DELLA SARDEGNA CENTRO-ORIENTALE
Mulas M., Goddi L., Carusillo F., Lisai A., Bassu M., Sanna S., Fancello C., Pirino T., Cabras
P.A., Bandino E.
385
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI SALMONELLE ISOLATE IN ALIMENTI E
MANGIMI:
INDAGINI PRELIMINARI
Napoli C., Cardamone C., Costa A., Piraino C., Vitale M.
387
INFEZIONE DA BOVINE PAPILLOMAVIRUS:
DIAGNOSI MOLECOLARE E
CARATTERIZZAZIONE DEGLI STIPITI IN CAMPIONI CUTANEI
Nappi R., Ferraro G., Miceli I., Meistro S., Callipo M.R., Crescio M.I., Varello K., Goria M.
390
L’IMPORTANZA DI UN CAMPIONAMENTO STATISTICAMENTE SIGNIFICATIVO
PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE BATTERICA DA UTILIZZARE
NELL’ALLESTIMENTO DI UN VACCINO STABULOGENO PER LA PROFILASSI DI
MASTITI OVINE E CAPRINE
Marogna G., Barbato A., Fiori A., Carboni G.A., Schianchi G.
355
EDEMA MALIGNO IN BUFALE (BUBALUS BUBALIS) AL POST-PARTUM
Martucciello A., Marianelli C., Grassi C., Armas F., Alfano D., Guarino A., De Carlo E.*
INTERVENTO MIRATO DI EDUCAZIONE SANITARIA IN UN’AREA A RISCHIO PER
RECRUDESCENZA DELLA TUBERCOLOSI BOVINA
Masala S., Ponti M.N., Marongiu E., Pintore A., Canu M., Lucariello S., Rolesu S.,
*Coccollone A.M.
IDENTIFICAZIONE MEDIANTE TECNICHE DI PROTEOMICA DI UNA PROTEINA
PLASMATICA QUALE POSSIBILE MARKER DI TRATTAMENTO ILLECITO NEI VITELLI
DA CARNE
Mazza M., Guglielmetti C., Pagano M., Nodari S., Carrella S., Sciuto S., Pezzolato M.,
Richelmi G.B., Baioni E., Acutis P.L., Bozzetta E.
360
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA SUINA
SARDA STAGIONATA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST DI PROCESSO :
NOTA 1 - STUDIO PRELIMINARE DI DEFINIZIONE STANDARD DI PRODOTTO E DI
PROCESSO
Mele P., Marongiu E., Piras G., Delogu A., Noli A.C., Coppa G., Virgilio S.
362
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA SUINA
SARDA STAGIONATA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST DI PROCESSO NOTA 2 FASE SPERIMENTALE
Mele P., Marongiu E., Piras G., Porqueddu G., Terrosu G., Coppa G., Virgilio S.
365
PERFORMANCE DI CAMPO DEL NUOVO TEST RAPIDO TSE “PRIONICS® - CHECK
PRIOSTRIP SR”
Meloni D., Varello K., Loprevite D., Cavarretta M.C., Manzardo E., Nocilla L., Longo D.,
Bozzetta E.
LO SCREENING CON METODICHE IMMUNOCHIMICHE PER LA RICERCA DI
TRATTAMENTO ILLECITO CON CORTICOSTEROIDI: UNA STATEGIA AFFIDABILE?
Meloni D., Olivo F., Meistro S., Nocilla L., Manzardo E., Pitardi D., Pezzolato M., Bozzetta E.
GENOTIPIZZAZIONE DI STIPITI DI SALMONELLA TYPHIMURIUM E SALMONELLA
ENTERICA 4,[5],12:I:- IN CINQUE EPISODI DI TOSSINFEZIONE ALIMENTARE
Merla C.M., Andreoli G., Carra E., Corpus F., Morganti M., D’Incau M., Dalla Valle C.,
Marone P., Colmegna S., Fabbi M.
DIAGNOSI DI LABORATORIO DI PRRS: VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE
ANALITICHE DELLA MATRICE SALIVA NEI SUINI IN FASE DI MAGRONAGGIO
Miceli I., Vitale N., Marro S., Monnier M., Zoppi S., Dondo A., Caruso C., Masoero L.,
Goria M., Faccenda M.
DISEGNO E VALUTAZIONE DI UN METODO IN REAL-TIME PCR PER LA RICERCA DEI
GENI CODIFICANTI LE VEROCITOTOSSINE DI TIPO 1 E 2
Michelacci V., Tozzoli R., Grande L., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S.
MOLECULAR AND MELISSOPALYNOLOGICAL ANALYSIS TO CHARACTERIZE
HONEYS PRODUCED WITHIN THE MAJELLA NATURAL PROTECTED AREAS
(CENTRAL ITALY)
Milito M., Cersini A., Ciaschetti G., Giacomelli A., Di Santo M., Andrisano T., Puccica S.,
Antognetti V., Pietropaoli M., Pizzariello M., Marchesi U., Formato G., Amaddeo D.
20
367
369
372
374
376
378
TSE A CUNEO: UNA STORIA LUNGA 12 ANNI
Nardella M.C., Marrone L., Marongiu L., Grindatto A., Careddu M.E., Biolatti P.G., Pistone G.
ESCHERICHIA COLI VTEC IN LATTE CRUDO OVI-CAPRINO PRODOTTO NEL
PROMONTORIO DEL GARGANO (PUGLIA)
Nobili G., Zippone V., Basanisi M.G., Normanno G., Nardella M.C., La Salandra G.
392
394
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA
STAGIONATA UMBRA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST
Ortenzi R., Valiani A., Scuota S., Roila R., Haouet M.N., Pezzotti G.
396
INTOSSICAZIONE DA METOLCARB IN CAPRETTE TIBETANE (CAPRA HIRCUS
DOMESTICA) E LAMA (LAMA GLAMA) DI UNO ZOO PARCO
Palazzo L., Quaranta V., Brigante B., Nesta S., Vignola M., Haouet M.N., Muscarella M.
399
GLI AVVELENAMENTI ACUTI NEGLI ANIMALI: I VANTAGGI DELL’APPLICAZIONE
DELLE LINEE GUIDA IN PIEMONTE
Perosino M., Grattarola C., Abete M.C., Dondo A., Giorgi I., Zoppi S.
401
PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. NEGLI ALLEVAMENTI BUFALINI DELLA PROVINCIA
DI CASERTA. DATI PRELIMINARI
Pesce A., Garofalo F., Coppa P., Salzano C., Cioffi B., Mosca E., Guarino A.
403
SIEROPREVALENZA DI COXIELLA BURNETII IN AZIENDE CON TIPOLOGIA DI
ALLEVAMENTO MISTO BUFALO E BOVINO DELLA PROVINCIA DI CASERTA. DATI
PRELIMINARI
Pesce A., Napoletano M., Coppa P., Grimaldi P., De Santo A., Tamburro A., Bove V., Guarino A.
405
BUFALO E BOVINO: ANTIBIOTICORESISTENZE A CONFRONTO
Pesce A., Garofalo F., Coppa P., Salzano C., Cioffi B., Guarino A.
407
CIRCUITO INTERLABORATORIO PER LA DIAGNOSI DI PESTE SUINA AFRICANA IN
SARDEGNA
Petrini S., Bandino E., Liciardi M., Oggiano A., Ruiu A., Iscaro C., Giammarioli M.,
Feliziani F., De Mia G.M.
409
21
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI STIPITI DI CIRCOVIRUS SUINO TIPO 2 (PCV2)
ISOLATI NEL CENTRO ITALIA
Petrini S., Bazzucchi M., Casciari C., Pierini I., Feliziani F., Giammarioli M., De Mia G.M.
CONSIDERAZIONI SULLA GESTIONE E PREVALENZA DELLE MALATTIE DENUNCIABILI
DELLE API IN ITALIA NEGLI ANNI 2006-2010
Pietropaoli M., Maroni Ponti A., Ruocco L., Mutinelli F., Lavazza A., Bassi S., Sacchi C.,
Sala G., Nassuato C., Scholl F., Formato G.
PRESENZA DI BORRELIA BURGDORFERI S.L., RICKETTSIA SPP. E ANAPLASMA
PHAGOCYTOPHILUM IN PIEMONTE
Pintore M.D., Ceballos L., Iulini B., Pautasso A., Giorda F., Tomassone L., Bardelli M.,
Scala S., Rizzo F., Mandola M.L., Peletto S., Mannelli A., Casalone C.
L. INTERROGANS SEROVAR BRATISLAVA: PRIMO ISOLAMENTO IN SARDEGNA DA
UN FETO BOVINO
Ponti M.N., Palmas B., Noworol M., Canu M., Picardeau M., Carboni G.A., Pedditzi A.,
Pintore P., Piredda I.
VALIDATION OF A NEW COMMERICAL ELISA FOR THE DETECTION OF ANTI-IBR GE
ANTIBODIES
Pourquier P., Comtet L.
BIANCHETTI E ROSSETTI: UN NUOVO APPROCCIO DIAGNOSTICO AD UN ANTICO
PROBLEMA
Prearo M., Riina M.V., Maurella C., Scanzio T., Arsieni P., Orlandi M., Iacona F., Ru G.,
Acutis P.L., Ercolini C.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
411
EPISODIO DI TOSSICITÀ DA PALITOSSINA CAUSATO DA UN CORALLO (ZOANTIDAE,
PALYTHOA MUTUKI / SP. MUTAKI / PROTOPALYTHOA SP.) IN UN ACQUARIO MARINO
Ricci E., Fichi G., Ricci M., Fatighenti P., Fischetti R., Susini F.
439
413
PRESENZA DI LARVE DI ANISAKIDAE IN TRIGLIE DI FANGO (MULLUS BARBATUS)
PESCATE NEL MAR LIGURE
Righetti M., Bona M.C., Sabbadini M., Scanzio T., Favaro L., Arsieni P., Serracca L., Ercolini C.
Ru G., Fioravanti M.L., Prearo M.
442
RISULTATI DELL’ATTIVITA’ DI MONITORAGGIO SANITARIO ESEGUITA SU CAMOSCI
(RUPICAPRA RUPICAPRA RUPICAPRA) CACCIATI IN VALLE D’AOSTA NELLA
STAGIONE VENATORIA 2012-2013
Robetto S., Orusa R., Notarnicola R., Spedicato R., Marchisio F., Botti V., Guidetti C., Ruffier
M., Domenis L.
444
418
CARATTERIZZAZIONE BIOMOLECOLARE DI M. AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS
TRAMITE MINI E MICROSATELLITE: RISULTATI PRELIMINARI IN PIEMONTE
Romano A., Giorgi I., Ricchi M., Arrigoni N., Dondo A., Goria M.
447
420
DIVERSITÀ GENETICA DEL VIRUS DELLA DIARREA VIRALE DEL BOVINO IN ITALIA:
IDENTIFICAZIONE DI UN NUOVO GENOTIPO VIRALE
Rossi E., Ceglie L., Cunico G., Giammarioli M., Mion M., Rampazzo E., Torresi C., Nardelli S.,
De Mia G.M.
449
RISULTATO PRELIMINARE DEL MONITORAGGIO DELLA PARATUBERCOLOSI IN
VALLE D’AOSTA PERIODO GENNAIO-MAGGIO 2013
Russo A., Guidetti C., De Nicolò D., Vitale N., Chiavacci L., Trentin C., Ragionieri M.,
Orusa R.
451
RISULTATI DEL PIANO DI ERADICAZIONE REGIONALE DELLA RINOTRACHEITE
INFETTIVA BOVINA IN VALLE D’AOSTA NEL PERIODO GENNAIO-MAGGIO 2013
Russo A., Guidetti C., De Nicolò D., Vitale N., Chiavacci L., Trentin C., Ragionieri M.,
Orusa R.
452
SISTEMI DIAGNOSTICI POINT OF CARE PER L’IDENTIFICAZIONE RAPIDA DI AGENTI
INFETTIVI DEGLI ANIMALI DA COMPAGNIA
Scagliarini A., Delledonne M., Battilani M., Francino O., Sanchez A., Arben M., Trentin B.,
Piquemal D., Temporin S.
454
APPROCCIO METODOLOGICO NELLA CLASSIFICAZIONE DELLE CERNIE: COME
RISOLVERE LE CRITICITA’
Scanzio T., Riina M.V., Righetti M., Arsieni P., Colussi S., Acutis P.L., Prearo M.
456
UTILIZZO DEL LATTODINAMOGRAFO PER LA VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’
COAGULANTE
DI CAGLI IN PASTA ARTIGIANALI
Scatassa M.L., Ducato B., Carrozzo A., Fiorenza G., Macaluso G., Miraglia V., Todaro M.,
Settanni L., Mancuso I.
458
RICERCA DI IMPURITÀ SOLIDE NEGLI ALIMENTI MEDIANTE ESAME ISPETTIVO E
METODO FILTH TEST: REPORT 2009-2013
Schiavo M.R., Puleio R., Torina A., Zimmardi A., Manno C., Vodret B., Pagani M.
460
STUDIO DELLA POPOLAZIONE MICROBICA RESPONSABILE DELLA CONTAMINAZIONE
UTERINA NEL PERIODO PUERPERALE IN BOVINE DA LATTE: DATI PRELIMINARI
Sebastianelli M., Ciullo M., Sebastiani C., Papa P., Crotti S., Fortunati R., Gobbi M.,
Pezzotti G., Filippini G.
462
416
421
CASE REPORT: ELETTROCHEMIOTERAPIA DI UN CARCINOMA SQUAMOCELLULARE
IN UNA CAVALLA.
Puleio R., Tamburello A., Caracausi C., Russo Tiesi S., Mancuso R., Loria G.R.
423
INTERAZIONE TRA MINERALI ARGILLOSI E AFLATOSSINA M1 NEL LATTE
Quaranta V., Muscarella M., Palazzo L., De Giacomo A., Carraro A., Giannossi G., Medici L.,
Tateo F., Summa V.
425
SORVEGLIANZA SANITARIA DELLA FAUNA SELVATICA IN PIEMONTE: OBIETTIVI,
CRITERI E MODALITÀ OPERATIVE DEL NUOVO PIANO REGIONALE.
Radaelli M.C., Maurella C., Delvento P., Rosso F., Dondo A.
427
MONITORAGGIO DELLO STATO SANITARIO DELL’AVIFAUNA MIGRATORIA IN
PIEMONTE: CRITERI DI CAMPIONAMENTO E RISULTATI PRELIMINARI.
Radaelli M.C., Rizzo F., Giammarino M., Scala S., Previto G., Irico L., Travaglio S., Dondo A.,
Zoppi S., Vicari N., Mandola M.L., Chiavacci L.
429
RESIDUI DI PESTICIDI IN CAMPIONI DI CERA IN APICOLTURA
Ragona G., Fortini M., Lombardo A., Corrias F., Formato G., Brajon G.
431
RICERCA DI ALLERGENI NEGLI ALIMENTI: ALCUNE CRITICITÀ LEGATE ALLE
NOCCIOLE
Razzuoli E., Migone L., Michelotti L., Delfino S., Gennari M., Rubini D., Vito G., Tiso M.,
Ratto A., Rosatto S., Campanella C., Porcario C., Ferrari A.
433
DIAGNOSI DI TUBERCOLOSI ANIMALE MEDIANTE REAL TIME PCR
Reale S., Fileccia V., Emanuele M., Chifari F.P., Pitti R., Caracappa G., Lupo T.
435
AMPLIFICAZIONE DI UN PANNELLO STANDARDIZZATO DI 15 LOCI MICROSATELLITI
NELLA POPOLAZIONE OVINA SICILIANA
Reale S., Cosenza M., Lanteri G., Foti M., Caracappa S., Crucitti D., Currò V.
437
22
23
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE A DIOSSINE E PCB ATTRAVERSO LA
DETERMINAZIONE DEI LIVELLI EMATICI IN SOGGETTI RESIDENTI IN CAMPANIA
Serpe F.P., Messina G., Diletti G., Ceci R., Monda M., Baldi L., Scortichini G.,
Esposito M.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
464
CINETICA DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN CORSO DI INFEZIONE SPERIMENTALE
CON IL VIRUS DELLA PESTE SUINA CLASSICA
Severi G., Forti K., Rizzo G., Curina G., Bazzucchi M., Iscaro C., De Mia G.M., Cagiola M.
466
SIEROCONVERSIONE PER SCHMALLENBERG VIRUS IN OVINI-CAPRINI IN PROVINCIA
DI BRESCIA
Sozzi E., Sozzi E., Moreno A.*, Lelli D., Lavazza A., Canelli E., Zanoni M.G., Alborali L.,
Cordioli P.
469
IDENTIFICAZIONE E SIEROTIPIZZAZIONE DI VIRUS AFTOSI MEDIANTE TECNOLOGIA
LUMINEX
Spagnoli E., Grazioli S., Dho G., Brocchi E.
471
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA DIFFUSIONE DELLA PARATUBERCOLOSI IN
ALLEVAMENTI BOVINI DEL CENTRO SICILIA – DATI PRELIMINARI
Stancanelli A., Giunta R., Pilato V., Agnello S., Sabella S.
INDAGINE SU ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI SHIGA-TOSSINA (STEC)
IN ALLEVAMENTI BOVINI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA CHE PRODUCONO
LATTE CRUDO
Targhetta C., Pierasco A., Ustulin M., Vio D., Caprioli A.1, Conedera G.
CARATTERIZZAZIONE DI STREPTOCOCCUS SUIS NELLA POPOLAZIONE SUINA DELLA
SARDEGNA MERIDIONALE; VALUTAZIONE DEI DETERMINANTI DI PATOGENICITÀ
ED EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE
Tedde M.T., Pilo C., Orrù G., Liciardi M.
IDENTIFICAZIONE DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE (PAT) DI SUINO
MEDIANTE PCR REAL TIME. DATI PRELIMINARI.
Tilocca M.G., Caneglias E., Oggiano M.A., Serratrice G., Marongiu E., Vodret B.
CAVALLO:
UTILIZZO
DEI
METODI
MOLECOLARI
EMERGENZA
NELL’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE
Tilola M., De Libato E., Acutis P.L., Desantis P., Bertasi B., Peletto S., Lovari S., Modesto P.,
Petteni A., De Medici D.
474
476
478
494
PRESENZA DI LEISHMANIA IN VULPES VULPES MEDIANTE RT-PCR
Vitale F., Reale S., Antoci F., Bruno F., Castelli G., Calderone S., Licitra F., Caracappa G.,
Nifosi D., Migliazzo A.
496
ST18 UN NUOVO STILBENE CHE INDUCE APOPTOSI IN COLTURE DI LEISHMANIA
INFANTUM
Vitale F., Tolomeo M., Colomba C., Titone L., Roberti M., Galante A., Migliazzo A., Bruno F.,
Castelli G.
498
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA ESPOSIZIONE AD AGENTI CANCEROGENI O
MUTAGENI
Vitelli B.R., Piazzoli L., Saezza M.E., Cenci F., Severini S.
500
ANALISI DI PARAMETRI STRESS OSSIDATIVO-CORRELATI PER LA VALUTAZIONE
DELLO STATO DI BENESSERE IN CANI INDOOR
Vito G., Bassi A.M., Ratto A., Razzuoli E., Campanella C., Ferrari A.
502
ANDAMENTO E GESTIONE DELL’ALLERTA AFLATOSSINA M1 NEL LATTE IN
LOMBARDIA NEL 2012-2013
Zanardi G., Bolzoni G., Delle Donne G., Biancardi A., Piro R., Bertocchi L.
504
STUDIO SULLA PRESENZA DI AGENTI INFETTIVI NELLE ZECCHE IN UMBRIA:
RISULTATI PRELIMINARI
Zema J., Maresca C., Caporali A., Iscaro C., Marchi S., Costarelli S., Principato M., Capelli G.
506
INDICE DEGLI AUTORI
509
481
483
VECTOR BORNE PATHOGENS AND ECTOPARASITES IN SICILIAN FOXES
Torina A., Blanda V., Scimeca S., La Russa F., Randazzo K., Blanda M., Randazzo V., Caracappa S.
485
LINFOADENITE DA RHODOCOCCUS SPP.: ASPETTI ISTOPATOLOGICI E MESSA
A PUNTO DI UNA METODICA IMMMUNOISTOCHIMICA PER LA DIAGNOSI
DIFFERENZIALE CON TUBERCOLOSI
Varello K., Meistro S., Mascarino D., Zoppi S., Richelmi G., Perosino M., Pezzolato M.,
Dondo A., Bozzetta E.
488
VALUTAZIONE DELL’APOPTOSI DEL TIMO QUALE BIOMARCATORE INDIRETTO DI
TRATTAMENTO ILLECITO CON CORTICOSTEROIDI NEI BOVINI DA CARNE
Vascellari M., Marchioro W., Zanardello C., Gagliazzo L., Mutinelli F.
490
RISULTATI DI UNA INDAGINE SIEROLOGICA SULLA NEOSPOROSI IN ASINI DEL SUD
ITALIA
Veneziano V., Mariani U., Fusco G., Di Prisco F., D’Alessio N., Guarino A., Santoro M.,
Piantedosi D., Sedlak K., Machacova T., Bartova E.
492
24
ANALISI PRELIMINARI PER LA TRACCIABILITA’ GENETICA E LA CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI VOLPI SICILIANE
Vitale F., Cosenza M., Reale S., Lupo T., Marineo S., Blanda V., Caracappa S.
25
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Letture plenarie,
comunicazioni orali
26
27
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
INQUINANTI INORGANICI E ORGANICI NEL
MOLOSSO DI CESTONI (TADARIDA TENIOTIS)
1
1
Cannavacciuolo A., 1 Accurso D., 3 Tomassini A., 2 Isani G., 1 Cappi F., 1 Vitellino M., 1 Menotta S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Chimico degli Alimenti, Bologna
2
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Bologna
3
Lega Italiana Protezione Uccelli – LIPU di Roma, Centro di Recupero Fauna Selvatica, Roma
Key words: Tadarida teniotis, environmental pollutants, PCDD/F, PCB-DL, PCB-NDL, PFAS
SUMMARY
European populations of bats are gradually declining due to
environmental pollution (4).
This was a preliminary study aimed at correlating the
depopulation and the presence of environmental pollutants in a
urban population of Tadarida teniotis. The tissues analyzed were
liver, kidney, bone and the whole carcass. The contaminants
determined were essential and non essential trace elements,
dioxins, PCB-DL and NDL and PFAS. The high concentrations
of Pb, dioxin and PCB suggest a correlation between acute
environmental exposure and the depopulation of the urban
colony of T. teniotis.
casualità per ciascuno dei tre anni. Sui tessuti campionati
sono state eseguite le determinazioni delle concentrazioni di
elementi chimici essenziali e non essenziali. Tra gli esemplari
prelevati nel 2011 ne sono stati scelti casualmente 60 (30
maschi e 30 femmine) successivamente suddivisi in 6 pool (3
pool di maschi e 3 pool di femmine). Su ciascun pool formato
da 10 carcasse in toto, opportunamente omogeneizzate e
Iiofilizzate, sono state effettuate le determinazioni quantitative
di elementi chimici essenziali e non essenziali, PCCD/F, PCBDL, PCB-NDL e PFAS.
Il metodo per la determinazione degli elementi essenziali e
non essenziali ha previsto l’utilizzo di uno spettrometro di
massa a plasma accoppiato induttivamente (ICP/MS). La
determinazione dei 17 congeneri 2,3,7,8 sostituiti di PCCD/F è
stata effettuata secondo il metodo EPA 1613/B (1994) mentre
la determinazione di 12 congeneri di PCB-DL e di 6 congeneri
di PCB-NDL è stata effettuata secondo il metodo EPA 1668/B
(2008). È stato utilizzato un gascromatografo interfacciato
ad uno spettrometro di massa ad alta risoluzione (HRCGHRMS). I campioni dei 6 pool preventivamente liofilizzati sono
stati inoltre sottoposti alla determinazione di alcune PFAS
mediante cromatografia liquida con rilevatore di massa a triplo
quadrupolo (LC-MS/MS).
INTRODUZIONE
I livelli di contaminanti ambientali nei tessuti della fauna selvatica
sono comunemente utilizzati nelle indagini eco-tossicologiche
degli ambienti rurali e urbani. Il pipistrello è considerato un
eccellente bio-indicatore perché vive a lungo, assume in una
notte di caccia tra il 40% e il 100% della propria massa corporea
(5) e spesso coabita con l’uomo in habitat urbani e agricoli
(1) esponendosi ai potenziali contaminanti (2) legati ai vari
ambienti. Questo studio si propone di esaminare alcune delle
probabili cause del depopolamento di una colonia di chirotteri
della specie Tadarida teniotis o Molosso di Cestoni in relazione
ai ritrovamenti fatti dal Centro Recupero Fauna Selvatica – LIPU
di Roma dal 2005 ad oggi di un numeroso gruppo di esemplari
giovani di questa specie caduti prima dell’involo (luglio-agosto).
Questi pipistrelli sono animali piuttosto stanziali ma il cui areale
di caccia può raggiungere la distanza di 50 chilometri. La vita
media è stimata attorno ai 20 anni. È una specie antropofila,
con una dieta costituita essenzialmente da lepidotteri e
ditteri. Nello studio sono state determinate le concentrazioni
dei principali contaminanti ambientali quali metalli pesanti,
Diossine (PCCD/F), Policlorobifenili (PCB-DL e PCB-NDL) e
sostanze Perfluoalchiliche (PFAS) nella carcassa e in alcuni
tessuti dei pipistrelli al fine di valutare l’eventuale correlazione
sia con le manifestazioni cliniche (alterazioni osteo-articolari)
sia con la possibile influenza ambientale della contaminazione.
RISULTATI E CONCLUSIONI
In Tabella 1 sono indicati i valori degli elementi che hanno
presentato concentrazioni quantificabili (superiori al LOQ del
metodo); tra questi, le concentrazioni di Pb, Al, Sr e sono state
valutate elevate e quindi considerate potenzialmente a rischio.
Tabella 1 – Concentrazioni di alcuni elementi chimici nei
singoli tessuti e nei pool degli esemplari durante il triennio
(2010-2011-2012). I valori sono espressi in mg/kg; NR: valore
inferiore al LOQ del metodo (0,005 mg/kg).
Al
MATERIALI E METODI
La colonia esaminata in questo studio è a tutt’oggi localizzata
all’interno di un area urbana densamente popolata, costituita
da condomini di 6 o più piani; i nidi si trovano all’interno di
un‘intercapedine tra due palazzi. Dal 2005 ad oggi lo stato della
colonia è monitorato dalla LIPU.
Gli esemplari esaminati in questo studio sono stati ritrovati morti
nel triennio 2010-2012. In sede autoptica sono state condotte
valutazioni anatomo-patologiche su 222 esemplari del 2010,
189 esemplari del 2011 e 213 esemplari del 2012. Gli animali
erano tutti lattanti, di peso medio di 19 g. Successivamente
sono stati campionati il fegato, il rene e porzioni di osso di 10
esemplari (5 maschi e 5 femmine) scelti con il criterio della
28
As
ANNO
2010
0,49 0,01
2011
0,06 0,02
2012
0,26 0,01
2010
0,04
NR
2011
NR
0,01
2012
1,62 0,01
2010
6,76 0,02
2011
6,57 0,03
2012
5,72 0,02
2011 64,26 0,06
2011
72,8 0,057
29
Cr
Pb
Ni
Cu
Sr
FEGATO (n=30)
0,02 62,02 0,05 20,7 0,28
0,13 58,61 0,09 19,1 0,53
0,07 76,57 0,06 25,3 0,65
RENE (n=30)
0,02 4,04 0,1 5,52 0,17
0,5 5,69 0,2 5,75 0,28
0,35 7,30 0,14 7,52 0,29
OSSA (n=30)
0,64 144,5 0,84 1,32 70,88
0,5 192,6 0,87 1,04 70,5
0,52 168,2 0,75 0,89 63,55
POOL MASCHI (n=3)
0,39 37,47 0,29 4,18 10,82
POOL FEMMINE (n=3)
0,34 39,09 0,3 4,23 11,08
Zn
Mn
44,6 2,21
39 1,97
47,1 1,75
31,2 0,68
28 0,77
32 0,69
47 0,47
50,5 0,48
50 0,51
33,4 1,57
30,5
1,6
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 2: confronto dei profili normalizzati per PCDD/F dei 6
pool in base alla loro cloro-sostituzione.
Tra gli elementi studiati, Mg, Zn, Cu, Mn, Mo, Se e V
svolgono funzioni sicuramente essenziali e le concentrazioni
determinate nei campioni presi in esame riflettono le
concentrazioni fisiologiche tessuto specifiche con la
prevalenza di metalli nel tessuto osseo ad eccezione di Cu, Zn
e Mn che presentavano concentrazioni superiori nel fegato.
In Tabella 1 è inoltre inserito il valore medio riscontrato nei
pool degli animali per confrontare le concentrazioni presenti
nel singolo tessuto con quelle ritrovate nell’intera carcassa
dei pipistrelli.
Soltanto pochi studi hanno valutato la presenza di Pb nei
pipistrelli (3). Le concentrazioni di Pb riscontrate nei pool
ottenuti dall’intera carcassa in questo studio (min 31,86; max
49,95 mg/kg/peso fresco) sono simili alle concentrazioni
riscontrate per l’intera carcassa da Clark (1979) nel grande
pipistrello marrone (Myotis lucifugus) (min 31,49; max 46,56
mg/kg peso fresco) e nel piccolo pipistrello marrone (16,97
mg/kg di peso fresco) raccolti in aree contaminate da piombo
nel Maryland.
Riguardo ai PCDD/F i risultati ottenuti dall’indagine
evidenziano che la contaminazione espressa come media
tra i 6 pool analizzati è elevata, con un livello massimo di
358 pg/g di grasso corrispondenti a 32 pg TEQ/g di grasso.
La differenza di contaminazione da PCDD/F tra i 6 pool
appare sostanzialmente ampia con una concentrazione
minima di 171 e una massima di 358 pg/g di grasso. Il
pool 3 di femmine differisce dagli altri presentando una
concentrazione più elevata della somma di PCDD/F e PCBDL (827331 pg/g di grasso corrispondenti a 120586 pg/g di
grasso espressi come TEQ). Tale differenza è dovuta alla più
elevata contaminazione da PCB-DL nel pool 3 di femmine
rispetto agli altri pool (233 pg/g espressi come TEQ sulla
frazione grassa). Per i 6 congeneri di PCB-NDL determinati,
i livelli di contaminazione riflettono quelli dei PCB-DL, con il
valore più alto per il pool 3 di femmine (255 ng/g sul TQ).
Nelle Figure 1 e 2 sono riportati per un confronto i profili
dei 6 pool in cui si evidenzia come il pool 6 femmine sia
sostanzialmente diverso dagli altri. Nella Figura 2 si osserva
una diversa impronta di PCDD/F, in particolare si rileva una
prevalenza degli esa-sostituiti (valore normalizzato 66%). Nel
grafico 3 si osserva una diversa impronta di PCB-DL tra il
pool 3 femmine e gli altri 5 pool. In questo studio si registra
un apporto determinante di PCB (DL e NDL) nei confronti
delle diossine. La contaminazione da PCDD/F e da PCB-DL
e PCB-NDL nei pipistrelli analizzati è da ritenersi importante
anche se in bibliografia non sono riportati dati sulle diossine
propriamente dette e quelli sui PCB sono datati e non si
tiene conto dei rispettivi fattori di tossicità. I dati ottenuti sono
sovrapponibili per 5 dei 6 gruppi esaminati e quindi correlabili
ad un’unica fonte di contaminazione.
Profili di contaminazione da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA)
nelle mozzarelle di bufala affumicate mediante differenti
tecniche di lavorazione
Marigliano L.1, Citro A.2, Marotta M.P.2, Seccia G.1, Serpe F.P.1, De Nicola C.2 , Esposito M.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, via Salute, 2 - 80055 Portici
2
ASL Salerno ambito Nord, via G. Falcone, 4 - 84014 Nocera Inferiore
Keywords: PAH, mozzarella, smoked
Figura 3: confronto dei profili normalizzati per PCB-DL dei 6 pool
Riguardo alle concentrazioni di PFAS riscontrate nei pool, i
valori più elevati sono relativi all’acido perfluorooctansolfonico
(C8PFOS) (min 1,4 – max 25,5 µg/Kg) inferiori a quelle riportate
in chirotteri del genere Myotis lucifugus a New York (6) mentre
le concentrazioni degli altri composti risultano non elevate o
inferiori al limite di quantificazione.
Tabella 2 – Concentrazioni di PFAS nei 6 pool degli esemplari
di Tadarida teniotis. I valori sono espressi in µg/Kg peso
fresco; NR: valore inferiore al LOQ del metodo (1 µg/Kg ).
MASCHI
Figura 1: confronto dei profili normalizzati per PCDD/F tra i 6
pool analizzati.
FEMMINE
PFOS/PFOA
1
2
3
1
2
3
C4PFBS
NR
NR
NR
NR
NR
NR
C6PFHXA
NR
NR
NR
NR
NR
NR
C7PFHPA
NR
NR
NR
NR
NR
NR
C6PFHXS
NR
NR
4,9
NR
NR
NR
NR
C8PFOA
NR
1,1
NR
1,1
1,3
C9PFNOA
NR
4,1
1
1,4
1,4
2,1
C8PFOS
10
10
25,5
8,7
1,4
9,5
C10PFDCA
NR
NR
1,9
NR
1,4
NR
C11PFUNA
NR
NR
NR
NR
NR
NR
C12PFDOA
NR
NR
NR
NR
NR
NR
SOMMA PFOS/PFOA
10
15,2
34,3
11,2
5,5
11,6
Investigare la possibile fonte di contaminazione con i dati a
disposizione non è possibile; questa andrebbe ricercata sia
nell’ambiente di predazione che in quello in cui vive la colonia.
Prima di trarre conclusioni definitive, ulteriori studi sono
necessari per analizzare le concentrazioni di questi inquinanti
in altre popolazioni di pipistrelli provenienti da aree meno
antropizzate, in modo da produrre dati utilmente applicabili sia
alla salvaguardia della fauna selvatica che alla protezione della
salute umana.
30
SUMMARY
The smoked mozzarella is produced using different
processes which, if not done properly properly, can result
in the contamination with Polycyclic Aromatic Hydrocarbons
(PAHs) formed during incomplete combustion of wood or
organic materials. PAHs are classified as carcinogenic,
therefore the EU Commission has set maximum levels for
PAHs in various food products, except for dairy products. We
evaluated the PAH levels in mozzarella smoked according
to various techniques and different materials (wheat straw,
shavings of fir, alder bark, liquid smoke, smooth and
corrugated cardboard). Determination of PAHs was carried
out by an HPLC-FLD method validated according the EU
Reg.836/2011. The results show profiles of PAH characteristic
of the various smoking techniques. Low contamination was
detected in products smoked with alder wood or wheat straw,
while the use of corrugate cardboard determine very high
values ​​of IPA, such as to constitute a risk to the health of
consumers.
La normativa sui livelli massimi di IPA nei prodotti alimentari
non contempla però tra le matrici, i derivati del latte come
i formaggi sebbene alcune tecniche di lavorazione quali
l’affumicatura, possano determinare un accumulo di IPA (3).
Inoltre, il rischio di contaminazione è più elevato nel
caso siano utilizzate tecniche e materiali diversi da quelli
consentiti.
Infatti i materiali autorizzati per l’affumicatura vanno dalla
paglia di grano alla corteccia secca di pioppo, dai trucioli di
legno alla corteccia di ontano, i quali sono posti in contenitori
all’uopo approntati oppure nei più moderni affumicatoi
dotati di una specifica “camera di combustione” in cui è
possibile regolare le temperature e il tempo di esposizione.
Purtroppo è diffuso anche l’uso illecito di altri materiali per
la combustione, in particolare cartoni di vario genere o
addirittura legni verniciati.
In questo lavoro sono state messe a confronto varie tecniche
di affumicatura e diversi materiali (paglia, legno, cartoni),
andando a determinare i profili di contaminazione da IPA,
i quattro normati più altri due, nella parte esterna e quella
interna oltre che nel prodotto intero delle mozzarelle di
bufala.
INTRODUZIONE
L’affumicatura è una delle più antiche tecniche di
conservazione degli alimenti che ha inoltre un favorevole
effetto sulle proprietà sensoriali, in particolare il gusto, il
colore, la consistenza.
Tra i prodotti alimentari affumicati, i formaggi occupano un
posto di rilievo e anche per la mozzarella di bufala è richiesta
la versione affumicata. Il D.P.C.M. 10/05/1993 stabilisce che
la mozzarella di bufala campana affumicata debba essere
prodotta secondo metodi naturali e tecnologie tradizionali.
La tecnologia tradizionale consiste in una incompleta
combustione di paglia o trucioli di legno posti in affumicatoi,
oppure per immersione del prodotto nel cosiddetto fumo
liquido, una soluzione estratto da fumo.
Un effetto indesiderato dell’affumicatura, soprattutto se
realizzata senza seguire correttamente le tecniche, è la
contaminazione da idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che si
formano dalla combustione incompleta di materiale organico
(1, 2). Gli IPA sono composti caratterizzati da due o più anelli
aromatici fusi, riconosciuti come agenti cancerogeni poiché
nel fegato sono metabolizzati a diidro-dioli e quindi nei loro
epossi-derivati che possono legarsi al DNA provocando
processi di mutagenesi. Il benzo[a]pirene (BaP) fin dal 2002
è stato indicato dalle normative comunitarie quale marcatore
della presenza di IPA cancerogeni nei prodotti alimentari,
stabilendone limiti massimi in alcuni prodotti. Tuttavia, dal
report dall’EFSA sui dati di monitoraggio, è emerso che non
è più possibile utilizzare il solo BaP come unico marcatore
per il gruppo di IPA, per cui con il Regolamento UE
835/2011, oltre ai tenori massimi per il BaP, sono stati fissati
tenori massimi anche per la somma di quattro IPA, benzo[a]
pirene, benzo[a]antracene, benzo[b]fluorantene e crisene.
MATERIALI E METODI
Campioni
Lo studio è stato effettuato su campioni di mozzarella prodotta
in uno stesso caseificio e sottoposta successivamente al
trattamento di affumicatura in altri tre stabilimenti mediante
differenti tecniche.
L’affumicatura mediante paglia di grano, trucioli di abete e
corteccia di ontano è stata effettuata in affumicatoi costituiti
da un bidone in cui le mozzarelle, allacciate con una corda,
sono appese a due a due ad un bastone poggiato sul bordo
del bidone. Il materiale giacente sul fondo viene acceso e la
bocca superiore viene chiusa con un sacco bagnato.
La pratica illecita di affumicatura è stata riprodotta con la
metodologia classica utilizzando cartoni lisci e cartoni
ondulati posti al fondo di un bidone.
Infine l’affumicatura con fumo liquido è stata realizzata
immergendo le mozzarelle in una soluzione acquosa al
50% di fumo liquido commerciale, contenuta in una vasca
di acciaio inox per alcuni minuti, dopodiché esse sono stata
asciugate a temperatura ambiente.
Subito dopo la produzione tutte le mozzarelle affumicate
sono state inviate ai laboratori dell’IZS Mezzogiorno per la
determinazione dei livelli di IPA. Contestualmente è stato
prelevato un campione di mozzarella non trattato.
Metodi di analisi
Per la determinazione degli IPA è stato sviluppato un
metodo di analisi in HPLC con rivelazione in fluorescenza,
successivamente validato secondo i criteri di performance
31
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
stabiliti dal Regolamento CE 836/2011
Reagenti e materiali di riferimento
I solventi cicloesano, etanolo 98% e acetonitrile (HPLC
grade) e i reattivi potassio idrossido e sodio solfato anidro
sono stati forniti dalla Carlo Erba (Milan, Italy) mentre
l’acqua ultrapura è stata prodotta in laboratorio mediante un
sistema Milli-Q (Millipore Corp., Bedford, MA). La cartucce
Sep-Pak (500 mg/3 ml) Vac Silica sono state fornite dalla
Waters (Milford, MA).
Le soluzioni dei materiali di riferimento benzo[a]anthracene
(BaA), chrysene (Chr), benzo[b]fluoranthene (BbF), benzo[k]
fluoranthene (BkF), benzo[a]pyrene (BaP), dibenzo[a,h]
anthracene (dBahA) a 10 µg/ml sono state ottenute dalla ditta
Dr. Ehrenstorfer (Ausburg, Germany). Da queste soluzioni
madre, per diluizione con acetonitrile, è stata preparata
un’unica soluzione di lavoro a 10 µg/ml.
Procedimento
Dopo omogeneizzazione, 2 g di prodotto sono sottoposti
a saponificazione con 10 mL di KOH 2N in etanolo, in
bagnomaria a 80°C per 2h. Dopo raffreddamento sono
aggiunti 10 ml di acqua ultrapura e quindi si procede
all’estrazione con l’aggiunta di 20 ml di cicloesano e
successivo passaggio in centrifuga a 3000 rcf per 5 minuti
a 4°C. L’estrazione è ripetuta altre due volte con 20 mL di
cicloesano. Le fasi organiche sono riunite e la soluzione è
filtrata su filtro di carta contenente solfato di sodio anidro e
poi ridotta a piccolo volume (0,2 mL ca) mediante evaporatore
rotante a 40°C. Il residuo è dissolto in 3 mL ACN e applicato
su Sep-Pak cartuccia pre-attivata con 3 mL ACN ed eluita
con 3 mL ACN. L’eluato è portato a secco sotto flusso di
azoto e ridissolto in 1 mL di ACN.
Per l’analisi strumentale in HPLC (Waters) 50 µL di soluzione
del campione sono iniettati in una colonna Envirosep PP
125´3.2 mm´5 µm (Phenomenex), munita di precolonna C18
e termostatata a T=25°± 2°C, con un programma di eluizione
in gradiente con fase mobile costituita da Acqua e ACN. La
rivelazione è eseguita in fluorescenza alle lunghezze d’onda
λecc=294nm e λem=404nm.
La determinazione quantitativa è effettuata mediante
standardizzazione esterna, allestendo per ciascuna sessione
le rette di taratura con soluzioni di materiali di riferimento
degli IPA a varie concentrazioni.
Validazione
Il metodo sviluppato è stato ottimizzato e validato secondo i
criteri di prestazione previsti dal Regolamento CE 836/2011
per l’analisi degli IPA.
Il limite di quantificazione (LOQ) è stato calcolato per ciascun
IPA utilizzando un campione bianco fortificato al livello di
0.5 µg/kg con una soluzione dei sei IPA. La precisione del
metodo è stata valutata attraverso il calcolo del coefficiente
di Horrat per ciascun IPA alla concentrazione di 5.0 µg/kg, in
condizioni di ripetibilità (r) e riproducibilità (R). La precisione
è stata valutata inoltre mediante l’analisi di bianchi campione
fortificati a concentrazioni di 0.5, 2.0 e 5.0 µg/kg in almeno
cinque replicati per ottenere la ripetibilità e altri replicati
analizzati da un diverso operatore con diversi lotti di solventi
e reattivi, in un giorno diverso, per ottenere la riproducibilità.
Per l’accuratezza è stato quindi calcolato il recupero medio
percentuale per tutti i singoli IPA e confrontato con l’intervallo
di accettabilità previsto dal Reg. 836/2011 (50-120%):
in tutti i casi i recuperi ottenuti rientrano nell’intervallo di
accettabilità.
La specificità è stata valutata verificando l’assenza di
interferenti nel cromatogramma ai valori di Rt di ciascun IPA.
La linearità del metodo è stata verificata nell’intervallo
0.001 -0.020 ppb corrispondenti a concentrazioni su matrice
comprese tra 0.5 e 10 µg/kg. Il valore del r2 è risultato
superiore a 0.99 per tutti e sei gli IPA.
La specificità è stata valutata su venti campioni di derivati
del latte (mozzarella, scamorza, formaggi a pasta dura)
verificando nei cromatogrammi l’assenza di picchi interferenti
nell’intorno (± 2.5%) del Rt dei singoli IPA.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 3. Livelli di IPA nella parte esterna delle mozzarelle
affumicate con cartoni ondulati
BIBLIOGRAFIA
1) Suchanovà M., Hajs lovà J. , Tomaniovà M., Kocourek V.,
Babicka L. (2008) Polycyclic aromatic hydrocarbons in smoked
cheese J Sci Food Agric
2) Ozcan T., Akpinar-Bayizit A., Irmak Sahin O., Yilmaz-Ersan
L. (2011) The formation of polycyclic hydrocarbons during
smoking process of cheese. Mljekarstvo 61 (3), 193-198
RISULTATI E CONCLUSIONI
Dalle analisi effettuate sui campioni di mozzarella è stato
possibile ricavare dei profili di contaminazione da IPA
caratteristici delle diverse tecniche di affumicatura a
eccezione dell’impiego di aromatizzanti di fumo, poiché in
nessuna delle tre parti di mozzarella affumicata (interno,
esterno, tal quale) prodotta per immersione nel fumo liquido,
è stata rilevata la presenza di IPA.
Nelle mozzarelle affumicate con paglia di grano la
contaminazione da IPA mostra dei livelli molto bassi seppure
nella parte esterna siano rivelabili valori apprezzabili di BaP
e BaA (Figura 1). Più elevati invece i livelli di IPA riscontrati
nelle mozzarelle affumicate con legno di ontano, in cui il Bap
mostra un valore medio di 2.9 µg/kg nel prodotto intero ma
ben più alto nella parte esterna (Figura 2) con un profilo in
cui prevalgono BaA e BaP.
Per quanto riguarda infine l’impiego di combustibili illegali
quali i cartoni, i profili risultano diversi a seconda che si
utilizzino cartoni lisci o cartoni ondulati. Nel primo caso infatti
i valori sono sovrapponibili a quelli ottenuti nell’affumicatura
con legno di ontano, mentre nel secondo caso, i valori di BaP
e della somma dei quattro IPA indicatori sono molto alti, e
anche in assenza di limiti massimi di legge, sicuramente tali
da costituire un danno per la salute dei consumatori.
3) Cirillo T., Milano N., Amodio Cocchieri R. 2010 Polycyclic
aromatic hydrocarbons (PAHs) in traditional smoked dairy
products from Campania (Italy) Italian Journal of Public Health
51-53
Figura 1. Livelli di IPA nella parte esterna delle mozzarelle
affumicate con paglia
Figura 2. Livelli di IPA nella parte esterna delle mozzarelle
affumicate con legno di ontano
32
33
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STUDIO DI UN NUOVO METODO T-NOS PER LO SCREENING DI OGM E UGM
IN FAST PCR REAL-TIME
Pierboni E., Curcio L., Tovo G. R., Rondini C.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
Key words: Fast PCR Real-time, T-NOS, screening
SUMMARY
The development and diffusion of genetically modified plants
and their increasing diversification of characteristics, need the
strategies to detect the absence or presence of GMO and UGM
(unauthorised GMOs). The recommended approach to apply
detection is referred to as the “Matrix Approach” generally know
as screening, efficient and cost-effective analysis multitarget.
In this paper a new Fast Real-time PCR method for detection
of NOS terminator (T-NOS) is described. The primers and
probes sequences, already published and traditionally used,
now were combined with a new method to develop an original
system T-NOS. This work describes also, the optimisation
and validation of the best method based on detection of NOS
terminator in Fast Real-time PCR.
(Qiagen); dalla farina di patata è stato estratto con il DNeasy
Mericon Food kit (Qiagen).
Il DNA estratto è stato quantificato fotometricamente e l’assenza
d’inibitori di PCR è stata valutata tramite “Fast Monitor Run”,
una PCR taxon-specifica eseguita sul DNA tal quale e sul
diluito 1:4.
Fast PCR Real-time
Tutte le prove, tranne quelle per verificare la robustezza del
metodo, sono state eseguite su piattaforma 7900HT Fast Realtime PCR Systems, con il seguente profilo termico: 95°C 30’’
[95°C 5’’, 60°C 30’’] x 50 cicli. La reazione avviene in un volume
finale di 20 µl e la TaqMan® Fast Universal PCR Master Mix è
utilizzata alla concentrazione finale 1X.
INTRODUZIONE
Lo stato dell’arte dei metodi analitici utilizzabili per il controllo
degli OGM non include soluzioni definitive; il continuo aumento
di OGM autorizzati e l’emergenza UGM (unauthorised GMOs)
nel mercato europeo, stanno nel tempo condizionando le
tecniche e gli obiettivi dei laboratori preposti al controllo ufficiale.
Una strategia alternativa e raccomandata per la rilevazione
degli OGM autorizzati e non, è il cosiddetto “Approccio Matrice”
(4), uno screening combinato in PCR Real-time di numerosi
elementi genetici più comuni, presenti nei costrutti OGM (1).
Per diversi anni l’analisi di screening ha visto protagonisti il
Promotore 35S (P35S) del virus del Mosaico del Cavolfiore e/o
il Terminatore NOS (T-NOS) del gene della nopalina sintasi di
Agrobacterium tumefaciens. Per l’ottimizzazione del flusso di
lavoro, dei tempi e dei costi, da anni presso il nostro laboratorio
si applicano metodiche analitiche qualitative e quantitative
in PCR Real-time modalità “Fast”, validate e accreditate. In
questo lavoro riportiamo lo studio di un metodo per rilevare
il terminatore NOS più efficiente e sensibile, messo a punto
in Fast PCR Real-time, per il quale è stato individuato un
nuovo sistema di primers e sonda, testato in parallelo con altri
metodi utilizzati per la rilevazione di T-NOS (3, 7). In base alla
posizione delle sequenze dei primers e delle sonde, i sistemi
sono stati considerati nelle singole componenti, combinati tra
loro e testati in Fast PCR Real-time. Il metodo risultato migliore
è stato ottimizzato e validato.
Primers e sonde
Per la rilevazione del target T-NOS sono state utilizzate le
sequenze citate in tabella 1, nelle 15 combinazioni indicate in
tabella 2, con concentrazione 900 nM per i primers forward e
reverse e 250 nM per ciascuna sonda; ogni combinazione è
stata testata in quadruplice copia.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 1 Disposizione dei tre sistemi di rilevazione per il
terminatore NOS sulla sequenza V00087.1
medio e scarto tipo è il numero 2 come mostrato nella figura 2.
Dall’ottimizzazione di questo sistema le migliori concentrazioni
risultano 900 nM per i primers 5F e 7R e 200 nM per la sonda
P1. La sensibilità e la specificità sono state testate sui MRC
elencati e sono risultate del 100%, nonostante un segnale
falsamente positivo della soia GM MON89788, dimostratosi
frutto di una contaminazione da soia GM MON40-3-2 nel MRC.
La prova eseguita con gli stessi DNA su diversa piattaforma
strumentale ha fornito gli stessi segnali, ottenendo il pieno
consenso e dimostrando la robustezza del sistema selezionato.
Il limite di rilevazione della metodica per il terminatore T-NOS,
che si identifica nella combinazione numero 2, è di 10 copie
genomiche.
Il presente lavoro dimostra che il nuovo metodo di rilevazione
per il terminatore NOS (5F/7R e P1) è in grado di individuare
efficacemente e velocemente il bersaglio specifico, quindi
verrà integrato dal laboratorio in uno screening a 7 target in
Fast PCR Real-time. Grazie a questo nuovo sistema saremo in
grado di identificare, in breve tempo, ipotetici elementi genetici
che combinati tra loro potranno indicarci una tipizzazione molto
più selettiva, con conseguente riduzione delle successive
analisi per l’identificazione e maggiore probabilità di individuare
OGM non autorizzati, in tempi brevi e in modo efficace, con
una notevole diminuzione dei costi e ottimizzazione del flusso
di lavoro.
Figura 2. Risultati delle 15 combinazioni ottenute dai tre sistemi
di rilevazione per il terminatore NOS
Tabella 1. Sequenza dei primers e delle probe
Ottimizzazione di primers e sonda
Individuato il sistema migliore per la rilevazione di T-NOS,
l’ottimizzazione è stata eseguita testando 3 diverse
concentrazioni di primers (150 nM, 300 nM, 900nM) per
un totale di 9 combinazioni verificate in quadruplice copia.
L’ottimizzazione della sonda si è ottenuta testando in
quadruplice copia 5 diverse concentrazioni (100nM, 150nM,
200nM, 250nM, 300nM).
Validazione
La validazione del metodo di rilevazione per il T-NOS, di
tipo qualitativo, ha previsto (5, 2): a) la verifica del limite di
rilevazione (LOD), per cui sono state allestite 8 diluizioni a
numero di copie genomiche decrescenti (318, 159, 79, 40,
20, 10, 5, 2 c.g.) partendo da DNA di soia GM MON40-3-2 e
mais GM BT11 ad alta percentuale transgenica. Per ciascuna
diluizione sono stati saggiati 10 replicati e l’esperimento è stato
ripetuto due volte per un totale di 20 dati sperimentali; b) la
verifica della sensibilità e specificità, testando MRC contenenti
il DNA target e non; c) la verifica della robustezza, allestendo
la stessa prova eseguita per la sensibilità e la specificità su
piattaforma StepOnePlus Real-time PCR Systems.
MATERIALI E METODI
Materiali di riferimento certificati (MRC)
Farine di soia GM MON-40-3-2 (ERM), MON89788; DNA di soia
GM A2704-12 (AOCS). Farine di Bt11, MON810, Bt176, GA21,
MON863, DAS1507, NK603, MIR604, DAS59122 (ERM); DNA
di mais GM T25 (AOCS). Farina di patata EH92-527-1 (ERM).
DNA di riso GM LL62 (AOCS).
BIBLIOGRAFIA
1) A. Holst-Jensen (2009) “Testing for genetically modified
organisms (GMOs): Past, present and future perspectives”,
Biotecnology Advances, 27, 1071-1082.
2) European Network of GMO Laboratories (ENGL)
Version 13/10/2008 “Definition of Minimum Performance
Requirements for Analytical Methods of GMO Testing” http://
gmocrl.jrc.ec.europa.eu/doc/Min_Perf_Requirements_
Analytical_methods.pdf
3) Hugo R Permingeat, Martin I Reggiardo, Ruben H. Vallejos
(2002) “Detection and Quantification of Transgenes in Grains
by Multiplex and Real-Time PCR”, Journal of Agricultural and
Food Chemistry, 50, 4431-4436.
4) JRC Scientific and Technical Reports (2011) “Overview on
the detection, interpretation and reporting on the presence of
unauthorised geneticaly modified materials” EUR25008 EN
– 2011
5) JRC Scientific and technical Reports (2011) “Verification
of analytical methods for GMO testing when implementing
interlaboratory validated methods”, EUR 24790 EN (ISBN
978-92-79-19925-7).
6) P. Hübner, H.U.Waiblinger, K. Pietsch, P. (2001) “Validation
of PCR Methods for Quantitation of Genetically Modified
Plants in Food” Journal of AOAC International, 84, 18551864.
7) R. Reiting, H. Broll, H.-U. Waiblinger and L. Grohmann
(2007) “Collaborative Study of a T-nos Real-time PCR
Method for Screening of Genetically Modified Organisms
in Food Products”, Journal fur Verbraucherschutz und
Lebensmittelsicherheit, 2, 116-121.
8) http://www.ncbi.nlm.nih.gov
FAM=6-carboxylfluorescein, TAMRA=
6-carboxytetramethylrhodamine, MGB-NFQ= minor groove
binder-non fluorescent quencher
Tabella 2. Combinazioni di primers e sonde testate in Fast
PCR Real-time
RISULTATI E CONCLUSIONI
I primers 7F/7R e la sonda 7P sono stati disegnati tramite
Primers Express 3.0 sulla sequenza data dal numero di accesso
V00087.1 nel database GenBank (8). In base alla disposizione
in figura 1, sono stati testati 15 sistemi diversi (tabella 2)
con le stesse concentrazioni di primers e probe e la stessa
quantità di DNA target (18 copie genomiche) ottenute da BT11
allo 0.1% (6). Il sistema risultato migliore per il più basso Ct
Estrazione del DNA
Il DNA è stato estratto dalle farine di mais e soia GM con
metodica CTAB e purificazione mediante QIAamp DNA Mini Kit
34
35
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
NUOVI PUNTI DI VISTA NEL CAMPO DELL’ ISTOLOGIA APPLICATA ALLA RICERCA DI
TRATTAMENTI ILLECITI CON STEROIDI SESSUALI IN VITELLI DA CARNE
Richelmi G.B.1, Pezzolato M.1, D’Angelo A.2, Bellino C.2, Ruta F.3, Meistro S.1, Perazzini A.Z.1, Caramelli M.1, Bozzetta E.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino;
2
Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina Veterinaria;
3
Veterinario Libero Professionista, Torino.
Key words: Progesteron Receptor, anabolics, calves.
ABSTRACT
Under current EU legislation the use of anabolic steroids in food
producing livestock is banned. In a previous work we examined
the use of the immunohistochemical marker Progesteron Receptor (PR) in the field of detection of 17β- estradiol illicit treatments.
In this study 50 calves were divided into 4 groups: Group A treated
with nortestosterone; B treated with a mixture of nortestosterone
and 17β-estradiol, Group C 17β-estradiol and Group D used as
control. The target organs (prostate and bulbourethral glands)
were examined in depth for histological analysis and after immunohistochemical staining to assess the PR status following
diversified protocols of treatment with sexual steroids. The logistic regression results showed that marker for PR is a significant
predictor of treatment with 17β-estradiol, even in association with
nortestosterone. The histological findings can offer an efficient
tool to distinguish between different types of illicit treatments with
sexual steroids.
controllate, secondo quanto previsto dalla Direttiva 86/609/CEE,
dell’età di circa 30-50 giorni. Gli animali sono stati sottoposti quotidianamente, durante tutto il periodo della sperimentazione, al controllo dello stato di benessere da parte di personale veterinario.
E’ stato somministrato latte in polvere ricostituito mediante allattatrice automatica, insilato di mais è stato inserito gradualmente
nella dieta fino ad una dose pro capite giornaliera di circa 1 Kg al
raggiungimento dei 4 mesi dei vitelli.
Abbiamo separato in box diversi i vitelli in base al gruppo di trattamento:
Gruppo A: 20 vitelli trattati con nortestosterone decanoato, 50 mg
ml-1 una volta a settimana per 4 settimane consecutive;
Gruppo B: 20 vitelli trattati con un cocktail di nortestosterone decanoato, 50 mg ml-1 e 17β-estradiolo 5mg ml-1;
Gruppo C: 3 vitelli trattati con 17β-estradiolo, 5mg ml-1;
Gruppo D: 7 vitelli di controllo.
Dopo 15-18 giorni dall’ultimo trattamento effettuato abbiamo macellato i diversi gruppi di vitelli, campionando in sede di macellazione le ghiandole sessuali accessorie: prostata e ghiandole bulbo-uretrali. Abbiamo sottoposto le stesse a fissazione in formalina,
riduzione, processazione, inclusione in paraffina, sezionamento al
microtomo (3μm) e colorazione con Ematossilina-Eosina.
In ciascuna sezione due patologi hanno valutato i seguenti parametri a livello di tessuto ghiandolare: iperplasia, metaplasia,
ipersecrezione, cisti. Sono stati valutati inoltre iperplasia e metaplasia dei dotti delle ghiandole bulbo-uretrali. E’ stato assegnato
un grading (0-3), a ciascuno dei precedenti parametri: 0 assenza,
1 quadro lieve, 2 quadro moderato, 3 quadro grave. Per quanto
riguarda le cisti abbiamo invece valutato esclusivamente la presenza e l’assenza.
Le sezioni sono state inoltre sottoposte a colorazione immunoistochimica con anticorpo monoclonale diretto verso il recettore
progestinico (clone hPRa 2 Thermo Fisher Scientific, Fremont,
CA, USA). Le sezioni istologiche sono state sparaffinate mediante passaggi consecutivi in sostituto atossico dello xilolo, soluzioni
a concentrazione decrescente di etanolo e risciacquate infine in
acqua ultrapura. Lo smascheramento dell’antigene è avvenuta a
97°C ponendo le sezioni in tampone citrato pH6. Le perossidasi
endogene sono state inibite ponendo le sezioni per 30’ a temperatura ambiente in soluzione al 10% di perossido di idrogeno. Si
è proceduto quindi all’incubazione con anticorpo primario alla diluizione 1:50 in tampone fosfato salino per 60’. Il Kit En Vision System (Dako, Glostrup, Denmark) è stato impiegato come sistema
di rilevazione. In ciascuna sessione di colorazione immunoistochimica è stata prevista la presenza di un controllo negativo, per
il quale l’anticorpo primario è stato sostituito da tampone fosfato
salino ed un controllo positivo ottenuto da un precedente studio
(8). Dopo contro-colorazione con Ematossilina, le sezioni istologiche sono state quindi disidratate mediante passaggi consecutivi
in soluzioni a concentrazioni crescenti di etanolo e quindi sono
state poste in sostituto atossico dello xilolo e preparate per l’osservazione istologica. L’immunopositività, qualora presente, era
INTRODUZIONE
L’impiego di steroidi anabolizzanti in zootecnia è proibito in ambito
europeo in base alla normativa vigente (4, 5, 6). La possibilità di
identificare i casi di trattamento soggiace ai limiti delle metodiche
chimiche ufficiali attualmente applicate, che sono vincolate alla cinetica delle molecole eventualmente impiegate nei protocolli dei
trattamenti anabolizzanti (10).
Le applicazioni dell’istologia in ricerca e quindi nell’ambito del
Piano Nazionale Residui dal 2008 si sono dimostrate un efficace
strumento atto a rilevare trattamenti illeciti in bovini da carne (1).
In particolare l’identificazione di lesioni specifiche per classe di
trattamento e lo studio di marker selettivi rappresentano metodi
di screening biologici efficaci nel rilevare, anche dopo sospensioni
prolungate, bovini sottoposti a trattamenti illeciti con steroidi anabolizzanti (2, 7, 9).
Da studi effettuati precedentemente in animali trattati con estrogeno è stato possibile osservare che negli organi target dei trattamenti con steroidi sessuali (prostata e ghiandole bulbo-uretrali)
la metaplasia, in particolare a livello delle ghiandole bulbo-uretrali,
sia un rilievo pressoché costante (9). Abbiamo inoltre indagato
i meccanismi biomolecolari che esitano dopo trattamento con
17β-estradiolo, ovvero l’iperespressione dei recettori progestinici,
rilevabile mediante tecniche di immunoistochimica (3, 8).
Mediante il presente studio abbiamo voluto ampliare le nostre conoscenze in relazione ai quadri istologici di vitelli trattati con androgeni, estrogeni e “cocktail” di tali molecole.
Da indagini di campo appare infatti verosimile l’ipotesi che tali sostanze possano essere usate in associazione per mimare gli uni
l’effetto degli altri ottenendo comunque un incremento ponderale
associato ad una maggiore, rispetto alla norma, componente muscolare della carcassa.
MATERIALI E METODI
Abbiamo stabulato 50 vitelli maschi di razza Frisona in condizioni
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Fig.1: Le immagini si riferiscono a preparati istologici di ghiandole
bulbo-uretrali colorati rispettivamente con ematossilina ed
eosina e sottoposti a colorazione immunoistochimica per PR
rispettivamente in un animale trattato con nortestosterone (A-C) e
in uno trattato con un cocktail di 17β-estradiolo e nortestosterone
(B-D) Si può notare la positività immunoistochimica nel caso
trattato con cocktail di estrogeni ed androgeni (D)
contraddistinta da depositi marrone scuro nei nuclei delle cellule
epiteliali.I dati ottenuti sono stati inseriti in un database e sottoposti
ad analisi statistica. E’ stato utilizzato un modello di regressione
logistica univariata applicato ai dati individuali di ciascun gruppo
di trattamento per valutare la relazione tra i singoli trattamenti e la
presenza di lesioni istologiche in ciascun organo e l’iperespressione del recettore progestinico.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Tabella 1: Frequenza delle lesioni nei diversi gruppi sperimentali.
L’analisi di regressione logistica ha permesso di individuare quali
trattamenti fossero significativamente associati alla presenza di
lesioni negli organi target.
Per quanto riguarda la prostata si può osservare che sia la
metaplasia che l’ipersecrezione siano lesioni più rappresentate
nei gruppi dei trattati rispetto ai controlli, cosa che non si può
invece affermare per le cisti, i cui dati di frequenza non sono infatti
riportati in tabella. Nelle ghiandole bulbo-uretrali la metaplasia è
significativamente associata ai trattamenti con steroidi sessuali, in
particolare nei dotti; l’ipersecrezione non sembra per questi organi
un parametro rilevante, così come la presenza di cisti. Guardando
i risultati in maniera sintetica si può evidenziare che il trattamento
con l’associazione di estrogeni ed androgeni sia quello che dia un
maggior numero di lesioni rispetto agli altri, ciò è probabilmente
dovuto all’effetto sommatorio delle due tipologie di molecole.
Abbiamo infatti precedentemente dimostrato che il 17β-estradiolo
causi come lesione specifica la metaplasia (9), in particolare
delle ghiandole bulbo-uretrali (Fig.1), mentre è risaputo che
gli androgeni possano causare ipersecrezione nelle ghiandole
sessuali accessorie (2).
Per quanto riguarda il gruppo dei trattati con solo estrogeno le
lesioni erano nel complesso ben rappresentate, ma, a causa
dell’esiguità dei soggetti che costituivano il gruppo, saranno
necessarie ulteriori analisi per differenziare ancora meglio il
pattern di trattamento con soli estrogeni da quello presente in caso
di associazione di androgeni ed estrogeni.
Dall’analisi statistica effettuata in riferimento al marker
immunoistochimico si può constatare che il trattamento illecito con
17β-estradiolo induce iperespressione del recettore progestinico
a livello prostatico in tutti gli animali trattati con tale molecola (Se
100%, I.C.95% 83.16-100; Sp 100%, I.C. 95% 59.04-100). Per
quanto riguarda le ghiandole bulbo-uretrali tale iperespressione si
evidenzia sia negli animali trattati con 17β-estradiolo, che in quelli
trattati con un cocktail di estrogeni e androgeni, ma in quest’ultimo
gruppo in un caso non si evidenziava positività a livello di ghiandole
bulbo uretrali (p<0.00). I dati di sensibilità e specificità in relazione
alle ghiandole bulbo uretrali sono quindi: Se 95%, I.C. 95% 75.1399.87; Sp 100% 59.04-100. In nessun controllo è stata evidenziata
l’iperespressione del recettore e poiché il marker è si è dimostrato
un predittore esatto di trattamento con 17β-estradiolo non è stata
evidenziata nessuna associazione statisticamente significativa tra
il trattamento con nortestosterone e l’iperespressione del recettore
progestinico (Fig.1).
BIBLIOGRAFIA
1. Bozzetta E, Pezzolato M, Maurella C, Varello K, Capra P, Meloni D, Bellino C, Borlatto L, Caramelli M. L’istologia come metodo
di screening per il rilievo di trattamento illecito con estrogeni nei
vitelli. 2010. 16:107-11.
2. Cannizzo FT, Zancanaro G, Spada F, Mulasso C, Biolatti B.
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the administration of boldenone and boldione as growth promoters
in veal calves. J Vet Med Sci. 69(11): 1109-16.
3. De Maria R, Divari S, Spada F, Oggero C, Mulasso C, Maniscalco L, Cannizzo FT, Bianchi M, Barbarino G, Brina N, Biolatti
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sex glands of veal calves. Vet Rec. 167:291-296.
4. Direttiva 96/22/CE del Consiglio, del 29 aprile 1996, concernente il divieto d’utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica,
tireostatica e delle sostanze ß-agoniste nelle produzioni animali e
che abroga le direttive 81/602/CEE, 88/146/CEE e 88/299/CEE.
5. Direttiva 96/23/CE del Consiglio, del 29 aprile 1996, concernente le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli
animali vivi e nei loro prodotti e che abroga le direttive 85/358/CEE
e 86/469/CEE e le decisioni 89/187/CEE e 91/664/CEE.
6. Direttiva 2008/97/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio,
del 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 96/22/CE del
Consiglio concernente il divieto d’utilizzazione di talune sostanze
ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze ß-agoniste nelle
produzioni animali.
7. Groot MJ, Ossenkoppele JS, Bakker R, Pfaffl MW, Meyer HH,
Nielen MW. 2007. Reference histology of veal calf genital and
endocrine tissues - an update for screening on hormonal growth
promoters. J Vet Med A Physiol Pathol Clin Med. 54(5):238-46.
8. Pezzolato M, Richelmi GB, Maurella C, Pitardi D, Varello K,
Caramelli M, Bozzetta E. 2013. Histopathology as a simple and
reliable method to detect 17β-oestradiol illegal treatment in male
calves. Food Addit Contam Part A Chem Anal Control Expo Risk
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9. Pezzolato M, Maurella C, Varello K, Meloni D, Bellino C, Borlatto L, Di Corcia D, Capra P, Caramelli M, Bozzetta E. 2011. High
sensitivity of a histological method in the detection of low-dosage
illicit treatment with 17β-estradiol in male calves. Food Control.
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3-benzoate and 17beta-nandrolone laureate ester metabolites in
calves’ urine. J Steroid Biochem Mol Biol. 110(1-2):30-8.
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
New viruses in veterinary medicine,
detected by metagenomic approaches
RIASSORTIMENTO ED EVOLUZIONE FILOGENETICA DEI VIRUS INFLUENZALI SUINI
H1N2: CONFRONTO TRA I CEPPI ITALIANI ED EUROPEI
Fredrik Granberg1, 3, Oskar Karlsson1, 3, 4, Anne-Lie Blomström1, 3, Mikael Berg1, 3, Sándor Belák1, 2, 3
Moreno A.1, Gabanelli E.2, Sozzi E.1, Lelli D.1, Chiapponi C.1, Ciccozzi M.3, Zehender G.2, Cordioli P.1
Department of Biomedical Sciences and Veterinary Public Health (BVF), Swedish University of Agricultural Sciences (SLU);
2
Department of Virology, Immunobiology and Parasitology (VIP), National Veterinary Institute (SVA),
3
World Organization for Animal Health (OIE) Collaborating Centre for the Biotechnology-based Diagnosis of Infectious Diseases
in Veterinary Medicine, Ulls väg 2B, SE-751 89, Uppsala, Sweden;
4
SLU Global Bioinformatics Center, Department of Animal Breeding and Genetics (HGEN), SLU, Uppsala, Sweden
1-Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia
2-Università di Milano, Ospedale Luigi Sacco, Azienda Ospedaliera Polo Universitario, Milano
3-Istituto Superiore di Sanità, Roma
1
Keywords: metagenomics; sequencing; unknown viruses, virus detection, diagnosis, unknown aetiology
ing even low-copy-number pathogens. However, the limit of
detection is still determined by the abundance of the pathogens in relation to the host background material. It is therefore
important to also consider sample preparation and enrichment
protocols as integrated and important steps in the overall detection scheme since they have been demonstrated to have
a dramatic effect on the outcome of HTS-based diagnostics.
Bioinformatics, the research field focusing on the study
of methods for retrieving, analysing and storing biological
data, is an integral part of all HTS applications. To improve
the handling of the massive amounts of sequence data that
are being produced, we are working closely with the SLU
Global Bioinformatics Centre. By establishing a bioinformatics
filtering, sorting and classification pipeline to streamline the
analysis process, we are able to handle the large amounts of
data and obtain valid results in short order.
The emergence of viruses and new viral diseases has increased in the last decades due to intensive globalisation,
climatic changes, among other factors. This has resulted in
a growing demand for powerful broad-range detection and
identification methods of the emerging viruses. In combination
with classical methods, the molecular-based techniques provide sensitive and rapid means of diagnosis. Virus isolation,
the most powerful conventional diagnostic test, is dependent
on the capacity of the targeted virus to grow in cell cultures,
something that is often problematic, requiring high level of expertise, and sometimes impossible. Other classical methods
and even most of the newer molecular diagnostic tests are
highly virus-specific or are targeted towards a limited group of
infectious agents. This makes it often difficult, or impossible,
to identify new or unexpected pathogens as well as new viral
variants by the conventional methods. Metagenomics provides
an effective way to screen samples and detect viruses without
previous knowledge of the infectious agent. It can therefore be
used a resource-intensive but powerful tool for better diagnosis and disease control within the fields of veterinary medicine
and public health in line with the “One World, One Health” principles.
Our group has established skills and facilities for highthroughput sequencing (HTS)-based metagenomic detection
of viruses, including “unknown viruses” with a high degree of
divergence from previously known agents. Because of our
collaboration with SciLifeLab at Uppsala University, we also
have continuous access to the latest HTS technologies. This
allows us to apply more effective and affordable metagenomic
sequencing to improve the capacity and likelihood of detect-
In collaboration with veterinary practitioners and partner
institutes in Sweden and around the world, in the global
network of the OIE (www.oie.int), we have collected samples
from a wide range of domestic and wild animals with various
clinical syndromes of unknown etiology. Among the samples
that we have investigated using HTS-based metagenomic
approaches, we have identified a broad variety of viruses
such as novel bocaviruses, Torque Teno viruses, astroviruses,
kobuviruses, new variants of honeybee and dolphin viruses, as
well as other infectious agents, both in domestic animals and in
the wildlife. We also have collaborated with institutes to provide
technology transfer as well as training for rapid preparedness
deployment of the metagenomic detection methodologies.
Key words: virus influenzali suini H1N2, analisi evolutiva, pressione selettiva
due multiplex RT-PCR per la determinazione della H e della N (2).
Sequenziamento e preparazione dei datasets
L’analisi filogenetica è stata eseguita attraverso il sequenziamento
completo dei geni HA e NA di 53 ceppi H1N2 (4). Le sequenze ottenute
sono state analizzate in BLAST e confrontate con quelle di ceppi di
riferimento ottenute in GenBank mediante allineamento con CLUSTAL
W e successivo aggiustamento manuale con BioEdit. Per l’analisi evolutiva sono stati preparati due dataset: 120 sequenze complete di H1;
161 sequenze di N2. Per lo studio della pressione selettiva questi due
dataset sono stati ulteriormente divisi in 5 sulla base dei gruppi evidenziati negli alberi filogenetici: 1- H1di origine aviare (avian-like), 2- H1 di
origine umana (human-like), 3- N2 dei ceppi H1N2 suini europei (EU
H1N2 SIVs), 4- N2 dei ceppi H3N2 umani 5- N2 dei ceppi H1N2 italiani
recenti.
Analisi filogenetica ed evolutiva
L’albero filogenetico è stato costruito con il programma MEGA 5 utilizzando il metodo neigbour-joining, modello kimura due parametri. Le
topologie evidenziate sono state confermate con i metodi maximun
likelihood e maximum parsimony. Il calcolo del tMRCA (time of the
most recent common ancestor) è stato stimato mediante analisi Bayesiana con il metodo delle catene di Monte Carlo con il modello evolutivo
GTR+G+г4 per la condizione di orologio molecolare rilassato. L’albero
(maximum clade credibility tree –MCCT) è stato generato con il massimo prodotto della posterior probability dopo un burnin del 10%.
Analisi molecolare e pressione selettiva
Sui geni HA e NA è stata eseguita l’analisi molecolare ed la stima del
tasso di sostituzione sinonimo e non sinonimo (dN/dS). Per ogni data
set il rapporto dN/dS è stato calcolato utilizzando il metodo Fixed Effects Likelihood (FEL) disponibile in Datamonkey (Hy-Phy package)
(5).
SUMMARY
We investigated the evolutionary dynamics of 53 Italian H1N2 strains
by comparing them with European H1N2SIVs. HA phylogeny revealed
Italian strains fell into four groups: A and B had a human H1 similar to
EU H1N2SIVs, which originated in mid 80’s but group B formed a subgroup that had a two aa deletion in HA. Group C contained an avian H1
that originated in mid 90’s and Group D had a H1 characteristic of the
2009 pandemic strain. Neuraminidase phylogeny suggested different
genomic reassortments. Group A had a N2 that originated from human
H3N2 in the late 70s. Group B had different human N2 closely related
to the more recent human H3N2 virus, which occurred around 2000.
Group C had an avian-like H1 combined with N2 of human or swine
origin. Group D was part of the EU H3N2SIVs clade. Although selection
pressure for HA and NA was low, several positively selected sites were
identified in both proteins, some of which were antigenic, suggesting
selection influenced the evolution of SIVs.
INTRODUZIONE
I virus influenzali suini, H1N1, H1N2 e H3N2, a differenza di quelli umani, presentano variazioni genetiche a secondo del continente di isolamento e si differenziano in due lineaggi: il lineaggio europeo (i ceppi
isolati in Europa ed Asia) e quello americano (ceppi isolati in America).
Il sottotipo H1N2 presente in Europa fu isolato per la prima volta in Gran
Bretagna nel 1994 e successivamente in Italia nel 1998.
Questo sottotipo deriva dal riassortimento genetico tra tre differenti
virus influenzali. Possiede, infatti, la emoagglutinina (HA) di un virus
H1N1 umano circolante nei primi anni ‘80, la neuraminidasi (NA) di un
virus H3N2 di origine umana ed i sei geni interni dei virus H1N1 e H3N2
europei di origine aviare (1). Lo scambio di geni virali tra diversi virus
influenzali attraverso fenomeni di riassortimento è considerato uno
dei meccanismi evolutivi in grado di generare nuovi ceppi virali potenzialmente pandemici. Studi evolutivi condotti recentemente sui ceppi
H1N2 europei (6) hanno confermato l’origine di questo sottotipo come
risultato di tre differenti eventi di riassortimento; tuttavia questo studio
teneva n considerazione solo ceppi isolati fino al 2001.
Il presente lavoro riguarda un’analisi filogenetica e uno studio dei fenomeni di riassortimento e di pressione selettiva condotto su 53 ceppi
H1N2 italiani attraverso il sequenziamento completo dei geni HA e NA
ed il confronto con ceppi influenzali suini (SIV), umani ed aviari (AIV)
presenti in banca dati. Lo scopo di questo studio è quello di approfondire le relazioni genetiche fra virus influenzali provenienti da diverse
specie animali, uomo compreso, per meglio comprendere l’importanza
della continua evoluzione e la comparsa di possibili fenomeni riassortanti. Inoltre si stabilisce un confronto tra la tendenza evolutiva dei ceppi
italiani ed europei.
RISULTATI
L’albero filogenetico del gene HA ha evidenziato la presenza di tre
clades significativi: 1- H1 human-like dei ceppi EU H1N2 SIVs; 2- H1
avian-like dei ceppi EU H1N1 SIVs; 3- H1 dei ceppi H1N1 pandemici
2009 (H1N1pdm). I ceppi italiani sono stati suddivisi in quattro gruppi
sulla base della filogenia HA: gruppo A con tre ceppi isolati nel 19982003 caratterizzati da un H1 human-like; gruppo B con 38 ceppi, uno
isolato in 1998 ed il resto più recentemente nel 2003-2011. Questi due
gruppi clusterizzano insieme ma il B forma un sottogruppo caratterizzato da una delezione di due amino-acidi nella HA in posizioni 146 e
147. Il gruppo C comprende 11 ceppi con un H1 avian-like altamente
correlata con EU H1N1SIVs. Il quarto gruppo D contiene 1 ceppo riassortante H1N2 derivante dai H1N1pdm.
L’analisi filogenetica del gene NA rileva la distribuzione dei ceppi italiani
in tre clades. I ceppi A ed il ceppo B del 1998 formano parte del clade
EU H1N2 SIVs. I restanti ceppi B si collocano nello stesso clade dei
ceppi H3N2 umani ed infine il gruppo C comprende ceppi localizzati nei
tre clades: 5 in quello dei ceppi H3N2 umani, 5 in EU H3N2 SIVs e 1
in EU H1N2 SIVs. L’analisi evolutiva ha evidenziato un maggior tasso
di variazione genica per il gene HA rispetto il gene NA, espresso come
sostituzioni per sito per anno (figura 1). Sulla base di questi risultati, i
valori di tMRCA stimati suggeriscono che i ceppi H1N1 europei suini,
MATERIALI E METODI
Campionamento ed isolamento virale
I ceppi oggetto dello studio sono stati isolati nel periodo compreso tra il
1998 ed il 2012 da tamponi nasali e polmoni di suini con sintomi clinici
e lesioni anatomopatologiche. Per l’isolamento virali sono stati utilizzati
uova embrionate di pollo e/o su linee cellulari MDCK e Caco-2. La determinazione del sottotipo virale è stata infine eseguita con l’utilizzo di
38
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contribuito alla evoluzione determinando mutazioni amminoacidiche
nei siti antigenici. Il monitoraggio continuo dei segmenti genici dei virus
influenzali per l’identificazione di fenomeni di riassortimento è uno degli
aspetti essenziali per una migliore comprensione dei processi di generazione di ceppi potenzialmente pandemici.
compresi i ceppi italiani del gruppo A, si sono probabilmente evoluti da
un antenato comune che aveva introdotto, tramite due eventi di riassortimento, il gene NA dai virus H3N2 umani alla fine degli anni 70 (evento
n.1) e successivamente il gene HA dai virus H1N1 umani a metà degli
anni 80 (evento n.2). Questo studio evidenzia inoltre altri tre nuovi fenomeni di riassortimento tra i ceppi suini ed umani riassunti nella figura
n.1; il quarto evento rilevato nei ceppi B, risulta particolarmente interessante in quanto si presenta solo nei ceppi italiani.
I valori del rapporto dN/dS, i siti sottoposti a pressione selettiva positiva
cosi come la loro localizzazione e la presenza di siti antigenici sono
riportati nella tabella 1.
BIBLIOGRAFIA
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DISCUSSIONE
Il sottotipo H1N2 è stato l’ultimo a stabilirsi nella popolazione suina europea ed in particolare in Italia dal 1998. Le analisi condotte in questo
studio hanno evidenziato una chiara distinzione tra i ceppi italiani del
gruppo A correlati con i ceppi H1N2 suini europei e quelli del gruppo
B con una combinazione H-N diversa. Questa è caratterizzata da una
doppia delezione amminoacidica nel receptor binding site della HA presente solo nei ceppi italiani e di una NA non correlata con quella dei
ceppi suini europei ma derivante dai virus H3N2 umani. Il gruppo C,
più eterogeneo, è formato da ceppi con una HA di derivazione aviare
correlata con i ceppi suini H1N1 europei combinata con tre differenti N2
(dei ceppi suini H1N2, dei ceppi suini H3N2 e dei ceppi umani H3N2).
Sulla base dell’analisi evolutiva si può ipotizzare che il genotipo H1N2
in Europa si sarebbe formato a partire da un ceppo precursore dotato di
una NA di derivazione umana che avrebbe introdotto in seguito una HA
sempre di derivazione umana attraverso due diversi eventi di riassortimento avvenuti in tempi diversi. Sembra quindi che i ceppi precursori
H1N2 abbiano circolato nel territorio europeo per alcuni anni prima della identificazione del primo isolato nel 1994 in Scozia. Altri tre fenomeni
di riassortimento si sono evidenziati nella evoluzione di questi virus.
In particolare si segnala la presenza dei ceppi B la cui NA probabilmente deriva da un riassortimento con i ceppi H3N2 umani avvenuto circa
nel 2000. Il gruppo C è più complesso e raggruppa ceppi probabilmente
originati sia per il gene HA (evento 3) che NA (evento 5) come risultato
di eventi di riassortimento tra ceppi suini di diversi sottotipi. Sono state
rilevate quindi due linee evolutive diverse per i ceppi italiani. I ceppi A
altamente correlati con i ceppi suini europei H1N2 ed una tipicamente
italiana per i ceppi B più recenti. La presenza di tali ceppi è segnalata
solo in Italia ma il numero di ceppi europei depositati in banca dati è
ancora limitato in particolare per quanto riguarda l’Est Europa. L’analisi
della pressione selettiva ha permesso di stimare tassi medi dN/dS non
elevati per tutti i dataset. Questi sono in linea con quanto evidenziato
da altri Autori (3) che ipotizzano per i virus influenzali suini una debole
pressione selettiva da parte del sistema immunitario dell’ospite. Tuttavia le analisi sito per sito hanno rilevato la presenza di diversi siti
nella HA e NA soggetti a pressione selettiva positiva, molti di questi
localizzati in domini importanti ed in siti antigenici. Questo evidenzia
che, sebbene la pressione selettiva media sia bassa, la selezione ha
Tabella n.1- Pressione selettiva e siti sotto pressione selettiva positiva per i geni HA e NA di ogni dataset.
1- Dominio HA: E – vestigial esterase; RBD – receptor binding site;
F – membrane fusion subdomain nella subunità HA2. Dominio NA:
PIR – Phylogenetically important regions (Fanning et al, 2000); NA
head .domain, antibody binding domain (Gulati et al., 2002)
2- Siti antigenici in HA: Ca, Sa, Sb (Caton et al,,1982). Siti antigenici
NA (Colman et al., 1983)
Gene
H1 avian-like
H1
human-like
N2 EU
sw H1N2
N2 Italiani
H1N2 recenti
N2 human
H3N2
N. di
N. aa
sequenze
61
65
84
42
240
539
555
Mean dN/dS
Siti sotto
pressione
selettiva
positiva
(95%CI)
FEL P=0.1
0.208
(019-0.22)
0.185
(0.17-0.20)
461
0.181
(0.15-0.22)
459
116
HA1 - E
137, 152
159
172
185
213
232, 239
HA1 -RBD
HA1 -RBD
HA1 -RBD
HA1 -RBD
HA1 -RBD
HA1 -RBD
392
HA2 - F
0.225
(0.21-0.24)
469
Dominio1
0.265
(0.24-0.29)
399
HA2 - F
102
HA1 - E
146
158
213
271
HA1 -RBD
HA1 -RBD
HA1 -RBD
HA1 -RBD
550
HA2 - F
358
PIR H’
Ca
Sa
Ca
Sb
Ca
Sb
381
455
0
43
PIR A’
NA head
domain
Antibody
binding
PRI F’
151
221
339
370
Figura 1 - Diagramma riassuntivo degli eventi di riassortimento avvenuti nei virus H1N2 suini europei
Sito antigenico2
Antigenic site
Antigenic site
RUOLO DELLA POLARIZZAZIONE DEI MACROFAGI DURANTE
L’INFEZIONE DA SMALL RUMINANT LENTIVIRUS
Bertolotti L.1, Crespo H.2, Juganaru M.1, Glaria I.2, de Andrés D.2, Amorena B.2, Reina R.2, Rosati S.1
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino, Italy.
Instituto de Agrobiotecnología, CSIC-Universidad Pública de Navarra, Mutilva Baja, Navarra, Spain.
1
2
Keywords: Macrophage polarization, small ruminants, SRLV.
Abstract
Small ruminant lentiviruses (SRLVs) infect the monocyte/
macrophage lineage inducing a long-lasting infection
affecting body condition, production and welfare of sheep
and goats. Macrophages play a pivotal role on host’s innate
and adaptative immune responses against parasites by
becoming differentially activated. Macrophage heterogeneity
can be classified into differentiated M1 or M2 macrophages.
We found that like in human and mouse systems, ovine and
caprine macrophages can be differentiated with particular
stimuli into M1/M2 subpopulations displaying specific markers.
In addition, small ruminant macrophages are plastic since M1
differentiated macrophages can express M2 markers when
the stimulus changes. SRLV replication was restricted in M1
macrophages and increased in M2 differentiated macrophages
respectively according to viral production. Identification of the
infection pathways in macrophage populations may provide
new targets for eliciting appropriate immune responses against
SRLV infection.
risposta verso le diverse infezioni: i ceppi comprendevano
ceppi MVV-like (genotipo A), CAEV-like (genotipo B) e i ceppi
Roccaverano e Seui (genotipo E). La stimilazione è stata
condotta utilizzando citochine di origine caprina, amplificando e
clonando nel vettore di espressione pN3 le sequenze codificanti
IFN-g, IL-4, IL-13 e IL-10. Cellule di E.coli TOP10 sono state
trasformate per estrarre e purificare i plasmidi utilizzati nella
trasfezione di HEK293-T. Il sovranatante è stato raccolto dopo
72 ore, chiarificato per centrifugazione e congelato a -80°C.
Ogni citochina è stata quantificata utilizzando ove possibile kit
commerciali. utilizzato per le fasi di stimolazione. In assenza di
kit commerciali disponibili, IL-10 e IL-13 sono state quantificate
mediante saggi di attività biologica, supponendo che l’efficienza
di trasfezione e di produzione fosse comparabile a IFN-g e
IL-4. Ogni citochina è stata aggiunta al terreno colturale dei
macrofagi dopo 3 giorni dalla semina (concentrazione finale
50ng/ml). Dopo 3-4 giorni, il sovranatante è stato allontanato e
cambiato con terreno fresco. Dopo 6 giorni dall’induzione dello
stimolo, i macrofagi sono (i) stati lisati per estrarre l’RNA, (ii)
infettati per valutare l’attività della retrotrascrittasi virale, o (iii)
usati per valutare i livelli di entrata dei diversi ceppi virali.
(i) L’RNA estratto dai macrofagi è stato testato in Real Time RTPCR per valutare l’espressione di diversi marker che potessero
caratterizzare la diversa polarizzazione. TNF-α, CD80 and
APOBEC3 Z1 (A3Z1) per il fenotipo M1 e Mannose Receptor
(MR), DC-SIGN e IL-10 per il fenotipo M2. L’espressione della
b-actina è stata misurata come gene housekeeping nel calcolo
dei valori di espressione (2-ΔCt, Fig. 1).
(ii) Dopo 6 giorni dallo stimolo, i macrofagi sono stati infettati con
6 diversi ceppi di SRLV (0.1 TCID50/cell). Dopo 2 ore, il terreno
è stato cambiato con terreno fresco: 7 giorni post infezione, il
sovranatante è stato raccolto per valutare la presenza di virus
mediante la quantificazione dell’attività RT virale (HS-Lenti RT
activity kit, Cavidi).
(iii) La permissività dei macrofagi diversamente stimolati è stata
valutata utilizzando pseudotipi virali ottenuti co-trasfettando
HEK293-T con pCAEV-AP (un plasmide contenente in gene
della fosfatasi alcalina) e con un secondo plasmide contenente
il gene dell’envelope di diversi ceppi di SRLV.
Inoltre, è stata valutata la polarizzazione causata direttamente
dall’infezione, infettando i macrofagi con 0.1 TCID50/cell di ogni
ceppo virale disponibile e valutando l’espressione dei diversi
marker di polarizzazione.
Tutti i risultati sono stati analizzati usando Kruskal Wallis test
per valutare la differenza tra i diversi stimuli o verso i controlli
non trattati. Nel caso di risultati statisticamente significativi, i
paragoni successivi sono stati condotti con 2-tailed Wilcoxon
rank-sum test.
Introduzione
I lentivirus dei piccoli ruminanti (SRLV) rappresentano un
eterogeneo gruppo di virus in grado di infettare capre e pecore
principalmente mediante la via lattogenica. A oggi non esistono
efficaci misure profilattiche o terapeutiche e il controllo è
basato prevalentemente sull’abbattimento degli animali infetti.
Il bersaglio dell’infezione è rappresentato dalla linea cellulare
monocita/macrofagica dove il provirus rimane integrato nel
genoma dell’ospite. Questo porta a una lenta e continua
replicazione virale e alla produzioni di citochine e chemochine
proinfiammatorie, conducendo a processi infiammatori e lesioni
tissutali (1). La permissività dei macrofagi a SRLV è modulata da
citochine. Infatti IFN-γ reduce la replicazione di SRLV rallentando
la maturazione del macrofago mentre aumentate concentrazioni
di IL-8, GM-CSF, IL-16, IL-1beta, IL-4 e IL-10 sono associate a
siropositività in vivo e a replicazione virale in vitro.
La diversa stimolazione di cellule appartenenti alla linea
monocita/macrofagica conduce all’attivazione di diverse
sottopopolazioni: ad esempio, le citochine tipiche dei linfociti
Th1 (IFNg, TNFa) portano alla polarizzazione verso M1, mentre
le citochine prodotte da Th2 (IL-4, IL-13) polarizzano I macrofagi
in M2 (2). Questo studio ha come scopo quello di valutare
come l’infezioni da SRLV può essere modulata in presenza
di diverse sottopopolazioni di macrofagi e come le infezioni
stesse modificano la composizione di queste sottopopolazioni.
Materiali e metodi
Per descrivere la polarizzazione della linea monocita/
macrofagica nella capra, sono state utilizzate (i) linee cellulari
fibroblastiche ottenute tramite biopsia, monociti di derivazione
sanguigna, HEK293-T e CHO. Sei differenti ceppi virali sono
stati usati, per valutare anche la possibile eterogeneità di
40
Risultati e Discussione
I macrofagi hanno risposto alle diverse stimolazioni
modificando il proprio fenotipo in M1 o M2. IFNg e LPS hanno
41
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
gene coinvolto nella risposta immunitaria innata.
Ugualmente interessante è la polarizzazione verso un
Risultati e Discussione
fenotipo intermedio M1-2 dei macrofagi stimolati con LPS
I macrofagi hanno risposto alle diverse stimolazioni
(2). I dati direlativi
all’ingresso
del virus nella
cellula
modificando
proprio fenotipo
in M1
o M2. CD80
IFNg ee LPS
una restrizione
post-trascrizione
all’infezione,
portato
a unailmaggiore
espressione
di TNFa,
A3Z1 responsabili
suggeriscono
che la di
riduzione
della dei
replicazione
virale
hanno portato
una maggiore
TNFa,
la possibilità
gemmazione
virioni: il fenotipo
(marker
per M1),amentre
i macrofagiespressione
stimolati condiIL-4
e IL- riducendo
avvenga
in una
successiva
all’entrata:
preliminari
CD80
e A3Z1
(marker permaggiore
M1), mentre
presenta
un fase
aumento
dell’espressione
di dati
APOBEC,
fatto
13
mostrano
un’espressione
di MRi emacrofagi
DC-SIGN M1
sullasuggerisce
quantificazione
DNA
provirale
integrato
mostrano
stimolatiin con
IL-4 Le
e analis
IL-13 sul
mostrano
un’espressione
il suo del
ruolo
nella
riduzione
dell’attività
RT nel
(p<0.05
tutti i test).
tropismo dei
fenotipi verso che
infatti come cellulare.
i macrofagi M1 mostrino una carica provirale
maggiore chiaramente
di MR e DC-SIGN
in tutti M2
i test).
Le
sovranatante
l’infezione
mostrano(p<0.05
che il fenotipo
favorisce
inferiore rispetto
ai ottenuti
macrofagi
M2.studio
Inoltre
TRIM5
e
analis
sul tropismo
dei i sovranatanti
fenotipi verso
l’infezione
i risultati
in questo
mostrano
come
la
replicazione
virale. Infatti
di macrofagi
M1 Concludendo,
APOBEC,
sono eresponsabili
di unadelle
restrizione
postchiaramente
mostrano
che il fenotipo inferiore
M2 favorisce
la
la
differenziazione
la caratterizzazione
sottopopolazioni
mostrano
un’attività
RT significativamente
(Wilcoxon
trascrizione in
all’infezione,
riducendoda la
possibilità
di
replicazione
virale.
Infattiindipendentemente
i sovranatanti di dal
macrofagi
M1
macrofagiche
seguito all’infezione
SRLV
condividono
Rank
Sum test
p <0.05),
ceppo virale
gemmazione
dei virioni:
il fenotipo
M1 presenta
un
mostrano perun’attività
significativamente
caratteristiche
con i pattern
di differenziazione
studiati
utilizzato
l’infezione.RT
In accordo
con i risultatiinferiore
ottenuti, simili
aumento indell’espressione
di daAPOBEC,
cheè
(Wilcoxonda
Rank
p <0.05),laindipendentemente
seguito all’infezione
HIV: questofatto
aspetto
l’infezione
SRLVSum
tendetest
a promuovere
polarizzazione verso nell’uomo,
suggerisce soprattutto
il suo ruoloper
nella
riduzione dell’attività
RT nel
ceppo M2
virale
accordo
con i
importante,
comprendere
come l’organismo
ildal
fenotipo
in utilizzato
macrofagiper
nonl’infezione.
stimolati. IlInmiglior
tropismo
sovranatante
risultati
ottenuti,
da SRLV
a promuovere
possa cellulare.
rispondere e interagire con SRLV e, di
dei
macrofagi
M2l’infezione
verso l’infezione
nontende
sembra
però essere ospite
Concludendo,valutare
i risultati
ottenuti
in questo
mostrano
la polarizzazione
verso il fenotipo
in macrofagi
non
conseguenza,
quali
possano
esserestudio
le caratteristiche
motivato
a livello recettoriale,
visto cheM2
i risultati
relativi ai saggi
come la migliori
differenziazione
e la all’infezione.
caratterizzazione delle
stimolati.
Il migliorchetropismo
dei differenze
macrofagi
M2 verso
per la resistenza
di
entrata mostrano
non vi sono
significative
tra genetiche
sottopopolazioni macrofagiche in seguito all’infezione da
non indipendentemente
sembra però essere
motivato
livello
il’infezione
diversi fenotipi,
dal ceppo
virale autilizzato.
SRLV condividono simili caratteristiche con i pattern di
recettoriale,
visto
che
i
risultati
relativi
ai
saggi
di
entrata
I nostri risultati confermano che i pattern di polarizzazione Bibliografia
differenziazione
studiati E,
nell’uomo,
seguito
all’infezioneI,
mostrano
che
non vi sono
differenze
tra i
Eriksson K, McInnes
Ryan S, inTonks
P, McConnell
1.
M1/M2
sono
conservati
in specie
diverse,significative
compresi i piccoli
da HIV: B:
questo
è importante,
soprattutto
per
diversi fenotipi,
indipendentemente
dal ceppo
virale
Blacklaws
CD4(+)aspetto
T-cells are
required for the
establishment
ruminanti.
E’ interessante
notare come il fenotipo
M1 presenta,
comprendere
l’organismo
ospite possa
e
utilizzato.
maedi-visna come
virus infection
in macrophages
butrispondere
not dendritic
a
differenza di ciò che accade nell’uomo e nel topo (3), un of
interagire
con
SRLV
e,
di
conseguenza,
valutare
quali
Iincremento
nostri risultati
confermano
che
i
pattern
di
polarizzazione
nell’espressione di APOBEC3, gene coinvolto nella cells in vivo. Virology 1999, 258:355-364.
possano
essere
le caratteristiche
genetiche
migliori
la
M1/M2 sono
conservati
in Ugualmente
specie diverse,
compresi
i
2.
Mantovani
A, Sica
A, Sozzani S, Allavena
P, Vecchi
A,per
Locati
risposta
immunitaria
innata.
interessante
è la
resistenza
all’infezione.
piccoli ruminanti.
E’uninteressante
notare M1-2
comedei
il macrofagi
fenotipo
M:
The chemokine
system in diverse forms of macrophage
polarizzazione
verso
fenotipo intermedio
M1 presenta,
a differenza
di ciò che
accade del
nell’uomo
e
activation and polarization. Trends in immunology 2004,
stimolati
con LPS
(2). I dati relativi
all’ingresso
virus nella
nel
topo
(3),
un
incremento
nell’espressione
di
APOBEC3,
cellula suggeriscono che la riduzione della replicazione virale 25:677-686.
avvenga in una fase successiva all’entrata: dati preliminari sulla 3. Martinez FO, Gordon S, Locati M, Mantovani A:
Bibliografia
quantificazione
del DNA provirale integrato mostrano infatti Transcriptional profiling of the human monocyte-to-macrophage
1. Eriksson K, McInnes E, Ryan S, Tonks P, McConnell I, Blacklaws B: CD4(+) T-cells are required for the establishment of maedi-visna
differentiation
and polarization: new molecules and patterns of
come
i
macrofagi
M1 mostrino
unadendritic
carica provirale
inferiore
virus infection in macrophages
but not
cells in vivo.
Virology 1999,
258:355-364.
gene
expression.
Journal
of immunology
2006, 177:7303-7311.
rispetto
ai macrofagi
Inoltre
TRIM5 P,
e Vecchi
APOBEC,
sonoM: The
2. Mantovani
A, Sica A, M2.
Sozzani
S, Allavena
A, Locati
chemokine
system
in diverse
forms of macrophage
activation
and polarization. Trends in immunology 2004, 25:677-686.
3. Martinez FO, Gordon S, Locati M, Mantovani A: Transcriptional profiling of the human monocyte-to-macrophage differentiation and
polarization: new molecules and patterns of gene expression. Journal of immunology 2006, 177:7303-7311.
50
40
3.0
LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control
2.0
1.0
IL-10
30
0
0.0
10
20
DC-SIGN
40
100
60
0 20
MR
LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control
LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control
42
30
10
0
0
LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control
50
LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control
20
A3Z1
6
2
4
CD80
15
10
0
5
TNF!
20
8
25
Figura 1. Espressione relativa di TNF-α, CD80, A3Z1, MR, DC-SIGN e IL-10 misurata in qReal Time RT-PCR. I valori sono espressi
-ΔCt
x 100 calcolata su almeno 3 esperimenti indipendenti, normalizzati con il gene β-actina.
come 2
LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control
2 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI CAMPO DI PESTE EQUINA ISOLATI
IN NAMIBIA TRA IL 2006 E IL 2008
Bortone G., Cosseddu G.M., Molini U., Scacchia M., Lelli R., Monaco F.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Via Campo Boario – 64100 Teramo
Key words: African Horse Sickness, genetic characterisation, Namibia
SUMMARY
Nucleotide sequence of the S10 genomic segment of African
Horse Sickness (AHS) virus was obtained from 5 virulent field
isolates, collected during disease outbreaks occurred in Namibia
in 2006 and 2008. Sequences were aligned and analysed in
comparison with a large selection of sequences available on
GenBank. Phylogenetic analysis confirmed that AHSV S10
sequences are divided in three distinct phylogenetic clades (α, β
and γ). The Namibian isolates clustered in α (serotypes 4 and 9)
and in γ (serotypes 1 and 2) in close relationship between them.
None of these isolates clustered in the clade β.
INTRODUZIONE
La Peste Equina (African Horse Sickness - AHS) è una malattia
infettiva, non contagiosa, ad eziologia virale (AHSV), che colpisce
tutte le specie di equidi. È causata da un Orbivirus della famiglia
dei Reoviridae; caratterizzata da alterazioni a carico delle funzioni
respiratorie e circolatorie è trasmessa da insetti del genere
Culicoides.
AHS è endemica in una vasta area dell’Africa a sud del Sahara,
che va dal Senegal fino all’Etiopia e alla Somalia e si estende a
sud fino al Sud Africa (3). Sono stati descritti nove sierotipi del virus
antigenicamente distinti fra loro (2). Nella seconda metà del 1900
la malattia ha fatto frequenti comparse in Medio Oriente, in Nord
Africa e in Europa. Nel 1965, vennero osservati focolai di AHS in
Marocco, in Tunisia, in Algeria, causati dal sierotipo 9. La malattia,
dopo aver attraversato lo Stretto di Gibilterra, raggiunse la Spagna
nel 1966 (3). Vent’anni più tardi, nel 1987, AHS ricomparve in
Spagna, in seguito all’importazione di zebre, infettate dal sierotipo
4, provenienti dalla Namibia (6). Focolai vennero osservati nel
paese anche negli anni successivi, fin quando la malattia non fu
definitivamente debellata nel 1991 (3,6).
Il genoma di AHSV è composto da dieci segmenti di RNA
bicatenario, che codificano sette proteine strutturali (da VP1 a VP7)
e quattro non strutturali (NS1, NS2, NS3 e NS3A). Il segmento
10 (S10), è il più piccolo e a causa della elevata variabilità della
sequenza nucleotidica è stato impiegato in studi di epidemiologia
molecolare (5,7,10).
La Peste Equina è endemica In Namibia, la malattia ha un
significativo impatto economico per il settore agricolo. Questo studio
è stato realizzato nel ambito di un’ampia attività di collaborazione
scientifica esistente tra il Central Veterinary Laboratory Namibiano
e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise
“G. Caporale” e ha lo scopo di caratterizzare gli isolati virali raccolti
nel corso di focolai di AHS. Il lavoro riporta le relazioni filogenetiche
tra gli isolati Namibiani e un’ampia selezione di ceppi di campo e di
riferimento, le cui sequenze sono disponibili su GeneBank.
polmone, ghiandole parotide e linfonodi mandibolari, mediastinici
e meseraici) sono stati, invece, prelevati da animali venuti a
morte. I campioni raccolti sono stati testati per verificare la
presenza del genoma di AHSV mediante una prova diagnostica
real time RT-PCR, specifica per il segmento 8 del genoma virale
(4). La circolazione di AHSV è stata confermata in 5 focolai. Dai
campioni positivi si è proceduto, successivamente, all’isolamento
virale su monostrati di cellule VERO (African green monkey
kidney). Il sierotipo degli isolati è stato determinato mediante test
di neutralizzazione virale, seguendo la procedura descritta nel
Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals
(OIE), il risultato è stato confermato ulteriormente mediante RTPCR sierotipo-specifica (8).
La sequenza nucleotidica di S10 è stata ottenuta dopo il clonaggio
del segmento genomico in un apposito vettore. Brevemente:
cellule VERO a confluenza sono state infettate con gli isolati di
AHSV ed incubate a 37°C fino ad effetto citopatico. L’RNA virale
estratto è stato retro-trascritto e la sequenza del frammento S10
è stata amplificata mediante PCR utilizzando la coppia di primer:
(fwd) AHSV9 NS3_1F 5I-GTTTAATTATCCCTTGTCATG-3I e (rev)
AHSV9 NS3_R 5I-GTAAGTTGTTATCCCACTCCCTAGAA-3I.
I prodotti della amplificazione sono stati purificati con QIAquick
PCR Purification Kit (Qiagen) e clonati in TOPO TA Cloning Kit for
Sequencing (Life Technologies) in cellule One Shot TOP10 (Life
Technologies). Successivamente, sono stati selezionati tre cloni
di ciascun isolato e i plasmidi ricombinanti sono stati digeriti con
l’enzima EcoRI (Roche Diagnostics), per confermare la presenza
dell’inserto, mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio e
visualizzazione di una banda di circa 800 bp. I frammenti risultanti
sono stati sequenziati utilizzando i primers M13 forward e reverse
(Life Technologies, Carlsbad, CA, USA) mediante sequenziatore
l’ABI PRISM 3100 (Applied Biosystems) usando BigDye
Terminator v 3.1 Cycle Sequencing Kit.
Le sequenze ottenute sono state assemblate con il software
Contig Express (Vector NTI Suite 9.1, Invitrogen) e un frammento
di circa 707 nucleotidi (nt) è stato ottenuto da ciascun isolato.
Sono state analizzate 5 sequenze in totale, una per ciascuno dei 5
focolai in cui è stata dimostrata la circolazione virale. Il programma
di comparazione di sequenze BLAST (http://blast.ncbi.nlm.nih.
gov/Blast.cgi) è stato usato per trovare sequenze omologhe nelle
banche dati presenti in internet (http://www.ncbi.nlm.nih. gov /
GenBank).
Si è proceduto all’allineamento delle sequenze utilizzando il
software MUSCLE (Multiple Sequence Comparison by LogExpectation) (1). L’analisi filogenetica è stata realizzata con il
metodo Neighbor Joining (NJ) usando il software MEGA versione
5 (9) e 1000 ripetizioni (bootstrap) (Figura).
MATERIALI E METODI
In Namibia, tra il 2006 e il 2008, sono stati riportati numerosi
focolai di AHS, in allevamenti di cavalli, in maneggi e scuderie.
Campioni di sangue sono stati raccolti da animali affetti nella
fase febbrile iniziale della malattia; campioni di tessuti (milza,
RISULTATI E CONCLUSIONI
Tra il 2006 e il 2008 è stata rilevata la circolazione di AHSV in
5 focolai, localizzati nei distretti di Okahandja, Omitara, Derm
e Witvlei. I sierotipi messi in evidenza sono stati: 1, 2, 4 e 9
(Tabella 1)
43
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
L’analisi filogenetica mostra che i ceppi di AHSV si raggruppano
in tre distinti cluster, indicati come α, β e γ, come riportato in
Figura 1. Gli isolati namibiani esaminati in questo studio, si
collocano nei cluster α e γ, in particolare: AHSV_4 Namibia
2006, AHSV_4 Namibia 2008 e AHSV_9 Namibia 2008 nel
cluster α, AHSV_1 Namibia 2008 e HSV_2 Namibia 2006
in γ. Nessuno di loro si trova in β. Gli isolati namibiani sono
filogeneticamente vicini tra loro e non mostrano differenze
marcate rispetto ai ceppi di AHSV provenienti dal Sud Africa,
che rappresentano la grande maggioranza delle sequenze
disponibili su GenBank.
È possibile osservare che la assegnazione degli isolati nei tre
cluster è influenzata dai 9 sierotipi di AHSV, in particolare alcuni
sierotipi si raggruppano specificamente di un singolo cluster (9
in α, 3 e 7 in β, 2 e 6 in γ), mentre altri (1, 4, 5, 8) sono distribuiti
in più cluster. Questa associazione, riscontrata anche da altri
autori (5,7,10), potrebbe spiegare un legame funzionale tra il
segmento VP2 che determina il sierotipo e S10.
La caratterizzazione degli isolati namibiani sulla base
della sequenza S10, non evidenzia specificità legate alla
provenienza geografica dei virus namibiani, rispetto a quelli
provenienti dal vicino Sud Africa. La disponibilità sui database
di un maggior numero di sequenze provenienti da zone in cui la
malattia è endemica che sono attualmente non rappresentate
permetterebbe un’analisi più precisa delle relazioni filogenetiche
tra i ceppi di AHSV.
L’analisi con BLAST delle sequenze nucleotidiche dei ceppi
isolati ha mostrato l’analogia con il genoma di AHSV. Sebbene,
a causa della elevata variabilità genetica del segmento S10 di
AHSV, è stato necessario, per trovare tutte le sequenze presenti
in GeneBank, modificare l’algoritmo di ricerca, cambiando da
megablast (indicato per sequenze altamente simili) a blastn
(indicato sequenze alquanto simili).
Tabella 1 - La tabella riporta il sierotipo, l’anno di isolamento e la
provenienza degli isolati namibiani di AHS
Isolato
Sierotipo
Anno
Distretto
AHSV 1_Namibia
1
2008
Okahondja
AHSV 2_Namibia
2
2006
Witvlel
AHSV 4_Namibia
4
2006
Okahondja
AHSV 4_Namibia
4
2008
Omitara
AHSV 9_Namibia
9
2008
Derm
L’analisi delle sequenze ha mostrato un’elevata similitudine
tra AHSV_4 Namibia 2006 e AHSV_4 Namibia 2008, e tra
AHSV_1 Namibia 2008 e AHSV_2 Namibia 2006 (circa il 100%
di identità nucleotidica). Differenze nucleotidiche più elevate
sono state osservate tra i due ceppi AHSV 4_Namibia e AHSV
9_Namibia 2008 (circa 13%) e maggiormente ancora tra AHSV
2_Namibia_2006 e AHSV 9_Namibia 2008 e tra AHSV 2_
Namibia_2006 e AHSV 4_Namibia 2008 (circa 30%)
Figura 1- Albero filogenetico che mostra le relazioni genetiche
tra gli isolati virali di Peste Equina. L’albero è stato costruito
sulla base dell’allineamento di 707 nucleotidi del segmento S10
di AHSV. Nella figura de sequenze ottenute in questo studio,
sono indicate con cerchi neri. I virus sono identificati usando una
denominazione che comprende: il nome del ceppo, il sierotipo,
l’anno e il paese di provenienza seguito dal numero di accesso
di GenBank. L’analisi è stata effettuata col software MEGA 5 ed il
metodo Neighbor Joining. Nella figura vengono mostrati I valori di
bootstrap >70 (1000 replicati).
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10.van Niekerk, M., van Staden, V., Van Dijk, A. A. & Huismans,
H. 2001. Variation of African horsesickness virus nonstructural
protein NS3 in southern Africa. J Gen Virol 82, 149–158.
44
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
SORVEGLIANZA ENTOMOLOGICA DEL VIRUS WEST NILE IN EMILIA-ROMAGNA NEL 2013
Calzolari M.1, Bonilauri P.1, Defilippo F.1, Maioli G.1, Pinna M. 1, Cordioli P.1, Lelli D.1,
Bellini R.2, Natalini S. 3, Angelini P.3, Dottori M.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna Via Bianchi, 9 – 25124 Brescia
2
Centro Agricoltura Ambiente “G. Nicoli”, Via Argini Nord, 3351 – 40014 Crevalcore (BO)
3
Regione Emilia-Romagna, Viale Aldo Moro, 52 – 40127 Bologna
Key words: West Nile virus, zanzara , sorveglianza
SUMMARY
West Nile virus (WNV) is a worldwide emerging health problem.
This virus, transmitted between mosquito (vectors) and wild birds
(reservoirs), affects humans and horses as dead end hosts,
causing meningitis in most severe cases.
To monitor presence and spread of WNV, a surveillance
program was set in Emilia-Romagna. This plan included also
an entomological surveillance, based on examinations of field
collected mosquitoes. Until the beginning of September, 276.144
mosquitoes, grouped in 2072 pools, were tested (partial data). Of
these pools 107 tested positive for WNV and 99 tested positive for
the closely related Usutu virus. Detection of WNV in mosquitoes
anticipated the appearance of human cases.
The obtained results highlight that, if mosquito trapping effort
is intensive, detection of WNV in entomological surveillance
precedes other surveillance tools, demonstrating its usefulness
and reliability in terms of planning public health policies.
Le zanzare catturate sono suddivise per specie, sito e data
di cattura, con un massimo di 200 esemplari per pool. Le
metodiche di estrazione, retrotrascrizione ed amplificaizone sono
descritte diffusamente in (4), brevemente l’RNA viene estratto
tradizionalmente dai pool di zanzare tramite reagente Trizol (o
equivalenti) e retrotrascritto utilizzando random primer, quindi i
campioni sono sottoposti ad un pannello di PCR: un protocollo
tradizionale per i flavivirus e due protocolli real time per la
ricerca specifica di WNV e USUV. I pool positivi vengono quindi
confermati tramite sequenziamento.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Nel 2013 il sistema di sorveglianza ha rilevato la presenza
del WNV in Emilia-Romagna, la ricomparsa del virus segue 2
anni di mancata circolazione, dopo che esso è stato rilevato
continuativamente dal 2008 al 2010 sul territorio regionale (2, 3, 4).
Il sequenziamento evidenzia che, al contrario della precedente
circolazione, questo virus appartiene al lineaggio 2, dimostrando
che si tratta di una nuova introduzione. Questo virus è simile agli
altri ceppi di lineaggio 2 circolanti in Europa, dall’Ungheria, dove
questo lineaggio è stato rilevato per la prima volta nel 2004, alla
Grecia, dove ha provocato più di 400 casi umani dal 2010 al 2012
(dati ECDC). Il primo pool positivo di zanzare è stato catturato il
3 Luglio, circa 6 settimane prima della conferma del primo caso
umano (13 Agosto). A questo primo pool sono seguiti molti altri
pool positivi, raccolti nella maggioranza delle provincie sorvegliate
(con le esclusioni di Forlì-Cesena e Rimini), mostrando un’intensa
circolazione virale (Figura 1, Tabella 1), alla quale sono seguiti
diversi casi umani nelle stesse province.
INTRODUZIONE
Il virus West Nile (WNV) circola nell’ambiente fra uccelli selvatici,
principali serbatoi riconosciuti del virus, e zanzare, i vettori. Il
virus può accidentalmente colpire il cavallo e l’uomo, che non
sviluppano una viremia in grado di infettare le zanzare e sono
quindi ospiti a fondo cieco. Nell’uomo il virus è per la maggior
parte asintomatico ma può causare stati febbrili e meningite in
una minoranza dei casi. Il vettore principale in Italia settentrionale
è la zanzara Culex pipiens, ma le specie di uccelli coinvolte come
serbatoio sono molte e l’importanza relativa di ognuna di esse
non è nota. Per questi motivi il ciclo di questo virus risulta molto
complesso e difficilmente prevedibile. L’uomo non svolge un
ruolo attivo come serbatoio, e l’ infezione è un evento accidentale,
non necessario alla persistenza del virus. L’infezione nell’uomo
avviene quando questo circola abbondantemente nell’ambiente
e quindi compare tardivamente rispetto alla comparsa del virus
in zanzare e uccelli.
A supporto del piano di sorveglianza Nazionale, un piano di
sorveglianza integrato è stato adottato in Emilia-Romagna proprio
per individuare precocemente la presenza e valutare l’intensità di
circolazione di WNV (1). Parte integrante di questo Piano è la
sorveglianza entomologica di seguito descritta.
Tabella 1 – Esemplari e numero pool esaminati per ogni
specie di zanzara con i relativi esiti positivi (dati al 5
Settembre).
Specie
N
Pool
+/WNV
+/USUV
1142
86
0
0
12.716
202
1
2
72
2
0
0
8750
107
0
0
An. maculipennis s.l.
25
2
0
0
Cq. richiardii
31
4
0
0
Cx. modestus
940
30
1
0
Cx. pipiens
252.468
1639
105
97
Totale
276.144
2072
107
99
Ae.albopictus
Ae. caspius
Ae. geniculatus
Ae. vexans
MATERIALI E METODI
La parte entomologica del sistema di sorveglianza regionale WNV
prevede l’utilizzo di trappole attrattive per la cattura delle zanzare,
in particolare trappole ad anidride carbonica e gravid trap.
Le trappole sono distribuite su tutto il territorio di pianura della
regione, una per ogni quadrante di una griglia di 10x10 km, per un
totale di 88 stazioni fisse. Altre 55 stazioni straordinarie sono state
campionate con cadenza variabile. Ogni sito è georeferenziato
e le trappole funzionano quindicinalmente per una notte, dalle
18:00 alle 9:00 del giorno successivo.
NOTE: Ae. Aedes, An. Anopheles, Cq. Coquillettidia, Cx.
Culex. I taxa Ochlerotatus e Stegomya sono stati considerati
sottofamiglie della famiglia Aedes.
45
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
di zanzare. USUV appartiene allo stesso gruppo antigenico
di WNV ed ha un ciclo simile, che coinvolge zanzare e uccelli
selvatici, ma ha un minore potere patogeno per l’uomo. L’affinità
fra questi due virus è confermata anche dalla condivisione del
vettore principale, che anche per USUV è Cx. pipiens, 97 dei
99 pool positivi appartengono a questa specie. Altri 2 pool sono
composti da Ae. caspius, questo dato era emerso anche negli
anni precedenti (4). WNV ed USUV hanno inoltre circolato
contemporaneamente sul territorio, come dimostrato dal
rilevamento contemporaneo dei due virus in 28 pool di zanzare.
I risultati ottenuti dimostrano che, se lo sforzo di campionamento
è adeguato, il sistema di sorveglianza è in grado di rilevare
il virus prima dell’insorgenza di casi umani, permettendo di
organizzare adeguate strategie preventive.
Ad inizio Settembre sono state testate 276.144 zanzare in 2072
pool (dati parziali), più del 90% di queste zanzare appartiene
alla specie Cx. pipiens.
Figura 1 – Pool positivi per i virus testati per le rispettive
settimane di campionamento con riferimento al numero di
esemplari di Cx. pipiens esaminati (dati parziali).
BIBLIOGRAFIA
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Bonilauri P, Cavrini F, Dottori M, Gaibani P, Martini E, Mattivi
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2. Calzolari M, Bonilauri P, Bellini R, Albieri A, Defilippo F,
Maioli G, Galletti G, Gelati A, Barbieri I, Tamba M, Lelli D,
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of simultaneous circulation of West Nile and Usutu viruses
in mosquitoes sampled in Emilia-Romagna region (Italy) in
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Albieri A, Maioli G, Luppi A, Rossini G, Balzani A, Tamba
M, Galletti G, Gelati A, Carrieri M, Poglayen G, Cavrini F,
Natalini S, Dottori M, Sambri V, Angelini P, Bonilauri P. 2012.
Mosquito, bird and human surveillance of West Nile and
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4. Calzolari M, Bonilauri P, Bellini R, Albieri A, Defilippo F,
Tamba M, Tassinari M, Gelati A, Cordioli P, Angelini P,
Dottori M. 2013. Usutu virus persistence and West Nile virus
inactivity in the Emilia-Romagna region (Italy) in 2011. PLoS
One; 8(5):e63978.
Dei pool testati 107 sono risultati positivi al WNV, 105 sono
composti da Cx. pipiens, uno da Aedes (Ochlerotatus) caspius
ed uno da Cx. modestus, specie ornitofila, come Cx. pipiens, ma
più comune in acque basse e soleggiate. Questo dato conferma
che il vettore principale di WNV nel territorio sorvegliato è Cx.
pipiens. Mentre il coinvolgimento di Cx. modestus nel ciclo del
virus era già stato ipotizzato, più improbabile appare quello di
Ae. caspius, specie con scarsa competenza vettoriale per WNV
e con abitudini mammofila. L’importanza vettoriale relativa di
una specie è comunque legata all’area sorvegliata, visto che in
ogni territorio il ruolo di vettore principale può essere ricoperto
da una diversa specie di zanzara, in dipendenza delle particolari
condizioni ambientali.
Come nel periodo precedente, a partire dal 2009 (anno del suo
primo rilevamento nelle zanzare in Emilia-Romagna) (2), anche
nel 2013 è stato rilevato il virus Usutu (USUV) in ben 99 pool
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
SORVEGLIANZA PER NOROVIRUS IN ITALIA 2012-2013
Martella V.1, Medici M.C.2, Tummolo F.2, Calderaro A.2, De Grazia S.3, Terio V.1 Buonavoglia C. 1, Giammanco G.M.3
Dipartimento di Medicina Veterinaria, Valenzano, Università di Bari;
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Parma;
3
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile “G. D’Alessandro”, Università di Palermo
1
2
Key words: norovirus, sorveglianza, Italia
SUMMARY
Noroviruses (NoVs) are important enteric pathogens of humans. Contaminated food is an important transmission route.
Surveillance for NoV has been enacted in several countries.
However, data on NoVs in Italy in the European databases
are scanty. In order to fill this gap, Italian microbiological laboratories (ISGEV) started collecting and analysing data in a
concerted fashion. In the 2012-13 winter season, global surveillance for NoV evidenced the onset of a new GII.4 variant,
termed Sydney 2012. In Italy, ISGEV surveillance revealed
that this variant already circulated at low frequency in the winter season 2011-12 and emerged definitively only in the late
2012. Analysis of these early strains of the variant Sydney
2012 revealed mutations in key epitopes. Also, inter-pandemic (2009/2012) recombinant GII.4 strains were detected, thus
posing a challenge for the diagnostic.
effettua una sorveglianza sulla circolazione dei virus enterici
umani ed animali. La sorveglianza dei virus enterici umani è
effettuata in pazienti pediatrici con gastroenterite ricoverati in
ospedale o visitati a livello ambulatoriale. Tale sorveglianza
viene condotta mediante genotipizzazione utilizzando una
strategia “multi-target” che mira a tipizzare sia il gene che
codifica per la RNA-polimerasi virale (ORF1), nelle regioni
diagnostiche A e B, che quello della proteina capsidica maggiore VP1 (ORF2), nelle regioni C e D del genoma (8). Le
sequenze geniche ottenute dalle regioni rappresentative del
genoma virale consentono di definire il genotipo polimerasico
e capsidico del ceppo analizzato mediante confronto con le
sequenze di riferimento depositate nella banca dati del NoroNet, istituita in Olanda presso il RIVM (RijksInstituut voor
Volksgedondheid en Milieu), utilizzando il software di analisi
filogenetica on-line Norovirus Typing Tool (http://www.rivm.nl/
mpf/norovirus/typingtool).
INTRODUZIONE
I norovirus (NoV), appartengono alla famiglia Caliciviridae,
e sono la causa più frequente di epidemie di gastroenterite
acuta in tutte le fasce di età. Essi acquisiscono un particolare ruolo eziologico nei bambini di età inferiore a 5 anni rappresentando la seconda causa di ricovero per gastroenterite
dopo rotavirus (5,6,13). Il fenomeno della globalizzazione e i
cambiamenti nelle abitudini alimentari (crescente consumo di
prodotti surgelati e/o preparati), nonché alcune caratteristiche
biologiche dei NoV, spiegano la crescente diffusione di questi
virus.
I NoV possono essere suddivisi geneticamente in almeno sei
genogruppi, GI-GVI (4,10). Sebbene all’interno dei genogruppi GI, GII e GIV siano stati descritti più di 30 genotipi di NoV
che infettano l’uomo (7), un singolo genotipo, GII.4, è associato alla maggior parte delle gastroenteriti da NoV in tutto il
mondo (1).
L’analisi di sequenza dei NoV GII.4 ha evidenziato che tali
ceppi sono particolarmente soggetti ad accumulo di mutazioni
puntiformi e/o a eventi di ricombinazione genetica, generando
varianti pandemiche ogni 2-3 anni (11).
In vari Paesi alla fine del 2012 è stata segnalata un’aumentata
incidenza sia di episodi epidemici che di casi sporadici di gastroenterite da NoV associati all’emergenza di una nuova variante del genotipo GII.4, denominata Sydney 2012, in quanto
identificata per la prima volta in Australia nel marzo del 2012
(12). La variante GII.4 Sydney 2012 sembra riconoscere l’origine del gene cap dalle precedenti varianti GII.4 Apeldoorn
2008 e New Orleans 2009 mentre il gene pol (GII.e) deriva
dalla variante Osaka 2007 (2).
Tabella 1: ISGEV
Durante la stagione invernale 2011-12 (novembre-marzo),
la prevalenza dell’infezione da NoV, diagnosticata mediante
metodiche molecolari, è stata del 22,2% (121/545). Il 41,7%
dei campioni tipizzati è stato riconducibile alla variante GII.4
New Orleans 2009. Tale variante è considerata una variante pandemica che ha circolato su scala globale a partire dal
2008 (2). Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 (novembre
2011- gennaio 2012) sono stati identificati 4 casi sporadici e
un piccolo focolaio epidemico (febbraio 2012), originariamente associati ad un ceppo NoV ricombinante pol/cap, GII.Pe_
GII.4. A seguito del più recente aggiornamento del database
Norovirus Typing Tool è stato possibile riclassificare questi
ceppi ricombinanti GII.Pe_GII.4 come appartenenti alla nuova
variante GII.4 Sydney 2012.
La sorveglianza è proseguita anche nei periodi primaverile,
estivo e autunnale del 2012 e da aprile a ottobre sono stati identificati altri 56 campioni NoV-positivi su 737 analizzati
(7,6%). L’analisi di sequenza di 34 (60,7%) di questi ceppi ha
dimostrato che nel 41,2% dei casi il gene cap era riconducibile a NoV GII.3 (la maggior parte in combinazione con GII.
Pb pol), il 26,5% era riconducibile a virus GII.Pg_GII.1 ed il
17,6% a diverse varianti GII.4, tra le quali la variante New
Orleans 2009 era predominante, mentre la variante Sydney
2012 sembrava essere apparentemente scomparsa. Alla fine
del 2012 (novembre-dicembre) e nel gennaio 2013 l’ISGEV
ha rilevato una prevalenza del 28,9% (90/311) di infezione da
MATERIALI E METODI
Il Gruppo di Studio Italiano sui Virus Enterici (ISGEV; http://
isgev.net) arruola laboratori di microbiologia umana e veterinaria di Bari, Palermo, Teramo e Parma (Tabella 1). ISGEV
46
47
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
NoV ed il 74,3% dei ceppi è stato caratterizzato come variante
GII.4 Sydney 2012. Tale dato conferma che anche in Italia
questa variante ha acquisito una rilevanza epidemiologica
analogamente a quanto evidenziato in altri paesi europei ed
extra-europei (3).
Sydney 2012 (cap) (Figura 1). Questi dati suggeriscono un’ulteriore evoluzione della variante Sydney 2012. La comparsa
di ceppi privi della pol GII.e, considerata una sua peculiarità,
costituisce un’ulteriore difficoltà diagnostica in sede di tipizzazione di cui tenere conto.
Al fine di analizzare i ceppi circolanti sul territorio italiano,
una selezione di stipiti NoV GII.4 Sydney 2012 rappresentativi della stagione 2011-12 e 2012-13 è stata sottoposta a sequenziamento di una porzione informativa del genoma. Sono
stati inoltre analizzati degli stipiti GII.4 Sydney 2012 con gene
pol non GII.e. Un’ampia porzione di 3.2 kb all’estremità 3’ del
genoma è stata determinata mediante protocollo RACE 3’ e
sequenziamento dopo clonaggio. Le sequenze sono state
assemblate ed analizzate usando il software nel pacchetto
Geneious vers 6.1.6 (Biomatters Ltd) ed una selezione di sequenze ORF2 (cap) estratte dai database.
Figura 1: ricombinazione tra varianti pandemiche GII.4 New
Orleans 2009 e Sydney 2012 a livello di ORF1/ORF2 junction
region. Le regioni diagnostiche A, B, C e D sono evidenziate.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
11. Siebenga JJ, Vennema H, Renckens B, de Bruin E, van der Veer B, Siezen RJ, et al. Epochal
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12. van Beek J, Ambert-Balay K, Botteldoorn N, Eden
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emergence of a new variant of genotype II.4, late
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13. Zeng M, Xu X, Zhu C, Chen J, Zhu Q, Lin S, et al.
Clinical and molecular epidemiology of norovirus
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8. Kroneman A, Vennema H, Deforche K, v d Avoort
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Moschidou P, Amorisco F, Lucente MS, Desario C, Mari V, Elia G, Banyai K, Carmichael LE,
Buonavoglia C. Genetic heterogeneity and recombination in canine noroviruses. J Virol. 2009
Nov;83(21):11391-6.
In molti paesi la comparsa e la diffusione della variante GII.4
Sydney 2012 è stata associata a un incremento dell’attività
di NoV (1). I dati ottenuti dall’ISGEV sembrano suggerire un
andamento analogo anche in Italia. La continua sorveglianza
delle infezioni da NoV attuata dall’ISGEV e la disponibilità di
maggiori informazioni sulle caratteristiche cliniche ed epidemiologiche delle infezioni sostenute da questa nuova variante consentirà di valutare le implicazioni della variante GII.4
Sydney 2012 sulla salute pubblica in Italia. Inoltre si rende
disponibile un database aggiornato/background per lo studio
comparativo dei NoV nell’ambiente e nelle matrici alimentari
sul territorio italiano.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Durante l’attività di sorveglianza della circolazione di NoV
in Italia sono stati identificati dall’ISGEV dei ceppi “precoci”
(2012e) della variante GII.4 Sydney 2012. Negli epitopi A, D
ed E (9) localizzati sul sottodominio P2, i ceppi GII.4 della
variante Sydney 2012 mostrano diverse variazioni rispetto
alle varianti precedenti GII.4 Den Haag 2006b e New Orleans 2009 (Tabella 2). Polimorfismi sono inoltre osservabili nei residui 297 (Arg/His) e 372 (Asp/Asn) nell’epitopo A e
nel residuo 393 (Gly/Ser) nell’epitopo D. Le varianti precoci
Sydney 2012e mostrano due mutazioni peculiari, Met-333
ae Ser-393 nell’epitopo B e D. Ser-393 è anche presente in
alcuni ceppi del clade 2012m, che include la maggior parte
dei ceppi Sydney 2012 identificati sinora. Il ceppo ancestrale AlbertEi337/2011/CAN è molto simile al prototipo Sydney/
NSW0514/2012/AUS in tutti gli epitopi, ad eccezione dell’epitopo C nel residuo 340-Ala. Questo residuo è anche Ala in
alcuni ceppi del clade 2012e mentre è Thr in tutti gli altri stipiti
Sydney 2012 (clade 2012m).
BIBLIOGRAFIA
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7. Kroneman A, Vega E, Vennema H, Vinjé J, White
PA, Hansman G, et al. Proposal for a unified norovirus nomenclature and genotyping. Arch Virol
2013; In corso di stampa
Nell’insieme i dati indicano che i ceppi GII.4 Sydney 2012e
identificati in Italia nella stagione invernale 2011-12 sono diversi dai ceppi epidemici della stagione invernale 2012-13.
Mediante analisi filogenetica e comparazione di sequenza
con stipiti identificati a livello globale, è chiaro che i risultati
ottenuti nella sorveglianza italiana non sono un pattern
epidemiologico locale ma rispecchiano la circolazione globale
di due clade distinti (2012e e 2012m) con tre residui (333,
340, 393) apparentemente coinvolti nell’adattamento della variante pandemica GII.4 Sydney 2012.
Tabella 2: mutazioni negli epitopi sulla regione P2 della variante GII.4 Sydney 2012. Abbreviazioni: 2012p, prototipo
NSW0514/2012/AUS; 2012m, clade dominante; 2012e, ceppi
precoci; 2012a, ceppo ancestrale.
Mediante sequenziamento di contig nella regione di giunzione
ORF1/ORF2, 4 ceppi NoV sono stati identificati come ricombinanti tra la variante pandemica New Orleans 2009 (pol) e
48
49
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
efficienza di Ixodes riciNus nella trasmissione TRANSOVARICA di
Francisella tularensis. Note preliminari
Genchi M.1, Prati P.1, Manfredini A.1, Vicari N.1, Bragoni R.1, Sacchi L.2, Epis S.3, Fabbi M.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “B. Ubertini” - Sezione Diagnostica di Pavia, Centro
di Referenza Nazionale per la Tularemia, 2 Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Pavia, 3 Dipartimento di
Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Milano
Keywords: Francisella tularensis, trasmissione transovarica, Ixodes ricinus
Abstract
Ixodes ricinus (Acari: Ixodidae) is a small hard tick able to
transmits a large variety of pathogens to humans and animals.
This tick has been described as a potential vector of Francisella
tularensis, a highly contagious zoonosis for a wide number of
mammals, including reptiles and birds. Transtadial transmission
of this bacterium from larva to adult has been demonstrated
under laboratory conditions. However, transovarial transmission
is still debated. The aim of this study was to evaluate the possible
transovarial transmission of F. tularensis in I. ricinus. One
hundred and fifty adult females of I. ricinus were attached on
guinea pigs experimentally infected with 500 cfu of F. tularensis
subsp. holarctica. After oviposition the eggs were analyzed by
PCR, culture and mice inoculation. The preliminary result show
the failure of transovarian trasmission of F. tularensis in eggs
and larvae of I. ricinus.
puntura di insetti e artropodi vettori (2). Tra questi, le zecche
sono le più importanti perché svolgono un ruolo sia come vettore
biologico che come vettore meccanico del batterio, dato questo
dimostrato dalla replicazione del batterio all’interno della zecca
prima dei passaggi di muta (8). Nonostante la trasmissione
transovarica sia ancora dibattuta, le zecche sono spesso
indicate come reservoir del batterio. Col termine “trasmissione
transovarica” si indica non solo lo sviluppo di agenti patogeni
nei tessuti dell’ovario, dove possono moltiplicarsi all’interno delle
cellule epiteliali senza invadere la cellula follicolare, ma anche il
passaggio del patogeno attraverso le uova da una generazione
all’altra. La trasmissione transovarica produce due distinti tassi
di infezione: (i) il tasso di infezione transovarica: percentuale di
femmine che trasmettono i microrganismi alla progenie, e (ii) il
tasso di infezione finale: percentuale di progenie infetta derivante
da un femmina infetta. Lo scopo di questo lavoro è stato quello
di valutare la possibile trasmissione per via transovarica di F.
tularensis subsp. holarctica in zecche appartenenti alla specie
I. ricinus.
Introduzione
Le zecche e le zanzare sono i principali vettori di innumerevoli
agenti patogeni potendo trasmettere virus, batteri, protozoi ed
elminti. La zecca dura Ixodes ricinus (Acari: Ixodidae), è una
specie trifasica (ogni stadio: larva, ninfa, adulta, va attivamente
alla ricerca di un ospite), diotropa (gli stadi immaturi si possono
nutrire su ospiti diversi da quelli degli adulti), e a bassissima
specificità d’ospite essendo in grado di compiere il pasto di
sangue su una vastissima varietà di ospiti quali mammiferi
selvatici e domestici, uccelli e rettili (1). In Europa è la specie
che aggredisce più frequentemente l’uomo in tutte le sue fasi
di sviluppo. In Europa la sua distribuzione è in aumento, sia in
estremi di altitudine che di latitudine (4) ed è stata segnalata
in tutte le regioni italiane. E’ una specie molto resistente: le
larve possono sopravvivere a digiuno per 13-19 mesi, le ninfe
24 mesi e gli adulti 21-31 mesi. Oltre ad essere in grado di
trasmettere batteri e virus a carattere zoonosico, tra i quali
Borrelia burgdorferi s.l. (malattia di Lyme) e virus del gruppo
“tick-borne encephalitis” (Flaviviride), I. ricinus è riconosciuta
come vettore competente nella trasmissione di Francisella
tularensis, agente eziologico della tularemia. La tularemia è
una malattia batterica altamente contagiosa e potenzialmente
letale anche per l’uomo, inclusa nella categoria A degli agenti
biologici a potenziale impiego
bioterroristico secondo il
Center for Disease Control and Prevention americano (CDC).
F. tularensis è in grado di infettare un vastissimo numero di
vertebrati, anfibi e uccelli compresi. Sono note 4 specie di F.
tularensis, ma quelle di maggior rilevanza sanitaria per l’uomo
e gli animali sono F. tularensis subsp. tularensis (nota anche
come tipo A) e F. tularensis subsp. holarctica (tipo B). La
prima è distribuita esclusivamente nel Nord America, mentre
il tipo B è presente in Europa, Asia e in minor misura in Nord
America e possiede una patogenicità inferiore per l’uomo. La
trasmissione può avvenire attraverso molteplici vie: aerogena,
orale (cibo o acqua contaminati), percutanea e attraverso la
Materiali e metodi
Esemplari adulti di I. ricinus sono stati raccolti dalla vegetazione
tra il 2011 e il 2013 nel territorio dell’oltrepò pavese. Nella prova
sono state utilizzate due cavie sulle quali sono state poste 25
femmine adulte e 35 maschi di I. ricinus. Le zecche sono state
confinate all’interno di una “camicia” di tessuto durante il pasto
di sangue. Due giorni post-infestazione, le cavie sono state
infettate per via sottocutanea con 0.5 ml di una sospensione
di F. tularensis tipo B alla concentrazione di 1000 ufc/ml. Al
sesto giorno post-infezione le cavie hanno manifestato la forma
clinica, sono state quindi soppresse mediante eutanasia e
sottoposte ad esame autoptico e prelievo di sangue per verificare
l’avvenuta infezione e per quantificare la batteriemia. Sono state
contestualmente recuperate le zecche “engorged”, i maschi e
le feci delle zecche presenti sull’animale. Ventiquattro femmine
“engorged” sono state sezionate e sono stati prelevati: ghiandole
salivari, intestino e ovario per l’allestimento di una PCR real-time
target 23 kDa, microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e
ibridazione fluorescente in situ (FISH). Le restanti femmine sono
state identificate e poste in termostato a 26°C e 90% di umidità
relativa per l’ovodeposizione. Circa 1 mese dopo, al termine
dell’ovodeposizione, sono state recuperate le uova, le ghiandole
salivari, l’intestino e l’ovario delle singole zecche. Pool di 50 uova
sono state analizzate tramite PCR real-time, esame colturale e
prova biologica su topo. I pool di 50 uova, per escludere una
possibile contaminazione superficiale con F. tularensis, sono
stati sottoposti a 6 lavaggi in PBS. Il primo e l’ultimo lavaggio
sono stati testati tramite PCR ed esame colturale. Circa 600
uova sono state omogenizzate, risospese in soluzione fisiologica
e inoculate per via sottocutanea in 2 topi. Gli organi delle zecche
sono stati analizzati tramite PCR, TEM e FISH. Altri gruppi di
uova sono stati lasciati maturare in termostato per ottenere le
50
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Ulteriori indagini sono attualmente in corso, utilizzando D.
reticulatus, zecca meno aggressiva nei confronti dell’uomo ma
con prevalenze maggiori di infezione rispetto a I. ricinus nella
trasmissione di F. tularensis subsp. holarctica.
larve. Trecento larve sono state utilizzate per infestare due topi.
Un analogo quantitativo di larve è stato testato tramite esame
colturale e PCR in pool da 50. Le zecche morte durante il
periodo di ovodeposizione sono state analizzate tramite PCR,
TEM e FISH. L’esperimento è stato eseguito in 3 repliche per un
totale di 150 femmine adulte di I. ricinus.
Progetto di Ricerca Corrente finanziato dal Ministero della
Salute: PRC 2010/001
Risultati e conclusioni
La percentuale di zecche “engorged” recuperate al termine
del pasto di sangue sulla cavie infettate sperimentalmente con
F. tularensis subsp. holarctica è stato dell’88.6% (133/150).
L’esame colturale e la PCR eseguite da fegato e milza delle
cavie hanno confermato l’avvenuta infezione. La carica
batterica dal sangue delle cavie era mediamente di 1100 ufc
x ml. Tutte le zecche analizzate (prima, dopo o morte durante
l’ovodeposizione) sono risultate positive alla PCR (intestino),
TEM (ovario) e FISH (ovario). I pool di feci delle zecche
recuperate sulle cavie sono risultati positivi alla PCR. La PCR e
la coltura del primo e dell’ultimo liquido di lavaggio (PBS) delle
uova sono risultate negative, mentre la PCR eseguita sui pool di
uova è risultata positiva. La coltura e la prova biologica sui topi
è risultata negativa in tutti i pool di uova. Il medesimo risultato è
stato ottenuto analizzando le larve: PCR positiva, coltura e prova
biologica sui topi negative. Le ninfe ottenute dopo la muta dalle
larve che avevano compiuto il pasto di sangue sui topi sono
risultate negative alla PCR.
Fig. 1. Immagine al TEM di ovario previtellogenico di I. ricinus.
Si noti la presenza di corpi residuali (cr) all’interno di un ampio
vacuolo di fagocitosi (freccia).
I dati preliminari del nostro studio indicano che la trasmissione
transovarica di F. tularensis tipo B in zecche della specie
I. ricinus non avviene. Il TEM e le FISH hanno mostrato
l’avvenuta infezione dell’ovario da parte di F. tularensis e la
PCR ha evidenziato la presenza del DNA batterico nelle uova
e nelle larve. Tuttavia i risultati negativi ottenuti attraverso
l’esame colturale delle uova e delle larve e soprattutto la
negatività delle prove biologiche sui topi, indicano il passaggio
di DNA batterico non vitale dalle femmine adulte alle uova e
alle larve. Questo risultato è confortato dalle immagini al TEM
che hanno mostrato batteri Gram-negativi contenuti in vacuoli
in evidente stato di degenerazione cellulare riconducibili per
forma e dimensioni a F. tularensis (Fig. 1). Una ipotesi condivisa
anche da altri autori potrebbe essere che, per infettare oogoni
e oociti in modo efficiente, F. tularensis, abbia bisogno di una
interazione prolungata con la zecca e questo sarebbe possibile
se l’infezione avvenisse durante gli stadi di larva e/o ninfa. La
presenza di F. tularensis nelle feci supporta l’ipotesi che la zecca
possa fungere da vettore anche attraverso la contaminazione
fecale dell’ambiente circostante come mostrato in alcuni studi
(6). Questo risulta essere il primo studio effettuato con l’intento
di riprodurre la naturale trasmissione del batterio da un animale
infetto a I. ricinus. La trasmissione transovarica era stata
dimostrata alla metà del ‘900, in Dermacentor variabilis e D.
andersoni, ma studi successivi non erano riusciti a riprodurre
l’esperimento (5). Il fatto che l’infezione possa incidere sul tasso
di sopravvivenza di alcune zecche e diminuisca la capacità di
muta (7), può indicare che la zecca non sia l’effettivo reservoir
di F. tularensis e che probabilmente questo vada ricercato
in protozoi acquatici come Acantamoeba castellani, dove il
batterio riesce a sopravvivere e a replicare. Se questa ipotesi
fosse confermata le zecche continuerebbero a ricoprire un ruolo
chiave come “amplificatori” nella trasmissione dell‘infezione
potendo trasmettere il batterio a tre potenziali ospiti differenti
attraverso il passaggio transtadiale. Ad ulteriore sostegno di ciò
è stato dimostrato che la saliva delle zecche induce un aumento
della proliferazione di F. tularensis sugli ospiti parassitati (3).
Bibliografia
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51
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NUOVE VARIANTI DI BRONCHITE INFETTIVA NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI SICILIANI
Antoci F.¹, Tumino G.¹, Guercio A.¹, Coniglio A.¹, Chiaracane G.1, Sallemi S.¹, Terregino C.2, Purpari G.1
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Via G. Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università, 10 – 35020 Legaro (Padova)
BIBLIOGRAFIA
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In Figura 1 sono riportate le curve anticorpali nei confronti dei
sierotipi M41 e 793-B (4/91), relative ai capi (broilers) vaccinati
secondo lo schema convenzionale (2° e 15° giorno di vita) e
controllati al 10°, 35° e 50° giorno dalla vaccinazione.
Figura 1 – Titolo anticorpale/tempo (broilers)
Key words: Avian Infectious Bronchitis, poultry, QXIBV
SUMMARY
Avian Infectious Bronchitis (IB) is a disease caused by a
Coronavirus, included in Coronaviridae family. The disease,
endemic in Italy, affects both broilers and laying hens. It
represents one of the main health issue in sicilian poultry
farms. The presence of new antigenic variants makes
problematic the implementation of an adequate prophylaxis
through the use of appropriate vaccines. The present work
aims to study the spread of IB strains in Sicily by serological
and biomolecular tests in order to investigate the presence
of “historical” strains as well as new strains and to carry out
the genotyping of viruses isolated. The serological results
show that the used vaccination protocols are able to develop
an adequate antibody titre along all production steps both
laying hens and broilers. The virological results underline
the presence of QX strain in a broilers farm. This is a strain
widespread in Italy but never reported in the regional territory.
Galline ovaiole:
• pulcini 1 giorno: emosiero;
• pollastre 20 settimane: emosiero, tampone tracheale;
• galline 45 settimane: emosiero, tampone tracheale;
• galline fine ciclo: emosiero, tampone tracheale.
Broilers:
• pulcini 10 giorni: emosiero, tampone tracheale;
• polli 35 giorni: emosiero, prelievo trachea;
• polli 50 giorni: emosiero, prelievo trachea.
5. Lelli R., De Santis P., Luciani M., Savini G. (2000).
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Veterinary Record 167(22): 865-866.
Nei campioni di emosiero è stata effettuata la ricerca di
anticorpi specifici per il virus IB mediante prove di inibizione
dell’emoagglutinazione (HI), utilizzando gli antigeni M41 e
793-B (4/91).
La ricerca del virus IB è stata condotta su tamponi tracheali
e trachea, mediante Real Time RT-PCR (2). I campioni
positivi sono stati tipizzati mediante RT-PCR convenzionale e
successivo sequenziamento (4, 10).
INTRODUZIONE
La Bronchite Infettiva Aviare è una malattia che colpisce
sia i polli da carne (broilers) che le galline ovaiole, con
notevoli ripercussioni a livello sanitario ed economico. Il
virus, appartenente alla famiglia Coronaviridae, provvisto di
envelope, presenta genoma a RNA a singolo filamento con
polarità positiva. Ad oggi sono stati riportati circa 60 sierotipi,
di cui i più noti: M41, 4/91, H120, Ma5, ITA02.
Una volta introdotta in allevamento la malattia propaga
rapidamente, favorita dal contagio per via aerogena in
seguito all’inalazione di particelle di essudato infetto. Il
periodo di incubazione è variabile da uno a quattro giorni e
la sintomatologia è correlata all’età degli animali:
pulcini: scolo nasale sieroso, starnuti, dispnea e ritardo
della crescita;
broilers: sintomi subclinici;
ovaiole: manifestazioni respiratorie di lieve entità,
ripercussioni negative sull’ovodeposizione.
Si pensa che il ricorrere annuale dell’infezione sia dovuto
al fatto che gli animali guariti possano rimanere portatori e
quindi eliminatori.
La continua comparsa di nuove varianti antigeniche rende
problematica la realizzazione di un’adeguata profilassi
immunizzante (1). Pertanto, le indagini epidemiologiche
indirizzate alla caratterizzazione dei ceppi IB isolati risultano
fondamentali per la scelta di programmi vaccinali protettivi
(1, 3). La tipizzazione del virus con metodiche tradizionali
si presenta lunga e difficile, per tale motivo può essere utile
ricorrere a tecniche di biologia molecolare (5, 8). Il presente
lavoro si propone come scopo quello di studiare la diffusione
dei ceppi IB nel territorio regionale siciliano, attraverso
l’impiego di tecniche sierologiche e della Real Time RT-PCR,
e di effettuare la tipizzazione dei ceppi virali isolati al fine di
individuare nuove varianti virali e ceppi “storici”.
RISULTATI E CONCLUSIONI
La tabella 1 mostra le positività relative alla ricerca diretta del
virus.
Tabella 1 - Risultati Real-Time RT-PCR e tipizzazione
TIPIZZAZIONE
Positivi
N°
Matrice
Real Time Ceppo Ceppo Ceppo
Campioni
RT-PCR
4/91
H120
QX
Trachea
112
57
57
1
2
Tamponi
tracheali
50
1
1
21
0
Rene
13
5
5
0
0
Totale
175
63
63
22
2
I risultati sierologici ottenuti (Fig. 1) dimostrano che gli interventi
vaccinali consentono di mantenere il livello anticorpale
protettivo per tutta la durata del ciclo di produzione.
I risultati dell’indagine virologica dimostrano la circolazione
di ceppi vaccinali (4/91 e H120) e la presenza del ceppo QX,
isolato da trachee di broilers. Trattasi di un ceppo di campo
circolante da alcuni anni in Italia (8) ma fino ad ora mai
identificato in Sicilia, nei confronti del quale nel territorio italiano
non esiste ancora alcun presidio immunizzante specifico (7). La
dimostrazione della circolazione del ceppo QX ha consentito
di suggerire agli allevatori di riformulare gli schemi vaccinali,
sostituendo il ceppo H120 con il ceppo Ma5, maggiormente
immunogeno ed in grado di garantire, in combinazione con il
ceppo 4/91, una copertura anticorpale efficace anche contro il
ceppo QX (6, 9).
I risultati virologici confermano la presenza dei ceppi vaccinali
4/91 e H120 nei campioni sottoposti ad esame. Inoltre, nei
broilers è stata riscontrata la presenza anche del ceppo QX.
La tabella 2 riporta le positività riscontrate sui sieri mediante
ricerca indiretta.
Tabella 2 - Risultati HI
MATERIALI E METODI
Sono state selezionate e monitorate 5 aziende avicole
(3
broilers e 2 ovaiole), tra le 42 presenti nel territorio. I
campionamenti sono stati condotti sia sugli animali in vita
che al momento della macellazione secondo il seguente
schema:
52
MATRICE
CAMPIONI
Positivi
HI M41
Positivi
HI 793-B
(4/91)
Emosiero
210
182
175
Totali
210
182/210
(86%)
175/210
(83%)
53
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DIAGNOSI DI ENTERITI INFETTIVE DI ORIGINE VIRALE NEL CANE
Purpari G., Mira F., Cannella V., Di Marco P., Buttaci C., Macaluso G., Guercio A.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Via G. Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo
Key words: Canine Viral Enteritis, Diagnosis, Characterization
SUMMARY
Canine Viral Enteritis are widespread in farms and kennels.
Responsible viruses are Parvovirus (CPV), Coronavirus (CCoV),
Rotavirus (CRV) and Distemper Virus (CDV). Aim of this study
was to assess their prevalence in Sicily and to characterize the
strains isolated during 2009-2012. For this purpose, samples
(stools, rectal swabs, intestine, liver, spleen, heart, lung,
brain) collected from dogs were analyzed by PCR, RT-PCR
and Real Time RT-PCR. Positive samples were processed for
virus isolation on cell lines. Viruses isolated were analyzed by
RFLP and sequencing for molecular characterization. Results
show an high prevalence of CPV infection in dogs, followed by
CCoV, CRV and CDV. CPV prevalence was confirmed by virus
isolation. Molecular analysis of CPV has shown the prevalence
of CPV-2c variant. Molecular characterization has implemented
information about the CPV-2 variants spread in Sicily and to
discriminate between CDV vaccine strains and wild type strains.
causa di morte o di inabilità permanente. Lo scopo del presente
lavoro è stato quello valutare la diffusione di questo gruppo di
agenti virali nella popolazione canina in Sicilia e caratterizzare
dal punto di vista genetico i ceppi isolati.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto dal 2009 al 2012 su campioni
prelevati da soggetti con sintomatologia gastroenterica o
deceduti, conferiti in laboratorio dai canili pubblici e privati, dalle
cliniche e dai liberi professionisti. Dai soggetti sintomatici sono
stati prelevati campioni di feci e tamponi rettali; dai soggetti
deceduti sono stati prelevati gli organi di elezione (intestino,
fegato milza, cuore, polmone, cervello). I campioni sono stati
analizzati tramite prove biomolecolari in PCR, RT-PCR e Real
Time RT-PCR, al fine di identificare l’agente etiologico. Tutti
i campioni risultati positivi alle prove biomolecolari sono stati
processati per l’isolamento virale in linee cellulari permissive
(Tab. 1).
INTRODUZIONE
Le enteriti virali del cane rappresentano le malattie infettive più
ricorrenti, spesso causa di morte, negli allevamenti e nei canili.
I virus responsabili sono principalmente il Parvovirus (CPV), il
Coronavirus (CCoV), il Rotavirus (CRV) e il virus del Cimurro
(CDV). Tra questi, soltanto CCoV e CRV sono realmente virus
enterici; il CPV ed il CDV sono invece responsabili di infezioni
sistemiche. In considerazione della loro elevata resistenza
nell’ambiente, il rischio di epidemie connesso a questi agenti
eziologici è elevato. Inoltre, il rischio di zoonosi associato al CRV,
impone un maggior controllo della loro diffusione. Attualmente,
in Italia per alcune di queste infezioni non sono presenti in
commercio vaccini allestiti con i ceppi virali circolanti. Il CPV è
un virus a ssDNA (-) lineare di cui si conoscono due sottotipi, il
CPV-1 e il CPV-2. Il CPV-1 causa un’infezione latente e banale,
il CPV-2 è responsabile di una “gastroenterite emorragica” che
nel giro di 24–48 ore porta a morte l’animale. Il CPV-2 ha subito
negli anni una evoluzione che ha comportato la comparsa
di nuove varianti, indicate come CPV-2a,
CPV-2b e CPV2c, il cui monitoraggio risulta importante ai fini della profilassi
vaccinale. Il CCoV è considerato un patogeno emergente, in
quanto le segnalazioni negli allevamenti sono recentemente
aumentate. Esso è un virus a ssRNA (+), responsabile di
un’enterite non sempre fatale, ma che espone i cuccioli ad
infezioni virali e batteriche secondarie. Il CRV è un virus ad
dsRNA (±) che nel cane provoca una forma enterica subclinica,
talvolta associata ad anoressia e vomito. Diversi studi, basati
su indagini sierologiche condotte su popolazioni di cani adulti,
hanno dimostrato un elevato tasso di sieropositività. Tuttavia, le
segnalazioni di isolamento virale dai cani affetti sono alquanto
scarse. Ciò dimostra che l’infezione è molto diffusa nella
popolazione canina anche se, la maggior parte di essi subisce
un’infezione clinicamente poco rilevante. Infine, il Cimurro del
cane è una malattia altamente contagiosa sostenuta da un
virus a ssRNA (-) che può decorrere in forma subacuta o acuta,
caratterizzata da febbre, bronchite, polmonite e sintomi nervosi
Tabella 1 - Linee cellulari usate
biomolecolari di caratterizzazione genetica, hanno consentito
di implementare le informazioni relative ai ceppi virali isolati,
permettendo una più dettagliata conoscenza dei sottotipi
circolanti, verso cui attuare una strategia vaccinale mirata.
Infine, la possibilità di discriminare i ceppi vaccinali di CDV dai
ceppi wild type, tramite RFLP e sequenziamento ha reso più
specifica la diagnosi, permettendo di individuare le positività
in RT-PCR dovute ai ceppi wild type, piuttosto che ad una
interferenza tra vaccini vivi attenuati, da anni ampiamente
utilizzati, e la metodica stessa.
RISULTATI E CONCLUSIONI
I risultati del presente lavoro sono mostrati in tabella 2 e tabella
3. Dall’analisi dei risultati si può concludere che l’agente virale
più diffuso tra i responsabili di enteriti nei cani è il CPV-2,
mostrando un tasso di positività in PCR pari al 49.7% di tutti i
campioni esaminati (Tab. 2).
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Tabella 2 – Risultati analisi biomolecolari
Agente etiologico
PCR / RT-PCR /
Real Time RT-PCR
Positivi (%)
Parvovirus CPV-2
49.7
Parvovirus CPV-2c
71
Coronavirus
6.2
Rotavirus
4.1
CDV
2.3
N° Totale
Campioni
esaminati dal
2009-2012
370
Seguono il CCoV, il CRV ed infine il CDV. La positività in PCR
per CPV-2 è stata anche confermata da una elevata percentuale
di isolamenti virali in linee cellulari, pari al 74.4% (Tab. 3).
Linea cellulare
Virus suscettibili
A72 (Canine tumor)
Canine Coronavirus;
Canine Parvovirus;
Canine Adenovirus 1
e 2; Canine Herpes
virus
MA-104 (Fetal Monkey Kidney)
Rotavirus
Parvovirus
Canine Adenovirus 1
e 2; Canine Herpes
virus
Coronavirus
5
MDCK (Madin Darby Canine Kidney)
Rotavirus
50
VERO ORWELL (African Green
Monkey Kidney)
Virus del Cimurro
L’isolamento virale è stato confermato tramite le specifiche
prove biomolecolari. I ceppi virali isolati sono stati
successivamente caratterizzati tramite analisi di restrizione
(RFLP) e sequenziamento. L’ estrazione dell’ RNA e del DNA è
stata realizzata rispettivamente con i kits “QIAmp viral RNA mini
kit” e “DNeasy Blood and Tissue kit”, entrambi della QIAGEN.
Per la ricerca del CPV-2 è stata utilizzata una PCR specifica
per il gene VP2. Al fine di individuare le varianti del CPV-2, sugli
isolati virali è stata eseguita una RFLP e il sequenziamento
(2, 9). La ricerca del CDV è stata condotta tramite una RT-PCR
specifica per la fosfoproteina P (1). Ulteriori analisi di restrizione
(RFLP) e di sequenziamento, sono state effettuate al fine di
caratterizzare i virus circolanti e discriminare i ceppi wild type
dai ceppi vaccinali di CDV. Queste sono state condotte sugli
amplificati positivi poiché il CDV è difficilmente isolato sulle linee
cellulari. La ricerca del CCoV è stata eseguita tramite una RTPCR specifica per il gene M (8). Per i CRV è stata eseguita una
Real Time RT-PCR specifica per il gene NSP3 dei Rotavirus
54
di gruppo A (6). Inoltre, tutti i campioni in esame sono stati
sottoposti ad analisi differenziali per Adenovirus canino (CAV-1
e CAV-2) e per Herpesvirus canino (CHV), tramite isolamento
e PCR (7, 5).
Tabella 3 – Risultati isolamento virale
Agente etiologico
Isolamento
Positivi
(%)
N. totale
campioni
esaminati dal
2009-2012
74.4
129
Le analisi biomolecolari volte alla caratterizzazione dei ceppi di
CPV-2 isolati hanno permesso di dimostrare che il CPV-2c è la
variante più frequentemente riscontrata nei campioni positivi,
rappresentando il 71% di essi. Inoltre sono stati riscontrati casi
di co-infezione tra CPV e CCoV o CPV e CAV. Le metodiche
55
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE GENETICA E FILOGENESI DI CRYPTOCOCCUS GATTII ISOLATO
IN SARDEGNA DA CAPRE CON MENINGO-ENCEFALITE
Maestrale C., Masia M., Pintus D., Lollai S., Contu C., Cabras P., D’Ascenzo V., Ligios C.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna – Sassari.
Key words: Cryptococcus gattii, MLST, albero filogenetico
SUMMARY – The present study was aimed to define the genetic
aspects of 3 strains of Cryptococcus gattii isolated from the central nervous system (CNS) of goats with meningo-encephalitis.
By using Mating-serotype PCR and Multi-Locus Sequence Typing (MLST) analysis we identified in all the 3 cases Cryptococcus
gattii serotype B, belonging to the genotype VGI and MATα mating- type.
This study establishes for the first time in Italy a baseline knowledge of the Cryptococcus gattii variety and genotype causing
meningo-encephalitis in goats.
2% e proteinasi K (400µg). Il MAT-typing è stato definito tramite
amplificazione dei loci Ste12a e Ste12α, come descritto da Hagen
et al. (2010) (7). Per MLST sono stati amplificati e sequenziati i
5 loci cromosomici GPD1, IGS1, LAC1, PLB1, e URA5 secondo
il metodo messo a punto da Meyer et al. (2009) (8) e i tre loci
CAP10, MPD1 e TEF1α aggiunti al MLST da Hagen nel 2012 (5).
Le sequenze consensus ottenute dai campioni in esame sono
state assemblate e allineate con il programma BioEdit e MEGA5
e confrontate con sequenze omologhe di ceppi di riferimento dei
diversi genotipi delle specie C. gattiii e C. neoformans; e con ceppi
europei e italiani isolati da persone, animali e alberi e depositate
nelle banche dati NCBI e CBS-KNAW Fungal Biodiversity Centre.
Gli alberi filogenetici sono stati ottenuti applicando il metodo Neighbor-Joining e il modello Kimura 2 parametri (MEGA5) con 1000
repliche di bootstrap.
INTRODUZIONE - Con la locuzione ‘Emerging infectious diseases’ si definiscono quelle patologie infettive la cui incidenza è andata aumentando in aree circoscritte del mondo o a livello globale
nell’ultimo ventennio e che rappresentano ormai un importante
problema di salute pubblica, causando spesso paura e angoscia
nella popolazione. Un rilevante numero di queste malattie, che colpiscono sia gli animali che l’uomo, è rappresentata dalle infezioni
da miceti. Tra queste, degna di nota è l’infezione da Cryptococcus
gattii che, fino a non molto tempo fa, aveva bassa incidenza e
si manifestava principalmente nelle zone tropicali e subtropicali,
associata alla presenza di alberi di eucalipto (Eucalyptus camaldulensis) (1, 2). Negli ultimi 10 anni questa infezione ha iniziato
a interessare animali e uomini anche in climi temperati. In particolare, nel 1999 C. gattii ha determinato un focolaio di infezione
nell’isola di Vancouver, in Canada (3), e da lì si è diffuso negli Stati
Uniti dove è stato causa di malattia in pazienti immunocompetenti
(4). Studi epidemiologici successivi hanno evidenziato la presenza di ceppi autoctoni di C. gattii nel Nord Europa e nel Bacino del
Mediterraneo e di ceppi provenienti sia da zone tropicali che dagli
Stati Uniti (5).
Per lo studio dell’epidemiologia e la caratterizzazione dei ceppi circolanti, sono state utilizzate diverse tecniche biomolecolari
quali PCR fingerprinting, Amplified Fragment Length Polymorphism (AFLP) e Multilocus Sequence Typing (MLST) le quali hanno
messo in evidenza che C. gattii è presente con 2 differenti Mating-typing (MAT-typing), indicati come a e α; 2 serotipi (B e C); 5
genotipi indicati come VGI, VGII, VGIII, VGIV-7 e VGIV-10 (5). Il
serotipo B comprende i genotipi VGI, VGII e VGIV-10. Il serotipo
C, i genotipi VGIII e VGIV-7. Il MAT puo’ essere invariabilmente a
o α in tutti i serotipi e genotipi.
C. gattii, genotipo VGII, è stato isolato nel focolaio di Vancouver e
si è rilevato il più virulento in esperimenti di infezione su topi (6). Al
contrario, in Europa, il genotipo più diffuso è VGI, che risulta essere endemico in tutta l’aerea del Mediterraneo, con caratteristiche
genetiche distinte (5).
Il presente lavoro ha lo scopo di caratterizzare geneticamente 3
isolati di Cryptococcus gatti ottenuti dal sistema nervoso centrale
(SNC) di capre allevate in Sardegna in 3 allevamenti diversi ed
affette da meningo-encefalite.
RISULTATI E CONCLUSIONI - Dall’analisi del MAT-typing, tutti e
3 gli isolati di criptococco sono risultati di tipo α.
Inoltre, ad un preliminare controllo delle sequenze dei singoli loci
cromosomici e nucleari effettuato con il programma Basic Local
Alignment Search Tool (BLAST SEARCH) si è rilevata per ognuno
una similarità del 99-100% con corrispettivi loci di C. gattii WM179,
ceppo di riferimento del genotipo VGI serotipo B.
L’analisi filogenetica delle sequenze MLST dei campioni in esame
e dei diversi ceppi di riferimento di C. gattii e C. neoformans depositati nelle banche dati ha confermato l’appartenenza dei tre isolati
alla specie C. gatti genotipo VGI (Fig.1). Gli isolati sardi formano
un cluster definito da un nodo con bootstrap 100 con tutti i ceppi di
riferimento per questa specie. Il cluster costituito dai diversi genotipi di C. neoformans risulta completamente separato.
Inoltre, dall’albero si può rilevare che C. gattii isolato in Sardegna
si discosta dal ceppo di riferimento WM179, determinando un cluster separato con bootstrap significativo (92).
Figura 1 – Albero filogenetico dei genotipi di C. gattii e C. neorfomans e confronto con gli isolati sardi. Tutti e tre gli isolati
da capre rientrano nel cluster costituito dal ceppo di riferimento di
C. gattii genotipo VGI, con bootstrap 100.
C. gattii
outbreak on Vancouver island. Proc Natl Acad Sci USA 101:
17258-17263
7. Hagen F, Illnait-Zaragosi MT, Bartlett KH, Swinne D, (2010)
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8. Meyer W, Aanensen DM, Boekhout T, Cogliati M, et al. (2009)
Consensus multi-locus sequence typing scheme for Cryptococcus neoformans and Cryptococcus gattii . Med Mycol 4786):
561-570
Dal confronto degli MLST di isolati autoctoni, umani, animali e
ambientali, provenienti da Italia, Spagna, Francia, Portogallo,
Grecia, Germania e Olanda si evidenzia che i criptococchi sardi
clusterizzano con bootstrap alto, pari ad 81, con i ceppi italiani,
spagnoli e francesi. I ceppi greci costituiscono un gruppo ben
distinto dagli altri ceppi europei, mentre quelli portoghesi hanno
netta similitudine con quelli tedeschi e olandesi (Fig. 2).
In particolare, i ceppi di C. gattii isolati in Sardegna mostrano una diversità genetica rilevabile dal fatto che all’interno del
cluster che raccoglie i ceppi isolati in Italia, Spagna e Francia,
costituiscono un piccolo gruppo separato nel quale rientrano
due ceppi spagnoli provenienti da Alicante, isolati da alberi di
carrubo (Ceratonia siliqua). Analizzando gli allineamenti MLST,
le differenze genetiche risultano costituite da due mutazioni
puntiformi a carico del locus Ribosomal RNA intergenic spacer
(IGS1).
Dai risultati di questo lavoro emerge che in Sardegna C. gattii è presente nella popolazione caprina dove causa episodi di
meningo-encefalite. I ceppi isolati hanno il genotipo VGI, attualmente il più diffuso in Europa. Tuttavia, pur essendo i ceppi esaminati filogeneticamente correlati ai ceppi isolati in altre
parti d’Italia ed in Spagna, essi mostrano una propria intrinseca
variazione genetica che li farebbe assimilare a due ceppi spagnoli, di origine ambientale, isolati ad Alicante.
Per completare la nostra indagine, sarebbe necessario, tuttavia, ricercare C. gatti nell’ambiente per stabilire l’unicità di
ceppo nell’isola. In Sardegna a tutt’oggi non risultano segnalati
casi clinici nell’uomo attribuibili ad infezione da C. gattii, sebbene non siano state effettuate ricerche specifiche a questo
proposito. Il fatto che il ceppo virulento VGI sia stato isolato da
capre con patologia manifesta fa supporre che probabili episodi d’infezione nell’uomo debbano essere preventivati anche in
Sardegna.
Figura 2 – Albero filogenetico di ceppi di C. gatti isolati in
Europa e confronto con gli isolati sardi. I ceppi sardi clusterizzano con quelli isolati in Italia, Spagna e Francia sia da
animali, piante e casi clinici umani. Tuttavia, mostrano una variabilità genetica rilevata solo in due ceppi isolati da albero di
carrubo, in Spagna.
Portugal Human RKI97_482
Italy Human 5UM
Spain carob CCA328
Spain carob CCA319
Spain Human CCA312
Spain Human CCA311
Spain ferret CCA308
Spain ferret CCA307
Spain Human CCA232
Spain stone pine CBS11751
81 Spain eucalyptus CBS11748
Italy enviromental 87CN
Italy animal 84CN
Italy enviromental 81CN
Italy enviromental 78CN
Italy animal 64CN
BIBLIOGRAFIA
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Spain goat 58A
Spain goat 53A
Spain goat 50A
Italy animal 51CN
75
France Human IP05_215
Spain carob CCA320
Sardinia goat 1
Spain carob CCA321
79
Sardinia goat 2
Sardinia goat 3
82 Portugal enviromental IP97_18
64
Portugal enviromental IP97_19
51
Netherlands Human CBS2502
95 Germany Human RKI85_888
Greece Human CBS10609
Greece Human CBS10608
Greece Human IUM98_1969
0.005
C. neoformans
MATERIALI E METODI - L’estrazione del DNA genomico di criptococco in coltura in fase esponenziale è stata effettuata da 3 ml di
brodo utilizzando il metodo fenolo-cloroformio-isoamilalcol, CTAB
56
Spain goat 54A
11
57
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
ANALISI DELLA VARIABILITA’ GENETICA DELLE API SICILIANE PER IL RECUPERO
DELLE SOTTOSPECIE A RISCHIO
Reale S.1, Cosenza M., Dall’Olio R.2, Costa C.2, Oliveri E.1, Zaffora G. 1, Piazza A. e Vitale F.
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia-Palermo
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura CRA-API, Bologna
KEY WORDS: Apis, microsatelliti, DNA mitocondriale
SUMMARY
The subspecies Apis mellifera siciliana, of Sicily, is threatened
with extinction due to hybridization with A. m. ligustica, from
1970. Based on distribution of large numbers of A. m. siciliana
queen mothers to beekeepers in the Western part of the island
is current a project about the reintroduction of the subspecies.
Here we present preliminary data about genetic characterization
of bee population on the basis of microsatellites analysis.
Molecular data were statistically examined to investigate the
inbreeding degree trough the Sicilian country.
regioni non codificanti, uniformemente distribuite nei genomi
eucariotici, che mostrano una grande variabilità nel numero
di corte sequenze ripetute in tandem; la lunghezza dell’unità
ripetitiva è compresa tra 2 e 5 bp, con una lunghezza totale
dell’intera sequenza da alcune decine fino a poche centinaia di
basi. La variazione dei singoli genomi a livello dei microsatelliti
si deve al diverso numero di unità ripetute dei vari alleli presenti
nella popolazione. L’obiettivo del lavoro è l’ottimizzazione e la
standardizzazione della tecnica di fingerprinting molecolare per
la caratterizzazione di sottospecie di Apis mellifera.
INTRODUZIONE
In Italia sono presenti due sottospecie autoctone, Apis mellifera
ligustica distribuita nella penisola e Apis mellifera sicula
(MONTAGANO, 1911), nella sicilia. Quest’ultima ha origine
filogenetica distinta da A.m.ligustica, in quanto originatasi
dalle api africane. Ha un’origine insulare che ha favorito il suo
processo di differenziamento da altri taxa affini, così come
per altre sottospecie, quali Apis mellifera ruttneri (Malta), Apis
mellifera adamii (Creta), Apis mellifera cypria (Cipro).
. L’ape nera sicula (Apis mellifera siciliana) è particolarmente
importante da un punto di vista ecologico in quanto endemica
dell’isola Sicilia, ponte evoluzionistico tra le razze africane e le
razze europee, adattata a climi mediterranei e fonte di variabilità
genetica residua. La massiccia importazione di api italiane,
ad opera degli apicoltori siciliani, il cui scopo è la produzione
di miele, ha causato una caduta delle barriere geografiche. In
questo modo le due sottospecie, sviluppatesi in condizioni di
isolamento riproduttivo per mantenere le identità genetiche,
si sono ritrovate nello stesso habitat. Questo avvenimento
ha provocato la quasi scomparsa della sottospecie sicula in
purezza, portando alla formazione di una popolazione ibrida
con caratteristiche intermedie. La variabilità genetica della
popolazione di Apis mellifera ligustica e di Apis mellifera siciliana
fu verificata mediante il controllo del DNA mitocondriale. Apis
mellifera ligustica ha una origine ibrida da due rami europei
(M e C), mentre Apis mellifera siciliana ha un mitotipo genetico
africano (A). Si pensava infatti che solo la penisola iberica fosse
stata un rifugio per le api del gruppo mediterraneo durante
l’ultima glaciazione nel quaternario. Oggi sappiamo che la Sicilia
ebbe un ruolo similare. L’ape sicula si differenzia dalla ligustica
per il suo colore scuro e per la dimensione più piccole delle ali. La
colorazione più scura è dovuta alla colorazione completamente
bruna dei primi tergiti addominali. Si differenzia invece dalle
altre api scure per la colorazione giallastra dei peli del torace e
dell’addome.
L’ape sicula negli anni 70 veniva allevata nei bugni di ferula,
alveari in legno a forma di cassa rettangolare che, con il passaggio
alla ligustica, vennero sostituiti radicalmente da alveari moderni.
L’ape sicula rischiò in quegli anni la totale estinzione, evitata
grazie agli studi e alle ricerche di un entomologo siciliano, Pietro
Genduso, che la studiò per anni dopo la classificazione avvenuta
ad opera di Montagano nel 1911. In questo lavoro sono stati
utilizzati i microsatelliti o short tandem repeats (STR), ovvero
MATERIALI E METODI
La tecnica è stata sperimentata su api di provenienza e razza
nota, preliminarmente accertata dal CRA-API di Bologna,
ex Istituto Nazionale di Apicoltura. La tecnica di estrazione
seguita è stata messa a punto lavorando sulle zampe posteriori
evitando così di portare dietro buona parte di zuccheri, pollini e
DNA di batteri che potrebbero essere invece presenti utilizzando
le altre regioni dell’ape. Le zampe, in particolare, sono state
staccate meccanicamente mediante una pinzetta e un puntale,
avendo cura che il prelievo sia fatto alla base dell’addome.
Successivamente sono state sminuzzate mediante l’ausilio
di un bisturi sterile e poste quindi all’interno di un pozzetto,
unico per ciascuna ape. Cosi facendo, utilizzando una piastra
da 96 pozzetti, è stato possibile estrarre il DNA da 95 api
(più un bianco di estrazione). In ciascuno pozzetto, oltre al
campione, vengono aliquotati 100µl di Chelex al 5% e 5µl di
proteinase K. L’estrazione avviene mediante un ciclo termico
direttamente in un termociclatore GeneAmp PCR system
9700 (Applied-Biosystems). PCR multilocus. La tecnica della
multiplex-PCR ci consente di amplificare più loci in una stessa
reazione, con questa tecnica il polimorfismo viene messo in
evidenza amplificando le sequenze dei microsatelliti usando,
come oligonucleotidi di innesco, primers marcati con coloranti
fluorescenti e complementari alle regioni fiancheggianti le STRs.
58
Loci
PRIMER FWD
PRIMER REV
bp
A113
CTCGAATCGTGGCGTCC
CCTGTATTTTGCAACCTCGC
202-236
A007
CCCTTCCTCTTTCATCTTCC
GTTAGTGCCCTCCTCTTGC
105-113
Ap055
GATCACTTCGTTTCAACCGT
CATTCGGTATGGTACGACCT
169-201
A088
CGAATTAACCGATTTGTCG
GATCGCAATTATTGAAGGAG
135-158
Ab124
GCAACAGGTCGGGTTAGAG
CAGGATAGGGTAGGTAAGCAG
216-240
Loci
PRIMER FWD
PRIMER REV
bp
A29
AAACAGTACATTTGTGACCC
CAACTTCAACTGAAATCCG
130-138
A008
CGAAGGTAAGGTAAATGGAAC
GGCGGTTAAAGTTCTGG
154-190
Ap226
AACGGTGTTCGCGAAACG
AGCCAACTCGTGCGGTCA
233-255
A43
CACCGAAACAAGATGCAAG
CCGCTCATTAAGATATCCG
135-143
A14
GTGTCGCAATCGACGTAACC
GTCGATTACCGATCGTGACG
200-260
Pannelli 1 e 2 di PCR multilocus
I prodotti che risultano dall’amplificazione mediante la multiplexPCR sono poi separati per elettroforesi capillare mediante un
sequenziatore automatico (ABI-PRISM 3130), per determinare
le varianti alleliche presenti nei loci presi in considerazione.
Sono quindi stati tabellate le frequenze alleliche relative a ciascun
locus microsatellite analizzato. Dai dati è emerso che l’allele a
maggiore frequenza è il 212 al locus A113, con una frequenza
di 0,774. Nonostante l’elevata frequenza di tale allele all’interno
della popolazione analizzata (n=190), l’informatività e il suo potere
discriminativo risultano bassi.
RISULTATI E CONCLUSIONI
I profili genotipici sono stati letti e analizzati mediante l’uso del
software GeneMapper ID v4.0 (Applied Biosystems). Tale
applicazione ci permette di visualizzare i profili elettroforetici relativi
a ciascun campione. L’amplificato cosi analizzato, produce picchi
principali cui si aggiungono le stutter bands (-2bp, -4bp, -6bp),
compresi in un intervallo massimo di sei paia di basi dal vero picco
allelico. È possibile che il software rilevi contaminanti sotto forma
di falsi picchi, distinguibili dai picchi dei microsatelliti in quanto
privi dei tipici stutters (spike). E’ pertanto opportuno un controllo
diretto delle letture effettuate in automatico dal software. Il numero
di picchi allelici per ciascun locus dipende dal fatto che l’individuo
analizzato sia omozigote o eterozigote Le analisi statistiche sono
state condotte sulla base dei 10 loci microsatelliti analizzati. I dati
estrapolati dalla lettura degli elettroferogrammi sono stati importati
nel software di calcolo GenAlEx v6.4, che rappresenta un valido
strumento per l’analisi di genetica di popolazioni. Tale applicazione
si avvale di un foglio di calcolo formato Excel nel quale verranno
riportati i dati numerici (input). In accordo con Barker (1994), i 10
microsatelliti testati in questo studio possono essere considerati
utili per la diversità genetica poiché il loro numero di alleli osservati
(Na) era maggiore di 4. Tutti i loci valutati sono dunque risultati
polimorfici (PIC>0,5) con un numero totale di alleli di 119 e una
media di 11,9 ± 1,4. Il range allelico è risultato variabile da 5
(A113) a 17 (A29 e A14) (Tabella 3).
I mutamenti climatici e le sempre più frequenti zoonosi dalla
rapida dispersione, evidenziano la necessità delle popolazioni di
mantenere una plasticità genetica. Per questo motivo, è diventato
necessario tutelare le razze autoctone e il loro patrimonio genetico,
importante fonte di biodiversità. L’analisi della variabilità genetica
di Apis mellifera siciliana è finalizzata al recupero di questa specie,
a rischio di estinzione, ed alla sua reintroduzione nel territorio. In tal
modo più apicoltori potranno allestire un allevamento in purezza di
ape nera, meglio adatta all’ambiente ed al clima e di conseguenza
maggiormente in grado di difendersi da parassitosi e patologie. Il
progetto prevede la ricerca di nuove linee genetiche, indispensabili
per combattere il problema più grave (la consanguineità), la
formazione di stazioni di fecondazione in luoghi isolati sull’isola
(poiché i costi per la conservazione sulle isole minori sono troppo
elevati e scoraggiano gli apicoltori), oltre alla valutazione delle
prestazioni della nera sicula a paragone con la ligustica.
L’analisi della variabilità genetica di Apis mellifera sicula è
finalizzata al recupero di questa specie, a rischio di estinzione,
ed alla sua reintroduzione graduale nel territorio. I nostri risultati
grezzi in termini di frequenze alleliche sono stati inviati al
CRA-API provveduto dove sono stati confrontati con i dati di
riferimento sia molecolari che di tipo morfologico, per giungere
ad una identificazione univoca delle colonie studiate. Questo
ci ha consentito da un lato di ottenere dei quadri molecolari di
identificazione dei soggetti, dall’altro di selezionare i genotipi
puri per la creazione di una banca dati preziosa in termini di
germoplasma. La conservazione del germoplasma serve a
stabilizare il DNA di riferimento essenziale al riconoscimento per
confronto di nuove famiglie.
La stessa sarà in futuro impiegata per l’approfondimento mediante
lo studio di ulteriori loci e per la validazione definitiva del metodo.
I metodi molecolari così validati se da un lato rappresentano un
successo delle nuove tecnologie al servizio della natura, dall’altro
serviranno al monitoraggio delle generazioni future in purezza e
al controllo della loro diffusione sul territorio in modo da garantire
e certificare il patrimonio delle linee in purezza. Così facendo
avremo contribuito al recupero di una sottospecie altresì destinata
all’estinzione.
Figura 1. Tipico pattern ottenuto da un individuo eterozigote per
una ripetizione dinucleotidica. A113 (FAM); Ap55 (HEX); AB124
(NED).
MICROSATELLITE
A113
A007
Ap55
A88
AB124
Na
5
11
9
6
10
A29
17
A008
Ap226
A43
A14
Mean ± SE
16
15
13
17
11.9 ± 1.4
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microsatellite and mitochondrial data, « The Genetics Society of
Great Britain », Heredity 86 (2001) , pp. 420-430.
A. Estoup, L. Garnery, M. Solignac, J.M. Cornuet; Microsatellite
variation in honeybee (Apis mellifera L.) populations: hierarchical
genetic structure and test of the infinite allele and stepwise mutation
models, « Genetics society of America » (1994-1995), pp. 679-695.
R. Dall’Olio, A. Marino, M. Lodesani, R. F. A. Moritz; Genetic
characterization of italian honeybees, Apis mellifera ligustica, based
on microsatellite DNA polymorphisms, « Apidologie » (2006), pp.
207-217.
Tabella 3
59
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Leptospirosi in animali selvatici provenienti da DIFFERENTI habitat Sardi
1
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Tab. 1 Campioni esaminati
BIBLIOGRAFIA
1) WHO-International Leptospirosis Society. 1999 Leptospirosis worldwide. Weekly Epidemiological Record; 74:237–
242.
Piredda I., 1Palmas B., 1Noworol M., 1Canu M., 2Picardeau M., 1Falchi A., 1Pintore A., 1Denurra D., 3Ruiu A., 1Ponti N.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento Sanità Animale,
Laboratorio Sieroimmunologia e Gestione Tecnica Piano eradicazione ruminanti, Sassari
2
Institut Pasteur, Unitè de Biologie des Spirochetès, Paris
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento diagnostico territoriale, Oristano
1
2) Abela-Ridder B, Sikkema R, Hartskeerl RA. 2010 Estimating the burden of human leptospirosis. Int. J. Antimicrob.
Agents. 36:S5–7.
3) Pintore A., Palmas B., Noworol M,, Canu M., Fiori E.,
Picardeau M., Tola A., Piredda I., Ponti M. N. First record
of leptospira isolation from wild boars of Sardinia 2012 Abstracts book of European Meeting of Leptospirosis.
Key Words: Leptospirosi, selvatici, habitat
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra il gennaio 2009 e agosto 2013 sono
stati saggiati presso i laboratori dell’IZS di Sassari, 612 campioni
di rene provenienti da varie specie animali selvatiche popolanti differenti habitat della Sardegna. Di questi, 504 erano reni di
cinghiali collezionati nell’ambito delle diverse stagioni venatorie
ed in specifiche campagne di depopolamento, 42 reni di ratto
catturati mediante trappole, 31 di volpe, 12 di martora, 13 di riccio e 10 di nutria (Tab. 1). Tutti gli organi sono stati sottoposti
inizialmente ad omogenizzazione e successivamente ad analisi
sia batteriologica che molecolare.
Su ogni campione è stata applicata la tecnica PCR (Polymerase
Chain Reaction), nella quale il DNA di ciascun organo viene amplificato con una coppia di primers (LigA e LigB) i quali rilevano
una banda di 331 bp del gene 16S rRNA evidenziabile mediante
elettroforesi in gel d’agarosio al 2% (4). L’indagine batteriologica è stata eseguita mediante metodo colturale seminando 25
mg di tessuto omogenato in tre tubi differenti contenenti terreno
EMJH (Ellinghausen-MacCullough-Johnson-Harris) reso semisolido con agar allo 0,1% e selettivo con 5-fluorouracile. Tali
tubi vengono poi messi ad incubare in condizioni di aerobiosi
alla temperatura di 28-30°C in termostato al buio per almeno 60
gg. Il controllo settimanale di un piccolo volume dei tre tubi al
microscopio in campo oscuro permette di valutare la presenza e
quindi l’eventuale isolamento del microorganismo.
Gli isolati vengono sottoposti ad estrazione del DNA con un apposito kit (Qiagen) e successivamente tipizzati mediante tecnica
di fingerprinting VNTR (Variable Number Tandem Repeats). Il
protocollo prevede l’amplificazione di particolari loci del genoma
batterico, sede di ripetizioni in tandem, con cinque set di primers:
VNTR-4, VNTR-7, VNTR-10, VNTR-Lb4 e VNTR-Lb5 (5), i quali
originano un pattern di bande visualizzabili mediante elettroforesi
in gel d’agar all’1,2% in TBE. I primi tre vengono applicati alle genospecie L. interrogans, L. kirschneri, L. noguchi e L. borgpetersenii, mentre gli ultimi due sono specifici per la sola genospecie
L. borgpetersenii. Essendo tale tecnica facilmente riproducibile e
standardizzabile, garantisce la possibilità di confrontare gli isolati
consentendo di identificare differenti profili di amplificazione, dimostrando una notevole capacità di discriminazione.
SUMMARY
The aim of this study was to determine the prevalence of leptospirosis in wild animal samples collected between 2009 and
2013 from different Sardinia environments. We tested 605
samples of organs and biological fluids from various species
including european hedgehog, pine marten, rat, fox and wild
boar. 279 of these were PCR positive with a prevalence of 46%
and leptospira spp were isolated from 51 specimens (9%). The
most representative serovar in Sardinia is L. Pomona and wild
boar is considered the major host for the maintenance of this
strain. L. Bratislava is widespread among the remaining species including fox and hedgehog which represent a new and
unexpected finding. The excretion of highly pathogenic serovars in the environment could represents an increasing risk
for animals populations, mainly living in rural areas. Our data
suggest both a high level of environmental contamination and
that wild animals could become a good sentinels for the monitoring of leptospirosis.
INTRODUZIONE
La leptospirosi è una zoonosi diffusa in tutto il mondo in particolare nei paesi come l’America Latina ed il Sud-Est asiatico, in
cui il numero di casi gravi umani è stimato in più di un milione
l’anno (1). La malattia umana rappresenta un evento accidentale e può verificarsi in tutti i gruppi di età, in ogni stagione
ed in entrambi i sessi. L’ampia varietà degli ospiti umani ne fa
una malattia sia rurale che urbana. E’ una patologia riemergente causata da una spirocheta del genere Leptospira il cui
serbatoio principale è il ratto ma colpisce moltissime specie di
mammiferi sia domestiche che selvatiche provocando morbilità
e mortalità non trascurabili (2). Differenti sierotipi possono essere responsabili di svariate sindromi cliniche e la prognosi è
generalmente condizionata dalla virulenza del ceppo infettante,
oltre che dalle condizioni generali dell’ospite.
L’obiettivo dei nostri studi negli ultimi cinque anni è stato quello
di determinare la presenza dell’agente eziologico in campioni
d’organo prelevati da varie specie animali provenienti da differenti zone della Sardegna quali ratti, martore, ricci, volpi, nutrie
e cinghiali. I dati scaturiti dalle indagini condotte, indicano che
la circolazione di leptospira spp nel nostro territorio è degna di
considerazione in particolare in quest’ultima specie, indicando
che l’esposizione e/o l’infezione è relativamente comune nel
cinghiale, pur in assenza di lesioni macroscopicamente apprezzabili a carico degli organi (3). Tali dati pongono l’accento
sulla suscettibilità e sul probabile ruolo di questi animali selvatici nel mantenimento e nella trasmissione dell’infezione alle
specie domestiche allevate allo stato semi-brado con cui condividono le stesse aree rurali. L’escrezione di serovar patogeni
nell’ambiente rappresenta un potenziale rischio di infezione sia
per gli animali che vivono in queste zone, sia per l’uomo.
I ceppi isolati sono stati sottoposti ad estrazione del DNA e genotipizzati mediante ricerca di ripetizioni in tandem in particolari
loci (4), ad opera di coppie di primers descritti nella sezione precedente. Il pattern di bande ottenuto ha rivelato per i cinghiali
la prevalenza di L. interrogans serovar Pomona, mentre per
altre specie come il riccio e la volpe il serovar rappresentativo è
stato L. interrogans serovar Bratislava (Fig. 1). Sebbene esista
una correlazione tra sensibilità della specie animale e serovar
di leptospira (Hardjo nei bovini, Canicola nei cani, Tarassovi e
Pomona nei suini), i nostri risultati mettono in luce un nuovo
serovar emergente (L. Bratislava), il quale viene ospitato da
differenti categorie selvatiche popolanti differenti habitat della
nostra isola. Gli alti livelli di contaminazione e l’ampia diffusione
ambientale, stanno ad indicare una ingente circolazione di leptospire spp. nel territorio sardo, aumentando il rischio di esposizione alla malattia sia da parte dell’uomo che di molti animali
che vivono allo stato brado nelle aree rurali. La cattura di ratti
mediante posizionamento di trappole in prossimità di aziende,
allevamenti, canili etc. permette un monitoraggio, seppur limitato, della diffusione e contaminazione di queste aree da parte
di piccoli roditori, fra i maggiori responsabili della emissione
di leptospire nell’ambiente. La sorveglianza, il controllo e la
prevenzione delle malattie dei selvatici costituiscono elementi
chiave del management della salute della popolazione umana
ed animale nell’ottica di “una sola salute” (One world - One
health).
4) Merien, F., Amouriaux, P., Perolat, P., Baranton, G., Saint
Girons, I., 1992. Polymerase chain reaction for detection
of Leptospira spp. in clinical samples. J. Clin. Microbiol. 30:
2219–2224.
5) Salaün L., Merien F., Gurianova S., Baraton G., and
Picardeau M. 2006 Application of Multilocus Variable-Number Tandem-Repeat Analysis for Molecular Typing of the
Agent of Leptospirosis. J. of Clin. Microbiol. 3954-3962.
Fig. 1 Profili elettroforetici ai VNTR-4 (fila 2,3,4), VNTR-7 (fila
5,6,7) e VNTR-10 (8,9,10) rispettivamente del DNA del riccio,
DNA della volpe e serovar Bratislava.
RISULTATI E CONCLUSIONI
L’analisi molecolare condotta sui 612 campioni di rene ha evidenziato 279 positivi alla PCR, di cui 257 cinghiali, 10 ratti, 4
volpi, 1 martora, 1 riccio e 9 nutrie, indicando una generale prevalenza del 46% (Tab. 1). Mentre l’indagine colturale si è rivelata
positiva per 51 campioni (8,5%), di cui 45 reni di cinghiale, 1 rene
di riccio, 5 reni di ratto ed 1 di volpe (Tab. 1). Non tutti gli organi
dai quali si è riusciti ad isolare sono risultati positivi alla PCR;
infatti soltanto 31 reni di cinghiale e 4 di ratto hanno riportato
esito positivo ad entrambe le tecniche.
60
61
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
PREVALENZA DI Listeria monocytogenes NEGLI STABILIMENTI
DI PRODUZIONE DI PRODOTTI A BASE DI LATTE:
UN NUOVO APPROCCIO PER IL CONTROLLO AMBIENTALE
D’Amico S.1, Daminelli P.1, Cosciani Cunico E.1, Todeschi S.1, Tilola M.1, Crotta M.1, Gradassi M.1, Andreoli G.1,
Colmegna S.1, Vitali A.2, Losio M.N.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Via A. Bianchi, 9 – 25124 Brescia
2
Referente Regione Lombardia, DG-Sanità
Key words: Listeria monocytogenes,Soft repined cheese, Food contact surface
l’ecosistema dei formaggi erborinati cambia durante la maturazione.
Il fattore dominante che permette l’aumento della concentrazione
di microrganismi indesiderati è l’incremento del valore di pH, per
effetto degli enzimi proteolitici di lieviti e del Penicillium roqueforti
(3). Challenge test effettuati su formaggi erborinati e a crosta
lavata hanno evidenziato che l’aumento del valore di pH durante
la maturazione permette la sopravvivenza e la crescita di Lm
presente nel substrato alimentare (4).
Obiettivo del presente lavoro è illustrare i risultati preliminari
dell’attività di controllo ambientale svolta nel corso del primo
semestre 2013 al fine di individuare i fattori in grado di contrastare
la contaminazione e la successiva moltiplicazione di Lm nei
prodotti in esame e definire linee guida / protocolli applicativi la cui
adozione da parte degli stabilimenti è finalizzata al controllo del
pericolo Lm con riduzione dei casi segnalati e maggiori garanzie
per il consumatore e per l’export.
SUMMARY
Soft repined cheeses have often been subject of community alerts;
that explain why Lombardy Region, as part of the activities planned
by Expo 2015 event, provided the activation of an integrated system
of official controls, in order to contain Listeria monocytogenes in
dairy products. The aim of this work is to present the preliminary
results of environmental monitoring, done during the first half of
2013, in order to identify factors able to contrast the contamination
and subsequent multiplication of L. monocytogenes in this type
of food. It’s been observed that surfaces with more chance of a
unfavorable outcome, both in first that in second trimester (2013),
are those relating to maturing rooms (shelves, boxes, etc.) and
portioning and packaging environments.
INTRODUZIONE
La listeriosi è una grave malattia di origine alimentare nell’uomo,
relativamente rara nell’Unione Europea (UE), ma con alta morbilità,
ospedalizzazione e mortalità in soggetti a rischio. Il fatto che Listeria
monocytogenes (Lm) sia in grado di moltiplicarsi in vari alimenti
a temperature a partire da 2 a 4 °C rende possibile la presenza
del patogeno in prodotti pronti per il consumo (RTE) con una
relativamente lunga conservazione, come ad esempio i prodotti
della pesca, prodotti a base di carne RTE trattati termicamente e
formaggi; dati recenti (1) indicano che la prevalenza nella UE di
Lm in campioni di formaggio alla fine della durata di conservazione
è dello 0,47%, mentre la percentuale di campioni che hanno
superato il livello di 100 ufc/g è dello 0,06% (n= 3 452 formaggi
molli o semi-molli). Tali tipologie di formaggio risultano essere
spesso al centro di allerte comunitarie; per tale motivo Regione
Lombardia, nell’ambito delle attività previste dall’evento Expò
2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, intende promuovere
lo sviluppo di risposte concrete ed efficaci ai complessi ed attuali
problemi inerenti l’alimentazione, sia in termini di food safety sia
di food security, elaborando uno specifico progetto di intervento
avente come tema “GARANTIRE LA SICUREZZA ALIMENTARE
E VALORIZZARE LE PRODUZIONI”. Il progetto ha previsto
un’azione specifica caratterizzata dall’organizzazione di un
sistema integrato di controlli ufficiali finalizzato alla promozione
della sicurezza alimentare mediante azioni volte al contenimento di
Lm nei prodotti a base di latte mediante la promozione di interventi
mirati alla individuazione della fonte di contaminazione e alla
verifica dell’efficacia delle azioni messe in atto dagli OSA. Le azioni
volte al contenimento del patogeno in oggetto hanno previsto:
• controllo delle eventuali criticità dei processi di produzione
ed i possibili fattori di rischio inerenti alla contaminazione
dei prodotti finiti e sul successivo sviluppo di Lm;
• verifica delle condizioni igieniche dei locali di
trasformazione delle linee di produzione di formaggi
erborinati ed a crosta lavata / fiorita.
La scelta di concentrare l’attenzione su questa tipologia di prodotti
è dettata dal fatto che, tra i prodotti caseari, il formaggio a pasta
erborinata è il più frequentemente contaminato (2). In particolare,
MATERIALI E METODI
Sono stati eseguiti 2 schemi di campionamento ambientale (Fig.1)
in 2 differenti trimestri dell’anno in corso, durante i quali sono
stati censiti 30 caseifici (con differenti volumi di produzione) della
Regione Lombardia attraverso l’esecuzione di tamponi ambientali
delle superfici di contatto alimentare (FCS), delle superfici limitrofe
alle precedenti (indirette-FCS) e delle superfici non a contatto con
l’alimento (NFCS) lungo tutta la linea produttiva, dalla cagliata al
confezionamento. Per questo scopo è stato applicato uno specifico
protocollo di campionamento previsto dalle normative Food safety
and Ispection Service – FSIS (5) e opportunamente adattato alle
condizioni di trasformazione dei caseifici.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Nel primo trimestre (aprile – giugno), secondo lo schema in
figura 1, sono stati eseguiti un totale di 410 tamponi delle FCS
riguardanti le linee produttive di formaggi erborinati / crosta lavata,
suddivisi per ogni azienda in funzione del volume di produzione.
I campioni, prelevati in collaborazione con le Asl territorialmente
competenti, sono stati processati entro le 24h successive, presso i
laboratori della Sede dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), secondo il seguente
protocollo:
Arricchimento in brodo selettivo e incubazione specifica;
Screening mediante metodo di prova interno accreditato
per la ricerca di Listeria spp in PCR Real-Time;
• I campioni risultati positivi allo screening sono stati
sottoposti in parallelo sia al metodo di prova interno
accreditato per la ricerca di Lm in PCR Real-Time, che
alla conferma microbiologica mediante metodo ISO
11290/1-2 (6);
• Gli isolati identificati come Lm sono stati caratterizzati
mediante Ribotipizzazione e PFGE ed infine confrontati
per valutarne la percentuale di similarità con software
Bionumerics.
Nel secondo trimestre (luglio – settembre) sono stati eseguiti
un totale di 430 tamponi, comprendenti le medesime FCS
campionate nel primo trimestre e le FCS-indirette (follow-up
di campionamento) degli stabilimenti che avevano dato esito
sfavorevole (Fig.1). I campioni sono stati processati entro le 24h
successive, dalle Sezioni Diagnostiche territorialmente competenti
dell’IZSLER, secondo lo schema precedentemente illustrato.
•
•
Figura 2 – Prevalenza I e II Trimestre
Si è osservato inoltre che le superfici con più probabilità di un esito
Sfavorevole, sia nel primo che nel secondo trimestre sono:
 Le superfici relative alle celle di stagionatura (scalere,
casse, ecc.);
 Le superfici degli ambienti di porzionatura e
confezionamento.
La maggior parte di questi campioni, (90%) sono riferibili a
superfici delle linee di produzione di formaggi a crosta lavata,
confermando il maggior rischio associato a questo prodotto
rispetto ai formaggi erborinati. A tal proposito, infatti, i campioni
identificati e caratterizzati nel primo trimestre (Lm vitali) sono stati
tutti isolati dalle linee di produzione dei formaggi a crosta lavata.
In conclusione si sottolinea come buone pratiche di fabbricazione,
adeguati programmi di pulizia, sanificazione e igiene ed un
attento controllo della temperatura durante tutta la fase di
produzione alimentare, sono necessari per la prevenzione della
contaminazione o l’inibizione della crescita di Lm a livelli superiori
a 100 ufc/g in alimenti che possono costituire un rischio per tale
patogeno.
In quest’ottica è previsto un ulteriore attività di campionamento
che prevede, in caso di ripetuti esiti sfavorevoli il campionamento
anche dei lotti di prodotto ancora presenti in fase di stagionatura.
RISULTATI E CONCLUSIONI
La tabella 1 presenta i dati ottenuti dopo il primo ed il secondo
trimestre di campionamento.
Tabella 1 – Riepilogo Analisi
I Trimestre II Trimestre
N° Tamponi Eseguiti
410
430
Esiti SFAVOREVOLI per L. spp
32
50
Esiti SFAVOREVOLI per L. mono
22
11
Isolati microbiologici
25
40
Identificati e caratterizzati L. mono
5
5
BIBLIOGRAFIA
1. Scientific Report of Efsa “Analysis of the baseline survey on
the prevalence of Listeria monocytogenes in certain ready-toeat foods in the EU, 2010-2011 Part A: Listeria monocytogenes
prevalence estimates” EFSA Journal 2013;11(6):3241
2. www.ec.europa.eu
3. www.combase.cc
4. www.ars-alimentaria.it
5. FSIS Compliance Guideline: Controlling Listeria monocytogenes
in Post-lethality Exposed Ready-to-Eat Meat and Poultry Products
– September 2012 – http://www.fsis.usda.gov
6. ISO 11290-1 1996/Amd. 1:2004 Microbiology of Food and
Animal Feeding Stuffs — Horizontal Method for the Detection and
Enumeration of Listeria monocytogenes. part.1
6. ISO 11290-2 1998 Microbiology of Food and Animal Feeding
Stuffs — Horizontal Method for the Detection and Enumeration of
Listeria monocytogenes part. 2
Dal confronto tra il primo ed il secondo trimestre si può notare
come i ceppi isolati siano aumentati, anche se il numero dei
ceppi di Lm identificati e caratterizzati siano rimasti invariati. Allo
stesso modo si può notare come la prevalenza di Lm (calcolata
sulla base dei risultati PCR Real-Time) si sia dimezzata; infatti
nel primo trimestre la prevalenza calcolata è pari a 5.3%, mentre
nel secondo risulta 2.5%. Si può ipotizzare che ciò sia dovuto
alle azioni correttive svolte dalle aziende dopo il primo esito
sfavorevole, nonché dall’intensificazione dei campioni dovuta al
follow-up di campionamento (Fig. 2).
Figura 1 – Schema di Campionamento Trimestrale
62
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Via Duca degli Abruzzi, 8 – 07100 Sassari
2
AGRIS Sardegna, Viale Adua, 2/c – 07100 Sassari
Key words: bacteriophage, ricotta cheese, decontamination
SUMMARY
Ricotta cheese is a Sardinian typical dairy product obtained by
heat-coagulation of whey proteins of ovine milk. In recent years
several alert notifications were sent in RASFF system as consequence of Listeria monocytogenes contamination of ricotta
cheese. Bacteriophages are virus able to infect and lyse bacterial cells. Bacteriophage P100 can be used for biocontrol of L.
monocytogenes in foods. In this work the efficacy of bacteriophage P100 treatment in ripened Ricotta cheese was investigated. Ricotta was contaminated with three different levels of
L. monocytogenes (5 x 106 UFC/cm2; 5 x 102 UFC/cm2; 10 UFC/
cm2). A concentration of 5x107 and 108 UFP/cm2 of phage P100
was utilized. For control purpose, a batch of ricotta was manufactured without addition of phage. We conclude that the addition of
phage P100 in Ricotta cheese can be a useful support to reduce
L. monocytogenes cells, however concentration of bacteriophages may be far higher than those of bacteria.
l’uomo hanno sviluppato nei confronti delle più comuni molecole
in uso. Recentemente molte ricerche si sono concentrate sull’utilizzo dei batteriofagi negli alimenti (6, 7); il fine può essere quello
di controllare lo sviluppo della flora contaminante, per prolungare
la shelf-life oppure per garantire la sicurezza alimentare attraverso il biocontrollo degli eventuali agenti patogeni presenti. Diverse
ricerche hanno verificato l’efficacia del listeriofago P100 in molteplici alimenti, ottenendo spesso risultati discordanti (1, 2, 5, 8).
Scopo del nostro lavoro era quello di verificare il comportamento,
l’efficacia e la durata d’azione del listeriofago P100 su ricotte salate artificialmente contaminate e di ricercare dei metodi di utilizzo
applicabili alla pratica industriale.
MATERIALI E METODI
Sono state eseguite 3 prove sperimentali che differivano principalmente per il titolo di contaminazione di L. monocytogenes. Le
ricotte venivano contaminate a 4 gg dalla salatura e l’inoculo era
costituito da 2 ceppi di campo e 1 ceppo di referenza. Nella prova
sperimentale n. 1 sono state utilizzate n. 25 ricotte poste sotto
vuoto a 7 gg dalla salatura: n. 15 ricotte sono state sottoposte a
decontaminazione 4 h dopo la contaminazione, n. 5 ricotte sono
state utilizzate come controllo positivo e n. 5 per i controlli fisicochimici. L’ inoculo di L. monocytogenes, in questo caso, aveva
un titolo tale da raggiungere una contaminazione superficiale di
5 x 106 UFC/cm2. La prova di decontaminazione avveniva con un
inoculo di batteriofagi tale da raggiungere la concentrazione superficiale di 5 x 107 UFP/cm2 . Le ricotte venivano quindi sottoposte ai controlli microbiologici e fisico- chimici a 1, 3, 6, 10 e 18 gg
dalla decontaminazione. Per la prova sperimentale n. 2 sono state preparate n. 15 forme, in seguito contaminate, per raggiungere
una contaminazione superficiale di 5 x 102 UFC/cm2; n. 3 forme
erano utilizzate per i controlli fisico-chimici, n. 3 come controllo
positivo, mentre n. 9 venivano sottoposte a decontaminazione 4
h dopo l’ esecuzione della contaminazione con un inoculo di batteriofago P100 tale da ottenere una concentrazione superficiale
di 108 UFP/cm2. Venivano eseguiti campionamenti a 1, 4 e 9
gg. Per la prova sperimentale n. 3 è stato invece utilizzato un
inoculo tale da raggiungere una contaminazione superficiale di L.
monocytogenes di 10 UFC/cm2. Sono state utilizzate n.18 ricotte:
n.9 sono state sottoposte a decontaminazione, n. 6 rappresentavano il controllo positivo e infine n. 3 venivano impiegate per la
determinazione dei parametri fisico-chimici. Il titolo dell’inoculo di
batteriofagi utilizzato per la decontaminazione e il campionamento erano uguali a quelli riportati per la prova sperimentale n. 2. I
campioni della prova sperimentale n. 2 che erano posti sottovuoto venivano conservati ad una temperatura di 10 °C, mentre gli
altri a 6 °C. Per quanto riguarda i controlli microbiologici veniva
eseguita la ricerca di L. monocytogenes sia con il metodo della
presenza/assenza (UNI EN ISO 11290-1:2005) che attraverso la
conta su piastra (UNI EN ISO 11290-2:2004). I controlli fisicochimici eseguiti comprendevano il pH (metodo potenziometrico)
e l’aw (Novasina aw sprint).
INTRODUZIONE
La ricotta salata è un prodotto tipico della regione Sardegna ottenuto da siero di latte ovino. Ha una pasta dura, compatta che si
presenta di colore bianco. Può essere utilizzata come prodotto da
tavola entro i tre mesi di stagionatura o come prodotto da grattugia quando subisce una stagionatura oltre questo periodo. Il siero
viene riscaldato per ottenere la coagulazione delle proteine, le
quali una volta affiorate vengono poste in stampi e pressate. Le
forme così ottenute vengono salate a secco e stagionate per un
breve periodo, variabile dai 5 ai 15 giorni. Solitamente dopo una
settimana la ricotta viene conservata sotto vuoto. E’ incluso nella
lista dei prodotti agroalimentari tradizionali del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con la denominazione di “ricottone” (3).
Inoltre la ricotta salata assume un certo rilievo commerciale nell’economia isolana dovuto in particolare alle consistenti esportazioni
verso paesi extra-comunitari. Negli ultimi anni sono state pubblicate nel sistema RASFF diverse allerte comunitarie che coinvolgevano ricotte prodotte nel territorio regionale per la presenza di
L. monocytogenes; le più recenti si riferiscono alla fine del 2012
e a esse sono collegati diversi focolai di tossinfezioni alimentari
anche con casi di mortalità negli Stati Uniti. L. monocytogenes è
un batterio Gram +, psicrofilo e anaerobio facoltativo che tende
a persistere negli ambienti dei caseifici anche in conseguenza
di ripetute sanificazioni. Può provocare meningite in soggetti immunocompromessi e aborto. Le sue caratteristiche lo rendono
capace di sopravvivere in molti alimenti, anche in condizioni di
refrigerazione. Alcuni studi hanno dimostrato la capacità di questo microrganismo di contaminare e svilupparsi in ricotta salata
durante il periodo di stagionatura ed in particolare anche dopo il
confezionamento sotto-vuoto (4). I batteriofagi sono virus capaci
di parassitare le cellule batteriche e di provocarne la lisi. Sono
state studiate molte applicazioni dei batteriofagi in medicina, sia
nella profilassi che nella terapia di malattie batteriche, anche per
contrastare l’antibiotico-resistenza che molti agenti patogeni per
64
Grafico 1. Risultati della prova sperimentale 1 (C=controllo;
m.c.=valore medio campioni)
1,00E+08
1,00E+07
log UFC/cm2
Terrosu G.1, Pirisi A.2, Melillo R.1, Mura E.1, Pes M.2, Rossi M.L.1, Fadda A.1
di L. monocytogenes. Infatti, come si può vedere dalla tabella 1,
i risultati relativi alla ricerca di L. monocytogenes tramite metodo
di presenza/assenza permettono di evidenziare come sia stato
possibile isolare il microrganismo solo nei controlli, mentre la ricerca nei campioni delle ricotte sottoposte a decontaminazione con
batteriofagi ha sempre dato esito negativo.
Dai risultati della ricerca emerge che i fagi da noi utilizzati per le
varie prove di decontaminazione agiscono con diversa intensità
ed efficacia in relazione al rapporto tra la loro concentrazione e
quella delle cellule bersaglio. Appare infatti evidente che sia necessaria una concentrazione di batteriofagi P100 molto più alta rispetto a quella delle cellule di L. monocytogenes perché si esplichi
una evidente azione di controllo nella crescita del microrganismo.
Sulla ricotta salata, a prescindere dall’intensità dell’azione, i batteriofagi utilizzati sono in grado di sopravvivere ed infettare le cellule
bersaglio in diverse condizioni di confezionamento e conservazione. Riteniamo comunque opportuno sottolineare che il trattamento
con batteriofagi testato non può essere utilizzato come metodo di
risanamento risolutivo o come sostitutivo delle buone prassi igieniche, ma semplicemente come un ulteriore e valido strumento
capace di controllare la crescita di L. monocytogenes sul prodotto
in caso di livelli di contaminazione non eccessivi e che comunque
non superino le 100 UFC/cm2. Dai dati ottenuti emerge che sarebbe consigliabile utilizzare i batteriofagi P100 come mezzo di biocontrollo nelle prime fasi di produzione della ricotta salata, quando
l’eventuale contaminazione di L. monocytogenes non dovrebbe
aver ancora raggiunto livelli di carica superiori alle 100 UFC/cm2 ,
le quali potrebbero costituire un limite per l’efficacia del trattamento tramite batteriofago P100.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Nella prova sperimentale n. 1 (grafico 1), nei 3 gg dopo il trattamento con i fagi è stato possibile rilevare una lieve azione degli
stessi. Infatti la differenza nella conta di L. monocytogenes tra il
controllo e i campioni decontaminati passa da 0,37 log UFC/cm2
alle 24h dall’inoculo dei fagi sino a raggiungere 0,7 log UFC/cm2
nel secondo campionamento. Tale differenza diminuisce leggermente nel successivo campionamento per aumentare nuovamente in quello a 10 e 18 gg (rispettivamente 0,53 e 0,57 log UFC/
cm2), soprattutto per effetto del sensibile aumento del titolo di L.
monocytogenes nei campioni di controllo. Relativamente alla prova sperimentale n. 2 (grafico 2) può essere messa sicuramente in evidenza una più marcata azione dei fagi. Già alle 24h si
può notare una differenza tra il controllo e i campioni trattati con i
fagi di 1,53 log UFC/cm2; questa differenza aumenta al 4° giorno
per attestarsi a 2 log UFC/cm2 e rimane sostanzialmente uguale
anche nel successivo campionamento relativo al 9° giorno dalla
decontaminazione.
1,00E+06
1,00E+05
1,00E+04
C
m.c.
1,00E+03
1,00E+02
BIBLIOGRAFIA
1. Carlton R.M., Noordman W.H., Biswas B., de Meester E.D.,
Loessner M.J. 2005. Bacteriophage P100 for control of Listeria
monocytogenes in foods: Genome sequence, bioinformatic analyses, oral toxicity study, and application. Regulatory Toxicology and
Pharmacology. Vol. 43, p. 301–312.
2. Comi G., Brichese R., Iacumin L., Cantoni C. 2011. Inattivazione di Listeria monocytogenes da prosciutti crudi stagionati e da
biofilm di attrezzature e ambient di lavorazione di prosciuttifici di
san Daniele tramite l’impiego di batteriofagi (Listex p100). Industrie Alimentari. Novembre 2012, p. 7–16.
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Ricotta cheese contaminated in controlled conditions. Atti IDF
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5. Guenther S., Huwyler D., Richard S., Loessner M.J. 2009.
Virulent bacteriophage for efficient biocontrol of Listeria monocytogenes in Ready-To-Eat foods. Applied and Environmental Microbiology. Vol. 75, N. 1, p. 93–100.
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Vol. 2012, 2012:863945.
8. Soni K. A., Nannapaneni R., Hagens S. 2010. Reduction of
Listeria monocytogenes on the Surface of Fresh Channel Catfish
Fillets by Bacteriophage Listex P100. Foodborne Pathogens and
Disease. Vol. 7, N. 4, p. 427-434.
1,00E+01
1,00E+00
1
3
6
10
18
Giorni da inoculo batteriofagi
Grafico 2. Risultati della prova sperimentale 2 (C=controllo;
m.c.=valore medio campioni)
1,00E+04
1,00E+03
Log UFC/cm2
BIOCONTROLLO DI LISTERIA MONOCYTOGENES ATTRAVERSO L’ UTILIZZO DI
BATTERIOFAGI P100 IN RICOTTA SALATA PRODOTTA IN SARDEGNA
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
1,00E+02
C
m.c.
1,00E+01
1,00E+00
1
4
9
Giorni da inoculo batteriofagi
Tabella 1. Esperimento 3: risultati della ricerca di Listeria monocytogenes tramite metodo di presenza/assenza (c.=campione;
- = assente; + = presente)
Giorno campionamento
Controllo
Controllo
c. 1
c. 2
c. 3
1
+
+
-
-
-
4
+
+
-
-
-
9
+
+
-
-
-
La prova sperimentale 3 conferma che un’ alto titolo di batteriofagi
è in grado di decontaminare il prodotto in presenza di bassi titoli
65
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Key words: Listeria monocytogenes, Salmonella spp., salami
Tabella 1 – Ceppi utilizzati per inoculi
SUMMARY
Salmonella spp. and Listeria monocytogenes are
microorganisms often implicated in food borne outbreaks.
The aim of this study was to evaluate the survival of these two
pathogens in two Italian fermented sausages: Cacciatore and
Felino salami. Two batches of hitch salami were contaminated
twice with both pathogens separately. Lactococci, staphylococci,
Salmonella spp., L.monocytogenes, pH and Aw were monitored
during fermentation and ripening period.
Concentrations of starter cultures were constantly high in this
kind of sausages. Salmonella spp. and L.monocytogenes
decreased gently in both salami. Cacciatore and Felino had a
negative effects on Salmonella and L.monocytogenes growth,
although pathogens survived in twice salami at the end of
ripening period.
ID
ATCC 14028
22754-2012
54398-2012
56596-2011
57002-2010
EGDe
V7
#5
#19
#36
Ceppo
S.TYPHIMURIUM
S.DERBY
S.TYPHIMURIUM 1,4, (5),12:i:S.TYPHIMURIUM
S.TYPHIMURIUM 1,4, (5),12:i:L.monocytogenes sierotipo 1/2a
Origine
Collezione
Feci – Suino
Insaccato - Suino
Feci – Suino
Carne trita - Suino
Collezione
Isolato
clinico
L.monocytogenes
umano
Carne
trita
L.monocytogenes sierotipo 4b
Bovino
L.monocytogenes sierotipo 1/2b Salame – Suino
L.monocytogenes sierotipo 1/2a Carne - Suino
I ceppi sono stati rivitalizzati in Brain Heart Infusion (BHI)
(OXOID) a 37 °C per 24 ore. Successivamente le colture sono
state centrifugate ed il pellet è stato risospeso in Soluzione di
Ringer (OXOID). La concentrazione dell’inoculo è stata verificata
mediante scala McFarland. Sono state eseguite diluizioni seriali
al fine di ottenere una contaminazione dell’impasto di circa 5-6
log UFC/g per ogni patogeno. L’asciugatura e la stagionatura
è avvenuta in cella climatica per 20 (Cacciatore) e 40 giorni
(Felino).
Durante il processo produttivo sono stati eseguiti i
campionamenti, rispettivamente a 0, 2, 5, 10, 20 giorni per il
Cacciatore e 0, 3, 7, 10, 20, 40 giorni per il Felino. Per ogni
momento di prelievo sono stati eseguiti ed analizzati 2 campioni
per ogni lotto:
- Salmonella spp.: Xylose Lysine Deoxycholate agar
(XLD) a 37 °C per 24-48 ore
- L.monocytogenes: Agar Listeria Ottaviani e Agosti
(ALOA) a 37 °C per 24-48 ore
- Stafilococchi: Mannitol Salt Agar (MSA) a 30 °C per
72 ore
- Lattobacilli: Man Rogosa Sharpe Agar (MRS) a 30 °C
per 72 ore
In parallelo sono state eseguite le analisi qualitative per
L.monocytogenes (ISO 11290-1:1996) e Salmonella spp. (ISO
6579:2002), per valutare la presenza del patogeno con cariche
inferiori a 1 log UFC/g. È stata inoltre eseguita la determinazione
del pH con metodo potenziometrico (MFHPB-03:Feb. 2003) e
dell’Aw con metodo capacitivo (ISO 21807:2004).
INTRODUZIONE
La produzione di salumi in Italia vanta eccellenze riconosciute
in tutto il mondo. La lavorazione di materie prime con
caratteristiche microbiologiche adeguate è fondamentale
in quanto molti salumi non subiscono trattamenti in grado di
eliminare gli eventuali microrganismi patogeni.
Salmonella spp. è uno dei principali agenti di tossinfezione a
livello europeo. La causa principale di salmonellosi nell’uomo
è rappresentata dall’assunzione di alimenti di origine animale
contaminati (1). Il Regolamento (CE) 2073/2005 e s.m.i. impone
l’assenza di Salmonella in 25 g di carne macinata e di prodotti a
base di carne destinati ad essere consumati crudi.
L.monocytogenes è un microrganismo patogeno ubiquitario in
grado di sopravvivere e svilupparsi in ambienti freddi e umidi.
Queste caratteristiche lo rendono perfettamente adattabile
alle superfici di lavorazione degli stabilimenti alimentari. La
contaminazione dei prodotti alimentari può avvenire sia per
materie prime contaminate che per cross-contaminazione
in fase di lavorazione. Salmonella spp. e L.monocytogenes
possono essere quindi presenti e sopravvivere nei salumi
fermentati durante le fasi di asciugatura e stagionatura (3).
Uno studio condotto su salami in vendita a livello nazionale, ha
mostrato come il 22,7% dei campioni analizzati fosse positivo
per L.monocytogenes, ma con concentrazioni inferiori a 10
ufc/g (2).
Scopo del presente lavoro è quello di conoscere le dinamiche
di sopravvivenza di questi due patogeni nel salame tipo
Cacciatore e tipo Felino.
MATERIALI E METODI
Sono stati preparati due lotti di salame tipo Cacciatore e
due di salame tipo Felino per ogni microrganismo patogeno,
utilizzando colture starter commerciali composte da lattobacilli
e stafilococchi. L’impasto prodotto è stato diviso in due parti
uguali: metà è stato contaminato con Salmonella spp. e l’altra
metà con L.monocytogenes. Ogni lotto è stato inoculato con
una soluzione contenente un pool di 5 ceppi rispettivamente di
Salmonella spp. e L.monocytogenes, provenienti da ceppoteche
internazionali o isolati da diverse matrici (Tabella 1).
RISULTATI E CONCLUSIONI
Le analisi eseguite sul salame tipo Cacciatore hanno
dimostrato l’omogeneità dei lotti prodotti (Grafico 1, 2). La
componente degli starter rappresentata dai lattococchi ha
raggiunto la sua massima concentrazione (circa 9 log ufc/g)
dopo 5 giorni dall’insacco. Gli stafilococchi presenti nell’impasto
hanno mantenuto livelli costanti (circa 6 log ufc/g) durante
tutto il processo di asciugatura/stagionatura. L’aumento
66
Felino - Salmonella spp.
10,0
9,0
8,0
Log ufc/g
7,0
6,0
Lattococchi
5,0
Stafilococchi
4,0
Salmonella
3,0
2,0
1,0
0,0
Grafico 1 - Cacciatore contaminato Salmonella spp.
0
7
14
21
28
35
42
Giorni
Cacciatore - Salmonella spp.
Grafico 4 – Felino contaminato L.monocytogenes
10,0
Felino - L.monocytogenes
9,0
8,0
10,0
7,0
6,0
Lattococchi
5,0
Stafilococchi
4,0
Salmonella
9,0
8,0
7,0
Log ufc/g
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Torino
2
Università degli Studi di Torino – Dip. di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Grugliasco (TO)
3
Agriculture University of Athens – Dep. Food Science and Technology, Lab. Food Quality Control and Hygiene – Athens
1
Log ufc/g
Bellio A.1, Astegiano S.1, Adriano D.1, Bianchi D.M.1, Gallina S.1, Zuccon F.1, Civalleri N.1, Liuni F.F.1, Rovetto F.2,
Mataragas M.3, Cocolin L.2 e Decastelli L.1
Grafico 3 - Felino contaminato Salmonella spp.
dei batteri lattici nei primi giorni di asciugatura ha causato
un abbassamento del pH da 5,7 ± 0,1 a 4,7 ± 0,2. L’iniziale
asciugatura e la successiva stagionatura hanno determinato
un abbassamento dell’Aw da 0,98 ± 0,01 a 0,92 ± 0,01. La
concentrazione di Salmonella spp. presente nell’impasto (6,2
± 0,2 log ufc/g) decresce gradualmente raggiungendo, dopo
20 giorni di stagionatura, una riduzione di circa 1 log (5,1 ±
0,4 log ufc/g). Le prove eseguite inoculando L.monocytogenes
alla stessa concentrazione, hanno permesso di osservare
un andamento simile per tale microrganismo, seppur meno
marcato: concentrazione finale (5,7 ± 0,3 log ufc/g).
3,0
2,0
1,0
6,0
Lattococchi
5,0
Stafilococchi
4,0
L.monocytogenes
3,0
0,0
0
3
6
9
12
15
18
2,0
21
1,0
Giorni
0,0
0
7
14
21
28
35
42
Giorni
Grafico 2 - Cacciatore contaminato L.monocytogenes
I dati raccolti dalle prove eseguite sul salame tipo Cacciatore
mostrano come per entrambi i patogeni la concentrazione al
momento dell’insacco, non aumenta durante la stagionatura. Al
contrario si è osservata una diminuzione dei patogeni presenti,
anche se dopo 20 giorni erano ancora presenti con cariche
elevate.
La maggiore sensibilità di Salmonella rispetto a
L.monocytogenes, sarebbe da attribuire alla maggiore
resistenza dei microrganismi Gram+, rispetto ai Gram- durante
le fasi di fermentazione e stagionatura degli insaccati. Quanto
osservato nelle prove condotte su salame tipo Felino, è
sovrapponibile ai risultati ottenuti per il Cacciatore. Tuttavia, la
stagionatura di durata maggiore determina una riduzione dei
patogeni più evidente rispetto al salame tipo Cacciatore.
L’andamento delle concentrazioni dei patogeni durante
il processo produttivo, potrebbe essere attribuito alla
competizione esercitata dalle colture starter utilizzate
nell’impasto, e dall’abbassamento del pH e dell’Aw durante le
fasi di asciugatura e stagionatura.
Dai dati ottenuti si evince che il prodotto non favorisce la crescita
di Salmonella spp. e L.monocytogenes, ma al contrario ha un
effetto negativo sulla sopravvivenza di entrambi i patogeni, non
garantendo però la loro assenza in caso di alte concentrazioni
nel prodotto fresco.
Cacciatore - L.monocytogenes
10,0
9,0
8,0
7,0
Log ufc/g
DINAMICHE DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. E L.MONOCYTOGENES IN
DUE SALUMI ITALIANI: SALAME TIPO CACCIATORE E SALAME TIPO FELINO
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
6,0
Lattococchi
5,0
Stafilococchi
4,0
L.monocytogenes
3,0
2,0
1,0
0,0
0
3
6
9
12
15
18
21
Giorni
I dati ottenuti dalle analisi condotte sul salame tipo Felino
hanno mostrato andamenti sovrapponibili per i parametri
microbiologici e chimico-fisici nei diversi lotti. Gli stafilococchi
sono rimasti costanti durante il processo produttivo con una
concentrazione di circa 6 log ufc/g. I batteri lattici presenti
nell’impasto (circa 6,5 log ufc/g) sono aumentati durante i
primi 3 giorni di circa 2 log. Tale incremento ha determinato un
abbassamento del pH iniziale (5,8 ± 0,2), durante i primi giorni
di asciugatura (5,2 ± 0,2), rimanendo poi pressoché costante
fino a 40 giorni (5,2 ± 0,3). L’Aw del prodotto fresco (0,96 ±
0,01) è diminuito progressivamente durante l’asciugatura e la
stagionatura, sia per i lotti contaminati con Salmonella (0,94 ±
0,01) che per quelli contaminati con L.monocytogenes (0,93
± 0,01). Salmonella spp., presente nell’impasto con cariche
di 4,7 ± 0,1 log ufc/g, ha mostrato un incremento nei primi 3
giorni (5,4 ± 0,1 log ufc/g) di asciugatura, diminuendo poi la
propria concentrazione a 3,4 ± 0,7 log ufc/g a fine processo.
L.monocytogenes era presente con concentrazioni pressoché
costanti durante i primi 20 giorni, per poi diminuire nella
seconda metà della stagionatura, risultando pari a 4,4 ± 0,8
log ufc/g.
BIBLIOGRAFIA
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Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic
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11(4):3129 [250 pp.]
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3.Leroy F, Verluyten J, De Vuyst L, 2006. Functional meat
starter cultures for improved sausage fermentation. Int J
Food Microbiol 106:270-85.
67
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
MODELLAZIONE MATEMATICA DELLE INTERAZIONI MICROBICHE
IN UN ECOSISTEMA COMPLESSO
Cosciani-Cunico E.1, Daminelli P.1, Baranyi J.2, D’Amico S.1, Sfameni C.1, Dalzini E.1, Losio M.N.1, Varisco G.3
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna – Reparto Microbiologia degli Alimenti
Laboratorio Tecnologie Acidi Nucleici Applicati agli Alimenti, Brescia
2
Institute of Food Research Norwich, UK
3
Centro di Referenza Nazionale per i rischi emergenti nella sicurezza alimentare, Milano, Italia
Key words: Listeria monocytogenes, dynamic predictive model, soft ripened cheese
SUMMARY
The subject of this modelling study is the manufacturing
of blue-veined cheese considering the most relevant
biochemical reactions in the cheese ecosystem. The model
must be dynamic, since a series of interactions between
bacterial and chemical elements change this ecosystem
considerably during maturation. In this simplified model, the
system has three microbial variables: log concentrations
of Listeria monocytogenes, lactic acid bacteria and mould,
and environmental/chemical variables: temperature, pH and
protease activity.
VA, USA), e ceppi di campo, isolati da formaggi a pasta
molle, Lm273250 e Lm242382/9 provenienti dalla collezione
dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e
dell’Emilia Romagna (IZSLER). I ceppi sono stati rigenerati in
Brain Heart Infusion (BHI; Oxoid, Milano, Italia) incubati a 37°C
per 24h con due passaggi per raggiungere la fase stazionaria
di crescita. La conta del patogeno è avvenuta su piastre di Agar
Listeria Ottaviani Agosti (ALOA; Microbiol Diagnostici, Cagliari,
Italia). La miscela dei tre ceppi, alla medesima concentrazione
(circa 6-7 log ufc/ml), costituisce l’inoculo del latte per la
produzione del formaggio erborinato contaminato.
La caseificazione e la stagionatura del formaggio a pasta
erborinata sono avvenute nell’impianto pilota del Reparto
Microbiologia Alimenti dell’ IZSLER, seguendo il processo
produttivo descritto su ars-alimentaria (4), sito pubblico
riguardante la sicurezza alimentare. Il latte, suddiviso in aliquote,
è stato utilizzato per produrre le forme contaminate con Lm
(formaggio contaminato) e le forme non contaminate (formaggio
in bianco). Il latte è stato inoculato con un volume pari all’1% v/v
della miscela di ceppi di Lm o con soluzione fisiologica sterile.
Nel formaggio contaminato è stata misurata la concentrazione
del patogeno in triplice analisi, nel formaggio in bianco sono
stati misurati i valori di pH, di aw, la temperatura di processo e la
concentrazione dei batteri lattici mesofili (LAB). Le analisi sono
state effettuate sul latte, sulla cagliata e sul formaggio, con
campionamento a cuore. I prelievi sono stati eseguiti durante il
processo e la maturazione e, successivamente, durante la shelf
life. Infatti, alla fine del processo, il formaggio è stato aliquotato
in ragione di 100 grammi in vaschette termosaldate, idonee allo
scopo, e conservato a 6°C ±0.5 per 55 giorni. Le analisi sono
state eseguite a intervalli prestabiliti di tempo.
L’analisi microbiologica del latte è stata effettuata mediante
conta diretta in piastra. Per la cagliata e il formaggio,
contaminati o di controllo, 25 g di materiale sono stati trasferiti
in sacchetti con filtro per stomacher (NEOMED, Milano, Italia)
e omogeneizzati in acqua peptonata sterile (AP) 1/3 (wt/v)
+ Tween 80 al 10% (CONDA, Madrid, Spagna) per 3 minuti
utilizzando uno stomacher 400 (Seward medico, Londra,
Regno Unito). Le diluizioni decimali sono state allestite in AP
sterile. Per il conteggio di Lm è stata applicata la norna ISO (5).
Per la numerazione dei LAB 1 ml delle appropriate diluizioni
è stato inoculato per inclusione in terreno de Man, Rogosa e
Sharpe (MRS; Microbiol Diagnostici) ed incubato a 37 °C con il
5% di CO2 per 72 h.
Il pH è stato misurato utilizzando un pH metro con
compensazione automatica della temperatura (Hanna
Instrument, USA), il rilievo dell’aw mediante apparecchiatura
che utilizza un sensore capacitivo (Aqualab, Pullman, USA).
-Le equazioni differenziali che rappresentano il modello
predittivo sono state calcolate utilizzando dati consultati dalla
INTRODUZIONE
Nel database on line RASFF, sistema di allerta rapido per gli
alimenti e i mangimi, voluto dalla Commissione Europea, è
reso noto che, negli ultimi dieci anni, su 58 notifiche riguardanti
la presenza di Listeria .monocytogenes (Lm) nei prodotti
lattiero-caseari italiani, 40 si riferiscono a formaggi erborinati.
Infatti, tra i prodotti caseari il formaggio a pasta erborinata è
il più frequentemente contaminato (1). L’ecosistema di questo
formaggio cambia durante la maturazione. Il fattore dominante
che permette l’aumento della concentrazione di microrganismi
indesiderati è l’incremento del valore di pH, per effetto degli
enzimi proteolitici di lieviti e del Penicillium roqueforti (2).
Challenge test effettuati su formaggi erborinati e a crosta lavata
hanno evidenziato che l’aumento del valore di pH durante la
maturazione permette la sopravvivenza e la crescita di Lm
presente nel substrato alimentare (3).
A supporto dei dati epidemiologici sono stati allestiti specifici
challenge test per valutare l’andamento di Lm nel formaggio
a pasta erborinata contaminando il latte utilizzato per la
produzione e monitorando l’andamento del patogeno e
delle variabili chimico-fisiche e microbiologiche del prodotto
alimentare. I dati sperimentali sono stati utilizzati per validare
il modello predittivo dinamico, sviluppato per prevedere il
comportamento di Lm in funzione delle interazioni microbiche
presenti nell’ecosistema del formaggio a pasta erborinata.
La compresenza di diversi organismi nel substrato alimentare,
e l’attività biochimica degli stessi, generano interazioni
metaboliche che a loro volta influenzano le variabili intrinseche
del formaggio durante il processo produttivo e la maturazione.
Pertanto, l’obiettivo del lavoro presentato è di sviluppare un
modello dinamico relativamente semplice, ma abbastanza
sofisticato, per definire le caratteristiche principali
dell’”ecosistema formaggio” e prevedere il comportamento di
Lm eventualmente presente in esso.
MATERIALI E METODI
-Per il challenge test è stato utilizzato un cocktail di tre ceppi
di Lm, ceppo registrato ATCC® 19115TM (ATCC, Manassas,
68
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Tabella 3 – Concentrazione, con dev. st., di Lm (Lm) nel
formaggio erborinato durante la shelf life.
letteratura internazionale riguardanti parametri biochimici e
microbiologici misurati su formaggi a pasta erborinata (6, 7, 8).
I dati sono stati raccolti in un foglio di calcolo Microsoft Excel
e, per ragioni di semplicità, è stato programmato on the spot,
un risolutore Runge-Kutta del secondo ordine, per simulare
il modello sviluppato. La validazione del modello è stata
effettuata secondo il metodo proposto da Baranyi et al. (9).
L’analisi statistica dei dati è stata effettuata su fogli di calcolo
Microsoft Excel.
RISULTATI E CONCLUSIONI
I valori nelle tabelle riguardano la media delle analisi con
rispettiva deviazione standard. La tabella 1 presenta i valori
microbiologici e chimico fisici misurati durante il processo di
produzione e stagionatura del formaggio a pasta erborinata.
LAB (log ufc g-1)
<0.47
4.91 ± 0.19
5.62 ± 0.11
7.65 ± 0.11
6.69 ± 0.12
6.65 ± 0.14
7.38 ± 0.44
7.38 ± 0.44
6.9 ± 0.04
7.14 ± 0.04
7.6 ± 0.13
7.56 ± 0.36
pH
6.65 ± 0.02
6.56 ± 0.06
4.93 ± 0.01
4.82 ± 0.03
4.73 ± 0.12
4.69 ± 0.09
4.76 ± 0.07
4.73 ± 0.04
5.25 ± 0.47
6.07 ± 0.74
6.64 ± 0.14
6.8 ± 0.02
La tabella 2 mostra i valori della concentrazione di Lm durante
il processo produttivo e la maturazione.
Tabella 2 Concentrazione, con dev. st., di Lm nel
formaggio. I dati riguardano il processo e la maturazione.
matrice/ giorno
latte
cagliata
formaggio/1
formaggio/3
formaggio/7
formaggio/15
formaggio/21
formaggio/27
formaggio/49
formaggio/56
formaggio/62
Lm (log ufc g-1)
6.10 ± 0.66
7.02 ± 0.18
6.84 ± 0.59
7.46 ± 0.21
7.07 ± 0.52
6.68 ± 0.86
7.11 ± 0.19
8.27 ± 0.12
formaggio in vaschetta / 55
5.39 ± 0.45
I valori iniziali del modello sono parametri estrinseci.
La temperatura (e la sua variazione nel tempo) non è
influenzata dalla dinamica del sistema, pertanto è stata
considerata un parametro estrinseco. Essa ha un ruolo di
controllo dominante nel determinare la velocità delle reazioni
biochimiche dell’ecosistema “formaggio erborinato”. Le
variabili nelle equazioni differenziali del modello sono state le
tre concentrazioni microbiche (muffa, LAB e Lm) e le variabili
chimiche fisiche (pH, attività enzimatica).
Per semplificazione, si è ipotizzato che i coefficienti cinetici
dipendessero solamente dalla temperatura e che le reazioni
biochimiche fossero con una cinetica di primo ordine. Il modello
predittivo è stato convalidato da dati sperimentali indipendenti,
ottenuti nel formaggio a pasta erborinata durante il processo
produttivo e la shelf life (Fig. 1). La simulazione ottenuta riflette
le interazioni previste: l’acido lattico prodotto dai batteri lattici è
metabolizzato dalle muffe, che producono proteasi, con rilascio
di ammoniaca, che, a sua volta, fa aumentare il pH. L’aumento
di pH ha creato le condizioni favorevoli per la crescita del
patogeno.
La previsione della crescita di Lm è stata l’obiettivo dello
studio proposto. Il challenge test ha mostrato una ragionevole
accuratezza del modello.
Concludendo, la microbiologia predittiva è ancora, e rimarrà,
una disciplina essenzialmente empirica; tuttavia, quando
possibile le interazioni meccanicistiche devono poter essere
incluse nel modello predittivo.
Il modello proposto è utile per prevedere il comportamento del
patogeno nelle diverse fasi di processo e conservazione anche
con profili termici variabili.
Tabella 1 – Formaggio erborinato durante il processo e la
maturazione. Parametri microbiologici e pH con dev.st.
matrice/ giorno
latte
cagliata
formaggio/ 1
formaggio/ 3
formaggio/ 7
formaggio/ 15
formaggio/ 21
formaggio/ 27
formaggio/ 35
formaggio/ 49
formaggio/ 56
formaggio/ 62
matrice/ giorno
formaggio in vaschetta / 0
formaggio in vaschetta / 9
formaggio in vaschetta / 13
formaggio in vaschetta / 17
formaggio in vaschetta / 20
formaggio in vaschetta / 23
formaggio in vaschetta / 30
formaggio in vaschetta / 42
Lm (log ufc g-1)
5.64 ± 0.01
6.14 ± 0.04
6.14 ± 0.05
6.16 ± 0.16
6.24 ± 0.01
5.64 ± 0.06
5.68 ± 0.08
5.47 ± 0.3
5.03 ± 0.42
4.59 ± 0.47
5.93 ± 0.16
I batteri lattici durante la shelf life rimangono in fase stazionaria
di crescita (concentrazione media log(ufc/g) pari a 7.83 ±0.32).
Il pH ha un valore superiore a 6 (pH medio pari 6.37 ±0.32)
mentre la concentrazione di Lm ha un incremento di 2.88 Log
ufc/g, come mostrato in tabella 3. Il valore medio di aw misurato
durante il processo, la maturazione e la shelf life è pari a 0.955
± 0.015.
Fig 1 – Formaggio erborinato durante il processo e la
shel-life. Logc(log(ufc/g) di Lm(¯), valre di pH (á), modello
predittivo (▬). Temperatura °C (▬ ▬).
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BIBLIOGRAFIA
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Valutazione dei rischi-benefici associati al consumo di latte crudo
vaccino attraverso l’approccio BRAFO*
Cibin V.1, Barrucci F., Losasso C.1, Cappa V.1, Ricci A.1
SCS1 Analisi del Rischio e Sorveglianza in Sanità Pubblica, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10 – 35020 Legnaro (PD)
1
Key words: risk-benefit assessment; raw milk; BRAFO
SUMMARY
Healthy and dangerous aspects due to food consumption have
been deeply explored separately up to now and few studies
integrating risks and benefits by using a common metric, have
been published. Aim of the present study was to deep insight
into benefits and risks associated to the consumption of dairy
cow raw milk thought the application of the BRAFO tiered approach. Results displayed that the unique scientifically consistent benefit related to the consumption of raw milk is the reduction of the probability to be affected by asthma during childhood.
The qualitative chemical risk assessment showed no evidence
of differences between heat treated and raw milk. Nevertheless, as far as the microbiological hazards are concerned, the
quantitative stochastic model estimated a high probability of
foodborne diseases, principally caused by E.coli O157 VTEC.
The DALY calculation both for the microbiological risks and the
characterized benefit, demonstrated a clear prevalence of risks
versus benefit.
Il primo livello consiste nell’identificazione dei rischi e dei benefici e nella valutazione separata di ciascun rischio e di ciascun
beneficio. Qualora vi siano solo rischi o solo benefici
la valutazione si ferma, altrimenti procede al secondo livello
con la comparazione qualitativa dei rischi e dei benefici: in questa fase non si utilizza una metrica comune. Nel secondo livello
si valuta il guadagno netto in termini qualitativi del passare dallo scenario base allo scenario alternativo. Poiché alcuni effetti
sulla salute riguardano la qualità di vita futura rispetto al momento dell’esposizione, il modello BRAFO prevede di tenere in
considerazione:
• Incidenza,
• gravità dell’effetto sulla salute,
• durata (anni vissuti sotto quell’effetto sulla salute),
• mortalità aggiuntiva (incremento di probabilità di
decesso) dovuta all’effetto e conseguente perdita di
anni di vita (rispetto alla vita attesa media).
Il terzo e quarto livello si intraprendono quando il bilanciamento
in termini qualitativi tra rischi e benefici non è già evidente con
la sola valutazione qualitativa, e si procede quindi con una valutazione comparativa quantitativa che può essere di tipo deterministico (terzo livello) e/o probabilistico (quarto livello). In ogni
caso il confronto tra i rischi e i benefici viene espresso in una
metrica comune e le usuali metriche utilizzate per la comparazione quantitativa sono il DALY (Disability Adjusted Life Years)
e il QALY (Quality Adjusted Life Years). Il DALY in particolare è
una delle misure più comuni per valutare l›impatto delle malattie e rappresenta la metrica scelta dall’OMS per misurare il Global Burden of Diseases (GBD), ovvero l’impatto delle patologie
in termini di mortalità e disabilità. I pesi che vengono utilizzati
per il calcolo del DALY riflettono e quantificano la percezione
sociale della qualità della vita in rapporto ai diversi stati di salute rispetto allo stato di salute ottimale. Oggetto di interesse
di questo studio è stato valutare in modo integrato i possibili
benefici e gli effetti negativi sulla salute derivanti dal consumo
di latte crudo vaccino.
INTRODUZIONE
La valutazione dei rischi e benefici alimentari è una disciplina
relativamente nuova che sta richiamando notevole attenzione.
Un alimento per sua natura contiene degli elementi benefici (i
nutrienti) ma anche degli elementi potenzialmente dannosi per
la salute (i pericoli), e talvolta lo stesso elemento può avere
sia effetti benefici che dannosi. Fino ad oggi la valutazione dei
rischi sia chimici che microbiologici e la valutazione dei benefici (tipicamente nutrizionali) sono state condotte più frequentemente separatamente. La valutazione rischio-beneficio (benefit-risk assessment, BRA) consiste nell’integrare la valutazione
dei rischi e dei benefici associati all’esposizione ad un alimento
in termini di effetto sulla salute. Gli approcci metodologici per
lo sviluppo di una valutazione comparata dei rischi e dei benefici sono svariati. Tra questi, l’approccio BRAFO (1) consiste in
quattro livelli consecutivi e prevede il confronto tra due scenari
(quello di base e quello alternativo) al fine di quantificare gli
effetti sulla salute in termini di guadagno netto (Figura 1).
MATERIALI E METODI
Per la comparazione dei rischi e benefici applicata al latte crudo è stato utilizzato l’approccio BRAFO, definendo lo “scenario
base” come la situazione in cui gli individui assumono esclusivamente latte sottoposto a trattamento termico, con una frequenza e in quantità pari alle abitudini della popolazione italiana; lo
“scenario alternativo” è stato definito come quello in cui tutti
gli individui consumano latte crudo (ovvero non sottoposto a
trattamento termico industriale né sottoposto a bollitura durante la preparazione domestica dell’alimento). É stata identificata
come popolazione di interesse una ipotetica coorte di 100.000
nuovi nati e sono stati studiati gli effetti avversi e favorevoli dovuti al consumo di latte crudo durante l’intero arco di vita degli
individui appartenenti a tale coorte. Il passaggio dallo scenario
base allo scenario alternativo è stato definito come la completa
sostituzione del consumo di latte trattato termicamente con il
consumo di latte crudo. Per la stima dell’effetto netto di questo
cambiamento è stata utilizzata la metrica del DALY (2).
Figura 1: Diagramma di flusso dell’approccio BRAFO (1).
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Tabella 1: anni di vita persi per morte prematura dovuta all’asma (YLL), anni vissuti con l’asma e DALY per l’asma, per i bambini
di età 5-14 di ambo i sessi nei due scenari (di base e alternativo)
Scenario base
Maschi
Scenario alternativo
YLL*
YLD*
DALY
YLL*
YLD*
DALY
37
921
958
37
681
718
Δ DALY**
240
Femmine
0
607
607
0
449
449
158
Totale
37
1528
1565
37
1130
1167
398
* YLL = anni di vita persi per morte prematura; YLD = anni di vita vissuti in disabilità
* *Calcolato come differenza tra il DALY dello scenario base (uso univoco di latte trattato termicamente) e scenario alternativo
(uso univoco di latte crudo)
RISULTATI E CONCLUSIONI
La prima fase della valutazione dei rischi e dei benefici, in accordo con l’approccio BRAFO, è consistita nell’identificare gli
agenti causali di possibili effetti avversi e benefici conseguentemente alla sostituzione del consumo di latte trattato termicamente con il consumo di latte crudo.
Tra gli agenti causali di condizioni avverse per la salute sono
stati presi in considerazione i seguenti pericoli microbiologici
e chimici: Salmonella spp, Campylobacter spp., E.coli O157
VTEC, aflatossina M1, diossine e PCB diossina simili.
La valutazione del rischio relativa ai pericoli microbiologici si è
svolta attraverso la realizzazione di un modello di tipo quantitativo stocastico.
Assumendo di non sottoporre il latte a bollitura, condizione che
caratterizza lo “scenario alternativo” del modello rischio-beneficio, il numero medio di casi di tossinfezione alimentare è stato
stimato essere pari a 15 casi di campilobatteriosi per 100,000
porzioni (da 200ml) (con 5% percentile=0.00, 95% percentile=102). a 10.24 casi di salmonellosi per 100,000 porzioni (5%
percentile=3.48x10-3, 95% percentile=36.53 casi per 100,000
porzioni); il numero medio di casi di tossinfezione dovuta alla
presenza di E. coli O 157 VTEC è risultata pari a 723.38 per
100,000 porzioni (con 5% percentile=3.49x10-4, 95% percentile=4110.51 casi per 100,000 porzioni).
Per quanto riguarda la valutazione del rischio chimico, i dati
di letteratura e i dati analitici a disposizione, hanno dimostrato
che la presenza di aflatossina M1, diossine e PCB diossina
simili nel latte crudo, oltre i limiti consentiti, è un evento raro; in
aggiunta, essendo il trattamento termico ininfluente è possibile
affermare l’improbabilità di cambiamenti in termini di esposizione per il consumatore derivanti dal passaggio dallo scenario
base (consumo di latte trattato termicamente) allo scenario alternativo (consumo di latte crudo).
Per questa ragione i pericoli chimici non sono stati inseriti nel
modello rischio beneficio e non si è proceduto con una valutazione più approfondita degli aspetti ad essi correlati.
La valutazione dei benefici, ha permesso di fare chiarezza sugli
effetti positivi per la salute associati al consumo di questo tipo
di alimento, identificando come unico plausibile effetto benefico
riportato in letteratura scientifica, la riduzione dei casi di asma
in bambini alimentati esclusivamente con latte crudo nei primi
anni di vita (1-13 anni) (3). Si tratta quindi non tanto di un effetto
di per sé favorevole per la salute ma della riduzione della probabilità che si manifesti uno stato negativo per la salute.
Poiché le valutazioni condotte nella prima fase mostravano la
concomitanza sia di effetti benefici sia dannosi per la salute
umana, è stato necessario procedere alla fase 2 del modello,
mento importante del DALY ovvero un “peggioramento dello stato di salute” corrispondente ad un valore pari a 2599
DALY. É necessario porre l’accento sul fatto che il modello è
necessariamente influenzato dai dati utilizzati come input e di
conseguenza modifiche nel risultato sono possibili sulla base
di nuove evidenze scientifiche e/o sulla base del cambiamento
della situazione epidemiologica.
2. Murray CJL, Acharya AK. (1997) Journal of Health
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3. Waser M, Michels KB, Bieli C, Flöistrup H, Pershagen
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(2012) Food Chem Toxicol. 50 Suppl 4:S684-98.
*
Questo studio è parte del Progetto di Ricerca Finalizzata “L’analisi integrata rischio-beneficio come strumento di supporto
e valutazione delle strategie di educazione alimentare” CUP
B21J10000520001, bando 2009, co-finanziato dal Ministero
della Salute.
integrando qualitativamente solo gli effetti benefici e rischiosi
elencati nella fase 1 per cui esiste un potenziale cambiamento,
benefico o dannoso, passando da uno scenario all’altro. Di fatto quindi sulla base delle nuove conoscenze acquisite durante
la fase 1 si è riformulato il problema, ovvero la valutazione del
rischio-beneficio intende rispondere alla domanda: “cosa succederebbe in termini di guadagno netto per la salute se invece
di consumare latte vaccino trattato termicamente, la popolazione di 100.000 nuovi nati assumesse solamente latte vaccino
crudo nel periodo di vita compreso tra 1 e 13 anni di età?”.
Poiché l’integrazione qualitativa non è stata sufficientemente
esaustiva e non ha consentito di definire se il consumo di latte
crudo nella popolazione di riferimento determina effetti positivi
o negativi in termini di guadagno netto, si è proceduto con l’integrazione quantitativa.
Si è calcolato il DALY per la popolazione di riferimento sia per
l’asma che per le malattie alimentari causate dai pericoli microbiologici oggetto di studio, sia nel caso dello scenario base che
per quello alternativo.
La stima del DALY per l’asma e delle sue componenti è descritta in Tabella 1. In sintesi nella popolazione di riferimento
la sostituzione del latte crudo con il latte trattato termicamente
determina sia per i maschi che per le femmine una riduzione
del DALY ovvero un “miglioramento dello stato di salute”. La
stima del DALY relativo alle gastroenteriti e sequele è riportata
in Tabella 2.
Tabella 2 DALY per le gastroenteriti associate ai patogeni
Campylobacter spp., Salmonella spp. ed E coli O 157VTEC
Scenario
base
Scenario alternativo
Δ
DALY
Campylobacter
spp.
88
88
0
Salmonella spp.
59
80
21
1
2977
2976
E coli O 157 VTEC
Totale
148
3145
2997
Il costo in termini di DALY delle gastroenteriti dovute consumo
di latte crudo negli anni di vita da 1 a 13, relativo agli individui
della coorte di 100.000 nuovi nati, è pari a 2997, di cui 2976
sono attribuibili alle tossinfezioni da E. coli O 157 VTEC e in
particolare ai decessi per SEU (sindrome uremico emolitica)
che ammontano a 72 contribuendo con un DALY di 2600.
In sintesi nella popolazione di riferimento la sostituzione del
latte crudo con il latte trattato termicamente determina un au72
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SVILUPPO DI FARMACI BIOTECNOLOGICI INNOVATIVI PER LE MALATTIE
DEGENERATIVE
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Giacca M.
tumori. Secondo, che la procedura per ottenerle è ancora
largamente inefficiente, e che quindi in molte situazioni, come
nel caso del cuore, non è semplice generare un numero
sufficiente di cellule tali da poter riparare un danno esteso.
International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB)
Trieste, Italy
Il discusso potenziale rigenerativo delle cellule staminali adulte
disorganizzati. Le cellule ES possono però essere coltivate in
laboratorio e fatte differenziare nel tipo cellulare desiderato,
ad esempio cardiomiociti nel caso del cuore, o neuroni nel
caso del cervello, e quindi inoculate in vivo nei rispettivi tessuti
danneggiati.
L’allungamento della vita cui abbiamo assistito durante l’ultimo
secolo è stato impressionante e progressivo: all’inizio del 1900,
l’aspettativa di vita in Europa era di 49 anni, per poi diventare
70 negli anni ’70, 76 nel 2000 ed oltre 85 anni ai nostri giorni.
Questo sta però portando alla luce un problema di straordinaria
rilevanza, ovvero l’incapacità di molti organi di rinnovarsi, e
quindi riparare i danni che subiscono nella vita adulta. Questo
è sostanzialmente il motivo per cui il numero di persone che
soffrono di malattie degenerative sta aumentando in maniera
eclatante. Non si rigenerano i neuroni della corteccia cerebrale
(oggi, un individuo su tre sopra gli 80 anni è affetto da una
demenza, nella maggior parte dei casi il morbo di Alzheimer),
le cellule della retina (più del 30% delle persone sopra i 75
anni soffre di degenerazione retinica legata all’età), le cellule
sensoriali dell’orecchio interno (più del 50% delle persone sopra
i 75 anni ha un difetto dell’udito), le cellule beta del pancreas
(170 milioni di diabetici al mondo), o i cardiomiociti del cuore,
per cui vivono in una condizione di scompenso cardiaco il 2-3%
degli individui della popolazione generale, ed il 10-20% di quelli
sopra i 70 anni.
Utilizzare le cellule ES nell’uomo è tuttavia complicato e
discusso. Complicato perché queste sono derivate dal prodotto
di un oocita fecondato, e quindi di fatto esprimono un MHC
diverso da quello del paziente in cui potrebbero essere iniettate,
che quindi dovrebbe essere immunosoppresso per riceverle.
Discusso perché le cellule ES derivano dalla disgregazione di
una blastocisti, generando quindi i problemi etici connessi alla
generazione di embrioni con la fecondazione in vitro e al loro
successivo utilizzo. In Italia, la contestata Legge 40 del 2004 non
consente la derivazione di cellule ES umane dalle blastocisti,
mentre peraltro permette l’utilizzo di quelle sviluppate in altri
Paesi e importate in Italia.
Oggi è però possibile ottenere cellule ES in maniera tale da non
dovere necessariamente ricorrere alla fecondazione in vitro.
Già alla fine degli anni ‘50, John Gurdon aveva scoperto che, in
Xenopus, quando inseriva il nucleo di una cellula specializzata,
quale una cellula della pelle, all’interno di un oocita, il prodotto
di questo processo di trasferimento nucleare generava una
cellula del tutto simile all’oocita fecondato, in grado quindi
di generare una blastocisti. Questa, una volta inoculata in
un individuo femmina, portava alla formazione di un nuovo
organismo geneticamente identico a quello da cui era stato
prelevato il nucleo. Questa tecnica per ottenere la cosiddetta
clonazione somatica rimase per decenni ristretta agli anfibi,
finché, nel 1997, Ian Wilmut, dimostrò che essa poteva essere
anche applicata ai mammiferi grazie all’esperimento che portò
alla nascita della pecora Dolly.
L’impatto medico, sociale e economico delle malattie
degenerative impone la ricerca di terapie innovative; è infatti
difficile pensare che farmaci di tipo tradizionale, solitamente
piccole molecole chimiche, possano innescare un processo
biologico complesso come la rigenerazione dei tessuti. In
questo senso è paradigmatico l’esempio del cuore: nonostante
la prevalenza dello scompenso cardiaco nella popolazione
mondiale, gli ultimi farmaci a essere stati sviluppati per questa
condizione (i sartani) datano alla metà degli anni ’90. Questo
significa che, dal punto di vista farmacologico, un paziente con
scompenso cardiaco viene oggi trattato con le stesse categorie
farmacologiche di una ventina di anni fa.
E’ in questo contesto che la ricerca di nuove strategie
rigenerative basate sull’uso di approcci di tipo biotecnologico
è oggi al centro di un crescente interesse. In particolare,
l’utilizzo di cellule con potenzialità staminale, ovvero capaci di
moltiplicarsi ma anche di differenziarsi in diversi tipi cellulari,
potrebbe offrire delle opzioni terapeutiche rivoluzionarie.
Più recente, e per certi versi rivoluzionario, è stato invece il
contributo di Shinya Yamanaka, che, nel 2006, dimostrò che
la riprogrammazione di una cellula somatica a diventare una
cellula ES può essere ottenuta inserendo, in un fibroblasto
coltivato in laboratorio, i geni che codificano per quattro fattori
di trascrizione propri delle cellule ES, la cui combinazione è in
grado di innescare un programma identico alle cellule embrionali.
Le cellule ottenute grazie ai geni di Yamanaka (induced
Pluripontent Stem cell, cellule iPS), e sono funzionalmente
analoghe alle cellule ES della blastocisti. Dal momento che
queste possono essere generate senza la necessità di creare
o distruggere un embrione, esse non pongono le problematiche
etiche che invece accompagnano l’utilizzo delle cellule ES o
quelle generate mediante la clonazione.
Cellule staminali embrionali per la medicina rigenerativa
La cellula staminale per eccellenza è quella che proviene
dall’embrione nelle primissime fasi dello sviluppo, quando,
circa 5 giorni dopo la fecondazione, questo è sotto forma di una
blastocisti composta da 150-200 cellule. Già dagli anni ’80 è
noto che dalla massa cellulare interna della blastociti possono
essere derivate delle cellule embrionali staminali (cellule ES)
che sono in grado di differenziarsi in virtualmente qualsiasi dei
più di 200 tipi cellulari presenti in un organismo adulto. Le cellule
ES, tuttavia, non possono essere utilizzate in maniera diretta:
una volta inoculate in un organo, infatti, queste continuano la
propria proliferazione incontrollata, e formano dei teratomi con
diversi gradi di aggressività, costituiti da tessuti eterogenei e
La generazione di cellule iPS per la rigenerazione dei tessuti
rappresenta oggi una delle strade più eccitanti che la ricerca
medica sta percorrendo. Due sono però i problemi principali da
risolvere prima di poter arrivare alla sperimentazione umana.
Il primo, che le cellule iPS presentano le stesse problematiche
legate alle cellule ES, ovvero soprattutto il rischio di indurre
74
DNA o RNA in grado di attivare programmi biologici complessi,
come appunto quelli coinvolti nella formazione dei tessuti. In
particolare, da qualche anno è noto che il nostro DNA, oltre a
contenere i geni che codificano per circa 24mila proteine diverse,
comprende anche qualche migliaio di geni che producono dei
filamenti di RNA deputati a funzioni di regolazione. Prima nel
nucleo e poi nel citoplasma, questi RNA subiscono una serie di
tagli enzimatici, che ne riducono le dimensioni fino a generare
piccoli RNA di 21-22 nucleotidi, a doppio filamento. Ciascuno
di questi microRNA si associa quindi a quegli RNA messaggeri
della cellula che portano una sequenza complementare e
blocca la produzione delle proteine da questi codificate.
Dal momento che un microRNA può avere come bersaglio
centinaia o migliaia di diversi mRNA cellulari, ciascuno di essi è
in grado di regolare interi programmi biologici complessi, tra cui
la proliferazione e il differenziamento cellulare.
Da diverse decine di anni è noto che nel liquido amniotico prima
e nell’organismo adulto poi sono presenti delle cellule con
potenzialità staminale, anche se più limitata delle cellule ES.
Queste cellule staminali adulte hanno capacità rigenerative che
persistono nell’arco della vita, ma in genere possono produrre
una progenie funzionalmente molto più limitata delle cellule ES,
talvolta ristretta alla produzione di un solo tipo cellulare, come
nel caso dell’epidermide o comunque di pochi, come nel caso
della cellula staminale ematopoietica.
Il paradigma della relativa specializzazione delle cellule
staminali adulte fu messo in discussione una quindicina di
anni fa, quando una serie di studi sembravano indicare che
cellule staminali totipotenti, ovvero in grado di trasformarsi in
una varietà di tessuti, dall’osso al cuore, esistessero anche
in diversi organi adulti. Queste osservazioni hanno portato a
una vasta serie di sperimentazioni cliniche, soprattutto centrate
sull’utilizzo di cellule mesenchimali staminali (o stromali;
MSC) prelevate dal midollo osseo o dal tessuto adiposo –
queste cellule, in laboratorio, sono effettivamente capaci di
generare molti tipi cellulari diversi, quali cellule del muscolo,
cuore, osso e cartilagine. I risultati di queste sperimentazioni,
tuttavia, sono per ora deludenti: a tutt’oggi, non esiste alcuna
evidenza che le MSC possano rigenerare in maniera utile dal
punto di vista terapeutico alcun tessuto nell’uomo. I marginali
effetti terapeutici osservati in alcune delle sperimentazioni
sono, con ogni probabilità, da scrivere a un effetto paracrino,
ovvero alla produzione, da parte delle cellule inoculate, di
fattori di crescita in grado di sostenere, in maniera transitoria, la
funzione dell’organo trattato o di stimolare la formazione di vasi
sanguigni. Quindi, le uniche applicazioni cliniche in cui cellule
staminali hanno effettivamente capacità rigenerativa rimangono
oggi quelle basate sulle cellule staminali ematopoietiche (per
il trapianto di midollo osseo) e le cellule staminali epiteliali
(utilizzate per la produzione di epidermide in laboratorio per
il trattamento delle grandi ustioni, per la rigenerazione della
cornea o per la copertura di tessuti artificiali o biocompatibili,
nelle applicazioni di chirurgia plastica o ricostruttiva).
In ambito cardiologico, la possibilità di indurre la rigenerazione
del cuore stimolando la capacità proliferativa dei cardiomiociti
differenziati prende spunto sostanzialmente da due
considerazioni. Primo, durante lo sviluppo embrionale e poi
fino al momento della nascita, il cuore un organo che assolve
alla sua funzione di pompa ma allo stesso tempo contiene
più del 35% dei cardiomiociti in fase di attiva replicazione.
Soltanto alla nascita che, per motivi ancora non compresi, la
proliferazione cessa e il successivo accrescimento del cuore
avviene con un meccanismo di ipertrofia delle cellule esistenti.
Secondo, nelle specie in cui la rigenerazione cardiaca avviene
anche nell’adulto, come in Zebrafish, questa non sostenuta
dalle cellule staminali, ma da direttamente dalla proliferazione
dei cardiomiociti adulti. Studi recenti condotti nel mio laboratorio
hanno effettivamente dimostrato che almeno una quarantina
di microRNA codificati dal genoma umano sono in grado di
stimolare in maniera efficace la proliferazione dei cardiomiociti
nel topo e quindi indurre la rigenerazione cardiaca dopo infarto
(Eulalio, A, et al. 2012. Nature 492, 376). Questi risultati
sembrano particolarmente incoraggianti, soprattutto perché
qualcuno di questi microRNA potrebbe essere direttamente
utilizzato come un farmaco genetico, iniettabile nel cuore
in condizioni di perdita di tessuto contrattile, come nel caso
dell’infarto o nel corso di cardiomiopatia.
Infine va ricordato che, qualunque sia la modalità terapeutica
sviluppata sperimentalmente per cercare di ottenere la
rigenerazione dei tessuti, la sua applicazione all’uomo deve
seguire le regole rigorose dei protocolli di sperimentazione
clinica. In questo senso, la legislazione Italiana si uniforma ai
protocolli europei, che equiparano le cellule staminali o gli acidi
nucleici da iniettare in un paziente a veri e propri farmaci, e quindi
richiedono che questi vengano prodotti in laboratori autorizzati.
Esistono attualmente più di una decina di Cell Factory in Italia,
autorizzati dall’AIFA a produrre cellule staminali.
Farmaci genetici per la rigenerazione cardiaca
Quando si considera la potenzialità rigenerative delle cellule
staminali, è inevitabile anche porsi la domanda di quanto
possa essere accessibile una medicina basata sul loro utilizzo.
Ad esempio, nel campo delle malattie cardiovascolari, che
colpiscono un terzo dell’umanità e in cui l’80% dei pazienti vive
nei Paesi meno avanzati, metodiche che prevedano il recupero
di cellule staminali dal cuore, la loro espansione in laboratori
avanzati e certificati e la loro reintroduzione mediante sofisticate
procedure interventistiche non sembra sostenibile in termini di
accessibilità e costi. Sembra quindi importante considerare lo
sviluppo di metodi alternativi, ad esempio in grado di stimolare
direttamente la capacità rigenerativa dei diversi tessuti e che
possano essere utilizzati come veri e propri farmaci.
Va fermamente rimarcato che ogni terapia avanzata deve
in ogni caso essere eseguita nel contesto dei protocolli
scientificamente rigorosi della sperimentazione clinica,
utilizzando trial controllati in doppio cieco ogniqualvolta sia
possibile. Fughe in avanti con trattamenti personalizzati di
sapore artigianale devono essere rigorosamente evitati.
Analogamente, la valutazione dell’eventuale efficacia deve
seguire i canoni rigorosi della medicina basata sull’evidenza,
rifuggendo da esperienze di sapore aneddotico.
E’ per questi motivi che è oggi al centro dell’interesse la nuova
classe dei farmaci genetici, ovvero quelli basati su segmenti di
75
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
LISTERIA FLEISCHMANNII E LISTERIA ROCOURTIAE:
CARATTERIZZAZIONE DEI PRIMI ISOLATI IN ITALIA
Caruso M. 1, Latorre L. 1, Parisi A.3, Fraccalvieri R. 1, Padalino I.2, Goffredo E. 2, Santagada G. 1
1
IZS Puglia e Basilicata-Matera; 2 IZS Puglia e Basilicata-Foggia; 3 IZS Puglia e Basilicata-Putignano (BA)
Keywords: Listeria fleischmannii, Listeria rocourtiae, first detection
SUMMARY
Two Listeria-like strains, the first isolated from ricotta cheese
collected in Puglia and the second from bovine raw milk of Basilicata, not identified as belonging to any known Listeria species using conventional methods, were identified by 16S rDNA
sequencing as L. fleischmannii and L. rocourtiae respectively.
Phenotypic characterization of both the isolates and comparison with L. fleischmannii and L. rocourtiae type strains and
other Listeria species were performed. This represents the first
detection of L. fleischmannii and L. rocourtiae in Italy.
INTRODUZIONE
Il genere Listeria comprende attualmente 6 specie “classiche”
(L. monocytogenes, L. innocua, L. welshimeri, L. ivanovii, L.
seeligeri e L. grayi) identificate dai test convenzionali, e 4
specie “nuove” (L. marthii, L. rocourtiae, L. fleischmannii e
L. weihenstephanensis) solo recentemente isolate e incluse
nel genere Listeria, la cui identificazione richiede l’utilizzo di
metodiche molecolari più complesse rispetto alle tradizionali
(1,2,3). L. fleischmannii è stata isolata per la prima volta nel
2011 in Svizzera da formaggio (1). Recentemente sono stati
descritti in Colorado isolati di L. fleischmannii fenotipicamente e
geneticamente differenti dal ceppo isolato in Svizzera, identificati
come una nuova sub specie denominata L. fleischmannii
subsp. coloradensis (3). Attualmente quindi, nell’ambito della
specie L. fleischmannii, si riconoscono la subsp. fleischmannii
e la subsp. coloradensis. L. rocourtiae è stata isolata nel 2002
in Austria da lattuga pretagliata pronta al consumo (2). Nel
presente lavoro è descritta la caratterizzazione fenotipica di due
isolati con caratteristiche morfologiche riferibili a Listeria spp.
che, non identificabili con i metodi convenzionali nell’ambito
del genere Listeria, sono stati rispettivamente identificati come
L. fleischmannii e L. rocourtiae mediante analisi della sequenza
del 16S rDNA; essi rappresentano il primo isolamento di queste
due nuove specie di Listeria in Italia.
due isolati è stato sottoposto a PCR utilizzando i primer universali del gene 16S rDNA. I prodotti di amplificazione sono stati
sequenziati utilizzando il BigDye 3.1 Ready reaction kit (Life
Technologies) e sottoposti ad elettroforesi mediante 3130 Genetic Analyzer (Life Technologies). Le sequenze ottenute sono
state assemblate con il software Bionumerics 7.1 e sottomesse
in BLAST nel database nr di NCBI Genebank.
Caratterizzazione fenotipica. Entrambi gli isolati sono stati
sottoposti alle seguenti prove: colorazione di Gram, test della
catalasi e test dell’ossidasi; valutazione dell’attività emolitica sia mediante semina per infissione su Agar Sangue (AS)
al 5% di globuli rossi di montone sia mediante CAMP test con
Staphylococcus aureus e Rhodococcus equi; valutazione della motilità a 25, 30 e 37 °C mediante semina per infissione in
terreno mobilità al 2‰. È stata inoltre valutata la crescita dopo
incubazione alle temperature di 4°C per 15 giorni, 25-30-37 e
42°C per 24-48 h, sia su terreno solido (AS) sia in terreni liquidi (Brain Heart Infusion (BHI); Tryptone Soy Broth (TSB) e la
crescita sui terreni selettivi PALCAM, Oxford, ALOA a 37°C
per 24-48h. Sono stati condotti inoltre i seguenti test: riduzione
dei nitrati mediante inoculazione per infissione su Agar Mobilità
Nitrati; idrolisi del sodio ippurato; valutazione della produzione
di idrogeno solforato sia in micro metodo mediante API20E®
bioMérieux sia in macrometodo su terreno Triple Sugar Iron.
La fermentazione dei carboidrati e le attività enzimatiche sono
state valutate mediante test biochimici miniaturizzati del commercio (API Listeria®; API 50CH® sia con API 50 CHL® sia con
API 50 CHB® medium bioMérieux). La sensibilità ad un’ampia
gamma di antimicrobici è stata valutata mediante diffusione
su piastra con metodica Kirby-Bauer (tab.2). Per la valutazione
della virulenza, sono stati eseguiti il test di patogenicità su
topino, mediante inoculazione per via intraperitoneale di topini
Swiss, e il test di invasività su monostrati confluenti di cellule
intestinali umane Caco2. I ceppi sono stati sierotipizzati usando
specifici antisieri del commercio (Denka-Seiken).
MATERIALI E METODI
Isolamento e identificazione. I due ceppi sono stati isolati, nel
periodo ottobre-dicembre 2012, da campioni prelevati dal Servizio Sanitario Nazionale, nell’ambito delle attività di controllo
ufficiale degli alimenti . Il ceppo di L. fleischmannii è stato isolato da ricotta stagionata ovina prodotta in Puglia. Il ceppo di L.
rocourtiae è stato invece isolato da latte bovino prelevato in un
distributore di latte crudo in Basilicata. Sia i campioni di ricotta
stagionata che i campioni di latte crudo sono stati esaminati
secondo ISO 11290-1+Amendment 1-2004 per la ricerca di
L. monocytogenes. Al fine di identificare e caratterizzare i due
isolati, che presentavano caratteristiche riferibili a Listeria spp.,
ma che con le comuni prove di conferma non risultavano appartenere a nessuna delle specie classiche del genere Listeria,
sono state effettuate le prove di seguito riportate.
Analisi della sequenza del 16 S rDNA. Il DNA genomico dei
RISULTATI E CONCLUSIONI
L’analisi della sequenza del 16S rDNA ha identificato l’isolato di Listeria proveniente da ricotta stagionata ovina come L.
fleischmannii e l’isolato riscontrato nel latte di massa bovino
come L. rocourtiae (dati non mostrati). Entrambi gli isolati hanno mostrato crescita dopo 24-48 h a 25-30-37-42°C e dopo 2
settimane a 4°C, sia su AS che in BHI e TSB. Tali riscontri sono
in accordo con quanto riportato in letteratura per i ceppi target
di L. fleischmannii e L. rocourtiae, ad eccezione della crescita
a 42°C presente nel ceppo di L. rocourtiae da latte ma assente
nel ceppo target (1, 2, 3).
Le colonie di L. fleischmannii e di L. rocourtiae si presentavano
marrone-nero su Oxford e blu-verdi senza alone su ALOA; il
ceppo target di L. rocourtiae era invece incapace di crescere su
ALOA (2). Su PALCAM L. rocourtiae formava le tipiche colonie
grigio verdi con alone nero, mentre le colonie di L. fleischman76
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
due sub specie target, è risultata resistente alla amoxicillina; L.
rocourtiae, a differenza della specie target, è risultata resistente
a amoxicillina e penicillina e sensibile a tetraciclina, streptomicina, cefoperazone e cefazolina (1, 2, 3).
Sia L. fleischmannii che L. rocourtiae sono risultate incapaci
di uccidere i topini e di invadere le cellule Caco2, a conferma dell’assenza di patogenicità già rilevata per le specie target
(1, 3). Entrambi i ceppi non sono stati agglutinati dagli antisieri
specifici diretti contro gli antigeni somatici e flagellari, come già
evidenziato per le specie target (1, 3).
nii mostravano margini sfrangiati con centro nero depresso,
aspetto peculiare che la differenzia dalle altre specie. In tabella
1 sono riportati i risultati delle prove biochimico-metaboliche e
di mobilità a confronto con le altre specie di Listeria. Il ceppo
di L. fleischmannii condivide alcune caratteristiche biochimicometaboliche con L. fleischmannii subsp. fleischmannii e altre
con L. fleischmannii subsp. coloradensis (1, 3). Il ceppo di L.
rocourtiae differisce dalla specie target nella fermentazione di
diversi zuccheri (2). In tabella 2 sono riportati i risultati dei test
di sensibilità agli antibiotici. L. fleischmannii, a differenza delle
Tabella 1 – Principali caratteristiche fenotipiche degli isolati di L. fleischmannii da ricotta ovina e di L. rocourtiae e confronto con le altre specie del genere Listeria
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
Gram
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Catalasi
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Ossidasi
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
Emolisi
-
-
-
-
-
-
+
+
-
-
-
+
-
Motilità (25-30°C)
-
-
-
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Nitrati
+
+
nr
+
nr
-
-
-
-
v
-
-
+
Ippurato
+
+
nr
+
nr
+
+
+
+
v
+
+
nr
H 2S
-
+
nr
-
nr
-
-
-
-
-
+
-
+
Esculina
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Arilamidasi
-
-
-
-
-
+
+
v
v
+
-
-
-
a-mannosidasi
-
-
-
-
+
+
-
-
+
v
+
+
-
D-arabitolo
+
-
+
-
-
+
+
+
+
+
+
+
+
D-galattosio
-
-
nr
-
+
-
-
-
-
+
-
-
-
D-mannitolo
+
+
v
-
+
-
-
-
-
+
-
-
+
D-melezitosio
+
+
-
-
-
+
+
v
+
v
-
+
-
D-melibiosio
-
-
nr
-
+
-
-
-
-
-
-
-
-
D-turanosio
-
+
-
-
-
v
-
-
-
-
nr
-
-
Glicerolo
-
-
+
-
+
+
+
+
+
v
nr
v
+
Inositolo
-
-
+
-
+
-
-
-
-
-
nr
-
+
Eritritolo
-
nr
nr
-
+
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
L-sorbosio
-
+
nr
-
+
-
-
-
-
v
-
-
-
Dulcitolo
-
nr
nr
-
+
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
Sorbitolo
-
nr
nr
-
+
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
D-maltosio
+
nr
nr
-
+
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
D-raffinosio
-
nr
nr
-
+
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
Glicogeno
-
nr
nr
-
+
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
nr
D-saccarosio
-
+
-
-
-
+
+
+
+
-
-
+
-
1: L. fleischmannii da ricotta ovina; 2: L. fleischmannii subsp. fleischmannii; 3: L. fleischmannii subsp. coloradensis; 4: L. rocourtiae da latte crudo; 5: L. rocourtiae; 6: L. innocua; 7: L. seeligeri; 8: L. ivanovii; 9: L. welshimeri; 10: L. grayi; 11: L. marthii; 12:
L. monocytogenes; 13: L. weihenstephanensis (+: reazione positiva; -: reazione negativa; nr: non riportata; v: variabile)
77
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Tabella 2 – Sensibilità agli antibiotici degli isolati di L. fleischmannii da ricotta ovina (1) e di L. rocourtiae da latte
bovino (2) e confronto con L. fleischmannii subsp. fleischmannii (3), L. fleischmannii subsp. coloradensis (4), L. rocourtiae (5)
ANTIBIOTICI
1
2
3
4
5
Amoxicillina
R
S
S
R
S
Cloramfenicolo
S
S
S
S
S
Gentamicina
S
S
S
S
S
Ampicillina
S
S
S
S
S
Acido nalidixico
R
R
R
R
R
Tetraciclina
S
S
S
S
R
Clindamicina
R
R
R
S
S
Ciprofloxacin
S
S
S
S
S
Eritromicina
S
S
S
S
S
Kanamicina
S
S
S
R
R
Rifampicina
S
S
S
S
S
Penicillina
S
S
S
R
S
Vancomicina
S
S
S
S
S
Minociclina
-
-
R
-
-
Cefalessina
-
-
-
R
R
Streptomicina
-
-
-
S
R
Cefalotina
-
-
-
R
R
Cefoperazone
-
-
-
S
R
Cefazolina
-
-
-
S
R
La dimostrata circolazione di L. fleischmannii e di L. rocourtiae
anche in Italia suggerisce la necessità di considerare anche
queste specie nelle prove di identificazione. Al momento, la
prova biochimico-metabolica in grado di discriminare facilmente queste due specie di Listeria dalle altre è la riduzione dei
nitrati.
Atteso che i due ceppi isolati esprimono alcune caratteristiche
fenotipiche differenti rispetto alle corrispondenti specie target,
sono in corso ulteriori indagini molecolari per evidenziare anche eventuali differenze genetiche.
BIBLIOGRAFIA
1 Bertsch D, Rau J, Eugster MR, Haug MC, Lawson PA, Lacroix
C, Meile L. 2012. Listeria fleischmannii sp. nov., isolated from
cheese. Int J Syst Evol Microbiol 63: 526-32.
2 Leclercq A, Clermont D, Bizet C, Grimont PA, Le Flèche-Matéos A, Roche SM, Buchrieser C, Cadet-Daniel V, Le Monnier
A, Lecuit M, Allerberger F. 2010. Listeria rocourtiae sp. nov. Int
J Syst Evol Microbiol 60: 2210-4.
3 den Bakker HC, Manuel CS, Fortes ED, Wiedmann M, Nightingale KK. 2013. Genome sequencing identifies Listeria fleischmaniii subsp. coloradensis subsp. Nov., a novel Listeria fleischmannii subspecies isolated from a ranch in Colorado. Int J
Syst Evol Microbiol (ahead of print).
La bibliografia completa è disponibile presso gli autori.
Ringraziamenti: si ringraziano per la collaborazione tecnica
Decandia P., Filazzola L., Nardella La Porta A.
(S: sensibile; R: resistente; -: non testato)
78
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Escherichia coli ENTEROAGGREGATIVI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA:
NUOVO PATOTIPO O EVENTO ACCIDENTALE?
Grande L., Ranieri P., Michelacci V., Tozzoli R., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S.
Laboratorio Comunitario e Nazionale di Riferimento per Escherichia coli, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e
Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia;
Keywords: Escherichia coli, infection, vtx-phages
ABSTRACT
The Escherichia coli O104:H4 strain that caused the large
outbreak in 2011 showed atypical combination of virulence
factors between Enteroaggregative (EAEC) and Verocytotoxinproducing E. coli (VTEC). A retrospective study confirmed that
this was not the first event of acquisition of Verocytotoxin genes
by an EAEC.
The aim of this study was to ascertain if the acquisition of vtxphages by EAEC is a common event or if it occurs rarely. High
titer lysates of several vtx-phages were used to infect a panel
E. coli strains as recipients by spot agar test.
Results showed that acquisition of vtx-phages by E. coli strains
belonging to several pathotypes is possible but occurs rarely
and with a very low efficiency in the conditions used in the
laboratory.
da parte di un pannello di ceppi EAEC e di speculare sulle
condizioni che favoriscono questo evento. Inoltre, è stata
valutata la possibilità che un simile scenario sia possibile con
altri patogruppi di E. coli, generando così nuovi patotipi ad alto
potenziale patogeno.
MATERIALI E METODI
Esperimenti di infezione sono stati condotti utilizzando
preparazioni di lisato fagico ad alto titolo (da 109 a 1011 PFU/
ml). Tali preparazioni sono state ottenute dal ceppo O111:H2
che causò nel 1990 il focolaio epidemico in Francia, in seguito
all’induzione del ciclo litico del batteriofago e all’amplificazione
del lisato fagico attraverso successive infezioni in un ceppo
E. coli K12 propagatore, e dal ceppo O104:H4 che è stato
associato ad un caso pediatrico di SEU in Italia nel 2009 (7). I
lisati fagici sono stati utilizzati per infettare un pannello di stipiti
di E. coli appartenenti a diversi patotipi (tabella 1). Gli stessi
ceppi sono stati infettati anche con il fago BP933W, ottenuto
con il medesimo procedimento dal ceppo VTEC O157 di
riferimento EDL933.
Sono stati infettati 10 ceppi EAEC, 10 EPEC, 5 ETEC (tabella
1), facenti parte della collezione di ceppi dell’Istituto Superiore
di Sanità e isolati tra il 1987 e il 2010, utilizzando la tecnica
dell’infezione in agar o spot test. Questa metodica consiste
nella produzione di uno strato omogeneo dei ceppi da infettare
in un film sottile di agar sulla superficie di una piastra di terreno
ricco, in modo da poter valutare l’eventuale effetto litico tramite
l’osservazione di singole placche o aree litiche estese in seguito
alla deposizione in punti circoscritti della piastra di estratti virali
concentrati sottoforma di gocce (10 µl in volume).
Sono stati anche condotti tentativi di re-infezione del ceppo
EAHEC O111:H2 derivativo privato del fago vtx2. Quest’ultimo
ceppo è stato ottenuto in seguito ad induzione con raggi
UV di una coltura del ceppo selvatico e successiva analisi
di numerose colonie mediante saggio di citotossicità su
monostrato di cellule Vero per valutare la produzione di VT.
Su 380 colonie testate 2 risultavano negative a questo test.
L’assenza del batteriofago vtx2 è stata confermata sia per
PCR che attraverso un saggio di Southern Blot utilizzando
500 ng di sonda in grado di ibridare il gene codificante la
subunità B della VT2. In entrambi i casi la coppia di primers
utilizzata
è
GK3/GK4 (cccggatccatgaagaagatgtttatggc/
cccgaattctcagtcattattaaactgcac) (6).
INTRODUZIONE
Escherichia coli è una specie batterica caratterizzata da
un’elevata plasticità genomica correlata all’emergenza di
numerosi gruppi patogeni o patotipi. Per ogni patotipo, i fattori
di virulenza sono veicolati da elementi genetici mobili acquisiti
per via orizzontale.
Nell’estate 2011 si è verificata in Germania e Francia una
grande epidemia causata da un ceppo di E. coli particolarmente
virulento, caratterizzato da una inusuale combinazione di fattori
di virulenza generalmente presenti in patotipi distinti, gli E. coli
enteroaggregativi (EAEC) e i ceppi produttori di Verocitotossina
(VTEC). Il ceppo epidemico, di sierotipo O104:H4, presentava
i geni associati al il meccanismo di adesione proprio dei ceppi
EAEC, ed era in grado di produrre la Verocitotossina (VT).
In seguito all’epidemia tedesca, è stato coniato il termine di
Escherichia coli Enteroaggregativo Emorragico (EAHEC) (1)
per definire questi ceppi con elevato potenziale patogeno.
Ceppi EAHEC O104 sono stati retrospettivamente identificati in
alcuni casi sporadici di infezione in Europa avvenuti tra il 2001
e il 2010, incluso un caso pediatrico di Sindrome EmoliticoUremica (SEU) riportato in Italia (3).
Tale combinazione di caratteristiche di virulenza non era
completamente sconosciuta prima dell’epidemia tedesca. Nel
corso delle indagini su un piccolo focolaio epidemico che si
verificò in Francia nel 1990 fu infatti isolato un ceppo EAEC di
sierotipo O111:H2 capace di produrre la VT2 (5).
Recentemente, un ceppo EAHEC di sierotipo O111:H21 ha
provocato nell’Irlanda del Nord un caso pediatrico di SEU e 2
casi correlati di diarrea emorragica (2).
L’osservazione dei casi sporadici di infezione osservati negli
ultimi 20 anni culminati con la grande epidemia avvenuta in
Germania e Francia nel 2011, suggerisce che gli EAHEC
costituiscano un nuovo patotipo di E. coli, piuttosto che
eventi accidentali di acquisizione da parte di ceppi EAEC dei
batteriofagi veicolanti i geni VT.
Lo scopo di questo lavoro è stato valutare sperimentalmente
l’evento di acquisizione dei batteriofagi che producono le VT
RISULTATI E CONCLUSIONI
Prove di infezione mediante lisi su agar di ceppi EAEC, EPEC
ed ETEC.
Un totale di 25 ceppi di E. coli appartenenti a diversi patotipi
(Tabella 1) sono stati sottoposti a prove di infezione mediante
lisi su agar come descritto in Materiali e Metodi.
Sono state utilizzate preparazioni fagiche appartenenti al ceppo
VTEC O157 di riferimento EDL933, al ceppo O104:H4 isolato
in Italia nel 2009, e al ceppo O111:H2 del focolaio epidemico
79
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
francese. In ogni esperimento, 2 ceppi di E. coli K12 (MG1655
e LE392) sono stati utilizzati come controllo positivo d’infezione.
Nel caso del batteriofago BP933W e di quello ottenuto dal
ceppo O104:H4 italiano nessun ceppo test mostrava lisi dopo
essere stato infettato con 107 PFU sebbene entrambi i ceppi
K12 mostrassero lisi ascrivibile ad un’avvenuta infezione.
Nel caso della preparazione fagica ottenuta dal ceppo O111:H2
alcuni tra i ceppi test mostravano una blanda area litica dopo
essere stati infettati con 109 PFU, e in particolare: 1/10 EPEC,
1/5 ETEC e 3/10 EAEC. I due ceppi K12 mostravano invece
un’estesa area litica.
VT2. A conferma dell’infettività, il ceppo LE392-vtx2 ha mostrato
effetto citopatico su monostrato di cellule Vero.
Il grave episodio epidemico avvenuto in Germania e in
Francia, nel Maggio 2011, che ha fatto registrare più di 4000
casi di infezione, di cui 850 casi di SEU e 50 decessi (4; 8)
ha drammaticamente sollevato il problema dell’emergenza
di nuovi tipi patogeni di E. coli derivanti dalla fusione delle
caratteristiche di virulenza proprie di patotipi pre-esistenti.
I risultati degli esperimenti riportati in questo studio suggeriscono
che l’acquisizione di un batteriofago veicolante la VT da parte di
ceppi EAEC, almeno nelle condizioni sperimentali utilizzate, è
un evento possibile ma poco efficiente, dal momento che i ceppi
EAEC infettati con diverse preparazioni fagiche ad alto titolo
hanno mostrato solo in alcuni casi delle blande aree ascrivibili a
lisi, ma mai un’estesa area litica come quella mostrata dai ceppi
di E. coli K12. Stesso tipo di conclusioni possono essere tratte
per i ceppi di E. coli appartenenti agli altri patogruppi testati
(EPEC, ETEC). Inoltre, il batteriofago proveniente dal ceppo
E. coli O111:H2, pur avendo mantenuto la propria infettività in
quanto in grado di lisogenizzare stabilmente un ceppo E. coli
K12, non è stato in grado di re-infettare il medesimo ceppo da
cui deriva nella sua versione curata dal fago vtx2.
Queste osservazioni suggeriscono che, perché l’evento
si manifesti, devono probabilmente sussistere condizioni
ambientali e biologiche favorevoli non presenti nelle condizioni
di laboratorio utilizzate, e che potrebbero esistere fattori
batterici o fagici specifici perché l’infezione abbia successo.
I patogruppi VTEC ed EAEC differiscono per il loro habitat
naturale, infatti i VTEC sono agenti di zoonosi con serbatoio
bovino, mentre gli EAEC si diffondono per via interumana e
l’ospite naturale è l’uomo.
Si può ipotizzare che un ambiente fortemente contaminato
da feci di origine umana e condiviso con i ruminanti, come
si riscontra comunemente nei paesi in via di sviluppo, possa
rappresentare il substrato ideale perché avvenga l’acquisizione,
da parte di ceppi EAEC, dei fagi codificanti la VT. A supporto di
questa tesi ci sono le osservazioni che, oltre che per il ceppo
epidemico EAHEC O104, anche per molti altri casi di infezione
causati da ceppi EAHEC è stato possibile tramite analisi
retrospettive stabilire dei collegamenti diretti/indiretti con i paesi
in via di sviluppo (4,7).
Ulteriori studi sono in corso per identificare i fattori in grado di
influenzare l’acquisizione di batteriofagi vtx da parte di ceppi di
E. coli selvatici.
Tabella 1. Ceppi di E. coli utilizzati per gli esperimenti di
infezione.
Ceppo
Patogruppo
Sierogruppo
EF 2
EPEC
O55
EF 4
EPEC
O86
EF 5
EPEC
O127
EF 21
EPEC
O128
EF 22
EPEC
O128
EF 28
EPEC
O55
EF 31
EPEC
O26
EF 33
EPEC
O111
EF 79
EPEC
O26
EF 117
EPEC
O127
EA 1
ETEC
-
EA 4
ETEC
O39
EA 5
ETEC
O159
EA 9
ETEC
-
EA 22
ETEC
-
EF 40
EAEC
O78:H33
EF 81
EAEC
-­­
EF 114
EAEC
O3:H2
EF 283
EAEC
O126
EF 314
EAEC
-
EF 322
EAEC
-
EF 347
EAEC
O114
EF 366
EAEC
O126
EF 368
EAEC
O111
EF 392
EAEC
O26
Prove di infezione mediante lisi su agar di un ceppo O111:H2
derivativo privato del fago vtx2.
Le stesse prove di infezione sono state condotte sul ceppo
O111:H2 derivativo privato del fago vtx2. Utilizzando questo
approccio non è stato possibile individuare alcuna area litica;
il ceppo curato pertanto non poteva essere re-infettato dal
batteriofago vtx2 proveniente dal ceppo O104:H4, né da quello
proveniente dal VTEC O157, e nemmeno dal fago vtx2 che il
medesimo ceppo O111:H2 veicola come ceppo selvatico.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
7. Scavia G., Morabito S., Tozzoli R., Michelacci V., Marziano
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vtx2 proveniente dal ceppo O111:H2.
Il batteriofago proveniente dal ceppo O111:H2 non aveva
tuttavia perso la propria infettività. E’ stato infatti possibile
lisogenizzare stabilmente il ceppo E. coli K12 LE392 con questo
batteriofago. Alcune colonie cresciute nell’area litica prodotta in
seguito all’infezione del ceppo LE392 con questo batteriofago,
prelevate e trasferite su terreno ricco, dopo numerosi passaggi
risultavano ancora positive in PCR per la presenza del gene
80
81
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
NANOPARTICELLE DI ARGENTO E SALMONELLA:
EFFICACIA ANTIBATTERICA E MECCANISMO DI RESISTENZA
Losasso C.1, Belluco S.1, Cibin V.1, Cappa V.1, Zavagnin P.1, Longo A.1, Gallocchio F.1, Ricci A.1
SCS1 Analisi del Rischio e Sorveglianza in Sanità Pubblica,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10 – 35020 Legnaro (PD)
1
Key words: Salmonella, Silver nanoparticles, Silver resistance
SUMMARY
Great interest exists toward the possibility of using silver
nanoparticles (AgNPs) to control foodborne pathogens because
their strong biocidal effect against different bacteria species (1).
Since Salmonella spp. is one of the main cause of foodborne
illnesses in humans worldwide its sensitivity to AgNPs has been
studied. The bactericidal activity of different concentration of
AgNPs against three Salmonella serovars (S. Senftenberg, S.
Enteritidis, and S. Hadar) has been tested. The results show an
immediate but time limited reduction of bacterial viability depending
on the Salmonella serovar. In the case of S.Senftenberg, the loss
of viability can be observed up to 4h of incubation in the presence
of 200mg/L of AgNPs; on the contrary, S. Enteritidis, and S. Hadar
result to be inhibited up to 48h. A PCR screening demonstrated
the presence of Ag resistance determinant (SilB) only in the case
of the S. Senftenberg strain.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
canismo antimicrobico simile per entrambe le forme chimiche,
probabilmente causato dalla ionizzazione dell’Ag nel mezzo
di coltura. La riduzione selettiva dell’efficacia antimicrobica
dell’Ag sui diversi sierotipi di Salmonella suggerisce la presenza di uno specifico meccanismo di resistenza, dipendente dal
ceppo testato.
teritidis (Figura 3E), inibita completamente dopo la prima ora di
esposizione ad una dose di 50mg/L; in presenza di 100mg/L di
AgNPs, la crescita cellulare continua ad essere inibita anche dopo
72 ore di esposizione. Nel caso di S. Hadar (Figura 3C), nonostante l’efficacia delle AgNPs sia paragonabile a quella osservata per
S. Enteritidis, la fine dell’inibizione è osservabile in un tempo compreso tra 1 e 72 ore, in dipendenza dalla dose. Le AgNPs sono
risultate inefficaci nei confronti di S. Senftenberg (Figura 3A), nel
cui caso si osserva una ripresa completa della crescita microbica
in un tempo compreso tra 1 e 4 ore, in dipendenza dalla dose. Un
effetto dipendente dalla dose e un andamento delle curve di crescita parallelo a quello osservato per le AgNPs si osserva anche
in presenza di AgNO3 per ognuno dei tre sierotipi (Figura 3,B,D,F).
Figura 1: Curve di crescita di S. Senftenberg, S. Hadar e S. Enteritidis in presenza di AgNPs 200 mg/L (A) e AgNO3 20mg/L (B)
le della selezione di specifici determinanti di resistenza (6) ma,
attualmente, non ci sono informazioni disponibili sulla possibilità
che il medesimo effetto possa anche essere causato dall’argento
nanoparticellare.
Questo studio si pone l’obiettivo di testare l’efficacia delle AgNPs
quali antimicrobici nei confronti di S. Enteritidis, S.Hadar e
S.Senftenberg e di studiare da un punto di vista molecolare le
cause di eventuali differenze di efficacia osservate.
MATERIALI E METODI
Le AgNPs (NM300K) sono state acquistate presso la LGC Standards (US). Come controllo è stato utilizzato il Nitrato di Argento
(AgNO3) (Sigma-Aldrich US).
I ceppi di S.Enteritidis, Hadar e Senftenberg, sono stati selezionati
dalla collezione del laboratorio di referenza OIE per la Salmonellosi. S. Enteritidis ed S. Hadar sono stati selezionati in base all’
importanza che rivestono per la salute pubblica, S. Senftenberg
per la capacità di adattarsi a condizioni ambientali estreme. Le
colture microbiche sono state mantenute in Agar Tryptone (TA),
trasferite in 15ml di Mueller Hinton Broth (MHB) e incubate a 37°C
per 16 ore, prima di essere utilizzare per i test.
I test di inibizione della crescita microbica sono stati effettuati utilizzando soluzioni acquose di AgNO3, come controllo, e sospensioni
di AgNPs. L’efficacia delle AgNPs quali agenti antimicrobici è stata determinata testando il numero di cellule microbiche in grado
di formare colonie dopo l’esposizione a diverse concentrazioni di
AgNPs. Brevemente, colture di Salmonella, coltivate in MHB fino
a raggiungere l’ OD600 = 0.3, sono state incubate in agitazione ad
una temperatura di 37°C per 30’, 1h, 2h, 4h, 24h, 48h and 72h
in presenza di AgNPs (200, 150, 100, 50, 20 mg/L) o di AgNO3
(20, 15, 10 mg/L). Nei tempi previsti 100 ml di coltura batterica
sono stati prelevati e diluiti serialmente in MHB, seminati in piastre di XLT4 Agar e incubati a 37°C per 24h. Il numero di colonie
vitali è stato espresso come CFU/ml. Ogni esperimento è stato
condotto in triplicato. Per studiare da un punto di vista molecolare
la resistenza all’Ag dei ceppi batterici analizzati, è stato messo a
punto uno screening basato sulla tecnica della PCR per la ricerca
del gene SILB che codifica per una proteina che esplica un ruolo
centrale nell’ambito del complesso SilBCA deputato all’efflusso
dell’Ag dall’interno della cellula all’esterno (6).
INTRODUZIONE
Salmonella spp. è riconosciuta essere uno dei patogeni
maggiormente responsabili di malattie a trasmissione alimentare.
Nel 2011, nella sola Unione Europea sono stati registrati 95,548
casi di salmonellosi ed è stato stimato che il 26% di tutti i focolai di
malattie alimentari sia stato causato da Salmonella spp. (2).
Diverse misure sanitarie sono state efficacemente applicate per il
controllo di Salmonella spp. tra cui l’attuazione di piani di controllo
nella popolazione animale e la corretta gestione dell’igiene della
produzione degli alimenti; si sottolinea che a livello di allevamento
l’utilizzo di antibioticii a questo scopo è espressamente vietato dalla normativa Comunitaria vigente (3), anche a causa dell’aumentato rischio di diffusione di fenomeni di antibiotico resistenza. Per
questo motivo lo studio dell’efficacia e dell’applicabilità di nuovi
composti ad azione antibatterica rappresenta una delle priorità per
la comunità scientifica internazionale.
L›argento è stato usato per secoli come antimicrobico, sia nella terapia delle infezioni microbiche che nel miglioramento delle condizioni di conservazione degli alimenti, grazie alla sua estrema tossicità sia nei confronti dei batteri Gram-negativi che Gram-positivi.
Vari studi hanno dimostrato che alcune formulazioni di nanoparticelle, a causa della maggiore reattività derivante dall’elevato rapporto superficie/volume, esercitano un potere antimicrobico che
le rende potenzialmente utilizzabili come agenti battericidi efficaci
(1).
In particolare, l’argento in forma nanoparticellare (AgNP) è noto
per le sue notevoli proprietà biocide nei confronti di diverse specie
batteriche. E’ generalmente accettato che la tossicità di queste formulazioni nei confronti dei microrganismi è fortemente associata
alla capacità delle nano particelle metalliche, o degli ioni da esse
liberati, di legare la struttura molecolare della membrana cellulare
batterica, destabilizzandone il potenziale di membrana e causando perdite protoniche (4).
Anche se l›efficacia delle AgNPs è già stata testata contro il genere Salmonella (5), ad oggi non sono ancora disponibili dati riguardanti l’attività nei confronti di specifici sierotipi. Inoltre, l’uso
di Ag come antimicrobico è stato dimostrato essere responsabi-
RISULTATI E CONCLUSIONI
Le curve di crescita microbica ottenute mostrano la rapida e completa riduzione della vitalità cellulare di tutti e tre i sierotipi di Salmonella nei primi 30 minuti di incubazione in presenza di 200 mg/L
AgNPs (Figura 1A) e 20mg/L AgNO3 (Figura 1B).
Ciò nonostante, dall’analisi delle curve di crescita si evince che
l’effetto antimicrobico è strettamente associato al tempo di incubazione per tutti e tre i ceppi microbici.
Nel caso di S. Senftenberg, infatti, l’inibizione della crescita microbica termina completamente dopo le prime 4 ore di incubazione mentre nel caso di S. Hadar ed S. Enteritidis l’inibizione
si osserva fino a 48 ore di incubazione. Questo effetto è visibile
sia in presenza di AgNPs che di AgNO3, suggerendo un mec82
Figura 3: Curve di crescita di S. Senftenberg (A), S. Hadar (C)
e S. Enteritidis (E), in presenza di diverse dosi di AgNPs.
In Figura 2 è illustrato il risultato dell’amplificazione del gene
SILB nei tre ceppi microbici considerati. Il prodotto di PCR da
233bp corrispondente, è stato identificato esclusivamente in S.
Senftenberg (pozzetto n.6); questo è coerente con il fenotipo
resistente mostrato nel saggio di vitalità dallo stesso ceppo.
Klebsiella pneumoniae, clone ST258, è stata utilizzata come
controllo positivo essendo già stata descritta come contenente
determinanti di resistenza all’Arsenico, al Rame e all’Argento.
Figura 2: Prodotti della PCR per la ricerca di SILB ottenuti a
partire da DNA totale di K. pneumoniae (1 e 2), S. Enteritidis
(3), S. Hadar (4), controllo negativo (5) e S. Senftenberg (6).
Dall’analisi delle curve riportate in Figura 3 l’effetto inibitorio
delle AgNPs appare essere dose-dipendente.
Dai risultati ottenuti si può concludere che le AgNPs possono
essere considerate efficaci nell’inibizione delle Salmonelle in
assenza di specifici determinanti genetici di resistenza. Tuttavia l’azione antibatterica limitata nel tempo, suggerisce la necessità di ripetute somministrazioni al fine di controllare efficacemente la carica microbica.
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Dall’analisi delle curve riportate in Figura 3 l’effetto inibitorio delle
AgNPs appare essere dose-dipendente tranne che per S. Senftenberg (Figura 3A.) per cui le AgNPs sono risultate inefficaci .
La dose di 200mg/L di AgNPs è quella maggiormente efficace per
inibire S.Hadar e S.Enteritidis, la cui vitalità cellulare risulta inibita
per 48 e 72 ore di incubazione mentre la dose di 20 mg/L di AgNPs
è inefficace.
Le AgNPs risultano essere particolarmente efficaci contro S. En83
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Istituto Zoprofilattico Sperimentale della Sicilia, C.Re.Na.L.- Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, 90129 Palermo, Italy
1
Key words. Leishmania, Pentadecane, cytotoxic activity.
Leishmanie, tramite conteggio in camera di Bϋrker, e rispetto
alla coltura di controllo rappresentativa del 100% di vitalità.
Inoltre, per valutare la tossicità in vitro del Pentadecano si è
utilizzato il Kit “Neutral Red Assay”. Le Leishmanie trattate
con concentrazioni seriali di Pentadecano, per 48 ore, vengono esposte al colorante Neutral Red e l’assorbanza è stata
letta a 540 nm, usando un lettore di micropiastre Spectrostar
Nano (BMG LabTech). Per valutare l’interferenza del Pentadecano sul ciclo cellulare del parassita si è proceduto alla preparazioni di fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml di terreno di
coltura RPMI-PY, dove sono state inoculate 4x106 Leishmania
infantum/ml in forma promastigote e trattate con 300 µM di
Pentadecano, per 72 a 26 °C. In seguito, i parassiti sono stati
centrifugati a 350 g a 4 °C per 10 minuti e lavati tre volte con
PBS contenente 0,02 M EDTA per evitare la formazione di
aggregati cellulari. In seguito le Leishmanie sono state fissate
con metanolo freddo per 24 ore. I parassiti sono stati risospesi
in 0,5 ml di PBS contenente RNasi I (50 microgrammi / ml) e
ioduro di propidio (25 g / ml) e incubate a 25 °C per 20 min.
Il materiale è stato mantenuto in ghiaccio fino al momento
dell›analisi. I parassiti marcati, sono stati analizzati, utilizzando un citometro a flusso FACScan (Becton Dickinson, San
Jose, CA®).
L’attività citotossica del Pentadecano è stata esaminata utilizzando il saggio colorimetrico 3-(4,5-dimethyl-2thiazolyl)-2,5diphenyl-2H-tetrazolium bromide (saggio MTT) nella linea immortalizzata di macrofagi canini (DH82) e in cellule primarie
epiteliali di cercopiteco (CPE). Le cellule sono state seminate in piastre da 96 pozzetti ad una densità di 1×105 cellule/
pozzetto e incubate a 37 ° C, con il 5% di CO2. Dopo 24
ore il Pentadecano è stato aggiunto alle concentrazioni finali
di 50, 100, 150, 200, 250 e 300 µM a 37 °C. Dopo 48 ore,
l›assorbanza è stata letta a 570 nm, usando un lettore di micropiastre Spectrostar Nano (BMG LabTech).
I dati ottenuti, dagli esperimenti ripetuti in triplicato, sono stati
confrontati con analisi statistica mediante t-test. I valori considerati statisticamente significativi presentano un p-value inferiore a 0,05.
SUMMERY
Pentadecane is an organic compound that is made up of primarily carbon and hydrogen atoms and can be found as floral
volatile in different plants.
Many essential oils and crude extracts of some plants, containing Pentadecane, showed an interesting antimicrobial
activity. Previous data demonstrated as some derivate Pentadecane inhibits progression of disease in Leishmania-infected Balb/c mice.
The aim of this study was to analyze the in vitro toxicity of
Pentadecane against different species of Leishmania.
Pentadecane shows an interesting in vitro activity anti-Leishmania and don’t alters cell viability in immortalized cell lines
and in primary cell line, assuming an action Leishmania-target.
INTRODUZIONE
La ricerca mirata all’identificazione e allo sviluppo di nuovi farmaci contro la leishmaniosi è in continuo aumento. Diversi
composti naturali estratti da piante e fonti marine hanno mostrato diversi gradi di efficacia nel trattamento della leishmaniosi sperimentale (1).
Nell’ultimo decennio, infatti, è emerso un crescente interesse
nello studio dei composti organici come agenti chemioterapici
(2). Molti oli essenziali ed estratti grezzi di alcune piante, contenenti principalmente il Pentadecano, hanno mostrato una
interessante attività antimicrobica (3,4).
Il Pentadecano, composto organico che si compone principalmente di carbonio e atomi d’idrogeno ha mostrano un’interessante azione inibente nella progressione di leishmaniosi in
murini Balb/c infetti (5).
Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare la tossicità in vitro del Pentadecano in colture di promastigoti e
amastigoti di Leishmania infantum e in colture di Leishmania
panamensis nella forma promastigote. Il presente studio, inoltre, descrive gli effetti della Pentadecano nel ciclo cellulare di
Leishmania e valuta l’azione citotossica del Pentadecano in
linee cellulari immortalizzate macrofagiche e in colture cellulari primarie.
RISULTATI E DISCUSSIONI
In figura 1 sono riportate le percentuali di vitalità delle diverse
specie di Leishmania, dopo un trattamento di 48 ore con il
Pentadecano, alle differenti concentrazioni.
Il Pentadecano presenta un’interessante azione leishmanicida, con un LD50 di 40 e 39 µM in Leishmania infantum,
in forma promastigote e amastigote, rispettivamente, e una
LD50 di 86 µM nella Leishmania panamensis nella forma promastigote.
MATERIALI E METODI
L’azione citotossica del Pentadecano è stata valutata in ceppi di Leishmania infantum (IPTI/ZMON1, ottenuti dalla collezione dell’Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italy) e in ceppi
di Leishmania panamensis (L594, ottenuti dalla collezione
dell’Università Cattolica di Salta, Argentina).
L. infantum e L. panamensis in forma promastigote sono state coltivate nel terreno di crescita RPMI-PY con pH 7,18 e
incubati a 25 ° C. L. infantum in forma amastigote sono state
coltivate nel terreno di crescita RPMI-PY con un pH di 5,4 e incubati a 37°C. Fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml di terreno di
coltura RPMI-PY, sono state inoculate con 4x106/ml Leishmanie e trattate con concentrazioni seriali (50, 100, 150, 200,
250 e 300 µM) di Pentadecano. Dopo 48 ore di incubazione, si
è proceduto alla valutazione della percentuale di vitalità delle
84
100
90
Vitalità Leishmania (%)
Bruno F.1, Castelli G.1, Piazza M.1, Lo Verde V.1, Migliazzo A.1, Vitale F.1
impedire alle Leishmanie di iniziare la duplicazione del DNA
e quindi di entrare in fase S (coltura controllo 62,56%, coltura trattata 60,51%). Inoltre si osserva un notevole incremento
della percentuale di cellule che si trovano in fase sub-G1, nonché cellule apoptotiche con un quantitativo di DNA inferiore alle
cellule in G1 (coltura controllo 7,24%, coltura trattata 17,41%).
Figura 1 – Istogramma rappresentante le percentuali di vitalità
della Leishmania infantum sia in forma promastigote ed amasti
gote e della Leishmania panamensis promastigote, trattate per
48 ore con Pentadecano. I dati sono statisticamente significativi con un p-value <0,001.
Figura 3. L’effetto della Pentadecano sul ciclo cellulare di Leishmania. Nel controllo mostra le aree del relativo istogramma
per le cellule in fase G1, S e G2M. “A” indica fase le cellule in
fase sub-G1, in apoptosi.
80
70
60
50
40
30
20
10
0
50
100
150
200
250
300
µM
Leishmania infantum in forma promastigote trattata
con Pentadecano
Leishmania infantum in forma amastigote trattata
con Pentadecano
Leishmania panamensis in forma promastigote
trattata con Pentadecano
Alla massima concentrazione di Pentadecano saggiata (300
µM) si osserva una riduzione del 15% di vitalità, nelle due specie di Leishmania analizzate.
L’azione citotossica in vitro, tramite saggio “Neutral Red”, conferma l’azione citotossica del composto Pentadecano in colture
di Leishmania infantum (figura 2).
I dati attinenti l’azione citotossica del Pentadecano, nella linea
cellulare macrofagica DH82 e nella linea cellulare epiteliale primaria di cercopiteco (CPE), hanno mostrato una vitalità
cellulare maggiore rispetto al valore cut-off (60%), definendo
il composto Pentadecano come potenzialmente non tossico
in cellule. L’azione citotossica Leishmania-target del Pentadecano esercitata in differenti specie del parassita, e l’assenza
di un’azione apoptotica in linee cellulari, incoraggia la ricerca
scientifica nel comprendere il pathway d’azione di tale composto e la successiva analisi in vivo.
Figura 2 – Curva di vitalità della Leishmania infantum trattata per 48 ore con concentrazioni seriali di Pentadecano. I dati
sono statisticamente significativi con un p-value <0,001.
100
Vitalità Leishmania (%)
ATTIVITÀ CITOTOSSICA DEL PENTADECANO IN COLTURE DI LEISHMANIA
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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60
40
20
0
50
100
150
200
250
300
µM
Al fine di valutare l’azione del Pentadecano, sulle varie fasi del
ciclo cellulare delle Leishmanie infantum, si è effettuata un’analisi citofluorimetrica mediante colorazione con propidio di
ioduro .
Il Pentadecano ha determinato un incremento della percentuale di cellule apoptotiche in fase G1 del ciclo cellulare, rispetto
la coltura controllo (coltura controllo 34,24 %, trattato 39,49 %)
(figura 3). I risultati suggeriscono che tale composto tende a
85
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MICROBIAL CHALLENGE TESTS AND PREDICTIVE MODELLING SOFTWARE FOR
EVALUATING AND IMPROVING FOOD SAFETY – A CASE STUDY WITH LISTERIA
MONOCYTOGENES AND READY-TO-EAT FOODS
Mejlholm O., Dalgaard P.
National Food Institute (DTU Food), Technical University of Denmark, Kgs. Lyngby, Denmark
INTRODUCTION
The pathogenic bacterium Listeria monocytogenes has been
identified as a major risk associated with consumption of
ready-to-eat (RTE) foods. L. monocytogenes has frequently
been isolated from different types of RTE foods due to its
ubiquitous nature and ability to persist and proliferate in the
food processing environment. In a recent European Union
(EU) baseline survey, the prevalence of L. monocytogenes
in seafood and meat products was established as 10.4% and
2.1%, respectively (EFSA, 2013). Furthermore, L. monocytogenes is highly tolerant towards salt (> 10%) and is able to
grow at chill temperatures, typically being used for storage of
RTE foods. According to the EU regulation on RTE foods (EC,
2005), it is the responsibility of the food processors to document that the critical limit of 100 L. monocytogenes/g is not
exceeded throughout the shelf-life of their products, either by
eliminating contamination or limiting/preventing the potential
growth of the pathogen. In regulation EC 2073/2005, challenge tests and predictive modelling are specified as two of
the main approaches for demonstrating compliance with the
legal requirements for L. monocytogenes.
PREDICTIVE MODELLING SOFTWARE
Today, several predictive modelling software packages are
available and they include a wide range of models for both
spoilage and pathogenic microorganisms. Incorporation of
predictive microbiology models in software packages is important in order to facilitate their use by the food industry,
regulatory authorities and other interested parties. At DTU
Food, we have developed the Seafood Spoilage and Safety
Predictor (SSSP) software which was released for the first
time in 1999. A new version is scheduled for 2014 and on
that occasion the software will be renamed the Food Spoilage and Safety Predictor (FSSP). At the moment, more
than 6000 persons from 113 countries use our free software
(http://sssp.dtuaqua.dk/ ), which is available in 18 different
languages (e.g. Italian) and includes (i) models to predict the
growth of specific spoilage bacteria in fresh fish, (ii) models to
predict histamine formation in marine fin-fish and (iii) models
to predict growth and the growth boundary of L. monocytogenes and lactic acid bacteria in seafood and meat products.
Our predictive model for L. monocytogenes includes the effect of 12 environmental parameters (temperature, pH, salt,
CO2, smoke components, nitrite, acetic acid, benzoic acid,
citric acid, diacetate, lactic acid and sorbic acid) as well as
their interactive effects (Mejlholm and Dalgaard, 2009). This
model has been successfully validated on data from more
than 1000 experiments with seafood and meat products, both
with respect to the growth rate as well as the growth boundary of L. monocytogenes (Mejlholm et al., 2010). Recently,
the SSSP software was approved by the Danish Veterinary
and Food Administration as a means to predict growth of L.
monocytogenes and to document compliance of RTE foods
with regulation EC 2073/2005. Similarly to our model for L.
monocytogenes we have also developed an extensive model
for lactic acid bacteria to be able to model the importance of
microbial interaction (i.e. the Jameson effect) between the
two types of microorganisms. Without the Jameson effect,
the maximum cell concentration of L. monocytogenes in e.g.
cold-smoked salmon has been shown to be overestimated by
as much as 5-6 log10 units (i.e. 100.000-1.000.000 times too
high). This new combined model for L. monocytogenes and
lactic acid bacteria will be included in the FSSP software to
be released in 2014. To be able to use predictive microbiology models in an appropriate way, knowledge about the product characteristics affecting growth of e.g. L. monocytogenes
is a prerequisite. Without a careful product characterization,
predictions are likely to be misleading rather than indicative.
CHALLENGE TESTS
To assess the growth potential of L. monocytogenes in RTE
foods, challenge tests are often performed. The EU Community Reference Laboratory (CRL) has developed a technical
guidance document that describes the procedure for establishing the growth potential of L. monocytogenes in artificially
contaminated (i.e. inoculated) samples of RTE foods stored
under foreseeable conditions (EU CRL, 2008, Beaufort,
2011). The growth potential is estimated as the difference between the concentration of L. monocytogenes (log10, cfu/g) at
the beginning and at the end of the challenge test. The EU
CRL procedure includes the following points as a minimum to
be considered: product characteristics, shelf-life of the product, number of batches, choice of the strains, preparation of
the inoculum, preparation and inoculation of the test unit,
storage conditions and microbiological analysis. RTE foods
subjected to challenge testing should be characterized carefully with respect to for example pH, salt, preservatives, packaging conditions and the background microbiota (e.g. lactic
acid bacteria) to make sure that the samples are representative of the variability typically associated with the examined
type of product. For the same reason, at least three batches
of the same product should be examined to account for product variability. Vermeulen et al. (2011) addressed this point
as particularly important for challenge testing in order not
to underestimate the growth potential of L. monocytogenes.
To include the importance of strain variability, at least three
strains of L. monocytogenes should be used for the inoculum
including one reference strain. L. monocytogenes should be
subcultured at a temperature close to the storage temperature of the product in order to adapt the strains to the experimental conditions.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CONCLUSION
Successfully validated predictive microbiology models are
powerful tools for evaluating and improving food safety, particularly when models are included in user-friendly application software. Today the best predictive microbiology models
can, in many situations, replace the use of challenge testing.
Furthermore, these models provide information on the distance to the growth boundary. This information is important
for food safety management and cannot conveniently be obtained by challenge testing.
model is valid. However, when developed and successfully
validated, predictive microbiology models possess a range
of advantages as compared to challenge tests. Challenge
tests are important in order to generate data for model development and validation, but, for evaluation of the growth
potential of microorganisms as well as for product development the use of predictive microbiology models seem more
promising for several reasons. Firstly, the use of predictive
microbiology models is both faster and cheaper than challenge tests. Predictions can be obtained within days (including time to carefully determine product characteristics) and
it is relatively easy to change one or more of the environmental parameters in order to obtain combinations of product
characteristics and storage conditions that prevent or limit
the growth of L. monocytogenes to an acceptable level. In
contrast, the requirements for challenge tests to be carried
out at foreseeable storage conditions of RTE foods, means
that this type of experiments typically will take 4 to 6 weeks
and sometimes even longer. Secondly, challenge tests are
only valid for the examined product, so each time the product formulation or the process is changed new experiments
has to be carried out. In this context, predictive microbiology models have a great advantage as the impact of substituting e.g. one set of preserving parameters with another
can be predicted relatively fast. If challenge tests for some
reasons are a requirement, predictive microbiology models
can be used constructively to reduce the number of experiments to an absolute minimum by providing suggestions for
suitable product formulations. Finally, challenge tests provide
only information about the growth potential of e.g. L. monocytogenes. For example, if no growth of L. monocytogenes is
observed, no additional information is given on how much (or
how little) the product characteristics and/or storage conditions can be changed without resulting in growth. Our predictive model for L. monocytogenes provides a quantitative
measure on the distance between the product (i.e. combination of product characteristics and storage conditions) and
the predicted growth boundary of the pathogen. Thus, in addition to prediction of no growth, a quantitative measure is
also given reflecting the safety of the product and vice versa
if growth is predicted.
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DISCUSSION
Development and validation of predictive microbiology models is a time demanding and labour intensive job. As an example, our model for L. monocytogenes was developed and
validated continuously over a period of more than 5 years by
consecutively adding the effect of new environmental parameters and by expanding the range of products for which the
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87
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI
IN UN CASEIFICIO AZIENDALE NEL BIENNIO 2011/2012
Macori G.1, Bellio A.1, Bianchi D.M.1,2, Gallina S.1,2, Adriano D.1, Zuccon F.1,2, Gramaglia M. 1, Monfardini S.1,
Fabbri M.1,2, Ghia C.A.1,2, Cazzaniga G.F.1, Riina M.V.1, Acutis P.L.1, Decastelli L.1,2
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta - Torino
National Reference Laboratory for Coagulase Positive Staphylococci including S.aureus - Torino
Key words: Staphylococcus aureus, spa-typing, PFGE
SUMMARY
Different techniques have been applied for S.aureus typing to
isolates of a dairy farm during 2011 and 2012. Strains were typed
phenotypically (biotyping) and genotypically (Enterotoxins genes
by multiplex-PCR, PFGE and spa-typing). Biotyping identified
3 Non-Host-Specific strains (NHS4, NHS5, NHS6) and 1 hostspecific (cattle origin), while a strain could not be biotyped. In
order to identify different molecular profiles, genotypic tests
were combined and resulted 12 types. The analysis showed that
some strains were present in both years. This can be attributed
to inadequate cleaning and sanitizing procedures or not correctly
performed. Another hypothesis could be the constant presence of
the bacteria among the diary cows.
The use of molecular analysis in an integrated manner seems
to be the election typing method for food and feeding isolates
considering the genetic variability of S.aureus populations,
likewise to the context of a small diary farm investigated in the
present study.
L’analisi del dendrogramma della PFGE permette di correlare
i 22 ceppi in tre cluster differenti identificati come A, B e C. I
cluster A e B raggruppano due ceppi ciascuno, con identico
profilo (similarità 100%), mentre il cluster C è costituito da
18 pulsotipi con una similarità maggiore del 75%. (Figura 1).
Mediante spa-typing sono stati messi in evidenza 2 ceppi
attribuiti allo spa-tipo t164, 8 allo spa-tipo t524, 10 allo spa-tipo
t2953, e uno rispettivamente appartenente agli spa-tipo t5268
e t024.
Al profilo molecolare I appartengono i ceppi A1 e A3 isolati nel
2011, rispettivamente da latte crudo e dalla vasca destinata
alla destinata a contenere la cagliata. Il ceppo A1 è risultato
essere biotipo NHS6, mentre il ceppo A3 “non biotipizzabile”.
I 6 ceppi appartenenti al profilo di tipo II (A2, A5, A8, A14, B3
e B5) sono stati isolati sia nel 2011 (n=4) che nel 2012 (n=2),
e sono risultati essere biotipo “non ospite specifico” - NHS5.
I due ceppi che hanno presentato un profilo di tipo III (A4 e
B2), isolati uno nel 2011 (asse di asciugatura) e l’altro nel
2012 (formaggio) sono risultati essere biotipo bovino.
I ceppi appartenenti ai profili molecolari IV, V, VI e VII, sono
stati isolati nel 2011, mentre quelli appartenenti ai profili VIII,
IX, X, XI e XII nel 2012.
I ceppi del profilo II, sono stati isolati nel 2011 da superfici
di lavorazione e dalla salamoia, mentre nel 2012 da due
campioni di formaggio, dimostrando la sua resistenza nel
corso dei due anni sia in allevamento che nel caseificio.
Questo può essere ricondotto a procedure di pulizia e
sanificazione inadeguate o non eseguite correttamente.
Altra ipotesi potrebbe essere la presenza costante del
microrganismo tra i capi in lattazione. Questo ceppo peraltro
presenta il gene codificante l’enterotossina D, una delle
principali tossine implicate in casi di Malattie Trasmesse
da Alimenti causate da tossine stafilococciche, e potrebbe
quindi rappresentare un rischio per i consumatori.
I ceppi appartenenti al profilo molecolare III (A4 e B2) hanno
presentato analoghe caratteristiche venendo isolati entrambi
gli anni sulla superficie di lavorazione (2011) e sul prodotto
finito (2012). La biotipizzazione ha dimostrato l’origine bovina
di questo ceppo, permettendo di supporre un mantenimento
di tale microrganismo a livello di allevamento. I ceppi A2 e A3
hanno evidenziato un basso accordo della biotipizzazione
con le metodiche molecolari.
Le analisi molecolari, ed in particolare il loro utilizzo in modo
integrato, risultano essere oggi il metodo di tipizzazione
di elezione vista la notevole variabilità genetica delle
popolazioni di S.aureus, anche nel contesto di una piccola
realtà aziendale artigianale come quella analizzata nel
presente studio.
Figura 1 – Esiti tipizzazione: PFGE e spa-typing.
(Staphylococcal Enterotoxins – Ses) è stata condotta utilizzando
due differenti multiplex-PCR (mPCR), in accordo con i protocolli
del laboratorio Comunitario di Riferimento per gli Stafilococchi
Coagulasi Positivi (EU-RL CPS) (1, 2). Il primo protocollo identifica
i geni che codificano per le enterotossine SEA, SEB, SEC, SED,
SEE e SER, mentre il secondo per SEG, SEH, SEI, SEJ e SEP.
I pulsotipi ottenuti con protocollo PFGE (7) sono stati utilizzati
per la determinazione dei cluster genomici. Il DNA genomico è
stato digerito utilizzando l’enzima di restrizione SmaI (Roche,
USA) secondo il protocollo dell’EU-RL CPS (6, 4). La corsa
elettroforetica è stata eseguita utilizzando lo CHEF Mapper XA
System (Bio-Rad Laboratories, USA), includendo nella corsa il
ceppo standard di riferimento S.aureus NCTC 8325. I profili di
bande ottenuti sono stati interpretati con il software BioNumerics
ver. 7.1 (Applied Math, Belgio). La comparazione è stata
effettuata impostando l’ottimizzazione del coefficiente di similarità
(coefficiente di correlazione Jaccard) all’1,0% e l’analisi dei cluster
con metodo UPGMA impostando al 70% il cut-off.
La tipizzazione con metodo SPA prevede il sequenziamento
della regione polimorfica X del gene della proteina A
di S.aureus. L’amplificazione e il successivo sequenziamento
del gene di interesse sono stati effettuati come descritto da
Strommenger et al. (8). Le sequenze ottenute sono state
assegnate agli spa-tipi corrispondenti usando il server http://www.
spaserver.ridom.de/.
INTRODUZIONE
Le materie prime, gli operatori del settore alimentare e gli ambienti
di lavorazione possono fungere da fonte di contaminazione da
Staphylococcus aureus negli alimenti. Indagare la relazione
genetica che intercorre tra ceppi isolati in uno stabilimento può
risultare molto utile per conoscere le fonti di contaminazione, al
fine di valutare le strategie di prevenzione e controllo. In questo
studio, sono state utilizzate diverse tecniche di tipizzazione messe
a punto per S.aureus su ceppi isolati nel biennio 2011-2012 in un
caseificio aziendale.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Tra i ceppi isolati sono stati identificati un biotipo ospite-specifico
(bovino) e 3 biotipi non ospite-specifico (NHS4, NHS5, NHS6),
mentre un ceppo è risultato non biotipizzabile (Tabella 1).
MATERIALI E METODI
Nel corso del biennio 2011-2012 sono stati prelevati 14 campioni
e 8 tamponi/sponge ambientali presso un caseificio aziendale
in provincia di Torino. I campioni sono stati trasportati refrigerati
presso il Laboratorio Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, dove sono
stati analizzati entro 24 ore dal prelievo. Su tutti i campioni è stato
eseguito il conteggio degli Stafilococchi Coagulasi Positivi (SCP)
secondo la metodica ISO 6888-2:1999. Per ogni campione positivo
è stata scelta una colonia caratteristica, che è stata sottoposta ad
identificazione mediante gallerie API ID 32 STAPH (bioMérieux,
France), oppure card di tipo GP del sistema VITEK (bioMérieux,
France). I ceppi isolati sono stati caratterizzati dal punto di vista
fenotipico (biotipizzazione) e genotipico (ricerca di geni codificanti
tossine tramite multiplex-PCR, PFGE e Spa-typing)
Il protocollo di biotipizzazione prevede l’esecuzione di 4 differenti
prove di tipo fenotipico (3, 5). La combinazione dei 4 esiti permette
di individuare il biotipo ospite specifico (umano, bovino, ovino) o
non ospite specifico (NHS1, NHS2, NHS3, NHS4, NHS5, NHS6).
Qualora il profilo non rientri in uno dei 9 possibili il risultato è
espresso come “non biotipizzabile”.
La ricerca dei geni codificanti le enterotossine stafilococciche
Tabella 1 – Informazione campioni ed esiti biotipizzazione
88
ID
A1
A2
A3
A4
A5
A6
A7
A8
A9
A10
A11
A12
A13
A14
B1
B2
B3
B4
Anno
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2011
2012
2012
2012
2012
Matrice
latte crudo
vasca cagliata
vasca cagliata
asse asciugatura
asse asciugatura
asse asciugatura
asse stagionatura
asse asciugatura
asse asciugatura
formaggio
siero
formaggio
formaggio
salamoia
formaggio
formaggio
formaggio
formaggio
Biotipo
NHS6
NHS5
NON BIOTIPIZZ
BOVINO
NHS5
NHS5
BOVINO
NHS5
NHS5
NHS5
NHS6
BOVINO
NHS5
NHS5
NHS4
BOVINO
NHS5
BOVINO
B5
2012
formaggio
NHS5
B6
2012
formaggio
NHS5
B7
2012
formaggio
BOVINO
B8
2012
formaggio
BOVINO
La ricerca dei geni codificanti le tossine stafilococciche ha
messo in evidenza la presenza di almeno un gene in 16 ceppi,
mentre 6 ceppi sono risultati completamente negativi. In 13
ceppi si sono riscontrati almeno un gene codificante le tossine
da A ad E, target dei metodi analitici per la ricerca delle tossine
preformate sugli alimenti. Mediante la combinazione degli
esiti delle prove genotipiche, sono stati identificati 12 profili
molecolari (Tabella 2).
BIBLIOGRAFIA
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Maison Al Fort, Francia). Version 1. N°Internal
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DNA macrorestriction fragments”. Journal of Applied
Microbiology. N°94(2):321-329.
Tabella 2 – Profili molecolari ottenuti
Profilo
molecolare
N° ceppi
SEs
Spa
typing
PFGE
SEG, SEI
t164
3
SED, SER, SEJ
t2953
6
III
2 (A1, A3)
6 (A2, A5, A8,
A14, B3, B5)
2 (A4, B2)
t524
4
IV
2 (A6, A10)
t2953
6
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
2 (A7, A12)
2 (A9, A13)
1 (A11)
1 (B1)
1 (B4)
1 (B6)
1 (B7)
1 (B8)
NEG
SEA, SED, SER,
SEJ
NEG
SED, SER, SEJ
SED, SER, SEJ
SED, SER, SEJ
NEG
SER, SEJ
NEG
SEA, SER
t524
t2953
t524
t024
t524
t5268
t524
t524
5
4
6
6
1
6
2
2
I
II
89
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
S., Olsson-Liljequist 1B., Ransjo U., Coombes G.,
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CONFRONTO TRA FAGI VEICOLANTI LA VEROCITOTOSSINA IN CEPPI DI Escherichia
coli ENTEROAGGREGATIVI: EVOLUZIONE CONVERGENTE DI UN NUOVO PATOTIPO
1
Michelacci V. , 1Grande L., 1Ranieri P., 2Ashton P., 2Jenkins C., 1Tozzoli R., 1Maugliani A., 1Caprioli A., 1Morabito S.
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Laboratorio Europeo e
Nazionale di Riferimento per E. coli, Roma, Italia; 2Public Health England, Gastrointestinal Bacterial Reference Unit, Colindale,
United Kingdom
1
Keywords: Verocytotoxin-producing E.coli, Enteroaggregative E. coli, Bacteriophages
ABSTRACT
Verocytotoxin(VT)-producing Enteroaggregative Escherichia coli
(EAEC) have been identified as an emerging pathotype of E.
coli after the severe outbreak of haemolytic uraemic syndrome
occurred in Germany in 2011, caused by an O104:H4 EAEC
which had got the ability to produce VT following the acquisition
of a VT-encoding phage. A few other VT-producing EAEC have
been described in the last decade. Here we compare the genome
of the VT-encoding phage from the O104:H4 German strain with
those from two other VT-producing EAEC strains, reporting a
strong similarity with one of these and a marked difference with
the other. This attests the existence of at least two different VTencoding phages able to stably infect EAEC and raises questions
on the genetic and environmental features favouring these
acquisition events.
ed in particolare in Africa, od il consumo di alimenti provenienti
da queste regioni. Questo ha permesso di ipotizzare la possibile
emergenza di questo ceppo in tali aree, dalle quali sembra
riemergere sporadicamente. L’analisi del genoma dei ceppi
EAEC produttori di VT, con particolare riferimento ai batteriofagi
integrati che veicolano le tossine VT, risulta quindi interessante
per investigare i meccanismi che hanno portato all’emergenza di
questo patotipo di E. coli e chiarirne i percorsi evolutivi.
MATERIALI E METODI
Ceppi batterici
I ceppi ED 191 e str. 226 corrispondono ai ceppi EAEC produttori
di VT rispettivamente di sierotipo O111:H2 e O111:H21 che sono
stati responsabili il primo di una piccola epidemia in Francia nel
1996 (7) ed il secondo di un piccolo focolaio epidemico in Irlanda
del Nord nel 2012 (3).
INTRODUZIONE
Nel corso del 2011 si è verificata in Germania ed in Francia una
gravissima epidemia di diarrea emorragica e sindrome emolitico
uremica (SEU), che ha fatto registrare 4033 casi, di cui 901
casi di SEU e 50 morti (4). Il ceppo responsabile dell’epidemia
era uno stipite di EAEC di sierotipo O104:H4 in grado di
aderire alla mucosa intestinale dell’ospite mediante il tipico
meccanismo di adesione degli EAEC e al contempo di produrre
la verocitotossina (2). Tale combinazione inusuale di fattori di
virulenza ha reso il ceppo particolarmente virulento, capace di
causare la sintomatologia più grave anche in individui adulti non
immunocompromessi, caratteristica inusuale per i ceppi classici
di E. coli produttori di VT (VTEC). Questa epidemia ha assunto
dimensioni straordinarie a causa dell’ingresso del patogeno nella
catena alimentare. Le analisi retrospettive hanno infatti permesso
di identificare la sorgente dell’infezione in un lotto di semi di fieno
greco, che hanno raggiunto le tavole dei consumatori sotto forma
di germogli da consumare crudi (5).
In precedenza erano stati già descritti alcuni ceppi con un
simile assetto di geni di virulenza, costituito dalla presenza
contemporanea, nel genoma, di un plasmide di virulenza
coinvolto nella produzione delle fimbrie responsabili dell’adesione
alla mucosa intestinale dell’ospite di tipo aggregativo e del
batteriofago veicolante i geni codificanti la VT.
Il primo caso descritto risale al 1996, quando è stato isolato un
ceppo EAEC di sierotipo O111:H2 produttore di VT responsabile
di una piccola epidemia di SEU in Francia (7). A seguito della
vasta epidemia del 2011, una analisi retrospettiva ha permesso
l’identificazione di ceppi di sierotipo O104:H4 con le stesse
caratteristiche di virulenza isolati da casi riportati in Germania nel
2001, in Corea nel 2005, in Finlandia nel 2011 (6) ed in Italia nel
2009 (8). Più recentemente un ulteriore ceppo EAEC produttore
di VT di sierotipo O111:H21 è stato isolato nel corso di un piccolo
focolaio epidemico nell’Irlanda del Nord nel 2012 (3).
Per quasi tutti i casi causati da ceppi EAEC produttori di
VT di sierotipo O104:H4 è stato possibile identificare come
denominatore comune la permanenza in Paesi a basso reddito,
90
Isolamento del fago veicolante la VT dal ceppo ED 191 (Φ191)
ed estrazione del DNA
Il fago veicolante la verocitotossina nel ceppo ED 191 è stato
isolato mediante induzione fagica con esposizione ai raggi UV,
amplificazione mediante infezioni ripetute del ceppo propagatore
LE392 di E. coli K12 ed ultracentrifugazione in gradiente di cloruro
di cesio. La banda identificata è stata poi estratta ed il contenuto
sottoposto a dialisi, seguita da estrazione del DNA con il metodo
classico Fenolo-Cloroformio.
Sequenziamento del fago Φ191
Il DNA del fago Φ191 è stato sequenziato mediante il protocollo
200bp della LifeTechnologies per lo strumento IonTorrent. La
library di partenza è stata ottenuta mediante frammentazione
enzimatica, ligasi con adattatori e selezione di frammenti di circa
350bp. Questa è stata poi amplificata mediante utilizzo per PCR
in emulsione nel termociclatore IonOneTouch, cui ha fatto seguito
la reazione di sequenziamento mediante un chip 314 nello
strumento IonTorrent PGM.
Analisi Bioinformatiche
La sequenza del fago P13374 veicolante la VT nel ceppo di
sierotipo O104:H4 è stata derivata dalla banca dati dell’NCBI
(Acc. No. NC_018846).
Le letture risultanti dal sequenziamento del fago Φ191 sono
state assemblate in contigs mediante il programma di de novo
assembly distribuito sull’IonServer.
I file grezzi di sequenza utilizzati relativi all’intero genoma del
ceppo O111:H21 str. 226 sono stati invece ricavati dal database
dell’NCBI (Acc No SRA055981) ed assemblati in contigs
mediante il programma di de novo assembly Velvet (www.ebi.
ac.uk/~zerbino/velvet/). Ulteriori analisi condotte su questa
sequenza hanno avuto lo scopo di identificare ed isolare dalla
sequenza del resto del cromosoma la sequenza del fago
codificante la VT in questo ceppo.
I confronti multipli tra le sequenze fagiche sono stati eseguiti
91
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
mediante il programma di allineamento MAUVE, che permette
una facile visualizzazione delle regioni conservate anche a
partire da sequenze suddivise in contigs (asap.ahabs.wisc.edu/
software/mauve/overview.html).
la VT nel ceppo O111:H21 str. 226 rispetto ai due fagi P13374
e Φ191, che invece risultano estremamente conservati sia per
organizzazione generale dei blocchi funzionali che per sequenza.
Conclusioni
Questo è il primo studio che si occupa di comparare il genoma di
fagi codificanti le verocitotossine in ceppi diversi di EAEC.
I dati ottenuti permettono di escludere che esista un singolo
fago veicolante la VT in grado di infettare gli EAEC ed integrarsi
nel loro cromosoma, poiché i batteriofagi identificati nei tre
ceppi in analisi appartengono ad almeno due famiglie diverse.
Inoltre, l’aver identificato l’esistenza di almeno due fagi diversi
integrati nel genoma di ceppi EAEC permette di stabilire che tale
integrazione sia avvenuta attraverso almeno due eventi evolutivi
distinti, escludendo invece un’origine comune di tutti i ceppi
analizzati da un unico ceppo ancestrale EAEC produttore di VT.
Alla luce delle differenze identificate con la sequenza derivante
dal ceppo O111:H21 str. 226, soltanto la corrispondenza tra i fagi
integrati nel ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia tedesca
e nel ceppo O111:H2 ED 191 potrebbe essere spiegata con una
derivazione da uno stesso ceppo, andato incontro a fenomeni di
conversione degli antigeni superficiali. Ulteriori analisi volte allo
studio dell’intero genoma di tali ceppi sono attualmente in corso
allo scopo di verificare questa ipotesi.
Inoltre uno studio più accurato del genoma dei fagi veicolanti le VT e
dei loro siti di inserzione nel cromosoma di ceppi enteroaggregativi
permetterà di evidenziare eventuali caratteristiche fagiche
o batteriche che possano favorire l’infezione determinando
l’insorgenza di ceppi EAEC produttori di VT.
Questa conoscenza rappresenta la base scientifica necessaria
per lo studio delle condizioni ambientali coinvolte nel favorire
l’infezione di ceppi EAEC con fagi veicolanti le VT e per
l’identificazione dei possibili veicoli coinvolti nella trasmissione di
tali patogeni all’uomo.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Il sequenziamento del batteriofago che codifica la VT nel ceppo
O111:H2 ED 191 ha prodotto 320044 letture di lunghezza media
di 204 bp, per un totale di 65,30 Mb. Tali letture sono state
assemblate in 151 contigs, utilizzati per le successive analisi
di confronto con i batteriofagi veicolanti la verocitotossina negli
altri due ceppi EAEC fino ad oggi sequenziati: il fago P13374
del ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia verificatasi in
Germania nel 2011, la cui sequenza è stata completamente
chiusa e recentemente pubblicata (1); ed il batteriofago integrato
nel genoma interamente sequenziato del ceppo O111:H21 str.
226, che è stato assemblato in 456 contigs.
Poiché la sequenza del batteriofago P13374 risulta l’unica
completamente assemblata in un unico contig tra quelle ad oggi
disponibili derivanti da fagi che veicolano le VT in ceppi EAEC,
questa è stata utilizzata come riferimento per ordinare con il
programma MAUVE i contigs ottenuti dalle sequenze del genoma
del fago del ceppo ED 191 e dell’intero genoma del ceppo str.
226. Lo stesso programma MAUVE è stato poi utilizzato per
effettuare allineamenti progressivi delle sequenze in esame con
la sequenza del fago di riferimento P13374.
Figura 1. Allineamento MAUVE tra i fagi P13374 (in alto), isolato
dal ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia verificatasi in
Germania nel 2011, ed il fago Φ191 isolato dal ceppo O111:H2.
Le barre verticali presenti nella sequenza Φ191 rappresentano
le giunzioni tra i diversi contigs. Le regioni non allineabili sono
indicate in bianco, mentre in grigio sono indicati i blocchi di
corrispondenza.
BIBLIOGRAFIA
1. Beutin L, Hammerl JA et al. Spread of a distinct Stx2encoding phage prototype among Escherichia coli O104:H4
strains from outbreaks in Germany, Norway, and Georgia. J
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2. Bielaszewska M, Mellmann A et al. Characterisation of
the Escherichia coli strain associated with an outbreak
of haemolytic uraemic syndrome in Germany, 2011: a
microbiological study. Lancet Infect Dis. 2011 Sep;11(9):6716.
3. Dallman T, Smith GP et al. Characterization of a verocytotoxinproducing enteroaggregative Escherichia coli serogroup
O111:H21 strain associated with a household outbreak in
Northern Ireland. J Clin Microbiol. 2012 Dec;50(12):4116-9.
4. European Centre for Disease Prevention and Control, Shiga
toxin-producing E. coli (STEC): Update on outbreak in the
EU, 27 July 2011
5. European Food Safety Authority, Tracing seeds, in particular
fenugreek (Trigonella foenum-graecum) seeds, in relation
to the Shiga toxin-producing E. coli (STEC) O104:H4 2011
Outbreaks in Germany and France, July 5th 2011;
6. European Food Safety Authority, Shiga toxin-producing E.
coli (STEC) O104:H4 2011 outbreaks in Europe: Taking
Stock, October 3rd 2011;
Da questa analisi la composizione del genoma del fago Φ191 è
risultata generalmente sovrapponibile a quella del fago P13374
del ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia del 2011 (Fig.
1), con alcune regioni non allineabili (in bianco in figura) per
lo più in corrispondenza delle giunzioni tra i diversi contigs
(indicate come barre verticali in figura), ma anche, seppur più
raramente, all’interno di uno stesso contig, indicando la presenza
di regioni diverse nel genoma dei due fagi. Allo scopo di definire
completamente la sequenza del fago Φ191, sono attualmente in
corso reazioni di sequenziamento di 20 frammenti di PCR ottenuti
congiungendo contigs apparentemente limitrofi. Le dimensioni
dei frammenti ottenuti fino ad ora confermano la presenza di
alcune differenze con la sequenza di riferimento.
Il confronto del genoma del ceppo O111:H21 str. 226 con quello
dei fagi P13374 e Φ191 non ha permesso di identificare regioni
altamente conservate con nessuno di questi ultimi due, fatta
eccezione per i geni codificanti la verocitotossina di tipo 2 (VT2).
Si è proceduto quindi ad allinearne i contigs con le sequenze
genomiche di fagi codificanti la VT2 disponibili in database come
assemblati completi, ma nessun fago tra quelli ad oggi pubblicati
è risultato simile al fago del ceppo str. 226.
Nonostante un confronto dettagliato con il fago del ceppo str. 226
sia reso impossibile dalla difficoltà di ordinarne i contigs utilizzando
come riferimento il fago P13374, il dato interessante che emerge
da questo studio è una netta differenza del batteriofago veicolante
92
7.
Morabito S, Karch H et al. Enteroaggregative, Shiga toxinproducing Escherichia coli O111:H2 associated with an
outbreak of hemolytic-uremic syndrome. J Clin Microbiol.
1998 Mar;36(3):840-2.
8.
Scavia G, Morabito S et al. Similarity of Shiga toxin-producing
Escherichia coli O104:H4 strains from Italy and Germany.
Emerg Infect Dis. 2011 Oct;17(10):1957-8.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI VIRUS HAV ISOLATO DA ALIMENTI E UOMO NEL
CORSO DI UN FOCOLAIO EPIDEMICO DI EPATITE A CORRELATA AL CONSUMO DI
FRUTTI DI BOSCO IN ITALIA
Pavoni E.1 per la Task-Force Epatite A2
Centro di Referenza Nazionale per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Via Bianchi, 9 – 25124 Brescia
2
Task Force Epatite A: Guizzardi S., Cappelletti B., Lena R., Massaro M., Menghi A., Monteleone D., Pompa M.G., Martini V.,
Vellucci L., Borrello S. (Ministero della Salute); Rizzo C., Alfonsi V., Montano-Remacha C., Ricotta L., Tosti M.E., Busani L.,
Escher M., Scavia G., De Medici D., Di Pasquale S., Ciccaglione A., Bruni R., Taffon S. (Istituto Superiore di Sanità); Losio M.N.,
Pavoni E., Varisco G. (Centro di Referenza Nazionale per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare. IZSLER)
1
Key words: Hepatitis A virus, berries, outbreak
SUMMARY
In Italy, a specific Sentinel Surveillance System for Acute Viral
Hepatitis (SEIEVA) allows the prompt evaluation of incidence
of the disease and insight into the risk factors. From January
2013 a marked increase of cases of hepatitis A was reported,
corresponding to a 70% increase in the notifications compared
to the same period in 2010-2012. The highest increase in the
number of cases was observed in the Northern regions. The
sequencing of VP1/2A genomic region of hepatitis A Virus (HAV)
from patients showed that a genotype IA strain was involved in
several cases. The sequence of the virus from a batch of mixed
frozen berries was shown to be identical to the sequences from
a subgroup of patients, several of which reported consumption
of frozen berries. Preliminary epidemiological investigations for
the identification of risk factors also focused on consumption
of mixed frozen berries as the possible source of the outbreak.
di frutti di bosco congelati (ribes rossi, mirtilli, more e lamponi)
quali possibile veicolo d’infezione del virus HAV (2).
La plausibilità di tale ipotesi è stata supportata anche da un
preliminare riscontro microbiologico che mostrava la presenza
di virus HAV in un campione di mix di frutti di bosco congelati
che risultava associato ad un caso epidemico.
Per indagare il focolaio epidemico ed individuare la fonte di
infezione è stata costituita presso il Ministero della Salute con
il supporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’Istituto
Zooprofilattico della Lombardia ed Emilia Romagna (IZSLER)
una Task-force multidisciplinare con lo scopo di completare
l’indagine epidemiologica dei casi, effettuare gli studi di
epidemiologia analitica, indagare e confermare attraverso
l’attività analitica il ruolo delle diverse matrici alimentari quale
veicolo d’infezione epidemica ed individuare attraverso il
rintraccio delle materie prime la potenziale sorgente epidemica.
Scopo del presente lavoro è descrivere i risultati delle indagini
microbiologiche e di tipizzazione molecolare condotte sugli
alimenti potenzialmente implicati nell’epidemia di infezione da
HAV e di confrontarli con quanto emerso dalla sorveglianza
molecolare/genetica condotta sui casi epidemici.
INTRODUZIONE
Il virus dell’epatite A (Hepatitis A Virus, HAV) è responsabile
della trasmissione all’uomo della malattia attraverso diverse
vie tra le quali il consumo di acqua e alimenti contaminati. Tra
gli alimenti più frequentemente implicati nella trasmissione
dell’infezione all’uomo troviamo il consumo di frutti di mare,
particolarmente rilevante in Italia, vegetali e frutti di bosco.
Questi ultimi, già causa di diverse epidemie di epatite A in
Scozia e negli USA, sono stati implicati quale sospetta fonte
d’infezione di un focolaio epidemico da HAV genotipo IB che
ha colpito tra Ottobre 2012 e Aprile 2013 quattro Paesi NordEuropei (1;2).
Sebbene ci sia un solo sierotipo, attraverso le analisi di
sequenziamento del genoma sono stati identificati differenti
genotipi di HAV. Esso sopravvive anche in condizioni ambientali
estreme come il congelamento ed è sufficientemente resistente
al calore può infettare il fegato umano anche se presente in
basse concentrazioni. Nelle persone affette il periodo di
incubazione può variare dai 15 ai 50 giorni. Anche se l’epatite A
è generalmente una malattia autolimitante e con esito benigno,
talvolta asintomatica nei bambini, in casi sporadici può dar forma
a complicanze, soprattutto nei soggetti immunocompromessi o
già colpiti da altre patologie epatiche.
In Italia, il Sistema Epidemiologico Integrato dell’Epatite Virale
Acuta (SEIEVA) ha consentito di individuare, a partire dal gennaio
2013, un rilevante aumento dei casi di Epatite A sull’intero
territorio nazionale, in particolare in alcune regioni del Nord,
con un incremento pari al 70% rispetto al triennio precedente
(3). I risultati preliminari delle indagini epidemiologiche condotte
sui pazienti hanno consentito di individuare il consumo di mix
MATERIALI E METODI
Campionamento
Nel periodo maggio-agosto 2013 sono state eseguite presso
l’IZSLER di Brescia 403 analisi ufficiali e 477 analisi non ufficiali
per un totale di 880. Oltre agli alimenti, sono stati sottoposti a
ricerca per HAV anche 28 campioni di feci umane da pazienti
affetti da epatite A e provenienti da diverse Aziende Ospedaliere
del centro-nord Italia. Il 54,7% degli alimenti (comprensivo di
analisi ufficiali e di autocontrollo) era composto da frutti di bosco
surgelati, sia in buste di gran mix sia in singole specie come
lamponi, ribes neri o rossi, more, mirtilli rossi o neri, fragole. Il
restante 45,3% era composto da frutta in diverse tipologie di
conservazione (marmellate, succhi, torte guarnite, macedonie),
da insalate della IV gamma “ready to eat”, da funghi surgelati e
da acqua di lavorazione.
Seminested e nested PCR
Le analisi per la ricerca di HAV sono state eseguite mediante
un metodo di prova accreditato presso l’IZSLER, in accordo
alla ISO_TS 15216-2 (4), per quanto riguarda la preparazione
delle diverse matrici, ed in accordo ad una seminested PCR con
primer specifici per la regione conservata VP1/VP3 del genoma
virale già descritta in letteratura (5). Al fine di caratterizzare
genotipicamente i ceppi di HAV rilevati è stata utilizzata una
nested PCR con primer degeneri e diretti verso una regione
meno conservata e più variabile denominata VP1/2A (6).
93
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Sequenziamento
Gli ampliconi positivi, sono stati purificati con il QIAquickGel
Extraction Kit (Qiagen) e sono stati sequenziati su entrambi i
filamenti con il BigDye Terminator Cycle Sequencing Kit (v 2.0
Applied Biosystems) su sequenziatore automatico ABI PRISM
3500XL Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Le sequenze
ottenute sono state confrontate con sequenze già depositate in
GenBank mediante BLAST al sito http://blast.ncbi.nlm.nih.gov/
Blast.cgi
Analisi filogenetica
L’analisi filogenetica è stata effettuata mediante programmi di
allineamento e di analisi filogenetica disponibili nel software
MEGA 5.2.
A seguito di tali rilievi sono stati notificati attraverso il sistema
RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed), i risultati della
ricerca di HAV ed è stato avviato un lavoro di rintracciabilità dei
prodotti alimentari e delle materie prime, tuttora in corso. Tali
indagini hanno consentito di accertare che tutte le materie prime
utilizzate per la produzione dei mix di frutti di bosco contaminati
provenivano da diversi paesi europei ed extra-europei. A seguito
della notifica RASFF, inoltre, sono stati adottati provvedimenti di
ritiro dei lotti di mix-frutti di bosco positivi e di richiamo da parte
delle Regioni.
I risultati descritti mostrano l’importanza di armonizzare le tecniche
di tipizzazione molecolare e caratterizzazione genetica adottate
nell’ambito diagnostico umano e in sicurezza alimentare. Sebbene
infatti le evidenze prodotte nei diversi ambiti di indagine del
focolaio epidemico circa il ruolo dei frutti di bosco, siano risultate
concordanti l’analisi comparativa delle sequenze ovvero il rilievo
del’identità nucleotidica degli isolati virali HAV da uomo e alimento
è ciò che ha consentito di individuare definitivamente nei frutti di
bosco la fonte d’infezione dei casi epidemici.
È da sottolineare infine che nonostante alla base del focolaio
epidemico da HAV individuato in Italia vi sia la stessa matrice
sospettata quale fonte epidemica del recente focolaio da HAV
genotipo IB che ha interessato i Paesi Nord-Europei, i risultati
della caratterizzazione genetica del virus consentono di escludere
legami tra le due epidemie.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Tre campioni di mix di frutti di bosco, 11 prodotti ortofrutticoli e 2
acque di lavorazione provenienti da analisi Ufficiali sono risultati
contaminati, mentre le analisi in autocontrollo sono risultate
negative. Tutte le 28 feci umane si sono confermate positive
(Tabella 1).
Tabella 1 – Dati relativi alle analisi effettuate per la
HAV in matrici alimentari
Tipologia Matrice
ricerca di
Positivi
Negativi
43
43
mix frutti di bosco
3
358
361
lampone
-
43
43
mirtillo nero
-
11
11
ribes
-
22
22
mirtillo rosso
-
1
1
TOTALE FRUTTI ROSSI
3
478
481 (54,7%)
ortaggi a foglia
10
173
183
zuppe, brodi, salse
1
46
47
acqua di lavorazione
2
8
10
confettura di frutta
-
15
15
funghi
-
12
12
prodotti pasticceria
-
17
17
succhi e
-
1
1
altro
-
114
114
TOTALE ALTRI ALIMENTI
13
386
399 (45,3%)
TOTALE ALIMENTI
16
864
880
fragole
Totale
feci umane
28
0
28
TOTALE COMPLESSIVO
44
864
908
BIBLIOGRAFIA
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(ECDC), European Food Safety Authority (EFSA). Outbreak
of hepatitis A virus infection in residents and travellers
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4. ISO-TS 15216/2. Microbiology of food and animal feed –
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5. Le Guyader F., E. Dubois, D. Menard e M. Pommepuy. 1994.
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Studies show that hepatitis A virus is endemic among active
homosexual men in Europa. Journal of Medical Virology
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A seguito della caratterizzazione genetica di HAV rilevato in un
campione di frutti di bosco, è risultato che la sequenza molecolare
di quest’ultimo, di genotipo IA,
mostrava 100% identità
nucleotidica con sequenze isolate da un gruppo di pazienti affetti
da epatite A, molti dei quali riportavano consumo di frutti di bosco.
L’omologia molecolare del genoma virale rinvenuto nei frutti di
bosco e con i genomi virali identificati nei pazienti ha rafforzato
l’ipotesi che i frutti di bosco potessero essere il veicolo di infezione
dei casi, escludendo dai probabili alimenti a rischio altre tipologie
di vegetali.
94
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI BACILLUS ANTHRACIS IN ALBANIA
Peculi A. 1, Marino L. 2, Giangrossi L.2, Boci J.1*, Affuso A.3, Sabia C.3, Fasanella A.2
1 Instituti I Sigurise Ushqimore dhe Veterinarise – Tirana,Albania
2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata, Anthrax Reference Institute of Italy - Foggia, Italy.
3 Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Modena, Italy
Key words: Bacillus anthracis, Albany, Molecular epidemiology, MLVA, CanSNPs
SUMMARY
Anthrax in Albania is an endemic disease characterized by
few outbreaks involving a very low number of animals. Seven
samples of soil coming from different regions of Albany and four
strains isolated in Lezha area, were examined in the laboratories
of Istituto Zooprofilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata.
All the isolated strains of Bacillus anthracis were identified by
Real time PCR. CanSNP analysis indicated that all the genotypes of Bacillus anthracis belong to sublinage A. Br 008/009
confirming that the strains circulating in Albania belong to the
trans Eurasian genotypes. The MLVA with 15 VNTRs indicated
the presence of three different genotypes.
morti nella regione di Lezha (Tab.1, Fig.1)
Tabella 1 – Elenco dei campioni esaminati.
INTRODUZIONE
L’Albania applica controlli e programmi di eradicazione degli
animali in accordo con le linee guida dell‘ OIE. L’importazione
del bestiame avviene principalmente dalla Macedonia, dalla
Bulgaria, dal Kosovo e dalla Grecia. La popolazione animale
del paese è costituita da: 1.900.000 pecore, 846.000 capre,
378.000 bovini, 100.000 maiali e 103.000 cavalli. Tutti gli
animali sono obbligatoriamente denunciati e registrati al
Ministero dell’Agricoltura albanese che provvede ad offrire
diversi servizi agli allevatori come la vaccinazione del bestiame
contro le maggiori malattie considerate enzootiche: brucellosi,
peste suina classica e antrace animale (carbonchio ematico).
Per quanto concerne la Brucellosi nel 2011 è stato messo a
punto un nuovo piano vaccinale, basato su una vaccinazione
per 2 anni consecutivi seguita da un richiamo dopo 2 anni. Il
programma di profilassi contro la peste suina classica si basa
invece sulla vaccinazione degli animali recettivi in un numero
limitato di distretti. L’antrace animale è una malattia considerata
endemica e ogni anno vengono registrati nuovi focolai. Per la
profilassi viene utilizzato un vaccino tipo Sterne (vivo attenuato
acapsulato), prodotto in Albania. Il programma di profilassi
prevede la vaccinazione obbligatoria degli animali per almeno
dieci anni dall’ultimo focolaio. Dal 2009 al 2012 i focolai
confermati sono stati 17 (4 bovini, 9 pecore, 4 capre) e sono
stati anche segnalati casi umani di antrace cutaneo. Nel corso
dell’anno 2012 sono state somministrate 329.717 dosi di vaccino
che hanno coperto il 7.68% della popolazione bovina, l’11.4% di
quella ovina, il 9.2% di quella caprina, l’1.3% della popolazione
suina e il 4% della popolazione equina. La diagnosi di antrace
si basa sull’osservazione al microscopio di vetrini allestiti
con sangue proveniente da animali morti e colorati con blu di
metilene. Alcuni laboratori utilizzano la prova biologica. In caso di
sospetto focolaio di antrace, il veterinario è tenuto ad informare
il Ministero dell’Agricoltura il quale allerta i servizi veterinari
interessati ad adottare le adeguate procedure di sicurezza.
Tipo di campione
Area geografica
ID
Terra
Milot
A
Terra
Shkodër
B
Terra
Lushnje
C
Terra
Vlorë
D
Terra
Shkodër
E
Terra
Fushë-Kuqe
F
Terra
Vlorë
G
Slant
Lezha
H
Slant
Lezha
I
Slant
Lezha
L
Slant
Lezha
M
Campioni di terra.
I campioni di terra sono stati analizzati mediante il metodo
Ground Anthrax Bacillus Refined Isolation (G.A.B.R.I.) (1,2). Brevemente, da ogni campione di terra un’aliquota di 7.5g è stata
stemperata in 22.5ml di Washing Buffer (soluzione acquosa
contenente 0.5% di Tween 20) e sottoposta a lavaggio in agitatore magnetico per 30 minuti. Successivamente la sospensione
è stata centrifugata a 2000 rpm per 5 minuti. Il supernatante è
stato prelevato ed incubato a 64°C per 20 minuti. Dopo l’incubazione sono stati i raccolti 5ml si sospensione a cui sono stati
aggiunti 5 ml di brodo triptosio fosfato contenente 125µg/ml di
fosfomicina. Un ml di questa sospensione è stata seminata in
piastra di terreno TMSP (Agar 5% di sangue addizionato con Trimethoprime Sulfametossazolo Polimixina B). Per ogni campione
sono state utilizzate 10 piastre. Dopo la semina le piastre sono
state messe ad incubare a 37°C in aerobiosi per 24 ore. Dopo
l’incubazione si è proceduto a verificare l’esame morfologico
delle colonie sospette, l’attività emolitica e l’esame microscopico
previa colorazione di Gram.
Le colonie sospette sono state clonate in piastre di agar sangue
al 5% e incubate a 37°C per 24 ore.
Ceppi batterici.
Da ciascuna provetta è stata prelevata un’aliquota di materiale
batterico che è stato seminato a colonie isolate sul terreno semiselettivo agar sangue TSMP (Trimethoprime Sulfametossazolo
Polimixina B) e incubato a 37°C per 24 ore.
Estrazione DNA.
Il DNA delle colonie è stato estratto utilizzato il “DNeasy Blood &
Tissue Kit (Qiagen)” secondo la procedura indicata per i batteri
Gram positivi.
Test biomolecolari. Su ciascun DNA è stata eseguita una Real
MATERIALI E METODI
Al fine di valutare le caratteristiche genetiche dei ceppi circolanti
in Albania sono stati esaminati 7 campioni di terra provenienti da
diverse regioni dell’Albania e 4 ceppi di Bacillus isolati da ovini
95
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Fig.1 - Distribuzione geografica dei ceppi di Bacillus
anthracis isolati
time PCR utilizzando primers specifici per il cromosoma e per
i plasmidi pXO1 e pXO2 di Bacillus anthracis (2). Il saggio per
l’identificazione dei Canonical Single Nucleotide Polymorphisme
(CanSNPs) è stato effettuato sui DNA dei ceppi identificati come
B.anthracis utilizzando tredici PCR di discriminazione allelica secondo quanto indicato da Van Ert et al. (3). Infine è stata effettuata la genotipizzazione mediante una Multilocus Variable Tandem
Repeat Analysis (MLVA) a 15 loci (3).
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE ANTIGENICA DELLA GLICOPROTEINA E DI BUBALINE
HERPESVIRUS 1 E SVILUPPO DI UN TEST PER LA DIFFERENZIAZIONE SIEROLOGICA
DELLE INFEZIONI DA ALPHAHERPESVIRUS NEL BUFALO MEDITERRANEO
1
Nogarol C., 2De Carlo E.,3Masoero L., 1Bertolotti L., 3Caruso C., 1Profiti M., 2Martucciello A., 2Galiero G.,
4
Cordioli P., 5Nardelli S., 3Ingravalle F., 1Rosati S.
1
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università degli Studi di Torino, Italy
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sezione di Salerno, Italy
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, Torino, Italy
4
Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia, Brescia, Italy
5
Istituto Zooprofilattico delle Venezie, Legnaro (PD), Italy
2
RISULTATI E CONCLUSIONI
L’analisi PCR, utilizzando primers specifici per il cromosoma ed
i due plasmidi pXO1 e pXO2, eseguita sui DNA delle colonie
batteriche sospette è risultata positiva per Bacillus anthracis nei
quattro campioni di terra identificati come B, D,E e G mentre dei
4 ceppi isolati nella regione di Lezha solo i due classificati come
H e M sono risultati essere Bacillus anthracis (Fig. 1). L’analisi
dei CanSNPs ha mostrato che tutti gli isolati appartengono al
lineage maggiore A del sottogruppo A Br. 008/009 equivalente a
quello largamente rappresentato in Europa e Asia.
Il test MLVA a 15 loci ha evidenziato che i ceppi isolati dai campioni di terra D e G (provenienti dalla regione di Vlorë) appartengono allo stesso genotipo che in questo lavoro è stato identificato
come GT Albania 1. I campioni di terra proveniente dalla regione
di Shkodër e classificati con le lettere B ed E hanno evidenziato una variazione rispetto al genotipo precedente nel locus vrra
e pertanto risultano appartenere ad un genotipo diverso che in
questo lavoro è stato identificato come GT Albania 2. Infine i
ceppi classificati con H ed M, provenienti dalla regione di Lezha,
risultano appartenere ad un genotipo differente dai 2 precedenti
che in questo lavoro è stato identificato come GT Albania 3.
I risultati presentati, pur essendo preliminari, indicano che l’antrace animale è un problema sanitario che le autorità albanesi
devono continuare a considerare con un certa attenzione. Da
un punto di vista strettamente epidemiologico, i ceppi isolati nelle diverse regioni indicano l’appartenenza al sottogruppo A Br.
008/009 che risulta prevalente nell’area Europea a Asiatica. Ciò
indica che l’Albania non presenta eccezioni e che rientra nell’area geografica in cui questo sottogruppo è prevalente. Infine l’esame MLVA a 15 VNTR indica una variazione genetica minima
tra i diversi genotipi identificati e questo probabilmente sottolinea
il fatto che i ceppi attualmente circolanti in Albania sono il risultato dell’evoluzione genetica di un comune ceppo ancestrale.
Keywords: Bubaline Herpesvirus 1, recombinant glycoprotein E, ELISA
Abstract
Bubaline herpesvirus 1 (BuHV1) is a member of ruminant
alphaherpesviruses antigenically related to the prototype bovine
herpesvirus 1 (BoHV1). To date is difficult to establish the impact
of BuHV1 infection due to the lack of specific diagnostic test
able to differentiate between the two infections. In this study the
ectodomain of glycoprotein E of BuHV1 was amplified, cloned
and expressed as secreted protein in eukaryotic system and
used in indirect ELISA as well as in a discriminatory test using
the BoHV1 counterpart. Results indicate that recombinant
BuHV1 gE is a sensitive marker of infection, when compared
with SN test or gB blocking ELISA. When both recombinant
gEs (BoHV1 and BuHV1) were immobilized in different wells
of the same ELISA microplate, bovine and water buffalo sera
were more reactive, by a factor of two, against the respective
infecting virus, even in case of experimental cross-infection.
caratterizzare la gE di BuHV1 dal punto di vista genetico ed
antigenico al fine di valutare un test su base ricombinante per
la diagnosi sierologica dell’infezione e per la differenziazione
delle infezioni da BoHV1 e BuHV1.
Materiali e metodi
Il dominio extracellulare della gE di BuHV1 è stato amplificato
da DNA estratto da cellule infette con il ceppo australiano
B6, utilizzando primers disegnati su regioni consenso della
glicoproteina I di BoHV1 e BoHV5 e porzioni note della gE
(dominio transmembranario). Il prodotto amplificato è stato
sequenziato e sub-clonato nel vettore pSecTag2/Hygro
(Invitrogen). Preparazioni purificate di plasmide sono state
utilizzate per trasfezioni transienti di HEK293T con terreno
protein free Ex-cell 293 (Sigma). A 48 ore post-trasfezione
il terreno è stato raccolto, centrifugato ed utilizzato come
antigene. La gE di BoHV1 espressa,, utilizzata già in precedenti
studi, è stata impiegata nel test comparativo. In alcune prove. è
stato utilizzato come antigene negativo il liquido di trasfezione
ottenuto da cellule transfettate con plasmide vuoto. La quantità
di antigene per pozzetto è stata bilanciata mediante un test
ELISA indiretto utilizzando un anticorpo monoclonale diretto
verso il carrier di fusione 6xhis.
Un pannello di 60 liquidi colturali di ibridomi IFAT positivi
(immunogeno: BuHV1), sviluppati in precedenti studi, sono
stati caratterizzati in gE ELISA indiretto: sette cloni sono
risultati positivi. Inoltre, tre monoclonali sviluppati verso BoHV1
e reattivi verso la gE omologa sono stati impiegati in alcuni
esperimenti per valutare il grado di cross-reattività.
Un pannello di 91 sieri bovini e 85 sieri bufalini sono stati
impiegati per lo sviluppo e la validazione del test ELISA indiretto.
Lo stato di infezione verso BoHV1 o BuHV1 è stato definito
in base alla reattività in SN ed ELISA competitivo verso gB e
gE. Dei 91 sieri bovini 30 provenivano da animali infetti (SN+;
gB+/gE+), 30 da animali vaccinati con vaccino marker (SN+;
gB+/gE-), 30 da animali ufficialmente indenni (SN-; gB-/gE-).
E’ stato inoltre impiegato un siero derivante da un soggetto
precedentemente infettato sperimentalmente con un ceppo
di BuHV1 e raccolto a 50 giorni p.i. Degli 85 sieri bufalini,83
provenivano da allevamenti senza documentati contatti con
bovini e non sottoposti a nessun trattamento immunizzante
per IBR. Di questi 26 risultavano negativi alla SN (omologa ed
eterologa) ed ai test competitivi (gB-/gE-) e pertanto considerati
veri negativi; 38 risultavano SN positivi e gB+/gE- e considerati
infetti da BuHV1. 18 risultavano SN positivi e gB+/gE+: lo
stato di infezione in questo gruppo è stato classificato come
indeterminato. Infine, sono stati utilizati sieri provenienti da
due bufali sperimentalmente infettati con rispettivamente con
Introduzione
Il bufalo mediterraneo (Bubalus bubalis) è l’ospite primario
e reservoir di Bubaline herpes virus 1 (BuHV1), un
alphaherpesvirus originariamente isolato in Australia e più
recentemente in Italia. L’infezione da BuHV1 è associata
ad infezioni genitali subcliniche; tuttavia, sequenze di virus
specifiche sono state messe in evidenza anche da feti abortiti
(1). BuHV1 è antigenicamente e geneticamente correlato a
BoHV5 ed in grado minore a BoHV1 (2,3). L’impatto di tale
infezione sui piani di controllo per IBR non è al momento
valutabile, poiché non sono disponibili sul mercato metodi
diagnostici affidabili per la differenziazione delle infezioni
da BoHV1 e BuHV1 (4). Sierologicamente, sia i bovini che
i bufali risultano recettivi all’infezione eterologa. Inoltre, bufali
infetti con BuHV1 reagiscono in vario grado ai test sierologici
utilizzati per la diagnosi d’infezione da BoHV1, compresi la
sieroneutralizzazione (SN) e i test competitivi.
In accordo con precedenti studi, le infezioni da alphaherpesvirus
nei ruminanti si possono differenziare dal prototipo BoHV1
utilizzando la cross-neutralizzazione (per esempio Caprine
Herpesvirus 1) o utilizzando in serie due test competitivi per
la ricerca di anticorpi diretti verso le glicoproteine B (gB) ed E
(gE) (per esempio BoHV5). Nel primo caso il titolo SN verso
l’infezione da virus omologo risulta circa 4 volte superiore
rispetto all’infezione eterologa, mentre nei test competitivi,
i ruminanti infetti con virus diversi da BoHV1 reagiscono
positivamente verso il test gB e negativamente verso gE, a
condizione che non siano stati vaccinati con vaccini marker.
L’applicazione di questi criteri per definire lo stato di infezione
nei bufali è stata valutata in pochi lavori, producendo risultati
contrastanti (5). Scopo del presente studio è quello di
BIBLIOGRAFIA
1. Fasanella A. et al., 2013, Ground Anthrax Bacillus Refined
Isolation (GABRI) method for analyzing environmental samples with low levels of Bacillus anthracis contamination.BMC
Microbiology 2013, 13:167.
2. Fasanella A. et al., 2012, Bangladesh anthrax outbreaks
are problably caused by contaminated livestock feed. Epidemiol Infect. Jul 20:1-8.
3. Fasanella A. et al., 2001, Detection of Anthrax vaccine
virulence factors by Polimerase Chain Reaction. Vaccine
19:4214-4218.
4. Van Ert MN et al., 2007, Global genetic population structure
of Bacillus anthracis. PloS ONE 2(5):E461.doi:10.1371/journal.pone.0000461.
Collaborazione tecnica: Giuseppe Stramaglia, Francesco Tolve
Il presente lavoro è stato svolto con i fondi della Ricerca
Corrente IZS PB 04/2010
96
97
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
vaccinati risulterebbero negativi a questo test. In conclusione,
lo sviluppo di due test basati sul dominio extracellulare della gE
di BuHV1 e BoHV1 consentirà l’applicazione di idonei metodi
di controllo dell’infezione da BuHV1 nel bufalo mediterraneo e
di valutare, con maggiore accuratezza, il ruolo del bufalo come
reservoir di BoHV1.
BoHV1 e BuHV1, entrambi prelevati 48 giorni p.i.
Sono stati quindi sviluppati due differenti test ELISA indiretti.
Il primo test prevedeva l’utilizzo di pozzetti sensibilizzati
unicamente con l’ antigene gE di BuHV1 (ELISA gE BuHV1),
mentre per il secondo test di tipo comparativo le gE ricombinanti
di BoHV1 e BuHV1 sono state immobilizzate su file separate
(pari e dispari) della stessa piastra. I test immunoenzimatici
sono stati condotti come descritto in precedenti studi. Il livello di
concordanza fra i test è stato calcolato utilizzando la Kappa di
Cohen, mentre l’associazione fra il titolo SN di sieri bufalini e la
reattività verso il test competitivo gE è stata valutata mediante
Wilcoxon Rank Sum test. Tutte le analisi statistiche sono state
condotte utilizzando il software R (6).
Bibliografia
1- Amoroso M.G., Corrado F., De Carlo E., Lucibelli M.G.,
Martucciello A., Guarino A., Galiero G., 2013. Bubaline
herpesvirus 1 associated with abortion in a Mediterranean
water buffalo. Research in Veterinary Science 94, 813–816.
2- De Carlo, E., Re, G.N., Letteriello, R., Del Vecchio, V.,
Giordanelli, M.P., Magnino, S., Fabbi, M., Bazzocchi, C.,
Bandi, C., Galiero, G., 2004. Molecular characterisation of a
field strain of bubaline herpesvirus isolated from buffaloes
(Bubalus bubalis) after pharmacological reactivation. Vet. Rec.
154, 171–174. 3- Thiry, J., Keuser, V., Muylkens, B., Meurens,
F., Gogev, S., Vanderplasschen, A., Thiry, E. 2006. Ruminant
alphaherpesviruses related to bovine herpesvirus 1. Vet. Res.
37, 169–190. 4- Scicluna M. T., Caprioli A., Saralli G., Manna
G., Barone A., Cersini A., Cardeti G., Condoleo R.U., Autorino
G. L., 2012. Should the domestic buffalo (Bubalus bubalis)
be considered in the epidemiology of Bovine Herpesvirus 1
infection? Vet. Microbiol. 143 (2010) 81–88 5- Scicluna, M.T.,
Condoleo, R.U., Bruni, G., Saralli, G., Cardeti, G., Battisti, A.,
Cocumelli, C., Autorino, G.L. 2006. Herpesvirus infections
in buffaloes (Bubalus bubalus): comparative analysis of
various serological assays for diagnosis and epidemiological
evaluations. In: International Proceedings of the 4th IVVDC,
Oslo, Norway, p. 102. 6- R Core Team, 2012. R: A Language
and Environment for Statistical Computing. R Foundation for
Statistical Computing, Vienna, Austria.
Risultati e Discussione
Il dominio extracellulare della gE di BuHV1 mostra un grado di
similarità del 77% rispetto alla gEdi BoHV1.
La proteina ricombinante, espressa in forma secreta, è stata
riconosciuta in western blotting sia dall’anticorpo monoclonale
anti 6xhis, sia da uno dei 7 Mab positivi in gE ELISA (peso
molecolare > di 60KDa). Dei restanti sei Mabs, uno è risultato
cross-reattivo con la gE di BoHV1 mentre gli altri cinque
sono risultati specifici per la gE di BuHV1. Utilizzando i sieri
bufalini nel test gE BuHV1 indiretto, la massima concordanza
si è ottenuta con la SN (K=1.00, 95%CI 0.65-1.00) ed
una concordanza quasi perfetta con il test competitivo gB
(K=0.944, 95%CI 0.70-1.00). I sieri bufalini positivi al gE
competitivo sono risultati statisticamente associati a titoli SN
più alti rispetto ai sieri gB+/gE- (Wilcoxon Rank Sum test
p<0.001). La maggior parte dei sieri bovini positivi verso
l’antigene gE omologo in ELISA indiretto sono risultati positivi
anche verso la gE di BuHV1. Tuttavia, testando i sieri bovini
e bufalini nel test comparativo (BoHV1-BuHV1 gE ELISA
indiretto), è risultata un’evidente discriminazione. Infatti,
tutti i sieri bovini mostrano una assorbanza doppia verso
l’antigene omologo rispetto all’antigene eterologo, mentre i
sieri bufalini risultano maggiormente reattivi verso l’antigene
gE BuHV1, indipendentemente dal risultato ottenuto con il
test gE competitivo. D’altro canto, i sieri di bovini e bufali
infettati sperimentalmente con BuHV1 e BoHV1 sono risultati
maggiormente reattivi verso gli antigeni omologhi al ceppo
utilizzato. Infine la SN crociata si è dimostrata inadeguata alla
corretta classificazione delle due infezioni con titoli molto simili
e talvolta non coerenti con il reale stato di infezione. I risultati fin
qui ottenuti suggeriscono che l’antigene gE BuHV1 espresso
in forma ricombinante rappresenta un marker sensibile di
infezione. Il test comparativo consente inoltre di discriminare
l’infezione da BoHV1 da quella da BuHV1, indipendentemente
dalla specie animale considerata. Un discorso a parte merita il
riscontro di sieri bufalini positivi al test competitivo gE senza un
apparente contatto con bovini infetti da BoHV1. Il riscontro di
bufali gE positivi è stato documentato in altri casi in cui BuHV1
è stato isolato o identificato mediante PCR. Nel nostro studio i
sieri risultati positivi al test gE competitivo sono statisticamente
associati ad alti titoli in SN, suggerendo una positività al test
competitivo, piu’ da impedimento sterico che da reale infezione
da BoHV1. Si desume perciò che il test gE competitivo non sia
idoneo a discriminare le due infezioni. Inoltre, l’uso dei vaccini
marker per il controllo dell’infezione da BuHV1 è stato per molto
tempo limitato dalla mancanza di idonei metodi diagnostici
in grado di discriminare gli animali infetti da quelli vaccinati.
L’uso del test gE indiretto potrebbe quindi essere utilizzato
in associazione ai vaccini marker dal momento che animali
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VALIDAZIONE DI 16S-RDNA-PCR-DGGE PER LA DIAGNOSI DI MICOPLASMOSI IN
CAMPO VETERINARIO
Rodio S., Baldasso E., Fincato A., Qualtieri K., Moronato M. L., Catania S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10, 35020 Legnaro (PD), Italy [email protected]
Keywords: DGGE, validation, Mycoplasma
Abstract
A denaturing gradient gel electrophoresis (DGGE) of a 16S ribosomal DNA polymerase chain reaction was validated for the
detection of Mycoplasma belonging to the class Mollicutes. The
genus Mycoplasma are important pathogens and commensals,
causing considerable economic losses in animal commercial
production. These losses may be widely reduced or limited if a
rapid diagnosis is available. This short communication describes
the validation procedure to detect and differentiate mycoplasma
species of veterinary significance from cultivated isolates. The
internal procedure, according to the IZS.IDD.015 of the IZSVe,
considers different trials: Analytic Specificity (Inclusive and Exclusive), Repeatability (intra-run and between-run) and Sensitivity. This protocol gave good performances resulting suitable for
a rapid identification of many mycoplasma species for which no
specific PCRs are currently available.
M. bovirhinis NCTC 10118
M. bovis NCTC 10131
M. dispar NCTC 10125
M. alkalescens NCTC 10135
M. ovipneumoniae (da
sequenziamento 12diaPD/3197)
M. arginini NCTC 10129
Materiale e Metodi
Isolamento da brodocolture: i ceppi selezionati sono stati coltivati mediante procedura interna (PDP DIA 014 rev. 01-9/11)
basata sul manuale OIE [3], con incubazione a 37° C al 5% di
CO2 in terreno liquido. La coltura è controllata giornalmente fino
a cambiamento di colore e torbidità, e titolata per le successive analisi, utilizzando il metodo delle UCC/ml (Unit Changing
Colour) [1]. Inoltre son stati coltivati i più frequenti batteri Gram
negativi, patogeni delle vie aeree in campo aviare per la prova
di specificità analitica esclusiva (fig.4). Estrazione del DNA: il
DNA è stato estratto con metodo manuale mediante il kit “HP
PCR Template Preparation Kit” (Roche Diagnostics S.p.A.)
partendo da brodocolture a concentrazione nota titolata 108 e
successive diluizioni 105, 104, 103, 102, 101, ai fini delle prove di
ripetibilità e sensibilità.
16S-PCR DGGE: I DNA estratti sono sottoposti a reazione di
amplificazione utilizzando i primer descritti in tabella 2.
Tabella 1 - Lista dei principali micoplasmi isolati nei settori
aviare, bovino/ovino e suino utilizzati per la validazione.
Figura 1. Plot a dispersione delle reattività in ELISA verso
le gE ricombinanti di BoHV1 (asse Y) e BuHV1 (asse X).
Sieri bovini (cerchi) e bufalini (quadrati e triangoli) sono stati
classificati in base alla reattività con i test competitivi gB e gE
o il virus infettante (solo animali sperimentali): sieri bovini infetti
BoHV1 (cerchi bianchi); sieri bufalini gB+/gE- (quadrati neri);
sieri bufalini gB+/gE+ con alti titoli SN (triangoli neri); bovino
sperimentalmente infettato con BuHV1 (cerchio nero e freccia);
bufalo sperimentalmente infettato con BoHV1 (quadrato bianco
e freccia); bufalo sperimentalmente infettato con BuHV1
(quadrato nero e freccia)
98
Settore
M. gallinarum NCTC 10120
M. gallisepticum NCTC 10115
M. iowae NCTC 10185
M. imitans NCTC 4229
M. gallinaceum NCTC 10183
M. meleagridis NCTC 10153
M. synoviae NCTC 10124
Aviare
Aviare
Aviare
Aviare
Aviare
Aviare
Aviare
M. hyopneumoniae NCTC
10110
M. hyorhinis NCTC 10130
M. hyosynoviae ATCC 25591
M. hyopharyngis (da sequenziamento 12dia-PD/4139)
Suino
Ovi-caprino/Bovino/Suino
La differenziazione delle diverse specie di micoplasmi è stata
possibile mediante amplificazione della regione variabile del
gene V3 nel DNA ribosomiale 16S (rDNA). Il prodotto di amplificazione di ciascun campione è poi sottoposto a corsa elettroforetica in gradiente denaturante (Denaturing Gradient Gel
Electrophoresis - DGGE), portando così alla separazione della
doppia elica durante la corsa. Tale metodica è potenzialmente
in grado di evidenziare fino a una mutazione puntiforme nella
sequenza del DNA target, così i campioni diagnostici possono
essere comparati con pattern di campioni noti di riferimento.
Inoltre, sono facilmente identificabili anche coinfezioni di micoplasmi all’interno di uno stesso campione.
Introduzione
I micoplasmi rientrano in una classe di batteri unica, caratterizzata dall’assenza di una parete cellulare, con dimensioni
estremamente ridotte (da 300 a 800 nm di diametro). Un’altra
caratteristica che li contraddistingue è un genoma di piccole dimensioni, che facilita la loro sopravvivenza in stretta associazione con l’organismo ospite in veste di commensale. Alcune
specie di micoplasmi hanno grande rilevanza nella patogenesi
di certe malattie in campo veterinario e in medicina umana, soprattutto a carico dell’apparato respiratorio, urogenitale ed osteoarticolare sia nei mammiferi, come suini, bovini e ovi-caprini,
che negli uccelli. Sono isolabili in laboratorio mediante specifici
terreni e condizioni di crescita. Poiché i micoplasmi non sono
distinguibili su base biochimica, risulta necessario eseguire metodiche aggiuntive per l’identificazione della specie isolata quali
l’immunofluorescenza, l’inibizione della crescita e l’utilizzo di
PCR specie-specifiche, che naturalmente aumentano ancora di
più i tempi di risposta. Si riporta in tabella 1 una lista dei principali e più frequenti micoplasmi di aviari, suini e bovini.
Identificazione Mycoplasma
Bovino
Bovino
Bovino
Bovino
Ovi-caprino/Bovino
Tabella 2 - Sequenze dei primer utilizzati per l’amplificazione
della regione V3 del gene 16S [2]. L’amplificato ha una
lunghezza di 340 pb.
Primer
Sequenza
5’-CGCCCGCCGCGCGCGGCGGGC
GC-341 F
Suino
Suino
GGGGCGGGGGCACGGGGGGCC
TACGGGAGGCAGCAG -3’
Suino
R543
99
5’-ACCTATGTATTACCGCG-3’
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
A fine ciclo di amplificazione, 20 ul di prodotto di PCR sono caricati
in gel di acrilammide precedentemente assemblato e costituito da
un gradiente lineare di urea dal 60% al 30%. La corsa elettroforetica denaturante è effettuata in buffer TAE 1x preriscaldato a 60° C.
Tale temperatura è tenuta costante per l’intera durata della corsa
di circa 17 ore.
Visualizzazione dell’immagine: A fine corsa il gel è recuperato e
incubato con Sybr gold 1x (Invitrogen®), che funge da agente
intercalante al DNA e permette la visualizzazione agli UV del
pattern di amplificazione del DNA dei micoplasmi.
Risultati e Conclusioni
Ai fini della validazione della metodica di PCR sono state rispettate
le regole descritte nel documento del nostro Istituto IZS.IDD.015,
dove si richiedono il rispetto e il buon esito delle prove di specificità analitica (sia inclusiva che esclusiva), di ripetibilità intra-run e
between-run. In più è stata effettuata una prova di sensibilità della
metodica. La prova di specificità analitica inclusiva è stata eseguita in maniera indipendente rispettivamente per l’identificazione di
Micoplasmi bovini, suini e aviari. Ciascun campione di controllo è
stato amplificato 3 volte nella stessa reazione di PCR e visualizzato nella stessa corsa elettroforetica. Di seguito si riportano i risultati
per i suini (fig.1), per i bovini (fig.2) e per gli aviari (fig.3).
Figura 1 - Risultato della prova di specificità analitica inclusiva
suini
Figura 2 - Risultato della prova di specificità analitica inclusiva
bovini
Figura 3 - Risultato della prova di specificità analitica inclusiva
aviari
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 5 - Prove di sensibilità effettuate per i micoplasmi MG,
MS e BOVIS a diverse diluizioni
Concludendo, le prove effettuate dimostrano che tale metodica
è sia specifica che sensibile ed è in grado di accorciare i tempi
di risposta per la diagnosi di micoplasmosi sia da infezione singola che da confezione.
Il presente lavoro è stato sviluppato nell’ambito della Ricerca
Corrente IZSVE 15/10
Bibliografia
[1] Blodgett R. (2010) FDA’s Bacteriological Analytical Manual, Appendix 2: Most Probable Number from Serial Dilutions
(www.fda.gov/FOOD/ScienceResearch/LaboratoryMethods/
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[2] McAuliffe L., Ellis R. J., Lawes J. R., Ayling R. D. and
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[3] OIE (2008). Avian mycoplasmosis (M. gallisepticum, M.
synoviae). Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for terrestrial Animals, section 2.3 chapter 2.3.5.
Con tali prove è possibile osservare come i diversi campioni
di riferimento, caricati in triplicato, mostrano un bandeggio
specifico per numero e posizione delle bande per ogni ceppo di
Mycoplasma e diverso all’interno di ciascun pannello bovino, o
suino o aviare. In fig. 4 si riporta il risultato ottenuto per la prova
di specificità analitica esclusiva dove sono stati amplificati ceppi
batterici, isolati presso la diagnostica di Padova (SCT7) a partire
dal 2008. Come si può osservare, la reazione di amplificazione
ha prodotto delle bande anche per campioni di specie batteriche
diverse dai Mycoplasma (fig.4, lane 2-5), anche se è evidente che
tali bandeggi restano distinguibili dai bandeggi evidenziabili nei
campioni di riferimento utilizzati per l’identificazione delle differenti
specie di micoplasmi (fig.4, lane 6-15). Inoltre si deve considerare
che i terreni di crescita utilizzati sono selettivi per i Mollicutes ed
inibenti per altre specie microbiche. Le prove di ripetibilità sono
state effettuate sia per brodo colture di M. bovis che per M.
gallisepticum a concentrazioni note di UCC/ml, alta (108), media
(105) e bassa (103). Le prove in triplicato sono state effettuate da
due operatori (A e B) all’interno della stessa corsa e in tre sedute
diverse, mostrando sempre i medesimi bandeggi all’interno della
stessa corsa elettroforetica e dello stesso ciclo di amplificazione
(dati non riportati). Al fine di stabilire la sensibilità del metodo
16S-PCR- DGGE si riporta di seguito il risultato di amplificazione
a basse concentrazioni (104, 103, 102, 101) rispettivamente per i
principali micoplasmi in campo aviario MG (M. gallisepticum) e MS
(M. synoviae), e BOVIS (M.bovis) come riportato in fig. 5.
Figura 4 - Risultato della prova di specificità analitica esclusiva
100
101
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
SVILUPPO DI UN TEST SIEROLOGICO INDIRETTO SU LATTE DI MASSA PER LA
SORVEGLIANZA SANITARIA DI ALLEVAMENTI BOVINI INDENNI DA IBR
1
Bertolotti L., 1Nogarol C., 1Profiti M., 2Ariello D., 3Varetto L., 1Rosati S.
1
Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università degli Studi di Torino, Italy
2
ASL TO3, S.C. Sanità Animale, Torino, Italy
3
Agronomo Libero Professionista
Keywords: Bulk milk, IBR, recombinant ELISA
Abstract
Bulk milk represents an excellent matrix for surveillance of
farm animal diseases by serological methods, provided that
diagnostic test reaches adequate sensitivity due to dilution of
immunoglobulin in milk, compared to serum sample. In this
study we develop a new recombinant based indirect ELISA for
detection of anti gE antibody in serum and milk. In addition,
a fast and reliable method for purification/concentration of
Immunoglobulin from milk was developed. By combining the
two methods, the sensitivity of the assay was ten times higher
and able to detect one seropositive milk out of 40 (prevalence
2,5%). This value seems adequate for surveillance of gE
negative status of vaccinated herds.
Introduzione
Il latte di massa rappresenta una matrice biologica pratica ed
economica per valutare lo stato sanitario di una popolazione
bovina. In allevamenti ufficialmente indenni (non vaccinati) la
sorveglianza sanitaria per IBR, basata su latte massale, non
presenta sostanziali difficoltà dal punto di vista diagnostico, in
quanto i test indiretti per anticorpi totali sono dotati di adeguata
sensibilità. Al contrario, maggiori difficoltà si incontrano per la
sorveglianza in stalle indenni che utilizzano il vaccino marker.
Il test competitivo gE non è consigliabile in quanto la diluizione
degli anticorpi nel latte rispetto al siero di sangue abbassa
notevolmente la sensibilità diagnostica del metodo. Per tale
ragione le stalle vaccinate vengono sottoposte a sorveglianza
sanitaria attraverso esami individuali su siero di sangue con
evidenti costi maggiori sia in termini di risorse umane che di
materiali impiegati. Per ovviare a questo inconveniente, il
presente studio descrive lo sviluppo di un test di tipo indiretto
basato sulla glicoproteina E di BoHV1, espressa in forma
ricombinante. Il metodo proposto può essere impiegato su
siero di sangue, latte individuale e latte di massa. Inoltre, al
fine di aumentare la sensibilità del metodo è stato sviluppato
un protocollo rapido per la concentrazione/purificazione di
immunoglobuline G da latte.
Materiali e Metodi
Il gene codificante per la glicoproteina E di BoHV1, deleto per
il peptide leader e per il dominio di transmembrana è stato
amplificato e clonato in un vettore di espressione eucariota
sotto il controllo del promotore CMV ed in fusione con un
segnale di secrezione. Cellule HEK293T sono state trasfettate
con preparazioni purificate di plasmide mediante lipidi cationici;
il liquido colturale è stato sostituito a 6 ore dalla trasfezione
con terreno protein-free. 40 ore post trasfezione il liquido
colturale è stato raccolto, centrifugato e conservato a -80°C.
Successivamente, sono state sensibilizzate piastre ELISA con
il liquido colturale opportunamente diluito (file dispari); come
antigene negativo è stato utilizzato il liquido colturale ottenuto
da cellule trasfettate con il vettore vuoto (file pari). Il test ELISA
indiretto è stato condotto come descritto in precedenza (1)
utilizzando diverse diluizioni a seconda della matrice utilizzata
(siero di sangue 1:20, latte tal quale e concentrato di IgG da latte
1:2). Infatti, al fine di aumentare la sensibilità del metodo, è stato
messo a punto un metodo per la concentrazione e purificazione
di IgG da latte. Il protocollo prevede un iniziale trattamento
termico a 38°C del latte (10 ml) per favorire la precipitazione
delle caseine. Successivamente la soluzione viene centrifugata,
ottenendo il siero di latte a cui viene addizionato la matrice di
affinità per le IgG. Dopo aver incubato per circa 10 minuti in
agitazione si procede con una centrifugazione, ottenendo un
pellet contenente la matrice stessa. Il pellet viene risospeso
in PBS e lavato due volte su colonna per microcentrifuga.
L’eluizione delle IgG si esegue a pH acido in un volume finale di
200µl in presenza di una soluzione neutralizzante con Tris pH
8.5. Nel test ELISA indiretto sono stati testati sia sieri di sangue
che latti massali provenienti da allevamenti con lo stesso stato
sanitario: infetti, vaccinati marker e negativi. La sensibilità
del metodo è stata valutata in due esperimenti indipendenti:
nel primo è stato utilizzato un pannello di sieri provenienti da
aziende indenni o vaccinate (n=56) e infette (n=27). Il secondo
esperimento è stato condotto utilizzando latti di massa e relativi
concentrati/purificati provenienti da aziende con il medesimo
stato sanitario.
Inoltre sono stati miscelati campioni di latte provenienti da
soggetti infetti con latte di massa proveniente da allevamenti
ufficialmente indenni, per ottenere le seguenti prevalenze
teoriche: 20%, 10%, 5%, 3,3%, 2,5%, 2%.
Risultati
I test eseguiti hanno mostrato valori di sensibilità e specificità
rispettivamente pari al 88.9% (CI95% 70.8% - 97.6%) e al 98,2%
(CI95% 90,4% - 99,9%).
I campioni di latte di massa provenienti da aziende indenni ed
ufficialmente indenni sono risultate tutte negative; al contrario,
alcune aziende infette sono risultate negative, sia utilizzando il
latte che il rispettivo concentrato/purificato. In tali aziende è stato
possibile definire una prevalenza di soggetti sieropositivi fra gli
animali in lattazione pari al 1,7% e al 2,6%. Va tuttavia rilevato
che si tratta di positività da vaccinazioni pregresse condotte
con vaccino tradizionale: è dunque possibile affermare che tali
valori non rispecchiano una reale prevalenza di infezione. Il
test eseguito sui campioni di latte artificialmente contaminato,
ha consentito di rilevare una prevalenza del 20%. Testando il
corrispondente concentrato di IgG è stata rilevata una prevalenza
teorica del 2,5% (figura 1) e del 5% con il test competitivo.
Questi risultati sono in accordo con la maggiore sensibilità del
concentrato rispetto al corrispondente campione di latte.
102
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Testando 3 diversi campioni di latte, la reattività in ELISA del
concentrato è risultata essere 10 volte superiore alla reattività
del corrispettivo latte intero, come mostrato in figura 2.
Discussione
L’antigene utilizzato nel presente test corrisponde alla porzione
esterna della glicoproteina E e non contiene l’epitopo utilizzato
nel test competitivo. Esso si genera quando la gE si complessa
alla glicoproteina I (gI): nonostante la mancanza della
glicoproteina gI immunodominante, nella regione gE considerata
sono presenti altre porzioni immunoreattive che concorrono
a determinare una buona antigenicità della glicoproteina
ricombinante. La sensibilità su campioni individuali risulta
inferiore al test competitivo e non sono ancora noti i dati sulla
precocità del test nel rilevare infezioni recenti. Ciò nonostante
la possibilità di utilizzare il siero alla diluizione di 1/20 consente
di impiegare la matrice latte ad una diluizione tale da limitare
l’effetto di diluizione degli anticorpi in questa matrice. Utilizzando
il latte indiluito il test rileva aziende con prevalenza di soggetti
sieropositivi del 30%. Il test sul latte di cisterna può quindi
essere impiegato per valutare la progressione di un piano di
controllo nelle prime fasi. Successivamente alla negatività sul
latte, il monitoraggio dell’azienda potrebbe basarsi sull’analisi
del concentrato/purificato di IgG estratto dal latte massale
aziendale, consentendo un guadagno in termini di reattività in
ELISA indiretto di un fattore 10X. Infatti la sensibilità arriva a
rilevare 1 soggetto infetto su 40 (prevalenza 2,5%). Attestata
la negatività del concentrato/purificato di latte di massa, si
potrebbe ricorrere ai test individuali (siero o latte) nelle fasi
finali di eradicazione. Infine, il test su concentrato/purificato di
IgG da latte può essere utilmente utilizzato in sorveglianza di
aziende indenni (vaccinate marker): la sensibilità riscontrata
nel presente studio risulta più che adeguata a rilevare una
eventuale re-introduzione del virus in azienda.
Figura 1. Reattività in ELISA indiretto di campioni di latte massale e corrispondenti concentrati di IgG ottenuti artificialmente
miscelando un campione positivo per IBR con volumi crescenti di latte negativo.
Figura 2. Rapporto fra la reattività di un campione di latte positivo (427L) con diluizioni scalari del rispettivo concentrato.
Bibliografia:
1- Bertolotti L, Rosamilia A, Profiti M, Brocchi E, Masoero L, Franceschi V, Tempesta M, Donofrio G, Rosati S.. 2013. Characterization
of caprine herpesvirus 1 (CpHV1) glycoprotein E and glycoprotein I ectodomains expressed in mammalian cells. Vet. Microbiol.
164 (2013) 222-228.
103
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
MARINE MAMMAL UNUSUAL MORTALITY EVENTS: DILEMMAS WITH DIAGNOSIS
EVENTO DI MORTALITÀ ANOMALA DI CETACEI LUNGO LE COSTE TIRRENICHE
Gulland F.
Pautasso A.1, Mazzariol S.2, Terracciano G.3, Scholl F. 3, Cardeti G. 3, Fichi G. 3, De Carlo E.4, Di Nocera F. 4,
Lucifora G. 4, Caracappa S.5, Guercio A. 5, Puleio R. 5, Pintore A.6, Denurra D. 6, Mignone W. 1, Goria M. 1, Podestà M.7,
Pavan G. 8, Di Guardo G. 9, Casalone C. 1, Franco A.3
The Marine Mammal Center, Sausalito, CA 94965, USA
Marine mammal unusual mortality events gather considerable public attention, due to the charismatic nature of
whales, dolphins and seals. Because many marine mammal species are long-lived, feed at a high trophic level, have
fat stores that may accumulate anthropogenic toxins, and
are often highly visible, marine mammals can be used to reflect the health of an ecosystem. Thus investigation into the
causes of marine mammal mortality events can give useful
insight into the state of the marine ecosystem. A recent rise
in the reporting of diseases in marine organisms has raised
concerns amongst scientists, politicians, managers and the
public that ocean health is deteriorating (Gulland and Hall
2007). Marine diseases, particularly those that cause largescale die-offs, can alter mammal population distribution and
abundance, may ultimately result in species’ extinction, and
can cause major regime changes within marine communities
(Harvell et al. 2004, Kim et al. 2005). However, whether the
increase in reports represents a real and widespread degeneration in the health of marine mammals is unclear (Lafferty
et al. 2004). This lack of certainty is due to a lack of information on the true incidence of marine mammal diseases and
their underlying causes, and few long term data sets, largely due to the lack of specific and directed marine mammal
health monitoring, as well as lack of data integration across
taxa (Kim et al. 2005).
The lack of understanding of the true incidence of
marine mammal diseases is partially due to the difficulties associated with making a diagnosis as to cause of death of individuals, and the further difficulty of extending a diagnosis made
for one animal to a group of animals involved in an unusual
mortality event. The difficulties associated with making a diagnosis are associated with a number of factors, starting with the
logistic difficulties of dissecting large aquatic animals (stranded
whales often occur in remote inaccessible locations), and the
lack of tissues fresh enough for diagnostic purposes. Diagnosis
is further complicated by the relative lack of species specific
diagnostic tools, the complex multi-factorial etiology of many
diseases, and our relatively poor understanding of the epidemiology and pathogenesis of many marine mammal diseases.
In this talk, I will illustrate these difficulties associated
with diagnosing causes of marine mammal unusual mortality
events with examples of morbillivirus infection in cetaceans,
leptospirosis in sea lions, harmful algal bloom toxicoses, malnutrition and trauma in large whales. In conclusion, to reduce
the dilemmas associated in future marine mammal die-offs, we
need to develop more diagnostic tools, as well as interdisciplinary collaborations.
Gulland, F. M. D. & A. J. Hall (2007). Is marine mammal health
deteriorating? EcoHealth, 4:135-150.
Harvell, D., R. Aronson, N. Baron et al. 2004 The rising tide of
ocean diseases: unsolved problems and research priorities.
Frontiers in Ecology and the Environment 2:375–382.
Kim, K., et al. 2005. Diseases and the Conservation of Marine
Biodiversity. In Marine Conservation Biology: The Science of
Maintaining the Sea’s Biodiversity. Eds E. A. Norse & L. B.
Crowder, Island Press, Washington. 149-166.
Lafferty K.D., Porter J., & S.E. Ford. 2004. Are diseases increasing in the ocean? Annual Review of Ecological Systems.
35:31-54
1
Istituto Zooprofilattico del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta; 2 Università degli Studi di Padova-Dip. Biomedicina Comparata e
Alimentazione; 3Istituto Zooprofilattico del Lazio e Toscana; 4Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno; 5Istituto Zooprofilattico della
Sicilia; 6Istituto Zooprofilattico della Sardegna; 7Museo di Storia Naturale di Milano; 8Università degli Studi di Pavia; 9 Università
degli Studi di Teramo - Facoltà di Medicina Veterinaria
Keywords: Unusual mortality event, Dolphin Morbillivirus, Striped dolphins
Abstract
During the first 3 months of 2013 an Unusual Mortality Event (UME)
of cetaceans, mainly striped dolphins (Stenella coeruleoalba), was
reported along the Tyrrhenian Sea coasts of Italy. Italian stranding
network on Marine Mammals, born from collaboration between
Ministry of Health and Ministry of Environment in order to coordinate
the issue, managed this event. Post mortem investigations were
performed by Istituti Zooprofilattici Sperimentali applying uniform
diagnostic protocols and sharing the results of laboratory analysis.
They worked on 54% of stranded animals, according to the
conservation conditions of carcasses. Data obtained allowed to
draw preliminary hypothesis about the possible causes of this
mortality outbreak. Dolphin Morbillivirus (DMV) was deemed as
the most likely cause of impairment of the immune system and
other pathogens like Photobacterium damselae and Herpevirus
may have played an essential role in this mortality event.
Introduzione
Durante i primi 3 mesi del 2013 le coste tirreniche delle Regioni
Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna sono
state interessate da un numero di spiaggiamenti di cetacei del
tutto insoliti rispetto a quelli registrati, nel medesimo tratto di costa,
durante gli anni precedenti. Questi episodi vengono definiti come
evento di mortalità anomalo (Unusual Mortality Event - UME) (7).
Grazie alla Rete Nazionale Spiaggiamenti nata dalla collaborazione
tra Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare
e Ministero della Salute è stato possibile gestire l’emergenza
con coordinazione e sinergismo fra gli Enti preposti, in modo
tale da ottenere la completa tracciabilità delle segnalazioni, dei
campionamenti, degli esami svolti e dei risultati ottenuti.
La proficua cooperazione fra le diverse competenze tecnicoscientifiche ha visto coinvolti: Servizi Veterinari delle ASL, gli
Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS), le ARPA, le Università
di Padova, Pavia, Teramo, Siena, Pisa, il Museo di Storia Naturale
di Milano, le Capitanerie di Porto e il Corpo Forestale dello Stato.
Materiali e Metodi
Dal 1 gennaio al 30 marzo 2013, 122 cetacei sono stati rinvenuti
spiaggiati lungo le coste di Toscana, Lazio, Campania, Calabria,
Sicilia e Sardegna.
Su ciascun animale spiaggiato è stato applicato il protocollo
di intervento, di segnalazione e diagnostico definito dalle Linee
Guida Nazionali.
Nel dettaglio si è provveduto a:

Compilare la Scheda della Banca Dati Spiaggiamenti (BDS),
istituita presso il Centro Interdisciplinare di Bioacustica e
Ricerche Ambientali dell’Università degli Studi di Pavia,
al fine di raccogliere in maniera sistematica le informazioni
anamnestiche e morfologiche.

Eseguire la necroscopia e campionare organi e tessuti, in
104
parte sottoposti a congelamento per l’esecuzione di indagini
colturali e biomolecolari e in parte fissati in formalina al 10%
per gli esami istologici e immunoistochimici (IHC). Sono
stati eseguiti esami microbiologici, virologici e sierologici
dei principali patogeni conosciuti nei cetacei, in particolare
Morbillivirus (DMV), Herpesvirus, Brucella spp. e Toxoplasma
gondii.

Inviare alla Banca Tessuti dell’Università di Padova i campioni di
sangue, organi e tessuti congelati e in formalina.

Compilare la Scheda del Registro Dati Diagnostici (Re.Da.Ce),
istituita presso l’IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, al fine
di raccogliere i risultati dell’esame necroscopico e delle analisi
di laboratorio eseguite sui campioni prelevati.
Risultati
Le segnalazioni inviate alla BDS hanno riportato 122 cetacei
spiaggiati: 96 stenelle striate (Stenella coeruleoalba), 7 tursiopi
(Tursiops truncatus), 1 balenottera comune (Balaenoptera
physalus), 1 globicefalo (Globicephala melas) e 3 grampi (Grampus
griseus). In 14 individui non è stato possibile determinare la specie
a causa del pessimo stato di conservazione della carcassa.
La distribuzione geografica dell’evento è illustrata nella
Mappa n. 1
Mappa n. 1 – Distribuzione geografica degli spiaggiamenti e
specie coinvolte (BDS)
Da una stima indiretta dell’età delle stenelle spiaggiate realizzata
in funzione di considerazioni morfometriche (2) è emerso che la
maggior parte degli esemplari erano soggetti giovani.
Gli IIZZSS territorialmente competenti sono intervenuti per
effettuare le indagini post-mortem su un totale di 66 soggetti (54%
degli animali spiaggiati).
105
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
La maggior parte delle carcasse (43 soggetti; 68,2%) erano
contraddistinte da un cattivo stato di conservazione variabile da un
grado 3 (moderata decomposizione) ad un grado 5 (mummificato
e/o fortemente decomposto), come dettagliato in Tabella n. 1
CODICE DI CONSERVAZIONE
1
2
3
4
5
Animale vivo
Carcassa fresca
Decomposizione moderata
Decomposizione avanzata
Carcassa mummificata/resti
dello scheletro
N° animali
4
16
32
8
%
6.35%
25.40%
50.79%
12.70%
3
4.76%
Tabella n. 1 – Grado di conservazione di 63 carcasse secondo
WHOI-2007-06 (Woods Hole Oceanog. Inst. Tech. Rep.; dato
non disponibile per 3 animali).
È stato possibile esaminare lo stomaco di 45 animali e valutarne il
contenuto. Nella maggior parte dei casi esaminati (31 casi; 69%) le
concamerazioni gastriche erano vuote. Negli animali con stomaco
pieno, si sono rinvenuti accanto ai reperti alimentari (pesci,
cefalopodi) anche corpi estranei (canne di bambù). Si sono reperiti
in alcuni casi anche elementi parassitari, in particolare Anisakis
spp. e Pholeter gastrophilus. Una forte infestazione parassitaria è
stata evidenziata in 35 animali. I più frequenti parassiti riscontrati
erano Phyllobotrium spp. (25 casi; 71%); Phoeleter gastrophilus
(16 casi; 46%), e Monorygma grimaldi (12 casi; 34%).
DMV è stato rilevato tramite RT-PCR nel 41% degli animali testati
(rilevato in 22 animali su 53 testati). L’IHC per DMV eseguita su
6 casi risultati positivi in PCR, ha dato esito positivo in un solo
soggetto.
Altri patogeni sono stati identificati frequentemente e spesso in
associazione, in particolare Photobacterium damselae subsp.
damselae (isolato da 31 su 50 animali testati; 62%), Herpesvirus
(rilevato in 6 su 22 animali testati; 27,7%), e Toxoplasma gondii
(identificato in 5 su 55 animali testati; 9,62%). Brucella spp. non è
mai stata rilevata.
In molti animali spiaggiati sono state osservate istologicamente
lesioni aspecifiche di natura infiammatoria cronica, con deplezione
follicolare e ialinosi del tessuto linfoide che suggeriscono uno
stato di immunosoppressione. Inoltre milza, linfonodi, fegato e
rene presentavano frequentemente segni di sepsi acuta, quali
essudazione fibrinoide, emorragie ed emolisi.
Conclusioni
La diagnosi delle cause di un UME è spesso difficoltosa,
richiedendo un approccio multidisciplinare e la collaborazione fra
enti e figure professionali diverse ma complementari.
Per la prima volta in Italia, in un arco di tempo molto ristretto,
è stato possibile intervenire in maniera sinergica su numerosi
animali spiaggiati, eseguire le indagini diagnostiche post mortem
e disporre di dati raccolti uniformemente sull’intero territorio
nazionale.
Gli animali coinvolti in questo evento di mortalità anomala si
trovavano talvolta in un cattivo stato di conservazione, riducendo
fortemente le indagini eseguibili e limitando la possibilità di
giungere ad una diagnosi certa.
Presentavano inoltre un sistema immunitario fortemente
compromesso, come suggerito dalle osservazioni istologiche,
dall’alta carica parassitaria osservata e dal coinvolgimento di
animali prevalentemente giovani.
Dai risultati conseguiti è emerso che il 41% dei delfini testati
è risultato positivo per DMV, agente immunodeprimente
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA E GENOTIPICA DI ISOLATI DI PHOTOBACTERIUM
DAMSELAE SUBSP. DAMSELAE DA STENELLE STRIATE (Stenella coeruleoalba)
SPIAGGIATE SULLE COSTE DEL TIRRENO NEL 2013: RISULTATI PRELIMINARI
responsabile di gravi epidemie tra i mammiferi marini. Da oltre 20
anni circola nel Mar Mediterraneo, viene considerato endemico
con cicliche ricomparse ed è responsabile di elevate mortalità,
quando vi è una diminuzione dell’immunità di popolazione, che
diventa più suscettibile (5;6).
Poiché la maggior parte dei cetacei spiaggiati era giovane, è
probabile che l’infezione si sia verificata in quegli individui che non
avevano avuto un’esposizione precedente al virus e quindi senza
un adeguato livello di immunità.
L’esito dell’esame istologico nella maggior parte dei casi, ha
evidenziato quadri infiammatori aspecifici. L’IHC per DMV
eseguita su 6 casi risultati positivi in PCR ha dato esito positivo
solo in un soggetto. Inoltre la presenza di RNA virale in assenza di
lesioni significative non consente di affermare con certezza il ruolo
del DMV quale causa primaria di morte, tuttavia la sua azione
immunodeprimente può avere svolto un ruolo fondamentale nel
determinare questa moria anomala e aver predisposto ad infezioni
secondarie.
Nonostante Photobacterium damselae subsp. damselae
non sia stato a tutt’oggi associato univocamente ad UME,
l’elevata percentuale di positività, associata al frequente quadro
anatomoistopatologico emorragico ed emolitico, suggerisce di
approfondirne il possibile ruolo nel presente evento di mortalità
attraverso lo studio della presenza di fattori di patogenicità (4)
Herpesvirus e Toxoplasma sono stati rilevati frequentemente nei
cetacei coinvolti in questo evento, ma si ritiene che non abbiano
avuto un ruolo primario come causa di mortalità, come supportato
da dati bibliografici (1;3)
L’integrazione di questi risultati con quelli riguardanti i fattori
meteo marini, gli studi di popolazione, i contaminanti ambientali
ed eventuali altre cause di origine antropica permetterà di
comprendere più in dettaglio la natura di questo evento.
SUMMARY
In the first months of 2013 an Unusual Mortality Event (UME)
of cetaceans was reported along the Tyrrhenian coasts of Italy,
involving mainly striped dolphins. Photobacterium damselae
subsp. damselae (PDD) was isolated from tissues of 62%
(31/50) dead animals investigated for infectious agents. PDD
is an a halophilic bacterium able to cause infections and fatal
disease in marine animals and in humans. Recent studies
describe that isolates from marine animals and from human
cases exhibited a characteristic hemolytic activity. Hemolytic
strains produce plasmidic hemolysins called damselysin (Dly)
and HlyA, and a chromosome-encoded HlyA. In this study,
72.7% striped dolphins from Lazio and Tuscany in this UME
were culture-positive for this pathogen. We found that almost
all (24/25) culture-positive animals presented at least one
isolate with large or medium hemolysis, and the presence of
genes coding for plasmidic/chromosomal hemolysins never
reported before in isolates from cetaceans.
Bibliografia
1.Bellière EN, Esperón F, Arbelo M, Muñoz MJ, Fernández A,
Sánchez-Vizcaíno JM. Presence of herpesvirus in striped
dolphins stranded during the cetacean morbillivirus epizootic
along the Mediterranean Spanish coast in 2007. Arch Virol.
2010 Aug;155(8):1307-11. doi: 10.1007/s00705-010-0697-x.
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2.Di Meglio N. Romero Alvarez R. Collet A. Growth comparison
in striped dolphins, Stenella coeruleoalba, from the Atlantic
and Mediterranean coasts of France. Aquatic Mammals 22(1).
1996. 11-19.
3.Migaki G, Sawa TR, Dubey JP: Fatal disseminated
toxoplasmosis in a spinner dolphin (Stenella longirostris). Vet
Pathol 27:463– 464, 1990.
4.Rivas AJ, Balado M, Lemos ML, Osorio CR. (2013).
Synergistic and Additive Effects of Chromosomal and PlasmidEncoded Hemolysins Contribute to Hemolysis and Virulence
in Photobacterium damselae subsp. damselae Infect Immun
2013 Sep; 81(9):3287-99.
5.Rubio-Guerri C, Melero M, Esperón F, Bellière EN, Arbelo M,
Crespo JL, Sierra E, García-Párraga D, Sánchez-Vizcaíno
JM. Unusual striped dolphin mass mortality episode related
to cetacean morbillivirus in the Spanish Mediterranean Sea.
BMC Vet Res. 2013 May 23;9(1):106.
6.Van Bressem M, Waerebeek KV, Jepson PD, Raga JA,
Duignan PJ, Nielsen O, Di Beneditto AP, Siciliano S, Ramos
R, Kant W, Peddemors V, Kinoshita R, Ross PS, LópezFernandez A, Evans K, Crespo E, Barrett T. An insight into the
epidemiology of dolphin morbillivirus worldwide. Vet Microbiol.
2001 Aug 20;81(4):287-304.
7.Working group on marine mammal unusual mortality events
(2006) Criteria for determining an unusual marine mammal
mortality
event.
www.nmfs.noaa.gov/pr/health/mmume/
criteria.htm. Accessed November 22, 2007
INTRODUZIONE
Durante i primi 3 mesi del 2013 le coste tirreniche italiane
sono state interessate da un numero di spiaggiamenti di
cetacei, in media 10-12 volte più elevato rispetto a quelli
registrati durante gli anni precedenti nello stesso arco di
tempo. Questi episodi vengono definiti come evento di
mortalità anomalo. Gli animali interessati (122 soggetti)
appartenevano principalmente (76.6%) alla specie Stenella
striata (Stenella coeruleoalba) (Dati della banca nazionale
spiaggiamenti, Università di Pavia). Di questi, 66 animali
sono stati sottoposti ad indagini post-mortem nei vari
Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZZSS) competenti per
territorio. Da circa il 60% degli esemplari su cui sono state
effettuate indagini batteriologiche, è stato isolato il batterio
Photobacterium damselae subsp. damselae (P. damselae),
conosciuto in precedenza come Vibrio damsela. Tale agente
è un batterio Gram-negativo alofilo di forma bastoncellare,
della famiglia Vibrionaceae, considerato patogeno primario
in diverse specie di animali acquatici marini (pesci, cetacei,
molluschi, crostacei) e nell’uomo, dove è in grado di causare
ulcere emorragiche e setticemie (3, 4). Nonostante tale
patogeno non sia stato ad oggi associato a focolai epidemici
con elevata mortalità in mammiferi marini, alcuni studi
hanno riportato la presenza di ceppi che in vitro presentano
specifiche caratteristiche di emolisi e che in vivo (topi e
pesci) presentano una elevata letalità (3). Geneticamente,
tali caratteristiche, sono state associate alla produzione
di emolisine ed in particolare ad una tossina citolitica
denominata damselysin (Dly) e ad emolisine denominate
HlyA, di origine sia plasmidica che cromosomiale (3, 4).
Obiettivo di questo lavoro è stato l’identificazione e lo
106
Caprioli A.1, Franco A.1, Alba P.1, Cocumelli C.1, Terracciano G.1, Ianzano A.1, Lorenzetti S.1, Dottarelli S.1, Di Matteo P.1,
Donati V.1, Sorbara L.1, Buccella C.1, Onorati R.1, Di Nocera F.2, Fichi G.1, Cerci T. 1, Eleni C.1 , Battisti A.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Via Appia Nuova, 1411, 00178 Roma;
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sezione di Salerno
Key words: Stenella coeruleoalba, Photobacterium damselae subsp. damselae, emolisine
studio di fattori di patogenicità di P. damselae isolati da
cetacei coinvolti nella recente moria avvenuta in Italia e la
caratterizzazione molecolare di alcuni degli isolati ottenuti.
MATERIALI E METODI
Nel primo trimestre 2013, presso l’IZS del Lazio e della
Toscana (IZSLT) sono pervenuti 36 cetacei per indagini
post-mortem. In funzione dello stato di conservazione,
sono stati considerati idonei ad essere esaminati per agenti
batterici patogeni 33 soggetti (32 stenelle ed 1 tursiope); nel
dettaglio 7 animali provenivano dalle coste della Toscana e
26 da quelle del Lazio. Di questi sono risultati positivi per
P. damselae 24 stenelle striate (72.7%): 3 provenienti dalla
Toscana (42.8%) e 21 dal Lazio (80.8%). Dei 24 animali
positivi, 2 isolati dalla Toscana non sono risultati idonei per
essere inclusi nei successivi studi di caratterizzazione; tre
ulteriori isolati provenienti da 3 soggetti spiaggiati sulle coste
campane sono stati forniti dall’IZS del Mezzogiorno.
Dagli organi dei 25 animali positivi sono stati ottenuti 44 isolati
(40 dal Lazio, 1 dalla Toscana e 3 dalla Campania), su cui
sono state effettuate indagini fenotipiche. L’identificazione
di specie è stata effettuata mediante prove colturali e test
biochimici standard. L’attività emolitica è stata valutata
su Agar sangue di montone 5% (bioMerieux) sulla base
del diametro in mm dell’alone di emolisi eventualmente
presente (5); gli isolati emolitici sono stati suddivisi in 3
classi: isolati che presentano small hemolysis (SH, alone
di 2-4 mm), medium hemolysis (MH, alone di 4-7 mm)
e large hemolysis (LH, alone ≥ 7 mm). Dai 36 isolati che
presentavano attività emolitica sono state effettuate indagini
molecolari per verificare la presenza di geni codificanti per
Dly e HlyA. Il DNA degli isolati è stato estratto utilizzando un
Kit commerciale (Invitrogen) seguendo le indicazioni fornite
dal produttore. La ricerca del gene dly è stata effettuata
mediante PCR (2). La ricerca dei geni hlyA, sia di origine
plasmidica (hlyApl) che cromosomiale (hlyAch), è stata
effettuata mediante saggi di Polymerase Chain Reaction
(PCR) sviluppati presso la Direzione Operativa Diagnostica
Generale dell’IZSLT. I primers utilizzati, sono stati disegnati
sulla base della sequenza del genoma di P. damselae
pubblicata in genbank (ADBS01000000). Gli isolati sono
stati inoltre studiati mediante Multi-Locus Sequence Analysis
(MLSA), sequenziando i geni, gyrB, ompU e toxR (5) ed
utilizzando il software Start2 per l’analisi dei risultati (1).
RISULTATI E CONCLUSIONI
Dei 25 animali positivi 24 presentavano almeno un isolato
con fenotipo LH e/o MH. Dei 44 isolati complessivi, 16 (da
14 animali) presentavano LH, 15 (da 14 animali) MH, 5
(da 4 animali) SH, e 8 (da 7 animali) erano non emolitici;
107
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
da quest’ultimi 7 animali, comunque, sono stati sempre
identificati anche isolati LH.
In Tabella 1 sono riportati i risultati delle indagini molecolari
relative alla ricerca dei geni codificanti per Dly e HlyApl e
HlyAch sui 36 isolati che presentavano attività emolitica.
Con le metodiche utilizzate, ad oggi non è sempre stato
possibile trovare una correlazione univoca tra grado di
emolisi e presenza di specifici geni di virulenza già descritti
in letteratura, anche se nel nostro studio la presenza di LH si
associa in parte al rilevamento del gene plasmidico dly (50%
di positività), mentre MH e SH sembrano essere associate
principalmente al rilevamento del gene hlyAch (Tabella 2).
Tabella 2 – Numero e (%) di positività per dly, hlyAch e hlyApl
negli isolati di P. damselae in relazione al grado di emolisi
osservata.
Tabella 1 – Positività per dly, hlyAch e hlyApl negli isolati di
P. damselae (n=36) e grado di emolisi osservata, per matrice
e numero progressivo di stenella striata di origine.
E’ importante sottolineare che, a nostra conoscenza, la
presenza di tali geni di virulenza non era mai stata descritta in
isolati provenienti da mammiferi marini.
Ed è noto che la presenza di dly e hlyApl (localizzati sul plasmide
di virulenza pPHDD1) è causa di elevata letalità in condizioni
sperimentali non solo nei pesci, ma anche nei mammiferi (topo) (3).
Visto che la maggior parte degli isolamenti è stata effettuata
da animali spiaggiati sulle coste laziali, non è stato possibile
valutare eventuali differenze geografiche nell’associazione
fenotipo/geni rilevati (Tabella 1). Riguardo MLSA, dall’analisi del
sequenziamento dei tre geni sopra indicati, si osserva un certo
grado di clonalità tra gli isolati studiati, in quanto la maggior
parte di essi differisce in un solo locus, indipendentemente
dal grado di emolisi osservata, o dal rilevamento dei geni di
virulenza oggetto di studio (dati non mostrati). Per confermare
il grado di clonalità degli isolati, sarà tuttavia necessario
estendere l’analisi ad altri geni housekeeping, da individuare
allo scopo.
In conclusione, le indagini effettuate dimostrano una elevata
positività d’isolamento per P. damselae (72.7%) nelle stenelle
striate oggetto di mortalità anomala e sottoposte ad accertamenti
per agenti batterici patogeni. Inoltre, le indagini genotipiche
fino ad ora condotte, dimostrano che anche P. damselae isolato
dai cetacei può presentare/acquisire ulteriori geni di virulenza,
come ad esempio dly o hlyApl, ospitati su elementi genetici
mobili. A Tal proposito, la presenza del plasmide di virulenza
(pPHDD1), è già stata descritta in letteratura in ceppi isolati da
altre specie marine (2, 3 4, 5). Nel nostro studio, tuttavia per
alcuni isolati i risultati genotipici non spiegano completamente
il fenotipo di emolisi osservato (50% degli isolati LH negativi
nei saggi di PCR per i geni ricercati). Del resto, anche recenti
pubblicazioni sullo specifico argomento riconoscono che,
anche isolati mancanti del plasmide di virulenza pPHDD1,
possono mostrare comunque elevata patogenicità nei pesci, il
che suggerisce la presenza di altri fattori di virulenza tuttora
non identificati (6). Ulteriori studi su questi, ed eventualmente
su altri fattori di patogenicità in grado di spiegare il fenotipo
osservato (i. e. emolisi), potrebbero chiarire questi aspetti.
In conclusione, quanto P. damselae possa essere considerato
tra le cause o le concause delle morti registrate sulle
coste tirreniche all’inizio del 2013 necessita di ulteriori
approfondimenti, soprattutto in virtù dei quadri anatomopatologici ed isto-patologici osservati nel corso dell’UME
(frequente quadro emorragico ed emolitico), che comunque
non sono inequivocabilmente associabili ad una specifica
eziologia infettiva.
E’ peraltro importante ricordare che altri noti fattori noninfettivi come inquinanti o altri fattori ambientali (es. aumento
della temperatura, diminuzione della disponibilità di prede),
in grado di perturbare gli equilibri ecologici nel Mediterraneo,
N. Prog
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
#
22

23

24

25
Matrice
Encefalo
Fegato
Fegato
Milza
Encefalo
Fegato
Fegato
Encefalo
Milza
Encefalo
Polmone
Encefalo
Encefalo
Milza
Encefalo
Milza
Linfonodo
Encefalo
Polmone
Encefalo
Fegato
Encefalo
Encefalo
Linfonodo
Intestino
Intestino
L. peritoneale
L. peritoneale
Encefalo
Milza
Polmone
Encefalo
Encefalo
Fegato
Milza
Fegato
Emolisi* dly
MH
MH
LH
MH
MH
MH
LH
LH
LH
LH
SH
LH
SH
LH
LH
LH
MH
LH
SH
SH
LH
MH
MH
LH
LH
MH
LH
MH
MH
LH
MH
MH
MH
SH
MH
LH
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Pos
Pos
Neg
Pos
Pos
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Pos
Pos
Pos
Neg
Neg
Pos
Neg
Neg
Neg
Pos
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Pos
Pos
hyA ch
Pos
Pos
Neg
Pos
Neg
Pos
Neg
Neg
Neg
Neg
Pos
Neg
Pos
Neg
Neg
Neg
Pos
Pos
Pos
Pos
Neg
Pos
Pos
Neg
Neg
Neg
Neg
Pos
Pos
Neg
Pos
Pos
Pos
Pos
Neg
Neg
hyA pl
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Pos
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Pos
Pos
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
Neg
*LH, alone emolitico grande; MH, alone emolitco medio; SH, alone
emolitico piccolo; #Animale spiaggiato sulle coste della Toscana;
QAnimale spiaggiato sulle coste della Campania; hlyA Ch gene hlyA
cromosomiale; hlyA pl gene hlyA plasmidico
Emolisi*
LH (n=16)
MH (n=15)
SH (n=5)
Totale (n=36)
108
dly
8 (50%)
3 (20%)
0 (0%)
11(30.5%)
hlyA ch
1 (6.2%)
12 (80%)
5 (100%)
18 (50%)
hlyA pl
1(6.2%)
2 (13.3%)
0 (0%)
3 (8.3%)
costituiscono importanti elementi di rischio per le popolazioni
di cetacei, che possono inoltre contribuire a predisporre la
diffusione e l’espressione di virulenza di vari agenti infettivi
nelle le locali popolazioni di mammiferi marini.
BIBLIOGRAFIA
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damselysin and HlyA are encoded within a new virulence
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109
4. Rivas AJ, Balado M, Lemos ML, Osorio CR. (2013).
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Plasmid-Encoded Hemolysins Contribute to Hemolysis and
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Microbiology, Vol. 400283, DOI=10.3389/fmicb.2013.0028
http://www.frontiersin.org/Aquatic_Microbiology/10.3389/
fmicb.2013.00283/abstract
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE GENETICA DEI CETACEI SPIAGGIATI NELLE COSTE SICILIANE
Tabella 2 – Range allelico dei microsatelliti analizzati
Size
Reale S.1, Vitale F. 1, Cosenza M.1, Currò V.1, Pitti R.1, Lupo T.1, Caracappa S.1
1
Specie
Campione
(n)
D08
D18
Stenella
coeruleoalba
16
90-124
69-90
Tursiops truncatus
2
105111
69-90
Balaenoptera
physalus
1
81-109
0
0
Delphinus delphis
1
111
97-99
141143
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia-Palermo
Keywords: delfini, DNA barcoding, microsatelliti
SUMMARY
Based on mitochondrial DNA (mtDNA) and microsatellite loci
analysis, we reported species identification and genetic diversity
regarding carcasses of cetacean stranded on the Sicilian
coast in the last year. The aim of this work was to evaluated
the dolphin species involved in stranding as well as to assess
three polymorphic loci and their diversity among the species
investigated. In conclusion molecular markers, such as mtDNA,
represents a valid support to test genetic identification when
the carcasses do not allow to recognize the species. Moreover
microsatellite loci analysis represent a valid tool for managing
genetic diversity in a lot of species, including cetacean.
INTRODUZIONE
I delfini sono dei mammiferi distribuiti in tutto il mondo, differenti
in forma e dimensioni e in grado di vivere tanto in acque tropicali
quanto temperate. Inoltre, a causa della loro posizione al vertice
nella catena trofica, sono degli ottimi indicatori di benessere
delle acque in cui questi cetacei vivono. Tra questi, Stenella è
una delle specie con maggiore distribuzione cosmopolita oltre
che essere quella più rappresentativa. In questo lavoro abbiamo
identificato mediante tecnica del DNA barcoding 20 specie di
delfini spiaggiatisi lungo le coste siciliane a partire da gennaio
2013. Ad oggi, le cause non sono ancora chiare, né il perché
colpisca solo i delfini tra i cetacei presenti. Presumibilmente, a
fronte anche delle numerose carcasse parassitate ritrovate, una
infezione di massa, verosimilmente da morbillivirus potrebbe
spiegarne l’elevata mortalità. Scopo di questo lavoro è stato
dunque quello di identificare le carcasse di delfini che risultavano
non classificabili a causa dell’avanzato stato di decomposizione
e valutare se lo spiaggiamento presentasse o meno una speciespecificità. Inoltre, un pannello di 3 loci microsatelliti dinucleotidici
è stato utilizzato in una multiplex-PCR al fine di valutare la
diversità genetica di tali regioni nelle specie identificate e, ove
possibile, determinare un possibile legame di parentela diretta.
MATERIALI E METODI
I campioni di muscolo sono stati prelevati da 20 cetacei spiaggiati
in diverse regioni della costa siciliana, specialmente in quella
orientale. Il DNA genomico è stato estratto utilizzando uno
specifico kit commerciale (PureLinK-Invitrogen) seguendo le
istruzioni della casa produttrice. La regione considerata ai fini della
caratterizzazione è una porzione del gene mitocondriale della
citocromo b. I prodotti di sequenza, ottenuti mediante l’utilizzo di
una specifica coppia di primers (Janczewski DN et al. 1995) (1),
sono stati iniettati in un analizzatore genetico ABI PRISM 3130
(Applied BioSystems) dopo una precedente fase di purificazione.
Le sequenze sono dunque state dapprima editate e poi allineate
contro un database di riferimento (GenBank) il quale ci fornisce
come risultato una percentuale d’identità tra la sequenza ottenuta
e le sequenze di riferimento più simili presenti nel database stesso.
Nel contempo, un pannello di 3 loci microsatelliti dinucleotidici è
stato utilizzato in una multiplex-PCR per analizzare altrettante
regioni polimorfiche ed esaminare la diversità genetica all’interno
delle specie identificate. Per quanto riguarda il pannello allelico
studiato, questo è stato amplificato utilizzando una miscela di
coppie di primers specifici per i loci considerati: D8, D18, D28
(Shinoara M et al. 1997) (2). Ciascuno oligomero è marcato
con un particolare fluorocromo in modo che frammenti di peso
molecolare simili siano distinguibili tra loro. L’amplificazione
dei 3 loci microsatelliti è stata condotta allestendo una mix allin-one delle tre coppie di primers, permettendo cosi di ottenere
in un’unica reazione di amplificazione l’informazione relativa ai
tre loci per un dato campione. I prodotti dell’amplificazione sono
stati quindi iniettati in un analizzatore genetico ABI PRISM 310
(Applied BioSystems), utilizzando TAMRA500 come standard di
pesi molecolari. Gli elettroferogrammi relativi ai frammenti ottenuti
sono stati processati mediante il software GeneMapper v4.0 e i
dati genetici sono stati ottenuti grazie al software GenAlEx v6.5
(Peakall R. and Smouse P. 2006)
RISULTATI E CONCLUSIONI
I risultati relativi all’identificazione di specie hanno mostrato
come le carcasse appartenessero prevalentemente alla specie
Stenella coeruleoalba (n=16) seguita dalla specie Tursiops
truncatus (n=2). Le rimanenti carcasse sono state identificate
come Balaenoptera physalus (n=1) e Delphinus delphis (n=1).
L’elevato tasso di stenelle caratterizzate può quindi fare pensare
ad una suscettibilità di specie, anche se l’abbondanza relativa
di tali mammiferi nei nostri mari può giustificare l’alto tasso di
ritrovamento tra le carcasse spiaggiate. L’analisi dei microsatelliti
ha mostrato come i loci in esame possono essere utili per la
valutazione della diversità genetica nei delfini (tabella 1).
Una buona percentuale infatti di alleli comuni è stata ritrovata
tra le differenti specie a tutti e 3 i loci considerati, espressione
di un alto grado di conservazione. Nonostante ciò, incorriamo
però in una sottostima del livello di polimorfismo di ciascun locus
relativo alla presenza di specie con un solo individuo e a causa di
possibili fenomeni di alleli nulli o dropout che possono verificarsi
nelle fasi di amplificazione. Dall’altro lato, una sovrastima del
numero di alleli, particolarmente in S. coeruleoalba potrebbe
anche essere possibile a causa di fenomeni di errori dovuti alle
stutter bands. L’analisi degli assetti microsatellitari ha inoltre
definito una relazione di parentela diretta tra i diversi soggetti
della specie Stenella (tabella 4). Appare comunque chiaro che,
dato l’esiguo numero di loci considerati, le relazioni parentali
riscontrate necessitano di ulteriori approfondimenti in termini di
estensione del numero di loci da valuatare.
Tabella 3 – Informazioni genetiche su S. coeruleoalba
Locus
Campione (n) D08
D18
D28
Locus
Na
Ho
He
D8
12
1
0,864
D18
11
0,813
0,861
D28
11
0,846
0,861
Media
11,33
0,886
0,862
Stenella coeruleoalba
16
12
11
11
Tursiops truncatus
2
3
4
3
Balaenoptera physalus
1
2
na
na
La tabella 3 mostra il livello di variabilità genetica per Stenella
coeruleoalba ai loci microsatelliti considerati. Na, numero di alleli;
Ho, eterozigosità osservata; He, eterozigosità attesa.
Delphinus delphis
1
1
2
2
Tabella 4 – Pattern allelico per S. coeruleoalba (n=16)
4,5
5,66
5,33
Media
La tabella 1 riporta il numero di alleli osservati e la media allelica
relativa a ciascun locus (na= non amplificabile).
Unica eccezione per Balaenoptera physalus che non mostra
amplificazione ai loci D18 e D28 e un discostamento dai size
allelici al locus D8 caratterizzanti le altre specie (tabella 2). Per
quanto concerne Stenella coeruleoalba il numero totale di alleli
ai loci analizzati è di 34, con una eterozigosità media osservata
Ho maggiore di quella attesa (He), rispettivamente 0,886 contro
0,862 (tabella 3). Tutti i loci sono quindi risultati informativi, in cui il
ridotto numero di alleli ritrovato in alcune specie è giustificato dal
limitato numero di campioni disponibili. Una discreta variabilità
intra e interspecie è stata anche osservata.
110
126153
126143
La tabella 2 mostra i range allelici osservati (bp) ai loci
microsatelliti considerati, suddivisi per ciascuna specie.
Tabella 1 – Numero di alleli osservati per locus
Specie
D28
ID
D8
D18
D28
9
90
104
72
86
141
149
11
8
90
114
114
124
72
87
86
89
141
131
141
143
14
114
118
85
87
143
147
I risultati di comparazione allelica cross-specie, mostrano
dunque come il set di 3 loci microsatelliti utilizzato amplifica con
successo tali regioni polimorfiche in specie relate, ad eccezione di
Balaenoptera physalus la quale mostra una non amplificazione ai
loci D18 e D28, probabilmente per variazione di tipo nucleotidica
che ne blocca l’amplificazione. Questo risultato, in apparente
contrasto con alcuni autori, non sorprende, considerato il diverso
sottordine di appartenenza di tali cetacei (Mysticeti) se confrontato
con le altre specie in esame (Odontoceti). A tal proposito ulteriori
approfondimenti saranno necessari per chiarire meglio tale
differenza, precisamente analisi di sequenza in corrispondenza
di quelle regioni fiancheggianti i locus microsatelliti. Sembra
dunque chiaro come il livello di polimorfismo riscontrato e la
possibilità di amplificazione allelica anche tra generi di cetacei
differenti, rende questi marcatori estremamente interessanti per
ulteriori studi. Concludendo, l’utilizzo di marcatori molecolari, quali
microsatelliti, congiuntamente alle analisi di sequenza di regioni
mitocondriali ad alto grado di conservazione, forniscono un
valido supporto sia dal punto di vista popolazionistico in termini di
diversità genetica e filogenesi, ma soprattutto un valido sostegno
nella caratterizzazione di specie, qualora particolari condizioni
ne rendano impossibile il riconoscimento. Particolarmente, la
regione del citocromo b mitocondriale, nonostante sia costituita
da tratti di sequenze altamente conservate per struttura e
dimensioni, mostra una notevole variabilità che la rende una
regione altamente polimorfica e dotata dunque di un elevato
potere discriminativo.
BIBLIOGRAFIA
1. Janczewski D.N., Modi W.S., Stephens J.C.
and O’Brien S.J. (1995). Molecular evolution of
mitochondrial 12S RNA and cytochrome b sequences
in the pantherine lineage of Felidae. Molecular Biology
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Tessuti dei mammiferi marini del Mediterraneo. Guida
dei mammiferi marini del Mediterraneo
4. Notarbartolo Di Sciara G., Agardy T., Hyrenbach D.,
Scovazzi T. and Van klaveren P. (2008). The pelagos
sanctuary for Mediterranean marine mammals.
Acquatic Conservation: Marine and Freshwater
Ecosystem 18:367-391
La Tabella 4 mostra i profili allelici (bp) e le parentele riscontrate
nei 16 campioni di S. coeruleoalba. In grassetto sono mostrati gli
alleli in comune.
111
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
POSTERS
112
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
SENSIBILITA’ AD ANTIMICOTICI IN LIEVITI ISOLATI DA SPECIE ANIMALI UMBRE:
DATI PRELIMINARI
1
Agnetti F., 1Crotti S., 1Maresca C., 1Scoccia E., 1Tentellini M., 2Circolo A., 1Marini C., 2Pitzurra L.
1
IZS Umbria e Marche, Perugia; 2Istituto di Microbiologia, Fac. di Medicina e Chirurgia, Perugia
Key words: lieviti, antimicotici, sensibilità
ABSTRACT
A preliminary investigation on the sensitivity to antifungal drugs
of yeast isolated from animals in Umbria was carried out. Fortytwo (42) strains isolated from various animal species, death
for different causes, were identified through API ID32C system
(Biomerieux®) and tested for a panel of antimycotics, using
YO10 plates (Sensititre®). The results obtained were also
statistically elaborated. Resistances have occurred, mainly
for echinocandins and azoles, in the genus Cryptococcus,
Rhodotorula, Trichosporon and Saccharomyces. Two C. krusei
and one R. minuta were resistant to all antifungal drugs tested.
Some yeast, especially belonging to the genus Candida,
showed dose-dependent sensitivity to itraconazole and
fluconazole. Further investigations are required in order to make
a phylogenetic comparison between these strains and those
eventually isolated from human clinical cases, and to extend the
study to dermatophytes, often responsible for variable responses
to antifungal treatments.
INTRODUZIONE
In campo veterinario, cosi come in campo medico, la scarsa
risposta ad una terapia antifungina può essere dovuta a
diversi fattori, quali stato immunitario dell’ospite, sito e gravità
dell’infezione, presenza di corpi estranei (es. cateteri), età,
stato nutrizionale e scarsa compliance del paziente; altri fattori
possono essere inerenti al farmaco stesso, come l’attività
fungistatica o fungicida nel sito d’infezione, la dose e la durata
del trattamento, il tipo di molecola e l’interazione con altri
farmaci (1). La resistenza ad un antimicotico è quindi la capacità
del micete di persistere nell’organismo e causare infezione
nonostante la somministrazione di concentrazioni tollerabili del
composto stesso (1). Il fenomeno della resistenza agli antifungini
sembra essere strettamente legato all’impiego estensivo di tali
sostanze nel trattamento delle infezioni micotiche, nonché, per
alcune categorie di molecole (azoli), al loro smisurato impiego
in agricoltura (2). In particolare, in medicina umana ma anche
in ambito veterinario, il micete più spesso associato a fenomeni
di resistenza agli antimicotici risulta essere il genere Candida
(3). Accanto ad esso, però, anche altri lieviti, isolati da campioni
clinici sia di origine animale che umana, mostrano comportamenti
di resistenza, tra cui i generi Cryptococcus, Malassezia e
Rhodotorula (4, 5). Diversamente da quanto avviene per i
batteri con gli antibiotici, nei lieviti la resistenza agli antifungini
non emerge rapidamente e non si diffonde con facilità, a causa
della natura eucariotica delle cellule, del tempo di replicazione
più lungo e della mancanza di meccanismi genetici per lo
scambio delle resistenze. Nei lieviti sono pertanto individuabili
due forme di resistenza: una innata, presente anche prima della
somministrazione di terapie antifungine (es. Candida krusei vs
fluconazolo), ed una secondaria o acquisita, che insorge durante
o in seguito ad un trattamento antimicotico (es. ceppi di Candida
albicans vs composti azolici) (6).
In tale contesto, stante anche la scarsità di dati in merito alla
114
tematica, gli Autori hanno voluto valutare, in termini preliminari, la
sensibilità ai comuni antimicotici in uso, in lieviti isolati in Umbria
a partire da campioni di origine animale.
MATERIALI E METODI
Quarantadue (42) ceppi di lieviti sono stati isolati ed identificati
da più specie animali (volatili quali piccione e psittacidi, tartaruga,
scoiattolo, cane, cavallo e bovino), pervenute in sala necroscopie
per diverse eziologie morbose. Nello specifico, i miceti presi
in considerazione sono stati: n.3 Candida (C.) albicans, n.8 C.
famata, n.1 C. incospicua, n.4 C. krusei, n.3 C. sake, n.2 C.
silvicola, n.1 C. dubliniensis, n.3 C. lusitaniae, n.1 C. rugosa, n.2
C. zeylanoides, n.3 Cryptococcus (C.) albidus, n.1 C. laurentii,
n.2 Rhodotorula (R.) glutinis, n.1 R. minuta, n.3 R. mucilaginosa,
n.1 Saccharomyces (S.) cerevisiae, n.1 Trichosporon (T.) inkim,
n.2 Zygosaccharomyces spp. Per l’isolamento dei suddetti
lieviti, i campioni sono stati seminati su Sabouraud Dextrose
Agar (SDA) ed incubati a 37°C per 48-72 ore. Per ottenere gli
stipiti in purezza sono state effettuate subcolture su SDA, dalle
quali si è poi proceduto all’identificazione fungina attraverso
gallerie API ID32C (Biomerieux®). Per l’allestimento degli
antimicogrammi sono state utilizzate piastre YO10 (Sensititre®),
contenenti il seguente pannello di antimicotici: echinocandine
(anidulafungina, micafungina, caspofungina), 5-fluorocitosina,
azoli (posaconazolo, voriconazolo, itraconazolo, fluconazolo)
ed amfotericina B. Le piastre sono state incubate a temperatura
ambiente per 24-48 ore. La sensibilità ai suddetti antimicotici è
stata elaborata attraverso un’analisi descrittiva, considerando il
comportamento di ciascuna specie fungina, nonché del genere,
nei confronti delle singole molecole e delle classi di antifungini.
RISULTATI
La sensibilità alle varie molecole è risultata variabile da specie
a specie. In linea generale, tutti i ceppi testati hanno mostrato
sensibilità per amfotericina B, mentre le resistenze maggiori si
sono avute in:
- genere Cryptococcus: per azoli, echinocandine e
5-fluorocitosina;
- genere Rhodotorula: per azoli ed echinocandine;
- genere
Trichosporon
per
echinocandine
e
5-fluorocitosina;
- genere Saccharomyces: per azoli.
In particolare, solo 3 lieviti sono risultati resistenti a tutti gli
antimicotici presi in considerazione, e precisamente 2 ceppi
di C. krusei ed uno di R. minuta. Inoltre, 2 C. krusei, una C.
incospicua ed un C. laurentii hanno dato esito intermedio nei
confronti di 5-fluorocitosina. Infine, alcuni lieviti hanno mostrato
sensibilità dose dipendente, e precisamente:
- 6 C. famata, 2 C. krusei, 1 C. sake, 1 C. silvicola, 1
T. inkim ed 1 Zygosaccharomyces spp. nei confronti di
itraconazolo;
- 1 C. famata, 1 C. incospicua, 1 C. sake, 1 C. silvicola ed
1 Zygosaccharomyces spp. nei confronti di fluconazolo.
115
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
La Tabella 1 riepiloga le sensibilità/resistenze nei confronti dei
vari antimicotici testati, indipendentemente dalle specie fungine
considerate nello studio.
-
Tabella 1: Distribuzione sensibilità per antibiotico
Antimicotici
Resistente Sensibile Intermedio Sensibile dose dipendente
N.
%
N.
%
N.
%
N.
%
Anidulafungina
16
38%
26
62%
-
-
-
-
Micafungina
16
38%
26
62%
-
-
-
-
Caspofungina
15
36%
27
64%
-
-
-
-
5-Fluorocitosina
9
21%
29
69%
4
10%
-
-
Posaconazolo
15
36%
27
64%
-
-
-
-
Voriconazolo
14
33%
28
67%
-
-
-
-
Itraconazolo
16
38%
14
33%
-
-
12
29%
Fluconazolo
20
48%
17
40%
-
-
5
12%
AmfotericinaB
6
14%
36
86%
-
-
-
-
-
-
DISCUSSIONE
Negli ultimi anni, l’aumentata attenzione alla problematica micosi,
sia in ambito umano che veterinario, ha portato ad una più
fruibile divulgazione di informazioni inerenti al comportamento
dei miceti, il loro ruolo patogeno e/o zoonosico e la loro capacità
di risposta ai trattamenti farmacologici. Tuttavia, nell’ottica di un
approccio sempre più congiunto tra medico e veterinario, che
ha condotto ad un notevole miglioramento nella definizione delle
strategie terapeutiche da adottare nella pratica, ancora oggi,
le infezioni fungine risultano spesso difficili da diagnosticare e,
soprattutto, da gestire, specie in relazione alla possibilità che i
ceppi responsabili siano resistenti ai comuni farmaci antimicotici
(7, 8). Le informazioni in letteratura veterinaria relative alla
sensibilità agli antifungini sono poche. I dati ottenuti nella
presente indagine preliminare sembrano allinearsi con quanto
riscontrato in medicina umana. Per quanto riguarda infatti i
generi Cryptococcus e Rhodotorula, è descritta la resistenza di
C. neoformans a fluconazolo ed echinocandine in pazienti HIV
positivi, e quella di R. glutinis a fluconazolo e 5-fluorocitosina,
mentre non sono documentati casi di resistenza ad amfotericina
B per entrambe le specie di lieviti (4, 9). Allo stesso modo,
il comportamento del genere Trichosporon nei confronti di
echinocandine e 5-fluorocitosina si allinea con quanto riscontrato
in medicina umana, laddove è descritta la resistenza di T. asahii
alle stesse molecole (10). Ugualmente paragonabili sono le
resistenze di Saccharomyces spp. e Zygosaccharomyces
spp. nei confronti degli azoli (nello specifico fluconazolo) (11).
In campo umano, per quanto concerne il genere Candida, la
risposta agli antimicotici in pazienti immunocompromessi vede
scarsa sensibilità di C. lusitaniae per amfotericina B, di C. krusei
e C. glabrata per fluconazolo e di C. albicans per fluconazolo,
con cross-resistenza per amfotericina B (7, 12). Anche nel
presente studio, le specie di Candida isolate hanno mostrato un
certo grado di variabilità nei confronti delle molecole antifungine,
passando dalla resistenza a tutti gli antifungini testati da parte di
due C. krusei, alla risposta intermedia di due C. krusei ed una
C. incospicua a 5-fluorocitosina, alla sensibilità dose dipendente
di sei C. famata, due C. krusei, una C. sake, una C. silvicola
ad itraconazolo ed, infine, alla sensibilità dose dipendente
di una C. famata, una C. incospicua, una C. sake ed una C.
silvicola a fluconazolo. Ulteriori indagini si rendono necessarie a
completamento di questo studio preliminare, al fine di:
- comparare dal punto di vista filogenetico i ceppi
considerati in tale sede con quelli isolati da matrici
umane, provenienti dallo stesso territorio e mostranti
comportamento analogo nei confronti delle medesime
molecole antifungine;
esaminare ulteriori ceppi di origine animale, provenienti
anche da specie non considerate in questo studio (con
particolare riguardo alle specie esotiche o ai cosiddetti
“non conventional pets”, ormai sempre più diffusi nelle
nostre case);
studiare i fattori determinanti il fenomeno della
resistenza nei ceppi di lieviti di origine animale e
compararli con quelli descritti in analoghe specie
fungine di derivazione umana;
estendere le indagini alle muffe dermatofitiche e non,
anch’esse responsabili di quadri localizzati e/o sistemici
di micosi e di risposte variabili ai trattamenti antifungini.
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116
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
stafilococchi coagulasi positivi ed enterotossina stafilococcica in
formaggi a latte ovino pastorizzato della regione lazio
Amiti S., Bossù T., Marozzi S., Di Giamberardino F., Dell’ Aira. E., Colonna S., Migliore G., Tommassetti F., Lanni L.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, D.O. Controllo degli Alimenti, via Appia nuova 1411, 00178 Roma
Key Word: Stafilococchi, enterotossina, formaggio a latte ovino
Abstract
Scopo del presente lavoro è illustrare i risultati degli accertamenti
analitici condotti su campioni di formaggio a latte ovino prodotti
in un caseificio della Regione Lazio, in cui precedentemente
era stato identificato un formaggio positivo per enterotossina
stafilococcica. In 3 dei 59 campioni esaminati sono state rilevate
eneterotossine stafilococciche (SEs) (5,08%, IC95% ±5,61,) ma
non Stafilococchi coagulasi positivi (CPS), mentre 20 campioni
sono risultati positivi per CPS ma non per SEs. Tra questi ultimi,
15 hanno mostrato valori che oscillavano da un minimo di 3,6x10
ufc/g ad un massimo di 7x105 ufc/g.
Studi ulteriori sui CPS isolati potranno essere d’ausilio per
l’identificazione della fonte di contaminazione animale o umana.
Introduzione
Le eneterotossine stafilococciche (SEs), appartengono ad
una famiglia di superantigeni, originariamente identificati in
batteri della specie Staphylococcus aureus resistenti al pH
acido, all’azione delle proteasi e del calore. Ad oggi, oltre alle 5
enetrotossine classiche, scoperte negli anni ‘60 (SEA - SEE) ed
antigenicamente distinte, sono stati descritti 18 nuovi tipi di SEs
prodotte anche da specie diverse dallo S. aureus (6,5).
Il consumo di alimenti che contengono quantità sufficienti di una o
più enterotossina preformata, comporta la rapida insorgenza (2-8
h), di sintomi quali nausea, vomito, crampi addominali e diarrea.
La malattia è di solito autolimitante ed in genere si risolve entro
24-48 ore dalla comparsa dei segni clinici (1). Delle oltre 50 specie
e sottospecie di batteri appartenenti al genere Staphylococcus, i
ceppi produttori di coagulasi (CPS) sono gli unici ad essere stati
isolati in episodi di intossicazione alimentare (3).
Secondo i dati forniti dall’ EFSA/ECDC nel report sulle tendenze
e sulle fonti di zoonosi, agenti zoonotici e focolai infettivi di origine
alimentare del 2011 (2), nella UE si sono verificate 345 epidemie
alimentari causate da tossine stafilococciche, pari al 6,1% di tutti
i focolai tossinfettivi di origine alimentare segnalati nel suddetto
periodo di riferimento. L’ 8,1% dei 35 episodi in cui è stato
possibile identificare l’alimento veicolo di tossinfezione, è stato
correlato epidemiologicamente al consumo di formaggio. Rispetto
ai dati forniti nella precedente relazione, l’EFSA ha evidenziato
un incremento delle epidemie alimentari da enterotossine
stafilococciche pari al 25,9%.
Scopo del presente lavoro è illustrare i risultati degli accertamenti
analitici condotti su campioni di formaggio a latte ovino
prodotti in un caseificio della Regione Lazio, in cui era stato
precedentemente identificato un formaggio positivo per
enterotossina stafilococcica.
L’azienda si configura come un’attività a conduzione famigliare
con annesso allevamento e locali mungitura. La raccolta del
latte viene effettuata due volte al giorno e, periodicamente
secondo quanto previsto dal piano di autocontrollo (una volta
ogni due mesi), vengono effettuate analisi microbiologiche sul
latte di massa aziendale.
Tutti i prodotti caseari sono realizzati con latte pastorizzato
e crudo.
Materiali e metodi
Un numero di 59 campioni costituiti ciascuno da 5 unità
campionarie sono stati consegnati direttamente dal produttore
al laboratorio; tra questi erano identificabili diverse tipologie di
prodotto finito riferibili a: caciotta di pecora (n=56), formaggio
alle spezie (n=1) e caciocavallo (n=2). I campioni sono stati
prelevati dal produttore, secondo le indicazioni fornite dal
laboratorio presso cui sono state effettuate le prove.
I formaggi tutti a latte ovino pastorizzato (72°C per 20’’)
appartenevano a lotti differenti prodotti dal caseificio nell’arco
di 13 mesi lavorativi.
I campioni sono stati trasportati presso i laboratori dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana,
sede centrale di Roma, in condizioni di refrigerazione e
conservati ad una temperatura di 4°C per un massimo di 24h
prima dell’inizio delle prove.
Su tutti i campioni sono state effettuate le seguenti analisi:
- Stafilococchi coagulasi positivi (u.f.c) norma di
riferimento ISO 6888-2:1999
- Ricerca delle Enterotossine stafilococciche (SEASEB-SEC 1,2,3,-SED- SEE) mediante tecnica Elfa
(Enzyme Linked Fluorescent Assay) utilizzando
il sistema automatizzato VIDAS -AOAC 2007.06
(AOAC Official method 2007.06- VIDAS SET
detection of Staphylococcal Enterotoxin selected
food)
Al fine di verificare una eventuale correlazione tra il grado di
stagionatura, la presenza di SEs ed il livello di contaminazione
da CPS, in relazione al grado di maturazione, i campioni sono
stati suddivisi nei seguenti sottogruppi:
- A= da 9 mese a 13 mesi (n=14)
- B= da 8 a 5 mesi (N=8)
- C= da 4 ad 1 mese (n=29)
- D= massimo 1 mese (n=8).
Risultati e conclusioni
Dei 59 campioni esaminati, n=3 sono risultati positivi per
presenza di SEs (5,08%, IC95% ±5,61) e tutti presentavano un
livello di contaminazione da CPS <10 ufc/g; di questi 2 erano
riconducibili al sottogruppo A (da 9 mese a 13 mesi) ed 1 al
sottogruppo C (da 4 ad 1 mese).
20 campioni, dei complessivi 59, sono invece risultati
contaminati da CPS (33,90%, IC95% ±12,08) e, tra questi,
15 hanno evidenziato contaminazioni comprese tra un range
minimo di 3,6x10 ufc/g e massimo di 7x105 ufc/g (media
contaminazioni: 6,2x104, mediana: 5). Dei 15 campioni in cui i
CPS sono risultati numerabili nessuno era invece positivo per
presenza di SEs.
Tutti i formaggi in cui sono stati rilevati CPS appartenevano
alla tipologia “caciotta di pecora” ad esclusione di un campione
di caciocavallo ed uno di formaggio alle erbe. Per quanto
attiene i gruppi di stagionatura, 14 campioni positivi per CPS
presentavano una maturazione riferibile al sottogruppo C
(48,3% sul totale della categoria) e 6 appartenenti al sottogruppo
117
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
D (75% sul totale della categoria).
Il riscontro di SEs e CPS nei formaggi rappresenta
un’evenienza frequente; non a caso, il primo episodio di
intossicazione stafilococcica segnalato nel 1884 in Michigan
(USA), fu provocato dal consumo di formaggio contaminato
(4). La presenza di CPS nei formaggi è ascrivibile a
contaminazione della materia prima associata all’animale, o
contaminazione secondaria di origine umana o ambientale.
Per quanto concerne la prima fonte, S. aureus è una delle
maggiori cause di mastite nei ruminanti e la sintomatologia
ad esso associata può variare da forme subcliniche a forme
gangrenose (4).
L’analisi del dato sulla positività dei 3 campioni di caciotta ovina
per enterotossine, evidenzia la possibilità che l’origine della
contaminazione batterica sia da ricercare nel latte utilizzato
per la caseificazione. Il processo produttivo aziendale infatti,
prevede per questa tipologia di prodotto la pastorizzazione
a 72°C per 20’’. Tale trattamento spiegherebbe l’assenza
nei campioni dei CPS e la positività alle SEs. Tuttavia, come
riferito dall’Azienda, i controlli bimestrali effettuati sul latte di
massa non avevano evidenziato, nel periodo di produzione
dei lotti esaminati, positività microbiologiche per CNS o CPS.
Per quanto attiene invece i 20 campioni su in cui sono stati
rilevati CPS, è indubbia una contaminazione successiva
al processo di pastorizzazione, che sembrerebbe essere
avvenuta nei mesi immediatamente antecedenti al presente
studio. S. aureus può essere endemico negli ambienti di
lavorazione degli alimenti (7), nei quali i CPS possono
sopravvivere a causa di inidonee procedure aziendali per le
buone pratiche di lavorazione o non corretta loro applicazione.
In questo senso è da sottolineare che il caseificio produce
anche prodotti a latte crudo, la cui lavorazione e stagionatura
è effettuata nei medesimi locali, così come la di maturazione
dei formaggi analizzati nel presente lavoro.
Studi ulteriori sui CPS isolati e l’utilizzo di metodiche molecolari
quali ad esempio la PFGE e la tipizzazione del gene per la
proteina A (spa), come suggerito da alcuni Autori, potrebbero
118
essere d’ausilio nell’identificare la fonte di contaminazione (3)
per poi intervenire, successivamente, su eventuali modifiche
dei processi o delle procedure in uso.
Bibliografia
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
RESAZURIN MICROTITRE ASSAY PER LO SCREENING RAPIDO DELL’ANTIBIOTICO
RESISTENZA NEL MYCOBACTERIUM BOVIS
Armas F.1, Boniotti M.B.2, Pacciarini M.L.2, Mazzone P.3, Di Marco V.4, Marianelli C.1
1
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Roma;
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia;
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia;
4
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Barcellona Pozzo di Gotto
Key words: tubercolosi bovina, antibiotico resistenza, REMA
ABSTRACT
In this study 51 Mycobacterium bovis isolates were tested
against six standard antibiotics (isoniazid, ethambutol,
rifampicin, streptomycin, kanamycin and pyrazinamide) by
the gold standard proportion method (PM) on Middlebrook
medium and the resazurin microtitre assay (REMA). Two
breakpoint drug concentrations defining drug susceptibility
and resistance, respectively, were chosen for each drug and
tested against all isolates in REMA. Results were compared to
PM. Both tests provided susceptibility results to standard firstline drugs but pyrazinamide. Nucleotide sequencing detected
pncA codon 57 mutation in all isolates. The embB nucleotide
sequence analysis revealed nucleotide polymorphisms. We
do not found any association between embB mutations and
ethambutol resistance. Our results confirm REMA as a rapid
and inexpensive method for testing the mycobacterial drug
susceptibility against the key anti-tuberculosis drugs.
INTRODUZIONE
Il Mycobacterium bovis è il principale agente eziologico della
tubercolosi bovina (bTB), una delle più importanti e riemergenti
malattie infettive in Europa che colpisce principalmente i bovini
ma può riguardare anche altri animali domestici (ovini, caprini
e suini), alcune specie di animali selvatici (cinghiale, furetto,
tasso) e l’uomo.
Nei paesi industrializzati, l’implementazione di programmi
di controllo negli allevamenti ha ridotto con successo la
prevalenza della bTB negli animali, rendendo le infezioni
umane da M. bovis eventi occasionali. Al contrario, nei paesi in
via di sviluppo, l’assenza di adeguati controlli negli allevamenti,
unitamente ad aspetti socio-culturali, rendono la popolazione
ad altissimo rischio di infezione (4). In Italia, l’implementazione
dei programmi per l’eradicazione della tubercolosi dal territorio
ha portato alla graduale riduzione della prevalenza della bTB
nel settore zootecnico nella maggior parte delle regioni.
La tubercolosi umana da M. bovis è clinicamente e
patologicamente indistinguibile da quella causata dal M.
tuberculosis. Il trattamento prevede una combinazioni di
più farmaci antitubercolari. Il M. bovis è sensibile a tutti gli
antibiotici antitubercolari di prima linea ad eccezione della
pyrazinamide verso la quale mostra una naturale resistenza.
In ogni caso, il trattamento della tubercolosi da M. bovis con
la terapia standard prevista per il M. tubercolosis, risulta
generalmente efficace.
Sebbene l’incidenza della tubercolosi da M. bovis nell’uomo
sia bassa, le epidemie causate da ceppi di M. bovis resistenti
ad uno (DR, drug-reistance) o più antibiotici (MDR, multi-drug
reistance), hanno avuto un impatto drammatico. Negli ultimi
anni sono stati documentati casi di M. bovis resistenti ad uno
o più antibiotici soprattutto in pazienti ospedalizzati ed in quelli
immunodepressi. Per il controllo della tubercolosi, è pertanto
necessario interrompere la trasmissione di ceppi multiresistenti attraverso una diagnosi precoce ed un trattamento
efficace.
Il test di suscettibilità agli antibiotici non viene condotto di
routine sui ceppi di M. bovis di origine animale ed i dati in
letteratura sono scarsi. Sechi e colleghi (2001) riportanto
l’isolamento dal bovino di ceppi di M. bovis resistenti alla
rifampicina e alla isoniazide. La maggior parte delle mutazioni
descritte riguardano invece il M. tuberculosis.
In questo studio, ceppi di M. bovis isolati in Sicilia da
allevamenti di bovino, ovino e suino nero, sono stati sottoposti
al monitoraggio dell’antibiotico resistenza mediante il metodo
delle proporzioni su terreno agarizzato Middlebrook 7H11 ed
il metodo colorimetrico resazurin microtitre assay (REMA) in
micropiastra, leggermente modificato, al fine di monitorare
la circolazione dei ceppi resistenti in un territorio ad elevata
prevalenza di bTB, costituito dal parco dei Nebrodi e dalle aree
limitrofe.
MATERIALI E METODI
Campionamento: Tra il 2007 e il 2010 sono stati isolati 51
ceppi di M. bovis da animali affetti da tubercolosi bovina: suino
nero dei Nebrodi (n°=32), bovino (n°=18) e pecora (n°=1). Lo
studio ha coinvolto 21 diversi allevamenti situati nel Parco dei
Nebrodi e nelle zone limitrofe.
Fig: 1: Area a Nord-Est delle Sicilia in cui sono stati isolati i
ceppi di M.bovis oggetto dello studio.
Test di sensibilità agli antibiotici: Tutti gli isolati sono stati
testati per la ricerca della resistenza agli antibiotici pirazinamide
(PZA), isoniazide (INH), rifampicina (RIF), etambutolo (EMB),
streptomicina (STR) e kanamicina (KAN).
Sono stati utilizzati: 1) il metodo standard delle proporzioni in
terreno Middlebrook 7H11 seguendo le linee guida del National
119
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Committee for Clinical Laboratory Standards (NCCLS); 2)
il saggio REMA leggermente modificato. Il ceppo M. bovis
ATCC 19210 è stato utilizzato come controllo in entrambi i test
microbiologici.
Il saggio colorimetrico REMA a 6 antibiotici è stato allestito
in micropiastre a 96 pozzetti, utilizzando il terreno di coltura
Middlebrook 7H9 addizionato con casitone allo 0,1% (M7H9-S)
e seguendo la procedura descritta da Palomino e colleghi
(5). Ciascun antibiotico è stato testato a due concentrazioni
definite valore di sensibilità (S) e valore di resistenza (R).
Tali concentrazioni sono state scelte sulla base dei risultati
presenti in letteratura (1-6). Gli inoculi delle colture di ciascun
isolato sono stati preparati in M7H9-S aggiustando la torbidità
delle colture ad 1 di McFarland e diluendole poi nel rapporto
1:20 (4).
Le piastre allestite per il saggio standard delle proporzioni
e le micropiastre allestite per il saggio REMA, sono state
incubate in camere umide ( 37°C, 5% di CO2). I risultati sono
stati letti dopo 20 giorni (per il saggio delle proporzioni) e dopo
8 giorni (per il saggio REMA) di incubazione. Per il saggio
delle proporzioni la sensibilità all’antibiotico è stata attribuita
contando il numero di colonie presenti sul terreno col farmaco
che deve risultare inferiore all’1% del numero di colonie sul
terreno di controllo. Per il saggio REMA, sono stati aggiunti
30 μl di una soluzione di resazurina allo 0,01% a ciascun
pozzetto e le piastre nuovamente incubate sono state lette
dopo l’incubazione overnight. La crescita del micobatterio era
messa in evidenza dal colore che la soluzione di resazurina
assumeva: colore blu (stato ossidato) in assenza di crescita
batterica e colore rosa (stato ridotto) in presenza di crescita.
Fig: 2: Rappresentazione schematica dell’allestimento di una
piastra a 96 pozzetti.
Caratterizzazione della resistenza: I ceppi di micobatterio
che apparivano resistenti (viraggio al rosa) per la PYR e quelli
dubbi (viraggio al viola) per l’EMB al test REMA sono stati
prima sottoposti ad estrazione del DNA e poi all’amplificazione,
rispettivamente, dei geni pncA e embB. Il DNA è stato
estratto dalle colture utilizzando il kit commerciale Wizard
SV Genomic DNA Purification System (Promega). I prodotti
di amplificazione, dopo purificazione, sono stati sottoposti al
servizio di sequenziamento nucleotidico presso la Genechron
Srl (ENEA, Casaccia). Gli elettroferogrammi delle sequenze
nucleotidiche sono stati analizzati tramite il software ABI Prism
SeqScape Software version 2.0 (AppliedBiosystems). Le
sequenze consensus generate sono state poi confrontate con
la sequenza del ceppo sensibile M. bovis ATCC 19210 per la
ricerca delle mutazioni.
RISULTATI
I 51 isolati sono risultati sensibili agli antibiotici testati ad
eccezione della PZA con entrambi i saggi. L’analisi nucleotidica
del gene pncA ha rivelato la presenza della tipica mutazione che
caratterizza la resistenza a tale farmaco (His 57 Asp, CAC/GAC).
Il saggio REMA ha evidenziato in 8/51 isolati una colorazione
dubbia (viola) al test REMA per l’EMB. Questi 8 ceppi sono stati
sottoposti all’estrazione del DNA, all’amplificazione mediante
PCR del gene embB e successivamente al sequenziamento
nucleotidico. L’analisi delle sequenze ha mostrato la presenza
delle seguenti mutazioni: Thr 610 Lys in 5 isolati, Gln 998 Arg
in 1 isolato e la sola mutazione silente al codone 220 (CTG/
CTA) in 2 isolati. Al fine di comprendere il significato di queste
mutazioni, anche gli altri isolati (quelli cioè che risultavano
all’EMB chiaramente sensibili al saggio REMA) sono stati
sottoposti al sequenziamento del gene embB. Tutti i 51 isolati
presentavano la mutazione silente al codone 220 (CTG/CTA);
di questi, 28 ceppi mostravano anche la mutazione missenso
al codone 610 (Thr 610 Lys, ACG/AAG), 2 ceppi la mutazione
missenso al codone 998 (Gln 998 Arg, CAG/CGG), e 1 ceppo
presentava la mutazione al codone 1012 (Phe 1012 Ser, TTC/
TCC). Le mutazioni missenso Thr 610 Lys, Gln 998 Arg e Phe
1012 Ser, non risultano descritte in letteratura.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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resazuin microtitre assay for drug susceptibility testing of
clinical isolates of Mycobacterium tuberculosis. Journal of
Antimicrobial Chemotherapy, 55: 500-505.
5.
Palomino J. C., Martin A., Camacho M., Guerra H.,
CONCLUSIONI
Tutti gli isolati di M. bovis sono risultati sensibili agli antibiotici
INH, RIF, EMB, STR e KAN e, come atteso, sono risultati
essere invece resistenti alla PZA. E’ stata trovata in tutti, la
mutazione His57Asp nel gene pncA.
L’analisi del gene embB ha evidenziato un elevato polimorfismo
del gene non associato però ad alcuna resistenza fenotipica.
In conclusione, lo studio ha confermato il saggio colorimetrico
REMA come una valida alternativa al saggio standard delle
proporzioni, la cui rapidità (risultati dopo soli 8 giorni di
incubazione), consente un più rapido monitoraggio della
resistenza sul territorio.
Anche se nel nostro studio non sono stati isolati ceppi
antibiotico-resistenti, rimane sempre alta l’attenzione per
questo fenomeno. Risulta pertanto importante monitorare
sempre la sensibilità agli antibiotici di prima linea anche fra
i ceppi di origine animale al fine di conoscere l’ampiezza
del fenomeno, di implementare la terapia più appropriata ed
efficace nell’uomo e di interrompere così la trasmissione di
ceppi multi-resistenti nella popolazione.
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
COMPORTAMENTO DI L. MONOCYTOGENES E S. AUREUS IN UN FORMAGGIO
PORZIONATO E CONFEZIONATO SOTTOVUOTO
Astegiano S., Bellio A., Traversa A., Adriano D., Bianchi D.M., Gallina S., Gramaglia M., Zuccon F., Corvonato M.,
Mantoan P., Radium P., Vitale N., Decastelli L.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino
Keywords: Vacuum packaging, storage temperature, pathogens
SUMMARY
In this work, the behaviour of L.monocytogenes and S.aureus
raw milk cheese is presented. Artificially contaminated
cheese was portioned, vacuum packed and stored at +4°C
and +10°C. Slices were analysed before vacuum packaging,
and regularly during storage (28 days at +4 °C and 56 days
at +10 °C). At the end of ripening period cheese contained
4.5 ± 0.9 Log CFU/g of L.monocytogenes. Concentration did
not change significantly in slices at +4°C, while decreased
at +10°C (3.6 ± 1.5 Log CFU/g). S.aureus count in cheese
before vacuum was 3.6 ± 0.8 Log CFU/g, then gently
decreased in slices stored at +4°C (2.7 ± 1.3 Log CFU/g),
while a reduction of about 1.9 Log CFU/g was observed at
+10°C. Lactic acid bacteria concentration was about 8.0 Log
CFU/g. No remarkable variations were observed in pH and
Aw values. In conclusion, L.monocytogenes and S.aureus
may survive in slices cheese under vacuum at +4°C and
+10°C.
INTRODUZIONE
Listeria monocytogenes è un microrganismo patogeno
agente di malattia trasmessa da alimenti (MTA); può essere
causa di gravi manifestazioni in particolare nelle donne
in gravidanza, nei neonati, negli anziani e negli individui
immunocompromessi (2). Secondo i dati riportati dall’EFSA
nell’ultimo report (1), in Europa nel 2011 il numero dei casi
di listeriosi nell’uomo è diminuito, attestandosi a 1476 casi
umani confermati, con una diminuzione del 7.8% rispetto al
2010. In generale si può affermare che il batterio è isolato
più frequentemente nei prodotti lattiero-caseari, nei prodotti
della pesca, nei prodotti carnei e negli alimenti pronti al
consumo (ready-to-eat (RTE)); in particolare, i formaggi molli
e semi molli sono stati implicati in focolai di listeriosi (4).
Staphylococcus aureus è uno dei più importanti patogeni
implicati nelle intossicazioni alimentari. L’intossicazione
è dovuta all’ingestione delle tossine (3). Secondo i dati
dell’EFSA, nel 2011 sono stati riportati 345 outbreak causati
da tossina stafilococcica, il 6.1% di tutti i focolai dell’UE,
e vi è stato un incremento del 25.9% rispetto ai dati del
2010. Le fonti di contaminazione per i prodotti lattierocaseari possono essere rappresentate da latte contaminato
o da un’inadeguata applicazione delle buone pratiche di
lavorazione da parte degli operatori. La presenza di Listeria
è dovuta a contaminazioni del latte crudo o a successive
cross-contaminazioni che possono avvenire durante la
produzione del formaggio (6).
Indipendentemente dall’origine delle contaminazioni, è di
fondamentale importanza seguire l’evoluzione del patogeno
durante la vita commerciale del prodotto (4).
La vendita di formaggio a fette sottovuoto è diffusa in quanto
in grado di preservare le caratteristiche organolettiche ed
allungare la vita commerciale del prodotto. In questo lavoro
è stato valutato il comportamento di L.monocytogenes
e S.aureus durante la shelf life di un formaggio a base di
latte crudo, porzionato e conservato sottovuoto ad una
temperatura corretta (+4 °C) e ad una di moderato abuso
termico (+10 °C). Si è simulata una contaminazione in fase
di caseificazione, inoculando i patogeni nel latte in caldaia
prima della lavorazione.
MATERIALI E METODI
Per l’inoculo di L.monocytogenes sono stati utilizzati due
ceppi di campo, isolati da un formaggio Toma e da un altro
formaggio a latte crudo entrambi stagionati 60 giorni. Ogni
ceppo è stato rivitalizzato su Agar Listeria Ottaviani Agosti
(ALOA), incubato a 37 °C per 24 ore (h). L’inoculo è stato
ottenuto stemperando le colonie in suspension medium,
valutando mediante densitometro la concentrazione
batterica, per ottenere 103-104 cellule/mL nel latte crudo.
Per S.aureus sono stati inoculati un ceppo 33862 ATCC®
e uno isolato da un formaggio a latte crudo stagionato 60
giorni. Ogni ceppo è stato fatto crescere su Columbia Agar
a 37 °C per 24 h e le colonie sono state risospese in 10 mL
di suspension medium e coltivate in 90 mL di Brain Heart
Infusion (BHI) a 37 °C per 18 h e successivamente utilizzate
per inoculare il latte crudo ottenendo una concentrazione di
105-106 cellule/mL.
Ogni patogeno è stato utilizzato per contaminare tre lotti
costituiti da una forma ognuno. Il formaggio è stato prodotto
utilizzando 90 litri di latte crudo per lotto. Il latte è giunto
al caseificio sperimentale dell’Istituto Zooprofilattico del
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta alla temperatura di 35
°C ed è stato messo in caldaia. Il latte all’arrivo è stato
analizzato per verificare la presenza di patogeni autoctoni
oggetto dello studio.
Il latte è stato contaminato con il patogeno e successivamente
sono stati aggiunti degli starter commerciali contenenti:
Streptococcus thermophilus, Lactococcus lactis e
Lactobacillus delbrueckii. Il latte è stato omogenato,
riscaldato fino a 37 °C ed è stato aggiunto il caglio in polvere.
Dopo la rottura della cagliata in pezzi da 0.5 cm di diametro,
questa è stata riscaldata in un ora fino a raggiungere i 48
°C. In seguito è stata trasferita in una forma da 50 cm di
diametro e 7 cm di altezza e posta sotto una pressa per
8 h. La forma è stata immersa in salamoia al 22% per 12
h e trasferita in una cella di stagionatura a +10 °C con
Umidità Relativa 90% per 80 giorni. Dopo la stagionatura, il
formaggio è stato porzionato in fette da 250 g, confezionate
sottovuoto e stoccate a diverse temperature: 4 fette a +4 °C
per 28 giorni (esperimento 1) e 8 fette a +10 °C per 56 giorni
(esperimento 2). Sono stati eseguiti dei campioni al momento
del confezionamento e a 7, 14, 21, 28 giorni (+4 °C) e 7, 14,
21, 28, 35, 42, 49 e 56 giorni (+10 °C). Ogni campione è
stato analizzato per i parametri riportati in tabella 1.
122
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Tabella 1 – Parametri microbiologici e chimico-fisici
Parametro
Metodica
Lattobacilli termofili
Man Rogosa Sharpe Agar (MRS) a 45 °C
per 72 h
Lattococchi mesofili
M17 a 30 °C per 24 h
Lattococchi termofili
M17 a 45 °C per 48 h
Enterococchi
Kanamycin Aesculin Agar (KEA) a 45 °C
per 48 h
L.monocytogenes
ALOA a 37 °C per 48 h
Stafilococchi
coagulasi positivi
Baird Parker Agar RPF a 37 °C per 48 h
pH
metodo potenziometrico (MFHPB-03:Feb.
2003)
Aw
metodo capacitivo (ISO 21807:2004)
Grafico 1 – Andamento L.monocytogenes
Le analisi per il conteggio di L.monocytogenes e S.aureus
sono state condotte in triplicato per ogni campione. Per la
descrizione dei risultati, sono stati utilizzati la media e la
deviazione standard.
RISULTATI E CONCLUSIONI
L.monocytogenes
All’arrivo presso il caseificio sperimentale, il latte crudo è sempre
risultato negativo per L.monocytogenes. Le forme contaminate
con L.monocytogenes, al termine della stagionatura (pH 5.4 ±
0.2; Aw 0.92 ± 0.01) contenevano una concentrazione di 4.5
± 0.9 Log UFC/g del patogeno. Le cariche dei batteri lattici
erano superiori a 8 Log UFC/g in tutti i lotti, mentre quelle
degli enterococchi più basse (6.1 ± 0.6 Log UFC/g). Durante la
conservazione, L.monocytogenes è rimasta stabile nelle fette a
+4 °C per 28 giorni (4.3 ± 1.0 Log UFC/g), mentre in quelle a +10
°C è diminuita lentamente durante i primi 28 giorni (4.1 ± 1.3
Log UFC/g), rapidamente nella quinta settimana (3.6 ± 1.4 Log
UFC/g), rimanendo poi costante fino alla fine dell’esperimento
(3.6 ± 1.5 Log UFC/g). La componente lattica si manteneva su
cariche elevate (7-8 log UFC/g) in tutti i campioni analizzati. Il
pH è rimasto pressoché costante sia a +4 °C (5.4 ± 0.2) che a
+10 °C (5.2 ± 0.1), come anche l’Aw (0.92 ± 0.01).
S.aureus
Il latte crudo utilizzato per le lavorazioni, prima dell’inoculo
sperimentale, presentava un numero di stafilococchi coagulasi
positivi pari a 1.5 ± 0.7 Log UFC/ml.
Al momento della porzionatura, la concentrazione di
S.aureus era pari a 3.6 ± 0.8 Log UFC/g. Gli altri parametri
microbiologici, pH e Aw sono sovrapponibili a quanto osservato
nei lotti contaminati per L.monocytogenes al termine della
stagionatura. La concentrazione di S.aureus nelle fette ha
subìto una riduzione di circa 1 Log UFC/g dopo 28 giorni a
+4 °C, mentre a +10 °C di circa 1.5 Log UFC/g nelle prime 4
settimane ed un ulteriore diminuzione, di circa 0.4 Log UFC/g,
negli ultimi 28 giorni. La concentrazione dei batteri lattici è
rimasta elevata (oltre 8.0 Log UFC/g) durante lo stoccaggio in
tutti i lotti ad entrambe le temperature; gli enterococchi sono
rimasti stabili fino al termine del periodo di conservazione.
Non si è osservata nessuna variazione di pH e Aw nelle fette
mantenute ad entrambe le temperature.
Grafico 2 – Andamento S.aureus
In questo studio si è valutato il comportamento dei due
patogeni (L.monocytogenes e S.aureus) durante la shelf life
di un formaggio a fette, confezionato sottovuoto e conservato
a due diverse temperature (+4 °C e +10 °C), simulando una
contaminazione in fase di caseificazione.
Il tipo di conservazione sottovuoto determina una riduzione
del numero di L. monocytogenes più evidente a temperatura
maggiore (+10 °C) rispetto a quella inferiore (+4 °C). Questa
differenza è stata già osservata anche da altri autori su
prodotti lattiero-caseari diversi (3, 8). Anche S.aureus ha
subìto una diminuzione maggiore nelle fette conservate a
+10 °C rispetto a quelle mantenuta a +4 °C. Probabilmente il
metabolismo di questi due patogeni aumenta con l’aumentare
della temperatura, provocando una veloce inattivazione
causata da autolisi. Inoltre la costante presenza di alte
cariche di batteri lattici potrebbe garantire una competizione
microbica in grado di inibire i patogeni (7). Inoltre Listeria
monocytogenes ha subito una minor riduzione rispetto a
S.aureus probabilmente dovuta alla sua notevole capacità di
adattamento e resistenza nei confronti dell’ambiente.
In etichetta viene indicata dal produttore la temperatura a
cui deve essere conservato l’alimento. Questo spesso viene
disatteso sia in fase di vendita che a livello domestico. I
risultati di questo studio permettono di evidenziare come
questo formaggio, se conservato sottovuoto, sia in grado di
non favorire lo sviluppo di L.monocytogenes e di S.aureus,
sia se mantenuto alla corretta temperatura di refrigerazione
che in situazioni di moderato abuso termico.
123
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
STUDIO PRELIMINARE SULLA PREVALENZA DI TOXOPLASMA GONDII IN SUINI
MACELLATI IN PIEMONTE
Barbero R.1, Dezzutto D.1, Vitale N.1, Ferroglio E.2, Gennero M. S.1, Bergagna S.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta -Torino
2
Dipartimento di Scienze Veterinarie - Università degli Studi di Torino
Key words: Toxoplasma gondii, zoonosis, Piedmont Region
ABSTRACT
Toxoplasmosis is a common disease of warm-blooded animals
including man that can be transmitted by meat containing
tissue cysts. Recent findings lead to the conclusion that human
toxoplasmosis has health sequelae also in the general public,
in addition to congenital infections or immunosuppressive
conditions. A risk based approach is therefore necessary
to reduce the possibility of Toxoplasma gondii cysts in food.
Due to the difficulty of revealing the infection in meats at
slaughterhouse level, a reduction of the infection in the preharvest phase can be recommended. In the present study,
a preliminary investigation on the seroprevalence in pigs
slaughtered in Piedmont is reported. 870 serum samples were
tested from pigs slaughtered in two abattoirs and among these
84 samples were positive to serological tests to Toxoplasma
detection. The obtained results are very interesting since few
data are available on the real prevalence of the infection in
Italian pig herds.
INTRODUZIONE
Toxoplasma gondii è un parassita endocellulare responsabile di
una zoonosi a diffusione mondiale, in grado di infettare le specie
animali a sangue caldo. T. gondii è inoltre tra i più importanti
agenti protozoari responsabili di zoonosi trasmissibili attraverso
gli alimenti di origine animale. La toxoplasmosi umana è
infatti ritenuta la zoonosi parassitaria più diffusa al mondo
(6) e terza causa di morte tra le malattie alimentari negli Stati
Uniti. Nonostante sia da tempo considerata esclusivamente
un’infezione opportunistica in soggetti immunocompromessi o
congenita, recenti studi hanno dimostrato il ruolo di T. gondii
come responsabile di differenti stati morbosi anche in soggetti
senza condizioni di immunosoppressione (12). Questo aspetto
rende importante considerare tutte le strategie che possono
essere messe in campo, oltre alla comunicazione del rischio,
per tutelare la salute del consumatore intervenendo a livello
della filiera alimentare. Dal momento che la carne suina è
considerata tra le principali fonti di infezione umana (5) ed in
considerazione di quanto stabilito nel Regolamento 2004/852/
CE (4) circa i compiti dell’operatore del settore alimentare, un
ruolo fondamentale nella lotta a tale zoonosi dovrà sicuramente
essere svolto a livello di produzione primaria, in particolare
nell’allevamento suino (7). A tutt’oggi i dati sulla prevalenza
di T. gondii, non solo negli animali ma anche nell’uomo, sono
considerati inconsistenti (6), nonostante l’obbligo previsto dalla
Direttiva 2003/99/CE per tutti gli Stati Membri di registrare
informazioni sugli agenti zoonosici (1). Anche i dati bibliografici
relativi alla sieroprevalenza negli allevamenti suini in Italia sono
scarsi o datati (9, 15). Lo scopo del presente lavoro quindi,
è quello di fornire dati preliminari sulla sieroprevalenza di T.
gondii in suini allevati e macellati in Piemonte.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto nel periodo compreso tra il 1 marzo
124
ed il 30 novembre 2012 (8 mesi completi) considerando due
differenti strutture in cui vengono regolarmente macellati
suini provenienti da allevamenti locali, presenti sul territorio
piemontese. Non avendo informazioni aggiornate sulla
sieroprevalenza per T. gondii in Piemonte, la scelta delle
dimensioni del campione da testare è stata definita utilizzando
la formula proposta da Thrusfield (13) e considerando i seguenti
parametri:
-popolazione composta da circa 1600 capi;
precisione pari a 6,5%;
livello di confidenza del 95%;
prevalenza attesa pari al 10%;
prevalenza in un allevamento infetto del 18%;
accuratezza del test diagnostico; Se 99% Sp 99%.
Nel macello A, in cui vengono macellate soprattutto scrofe di
età di circa 36 mesi provenienti da piccoli allevamenti, è stato
effettuato un campionamento di 22 partite di animali, con un
numero di capi per ogni partita pari a 10.
Nel macello B, in cui vengono macellati soprattutto suini di età
di circa 12 mesi provenienti da allevamenti industriali, sono
state campionate 33 partite di animali, con un numero di capi
per ogni partita pari a 20.
Attualmente, sono stati prelevati 870 campioni di sangue che
risultano essere il 55% della popolazione totale richiesta per il
completamento dello studio.
Tutti i sieri raccolti sono stati testati mediante un saggio
immunoenzimatico indiretto multispecie utilizzando il kit
commerciale “Toxoplasmosis Indirect” (ID.VET Innovative
Diagnostics), che utilizza come antigene la proteina P30 di
T.gondii, seguendo le indicazioni fornite dal produttore. Sono
considerati positivi i sieri con valore S/P ≥ 50%, negativi quelli
con valore S/P ≤ 40%, dubbi in caso di 40% < S/P < 50%.
RISULTATI E CONCLUSIONI
I risultati preliminari ottenuti a seguito delle analisi effettuate su
870 campioni di suini macellati in Piemonte, hanno permesso
di stimare una prevalenza del 9%, poco al di sotto di quella
attesa.
La prevalenza è decisamente inferiore rispetto a quanto
evidenziato negli anni passati (10) in diversi altri Paesi ma
ancora non del tutto in linea con la tendenza attuale riscontrata
in Nord Europa. Nei Paesi nordici del nostro continente infatti,
a fronte di una elevata sieroprevalenza riscontrata in passato,
i dati più recenti dimostrano un calo sensibile delle positività
sierologiche verso T. gondii, concomitante al miglioramento
delle condizioni strutturali e manageriali dell’allevamento suino.
Paesi con elevato numero di allevamenti suini come Olanda e
Germania hanno ridotto negli ultimi anni la prevalenza a valori
prossimi a zero (10). Bassi valori sono stati evidenziati anche
in Austria ed in Canada (10, 3). In altre nazioni europee la
sieroprevalenza è decisamente più elevata rispetto a quanto
da noi riscontrato (Polonia – 34%, Serbia - 28,9%) (11, 8).
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Negli Stati Uniti sono state evidenziate sieroprevalenze
molto variabili, da 1 a 69%, con alcuni allevamenti esenti da
Toxoplasma (14). Per una stima reale della prevalenza va
comunque specificato che nel presente lavoro la maggior parte
degli animali soggetti provenivano da allevamenti industriali
(partite prelevate nel macello B), che generalmente hanno un
numero di positività diversa rispetto ad allevamenti di altro tipo
(2). Dal momento che i fattori di rischio implicati nella diffusione
del parassita nell’allevamento suino sono da tempo oggetto di
studio (14), il dato da noi riscontrato indica che non sono stati
fatti efficaci progressi nella gestione di tali fattori. La presenza
di Toxoplasma gondii nella produzione primaria sembra
ricevere poca considerazione, come conferma la scarsità
di dati soprattutto per quelle regioni italiane con alta densità
produttiva. Per il momento le uniche strategie volte a ridurre
il rischio di toxoplasmosi umana sono quindi quelle relative
alla comunicazione del rischio ad alcune categorie specifiche
come donne in gravidanza e immunocompromessi. Inoltre,
recenti tecniche di isolamento ed identificazione del protozoo
hanno permesso una più attenta valutazione della capacità del
parassita di sopravvivere ai diversi ostacoli tecnologici. Da ciò
è emersa la possibilità che anche i prodotti a base di carne di
suino stagionati possano contenere cisti di Toxoplasma vive e
vitali (16). Inoltre, sulla base dell’analisi del rischio è comunque
necessario ricordare sia che T. gondii può essere presente
nelle carni suine, sia che alcune preparazioni di carne possono,
specialmente in alcune regioni come ad esempio il Piemonte,
essere consumate crude o poco cotte. I progressi fatti in
alcuni Paesi dimostra come l’intervento in allevamento possa
ridurre la presenza del protozoo, con risvolti positivi su tutta la
filiera produttiva. Il controllo dell’applicazione di corrette prassi
volte a migliorare il livello igienico nella produzione primaria
potrà riconoscere nel mattatoio uno dei punti di monitoraggio
principali per T. gondii in quanto, a questo livello, risulta agevole
effettuare il prelievo di campioni ematici su un numero elevato
di soggetti provenienti da differenti allevamenti.
BIBLIOGRAFIAì
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
ICAA, MECA E LEUCOCIDINA PANTON-VALENTINE (PVL) IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS
AUREUS ISOLATI DA LATTE E DA PRODOTTI LATTIERO CASEARI IN PUGLIA
Basanisi M.G., Pedale R., Nobili G., Cafiero M.A., Chiocco D., La Salandra G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Via Manfredonia, 20 – 71121 Foggia
Key words: icaA, mecA, PVL
ABSTRACT
The aim of this work was to characterize 244 strains of
Staphylococcus aureus isolated from milk and dairy products
collected in Apulia (Italy) during 2010-2012, in order to detect the
enterotoxin(s) genes, biofilm responsible gene (icaA), PantonValentine Leukocidin encoding gene (lukF-PV and lukS-PV),
mecA, Staphylococcal cassette chromosome mec (SCCmec)
by PCR and antibiotic susceptibilities using Kirby-Bauer method.
The presence of S. aureus strains in food represents a potential
risk for consumers. High occurrence of icaA was found and the
resulting biofilm formation increases antibiotic resistance. The
finding of PVL genes in methicillin-resistant Staphylococcus
aureus (MRSA) strains isolated from food of animal origin
highlights the pathogenicity of S. aureus and focuses attention
on the need to improve hygiene practices in industrial production
to ensure the microbiological safety of products and limit the
spread of S. aureus and other pathogens through food.
INTRODUZIONE
Staphylococcus aureus rappresenta attualmente una importante
causa di intossicazione alimentare, l’uomo ed il comparto
animale costituiscono la principale fonte di contaminazione degli
alimenti (5).
La patogenicità di S. aureus è correlata alla capacità di
produrre tossine. Tra di esse si annoverano le enterotossine
stafilococciche, di natura proteica, stabili al calore e resistenti
alle proteasi come tripsina e pepsina. Le più comuni e ricercate in
questo lavoro sono SEA, SEB, SEC, SED, SEE, SEG, SEI, SEH,
SEJ, SEM, SEN, SEO (8, 9). E’ noto che la patogenicità di S.
aureus è correlata anche ad altri fattori, ad esempio la formazione
del biofilm e la presenza di geni codificanti la leucocidina PantonValentine (PVL), una tossina che causa la lisi dei leucociti. Il
biofilm batterico è una popolazione di cellule multistratificate
racchiuse in matrici polisaccaridiche che crescono su superfici
inerti o viventi e rappresenta un rilevante problema, perché il
batterio protetto dalla sua stessa matrice risulta resistente agli
usuali trattamenti antibiotici (3). La formazione del biofilm viene
regolata a livello genetico dall’intracellular adhesion (ica) locus,
che controlla la sintesi di una adesina, PIA (polysaccharide
intracellular adhesion), molecola di natura polisaccaridica che
permette l’adesione intercellulare. L’ica locus è costituito dai
geni icaADBC e codifica proteine medianti la sintesi di PIA
nei ceppi di S. aureus. In particolare il gene icaA codifica per
l’enzima N-acetilglucosaminiltrasferasi, implicato nel processo di
formazione del biofilm (1).
PVL è un fattore di virulenza appartenente alla famiglia di
“synergohymenotropic toxins”. Queste tossine formano dei pori
nelle membrane delle cellule del sistema immunitario, tramite
l’azione sinergica di due proteine secretorie (LukS-PV e LukFPV) (2).
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra ottobre 2010 e ottobre 2012 sono
stati isolati 244 ceppi di S. aureus da 700 campioni, di cui 350
126
di latte e 350 di formaggi (freschi, semistagionati e stagionati),
provenienti da diverse aziende presenti in Puglia e sottoposte a
controllo da parte delle ASL. L’isolamento dei ceppi dalle matrici
alimentari è stato eseguito secondo la norma EN ISO 6888 1-2
1999 con l’utilizzo del terreno Baird Parker RPF Agar (Biolife). I
ceppi di S. aureus sono stati identificati con l’utilizzo del terreno
CHROMagar™ (CHROMagar Microbiology, Parigi, Francia). Il
DNA dei singoli isolati è stato poi estratto con DNeasy Blood &
Tissue Kit, Qiagen.
I ceppi di S. aureus isolati sono stati caratterizzati
fenotipicamente per valutarne il pattern di antimicrobicoresistenza (ATB) e genotipicamente mediante polymerase
chain reaction (PCR).
Il pattern di ATB è stato valutato mediante il metodo della
diffusione in agar (Kirby-Bauer) secondo le Linee Guida del
National Committee for Clinical Laboratory Standards (7).
Gli isolati sono stati testati con multiplex PCR (M-PCR) per
ricercare i geni specifici per le enterotossine stafilococciche
quali sea, seb, sec, seh, sej, sed, see, seg, sei, sem, sen e
seo e per la subunità ribosomiale 16S, secondo i protocolli
modificati di diversi autori (5, 8, 9, 12).
Agli isolati sono stati applicati metodi biomolecolari per la
ricerca dei geni lukF-PV e lukS-PV codificanti la leucocidina
Panton-Valentine (PVL), seguendo il metodo di Hesje et al.
(2011) (4). La ricerca del gene icaA (intercellular adhesion),
responsabile della produzione di biofilm, è stata condotta
secondo il protocollo Zmantar et al. (2008) (14); mentre per il
gene mecA è stato applicato il metodo di Murakami et al. (1991)
(10). La caratterizzazione della cassetta genica SCCmec
(Staphylococcal cassette chromosome mec) è stata condotta
come descritto da Kondo et al. (2007) (6).
RISULTATI E CONCLUSIONI
Dei 244 ceppi di S. aureus isolati da matrici lattiero-casearie,
95 (38,9%) sono risultati enterotossigeni e 149 (61,1%) non
enterotossigeni.
L’antimicrobico-resistenza ha fornito i seguenti risultati: dei
95 ceppi enterotossigeni, 48 (50,5%) sono sensibili a tutti gli
antibiotici testati, e 47 (49,5%) hanno mostrato resistenza
a diversi antibiotici. Dei 47 ceppi di S. aureus resistenti agli
antibiotici, 11 (23,4%) ceppi sono risultati resistenti ad un
solo antibiotico, 22 (46,8%) a due antibiotici, 14 (29,8%) a
tre o più antibiotici (multidrug resistant) (MDR). Gli antibiotici
maggiormente interessati nel fenomeno della resistenza sono
penicillina/ampicillina, streptomicina, seguiti da tetraciclina,
kanamicina, eritromicina, teicoplanina, bacitracina, cefalotina,
gentamicina, novobiocina e enrofloxacina. Nessun ceppo
presenta
resistenza
al
trimetroprim-sulfametoxazolo,
vancomicina e oxacillina.
Tra i 149 ceppi non enterotossigeni, 65 (43,6%) sono sensibili a
tutti gli antibiotici testati e 84 (56,4%) hanno mostrato resistenza
a diversi antibiotici. Degli 84 ceppi di S. aureus resistenti agli
antibiotici, 15 (17,8%) ceppi sono risultati resistenti ad un solo
antibiotico, 14 (16,7%) a due antibiotici, 55 (65,5%) a tre o
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
più antibiotici (MDR). Gli antibiotici maggiormente interessati
nel fenomeno della resistenza sono penicillina/ampicillina,
kanamicina, gentamicina, streptomicina, oxacillina, bacitracina,
enrofloxacina, novobiocina, seguiti da tetraciclina, eritromicina,
teicoplanina e cefalotina. Nessun ceppo presenta resistenza al
trimetroprim-sulfametoxazolo e vancomicina.
21 (14,1%) ceppi di S. aureus non enterotossigeni sono
risultati resistenti all’oxacillina, antibiotico β lattamico
simile alla meticillina ma più stabile alla conservazione
e alla refrigerazione e più efficace nella determinazione
dell’eteroresistenza. Gli stessi ceppi, inoltre, hanno mostrato
resistenza agli altri β-lattamici testati (ampicillina e penicillina
G). Tra i ceppi methicillin-resistant Staphylococcus aureus
(MRSA), 11 (52,4%) sono resistenti anche alla tetraciclina,
11 (52,4%) alla kanamicina, 10 (47,6%) alla streptomicina, 9
(42,8%) alla gentamicina, 3 (14,3%) alla cefalotina, 3 (14,3%)
all’enrofloxacina, 3 (14,3%) alla bacitracina. Nessun ceppo
MRSA risulta essere resistente alla vancomicina, teicoplanina
e trimetroprim-sulfametoxazolo.
La ricerca dei geni (sea, seb, sec, sed, see, seg, seh, sei,
sej, sem, sen, seo) codificanti le enterotossine stafilococciche
(SEs) ha prodotto come risultato una prevalenza del gene
sec (14,7%), seguito dal gene sea (9,5%) e seh (5,3%). I
restanti geni hanno una prevalenza del 21,7%, in singolo o in
associazione. La presenza del gene icaA, responsabile della
formazione del biofilm, è stato rilevato nel 75,8% (72/95) dei
ceppi enterotossigeni, nel 80,5% (120/149) dei ceppi non
enterotossigeni e nel 52,4% (11/21) dei ceppi MRSA isolati.
I geni lukF-PV e lukS-PV codificanti la leucocidina Panton
Valentine (PVL), sono presenti solo nei ceppi MRSA con una
prevalenza del 47,6%, (10/21) mentre risultano negativi in tutti
gli altri isolati sensibili alla meticillina.
Due ceppi MRSA possiedono contemporaneamente i geni icaA
e lukF-PV e lukS-PV (Figura 1).
Figura 1- Distribuzione dei geni icaA e lukS-PV e lukF-PV nei
ceppi MRSA
I 21 ceppi di S.aureus isolati, fenotipicamente resistenti alla
meticillina, risultano positivi per il gene mecA e possiedono un
elemento SCCmec type V (100%).
Le prove di antimicrobico resistenza (ATB) hanno messo in
evidenza una spiccata multiresistenza (resistenza ad almeno
tre antibiotici) in tutti i ceppi testati, infatti il 52,7% dei ceppi
isolati risulta MDR.
La diffusione di ceppi di S. aureus multiresistenti, ed in
particolare dei cloni resistenti alla meticillina, desta una
particolare attenzione in quanto l’antibiotico in questione è
ampiamente usato nelle infezioni stafilococciche. I cloni MRSA
sono presenti soprattutto in ambiente ospedaliero (HA-MRSA)
ma la loro diffusione in ambiente comunitario è in continua
crescita (CA-MRSA) (11).
I dati relativi alla presenza di geni codificanti le enterotossine
stafilococciche (SEs) evidenziano la prevalenza del 14,7% del
gene sec codificante la tossina C, riconosciuta in letteratura
come importante causa di intossicazione nel consumo di prodotti
lattiero caseari (13).
L’elevata prevalenza del gene icaA nei ceppi di S. aureus
enterotossigeni (75,8%) e nei ceppi non enterotossigeni (80,5%)
si manifesta nella capacità di produrre biofilm che permette
la sopravvivenza del batterio in ambiente ostile rendendolo
particolarmente patogeno.
I geni lukF-PV e lukS-PV sono associati solo ai cloni methicillinresistant S. aureus (MRSA) (25,6%) e la capacità di questi ceppi
di sintetizzare fattori di virulenza come la PVL e di formare biofilm,
fa presupporre l’esistenza di una correlazione zoonotica tra i
diversi isolati di S. aureus da differenti serbatoi (uomo, alimenti
e ambiente), poiché queste caratteristiche sono associate
soprattutto ai CA-MRSA e HA-MRSA rispettivamente (2).
Dai risultati ottenuti, si evince l’elevata virulenza di questi ceppi
MRSA determinata dalla presenza dei geni mecA, icaA e dei
geni lukS-PV e lukF-PV. Si possono quindi ipotizzare le severe
ripercussioni in comunità in seguito alla loro diffusione sulla salute
dell’uomo e sull’economia delle aziende alimentari.
In conclusione, è importante sottolineare la necessità di sviluppare
un sistema di sorveglianza e monitoraggio uomo-alimenti al
fine di valutare l’andamento della diffusione ed evoluzione di
ceppi virulenti applicando misure severe atte al controllo e alla
prevenzione soprattutto in produzione primaria, per minimizzare
il rischio da MRSA e garantire sicurezza al consumatore.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
7.Linee guida del National Committee on Clinical Laboratory
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128
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DI DIFFERENTI GENOTIPI DI Paenibacillus larvae
Bassi S. e Pizzuto A.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Sezione di Modena
Key words: American foulbrood, Paenibacillus larvae, Genotypes ERIC I and ERIC II
SUMMARY
Recently it has been demonstrated the existence of different
Paenibacillus larvae (P. larvae) genotypes.
The genotypic characterization of P. larvae based on rep-PCR
performed with Enterobacterial Repetitive Intergenic Consensus
(ERIC) primers allows to identify four different genotypes
designated ERIC I-IV. These genotypes have different phenotypic
features and virulence. The most significant differences concern
the colony morphology, cell morphology and biochemical profile.
For this reason the knowledge of the phenotypic heterogeneity
of P. larvae genotypes is very important for a correct laboratory
bacteriological diagnosis.
Here we show the results of the phenotypic characterization of P.
larvae strains, genotype ERIC I and genotype ERIC II, isolated in
our Institute in the years 2010 - 2012.
INTRODUZIONE
Paenibacillus larvae (P.larvae), batterio sporigeno Gram +, è
l’agente causale della Peste Americana (P.A.) delle api (3).
Gli studi di caratterizzazione genetica con applicazione di differenti
tecniche biomolecolari hanno messo in evidenza la presenza di
diversi genotipi di P. larvae (3, 4, 5, 7).
La PCR con impiego di Enterobacterial Repetitive Intergenic
Consensus (ERIC) primers permette di identificare quattro
differenti “patterns” genetici denominati ERIC I - II - III - IV (3).
Questi 4 genotipi presentano caratteristiche fenotipiche differenti,
le differenze più significative riguardano la morfologia delle colonie
(3, 6), la morfologia delle forme vegetative e delle spore (3, 8) ed
il profilo biochimico (3, 6).
In Germania (3), Svezia (3), Finlandia (7), Austria (5), Italia (1)
e Romania (9) è stata dimostrata la presenza dei genotipi ERIC
I ed ERIC II mentre non esistono informazioni sui genotipi che
circolano negli altri Paesi europei.
I genotipi ERIC III ed ERIC IV non sembrano essere mai stati
isolati in anni recenti in Europa.
Scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare e descrivere
le caratteristiche fenotipiche (morfologiche e biochimiche) dei due
genotipi presenti nel nostro Paese.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati complessivamente 52 ceppi di P.larvae di cui
31 del genotipo ERIC I e 21 del genotipo ERIC II isolati nel nostro
Laboratorio negli anni 2010-2012 da larve morte per P.A., da detriti
invernali o da miele.
I ceppi sono stati identificati sulla base delle caratteristiche colturali,
morfologiche, biochimiche e biomolecolari (2) e genotipizzati in
rep-PCR con impiego di ERIC primers (1, 3).
Esami morfologici.
Esame morfologico delle colonie. Sono state esaminate colonie
di primo isolamento di 3 – 5 giorni cresciute in Agar Sangue o
in MYPGP (Mueller-Hinton broth, yeast extract, potassium
phosphate, glucose, pyruvate) agar e colonie sviluppate in
subcolture su MYPGP agar o TSYEA (Tryptic Soy Yeast Extract
Agar).
Esame morfologico delle forme vegetative. E’ stato eseguito su
colture di 48 – 72 ore mediante osservazione al microscopio
ottico dopo colorazione di Gram e al microscopio elettronico a
scansione (SEM) impiegando uno strumento FEI Quanta 200 in
modalità ESEM (Environmental Scanning Electron Microscopy).
Esami biochimici
Per lo studio del profilo biochimico è stato impiegato il sistema
API® 50 CH (bioMérieux) seguendo le indicazioni fornite dal
produttore. Abbiamo esaminato colture di 24 ore. Per la semina
delle gallerie è stata utilizzata una sospensione batterica in API®
50 CHB medium con densità pari al tubo 2 della scala Mc Farland.
Le letture sono state eseguite dopo 24 e 48 ore di incubazione a
37° in atmosfera arricchita con il 10% di CO2.
RISULTATI
Esame morfologico delle colonie
Le colonie di P. larvae presentano due distinti morfotipi. Le colonie
dei ceppi del genotipo ERIC I sono di dimensioni molto variabili
anche sulla stessa piastra di isolamento, hanno colore biancogrigiastro con superficie piatta, granulosa, asciutta o leggermente
lucente e margine irregolare (Figure 1 - 4 A - 4 B). A volte appaiono
diafane e quasi trasparenti.
Le colonie del genotipo ERIC II hanno maggiore spessore,
superficie liscia più o meno convessa e a volte leggermente
ombelicata, margine regolare e netto, non sono mai trasparenti.
Presentano solitamente una pigmentazione arancione di intensità
variabile che può avere diversa localizzazione.
In alcuni casi la pigmentazione è più intensa nella zona circolare
esterna della colonia (pigmentazione “anulare”), in altri casi invece
è presente solo in uno o più settori della colonia dove assume
l’aspetto di un cuneo arancione (pigmentazione “settoriale”)
(Figure 2 - 4 C - 4 D - 4 E).
Non di rado le colonie di questo genotipo, pur avendo la morfologia
descritta, presentano su MYPGP agar, anche in primo isolamento,
un colore bianco-cera (Figure 3 – 4 F).
Una caratteristica del genotipo ERIC II è che spesso nelle subcolture
la pigmentazione iniziale si modifica e le colonie pigmentate o le
colonie bianche possono dare luogo a colonie di aspetto diverso
riferibile a una delle altre possibili varianti. (Figura 5).
Esame morfologico delle forme vegetative
L’esame in microscopia ottica dopo colorazione di Gram mette
in evidenza alcune differenze morfologiche tra i corpi batterici
dei due genotipi (Figura 6). Nel genotipo ERIC I questi sono in
genere più allungati e hanno una maggior tendenza a disporsi in
lunghe catene rispetto al genotipo ERIC II. Sono inoltre più sottili e
la larghezza è, mediamente, inferiore di 0,2 – 0,3 micron come si
evidenzia, in particolare, nelle immagini in SEM (Figure 6A – 7A ).
Nel genotipo ERIC II, soprattutto in alcuni ceppi, sono presenti
numerosi batteri incurvati con forma a «C» piuttosto caratteristica
(Figura 6 B).
Esami biochimici
Il kit API® 50 CH (bioMérieux) è stato utilizzato non a scopo
di identificazione ma per studiare i profili di fermentazione dei
ceppi in esame. Questo kit permette di caratterizzare la capacità
metabolica dei microrganismi nei confronti di 49 carboidrati.
Escludendo le prove che davano risultati variabili o davano
gli stessi risultati nei due genotipi si osserva che soltanto le
fermentazioni del fruttosio e del mannitolo mostrano di possedere
una significativa capacità discriminante tra ERIC I e ERIC II. La
fermentazione del fruttosio sembra essere strettamente genotipospecifica, in accordo con quanto riportato da Neuendorf S. et al. (6)
è stata sempre positiva per i ceppi del genotipo ERIC II e negativa
130
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Rauch S., S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification
of
Paenibacillus larvae subsp. pulvifaciens and
Paenibacillus larvae subsp. larvae as Paenibacillus
larvae without subspecies classification. Int. J. Syst.
Evol. Microbiol. 56, 501- 511.
4) Genersch E., Otten C. (2003). The use of repetitive
element PCR
fingerprinting (rep-PCR) for genetic
subtyping of German field Isolates of Paenibacillus
larvae subsp. larvae. Apidologie 34, 195– 206.
I. Derakhshifar
J. Jacobs
T. Oberlerchner
H.
Loncaric
2) 5)
Dobbelaere
W, I.,
de Graaf
DC, Peeters JE,
FJ
(2001).
Development
a fast and reliable diagnostic
Ko¨glberger
A., ofMoosbeckhofer
R. (2009). Genetic
method for American foulbrood disease (Paenibacillus
diversity among isolates
of Paenibacillus larvae from
larvae subsp. larvae)
using a 16S rRNA gene based
Austria.
J. 32,
Invertebr.
PCR.
Apidologie
363–370 Pathol. 100, 44– 46.
3) 6)
Genersch
E., Forsgren
E., Pentikäinen
J., Ashiralieva
A.,
Neuendorf
S., Hedtke
K., Tangen
G., Genersch
E. (2004).
Rauch S., S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification
of different
larvae subsp. pulvifaciens
andgenotypes of
of Biochemical
Paenibacilluscharacterization
as Paenibacillus
Paenibacillus
larvae larvae
subsp. subsp.
larvae larvae,
Paenibacillus
a honey bee bacteria
larvae without
subspecies classification. Int. J. Syst.
pathogen.
Microbiology
150,
2381–2390.
Evol. Microbiol. 56, 501- 511.
4) 7)
Genersch
E., Otten J.,
C. Kalliainen
(2003). The use
repetitive S. (2009).
Pentikäinen
E., ofPelkonen
element
PCR epidemiology
fingerprinting (rep-PCR)
for genetic
Molecular
of Paenibacillus
larvae infection
subtyping of German field Isolates of Paenibacillus larvae
in Finland.
Apidologie
40,206.
73–81.
subsp.
larvae. Apidologie
34, 195–
5) 8)
Loncaric
I., I. L,
Derakhshifar
J. Funfhaus
T. Oberlerchner
H.
Poppinga
Janesch B,
A, Sekot
G, GarciaKo¨glberger A., Moosbeckhofer R. (2009). Genetic diversity
Gonzalez
E,Paenibacillus
et al. (2012).
Identification
Functional
among
isolates of
larvae
from Austria. and
J.
Invertebr.
Pathol.of100,
Analysis
the44–S46.
Layer Protein SplA of Paenibacillus
6) Neuendorf S., Hedtke K., Tangen G., Genersch E. (2004).
larvae, the Causative Agent of American Foulbrood of
Biochemical characterization of different genotypes of
Honey Bees.
Paenibacillus
larvae PLoS
subsp. Pathog
larvae, a 8(5):
honey e1002716.doi:10.1371/
bee bacteria
pathogen.
Microbiology 150, 2381–2390.
journal.ppat.1002716.
7) Pentikäinen J., Kalliainen E., Pelkonen S. (2009).
9)Molecular
Rusenova
N., Parvanov
P, Stanilova
S. (2013).
Molecular
epidemiology
of Paenibacillus
larvae infection
in
Finland.
Apidologie
40, 73–81.
typing
of Paenibacillus
larvae strains isolated from
8) Poppinga L, Janesch B, Funfhaus A, Sekot G, GarciaBulgarian apiaries on Repetitive element Polymerase
Gonzalez E, et al. (2012). Identification and Functional
Chain
(Rep-PCR).
Microbiol. 66, 573-577.
Analysis
of Reaction
the S Layer
Protein SplACurr
of Paenibacillus
per quelli dell’altro genotipo. Nel genotipo ERIC II la fermentazione
del mannitolo è risultata positiva in 19 ceppi (90,48%) e negativa
in 2 (9,52%). I ceppi ERIC I sono sempre risultati negativi.
CONCLUSIONI
Esiste una stretta correlazione tra la morfologia delle colonie e i
risultati della tipizzazione genetica con ERIC primers. Le colonie
di P.larvae di aspetto classico appartengono sempre al genotipo
ERIC I, quelle pigmentate e/o atipiche al genotipo ERIC II. Si
osserva anche
la presenza
di due
distinti
“patterns”
metabolici.
per i ceppi
del genotipo
ERIC
II e negativa
per quelli
dell’altroLa
fermentazione
del fruttosio
è positiva
solo
genotipo ERIC
genotipo.
Nel genotipo
ERIC
II per
la ilfermentazione
delII,
mannitolo viene
è risultata
positiva in
19 ceppidal
(90,48%)
e negativa
anche il mannitolo
utilizzato
soltanto
genotipo
ERIC II
in 2 (9,52%).
I ceppi
I sono sempre
negativi.
ma alcuni ceppi
(9,52%)
non ERIC
presentano
questarisultati
capacità.
Le differenze
nella
morfologia
cellulare
sono
dovute
alla
presenza
CONCLUSIONI
di una proteina
superficie
(denominata
espressa
solo da
Esiste di
una
stretta correlazione
tra laSplA)
morfologia
delle colonie
e i risultati
tipizzazione
con ERIC
primers.
Le
P.larvae ERIC
II (8). della
Questa
proteinagenetica
di superficie
(SplA),
assente
di P.larvae di aspetto classico appartengono sempre
in ERIC I, colonie
è considerata
un fattore di virulenza e determina, oltre
al genotipo ERIC I, quelle pigmentate e/o atipiche al genotipo
alle differenze
l’esistenza
un diverso
ERICmorfologiche,
II. Si osserva
anche la dipresenza
di meccanismo
due distinti
patogenetico
(8). metabolici. La fermentazione del fruttosio è positiva
“patterns”
solo per corrisponderebbero
il genotipo ERIC II, anche
il mannitolo
utilizzato
Ai due genotipi
quindi
oltre viene
a due
diversi
genotipo ERIC II ma alcuni ceppi (9,52%) non
morfotipi esoltanto
biotipi dal
anche
due diversi patotipi.
presentano questa capacità.
Le differenze nella morfologia cellulare sono dovute alla
BIBLIOGRAFIA
presenza di una proteina di superficie (denominata SplA)
espressa
solo da P.larvae
ERIC E.,
II (8).
Questa G.,
proteina
di
1) Bassi
S., Salogni
C., Carpana
Paganelli
Gelmini
superficie (SplA), assente in ERIC I, è considerata un fattore
L.,
Carra E. (2012). “Prevalence of Paenibacillus larvae
di virulenza e determina, oltre alle differenze morfologiche,
genotype
I andmeccanismo
ERIC II inpatogenetico
two italian(8).regions”.
l’esistenza ERIC
di un diverso
Ai due genotipi of
corrisponderebbero
quindi oltre
a due diversiof
Proceedings
the
5° European
Conference
morfotipi e (EURBEE).
biotipi anche Halle
due diversi
patotipi.
Apidology
an der
Saale (Germany) 3-7
September
2012, 218.
BIBLIOGRAFIA
2) Dobbelaere W, de Graaf DC, Peeters JE, Jacobs FJ
1) Bassi
S., Salogni C.,ofCarpana
Paganelli
G., diagnostic
Gelmini L.,
(2001).
Development
a fast E.,
and
reliable
Carra E. (2012). “Prevalence of Paenibacillus larvae
method for
American
foulbrood
disease
(Paenibacillus
genotype ERIC I and ERIC II in two italian regions”.
Proceedings
of the 5°
European
Conference
of Apidology
larvae subsp.
larvae)
using
a 16S
rRNA gene
based
(EURBEE). Halle an der Saale (Germany) 3-7 September
PCR. Apidologie
32,
363–370
2012, 218.
3) Genersch E., Forsgren E., Pentikäinen J., Ashiralieva A.,
Figura 1- Colonie
gen. ERIC I
Figura 2 - Colonie
pigmentate gen. ERIC II
larvae, the Causative Agent of
Honey
Bees.
PLoS
American Foulbrood of
Pathog
8(5):
Si ringraziano
per la collaborazione nella documentazione
e1002716.doi:10.1371/journal.ppat.1002716.
9) Rusenova
Parvanov
P, Stanilova
(2013). Molecular
fotografica
il Dr.N.,Luca
Gelmini
e il Dr.S.Gianluca
Rugna dell’IZSLER
typing of
Paenibacillus larvae strains isolated from
- e il Dr.
Massimo
Tonelli
del
C.I.G.S.
(Centro
Interdipartimentale
Bulgarian apiaries on Repetitive element Polymerase
GrandiChain
Strumenti
UniversitàCurr
di Modena
e Reggio
Reaction- (Rep-PCR).
Microbiol. 66,
573-577. Emilia).
Figura 3 - Colonie non
pigmentate gen. ERIC II
Figura 4 - Colonie gen. ERIC I (A-B) e
gen. ERIC II (C-D-E-F)
A
B
C
D
E
F
Figura 5 – Colonia non pigmentata
gen. ERIC II dopo trapianto in MYPGP
Figura 6 - Colorazione Gram – Forme vegetative gen. ERIC I (A) e gen. ERIC II (B)
D
A
C
B
E
Figura 7 – Forme vegetative gen. ERIC I
(A) e gen. ERIC II (B) (SEM 10.000 x)
A
A
B
B
B
Si ringraziano per la collaborazione nella documentazione fotografica il Dr. Luca Gelmini e il Dr. Gianluca Rugna dell’IZSLER e il Dr. Massimo Tonelli del C.I.G.S. (Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti - Università di Modena e Reggio Emilia).
131
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Isolamento di P.larvae in api importate dall’Argentina: confronto della
sensibilità’ agli antibiotici dei ceppi isolati con quella di ceppi italiani
Bassi S.1, Milito M.2, Giacomelli A. 2, Carra E. 1, Cordaro G. 2, Cersini A. 2, Formato G. 2, Pizzuto A. 1, Amoruso R. 2, Franco A. 2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Sezione di Modena
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
Key words: Paenibacillus larvae, oxytetracycline, import queen bees
SUMMARY
In several countries oxytetracycline is authorized for the
American foulbrood (AFB) control, but this practice results in
an increasing of the probability to generate Paenibacillus larvae
(P. larvae) strains resistant to this antibiotic.
International trade in live bees and bee products represents
the best way for these resistant bacteria to spread all over the
world.
In Italy importation of honey bee queens from Argentina is
considerably increased and in Argentina the presence of
oxytetracycline-resistant strains of P. larvae has been largely
demonstrated.
This work aims to compare the antibiotic sensitivity of P. larvae
strains isolated from worker bees imported from Argentina
respect to other P. larvae strains obtained from AFB outbreaks
from North and Central Italy.
INTRODUZIONE
L’importazione di api vive da Paesi terzi nell’EU è disciplinata
dal Regolamento (UE) N. 206/2010.
I controlli ufficiali previsti all’atto dell’importazione sono
finalizzati soprattutto alla profilassi dell’ aethiniosi e della
tropilaelapsosi, patologie esotiche a rischio di introduzione nel
territorio comunitario.
Il principale tramite per l’introduzione nell’EU di queste
patologie, è il commercio di api regine dai Paesi terzi.
Questo commercio è oggi molto sviluppato e riguarda in
particolare l’importazione di api regine dall’Argentina. Negli
ultimi 7 anni sono state importate in Italia da tale Nazione circa
9.000 api regine.
Gli accertamenti necessari per individuare l’eventuale presenza
di Aethina tumida (comprese le sue uova e le sue larve) e
dell’acaro Tropilaelaps spp. sono eseguiti dai Laboratori degli
IIZZSS individuati dal MINSAN e vengono fatti all’arrivo delle
api sul territorio nazionale analizzando sia il materiale vivo
(api regine e api accompagnatrici) che il resto del materiale di
accompagnamento (imballaggi, gabbiette, substrati impiegati
per la nutrizione e l’abbeverata delle api).
Al termine dei controlli le api accompagnatrici vengono
sacrificate e distrutte insieme a tutto il materiale di
accompagnamento, mentre le api regine vengono trasferite in
nuove gabbiette con accompagnatrici italiane.
In Argentina
è autorizzato l’impiego dell’ossitetraciclina
per il trattamento delle forme pestose delle api ed a seguito
dell’impiego diffuso e prolungato di tale antibiotico è segnalata
da tempo la presenza di ceppi di P.larvae resistenti a questo
antibiotico (1, 2).
E’ noto anche che le api adulte possono veicolare spore di P.
larvae (5) e rappresentano buoni indicatori della presenza di
questo patogeno in un alveare o in un apiario (6).
Attraverso l’importazione di api vive esiste dunque il rischio
di introdurre ceppi di P.larvae resistenti alle tetracicline, che a
tutt’oggi non sono stati mai segnalati in Italia.
Scopo del nostro lavoro è stato quello di sottoporre le api
accompagnatrici importate dall’Argentina ad un esame
batteriologico per la ricerca di P.larvae e confrontare la
sensibilità agli antibiotici di questi ceppi con quella di altri ceppi
italiani isolati da focolai di peste americana (P.A.) diagnosticati
in Italia.
MATERIALI E METODI
Sono state esaminate 6 partite di api importate dall’Argentina
comprendenti complessivamente 4.299 api regine introdotte
in Italia attraverso l’aeroporto di Fiumicino negli anni 2012 e
2013.
Le api provenivano da due aziende argentine ubicate in Buenos
Aires (2012) e San Rafael (2012 e 2013).
Dopo i controlli finalizzati alla ricerca dei suddetti parassiti
esotici le api accompagnatrici, prima di essere distrutte, sono
state sottoposte alla ricerca di P.larvae.
Tutte le api sono state controllate esaminando pool costituiti da
100 soggetti per un totale di 109 pool con la tecnica descritta
da Lindström e Fries (6) senza eseguire la centrifugazione
dell’omogenato.
Ventotto isolati di P. larvae così ottenuti sono stati sottoposti al
saggio per la resistenza agli antibiotici.
A tali prove sono stati sottoposti anche 59 ceppi provenienti
da altrettanti focolai di P.A. diagnosticati in Regioni del centronord Italia, tra il 1994 ed il 2012. La distribuzione geografica
dei ceppi nazionali esaminati era piuttosto ampia e interessava
complessivamente 22 Province di 8 diverse Regioni.
Tutti gli isolati sono stati identificati su base morfologica e
biochimica (prova della catalasi) e confermati in PCR (3).
I ceppi sono stati poi genotipizzati mediante rep-PCR con
impiego di Enterobacterial Repetitive Intergenic Consensus
(ERIC) primers (4).
Tutti gli isolati sono stati sottoposti a saggio della sensibilità
agli antibiotici secondo la tecnica di diffusione in agar con le
modalità decritte nel documento M31-A3 del Clinical and
Laboratory Standards Institute (CLSI), nei confronti delle
molecole tetraciclina e sulfissoxazolo. I risultati ottenuti sono
stati interpretati secondo le tabelle CLSI. Per tetraciclina gli
isolati che hanno mostrato un profilo di resistenza o un alone
di inibizione inferiore a 20 mm sono stati sottoposti a saggio in
PCR per la ricerca del gene tetL (7).
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
dell’IZSLER e dell’IZSLT e isolati nell’arco di quasi un ventennio,
si sono riconfermati alle prove di identificazione come P.larvae.
Sulla base dei risultati ottenuti dalla genotipizzazione con ERIC
primers, 49 di questi ceppi appartenevano al genotipo ERIC I e
10 (tutti provenienti dal nord Italia) al genotipo ERIC II.
Tutti i ceppi sono stati testati per la resistenza agli antibiotici
(28 + 59).
Solo un ceppo di P.larvae genotipo ERIC II isolato in Emilia
Romagna nel 2012 da un focolaio di malattia ha mostrato
resistenza nei confronti di tetraciclina. Tale ceppo è stato
sottoposto a saggio in PCR con esito positivo per il gene
tetL. Per quanto riguarda il sulfixossazolo soltanto un isolato
proveniente dalla provincia di Latina ha mostrato un fenotipo
di resistenza.
Bisogna considerare che le api importate provenivano soltanto
da due aziende il che rende meno rappresentativi i dati sulla
presenza di ceppi di P.larvae resistenti alla tetraciclina nel
materiale vivo di importazione.
Tuttavia i risultati esposti mostrano, al di là del fatto che
le importazioni di api comportano comunque un rischio di
introduzione di particolari patogeni, che, a differenza di quanto
si supponeva, anche in Italia circolano ceppi di P.larvae
resistenti alla tetraciclina.
La percentuale di resistenza alla tetraciclina e al sulfixossazolo
in isolati di P.larvae del nostro Paese sembra essere piuttosto
bassa. Se da un lato si tratta di un dato non particolarmente
preoccupante dall’altro sta ad indicare che nonostante il
divieto di impiego di antibiotici nella UE per il trattamento della
Peste Americana queste molecole vengono ancora usate
per combattere la malattia. Questo uso, oltre al rischio della
presenza di residui di antibiotici nel miele, porta nel tempo allo
sviluppo di ceppi resistenti.
I risultati ottenuti inducono a monitorare con maggior frequenza
e ad approfondire ulteriormente le indagini nei confronti della
resistenza agli antibiotici negli agenti batterici patogeni delle
api al fine di conoscere meglio la situazione reale e come linea
da perseguire per una corretta interpretazione dei principi di
precauzione per la tutela del patrimonio apistico nazionale e
comunitario.
BIBLIOGRAFIA
1.Alippi A.M. (1996). Characterization of isolates of Paenibacillus
larvae with biochemical type and oxytetracycline resistance.
Rev Argent Microbiol. 28,197-203.
2.Alippi, A. M. (2000) Is Terramycin R losing its effectiveness
against AFB? The Argentinian experience. Bee Biz. 11, 2729.
3.Dobbelaere W, de Graaf DC, Peeters JE, Jacobs FJ (2001).
Development of a fast and reliable diagnostic method for
American foulbrood disease (Paenibacillus larvae subsp.
larvae) using a 16S rRNA gene based PCR. Apidologie 32,
363–370.
4.Genersch E., Forsgren E., Pentikäinen J., Ashiralieva A.,
Rauch S., S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification of
Paenibacillus larvae subsp. pulvifaciens and Paenibacillus
larvae subsp.
larvae as Paenibacillus larvae without
subspecies classification. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 56,
501- 511.
5.Hornitzky M.A.Z.e Karlovskis S. (1989). A culture technique
for the detection of Bacillus larvae in honeybees. J. Apic.
Res. 28, 118-120.
6.Lindström A., Fries I. ( 2005). Sampling of adult bees for
detection of American foulbrood (Paenibacillus larvae subsp
larvae) in honey bee (Apis mellifera) colonies. J. Apic. Res.
44, 82–86
7.Murray KD., Aronstein KA (2006). Oxytetracycline-resistance
in the honey bee pathogen Paenibacillus larvae is encoded
on novel plasmid pMA67. J. Apic. Res 45, 207-214.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Sono risultati positivi per P.larvae 47 pool di api argentine
importate su 109 esaminati. La valutazione della carica di
spore presenti nelle api accompagnatrici non era tra gli obiettivi
di questa indagine, tuttavia si rileva che nei pool positivi i valori
numerici delle spore sono sempre stati molto bassi.
Da 28 pool positivi sono stati selezionati altrettanti ceppi da
sottoporre successivamente alle prove di sensibilità agli
antibiotici.
I 59 ceppi di origine nazionale, provenienti dalle ceppoteche
132
133
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
VI.E.W. 2.0: EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI VISUALIZZAZIONE DEGLI ESITI ON-LINE
DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE
Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J., Faccenda L., Mingolla A.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche, Perugia
Key words: SIGLA, VIEW 2.0, Web Application
ABSTRACT
The new version of SIGLA 4.0 required the update of the
application Vi.E.W.. Vi.E.W., in use at the Istituto Zooprofilattico
Sperimentale dell’Umbria e delle Marche since 2006, is used
to communicate, by web, the examinations results for external
users. The application takes into account the new innovations
introduced by SIGLA 4.0, among which the most important is
the digital management of analytic report (RdP). The result of
this management is a PDF file with double digital signature.
This novelty has lead to the realization of Vi.E.W. 2.0, which
enables the users to download the required data. In order to
meet the requirements, the type of download can be massive
or timely. Vi.E.W. 2.0 includes new functions for the information
flow and this allow the Institute to attract users and establish
loyal relationships with them.
INTRODUZIONE
Dal giugno 2013 presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
dell’Umbria e delle Marche è stato attivato SIGLA 4.0, una
nuova versione del sistema informativo sanitario già in uso dal
1996. La più importante innovazione tecnologica, introdotta dal
nuovo sistema, è quella legata alla gestione digitale dei Rapporti
di Prova, prodotti in formato PDF, sui quali si appone la doppia
firma digitale dei responsabili di Accettazione e Laboratorio.
I Rapporti così costituiti sono sistematicamente (salvo i
casi in cui sia necessaria la gestione differenziata puntuale)
trasmessi, all’utenza, attraverso la Posta Elettronica Certificata.
In ottemperanza alla normativa di riferimento, i Rapporti,
sono trasmessi agli indirizzi PEC delle varie organizzazioni
riportati nell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA)
che, tipicamente, coincidono con gli indirizzi dei protocolli
centralizzati dai quali sono poi smistati agli operatori sanitari
competenti.
Attorno al nucleo applicativo, rappresentato da Sigla 4.0,
sono stati sviluppati o re ingegnerizzati moduli applicativi
in grado integrare funzionalità complementari, di migliorare
l’integrazione con altri sistemi e di incrementare il livello di
interazione dell’Istituto con il mondo esterno. In riferimento a
quest’ultimo obbiettivo, e all’impegno di rendere disponibili il
maggior numero di servizi attraverso l’uso di Internet, è stato
creato, proseguendo un’esperienza favorevole già iniziata nel
2006, un modulo specifico in grado comunicare gli esiti delle
prove analitiche attraverso Internet.
Questo modulo, denominato Vi.E.W. 2.0, si pone come
obbiettivo centrale quello di comunicare, nella maniera più
efficiente ed efficace, quindi con la massima tempestività, i
risultati analitici delle prove effettuate presso l’Istituto alla sua
utenza istituzionale ed in convenzione. Il sistema, migliorando
il livello di flessibilità della precedente versione, permette
di gestire i privilegi di accesso al dato in maniera ancora più
efficace e verticale permettendo la creazione di profili di visibilità
estremamente articolati. Obbiettivi correlati allo sviluppo di
Vi.E.W. 2.0 sono quelli che prevedono la pubblicazione di
informazioni utili nella gestione dei rapporti in convenzione e
che riportano il riepilogo delle prestazioni effettuate in base
agli accordi stipulati. In generale si tratta obbiettivi in grado di
snellire il rapporto con l’utenza esterna a tutto vantaggio dei
relativi processi di gestione interna.
MATERIALI E METODI
Dal punto di vista architetturale la logica alla base della
realizzazione di Vi.E.W. 2.0 è quella del tradizionale modello
a tre livelli, nel quale si utilizzano, quando opportuno, risorse
disponibili nel mondo dell’open source. In particolare la struttura
utilizzata è la seguente:
Database Layer basato su database Oracle Database
-
Server Standard Edition (2).
-
Business Layer basato su tecnologia Apache HTTP
Server.
-
Layout Layer, realizzato tramite pagine web realizzate
in tecnologia open source HTML/PHP (1).
Per la comunicazione dello strato PHP con quello Oracle
Database Server è stata utilizzata la tecnologia OCI - Oracle
Call Interface. Per l’implementazione si è fatto riferimento
a modelli di virtualizzazione in grado di garantire maggiore
efficienza generale e flessibilità nella gestione dei guasti.
Dal punto di vista dello sviluppo applicativo il lavoro è stato
strutturato nei seguenti steps principali.
1 – Progettazione e realizzazione del nuovo database di
VIEW 2.0
Il sistema si basa, come nella precedente esperienza,
sull’utilizzo di un database alimentato, in modalità asincrona,
da quello, distinto e di natura transazionale, di SIGLA 4.0. Il
processo di alimentazione allinea i due database attraverso
processi schedulati che operano ogni 15-20 minuti. La
progettazione del database di Vi.E.W. 2.0, insegue l’obbiettivo
di un efficace e funzionale presentazione del dato, attraverso
una razionale configurazione dell’informazione, in grado di
favorire il più rapido accesso alle informazioni. La progettazione
ha consentito, studiando le varie tipologie di utilizzatori che nel
corso degli anni si sono definite, di creare una struttura dati
che permettesse di profilare al meglio l’accesso, garantendo
differenti tipologia di visibilità del dato da parte dell’utente.
2 - Analisi delle possibili innovazioni funzionali
A fronte delle modalità di visualizzazione dei risultati analitici, già
presenti sul precedente sistema, è stata introdotta una nuova
funzionalità di download, del Rapporto di Prova (RdP) ufficiale,
sotto forma di file PDF firmato. Questa possibilità permette, ai
vari responsabili delle strutture istituzionali, di disporre del dato
ufficiale, in anticipo rispetto ai tempi necessari allo smistamento
da parte delle loro organizzazioni. Più in generale permette,
in qualunque momento, di accedere al Rapporto di Prova
ufficiale. Per incrementare il livello di trasparenza dell’azione,
nei confronti gli utenti in convenzione, si è ritenuto utile
introdurre una funzionalità che permetta, a questa tipologia di
134
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
utenti, di monitorare l’andamento delle attività svolte ed i relativi
costi. Questo allo scopo di favorire la razionale gestione dei
piani di attività da parte degli utenti paganti. Si è ritenuto utile
introdurre inoltre sistemi di comunicazione, diretti all’utenza
convenzionata, che consentissero di veicolare, in maniera
puntuale, informazioni circa lo stato di validità del proprio
accordo e l’assolvimento degli obblighi di pagamento. Questo
allo scopo di supportare l’Istituto nella gestione degli aspetti
amministrativi relativi all’utenza esterna.
3 - Razionalizzazione dei processi di gestione
La necessità di tenere alto il livello di tempestività nella
pubblicazione dell’informazione, ha richiesto la creazione di
due processi asincroni di trasposizione del dato da SIGLA 4.0
a Vi.E.W. 2.0. Il primo permette di anticipare il risultato analitico
al momento della creazione di un Rapporto di Prova, il secondo
di rendere disponibili i documenti in formato PDF nel momento
in cui viene apposta la doppia firma digitale.
4 - Realizzazione dell’interfaccia applicativa
La radicale variazione del contesto, rispetto alla precedente
versione, ha richiesto la totale riscrittura della componente di
presentazione dei dati, attraverso la quale si sono introdotte le
nuove funzionalità (Fig.1).
5 – Test funzionali ed ulteriori implementazioni
La fase di test dell’applicazione, avente come riferimento
un target ristretto e rappresentativo dell’utenza esterna, ha
evidenziato l’opportunità di introdurre ulteriori funzionalità
di supporto, sia per gli utenti in convenzione che per quelli
istituzionali. Tra queste, significativa è la funzione che
permette il download massivo di Rapporti di Prova, di
fondamentale importanza per tutti gli utenti che conferiscono,
con particolare frequenza, campioni all’l’Istituto. In questo
caso, alla possibilità di scaricare singoli Rapporti di Prova, è
stata affiancata la possibilità di poter scaricare file compressi
che contengono insiemi di Rapporti di un gruppo di richieste.
Questa introduzione, di particolare interesse, risulta spendibile
nel processo di rinnovo e di stipula di nuove convenzioni con
gli utenti.
un ulteriore, ed efficace, veicolo informativo nel processo di
comunicazione dell’Istituto con la sua utenza.
L’accesso flessibile al dato da parte dell’utente. Una rilevazione
ha permesso di verificare che, statisticamente, il 40% dei
circa 2.400 accessi mensili sono effettuati, sia per gli utenti
istituzionali che per quelli privati, nel fine settimana o fuori dalle
ore d’apertura dell’Istituto.
In generale il nuovo sistema, rispetto a quello da cui discende,
estendendo il perimetro dei servizi offerti, permette di rafforzare
l’immagine dell’Istituto all’esterno. Questo risultato contribuisce
favorevolmente al processo di attrazione dell’utenza privata
in grado di collaborare, con l’Istituto, nell’ambito delle attività
in convenzione. In questo senso Vi.E.W. 2.0 assume un ruolo
centrale nel processo di stipula, e di rinnovo, degli accordi di
convenzione.
BIBLIOGRAFIA
MacIntyre P., Danchilla B., Gogala M., 2012, PHP
1.
per professionisti
Fernandez I., 2009, Beginning Oracle Database
2.
11g Administration - From Novice to Professional
Fig.1: Maschera di dettaglio di Vi.E.W.2.0
RISULTATI E CONCLUSIONI
Dopo una breve fase di test, Vi.E.W. 2.0 è entrato in produzione
il 17 giugno di quest’anno. Tra i principali risultati, riscontrati in
questo breve periodo di attività, si riportano di seguito quelli
ritenuti di maggiore interesse.
L’introduzione della funzionalità di download dei Rapporti di
Prova ha mostrato di incrementare l’efficacia del servizio offerto
all’utenza esterna che, oltre all’anticipazione del risultato,
come già avveniva con il precedente sistema, può scaricare il
documento avente valore legale.
La possibilità di poter rendere maggiormente personalizzabile
il profilo di un utente, ha permesso di affrontare casi particolari
come quelli che prevedono l’accesso, da parte di utenze
istituzionali, all’esito di prove su sottoinsiemi di campionamenti
effettuati dalle utenze private.
La possibilità di consentire l’accesso al risultato, della singola
richiesta, da parte di utenti privati non convenzionati che hanno
effettuato il pagamento anticipato della loro prestazione. Questi
utenti possono effettuare l’accesso attraverso un account
temporaneo ricevuto al momento dell’accettazione dei campioni.
Questa opzione richiede una variazione organizzativa prima di
essere posta in produzione.
La possibilità di veicolare informazioni di vario tipo ai suoi
utilizzatori, ad es. scadenza delle convenzioni, sospensione
o riattivazione dell’esecuzione di una prova, introduzione di
nuove prove, variazione del listino, ecc. Questo rappresenta
135
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
DESK: REINGEGNERIZZAZIONE DEI SISTEMI DI SUPPORTO E DI CONTROLLO
NELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE
Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J., Faccenda L., Mingolla A.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche, Perugia
Key words: SIGLA, DESK, Process Control
ABSTRACT
Desk born at the IZS Umbria e Marche in order to facilitate
and monitor the critical processes related to the conduct of
laboratory tests and to support those activities focused on
ensuring the standards codified in the Charter of Services.
With the introduction of SIGLA 4, Desk replaces a series of
processes which used to communicate by e-mail and were
previously used to monitor events in the activities of the
laboratory. The object is the lifetime of the sample, from
reception to reporting. The receivers of the information are:
managers and technicians Laboratory and Acceptance, the
operators of Quality Assurance and the level directional. The
information available for the users are the real-time picture of
the situation of SIGLA 4. Desk can be used by any institute
using SIGLA 4, and gives its results in Excel and graphic
format. It was born as an expression of self-development of
IZSUM additional functions to SIGLA 4 which are of particular
interest and usefulness.
INTRODUZIONE
La qualità dei servizi offerti da un Ente Pubblico si misura
in relazione alla capacità che lo stesso ha di mantenere,
nel tempo, il ‘patto’ con gli utenti. Per fare questo l’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ha
fissato come obiettivo quello di rispettare gli standard codificati
nella Carta dei Servizi.
Per favorire il raggiungimento di questo obbiettivo, dal 2003,
l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle
Marche ha attivato una serie di sistemi di controllo dei processi
correlati alle attività analitiche dei vari laboratori. I processi,
soprattutto nelle varie fasi critiche, sono stati sottoposti a
controllo puntuale, da sistemi in grado di segnalare, attraverso
messaggi di posta elettronica, le varie anomalie permettendo
di intraprendere le necessarie azioni per tenere alto il livello di
efficienza ed efficacia delle prestazioni erogate.
L’entrata in produzione di una nuova versione del sistema
informativo sanitario Sigla 4.0, ha richiesto l’aggiornamento
delle componenti che costituivano questo modulo di controllo,
complementare al sistema cui è connesso. Considerando
l’esperienza maturata, valutando i punti di forza e quelli
critici, è stato progettato un nuovo sistema, denominato
Desk. Il software ha l’obiettivo di incrementare il supporto
all’utenza interna, operante a vario titolo nel ciclo di vita del
campione, dall’accettazione alla refertazione. I destinatari
delle informazioni del nuovo sistema sono: responsabili e
tecnici di Laboratorio ed Accettazione, operatori dell’Area di
Assicurazione della Qualità ed il livello Direzionale.
La caratteristica sostanziale del nuovo software è quella di
consentire l’accesso alle informazioni, assemblando dati in
tempo reale e garantendo un’immagine del dato critico al
momento in cui si richiede l’informazione. Rappresenta una
console proattiva che permette di valutare in tempo reale le
criticità nelle attività di propria competenza.
MATERIALI E METODI
Dal punto di vista architetturale la logica alla base della
realizzazione di Desk, è quella del tradizionale modello a tre
livelli, nel quale sono state utilizzate, quando opportuno, risorse
disponibili nel mondo dell’open source. In particolare la struttura
utilizzata è la seguente:
- Database Layer rappresentato dal database di Sigla 4.0
basato su Oracle Database Server Standard Edition (2).
- Business Layer basato su tecnologia Apache HTTP Server.
- Layout Layer, realizzato tramite pagine web sviluppate con
tecnologia open source HTML/PHP (1).
Per la comunicazione dello strato PHP con quello Oracle
Database Server, si è utilizzata la tecnologia OCI - Oracle Call
Interface. L’ambiente di sviluppo PHP è stato integrato con
alcune librerie utili alla presentazione dei risultati in formato
grafico e in formato esportabile Excel. Per l’implementazione
si è fatto riferimento a modelli di virtualizzazione in grado di
garantire maggiore efficienza generale e flessibilità nella
gestione dei guasti.
Dal punto di vista dello sviluppo applicativo il lavoro è stato
strutturato nei seguenti steps principali.
1 - Analisi degli strumenti già utilizzati e dei risultati ottenuti
La prima attività ha riguardato la ricognizione e l’analisi dei flussi
dati prodotti dai sistemi precedentemente in uso, individuando
una rappresentazione significativa delle informazioni di
interesse. Prima dell’avvio di Desk il controllo e il supporto
alle attività avvenivano mediante procedure schedulate
che inviavano automaticamente dati agli utenti interessati.
L’aspetto critico di questa logica risiedeva nel fatto che gli utenti
non potevano né disporre di dati aggiornati in tempo reale, né
esattamente quando ne avevano necessità.
2- Analisi delle esigenze
Come integrazione, ed a completamento dell’analisi effettuata
al punto precedente, si è attivata la fase di verifica interna
in cui sono stati intervistati tutti i soggetti possessori di
conoscenza. Sono stati coinvolti responsabili operanti negli
ambiti di Accettazione, Laboratorio ed Assicurazione di Qualità.
In questa fase si è fatto particolare riferimento ai soggetti che
si erano mostrati maggiormente critici nell’uso degli strumenti
precedentemente utilizzati.
3 - Progettazione degli oggetti del database
Il database di riferimento è lo stesso Oracle Database Server di
Sigla 4.0 in cui è stato creato uno specifico schema contenente
gli oggetti utili a supportare le necessità di informazioni
dell’applicazione Desk. Un aspetto critico nello sviluppo è stato
quello di consentire, in tutti i casi, la disponibilità di un dato
significativo in tempo reale. A questo scopo sono state create
le strutture dati più adatte a soddisfare le specifiche esigenze
testando, in alcuni casi, le performance che varie soluzioni
tecniche di Oracle Server potevano garantire.
4- Sviluppo dell’applicativo
L’applicazione è stata realizzata utilizzando prevalentemente
136
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
le tecnologie del mondo dell’open - source. Questa scelta,
è stata effettuata al fine di garantire un risparmio sui costi di
licenza che, spesso, rappresentano una delle voci principali del
costo totale di un’applicazione. Questa soluzione garantisce
l’accesso a tecnologie che prevedono lo scambio continuo
di informazioni e feedback nella comunità degli sviluppatori.
Queste interazioni sono in grado di supportare la crescita e
la formazione generale riducendo la necessità di interventi
formativi specifici. Inoltre la scelta dell’ambiente open - source
è stata effettuata per capitalizzare il continuo miglioramento e
la continua correzione degli errori degli strumenti utilizzati.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Desk analizza e sintetizza, in formato rappresentativo, i dati
riguardanti il processo analitico che regola il ciclo di vita del
campione, dall’accettazione alla refertazione delle prove.
L’autenticazione all’applicazione avviene, per semplicità di
utilizzo, attraverso le stesse credenziali per l’accesso a Sigla
4.0. Il sistema permette una profilazione utente in grado
di consentire l’accesso sia sulla base del ruolo ricoperto
nell’Organizzazione, che dall’unità operativa di riferimento.
Si riportano di seguito le funzioni di Desk in relazione alla
tipologia di unità operativa di appartenenza.
Accettazione
 Campioni accettati e non presi in carico
 Campioni accettati e non conclusi
 Rapporti generati e non emessi
 Dati riepilogativi Sezione Territoriale
 Avanzamento Richiesta
 Elenco stato richieste
 Utenti convenzionati
 Avanzamento esami esterni all’Istituto
 Elenco esami Istituto
 Esportazione Rapporti di Prova su VIEW 2.0
Laboratorio e Area Tematica
 Richieste da chiudere (Fig.1)
 Esami da chiudere
 Tempi Triage
 Trend Triage
 Riepilogo esami svolti
 Dettaglio esami svolti
 Trend esami svolti
 Elenco esami Istituto
Qualità e Controllo di Processo
 Campioni accettati e non presi in carico
 Campioni accettati e non conclusi
 Rapporti di prova accreditati
 Esami da chiudere
 Tempi Triage
 Trend Triage
 Elenco esami Istituto
Direzione
 Trend esami per struttura
 Trend singolo esame
 Dati riepilogativi Sezione
 Utenti convenzionati
 Tempi Triage
 Trend Triage
 Elenco esami Istituto
Amministrazione
 Redazione
 Gestione Utenti Desk
 Gestione Profili
 Gestione Utenti VIEW 2.0
Tutti i dati visualizzati dall’applicazione sono esportabili in
formato Excel. In alcuni casi, per facilitare l’interpretazione da
parte dell’utente, i dati sono presentati anche in formato grafico.
L’applicazione Desk rappresenta, dal punto di vista pratico, uno
strumento proattivo utile ad individuare le criticità nella gestione
del processo analitico. I suoi punti di forza sono i seguenti:
 L’applicazione, di tipo web, è collocabile nella Intranet di
ogni Istituto che utilizza Sigla 4.0 senza particolari necessità di
adattamento o configurazione client.
 Le informazioni, prelevate direttamente dal database di
Sigla 4.0, sono l’immagine, in tempo reale, della situazione
analitica.
 Permette vari filtri ed opzioni di ricerca, per favorire
l’interpretazione e l’uso dei risultati da parte dell’utente.
 Permette di produrre reportistica in formato Excel ed in
formato grafico.
 E’ uno strumento, creato sulla base delle esigenze
riscontrate nell’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle
Marche, che integra le funzionalità presenti in Sigla 4.0
costituendo un ambito di sviluppo autonomo e dinamico.
BIBLIOGRAFIA
1. MacIntyre P., Danchilla B., Gogala M., 2012, PHP
per professionisti
2. Fernandez I., 2009, Beginning Oracle Database
11g Administration - From Novice to Professional
Fig. 1: Funzione Richieste da chiudere
137
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
STUDIO DELL’INTERAZIONE TRA NANOPARTICELLE METALLICHE E CEPPI DI SALMONELLA
ENTERICA ATTRAVERSO LA MICROSCOPIA ELETTRONICA A TRASMISSIONE
1
Berton V., 1Montesi F., 2Losasso C., 2Belluco S., 2Cibin V., 1Terregino C., 2Ricci A.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
1
SCS6 Virologia Speciale e Sperimentazione,
2
SCS1 Analisi del Rischio e Sorveglianza in Sanità Pubblica, Legnaro (PD)
Key words: Transmission Electron Microscopy, Silver Nanoparticles, Salmonella
SUMMARY
In the last few decades silver nanoparticles (AgNPs) have
been increasingly employed due to their antimicrobial activity.
The objective of the present investigation was to evaluate
morphological characteristics of AgNPs assemblies with
two Salmonella strains (Enteritidis and Senftenberg), which
display different sensitivity to silver, with S. Senftenberg
exhibiting a resistant phenotype. The modification of AgNPs
state of aggregation is a great concern for studies dealing with
nanotechnology. In this context the use of Trasmission Electron
Microscopy (TEM) could represent a valid tool. Visualization
of morphological interaction between AgNPs and Salmonella
strains showed an immediate bond between AgNPs and
bacterial cells. This interaction resulted to be time limited in the
case of S. Senftenberg. Results showed that the antimicrobial
effect did not rely on the cellular intake of AgNPs. This suggests
the presence of an inhibitory mechanism based on AgNPs
adhesion to the bacterial wall.
INTRODUZIONE
Le proprietà antimicrobiche di alcuni ioni metallici, in particolare
dell’Argento, sono estensivamente documentate dalla
letteratura scientifica. Il meccanismo che sottende alla tossicità
da essi esercitata è stato dimostrato essere aspecifico e basato
prevalentemente sulla perossidazione lipidica delle membrane
cellulari con conseguente danno ossidativo (1).
Il limite di utilizzo degli agenti antimicrobici a base di Ag,
quale per esempio il nitrato di argento, deriva dalla facilità
di inattivazione in soluzione degli ioni Ag derivati, per
complessazione e successiva precipitazione.
L’Ag zerovalente è ritenuto essere una valida alternativa ai
composti ionici contenenti Ag solo se impiegato sottoforma
nanoparticellare (AgNPs). Questo è dovuto al fatto che le NPs,
a causa dell’elevato rapporto superficie-volume, sono molto
reattive e dotate di elevata attività biologica e potere catalitico,
se confrontate con particelle della stessa specie chimica aventi
dimensioni maggiori (1).
Molti studi dimostrano che il comportamento delle nanoparticelle
può essere influenzato da numerosi fattori che agiscono
modificando lo stato di aggregazione delle nanoparticelle e la
loro interazione con la materia organica presente nell’ambiente.
Questo può condizionare fortemente la riproducibilità dei risultati
degli studi sperimentali e rende necessaria la valutazione del
loro stato fisico lungo l’intero processo sperimentale (2).
La microscopia elettronica a trasmissione (TEM) è una
delle metodiche d’elezione in fase di caratterizzazione delle
nanoparticelle e può essere un valido strumento per predirne il
comportamento. Inoltre, essa consente di valutare la dinamica
dell’interazione tra nanoparticelle e microrganismi e di studiare
i possibili meccanismi d’azione che conferiscono loro potere
battericida (3).
Questo studio si propone di testare l’efficacia della microscopia
elettronica a trasmissione nella valutazione della dinamica di
interazione tra nanoparticelle di argento e due diversi ceppi
di Salmonella enterica, S. Enteritidis e S. Senftenberg, che
presentano una diversa sensibilità all’attività antibatterica
delle AgNPs. In particolare il ceppo di S. Senftenberg utilizzato
è stato scelto per la sua elevata resistenza all’argento,
dimostrata sia attraverso test fenotipici sia attraverso
screening genotipico per la presenza di determinanti di
resistenza all’argento. Al contrario il ceppo di S. Enteritidis ha
dimostrato elevata sensibilità alle AgNPs nei test di inibizione
e risulta privo di geni che conferiscono la resistenza verso
questo metallo.
MATERIALI E METODI
Le AgNPs (NM300K) sono state acquistate presso la LGC
Standards (US). Come controllo è stato utilizzato il Nitrato di
Argento (AgNO3) (Sigma-Aldrich US). La forma e le dimensioni
delle AgNPs sono state analizzate al TEM (Philips 208S)
depositando 50µl di campione per 10 minuti su una griglia di
200 mesh formvar carbon film.
La medesima preparazione è stata utilizzata per studiare a
4 e 24 ore il comportamento delle nanoparticelle a diverse
concentrazioni (50, 100, 200 mg/L) in terreno di coltura
Mueller Hinton Broth (MHB).
I ceppi di Salmonella Enteritidis e Senftenberg sono stati
selezionati dalla collezione del laboratorio di referenza OIE
per la Salmonellosi.
Le colture microbiche sono state mantenute in Agar Tryptone
(TA), trasferite in 15ml di MHB e incubate a 37°C per 16 ore,
dopo la conferma sierotipica.
In seguito le colture di Salmonella, coltivate in MHB fino a
raggiungere l’OD600 = 0,3, sono state incubate in agitazione
ad una temperatura di 37°C in presenza di AgNPs (50 mg/L).
Al TEM è stata studiata la cinetica di interazione tra i sierotipi
di Salmonella e le nanoparticelle a 5, 10, 15, 30 minuti, 1,
2, e 4 ore. I campioni sono stati mantenuti a 37°C posti
orizzontalmente in una piattaforma oscillante a 225 rpm.
Negli intervalli di tempo indicati 50µl di coltura microbica sono
stati prelevati e depositati su una griglia di 200 mesh formvar
carbon film. Dopo 10 minuti il campione è stato colorato con
sodiofosfotungstato pH 6,8 e osservato.
Successivamente, per monitorare l’eventuale ingresso delle
nanoparticelle all’interno dell’ambiente cellulare, è stata
esaminata la cinetica dell’interazione nel tempo (a 2, 4, 6 e
24 ore). In questo caso negli intervalli di tempo indicati, 300
µl di coltura batterica sono stati prelevati e centrifugati a 4000
rpm per 5 minuti in Eppendorf MiniSpin, e risospesi in 300µl
di acqua mili-Q (Millipore Corp.). Questa procedura è stata
ripetuta per due volte. La preparazione dei campioni per
l’osservazione è avvenuta come precedentemente descritto.
138
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
RISULTATI E CONCLUSIONI
L’osservazione al TEM delle AgNPs ha evidenziato la presenza
di elementi di forma sferoidale con dimensioni comprese tra 15
e 20 nm, in accordo con quanto riportato nella scheda tecnica
del prodotto. Le AgNPs osservate si presentano sia in forma
aggregata che libera, con prevalenza di quest’ultima (Figura 1).
L’osservazione dopo 4 ore d’incubazione delle AgNPs risospese
nel terreno di coltura batterico MHB, a concentrazioni di 50
e 100 mg/L, ha mostrato la conservazione della dispersione
dimensionale iniziale. La medesima osservazione non è stata
confermata dopo 24 ore d’incubazione a causa dell’aumento
della formazione di aggregati di nanoparticelle.
Aumentando la concentrazione delle AgNPs a 200 mg/L gli
aggregati sono stati osservati già dopo 4 ore d’ incubazione
(Figura 2).
Figura 1: Stato di dispersione delle AgNPs (71 kx).
Figura 2: Stato di aggregazione delle AgNPs 200 mg/L dopo 4
ore d’incubazione (71 kx).
Dall’analisi della cinetica di interazione tra i due ceppi di
Salmonella e le AgNPs emerge che, in entrambi i sierotipi, il
legame avviene nei primi 5 minuti, come illustrato in figura 3a e
3b, dove si evidenzia la presenza di AgNPs adese alla parete
batterica. Questo risultato potrebbe spiegare la rapida inibizione
(nei primi 30 minuti di incubazione) della crescita batterica
riscontrata nei saggi di attività antimicrobica precedentemente
effettuati (dati non pubblicati).
parete cellulare del sierotipo Enteritidis rispetto al sierotipo
Senftenberg. Questo diverso grado di interazione potrebbe
spiegare la diversa sensibilità dei due ceppi di Salmonella nei
confronti delle AgNPs già evidenziata dai saggi fenotipici di
resistenza. Inoltre, il legame tra le nanoparticelle e la parete
batterica risulta essere estremamente stabile dal momento
che continua ad essere osservabile durante l’intera cinetica
dell’esperimento. L’interazione tra nanoparticelle e parete
batterica continua ad essere evidente anche dopo ripetuti
cicli di centrifugazione e risospensione, effettuati al fine di
eliminare le nanoparticelle non legate o legate debolmente
ai microrganismi, confermandone l’elevata stabilità. Questo
effetto è costante nel tempo ed è visibile fino a 24 ore nel caso
di S. Enteritidis (Fig. 5a), mentre si esaurisce nelle prime 6
ore di incubazione nel caso di S. Senftenberg. In quest’ultimo
caso, dopo 6 ore, è possibile osservare la presenza di cellule
batteriche non legate a nanoparticelle e in fase di duplicazione
(Fig. 5b). Quest’ultimo risultato è coerente con i dati ottenuti
dai saggi di tossicità in vitro, che dimostrano la presenza di un
meccanismo specifico di resistenza nel sierotipo Senftenberg,
che è caratterizzato da una maggior capacità di moltiplicazione
cellulare in presenza di argento.
Dall’analisi delle figure 5a e 5b, inoltre, non si evidenzia la
presenza di particelle elettrondense all’interno delle cellule
batteriche.
Figura 4: Interazione tra AgNPs e sierotipo Enteritidis (11 kx)
(a) e sierotipo Senftenberg (8.9 kx)(b).
a
b
Figura 5: Interazione tra AgNPs e S. Enteritidis dopo 24 ore di
incubazione (7.1 kx) (a) e Crescita batterica di S. Senftenberg
dopo 24 ore di incubazione (4.4 kx) (b).
Figura 3: Interazione tra AgNPs e S. Enteritidis (11 kx)(a) e S.
Senftenberg dopo 5 minuti (8.9 kx) (b).
a
a
b
Dall’osservazione delle immagini riportate in figura 4a e 4b
si riscontra che le AgNPs aderiscono in misura maggiore alla
b
Dai risultati ottenuti si può concludere che le AgNPs
interagiscono in modo rapido e stabile con entrambi i ceppi di
Salmonella considerati. Questa iinterazione è maggiormente
evidente e duratura nel caso di S. Enteritidis, che risulta essere
maggiormente sensibile all’azione antimicrobica esercitata
dalle AgNPs.
L’assenza di nanoparticelle all’interno delle cellule batteriche
suggerisce un meccanismo inibitorio basato sull’adesione
delle stesse alla parete batterica con un danno ossidativo
probabilmente mediato dalla liberazione di ioni argento in
139
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
prossimità delle strutture cellulari.
La minore interazione tra AgNPs e S. Senftenberg potrebbe
spiegare il fenotipo resistente agli ioni metallici precedentemente
riscontrato.
Questo studio conferma l’utilità della Microscopia Elettronica
a Trasmissione nell’analisi della cinetica delle interazioni tra
microrganismi e nanoparticelle.
Ulteriori studi sono necessari per verificare la presenza di un
eventuale danno ultrastrutturale alla parete batterica causato
dall’interzione con le AgNPs.
Bibliografia
1) Rai M., Yadav A., Gade A. (2009), Silver nanoparticles
as a new generation of antimicrobials, Biotechnol. Adv.,
27: 76-83
2) Sanberg M., Orndorff P., Monteiro-Riviere N. (2011),
Antibacterial efficacy of silver nanoparticles of different
sizes surface, conditions and synthesis methods,
Nanotoxicology,, 5: 244-253.
3) Sawosz E., Chwalibog A., Mitura K., Mitura S., Szeliga
J., Niemiec T., Rupiewicz M., Grodzik M., Sokolowska
A. (2011), Visualization of morphological interaction
of diamond and silver nanoparticles with Salmonella
Enteritidis and Listeria Monocytogenes, J. Nanosci.
Nanotechnol., 11: 1-7.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CONTENUTO DELLE VARIE FRAZIONI PROTEICHE NEL SIERO
DI PECORE DI DIFFERENTI ETA’
Bonelli P., Serra S., Re R., Pilo G.A., Pais L., Fresi S., Nicolussi P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”
Key words: elettroforesi, intervalli di riferimento, pecora.
Abstract
Serum protein electrophoresis is a common proven technique
in veterinary laboratory medicine. Changes in concentrations
of albumin and α, ß and γ globulins can provide useful
diagnostic and prognostic information. The purpose of this
study was to compare serum protein concentrations of sheep
of different ages and to establish reference intervals for ovine
species. Serum protein electrophoresis was performed, using
an automated agarose gel electrophoresis system, on blood
samples collected from lambs (n=20), 1-years old (n=20) and
3-years old (n=70) ewes. Mann-Whitney test showed agerelated differences especially evident in lambs compared
to adult animals. Reference intervals were calculated,
excluding data referred to lambs, for total protein (6.5-8.8
g/dL), albumin (42.5-57.1 g/dL), α1 globulins (3.2-5.5%), α2
globulins (7.5-14%), ß globulins (4-9.1%) and γ globulins
(19.3-37.2%). Establishment of dedicated reference values
for lambs is suggested.
Introduzione
L’elettroforesi delle proteine sieriche è un test di laboratorio
consolidato che permette di separare le proteine del siero
in base alla loro dimensione e carica elettrica quando
sottoposte all’azione di un campo elettrico. La carica netta
definisce le caratteristiche della migrazione elettroforetica di
ciascuna specie proteica ad un determinato valore di pH.
L’elettroforesi effettuata su gel di agarosio a pH alcalino
permette di separare le proteine del siero in 5 bande
principali: l’albumina e quattro globuline denominate α1,
α2, β e γ. L’albumina è un’importante proteina di trasporto
che costituisce il 35-50% delle proteine sieriche totali negli
animali (1) ed ha un ruolo fondamentale nella regolazione
della pressione oncotica. Le α globuline includono alcune
proteine della fase acuta (ceruloplasmina, aptoglobina,
α-2 macroglobulina); le β globuline comprendono proteine
della fase acuta, la transferrina, alcune lipoproteine nonchè
proteine del complemento; mentre le γ globuline sono
costituite essenzialmente da IgA, IgM, IgE, e IgG, anche se
alcune immunoglobuline possono migrare nella frazione β.
Il contenuto delle varie frazioni proteiche può modificarsi in
base a vari fattori quali l’età, lo stato fisiologico, nutrizionale
e sanitario. Le variazioni qualitative e quantitative forniscono
informazioni che costituiscono un utile supporto nella
diagnosi di laboratorio di molte patologie.
Il presente lavoro si poneva l’obiettivo di comparare le
concentrazioni delle frazioni proteiche del siero ovino in
animali di differente età. Inoltre si sono voluti definire gli
intervalli di riferimento della specie ovina indispensabili per
una valutazione clinica dell’esame di laboratorio.
Materiali e metodi
Animali
La prova è stata condotta su un gregge di ovini di razza
sarda di differenti età le cui ottimali condizioni sanitarie
140
erano stato confermate attraverso visite cliniche ed esami
di laboratorio (esami biochimici, emocromo). E’ stato quindi
selezionato un gruppo sperimentale costituito da agnelli di
circa 3 mesi (n=20), pecore primipare di circa 1 anno (n=20),
pecore pluripare adulte di circa 3 anni di età (n=100).
Campionamento ed esami di laboratorio
I campioni di sangue sono stati raccolti in provette senza
anticoagulante e il siero separato tramite centrifugazione a
1600g per 7 minuti a 16°C. La concentrazione delle proteine
sieriche è stata determinata mediante un adattamento del
metodo del biureto (2) utilizzando un analizzatore automatico
(Dimension RxL, Siemens). La separazione elettroforetica
delle proteine sieriche è stata effettuata su gel di agarosio
mediante l’impiego di un sistema automatico (G26, Interlab)
secondo le procedure descritte dal produttore. In seguito alla
lettura densitometrica, il software gestionale dello strumento
(Elfolab, Interlab) permetteva l’identifcazione delle diverse
frazioni proteiche, la loro verifica da parte dell’operatore e la
costruzione del grafico delle concentrazioni relative (Fig.1).
Le elaborazioni statistiche sono state effettuate con il software
Minitab (Minitab inc.). I dati delle concentrazioni delle frazioni
proteiche sono stati esaminati con il test di Anderson-Darling
per la valutazione della normalità della distribuzione dei
dati. Eventuali differenze significative riscontrabili tra i dati
relativi alle diverse età degli ovini esaminati sono state
evidenziate tramite il test non parametrico di Mann-Whitney.
Gli intervalli di riferimento sono stati calcolati secondo le
raccomandazione dell’International Federation of Clinical
Chemistry (IFCC) (3).
Risultati e conclusioni
In tabella 1 sono riportati i contenuti delle proteine sieriche
delle pecore di differenti età. I risultati mostrano come
esistano differenze significative nei gruppi esaminati ed in
particolar modo negli agnelli rispetto alle pecore primipare
e pluripare. I valori degli agnelli sono stati, di conseguenza,
esclusi per la costruzione degli intervalli di riferimento. I dati
relativi alle concentrazioni delle proteine totali e delle varie
frazioni proteiche seguono una distribuzione non normale,
come risulta dal test di Anderson-Darling. Per tale motivo la
costruzione degli intervalli di riferimento della specie ovina
, eseguita su 120 animali adulti (età compresa tra 1 e 3
anni), è stata effettuata tramite il calcolo del 2,75° e 97,5°
percentile (Tabella 2).
La disponibilità di intervalli di riferimento speciespecifici rappresenta un presupposto indispensabile
per l’interpretazione del dato di laboratorio, garantendo
l’attribuzione di un preciso significato clinico ai valori
osservati. A tal fine si rende necessario l’approntamento di
intervalli di riferimento validi esclusivamente per gli agnelli.
141
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Fiura.1. Grafico esemplificativo di un esame elettroforetico delle proteine sieriche ovine
INDAGINI SULLA PRESENZA DI Escherichia coli VEROCITOTOSSICI (VTEC) IN
ALLEVAMENTI DI BOVINI DA LATTE DEL LODIGIANO
Borella L.1, Bianchini V.1, Lentini L.1, Sabatucci G.2, Bertasi B.2, Finazzi G.3, Luini M.1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Lodi
Istituto
Zooprofilattico
Sperimentale
Lombardiacoli
e dell’Emilia
Romagna, Reparto
Tecnologie
Acidi Nucleici Applicate
agli
INDAGINI SULLA PRESENZA
DIdella
Escherichia
VEROCITOTOSSICI
(VTEC)
IN ALLEVAMENTI
DI BOVINI
Alimenti, Brescia
DA LATTE DEL LODIGIANO
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Microbiologia, Brescia
1
2
1
1
1
2
2
3
Borella L. , Bianchini V. , Lentini L. , Sabatucci G. , Bertasi B. , Finazzi G. , Luini M.
Key words: VTEC, calves, dairy herds
1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Lodi
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologie Acidi Nucleici Applicate agli Alimenti, Brescia
azienda,
suddivisi
in duedi campionamenti).
63 campioni sono
SUMMARY 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia
Romagna,
Reparto
Microbiologia, Brescia
2
Tabella 1. Concentrazioni delle proteine totali e delle varie frazioni proteiche in pecore di differenti età. A lettere diverse
corrispondono differenze significative (P≤0.05)
3 Mesi
Albumina (%)
α1-globuline (%)
α2-globuline (%)
β-globuline (%)
γ-globuline (%)
Proteine totali g/dL
8-12 Mesi
63,49±4,21
4,24±0,59a
36 Mesi
50,16±4,26b
50,87±4,56
3,83±0,31b
a
b
13,675±1,79a
4,69±1,16a
13,89±2,86a
6,44±0,31a
4,24±0,71a
10,95±1,22b
11,21±1,99b
5,075±0,87a
5,724±1,67b
29,27±4,2b
28,75±5,75b
7,62±0,58c
8,11±0,49b
Tabella 2. Intervalli di riferimento delle varie frazioni di proteine sieriche di pecore adulte
Percentili
Frazioni proteiche
2,5
50
97,5
Albumina (%)
42,47
51,2
57,13
α1-globuline (%)
3,19
4
5,5
α2-globuline (%)
7,5
11,55
13,92
β-globuline (%)
4
5,5
9,08
γ-globuline (%)
19,28
27,8
37,22
Proteine totali (g/dl)
6,49
7,8
8,81
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laboratory medicine. 2004; 42:710-714.
142
stati raccolti nella stagione invernale (febbraio-marzo) e 53 in
Cattle are the main reservoir of human pathogenic VTEC. We
words:VTEC
VTEC, calves,
dairy
herds(giugno-agosto).
quella
estiva
considered 7 dairy farms and we detected andKey
isolated
from calves in 6 herds, observing an increased rate of fecal - 85 campioni di animali di 4 categorie d’età (15 manzette di 1-7
64 feci10dimanze
animalididi8-14
diversa
età20derivanti
da15-24
altre indagini
e
SUMMARY
mesi,
manze di
mesi e 40
carriage in warmer months (11% in winter, 36% in summer). In - mesi,
dall’attività
diagnostica
della
sezione
IZSLER
di
Lodi.
Cattle
are
the
main
reservoir
of
human
pathogenic
VTEC.
We
vacche in lattazione) provenienti da un’azienda positiva per
a positive herd we also demonstrated a higher prevalence for
considered 7 dairy farms and we detected and isolated VTEC
VTEC.batteriologici - I campioni di feci sono stati seminati
younger (0- to 24-mo old) than for older cattle (70-90 vs 20%). Our Esami
su MacConkey agar e contemporaneamente arricchiti in
from calves in 6 herds, observing an increased rate of fecal
results confirm that shedding of VTEC depends on the season - 64 feci di animali di diversa età derivanti da altre indagini e
Acqua Peptonata Tamponata (APT) in rapporto 1:10. Le
carriage in warmer months (11% in winter, 36% in summer).
dall’attività
diagnostica della sezione IZSLER di Lodi.
and is likely to be influenced by the age. Moreover, we evaluated piastre
ed i brodi sono stati incubati overnight a 37 °C.
In a positive herd we also demonstrated a higher prevalence
Esami
batteriologici
I campioni
di estratto
feci sonodastati
seminati
su
the
ability
to
detect
and
isolate
VTEC
through
the
enrichment
Esami molecolari - Il- DNA
for younger (0- to 24-mo old) than for older cattle (70-90 vs
1 ml
di brodo
è stato
e con
contemporaneamente
arricchiti
Acqua
method
proposed
by EFSA
andshedding
with a technique
on on
the MacConkey
20%).
Our
results confirm
that
of VTEC based
depends
APT e da 4 agar
colonie
morfologia tipica isolate
perinsemina
Peptonata
Tamponata (APT)
in rapporto
1:10.eae,
Le vtx1
piastre
ed i
directseason
plating of
feces.
The first
allows to detect
the
and
is likely
to method
be influenced
by thea higher
age.
diretta su MacConkey.
La presenza
dei geni
e vtx2
(5)
brodi
sono
stati
incubati
overnight
a
37
°C.
number
of
positives,
but
the
subsequent
isolation
depends
on
Moreover, we evaluated the ability to detect and isolate VTEC
è stata evidenziata tramite multiplex PCR . I geni associati ai
- Il DNA è stato
da 1 mltramite
di brodo
APT
the availability
of immunoseparation
assays.by
The
directand
plating
through
the enrichment
method proposed
EFSA
withis Esami
cinque molecolari
principali sierogruppi
sonoestratto
stati indagati
Real(4)
da 4PCR
colonie
less sensitive,
isolate more
strains.
ainstead
technique
based onbut
theallows
directtoplating
of feces.
TheThis
firstis e
Time
. con morfologia tipica isolate per semina diretta
MacConkey. La presenza
dei geni
vtx1
vtx2 è stata
method
allows
a higher
of positives,
but theto su
important
sincetoit detect
will allow
furthernumber
characterizations
relevant
Immunoseparazione
magnetica
- Ineae,
caso
di epositività
per
subsequent
isolation
depends
on theinfections.
availability of
uno dei cinque
perassociati
l’isolamento
dei
evidenziata
tramiteprincipali
multiplexsierogruppi,
PCR(5). I geni
the comparison
with strains
causing human
ai cinque
immunoseparation assays. The direct plating is instead less
ceppi il brodo
APT èsono
statostati
sottoposto
ad immunoseparazione
principali
sierogruppi
indagati tramite
Real-Time PCR(4).
(4)
sensitive,
but allows to isolate more strains. This is important
magnetica (IMS) specifica
. La presenza
geni eae,
e
INTRODUZIONE
Immunoseparazione
magnetica
- In caso dei
di positività
pervtx
uno
since
it will allow
characterizations
relevant
to sono
the
del cinque
gene associato
al sierogruppo
è stata poidei
confermata
su
Gli Escherichia
colifurther
produttori
di verocitotossine
(VTEC)
dei
principali sierogruppi,
per l’isolamento
ceppi il brodo
comparison
strains
causing
human infections.
50 colonie
tramite
caratterizzatiwith
dalla
capacità
di produrre
tossine codificate dai APT
è statoisolate
sottoposto
ad IMS.
immunoseparazione magnetica (IMS)
Definizioni
In
questo
sono
campioni
(4)
geni vtx1 e vtx2. La maggior parte dei VTEC patogeni per specifica . La presenza deireport
geni eae,
vtx econsiderati
del gene associato
al
INTRODUZIONE
positivi per VTEC quelli per i quali è stato evidenziato in PCR
l’uomo possiede anche il gene eae, codificante per un fattore di sierogruppo è stata poi confermata su 50 colonie isolate tramite
Gli Escherichia coli produttori
di verocitotossine (VTEC) sono
un segnale positivo sul brodo APT per i geni vtx1 e/o vtx2 in
adesione chiamato intimina(1). Le infezioni umane sono causate IMS.
caratterizzati dalla capacità di produrre tossine codificate dai
associazione al gene eae, indipendentemente dal
principalmente da ceppi con sierogruppo O157, seguito dai Definizioni - In questo report sono considerati campioni positivi
geni vtx1 e vtx2. La maggior parte dei
VTEC patogeni per
corrispondente risultato della semina diretta e dall’isolamento
(2)
per
perinvece,
i quali èdefiniti
stato evidenziato
PCR
sierogruppi
O26, anche
O111, ilO103
O145
. Nel 2011
Germania
l’uomo
possiede
geneeeae,
codificante
perinun
fattore
del VTEC
ceppo.quelli
Sono,
ceppi VTECin gli
E. un
colisegnale
isolati
(1)
sulpura
brodo
APT per
vtx1fattori
e/o vtx2
in associazione al
si è
verificatachiamato
un’epidemia
da VTEC
caratterizzati
dalla positivo
di
adesione
intimina
in coltura
positivi
per ii geni
suddetti
di patogenicità.
. LeO104,
infezioni
umane sono
gene eae, indipendentemente dal corrispondente risultato della
mancanza
del gene eae(3).da ceppi con sierogruppo O157,
causate
principalmente
(2)
semina
diretta
dall’isolamento del ceppo. Sono, invece, definiti
Iseguito
bovini dai
rappresentano
la
principale
riserva
di
VTEC
patogeni
RISULTATI
E eCONCLUSIONI
sierogruppi O26, O111, O103 e O145 . Nel 2011
VTEC
gli E. coli
suddetti
perGermania
l’uomo, in particolare
di ceppi
O157. Essida
eliminano
modo ceppi
Indagini
relative
alleisolati
feci in
dicoltura
vitellopura
- Inpositivi
6 delleper
7 iaziende
in
si è verificata
un’epidemia
VTEC inO104,
(3)
di patogenicità.
asintomatico ed
intermittente
e laeae
presenza
di ceppi O157 fattori
considerate
sono stati riscontrati VTEC fra i vitelli campionati,
caratterizzati
dalla
mancanzaVTEC
del gene
.
Inelle
bovini
rappresentano
la principale
riserva
di VTEC
patogenie con un deciso aumento di positività ed isolamenti in estate
loro
feci sembra essere
influenzata
dall’età
dell’animale
(Fig. 1).
per
in(1)particolare
di ceppi O157. Essi eliminano in
RISULTATI
E CONCLUSIONI
dallal’uomo,
stagione
.
modo
asintomatico
intermittente
VTEC
e la presenza
di
Indagini relative alle feci di vitello - In 6 delle 7 aziende
La specifica
tecnica ed
EFSA
per la ricerca
di VTEC
negli animali
Figura 1. Feci
vitello
positive
perfraVTEC
nella stagione
ceppi
O157 nelle
loro feci sembra
essere influenzata
dall’età
sonodi
stati
riscontrati
VTEC
i vitelli campionati,
con
raccomanda
l’esecuzione
di
un arricchimento
in brodo
del considerate
(1)
invernale
ed estiva.diI positività
numeri sopra
le colonne
indicano
dell’animale
e dallada
stagione
. ad evidenziare la presenza dei un
deciso aumento
ed isolamenti
in estate
(Fig.i ceppi
1).
campione, seguito
PCR volte
VTEC isolati.
La
per la positivi,
ricerca dei
di geni
VTEC
negli
genispecifica
eae, vtx1tecnica
e vtx2 e,EFSA
sui campioni
associati
animali
raccomanda
l’esecuzione
di
un
arricchimento
in
brodo
ai cinque principali sierogruppi patogeni per l’uomo, ed infine
del campione, seguito
da PCR volte ad evidenziare la
l’isolamento dei ceppi(4).
presenza dei geni eae, vtx1 e vtx2 e, sui campioni positivi, dei
Gli obiettivi del nostro lavoro sono stati valutare: i) la presenza
geni associati ai cinque principali sierogruppi patogeni per
di VTEC nelle feci di vitelli nella stagione
invernale ed estiva;
(4)
l’uomo, ed infine l’isolamento dei ceppi .
ii)
la
presenza
di
VTEC
in
animali
di
diverse
in un’azienda
Gli obiettivi del nostro lavoro sono stati età
valutare:
i) la
positiva; iii)
capacità
rilevamento
di campioni
e di
presenza
di la
VTEC
nelledifeci
di vitelli nella
stagionepositivi
invernale
isolamento
VTECdidella
specifica
tecnica
EFSA(4) età
e di in
un
ed
estiva; ii)dilaceppi
presenza
VTEC
in animali
di diverse
metodo
basato
sull’analisi
diretta
delle
feci.
un’azienda positiva; iii) la capacità di rilevamento di campioni
positivi e di isolamento di ceppi VTEC della specifica tecnica
(4)
MATERIALI
E METODI
EFSA
e di un
metodo basato sull’analisi diretta delle feci.
Campionamento - Sono stati analizzati 265 campioni di feci di
MATERIALI
E di
METODI
Figura
1. Feci di vitello
positive
per VTEC
nella stagione
bovini da latte
aziende del lodigiano così suddivisi:
Complessivamente
è stata
riscontrata
una prevalenza
di
estiva.
sopra le nella
colonne
indicano
i ceppi
- 116 feci di vitelli di età compresa tra 1 e 30 giorni prelevate invernale
campioni ed
positivi
perI numeri
VTEC dell’11%
stagione
invernale
Campionamento
- Sono stati
analizzati
265(12-20
campioni
di feci
isolati.
in 7 aziende selezionate
in modo
casuale
animali
per VTEC
e del 36%
in quella estiva. In inverno sono stati isolati 4 ceppi
di bovini da latte di aziende del lodigiano così suddivisi:
VTEC eae-vtx1 non appartenenti ad alcuno dei cinque
- 116 feci di vitelli di età compresa tra 1 e 30 giorni prelevate
143principali sierogruppi. In estate, invece, sono stati isolati 16
in 7 aziende selezionate in modo casuale (12-20 animali
ceppi VTEC, di cui 15 eae-vtx1 e uno eae-vtx2. Tra questi i
per azienda, suddivisi in due campionamenti). 63 campioni
sierogruppi O111 e O26 sono stati riscontrati rispettivamente
sono stati raccolti nella stagione invernale (febbraio-marzo)
5 e 4 volte, mentre il sierogruppo O157 una sola volta.
e 53 in quella estiva (giugno-agosto).
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Complessivamente è stata riscontrata una prevalenza di
campioni positivi per VTEC dell’11% nella stagione invernale
e del 36% in quella estiva. In inverno sono stati isolati 4 ceppi
VTEC eae-vtx1 non appartenenti ad alcuno dei cinque principali
sierogruppi. In estate, invece, sono stati isolati 16 ceppi VTEC,
di cui 15 eae-vtx1 e uno eae-vtx2. Tra questi i sierogruppi O111
e O26 sono stati riscontrati rispettivamente 5 e 4 volte, mentre
il sierogruppo O157 una sola volta.
Risulta complesso confrontare i dati di prevalenza da noi
determinati con altri studi a causa delle differenti modalità di
selezione degli animali: nella maggior parte delle indagini sono
in
questa categoria
le gli
prevalenze
riportate
1.3 e
classificati
come vitelli
animali fino
a 6 mesivariano
di età etra
in questa
(6)
68% . Altra complicazione è legata al fatto che molti studi
sui
(6)
categoria le prevalenze riportate variano tra 1.3 e 68% . Altra
VTEC nel bovino sono focalizzati sul sierogruppo O157 a
complicazione è legata al fatto che molti studi sui VTEC nel
causa della sua importanza nella patologia umana.
bovino sono focalizzati sul sierogruppo O157 a causa della sua
La differenza stagionale da noi osservata è già stata descritta
importanza
nella patologia
per
i VTEC O157
in diversi umana.
lavori, mentre non sono disponibili
La differenza
dase
noiloosservata
è già stata
descritta
sufficienti
dati stagionale
per stabilire
stesso fenomeno
si verifichi
(1, 6) mentre non sono disponibili
per i VTEC
diversi lavori,
anche
per iO157
VTECin non-O157
. Tuttavia, i nostri risultati
sufficienti dati
per stabilire
se lo stesso
fenomenoche
si verifichi
sembrano
confermarlo.
È interessante
sottolineare
anche
(1, 6)
perdii infezioni
VTEC non-O157
.daTuttavia,
i nostri
ilanche
numero
umane, sia
VTEC O157
cherisultati
non(2)
sembrano
confermarlo.
interessante
sottolineare che anche il
O157,
aumenta
nei mesiÈestivi
.
numero di infezioni umane, sia da VTEC O157 che non-O157,
Indagini
in mesi
un’azienda
aumenta nei
estivi(2). positiva per VTEC - Poiché
l’eliminazione di VTEC sembra essere legata all’età del
(1, 6)
bovino
, nella
stagionepositiva
estiva èperstato
condotto
un
Indagini in
un’azienda
VTEC
- Poiché
approfondimento
nell’azienda
G, caratterizzata
alto(1,
l’eliminazione di VTEC
sembra essere
legata all’etàdal
delpiù
bovino
numero
vitelli positivi
le stagioni,
indagando la
6)
, nella di
stagione
estiva inè entrambe
stato condotto
un approfondimento
presenza
di
VTEC
in
animali
di
diversa
età.
In
tutte
quattro
nell’azienda G, caratterizzata dal più alto numeroe di
vitelli
le fasce d’età campionate è stata determinata una positività
positivi in entrambe le stagioni, indagando la presenza di
per VTEC, sebbene con prevalenze variabili. Nelle vacche in
VTEC in animali di diversa età. In tutte e quattro le fasce d’età
lattazione la percentuale di animali positivi è risultata circa
campionate è stata determinata una positività per VTEC,
quattro volte inferiore rispetto alle altre categorie d’età (20 vs
sebbene econ
variabili.
Nelle
vacche
in (Fig.
lattazione
70-90%)
nonprevalenze
è stato possibile
isolare
alcun
ceppo
2).
la percentuale di animali positivi è risultata circa quattro volte
inferiore2.rispetto
alle altre
(20 vs 70-90%)
e non
Figura
Percentuali
di categorie
positività d’età
ed isolamento
di ceppi
è statonelle
possibile
alcun ceppo (Fig.
VTEC
fasceisolare
d’età considerate.
Sono2).
stati inclusi i vitelli
campionati nell’azienda G in estate nello studio precedente.
Questa
in positività
linea con ed
altriisolamento
studi, nei di
quali
si
Figura osservazione
2. Percentualiè di
ceppi
riporta
che lafasce
prevalenza
di VTEC, sia
O157
che
non, i negli
VTEC nelle
d’età considerate.
Sono
stati
inclusi
vitelli
animali
finonell’azienda
ai 24 mesi
superiore
rispetto
a quella
campionati
G in è
estate
nello studio
precedente.
(1, 6)
riscontrata nelle vacche
.
L’associazione
tra positività
ed nei
età quali
dell’animale
Questa osservazione
è in lineaper
conVTEC
altri studi,
si riporta
potrebbe
essere
correlata
alla
diversa
alimentazione,
fattori
che la prevalenza di VTEC, sia O157 che non, neglia animali
di
stress
cui sono
sottoposti
gli animali
o alriscontrata
management
fino
ai 24amesi
è superiore
rispetto
a quella
nelle
aziendale.
Infatti, nell’azienda sotto studio i bovini dei diversi
vacche(1, 6).
gruppi d’età sono mantenuti separati e questo potrebbe
L’associazione tra positività per VTEC ed età dell’animale
spiegare il ritrovamento degli stessi sierogruppi all’interno di
potrebbe essere correlata alla diversa alimentazione, a fattori
ciascuna categoria considerata. Tra i vitelli è risultato
di stress a cuiil sono
sottoposti
gli (6/10),
animali così
o al come
management
predominante
sierogruppo
O26
tra le
aziendale.
Infatti,
nell’azienda
sotto
studio
i
bovini
diversi
manzette di 1-7 mesi (8/15). Le manze di 8-14 mesidei
e quelle
gruppi d’età sono mantenuti separati e questo potrebbe spiegare
il ritrovamento degli stessi sierogruppi all’interno di ciascuna
categoria considerata. Tra i vitelli è risultato predominante il
sierogruppo O26 (6/10), così come tra le manzette di 1-7 mesi
(8/15). Le manze di 8-14 mesi e quelle di 15-24, allevate in due
box separati all’interno dello stesso capannone, erano positive
soprattutto per O145 (3/10 e 8/20, rispettivamente). Nessuna
delle vacche analizzate è risultata positiva per i cinque principali
sierogruppi.
Gli 11 casi in cui è stata riscontrata positività solo per vtx
non sono stati inclusi tra i risultati presentati, in quanto
Confronto tra metodiche
Per rilevare
la presenza
di VTEC
(4)
l’interpretazione
dei dati si è-basata
sulla metodica
EFSA
, che
nelle feci bovine, in una prima fase la PCR per i geni eae e
considera positivi i campioni caratterizzati dalla contemporanea
vtx è stata eseguita sia su 4 colonie isolate per semina diretta
presenza di eae e vtx. Tuttavia, il focolaio tedesco del 2011(3)
che sul brodo APT. 119 campioni sono stati analizzati con
ha evidenziato la necessità di riconsiderare la definizione del
questo approccio. Alla positività per eae e vtx delle colonie
rischio
associato
alla presenza
di VTEC,
in quanto
anche
corrispondeva
sempre
un analogo
riscontro
sull’APT,
maceppi
non
privi
del geneL’analisi
eae potrebbero
essere
l’uomo. di
viceversa.
dell’APT
ha, patogeni
infatti, per
permesso
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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Franck S., Bosworth B., Moon H., 1998. Multiplex
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Shiga Toxin-producing Escherichia coli Strains from
calves. J Clin Microbiol. 36, 1795-1796.
6.
Hussein H., Sakuma T., 2005. Prevalence of shiga
toxin-producing Escherichia coli in dairy cattle and their
products. J Dairy Sci. 88, 450-465.
evidenziare 16 campioni positivi per VTEC in più. Per i
Confronto
tra metodiche
rilevare
la presenza
di VTEC
successivi 146
campioni la- Per
PCR
sull’APT
è stata utilizzata
nelle
bovine, di
in screening
una prima efase
la PCR isolate
per i geni
e vtx
comefeci
metodica
le colonie
pereae
semina
èdiretta
stata sono
eseguita
su 4 colonie
isolatesui
percampioni
semina diretta
statesia
indagate
solamente
positivi.che
In
sul
brodo APT.
119 campioni
sonopositiva
stati analizzati
questo
presenza
di almeno
una colonia
per eae con
e vtx,
si è
proceduto Alla
conpositività
l’isolamento
del eceppo
e lacolonie
determinazione
del
approccio.
per eae
vtx delle
corrispondeva
sierogruppo.
In riscontro
caso contrario,
la non
determinazione
del
sempre
un analogo
sull’APT, ma
viceversa. L’analisi
sierogruppo
è avvenuta
sul DNA
estratto dal
e il positivi
ceppo
dell’APT
ha, infatti,
permesso
di evidenziare
16brodo
campioni
è stato
IMS specifica
per i cinque
per
VTECisolato
in più.tramite
Per i successivi
146 campioni
la PCRprincipali
sull’APT
In 16
casimetodica
è stato eseguito
un tentativo
di ricerca
èsierogruppi.
stata utilizzata
come
di screening
e le colonie
isolate
dei
geni
eae
e
vtx
su
15
colonie
ottenute
dalla
semina
per semina diretta sono state indagate solamente sui campioni
dell’APT su terreno MacConkey, con un solo esito positivo.
positivi. In presenza di almeno una colonia positiva per eae e vtx,
La PCR eseguita sul brodo APT sembra permettere di
si è proceduto con l’isolamento del ceppo e la determinazione del
rilevare un maggior numero di positivi, probabilmente grazie
sierogruppo. In caso contrario, la determinazione del sierogruppo
all’arricchimento dei campioni con una bassa carica
ècontaminante.
avvenuta sul DNA
estratto
brodo
e il ceppo
è stato
Tuttavia,
addalun
segnale
positivo
in isolato
PCR
tramite
IMS
specifica
per i cinque
sierogruppi.
In 16
casi
potrebbe
non
corrispondere
un principali
ceppo VTEC
vitale, per
cui
si
èdovrebbe
stato eseguito
un tentativo
di ricerca dei
geni eae
e vtx su
15
procedere
con l’isolamento
dall’APT,
possibile
solo
colonie
dalla
semina
dell’APT
su terreno IMacConkey,
per gli ottenute
E. coli dei
quali
è noto
il sierogruppo.
tentativi di
con
un solo esito
positivo.
isolamento
di ceppi
VTEC dall’APT tramite IMS e successive
La
eseguitahanno
sul avuto
brodo successo
APT sembra
di
PCRPCR
di conferma
solo inpermettere
7 casi su 33.
rilevare
un del
maggior
di positivi, per
probabilmente
L’isolamento
ceppo numero
è anche necessario
confermare
che i geni
vtx e gli altri fattori
di virulenza
associati
grazie
all’arricchimento
dei campioni
con(eae,
una geni
bassa
carica
ai cinque principali
sierogruppi)
siano
nellainstessa
cellula
contaminante.
Tuttavia,
ad un segnale
positivo
PCR potrebbe
batterica
ed escludere
la presenza
particelle
fagiche
libere,
non
corrispondere
un ceppo
VTEC di
vitale,
per cui
si dovrebbe
in quanto icon
genil’isolamento
vtx sono trasmessi
da fagi. Ilsolo
monitoraggio
procedere
dall’APT, possibile
per gli E.
delladeipresenza
dei il soli
geni vtxI tentativi
e/o eaedi èisolamento
comunque
coli
quali è noto
sierogruppo.
di
importante
per
la
facilità
con
cui
E.
coli
acquisisce
elementi
ceppi VTEC dall’APT tramite IMS e successive PCR di conferma
genici, che potrebbe portare all’insorgenza di nuovi ceppi
hanno avuto successo solo in 7 casi su 33. L’isolamento del
patogeni, come avvenuto per VTEC O104 associato
ceppo è anche necessario per confermare
che i geni vtx e gli
(3)
all’epidemia del 2011 in Germania .
altri fattori di virulenza (eae, geni associati ai cinque principali
Sebbene l’analisi di colonie isolate dalla semina diretta
sierogruppi)
siano nella stessa
cellula
batterica
ed escludere
la
permetta di evidenziare
un minor
numero
di campioni
positivi,
presenza
particelle
fagicheindipendente
libere, in quanto
vtx sono
essendo diuna
metodica
dal i geni
sierogruppo,
trasmessi
Il monitoraggio
dellameno
presenza
dei soli geni
consente da
di fagi.
isolare
anche ceppi
frequentemente
vtx
e/o eae è
la facilità
cui E. coli
associati
a comunque
malattia importante
nell’uomo,per ma
che conpotrebbero
acquisisce
elementi
che potrebbe portare all’insorgenza di
ugualmente
esseregenici,
patogeni.
nuovi
ceppi patogeni, come
VTEC O104 di
associato
Indipendentemente
dalla avvenuto
modalità,perl’isolamento
ceppi
(3)
all’epidemia
2011
in Germania
VTEC restadelun
passaggio
fondamentale
per successive
.
caratterizzazioni
e tipizzazioni
necessarie
per ildiretta
confronto
con
Sebbene
l’analisi di
colonie isolate
dalla semina
permetta
i ceppi
di origine
di
evidenziare
unumana.
minor numero di campioni positivi, essendo
una metodica indipendente dal sierogruppo, consente di
BIBLIOGRAFIA
isolare
anche ceppi meno frequentemente associati a malattia
1. Caprioli A., Morabito S., Brugère H., Oswald E., 2005.
nell’uomo,
ma che potrebbero ugualmente essere patogeni.
Enterohaemorragic Escherichia coli: emerging issues on
Indipendentemente
dalla
modalità,
l’isolamento
di ceppi
virulence and modes of
transmission.
Vet Res.
36, 289-311.
VTEC
un European
passaggio
fondamentale
per onsuccessive
2. EFSA,resta
2013. The
Union
Summary Report
Trends
and Sources of eZoonoses,
Zoonotic
Agents
Food-borne
caratterizzazioni
tipizzazioni
necessarie
perand
il confronto
con i
Outbreaks
in 2011.
EFSA J. 11(4):3129.
ceppi
di origine
umana.
3. Bielaszewska M., Mellmann A., Zhang W., Köck R., Fruth A.,
di 15-24, allevate in due box separati all’interno dello stesso
Bauwens A., Peters G., Karch H., 2011. Characterisation of the
capannone, erano positive soprattutto per O145 (3/10 e 8/20,
Escherichia coli strain associated with an outbreak of
rispettivamente). Nessuna delle vacche analizzate è risultata 144 haemolytic uraemic syndrome in Germany, 2011: a
microbiological study. Lancet Infect Dis 11, 671-676.
positiva per i cinque principali sierogruppi.
4. EFSA, 2009. Technical specifications for the monitoring and
Gli 11 casi in cui è stata riscontrata positività solo per vtx non
reporting of VTEC on animals and food (VTEC surveys on
sono stati inclusi tra i risultati presentati, in quanto
145
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
IMPATTO DELLE VERNICI ANTI-FOULING SULL’AMBIENTE ACQUATICO: LIVELLI DI
RAME, ZINCO E STAGNO NEL LAGO D’ORTA E NEL LAGO MAGGIORE
prelevati nel lago Maggiore, mentre nella Tabella 3 quelli
campionati nel lago D’Orta.
Brizio P., Benedetto A., Scanzio T., Arsieni P., Abete M.C., Prearo M.
Tabella 2 – Risultati di Cu, Zn e Sn sui campioni del lago
Maggiore
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino
Sito campionamento
Rame
(Cu)
Sesto Calende (VA)
2,53
Arona (NO) - porticciolo
0,81
Arona (NO) – porto turistico 0,54
Arona (NO) – lungolago
0,84
Arona (NO) – cantiere navale 0,80
Lesa (NO)
0,70
Stresa (VB)
0,82
Key words: anti-fouling, metalli, lago
RISULTATI
Nella tabella 2 vengono indicati i risultati relativi alla
determinazione di stagno, rame e zinco sui campioni d’acqua
146
CONCLUSIONI
L’impossibilità di quantificare la concentrazione di stagno
nelle acque dei due laghi sembra confermare l’efficacia dei
provvedimenti attuati nell’ambito della tutela ambientale, nei
confronti di questo contaminante ampiamente utilizzato per
quasi mezzo secolo.
I livelli di rame e zinco sono risultati nettamente inferiori rispetto
ai livelli massimi ammessi per garantire i criteri di qualità delle
acque, a conferma di quanto già sostenuto dall’ACP (Advisory
Comitee on Pesticides) (1) inglese che aveva indicato come
non preoccupante il contributo delle vernici anti-fouling al
rilascio di rame nell’ambiente.
Nonostante i campioni siano stati prelevati in siti diversi
lungo le sponde dei due laghi, non è stato possibile stabilire
un andamento crescente o decrescente di concentrazione
in funzione della latitudine. Tale correlazione risulta infatti
probabilmente compromessa dalla presenza di siti industriali
dislocati in maniera puntuale lungo le coste.
Il lago D’Orta risulta però avere elevate quantità di rame e
zinco, se confrontate con quelle rinvenute nel lago Maggiore,
probabilmente ancora imputabili agli incresciosi episodi di
inquinamento avvenuti negli anni ‘30 e ‘60 e dovuti alle acque
di scarico di industrie tessili ed elettrogalvaniche.
BIBLIOGRAFIA
1. Advisory Comitee on Pesticides Health and Safety Executive
– Pesticides Registration Section, London. A Review of The
Use of Copper Compounds in Anti-fouling Products (1997)
2. Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152; Norme in materia
Media
Mediana
Max
Min
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
ambientale;
3. Decreto Presidente Repubblica del 10 settembre 1982,
n. 904; attuazione della direttiva (CEE) n. 76/769 relativa
alla immissione sul mercato ed all’uso di talune sostanze e
preparati pericolosi;
'O
rta
4. Direttiva del Consiglio del 27 luglio 1976 concernente il
-L
.D
Zn
Zn
–
L.
M
ag
g
io
re
'O
rta
MATERIALI E METODI
I campioni d’acqua sono stati prelevati in 3 siti per il lago D’Orta
ed in 8 siti per il lago Maggiore.
Il campionamento è stato effettuato immergendo degli appositi
contenitori in materiale plastico circa 20 cm al di sotto della
superficie dell’acqua, in ciascun sito di interesse. Le bottiglie
sono state poi refrigerate e così conservate fino al momento
dell’analisi.
Dal momento che si è utilizzato il plasma ad accoppiamento
induttivo interfacciato ad uno spettrometro di massa a singolo
quadrupolo (ICP-MS) per la determinazione degli analiti, si
è resa necessaria una leggera acidificazione dei campioni
prima dell’analisi strumentale; nella pratica è stato aggiunto un
opportuno quantitativo di acido nitrico concentrato per analisi in
tracce, a dare una percentuale finale pari al 14%v/v.
La quantificazione è avvenuta mediante confronto con una
retta costruita in un intervallo di concentrazione idoneo,
ossia compreso tra gli 0.4 ed i 100 ppb. I valori ottenuti dalla
lettura strumentale sono stati corretti per il fattore di diluizione
applicato.
Il limite di quantificazione (LOQ) del metodo è 0.5 ppb per tutti
i metalli oggetto dello studio.
Figura 1 – confronto tra valori di media, mediana, massimo e
minimo per i due metalli quantificabili nei due laghi
L.
D
Nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero
della Salute, sì è voluto verificare l’impatto delle vernici di
vecchia e nuova generazione monitorando i livelli di stagno,
rame e zinco in campioni di acqua prelevati in diversi siti lungo
la costa piemontese del lago Maggiore e nel lago D’Orta.
–
300
u
40
Nella Figura 1 è invece riportato il confronto tra i valori di media,
mediana, massimo e minimo per i due metalli quantificabili nei
due laghi
C
3000
500
io
re
1000
50
ag
g
Zinco (ppb)
L.
M
Acque sotterranee
Acque superficiali destinate alla
potabilizzazione
Acque idonee alla vita dei pesci
Rame (ppb)
–
criteri di qualità dell’acqua previsti dal D.Lgs.
ppb
Rame (Cu) Zinco (Zn) Stagno (Sn)
Orta San Giulio (NO)
1,80
8,68
<0,05
Omegna (VB) – porto
3
9,97
<0,05
Omegna (VB) – centro
2,11
7,42
<0,05
Sito campionamento
ppb
Tabella 1 –
06/152
Stagno
(Sn)
<0,05
<0,05
<0,05
<0,05
<0,05
<0,05
<0,05
Tabella 3 – Risultati di Cu, Zn e Sn sui campioni del lago d’Orta
u
INTRODUZIONE
Le incrostazioni biologiche (vegetali o animali), dette fouling,
sono dovute alla colonizzazione di superfici sommerse da parte
di organismi residenti nell’ambiente acquatico, alla ricerca di
substrati idonei al completamento del loro ciclo vitale.
Questo fenomeno provoca eventi corrosivi e di danneggiamento
degli scafi delle imbarcazioni, con conseguente aumento della
resistenza frizionale durante la navigazione, del peso delle
imbarcazioni e diminuzione della velocità.
Al fine di impedire lo svilupparsi del fouling le superfici sensibili
vengono ricoperte da vernici antivegetative contenenti biocidi
che nel tempo vengono rilasciati in maniera controllata; una
delle principali caratteristiche di questi rivestimenti deve
essere l’azione ad ampio spettro, che ne comporta però
la pericolosità per l’intero sistema acquatico, in quanto non
indirizzato esclusivamente alla specie target. La quasi totalità
delle vernici anti-fouling contiene metalli; negli anni ‘50 furono
scoperte le proprietà biocide dei composti organostannici,
in particolare dei composti tributilici (TBT) e trifenilici (TFT),
i quali cominciarono ad essere utilizzati come fungicidi,
molluschicidi, nematocidi, rodenticidi, conservanti del legno ed
additivi proprio nelle vernici anti-fouling. Tuttavia alcune decine
di anni dopo emersero gli effetti collaterali connessi al rilascio
di queste sostanze nell’ambiente acquatico; nella fattispecie
vennero classificati come interferenti endocrini ed il loro
utilizzo venne bandito a livello europeo attraverso la Direttiva
n. 76/769 (4), recepita in Italia attraverso il D.P.R. n. 82/904 (3).
Lo stagno nelle vernici anti-fouling è stato così sostituito da
altri metalli, in particolar modo da rame e zinco, miscelati a
biocidi di origine organica. Il rame esplica infatti la sua attività
antivegetativa nei confronti della maggior parte degli organismi
acquatici, anche se alcune specie di alghe mostrano una
marcata resistenza a questo oligoelemento. Pur essendo
considerato un metallo essenziale, esso può comunque risultare
tossico ad alte concentrazioni, anche per le specie acquatiche
non target. Lo zinco è spesso utilizzato sottoforma di piritione
come antimicotico; quest’ultimo nell’ambiente acquatico viene
adsorbito al sedimento dando complessi molto poco solubili
che a lungo termine possono portare a danni ambientali. Criteri
di qualità proposti da vari enti internazionali forniscono per la
protezione della vita acquatica valori compresi tra 2 e 15 ppb
per il rame e tra 30 e 110 ppb per lo zinco solubili, mentre
per le acque ad uso potabile concentrazioni di 1000 ppb per il
rame e ben più alte, fino a 3000 ppb, per lo zinco.
In particolare, il D.Lgs. 06/152 (2), in materia di tutela delle
acque dall’inquinamento, prevede criteri di qualità diversificati
in funzione degli usi (Tabella 1).
C
SUMMARY
Antifouling paints are used to protect hulls of the boats from
undesirable accumulation of micro-organisms, plants and other
aquatic species. These paints could represent a risk for the
environment because of their constituents, tin in the past and
copper and zinc nowadays.
In this work we try to assess their impact on Lake Maggiore
and Lake D’Orta, evaluating tin, copper and zinc levels in water
sampled in different specific sites.
Tin was under the limit of quantification (LOQ) in all water
samples; copper and zinc concentrations never exceed
maximum levels suggested to guarantee good water quality.
Metals levels were higher in lake D’Orta water samples,
probably due to environmental poisoning events happened in
the past years.
ppb
Zinco
(Zn)
1,74
1,09
0,76
2,67
4,01
1,22
1,86
In generale, le concentrazioni maggiori di contaminanti sono
state rilevate nell’acqua prelevata dal lago D’Orta, dove il
quantitativo di rame risulta raddoppiato rispetto a quello
presente nel lago Maggiore, mentre quello di zinco addirittura
quadruplicato.
Come si può evincere dalle tabelle riportate, lo stagno risulta
inferiore al limite di quantificazione in tutti i siti campionati.
Le concentrazione minori di rame e zinco si rilevano
nell’acqua prelevata dal lago Maggiore al porticciolo turistico di
Arona (NO) mentre quelle maggiori in quella prelevata presso il
porto d’Omegna sul lago D’Orta.
Ad eccezione di un singolo caso, il sito a Seste Calende (VA), la
concentrazione di Rame risulta generalmente minore di quella
di Zinco.
Sul Lago Maggiore, la concentrazione più alta di rame è stata
rilevata nell’acqua campionata presso il sito di Seste Calende
(VA), mentre quella di zinco presso il cantiere navale di Arona
(NO). Per quanto concerne il lago D’Orta, nel porto di Omegna
(VB) sono state riscontrate le concentrazioni più alte di entrambi
i metalli
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari
ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in
materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e
preparati pericolosi (76/769/CEE);
5. Mazziotti I., Massanisso P., Cremisini, C., Chiavarini S.,
Fantini M., Morabito R.; 2005; Nuovi biocidi per le vernici
antivegetative; Energia, Ambiente e Innovazione, Vol. 5, pagg.
34-53.
RINGRAZIAMENTI
Ricerca finanziata dal Ministero della Salute; Dipartimento per
la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza
degli Alimenti.
147
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
148
Figura 1 – confronto tra valori di media, mediana, massimo e
minimo per cadmio e piombo.
0,35
0,30
0,25
0,20
0,15
0,10
0,05
0,00
MEDIA
MEDIANA
Max
Min
2
Pb
MEDIA
MEDIANA
Max
Min
60,00
40,00
4. Salazar M.J., Rodriguez J.H., Nieto G.L., Pignata
M.L., Fantini M., Morabito R.; 2012; Effects of heavy metal
concentrations (Cd, Zn and Pb) in agricultural soils near different
emission sources on quality, accumulation and food safety
in soybean [Glycine max (L.) Merrill], Journal of hazardous
Materials, Vol. 233-234, pagg. 244-253.
2
om
C
–
Zn
C
–
Zn
un
e
1
un
e
2
om
un
e
1
–
u
C
–
u
C
C
om
C
om
om
un
e
2
un
e
1
0,00
C
BIBLIOGRAFIA
1. Pandelova M., Lopez W.L., Michalke B., Schramm K;
2012; Ca, Cd, Cu, Fe, Hg, Mn, Ni, Pb, Se, and Zn contents in
baby foods from the EU market: Comparison of assessed infant
intakes with the present safety limits for minerals and trace
elements, Journal of Food Composition and Analysis, Vol. 27,
pagg. 120-127;
RINGRAZIAMENTI
Ricerca finanziata dal Ministero della Salute; Dipartimento per
la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza
degli Alimenti.
20,00
un
e
CONCLUSIONI
I livelli di concentrazione raggiunti nei campioni analizzati
confermano la teoria in base alla quale la soia può essere
utilizzata come indicatore di inquinamento ambientale. La
normativa vigente non prevede tenori massimi per nichel rame
e zinco nelle leguminose, ad eccezione di cadmio e piombo.
Le concentrazioni inferiori ai limiti trovate per questi due
contaminanti sembrano indicare un livello di contaminazione
ambientale ad essi dovuto contenuto, probabilmente risultato
dei provvedimenti attuati in campo di tutela ambientale. I valori
maggiori di piombo rilevati nel comune 1 sono presumibilmente
da attribuirsi alla posizione del comune, situato lungo un
importante asse stradale e nelle vicinanze di un grosso
stabilimento automobilistico.
Inoltre, i livelli elevati di nichel, rame e zinco sarebbero da
imputarsi a diversi fattori, tra i quali la natura del terreno,
principalmente argilloso, e la presenza di diverse realtà
industriali, prevalentemente di natura tessile e meccanica.
3. Regolamento (UE) 420/2011 della Commissione che
modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006 che definisce i tenori
massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari;
–
Co
m
un
e
Pb
Cd
–
–
Co
m
un
e
1
2
Co
m
un
e
1
Co
m
un
e
–
80,00
e dal Reg. 629/2008 (2) per il cadmio (0,020 mg/kg in ambo i
casi) in media non sono stati superati, ad eccezione di un unico
sito nel comune 1.
Le concentrazioni medie di nichel, rame e zinco sono minori
nel comune 1 rispetto a quelle riscontrate nel comune 2, dato in
antitesi rispetto a quanto emerso per i metalli tossici.
2. Regolamento (CE) 629/2008 della Commissione che
modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006 che definisce i tenori
massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari;
Figura 2 – confronto tra valori di media, mediana, massimo e
minimo per nichel, rame e zinco
i–
L’analisi strumentale è stata condotta grazie all’utilizzo del
plasma ad accoppiamento induttivo interfacciato ad uno
spettrometro di massa a singolo quadrupolo (ICP-MS), il quale
permette di effettuare determinazioni multi-elementari.
La quantificazione è avvenuta mediante confronto con una
retta costruita in un intervallo di concentrazione idoneo,
ossia compreso tra gli 0.4 ed i 100 ppb. I valori ottenuti dalla
lettura strumentale sono stati corretti per l’eventuale fattore di
diluizione applicato.
Nelle Figure 1 e 2 sono invece riportati i confronti tra i valori di
media, mediana, massimo e minimo dei metalli tra i due siti.
N
Tabella 1: condizioni strumentali mineralizzazione
Stadio Durata (min) Potenza (W)
Temperatura (°C)
1
8
800
130
2
2
800
130
3
8
1000
200
4
5
1000
200
Sito campionamento
Comune 1 Comune 2
Cadmio (Cd)
0,099
0,088
Piombo (Pb)
0,114
0,045
Nichel (Ni)
11,804
19,179
Rame (Cu)
13,430
13,831
Zinco (Zn)
54,816
73,686
mg/Kg
om
MATERIALI E METODI
I campioni di soia sono stati prelevati nel corso del 2012 e del
2013, in collaborazione con l’ASL di Biella, in due comuni della
provincia biellese.
I campioni, preventivamente macinati, sono stati pesati (circa
0.65 g) per mezzo di una bilancia analitica ed inseriti all’interno
di vessel di tetrafluoroetilene. Sono stati quindi addizionati in
ciascun contenitore 1.5 mL di acqua ossigenata al 30%, 0.05 ml
di acido fluoridrico al 50% e 7 ml di acido nitrico al 70%. E’ stato
necessario umidificare la matrice con acqua ultrapura prima
di proseguire con l’aggiunta delle sostante precedentemente
menzionate, al fine di facilitare la dissoluzione dei metalli. I
vessels sono stati inseriti all’interno del forno a microonde
ETHOS 1 (Milestone S.r.l.) e sottoposti a mineralizzazione
secondo il programma riportato in Tabella 1. Al termine della
mineralizzazione, i campioni, una volta raggiunta la temperatura
ambiente, sono stati portati al peso finale di circa 50 g con
acqua ultrapura, in provette di polipropilene.
Tabella 2 – Risultati di Cd, Pb, Ni, Cu e Zn
C
INTRODUZIONE
Le attività urbane ed industriali (industrie metallurgiche, impianti
chimici, inceneritori di rifiuti) e le pratiche agricole (utilizzo di
fertilizzanti fosforati, pesticidi e fanghi di depurazione) sono le
principali sorgenti antropogeniche di metalli nel terreno agricolo.
Il rischio potenziale di accumulo di queste sostanze in alimenti
coltivati su siti contaminati sta attirando sempre più l’attenzione
del mondo scientifico e dell’opinione pubblica. D’altronde il
consumo di cibo è stato identificato come la principale fonte di
esposizione ai metalli per l’uomo. Inoltre, studi sulla trasferibilità
di questi elementi dal suolo alla coltivazione hanno dimostrato
che i semi di soia possono accumulare più metalli rispetto ad
altre colture. Pianta ecologica per eccellenza, la soia (Glycine
max) migliora il suolo, protegge la superficie freatica e forma
sostanze nutritive in meno di 100 giorni. La soia è inoltre un
legume largamente impiegato nell’alimentazione dell’uomo e
degli animali da allevamento e per tali ragione la più coltivata
tra le leguminose. Tuttavia essa conterrebbe delle tossine i cui
pericoli per l’essere umano restano discussi ed è considerata
tra gli allergeni alimentari elencati dalla Direttiva 2003/8913.
La risposta allergica suscitata da questo legume è dovuta a
specifiche proteine ma anche all’elevato contenuto di metalli ad
azione allergizzante quali il nichel, ad esempio.
Negli ultimi anni l’utilizzo di questo legume è andando crescendo,
non solo per le sue elevate qualità nutritive, ma anche come fonte
sostitutiva di proteine per quella porzione di popolazione che
per necessità o scelta non ne assume in quantità sufficiente dal
alimenti di origine animale. La soia ed i suoi derivati sono alla base
della nutrizione di vegetariani, vegani ed intolleranti al lattosio. A
tal proposito tra i neonati una percentuale compresa tra il 2 ed 3%
è affetta da allergia al latte bovino, con conseguente necessità
di supplire tale alimento predominante nella dieta infantile con
un sostituto avente un apporto nutrizionale comparabile, come il
latte di soia, al quale risultano allergico solo lo 0,4% dei bambini.
Per questa categoria il rischio connesso all’introduzione di
metalli attraverso la dieta è nettamente maggiore rispetto a
quello per gli adulti, in quanto assumono un quantitativo di cibo
maggiore rispetto al peso corporeo. Studi effettuati su alimenti
per l’infanzia di varia natura hanno dimostrato che quelli a base
di soia hanno livelli di elementi essenziali non maggiori di quelli a
base di latte o alla formulazioni ipoallargeniche. Nel Luglio 2005,
l’agenzia francese di sicurezza sanitaria degli alimenti (AFSSA)
ha pubblicato un avviso sull’uso di preparazioni a base di soia
prima dei tre anni. In altri paesi, non esiste una prevenzione del
genere, non avendo la ricerca fornito sufficienti elementi a favore
di questa affermazione.
Data quindi la facilità di accumulo di sostanze inorganiche nella
soia ed il rischio conseguente per un consumatore, all’interno
di un progetto di ricerca corrente finanziato dal Ministero della
Salute, si è deciso di appurare il livello di alcuni elementi tossici
(cadmio e piombo), allergizzanti (nichel) ed essenziali (rame e
zinco) in alcuni campioni di soia prelevati in due comuni siti in
una zona circoscritta del Piemonte ad alto impatto industriale.
i–
SUMMARY
Food consumption has been identified as the major source of
metal exposure in humans. Moreover, studies on heavy metals
transfer from soil into crops have shown that soybean may
accumulate more inorganic elements then other crops. Some
consumers categories may be exposed more than others to
this contaminants through soybean, because of their diet:
vegetarians, vegans and adult and children allergic to cow’s
milk.
In this work we try to evaluate cadmium, lead, nickel,
copper and zinc levels in soybeans, sampled in potentially
contaminated areas. Cadmium and lead concentrations never
exceed maximum levels establish in European regulations.
Nickel, copper and zinc reach high concentration, probably due
to the ability of soybean to store metals in its seeds. This data
seams to uphold the possibility to use this legume as indicator
of environmental pollution.
ppb
Key words: soia, contaminazione, metalli
Cd
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino;
1
Azienda Sanitaria Locale di Biella, Via Marconi, 23 – 13900 Biella
RISULTATI
Nella tabella 2 vengono indicati le medie dei risultati relativi
alla determinazione di cadmio, piombo, nichel, rame e zinco
sui campioni di soia prelevati nei due comuni di interesse. Per
poter effettuare l’elaborazione dei dati, i valori inferiori al LOQ
sono stati considerati pari alla metà dello stesso.
ppb
Brizio P., Abete M.C., Pellegrino M., Ferrero M., Curcio A.1, Squadrone S.
Il limite di quantificazione (LOQ) del metodo è 0.020 ppb per
tutti i metalli oggetto dello studio.
N
LA SOIA: UN INDICATORE AMBIENTALE DI CONTAMINAZIONE DA METALLI
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Come si può evincere dalle tabelle riportate, i metalli tossici
sono, fortunatamente, in concentrazione nettamente inferiore
rispetto agli altri. I tenori massimi ammessi, espressi come mg/
kg di peso fresco, normati dal Reg. 420/2011 (3) per il piombo
149
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
KIT ELISA PRONTO-USO PER DIAGNOSI E SIEROTIPIZZAZIONE DI VIRUS AFTOSI
Brocchi E., Dho G., Grazioli S., 1Ferris N.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia
1
The Pirbright Institute, Pirbright, Surrey, UK
Key words: Afta, Anticorpi Monoclonali, Kit ELISA,
Summary
Foot-and-mouth disease (FMD) is a highly contagious disease
of livestock that causes dramatic economic consequences; a
rapid diagnosis is an important component of the disease control measures.
The antigen detection ELISA is an effective tool for the rapid
confirmation of FMD in vesicular epithelium samples. Simplified
ELISA kits were designed using monoclonal antibodies (MAbs)
serotype-specific (those with the widest intra-typic reactivity),
coated onto ELISA plates as catching antibodies, and conjugated cross-reactive MAbs as tracers. One kit was designed
for detection and serotyping of O, A, Asia1 and C-types FMD
viruses, while another one was tailored for African countries
including diagnosis of serotypes O, A, SAT1 and SAT2. The
test is fast and simple: microplates are supplied pre-coated and
the operator handles just one or two detector conjugates. The
diagnostic performances of the new kits were similar or better
than those of the complex polyclonal double-sandwich ELISA.
Risultati e Discussione
Selezione degli anticorpi monoclonali. In prove preliminari è
stata analizzata la reattività di vasti pannelli di MAb prodotti
verso i diversi sierotipi aftosi (144 MAb tipo A, 86 tipo O, 24
tipo Asia 1, 50 tipo C, 29 SAT 1, 50 SAT 2) con una collezione
di ceppi virali rappresentativi della diversità antigenica e molecolare, geografica e temporale all’interno di ciascun sieroptipo.
Sono stati selezionati come MAb di cattura sierotipo-specifici
quelli dotati della più estesa reattività intra-tipo. La specificità è
stata verificata analizzando i MAb scelti contro i virus eterologhi
per escludere la possibilità di cross-reazioni tra i diversi sierotipi. La tabella 1 mostra i MAb selezionati per il kit ELISA grazie
alla loro reattività con un maggior numero di ceppi esaminati:
un unico MAb per i tipi O, Asia1 e C, due MAb in tandem per
il sierotipo A (i ceppi virali non riconosciuti dai due MAb sono
diversi), due MAb per ciascun sierotipo SAT1 e SAT2 (in pool
calibrati). Solo una minoranza di ceppi, in genere storici o appartenenti al tipo SAT1, non sono rilevati dai MAb scelti.
Introduzione
L’afta è tuttora la malattia più temuta in ambito veterinario per
l’elevata contagiosità e le ingenti perdite economiche. Il virus
dell’afta appartiene al genere Aphthovirus, famiglia Picornaviridae; esistono in natura sette sierotipi antigenicamente e geneticamente distinguibili: A, O, C, Asia1, SAT1, SAT2, SAT3,
con molteplici varianti all’interno di ciascun tipo. Una diagnosi
rapida e accurata è essenziale per l’implementazione delle misure di controllo e il metodo ELISA per la rilevazione dell’antigene rappresenta, ad oggi, un mezzo efficace di diagnosi dei
casi clinici. Obiettivo del presente lavoro è stato lo sviluppo di
kit ELISA pronto-uso, stabili, semplici e di facile utilizzo, per la
rilevazione e sierotipizzazione dei virus aftosi. Tali kit, basati
su una batteria selezionata di anticorpi monoclonali specifici
(MAb), sono i primi e unici prototipi applicati all’afta.
Figura e Tabella 1: Immagine del kit ELISA e reattività intratipo dei MAb selezionati per la fase di cattura dei virus
Materiale e metodi
Kit ELISA. ll principio del test è un’ELISA sandwich realizzata utilizzando MAb tipo-specifici adsorbiti alle piastre con la
funzione di cattura del virus omologo presente nei campioni
in esame e un secondo MAb coniugato con perossidasi, crossreattivo, per la rilevazione del complesso antigene-anticorpo
formatosi.
Il test è rapido (circa 2,5 ore) e di facile utilizzo: il kit è predisposto con piastre pre-adsorbite con la batteria di MAb selezionati
e con i controlli positivi e negativi già incorporati per ogni sierotipo; il processo di stabilizzazione applicato garantisce una
shelf life di almeno due anni a 5°C (fig. 1). L’operatore deve
gestire un solo, o al massimo due, anticorpi monoclonali coniugati con la perossidasi.
MAb. I MAb sono derivati dalla collezione prodotta in-house.
Virus e campioni di campo. Una ampia collezione di virus e di
omogenati di epitelio vescicolare, positivi per ciascun sierotipo,
è stata utilizzata per la validazione.
Layout del kit. Sono stati sviluppati due kit diagnostici, uno per
l’identificazione di pool di virus aftosi presenti in Medio Oriente,
Asia ed Europa orientale (tipi O, A ed Asia1, C) ed un secondo
per l’identificazione dei sierotipi più diffusi in Africa (sierotipi O,
A, SAT1 e SAT2). I rispettivi layout con esempi di risultati ed
interpretazione sono illustrati in fig. 2 Nel primo kit la reazione è
completata con un unico MAb pan-afta coniugato (1F10), mentre nel secondo kit è aggiunto un coniugato rilevatore, costituito
da un pool di tre MAb, per il riconoscimento dei sierotipi SAT1
e SAT2. Entrambi i kit comprendono anche un test pan-afta
supplementare, che utilizza il MAb 1F10 sia come cattura che
come coniugato, per rilevare nuove varianti virali che potrebbero sfuggire al legame con i MAb tipo-specifici: il test pan-afta
riconosce tutti i ceppi di tipo O, A, C, Asia1 e alcuni ceppi dei
tipi SAT.
Valutazione delle performance diagnostiche. Il kit per i paesi Euroasiatici è stato estensivamente validato con la collaborazione
del FMD World Reference Laboratory (The Pirbright Institute,
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
UK). In particolare, le performance diagnostiche del kit sono state paragonate a quelle del test ELISA classico, basato sull’impiego di sieri immuni policlonali, nell’analisi di una collezione di
campioni patologici sospetti (epitelio vescicolare) originati da
298 casi di afta nel mondo, occorsi in un arco temporale di oltre
50 anni; i campioni, confermati positivi ai test di isolamento virale e/o PCR eseguiti al momento del ricevimento, erano derivati
da differenti aree geografiche e specie animali, e rappresentavano diversi genotipi/topotipi e diversità antigenica. La tabella 2
mostra i risultati comparativi: nella valutazione complessiva dei
298 campioni, ognuno positivo per uno dei quattro sierotipi O,
A, C e Asia1, la percentuale di campioni rilevati dal kit ELISA di
nuova generazione era superiore, risultando del 75% per il test
di sierotipizzazione e del 76% per il test pan-afta rispetto al 72%
dell’ELISA policlonale di riferimento. In particolare, il kit basato
sui MAb offre una migliore copertura antigenica per i ceppi appartenenti al sierotipo A caratterizzato da elevata variabilità. Va
ricordato che la sensibilità dei test ELISA non può raggiungere
quella dei test di amplificazione, quali isolamento e PCR.
Le performance di specificità (analitica e diagnostica) del kit
sono state valutate attraverso l’analisi delle cross-reazioni dei
campioni nei test eterologhi. Al contrario dell’ELISA policlonale,
soggetta a cross-reazioni, tutti i campioni sono risultati negativi
ai test eterologhi, ad eccezione di alcuni positivi per ceppi virali
di tipo O che hanno presentato una cross-reazione di varia entità
con uno dei due MAb utilizzati per il sierotipo A (4D12). Tuttavia, la cross-reazione con il secondo MAb tipo A specifico (5F6)
non si è mai verificata, permettendo una corretta interpretazione
del sierotipo. La specificità è stata ulteriormente valutata testando 24 omogenati di epitelio, ognuno positivo per sierotipi aftosi
SAT1 o SAT2 o SAT3 o per virus della malattia vescicolare suina,
nonché oltre 40 campioni negativi, tutti con esito negativo.
74/105 campioni sono stati tipizzati (8 tipo SAT1, 37 tipo SAT2,
9 tipo A,19 tipo O, 1 misto SAT1 e SAT2) e 2 sono risultati non
tipizzabili.
Tabella 2: Sensibilità diagnostica del kit ELISA per identificazione dei sierotipi aftosi euroasiatici in campioni clinici.
Conclusioni
I kit ELISA per la diagnosi e sierotipizzazione dei virus aftosi
in campioni clinici, sviluppati nel presente lavoro, rappresentano test di nuova generazione e sono i primi ed unici prototipi
prodotti. I kit offrono adeguate performance diagnostiche, con
sensibilità simile o migliore rispetto alla più complessa ELISA di
riferimento basata su sieri immuni policlonali. La tipo-specificità
è risultata significativamente migliorata e la diversità antigenica
dei virus aftosi è adeguatamente coperta, grazie all’ampia reattività intra-tipo dei MAb prescelti; sarà comunque importante
continuare a monitorare l’affinità dei MAb selezionati nei confronti di nuovi virus emergenti. Un ulteriore miglioramento può
essere perseguito per completare la gamma di rilevazione dei
virus SAT1; inoltre, il formato messo a punto per i paesi africani
richiede l’uso di due differenti coniugati: sono in corso studi per
semplificare ulteriormente il kit, fornendo un anticorpo rivelatore unico, ottenuto con appropriate miscele del MAb pan-afta e
di un MAb pan-SAT recentemente prodotto.
L’utilizzo del kit in paesi endemici ha consentito l’identificazione
in campioni sospetti di tutti i sierotipi contemplati (ad eccezione del tipo C ritenuto eradicato), creando per la prima volta
nuova e reale capacità diagnostica. Grazie alla sua estrema
semplicità, robustezza e stabilità, il kit pronto-uso è idoneo per
laboratori scarsamente equipaggiati, ma può anche rappresentare un componente strategico per la costituzione di banche di
diagnostici per emergenze in paesi indenni.
Kit ELISA
Kit ELISA
ELISA
(MAb tipo-specifici) (MAb pan-afta) policlonale
150
Sierotipo N.
POS
Sens.
POS
136
O
103
A
30
Asia
29
C
TOTALE 298
116
67
22
19
224
85%
65%
76%
66%
75%
118
67
21
20
226
Sens. POS Sens.
87%
65%
72%
69%
76%
129
41
26
20
216
95%
40%
90%
69%
72%
Il kit per la sierotipizzazione dei virus SAT1 e SAT2 è stato valutato inizialmente con ceppi di collezione disponibili in laboratorio,
evidenziando la capacità di identificare tutti i virus SAT2 (n. 26) e
l’84% (21/25) dei SAT1 esaminati; l’incursione epidemica SAT2
verificatasi nel Nord Africa nel 2012 ha reso urgente la distribuzione del kit prototipo in Africa anche prima del completamento
della validazione.
Utilizzo dei kit in campo. Nell’ambito di programmi di cooperazione supportati da EuFMD e FAO i kit sono stati distribuiti in 25
paesi endemici in Africa, in 9 del Medio Oriente, in 10 localizzati
in Asia centrale e Regioni Caucasiche, nelle due versioni adeguate alla rispettiva situazione epidemiologica; da alcuni paesi è
stato ricevuto un riscontro iniziale. Il kit per virus euroasiatici ha
rilevato e tipizzato virus aftosi in 88/158 campioni di epitelio vescicolare (32 tipo O, 22 tipo Asia1, 34 tipo A), in altri 7 positivi al
test pan-afta non è stato identificato il sierotipo, mentre 63 sono
risultati negativi. Il kit inviato in Africa ha conseguito i seguenti
risultati: 29/105 omogenati epiteliali hanno dato esito negativo,
Figura 1. Layout delle due versioni del kit ELISA per diagnosi e
sierotipizzazione di virus aftosi.
Ringraziamenti. Il lavoro è stato supportato da finanziamenti
nazionali ed Europei (Ministero della Salute PRC 016/2009 e
Progetto europeo FMD-Disconvac). Si ringrazia lo staff tecnico
del laboratorio per la collaborazione.
151
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
RILEVAZIONE DI GENI CODIFICANTI LE TOSSINE DIARROICHE ED EMETICA
IN CEPPI DI Bacillus cereus ISOLATI DA ALIMENTI
Buscemi M.D.1a, Frasnelli M. 1b, Cammi G. 1c, Bardasi L. 1d, Bertasi B. 1e, Dalzini E. 1e, Andreoli G.1a, Bragoni R. 1a,
Fabbi M.1a, Vicari N. 1a
1a
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “Bruno Ubertini”
Sezione Diagnostica di Pavia; 1bSezione Diagnostica di Lugo (RA); 1cSezione Diagnostica di Piacenza; 1dSezione Diagnostica
di Bologna; 1e Sede Brescia
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 1: Grafico A: dati grezzi di fluorescenza in funzione
della temperatura (curve di melting); Grafico B: derivata
negativa delle curve di fluorescenza. I picchi relativi ai tre geni
amplificati sono univocamente identificati. In verde gene nheA
(Tm= 75,60), in blu gene ces (Tm= 79,20), in rosso gene hblD
(Tm= 86,10).
Grafico A
Grafico B
Key words: Bacillus cereus, tossine, alimenti
SUMMARY
Bacillus cereus is the causative agent of two distinct food
poisoning syndromes: the diarrhoeal and emetic illnesses. This
microorganism produces an emetic toxin (cereulide) associated
to the emetic form and at least three enterotoxins that have
been associated with the diarrhoeal form of disease. In order
to meet the growing demand for fast and reliable detection of
potentially toxinogenic Bacillus cereus, we applied two different
real-time PCR assay based respectively on hydrolysis probe
(Taqman) and on SYBR Green with subsequent melting curve
analysis. This last protocol allows to detect genes of toxins
responsible for diarrhea (nheA, hblD and cytK1) and emesis
(ces). A panel of 83 Bacillus cereus strains isolated between
2011 and 2013 was analyzed. We evaluated also the incidence
of these genes on the isolates during 2013. We can assert that
the real-time PCR protocols considered is a reliable method for
identification of B. cereus with enteropathogenic potential.
INTRODUZIONE
Bacillus cereus è un microrganismo sporigeno, ubiquitario di
origine tellurica che occasionalmente può contaminare gli
alimenti e in taluni casi dar luogo a tossinfezioni. L’elevata
resistenza delle sue spore ne permette la sopravvivenza ai
processi di essiccazione e cottura. Le tossine prodotte da
B. cereus possono provocare due differenti quadri clinici: la
sindrome emetica e quella diarroica. La sindrome emetica si
manifesta con nausea ed emesi in un periodo che va da 1 a 6
ore dopo il pasto contaminato. In genere si risolve in 24 ore. La
sindrome diarroica si manifesta con dolori addominali e diarrea
in un periodo che va dalle 8 alle 16 ore dopo l’ingestione; i
sintomi persistono per 12-24 ore (1, 2).
Le tossine implicate nella sindrome diarroica sono tre:
l’emolisina BL (hbl), l’enterotossina non emolitica (nhe) e la
citotossina K (cytK). Queste, essendo termolabili sono distrutte
dalla cottura dell’alimento. La sindrome emetica è causata
dalla tossina emetica o cereulide (ces) che non è inattivata
dalla cottura dell’alimento (2, 3). Sia per quanto riguarda la
sindrome emetica sia per quella diarroica, le categorie di
alimenti coinvolti nelle tossinfezioni da B. cereus sono spesso
prodotti cotti (prodotti di gastronomia, stufati, purè, etc.);
tuttavia, in alcuni casi gli alimenti causa dell’infezione, sono
altri (insalate di germogli, succo d’arancia, salse a base di
maionese) (4). L’intossicazione emetica è stata spesso legata
a piatti contenenti riso o pasta. La dose infettante di B. cereus
è di 105-108 u.f.c./g di cellule o spore, anche se bassi dosaggi,
come 103 u.f.c./g di B. cereus tossigeno sono stati sufficienti a
causare l’infezione.
Allo stato attuale in commercio sono presenti tre kit
immunologici per la rilevazione delle tossine diarroiche
termolabili direttamente da alimento ma non ve ne sono
disponibili per la tossina emetica. Per la rilevazione di
quest’ultima si può ricorrere alla coltura cellulare, metodo
indaginoso che richiede tempi molto lunghi oppure a metodi
molecolari, utili per l’identificazione di ceppi potenzialmente
produttori di tossine.
Il presente lavoro è stato rivolto alla ricerca di protocolli realtime PCR per la rilevazione dei geni codificanti sia la tossina
emetica sia quelle diarroiche al fine di individuare i ceppi
potenzialmente tossigeni. L’obiettivo del lavoro deriva dalla
necessità di avere a disposizione un sistema diagnostico
veloce poco costoso e di facile applicazione per rispondere alle
richieste di ditte alimentari, laboratori analisi pubblici e privati
e soprattutto da applicarsi in caso di focolai di tossinfezione.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati 83 ceppi di Bacillus cereus isolati da
alimenti negli anni 2011, 2012 e 2013 presso alcuni laboratori
dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e
dell’Emilia Romagna (Sezione di Pavia, Sezione di Piacenza,
Sede di Brescia, Sezione di Bologna e Sezione di Ravenna).
Le matrici dalle quali sono stati isolati i ceppi appartenevano
a diverse tipologie di alimenti (latticini, vegetali, alimenti pronti
ecc.), pervenuti all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Lombardia e dell’Emilia Romagna a seguito di richieste di
analisi da privati o da enti pubblici.
I ceppi sono stati analizzati mediante PCR real time usando
due diverse chimiche. La chimica basata sulla sonda ad idrolisi
Taqman è stata utilizzata solo per la ricerca del gene ces (5),
mentre è stata utilizzata la chimica SYBER Green associata
all’analisi delle curve di melting (6) per la ricerca dei geni che
codificano sia la tossina emetica sia le tossine diarroiche.
Sono state valutate per ambedue le PCR real time la specificità
analitica analizzando 30 ceppi batterici appartenenti a 23
diverse specie batteriche e la sensibilità.
Inoltre, solo per gli isolati del 2013 è stata valutata l’incidenza
dei geni codificanti le tossine.
RISULTATI E CONCLUSIONI
I due protocolli PCR real time scelti per la ricerca dei geni
codificanti le tossine di Bacillus cereus hanno dimostrato
un’elevata sensibilità e specificità analitica. Degli 83 ceppi
analizzati solo 4 (5%) erano portatori del gene ces, tutti isolati
da alimenti pronti, due dei quali hanno dato origine a focolai
epidemici. La positività è stata confermata da entrambe le PCR
real-time dimostrando la concordanza dei dati tra i due metodi.
Per quanto riguarda i geni codificanti le tossine diarroiche, 69
ceppi (83 %) sono risultati positivi al gene hblD e 78 (94%)
sono risultati positivi al gene nheA. Nessun ceppo presentava
il gene cytK.
L’analisi delle curve di melting (Figura 1) degli 83 ceppi ha
consentito di valutare l’intervallo della temperatura di melting
(Tm) per ciascun gene amplificato (Tabella 1).
152
Tabella 1: valori dell’intervallo della Tm, media e DS per
ciascun gene analizzato.
Valore
Valore
Geni
Media
DS
Minimo
Massimo
ces
78,60
79,20
78,98
0,29
hblD
84,30
86,10
85,58
0,55
nheA
74,40
75,60
74,96
0,39
Per valutare l’incidenza dei geni tossigeni sono stati considerati
i 34 di ceppi di B. cereus testati per l’anno 2013, questo perché
campionati in modo casuale mentre gli isolati degli anni 2011 e
2012 sono stati scelti tra i positivi al test di agglutinazione.
L’incidenza è risultata essere dell’ 85,29% per il gene nheA
e il 79,41% per il gene hblD (Figura 2). Questi risultati
sono perfettamente coerenti con precedenti studi (7, 8). La
percentuale del gene ces (5,88%) è concorde con l’incidenza di
questa tossina in Europa, che in genere è intorno al 5%, come
riscontrato in studi precedenti basati su un campionamento
casuale (9, 10).
BIBLIOGRAFIA
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Märtlbauer E., (2008). Characterisation of the toxicity of
Bacillus cereus isolates from food supply facilities of the
German Federal Armed Forces. Arch Lebensmittelhyg
59:92-8.
Figura 2: Incidenza dei geni di Bacillus cereus negli isolati del 2013.
I protocolli utilizzati in questo lavoro hanno il vantaggio di
poter essere applicati dalla maggior parte dei laboratori e di
dare rapide risposte analitiche. Si ritiene utile proseguire lo
studio qui iniziato valutando anche la specificità e la sensibilità
diagnostica, in modo da applicare queste tecniche non solo
su ceppi isolati, ma anche su brodocolture. Inoltre, potrebbe
essere utile effettuare uno studio basato sull’analisi del rischio
per quanto riguarda la presenza di Bacillus cereus tossigeni
negli alimenti. Infatti, la conoscenza delle tossine diarroiche
più diffuse, e di quelle più pericolose per il consumatore
permetterebbe di monitorare alcuni alimenti con maggior
frequenza e di indirizzare le analisi in maniera razionale.
153
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
per l’intera rete dei lettori partecipanti (5)Ove possibile, cioè dove
fossero presenti più lettori nello stesso laboratorio (5 laboratori), è
stato valutato l’accordo intra-laboratorio, calcolando il k-combined.
RIPRODUCIBILITA’ DEL METODO ISTOLOGICO PER LA VALUTAZIONE E
CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI DEGLI ANIMALI DOMESTICI:
COLORAZIONE CON EMATOSSILINA EOSINA
Campanella C.1, Crescio M.I.2, Baioni E.2, Vito G.1, Dellepiane M.3, Ratto A.1, Ferrari A.1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, National Reference Center of Veterinary and
Comparative Oncology (CEROVEC), Piazza Borgo Pila, 16129 Genova, Italy
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valled’Aosta, Biostatistics Epidemiology and Risk Analysis (BEAR),
via Bologna 148, 10154 Torino, Italy
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Sez. Savona
1
Key words: riproducibilità, istologia, kappa
SUMMARY
A Ring Test among veterinary public laboratories (IIZZSS) network
was performed to assess the precision of tumor histopathology in
pets. Four sets of 36 H&E stained slides were sent to participants
(17 histologists of 11 labs). Results were expressed as Benign (B),
Malignant (M) or Non-neoplastic (N); participants were invited to
express also diagnosis according to WHO. Cohen’s k, k-overall,
k-combined were obtained both for results indicated as B/M/N
and after recoding results in Epithelial/Lympho-hematopoietic/
Mesenchymal/Mixed/Non-neoplastic/Nervous tissue. Results
showed strong agreement among readers showing Cohen’s k
values judged in literature “very good” and “excellent”, with lower
95% confidence interval bounds judged “substantial” and “good”.
Agreement was even stronger when intra-laboratory comparison
was carried out.
INTRODUZIONE
La verifica dell’uniformità della diagnosi tra i laboratori afferenti
alla rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) è uno
dei compiti del Centro di Referenza Nazionale per l’Oncologia
Veterinaria e Comparata (CEROVEC). In particolare in ambito
istologico è importante il confronto tra i singoli lettori afferenti ai
diversi laboratori operanti sul territorio nazionale. Scopo di questo
lavoro è valutare la riproducibilità dell’interpretazione di quadri
microscopici riferibili a patologie neoplastiche benigne e maligne
negli animali domestici.
MATERIALI E METODI
Per l’allestimento del Ring Test (RT) sono stati selezionati, , 36 casi
(26 di specie canina, 9 felina ed un criceto) provenienti dall’attività
istopatologica su tumori di routine all’interno dell’IZS Piemonte
Liguria e Valle d’Aosta. Successivamente, presso i laboratori del
CEROVEC, da personale che non ha preso parte allo studio, sono
stati preparati 4 set di vetrini colorati in Ematossilina Eosina, tra
loro uguali, contenenti ciascuno 36 campioni, contrassegnati da
un numero progressivo da 1 a 36 e presentanti sezioni seriali della
stessa porzione di tessuto. Per garantire l’indipendenza dei risultati
delle analisi tra i diversi laboratori partecipanti, i campioni sono stati
predisposti secondo 4 diversi ordinamenti casuali, detti sequenze;
a ciascun laboratorio è stato assegnato in modo casuale un set di
campioni, ordinato secondo una di queste 4 sequenze. In ciascun
set erano presenti 13 tumori istologicamente benigni, 17 tumori
istologicamente maligni e 6 lesioni non neoplastiche. Poiché
il metodo di lettura è qualitativo e si basa sul riconoscimento di
lesioni spontanee di sospetta natura neoplastica ottenute per via
chirurgica o autoptica, a ciascun partecipante è stato chiesto, dopo
aver letto i vetrini in modo indipendente, di esprimere il proprio
giudizio diagnostico nei seguenti termini:
TUMORE BENIGNO: B = proliferazione neoplastica
istologicamente benigna
TUMORE MALIGNO: M = proliferazione neoplastica
istologicamente maligna
NEGATIVO PER TUMORE: N = tessuti nella norma o affetti
da altre patologie specifiche o aspecifiche
E’ invece stata lasciata come facoltativa la possibilità di esprimere
la diagnosi istologica secondo WHO (2) ed il corrispondente codice
ICD-O. Per uniformare le modalità di risposta e minimizzare la
possibilità di errore nell’inserimento dei risultati, essi sono stati
inviati per via informatica su un modulo in formato Excel (.xls), con
campi precompilati a scelta singola.
Per l’analisi statistica della riproducibilità (o concordanza) è
stato utilizzato il kappa (k) di Cohen(1, 5, 7), indice che consente di
isolare la reale concordanza tra lettori eliminando la componente
imputabile esclusivamente al caso. Il kappa valuta esclusivamente
la concordanza esistente tra i risultati ottenuti all’interno di un
gruppo di lettori, indipendentemente dalla correttezza diagnostica
di tali risultati e può variare tra -1 (concordanza inferiore persino
a quella che si avrebbe per effetto del solo caso) e +1 (accordo
totale). Per l’interpretazione dei valori assunti dal k di Cohen si è
fatto riferimento a quanto riportato in Tabella 1(8).
Valori di k
< 0.00
0.01 – 0.20
0.21 – 0.40
0.41 – 0.60
0.61 – 0.80
0.81 – 1.00
Landis(6)
Poor
Altman(1)
Poor
Fleiss(5)
Poor
Byrt(3)
No agreement
Slight
Fair
Moderate
Substantial
Almost perfect
Poor
Fair
Moderate
Good
Very good
Poor
Poor
Fair to good
Fair to good
Excellent
( ≥0.75)
Poor
Slight
Fair
Good
Very good
(Excellent ≥
0.92)
RISULTATI E CONCLUSIONI
A seguito dell’invio del protocollo di studio e di un invito ufficiale
alla partecipazione, hanno aderito al RT 17 lettori facenti parte di
11 diverse strutture:10 IIZZSS ed una Università (Pisa). Benché
facoltativa, 16 partecipanti su 17 hanno inserito la classificazione
WHO ed il relativo codice ICD-O. I k-overall inter-lettore per i
risultati espressi come B/M/N sono riportati in Figura 1, il k rispetto
al GM solo per 2 lettori su 17 hanno valori del limite inferiore
dell’IC 95% inferiori a 0.6, mentre per gli altri, sono pienamente
soddisfacenti. Infine il k-combined inter-lettore è risultato pari a
0.82 (IC95% 0.79 -0.84).Il k-combined intra-laboratorio è risultato
pari a 1.00 (IC95% 0.76 – 1.00) per 4 laboratori su 5, mentre per 1
è risultato pari a 0.81 (IC95% 0.67 – 0.95).
Figura 1: k-overall per risultati espressi come B/M/N
I k-overall inter-lettore per i risultati riclassificati in Epiteliale/
Linfoematopoietico/ Mesenchimale/ Misto/ Non tumorale/
Tessuto nervoso sono riportati in Figura 2. Il k rispetto al GM è
pienamete soddisfacente per tutti i lettori, tranne uno, il cui limite
inferiore dell’IC 95% è inferiore a 0.6. Infine, il k-combined interlettore è risultato pari a 0.85 (IC 95% 0.83 - 0.87). Il k-combined
intra-laboratorio è risultato pari a 1.00 ( IC95% 0.76 – 1.00) per
3 laboratori su 5, mentre gli altri 2 laboratori hanno ottenuto un
k-combined pari a 0.95 (IC 95%0.75 – 1.00) e 0.91 (IC 95%0.72
– 1.00).
I risultati, in termini di B/M/N, dello studio si possono ritenere
soddisfacenti: infatti il k-combined è a livelli considerati
in letteratura da Very good a Excellent, con limiti inferiori
dell’intervallo di confidenza a livelli considerati da Substantial
a Good. Si può pertanto affermare che il livello di diagnosi
istologica, in termini di benignità, malignità o assenza di lesioni
tumorali, è uniforme nella rete diagnostica degli II.ZZ.SS.
I livelli di concordanza sono ancora più elevati se si valuta il
k intra-laboratorio, come comprensibile per lettori abituati a
svolgere il proprio lavoro insieme. Soltanto un laboratorio ha
un k-combined leggermente inferiore; si può ipotizzare che
tale differenza sia dovuta al fatto che in effetti i lettori ad esso
afferenti operano in 3 sedi diverse.
Anche per quanto riguarda le diagnosi, dopo riclassificazione
in Epiteliale / Linfoematopoietico / Mesenchimale / Misto /
Non tumorale / Tessuto nervoso si può osservare una buona
riproducibilità all’interno della rete diagnostica.
BIBLIOGRAFIA
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Figura 2: k-overall per risultati espressi come riclassificati in
Tabella 1: Interpretazione del k di Cohen
La numerosità campionaria è stata scelta in modo da garantire
che in presenza di una discordanza il limite inferiore dell’intervallo
di confidenza non scendesse al di sotto di 0.6.
Sia per gli esiti espressi come B/N/M, sia per gli esiti riclassificati
in Epiteliale/ Linfoematopoietico/ Mesenchimale/ Misto/ Non
tumorale/ Tessuto nervoso a partire dai codici ICD-O. Per ciascun
lettore è stato quindi calcolato (valutazione inter-lettore):
il k tutti contro tutti ed i relativi intervalli di confidenza al 95% (IC
95%), cioè il k per ciascuna coppia di lettori;
il k-overall (+ IC 95%),
il kappa (+IC95%) rispetto al giudizio di maggioranza (GM),
cioè l’esito relativo al singolo campione riportato dalla
maggioranza dei partecipanti.
E’ stato poi stimato il kappa-combined (+IC95%), complessivo,
154
Epiteliale/ Linfoematopoietico/ Mesenchimale/ Misto/ Non
tumorale/ Tessuto nervoso
155
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
INTERFERENZA DELLE MODALITA’ DI CONSERVAZIONE DEL LATTE SULLE
PERFORMANCES DEI TEST DIAGNOSTICI PER BRUCELLOSI E
LEUCOSI BOVINA ENZOOTICA
Canale G., Barbero R., Bergagna S., Contrucci M., Dezzutto D., Gennero M.S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta -Torino
Key words: milk, ELISA, Piedmont Region
ABSTRACT
Accuracy of milk analysis is very important to most dairy farmers,
to dairy industry and health consumer. Many factors contribute
to variation of the parameters analysed; one of the these factors
is the method used to preserve the sample prior to milk analysis
in testing laboratories. In order to evaluate the bacteriological
condition of milk, preservation, duration and temperature of milk
sample storage has to be generally harmonized. However, due
to special needs, the milk samples are preserved by different
methods. In particular, the samples can be fresh, frozen or with
the sodium azide addition.The aim of this work was to test the
performance of ELISA test (Bovine Brucellosis and Leucosis)
in fresh, frozen and with sodium azide milk sample. About 500
samples, divided in 3 groups, were tested and each group of
samples was stored in a different ways. The results of the study
showed that the different storage conditions have no effect on
the diagnostic performance of the used tests.
INTRODUZIONE
La Brucellosi bovina è una malattia infettiva ad eziologia
batterica, sostenuta solitamente da Brucella abortus; il
bovino tuttavia si può infettare anche con Brucella melitensis
e Brucella suis. La Brucellosi bovina è inoltre una zoonosi in
quanto l’uomo può contrarre la malattia attraverso il contatto
con materiale biologico o animali infetti, per via aerogena
(per categorie professionali a rischio) oppure attraverso
l’ingestione di prodotti di origine animale contaminati. In
Italia e in Europa, a partire dalla seconda metà degli anni
sessanta, questa malattia è stata oggetto di piani di controllo
ed eradicazione. Attualmente, su tutto il territorio nazionale è
in vigore un piano di eradicazione obbligatorio (D.M. 651/1994
e successive modifiche), basato essenzialmente sul controllo
sierologico periodico della popolazione bovina. Diversamente
dalla Brucellosi, la Leucosi Bovina Enzootica è una malattia
virale, sostenuta da un Retrovirus che, in condizioni naturali,
colpisce esclusivamente i bovini. Il virus determina una risposta
anticorpale che non blocca la sua replicazione nell’ospite,
dando luogo ad un’infezione cronica caratterizzata dallo
sviluppo di forme tumorali (linfosarcomi). Le manifestazioni
cliniche insorgono dopo un lungo periodo di incubazione e la
letalità degli animali in allevamento non è molto elevata (25%). E’ oggetto di un piano nazionale di eradicazione dal 1996
(D.L. n. 358 del 2 maggio 1996) basato su controlli sierologici
periodici nelle aziende bovine da riproduzione ed eliminazione
dei capi positivi e ispezione ufficiale post-mortem di tutti i capi
macellati. Questa infezione è stata eradicata in tutta l’Europa
occidentale con le eccezioni di Malta e Italia. Presso la S.C.
Sierologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Torino
vengono routinariamente effettuate le analisi previste dal Piano
Nazionale di Eradicazione e Sorveglianza. A livello scientifico,
l’affidabilità del latte di massa quale strumento di controllo nei
confronti delle malattie infettive è ampiamente documentata.
A livello pratico, tale strumento risulta particolarmente idoneo
quando le malattie infettive oggetto di risanamento sono state
già eradicate e quindi le aziende sottoposte a controllo sono
negative. A livello economico, è evidente il risparmio che il
servizio sanitario consegue nell’abbandonare il campionamento
individuale. Nell’ambito del monitoraggio, attualmente il
laboratorio effettua circa 2000 saggi immunoenzimatici l’anno
esclusivamente su campioni di latte per la diagnosi di Brucellosi
e Leucosi. Come per tutti i laboratori dislocati sul nostro
territorio, a così vasto impiego zootecnico, uno dei problemi
riscontrati con maggiore frequenza riguarda le modalità di
conservazione del campione prima del suo arrivo in laboratorio.
Le cause di tali inconveniente sono da ricercarsi innanzitutto
sulla dislocazioni degli allevamenti rispetto all’ubicazione del
laboratorio. La temperatura, in particolar modo, può influire
negativamente sulla conservazione del campione. Per tali
motivi, i campioni che vengono consegnati in laboratorio
spesso mancano di uniformità per quanto concerne la modalità
di conservazione. Obiettivo di questo studio è quello di valutare
l’interferenza di alcune modalità di conservazione sulle
performances diagnostiche dei saggi ELISA utilizzati per la
diagnosi di Brucellosi e Leucosi nel latte bovino.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto in cieco su campioni di latte
provenienti da diversi allevamenti nell’ambito dei Piani nazionali
di Eradicazione e Sorveglianza della Brucellosi e Leucosi
Bovina Enzootica.
Sono stati utilizzati i campioni pervenuti presso il laboratorio in
un periodo di 6 mesi nel 2006. I campioni testati sia per la BRC
(409) che LBE (90 campioni) sono stati suddivisi in 3 aliquote al
fine di ottenere 3 gruppi omogenei così suddivisi:
gruppo A: campioni con sodio azide (5 mg/50ml)
gruppo B: campioni freschi
gruppo C: campioni congelati
Tale suddivisione è stata fatta sia per i campioni testati per
BRC sia per LBE. Sono stati utilizzati kit del commercio validati
dall’AFSSA (Agence Francaise de Sicurite Sanitaire des
Aliments) autorizzati alla commercializzazione in Italia dai CDR
Nazionali.
Il test per Brucella può essere eseguito sia su latte di singolo
capo che su latte di massa. Il Limite Inferiore di Rilevabilità
(LIR) è £ IsaBS 1/40000 (International standard anti Brucella
abortus Serum), cioè il test è in grado di dare risposta positiva
per un campione contenente 0.025 UI anticorpi brucellari. Il
kit è in accordo con i requisiti richiesti dalla direttiva 64/498/
CEE e successive modifiche e con il Manual of standards for
diagnostics test and vaccines, OIE.
Le piastre di polistirene sono fornite adsorbite con antigene
LPS (lipopolisaccaride di membrana) di Brucella abortus. Il
coniugato consiste in antisiero anti IgG bovine coniugato con
perossidasi. Il substrato enzimatico cromogeno (TMB) sviluppa
un colore blu in presenza di perossidasi. Con l’aggiunta della
soluzione acida bloccante il colore vira al giallo e rimane stabile
156
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
per la lettura spettrofotometrica a 450 nm.
Il test per Leucosi si basa sull’uso del lisato ultrapurificato del
virus e può essere utilizzato per dimostrare la presenza di tutti i
tipi di anticorpi contro il virus (proteine dell’envelope, proteine del
capside..). il limite di positività è stabilito utilizzando un controllo
positivo fornito nel kit permette di rilevare European Standard
(E5/250) diluito 1/100 in latte bovino ottenuto da stalle infette.
Le piastre di polistirene sono fornite adsorbite con l’antigene
virale (BLV). Il coniugato consiste in antisiero anti IgG bovine
coniugato con perossidasi. Il substrato enzimatico cromogeno
(TMB) sviluppa un colore blu in presenza di perossidasi. Con
l’aggiunta della soluzione acida bloccante il colore vira al
giallo e rimane stabile per la lettura spettrofotometrica a 450
nm. L’intensità del colore è in funzione del grado di anticorpi
presenti nel campione testato.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Per quanto concerne le analisi effettuate su campioni di
latte bovino per la ricerca di BRC (409 campioni) non è
stata riscontrata nessuna differenza significativa tra i risultati
ottenuti nei 3 gruppi valutati. La negatività dei campioni è stata
infatti confermata in ogni campione anche se conservato con
modalità differenti. Lo stesso risultato è stato ottenuto anche
per quanto concerne le analisi effettuate per la ricerca di LBE
(80 campioni).
Lo studio condotto presso il nostro laboratorio ci ha permesso
quindi di evidenziare il fatto che le diverse modalità di
conservazione dei campioni di latte non interferiscono sulle
performances dei kit diagnostici utilizzati. Le analisi eseguite
su campione di latte fresco infatti prevedono la consegna dello
stesso entro 18 ore dal prelievo nonché il fatto che il laboratorio
le esegua il giorno stesso dell’arrivo. Come precedentemente
già menzionato, le diverse ubicazioni degli allevamenti, anche
in Valle d’Aosta o in Liguria non permettono un invio immediato
dei campioni di sangue prelevati. Da un punto di vista logistico
inoltre diviene pressochè impensabile pretendere che ciò
avvenga considerate anche le dimensioni numericamente
molto elevate dei campioniamenti previsti dai Piani Nazionali.
I medici veterinari che si occupano di prelevare i campioni
spesso necessitano di supporto per cercare di armonizzare il
più possibile le tecniche di conservazione. Proprio per questo
preciso scopo è stato effettuato lo studio comparativo per
confrontare i risultati ottenuti analizzando gli stessi campioni
conservati con modalità differenti: fresco, congelato e con
aggiunta di sodio azide. Sulla base dei risultati ottenuti nel
presente studio, possiamo quindi concludere che le differenti
modalità di conservazione dei campioni di latte non sono
fortunatamente in grado di provocare un’interferenza nei
confronti degli esiti delle analisi effettuate con metodo ELISA
per BRC e LBE.
BIBLIOGRAFIA
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
L’ATTIVITA’ DI PROFICIENCY TEST-PROVIDER DEL LABORATORIO DI RIFERIMENTO
NAZIONALE ED EUROPEO PER Escherichia coli DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’
Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Ferreri C., Minelli F., Marziano M.L., Babsa S., Maugliani A., Galati F.
Laboratorio Comunitario e Nazionale di Referenza per Escherichia coli, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Keywords: Escherichia coli, verocitotossina
ABSTRACT
The Istituto Superiore di Sanità in Rome is the European and
National Reference Laboratory for Escherichia coli, including
Verotoxigenic E. coli (VTEC) since 2006. The main task of its
mandate is to ensure that the methods for the identification and
typing of VTEC strains are harmonized. This is accomplished
by developing methods, distributing reference materials,
organizing proficiency tests (PT) and hosting scientists for
training stages. Here we report on the 6 years experience in
PT organization.
INTRODUZIONE
Il Laboratorio di Riferimento Europeo per l’Escherichia coli (EURL) opera principalmente nel settore degli E. coli produttori di
verocitotossina (VTEC), che rappresentano l’unico gruppo di
E. coli patogeni per l’uomo con riconosciuta origine zoonotica.
In accordo al Regolamento CE 882/2004 le funzioni e i compiti
del Laboratorio di Riferimento includono:
- collaborazione con organismi internazionali (in particolare,
CE, OIE, WHO, EFSA ed ECDC) e la rete dei Laboratori
Nazionali di Riferimento (LNR) nell’ambito della salute umana
ed animale e della sorveglianza epidemiologica;
- sviluppo di metodi per l’identificazione e tipizzazione di VTEC
e altri patogruppi di E. coli in cibo, animali e matrici di interesse;
- produzione di materiali di riferimento e gestione di una
collezione di ceppi di riferimento di particolare interesse;
- organizzazione di test comparativi (Proficiency Tests, PT) tra
laboratori di riferimento dell’UE e paesi terzi;
- collaborazione con i laboratori che si occupano di infezioni da
E. coli nei paesi terzi;
- supporto tecnico-scientifico alla Commissione Europea.
Il laboratorio svolge anche il ruolo di Laboratorio Nazionale
di Riferimento e organizza, parallelamente ai circuiti di PT
rivolti ai LNR, studi destinati anche ai laboratori italiani
coinvolti nel controllo ufficiale degli alimenti, in particolare
gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS), finalizzati
all’identificazione e alla tipizzazione dei ceppi VTEC e alla loro
ricerca negli alimenti e in matrici animali.
Al fine di fornire prestazioni e risultati di laboratorio qualificati
e riconosciuti in ambito nazionale e internazionale, l’EU-RL
VTEC ha definito e applica una politica della qualità conforme
alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 nell’ambito dell’attività
analitica e alla norma ISO/IEC 17043 in merito all’attività di
organizzatore e fornitore di PT.
Viene qui descritta l’attività riguardante l’organizzazione di
circuiti inter-laboratorio per i LNR e gli IIZZSS maturata nel
corso degli ultimi sei anni, con i relativi risultati.
TEST COMPARATIVI INTER-LABORATORIO
A partire dal 2007 il laboratorio ha organizzato 11 PT, di
cui 6 sull’identificazione e tipizzazione di ceppi VTEC e 5
sull’identificazione di VTEC in alimenti e matrici animali.
Inoltre ha sviluppato, in collaborazione con il SIDBAE - Settore
informatico dell’ISS, un applicativo intranet Citrix Metaframe,
per la gestione del database e della piattaforma web, che
consente la raccolta dei risultati sottomessi dai laboratori
158
partecipanti direttamente on-line.
Nel complesso, è stato registrato un incremento delle adesioni,
sia a livello europeo che nazionale, come si evince dalla Fig. 1.
Fig. 1: Numero di laboratori partecipanti ai PT
Identificazione e tipizzazione di ceppi VTEC
L’EU-RL VTEC ha organizzato sei PT sulla tipizzazione
dei ceppi batterici, di cui l’ultimo è tutt’ora in corso, con i
seguenti obiettivi:
- identificare correttamente un ceppo di E. coli come un
VTEC tramite rilevamento in PCR dei geni di virulenza;
- identificare correttamente i siero-gruppi dei ceppi VTEC
maggiormente associati a malattia grave nell’uomo (EFSA
ECDC) (1).
La figura 2 mostra il numero dei laboratori partecipanti ai PT
con le relative prestazioni relativamente all’identificazione
dei diversi geni di virulenza nei ceppi isolati.
Fig. 2: Identificazione dei geni
vtx1, vtx2 ed eae nei ceppi batterici
vtx1 vtx2 eae Il grafico riportato nella figura 3 si riferisce invece ai risultati
sulla sierotipizzazione dei ceppi. In particolare, è importante
notare che tutti i laboratori sono ora in grado di identificare
correttamente i ceppi VTEC appartenenti al sierogruppo O157
e, la maggior parte di loro, anche quelli appartenenti agli altri
quattro sierogruppi maggiormente coinvolti nelle infezioni
159
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Fig. 4: Identificazione dei geni vtx1, vtx2 ed eae
nelle colture di arricchimento di alimenti e matrici animali
umane: O26, O103, O111, O145. Nel corso del PT10 è stato
fornito anche un ceppo appartenente al sierogruppo O104,
implicato nell’epidemia tedesca del 2011. La totalità dei
laboratori europei e la maggior parte dei laboratori italiani è
stata in grado di identificare tale sierogruppo correttamente.
vtx1 vtx2 eae Fig. 3: Sierotipizzazione nei ceppi batterici
O157 O26 O103 O111 O145 O91 O113 O121 O146 O104 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
DISCUSSIONE/CONCLUSIONI
I VTEC rappresentano una popolazione eterogenea di patogeni
a trasmissione prevalentemente alimentare. L’impossibilità
di distinguere fenotipicamente i VTEC dai ceppi di E. coli
commensali richiede, inoltre, la determinazione della presenza
dei geni codificanti i fattori di virulenza. Questi presupposti
richiedono lo sviluppo di metodi molecolari complessi e
richiedono una rete di laboratori qualificati e formati. EU-RL ed
LNR E. coli hanno come obiettivo primario il consolidamento
della rete dei laboratori coinvolti nel controllo ufficiale degli
alimenti in grado di identificare i ceppi VTEC nei veicoli delle
infezioni, armonizzando le prestazioni delle strutture operative
anche al fine di migliorare la conoscenza dell’epidemiologia
delle infezioni da VTEC per affrontare possibili emergenze.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Union in 2008. EFSA Journal; 8 (1): 1496.
2. ISO/TS 13136:2012. Microbiology of food and animal
feed -- Real-time polymerase chain reaction (PCR)based method for the detection of food-borne pathogens
-- Horizontal method for the detection of Shiga toxinproducing Escherichia coli (STEC) and the determination of
O157, O111, O26, O103 and O145 serogroups
La figura 5 mostra invece il numero dei laboratori partecipanti
ai PT con le relative prestazioni relativamente all’identificazione
dei geni associati ai sierogruppi in fase di screening PCR in
alimenti e matrici animali.
Ricerca di VTEC in alimenti e matrici animali
Dal 2009, l’EU-RL VTEC ha organizzato cinque PT mirati
all’identificazione, l’isolamento e la tipizzazione dei principali
sierogruppi di VTEC associati ad infezioni umane gravi, in
matrici animali ed alimentari contaminate artificialmente.
I test avevano lo scopo di introdurre nella routine dei
laboratori una metodica ISO recentemente pubblicata, la
ISO/TS 13136 ”Microbiology of food and animal feed -- Realtime polymerase chain reaction (PCR)-based method for
the detection of food-borne pathogens -- Horizontal method
for the detection of Shiga toxin-producing Escherichia coli
(STEC) and the determination of O157, O111, O26, O103
and O145 serogroups” (2), che rappresenta lo standard
internazionale per la ricerca dei VTEC negli alimenti. Questo
metodo è basato sulla identificazione tramite real time PCR
dei geni di virulenza e dei determinanti associati ai cinque
sierogruppi VTEC maggiormente coinvolti nelle infezioni più
gravi, in colture di arricchimento. Il metodo prevede, inoltre,
l’isolamento del ceppo VTEC eventualmente presente che,
nel caso dell’identificazione di uno dei 5 sierogruppi oggetto
del metodo, può essere facilitato tramite un arricchimento
sierogruppo-specifico.
Le matrici utilizzate sono state rispettivamente: tamponi
superficiali di carcasse bovine (PT3), latte (PT4), spinaci
(PT7), acqua (PT8) e semi destinati alla produzione di
germogli (PT9).
La figura 4 mostra il numero dei laboratori partecipanti ai
PT e le prestazioni relativamente all’identificazione in fase di
screening PCR dei diversi geni di virulenza negli alimenti e
matrici animali.
Fig. 5: Determinazione dei geni associati ai sierogruppi
mediante Real Time PCR negli alimenti e matrici animali
O157 O26 O103 O145 La figura 6 mostra il numero dei laboratori partecipanti ai PT
con le relative prestazioni relativamente alla fase di isolamento
dagli alimenti e matrici animali.
160
Fig. 6: Isolamento dei ceppi VTEC
da alimenti e matrici animali
O157 O26 O103 O145 161
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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RODITORI SELVATICI CATTURATI NEL TERRITORIO PALERMITANO:
POSSIBILI RESERVOIR DI LEISHMANIA?
Tabella 1- Titoli anticorpali e località di cattura dei roditori oggetto di studio.
Caracappa S.1, Torina A.1, Disclafani R.1, Nucatolo G.1, Piazza M.1, Migliazzo A.1, Galuppo L.1, Nifosì D.2, Castelli G.1, Bruno F.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, via Gino Marinuzzi,3, 90129 Palermo, Italy
2
Assessorato Regionale della Salute
Keywords: Rodents, Leishmania, reservoir.
SUMMARY
The identification of natural hosts of Leishmania is fundamental to better understand the epidemiology of the disease.
Due to close proximity between rodents, dogs and humans,
the importance of rodents as reservoir hosts for different
Leishmania species have already been described worldwide.
To identify the role of rodents as reservoir hosts for Leishmania infantum in natural infection, 69 rodents were captured
under a trap rodent control program in Palermo, known to
be endemic for canine leishmaniasis in Sicily. The molecular approach didn’t show positivity to the parasite, unlike the
serological method. The results suggest an antibody reactivity to the parasite Leishmania in wild rodents, not comforted
by the presence of the parasite in the matrices, analyzed
by molecular approach. These considerations suggest a T
helper 1-mediated response of the murine immune system,
but further investigations are needed to clarify the role of the
rodent reservoir.
INTRODUZIONE
La leishmaniosi è una zoonosi, in cui i serbatoi sono animali
selvatici, commensali o animali domestici. Il cane è il principale serbatoio di leishmaniosi viscerale, anche se anche
altri mammiferi selvatici sono stati trovati infetti da L. infantum (WHO, 2010). Nel bacino del Mediterraneo numerosi
mammiferi selvatici come il topo algerino (Mus spretus), il
tasso (Meles meles), il topo europeo del legno (Apodemus
sylvaticus), la mangusta (Herpestes ichneumon) , la martora (Martes martes), la genetta ( Geneta GENETA), la lince
iberica (Lynx pardinus), la donnola (Mustela nivalis), il lupo
(Canis lupus) , la volpe rossa (vulpes vulpes), il ratto nero
(Rattus rattus) e il ratto marrone (Rattus norvegicus) sono
risultati essere sensibili All’infezione da Leishmania (1, 2, 3,
4). A tutt’oggi i Roditori rappresentano un continuum tra ambiente domestico e selvatico, andando a costituire il mezzo
di trasmissione e la possibilità di mantenimento di importanti
zoonosi. Recenti studi, infatti, rilevano l’importanza dei roditori, come i portatori di diverse specie di Leishmania (5).
Nell’ambito dell’attività di prevenzione delle zoonosi leishmnianiosi, tale studio, si propone di comprendere l’eventuale
ruolo di reservoir dei roditori, in un territorio altamente endemico come Palermo.
MATERIALI E METODI
Le attività del Centro di Referenza Nazionale per le Leishmaniosi in diversi momenti sono state orientate verso lo studio
periodico del ruolo dei muridi quali serbatoio di Leishmania
infantum. Per identificare il ruolo dei roditori Mus musculus e
Rattus rattus come reservoir di Leishmania infantum, 69 roditori sono stati catturati in differenti zone della città di Palermo, nota per essere una zona endemica per la leishmaniosi
canina in Sicilia.
24 Mus musculus e 45 Rattus rattus sono stati raccolti tra
il maggio 2012 e agosto 2013 nel quadro di un programma
di derattizzazione attraverso trappole applicate nelle diverse
zone della città (Figura 1).
Figura 1 – immagine di roditori, oggetto di studio.
Non è stata ufficialmente richiesta alcuna approvazione etica
per la cattura degli animali, poiché questi roditori sono considerati specie infestanti e gli esemplari morti di Mus musculus
e Rattus rattus sono stati elaborati con procedura necroscopica standard. I campioni di milza, linfonodo popliteo sono
stati sottoposti a screening per la presenza di Leishmania
infantum mediante Real Time PCR.
Il DNA è stato estratto da campioni di milza e da linfonodi
utilizzando il kit “PureLink® Genomic DNA Mini Kit” (Invitrogen™) seguendo le istruzioni del produttore. L’approccio
molecolare Real-Time PCR ha permesso la quantificazione
della sequenza genica target di Leishmania di 68 bp (DNA
del chinetoplasto). Ad ogni analisi molecolare effettuata, è
stata inclusa una curva di taratura, ottenuta, amplificando
diluizioni scalari in base 10, di una soluzione di DNA estratto
da ceppi di L. infantum MON1/IPT1, permettendo così di rilevare la quantità di Leishmanie/mL.
Vista la difficoltà di reperire campioni di sangue relativamente alle specie selvatiche, soltanto 22/69 emosieri di roditori
sono stati analizzati, tramite Immunofluorescenza indiretta
(IFAT), per la diagnosi di L. infantum (7, 8). Il Kit utilizzato
è prodotto dal C.Re.Na.L secondo la metodica OIE 2008.
Si è proceduto mediante diluizioni seriali del siero da 1:10 a
1:1280. L’anticorpo utilizzato è l’Anti-IgG di specie marcato
con FITC (Sigma) alla diluizioneproposta dalla ditta.
162
RISULTATI E CONCLUSIONI
A differenza del metodo sierologico, l’approccio molecolare RTPCR, effettuato sulle matrici di elezione, milza e linfonodi poplitei, non ha mostrato positività al parassita.
L’indagine sierologica effettuata su 22 roditori (20 Rattus rattus e 2 Mus musculus) ha mostrato una reattività anticorpale al
protozoo di 14/22 roditori (63%). Nello specifico 4/14 roditori (3
Rattus rattus e 1 Mus musculus) (28,5 %) hanno mostrato un
titolo anticorpale di 10. Di questi 14 campioni positivi, 5 Rattus
rattus hanno mostrato un titolo anticorpale di 20 (35,7%).Il dato
ritenuto significativo, mostrato in tabella 2, rileva come 5/14 roditori (4 Rattus rattus e 1 Mus musculus) presentano un titolo
anticorpale al parassita Leishmania di 40 (10).
I risultati di questo lavoro suggeriscono una reattività anticorpale al parassita Leishmania nella specie selvatica in esame, non
confortata da una presenza del parassita nelle matrici, analizzate mediante approccio molecolare.
Tali considerazioni ipotizzano una risposta T helper 1 mediata
del sistema immunitario murino, che porti ad una risoluzione
dell’infezione. Non essendo stato possibile, in alcun caso, ottenere una positività all’indagine molecolare, sono necessarie
ulteriori indagini al fine di chiarire il ruolo di reservoir dei roditori
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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VALUTAZIONI SULLA QUALITÀ IGIENICO- SANITARIA DI SESAMO IMPORTATO DA PAESI
EXTRACOMUNITARI
Cardamone C.1 , D’Oca M.C.2, Oliveri G.1 , Nicastro L.1 , Arculeo P. 1 , Di Noto A.M. 1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, Palermo
2
Università degli studi di Palermo, Palermo
Key words: sesame , irradiated spices , Salmonella
SUMMARY
Sesame seeds and their products have been associated with a
number of Salmonella outbreaks in different countries of world.
In Sicily, sesame seeds are commonly added on bread. They
are imported from non-European countries. The authors report
results of microbiological, biological (DNA Comet Assay) and
physical (ESR) examinations carried out on 40 sesame seeds
samples in the period January 2011-July 2013. Salmonella (S.
stanleyville and S. montevideo) were detected in two sesame
samples imported from Nigeria. Overall, 96.9% of sesame
contained Enterobacteriaceae counts between 60 and 31.000
cfu/g and were of satisfactory/acceptable quality. DNA Comet
assay and ESR analysis did not revealed irradiated sesame
samples.
INTRODUZIONE
Il sesamo (Sesamum índicum) è una pianta erbacea, originaria
dell’Asia, coltivata principalmente nelle zone tropicali e
subtropicali meno sviluppate dell’Asia, del Mediterraneo e del
Sud America; la Cina e l’ India sono i maggiori produttori (3) .
I suoi semi sono molto impiegati nelle popolazioni asiatiche e
mediorientali per la preparazione di piatti e prodotti tipici quali
il “tahini”, “helva”, “bulgogi” e “sannakji” (5,10). In Sicilia il
sesamo, chiamato “cimino” , viene utilizzato nella preparazione
del pane e dei prodotti da forno (grissini, biscotti) . In genere i
semi essiccati sono considerati prodotti sicuri per il loro basso
contenuto di umidità , ma nell’ultimo decennio, in letteratura, sono
stati descritti diversi episodi di salmonellosi legati al consumo
di semi di sesamo e dei suoi prodotti. Nel 2001 in quattro
Stati europei (Austria, Germania, Norvegia e Svezia) si sono
verificati episodi di tossinfezione alimentare da S. typhimurium
legati al consumo di helva; nel 2002 e 2003 tre epidemie da S.
montevideo si sono verificate in Australia e Nuova Zelanda in
seguito a consumo di tahini importato dall’Egitto e dal Libano
(10); nel 2012 negli USA è stata segnalata un epidemia da
S. bovismorbificans associata al consumo di tahini (9). In
Italia non sono noti episodi di salmonellosi legati al consumo
di sesamo , tuttavia nel periodo 2003-2013 il nostro Paese
ha effettuato 10 notifiche con respingimento alla frontiera di
partite di semi di sesamo contaminate da Salmonella spp. (dati
RASFF).
A partire dal 2011, in seguito all’emanazione del Decreto del
Ministero della Salute del 27 febbraio 2008 (1) che affida agli
II.ZZ.SS compiti di controllo ufficiale sugli alimenti di origine
vegetale non trasformati, presso l’area di Microbiologia degli
Alimenti dell’IZS SI-Palermo sono stati analizzati campioni
di semi di sesamo importati da diversi paesi extracomunitari.
Scopo del presente lavoro è quello di raccogliere ed illustrare
i risultati delle analisi effettuate nei primi 3 anni di attività di
controllo ufficiale sui vegetali, al fine di valutare la presenza
di microrganismi patogeni in semi di sesamo e l’eventuale
trattamento con radiazioni .
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra gennaio 2011 – luglio 2013 sono
stati esaminati n. 40 campioni di semi di sesamo di origine
extracomunitaria (India, Nigeria, Pakistan ed Egitto) . I campioni
sono stati prelevati dagli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e
di Frontiera (USMAF) di Palermo (Porto di Trapani e Porto
di Palermo) nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti
importati da Paesi Terzi. I campioni sono stati sottoposti alla
numerazione di Enterobatteri totali (n. 32) e/o alla ricerca di
Salmonella spp. (n. 18) (Tabella 1). La numerazione degli
Enterobatteri è stata effettuata secondo il metodo ISO 215282:2004 (Violet Red Bile Glucose Agar incubato a 37°C per 24
h). La ricerca di Salmonella spp. è stata effettuata con metodo
di screening AFNOR BIO 12/23-05/07: Buffered Peptone Water
incubato per 16-20 h a 37°C e successiva analisi mediante Test
VIDAS ). I campioni che risultavano essere positivi al VIDAS
test sono stati seminati su Xylose Lysine Deoxycholate agar
(XLD) e le colonie sospette sono state identificate mediante
Biolog automatic system (Biolog Inc., Hayward, CA).
di sesamo da Salmonella spp. sono piuttosto discordanti. Le
percentuali di positività riscontrate in questo studio sono più
basse rispetto a quanto trovato a Cipro nel periodo 2009-2012
( 24% ) (2) ma più alte rispetto a quanto riportato da altri autori
che indicano percentuali di positività comprese tra il 1.7% e
2,0 % (10). Per quanto riguarda i sierotipi riscontrati , entrambi
sono stati coinvolti in episodi di tossinfezione alimentare ed in
particolare S. montevideo è stata frequentemente isolata in
diversi prodotti ottenuti dal sesamo (8,10).
In riferimento al conteggio di Enterobacteriaceae, tutti i
campioni esaminati sono risultati conformi ai limiti di riferimento
indicati dell’Istituto Superiore di Sanità nella nota 15739-21182/
CNRA/Al. 22 del 10/05/2005 (4). In tutti i campioni, infatti, sono
state riscontrate cariche di Enterobatteri inferiori a 50.000
ufc/g ed in particolare il
90.6 % dei campioni presentavano cariche comprese tra
1.6 x 102 e 3.1 x 104 ufc/g, il 6.3 % presentava cariche di 60 e
70 ufc/g e solo un campione presentava una carica inferiore a
10 ufc/g (3,1%). Inoltre i risultati delle analisi biologiche (DNA
Comet assay) (Fig. 1, 2) e fisiche (ESR) (Fig. 3, 4) effettuate
Fig. 1: Campione di sesamo
non irradiato
Fig. 2: Esempio di sesamo
irradiato
Tabella n. 1: Paese di origine, n. campioni ed analisi eseguite
India
n.
Campioni
34
Salmonella
spp.
13
Enterobatteri
totali
31
Nigeria
4
4
0
Pakistan
1
1
0
Egitto
1
0
1
Totale
40
18
32
Origine
Inoltre, in ottemperanza alla Raccomandazione 2004/24/CE
(7) che prevede la verifica di irraggiamento per le spezie con
cariche di Enterobatteri inferiori a 100 ufc/g, n. 3 campioni, che
presentavano queste cariche microbiche, sono stati analizzati
per valutare l’eventuale trattamento con radiazioni ionizzanti.
Sono stati applicati il metodo biologico DNA Comet Assay
(EN 13784) ed il metodo fisico di Spettroscopia di Risonanza
Elettronica di Spin (ESR) (EN 1787). Le misure ESR sono state
eseguite utilizzando uno spettrometro Bruker e-scan Food
Analyzer.
RISULTATI
Salmonella spp. è stata isolata in due campioni di sesamo
( 11.1% ) e gli stipiti sono stati identificati come S. stanleyville e
S. montevideo. I campioni erano stati prelevati da due differenti
partite importate dalla Nigeria e destinate ad uno stabilimento di
lavorazione e confezionamento dei semi di sesamo. In seguito
al riscontro di positività l’USMAF ha proceduto al respingimento
alla frontiera di entrambe le partite.
I dati riportati in letteratura riguardo la contaminazione dei semi
164
sui campioni con cariche inferiori a 100 ufc/g, non hanno dato
evidenza di avvenuto trattamento radiante .
Fig. 3 : Spettro ESR di un
Fig. 4 : Esempio di campione
di sesamo non irradiato
sesamo irradiato
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti evidenziano come il sesamo rappresenti
un prodotto meritevole di attenzione da parte delle Autorità
sanitarie. Diverse sono le segnalazioni a livello internazionale
di epidemie di Salmonellosi legate al consumo di semi di
sesamo e suoi prodotti derivati . Tuttavia , nel nostro caso,
il trattamento termico ( temperature di circa 200°C) a cui
il pane ed i prodotti da forno vanno sottoposti prima di essere
destinati al consumo, può rassicurare circa la possibilità del
verificarsi di episodi tossinfettivi, visto che le Salmonelle non
sopravvivono a temperatura superiore a 46°C. Non va però
trascurata la possibilità che durante la manipolazione del
sesamo e durante la fase di preparazione e produzione dei
prodotti, possa verificarsi la contaminazione crociata degli
ambienti e degli strumenti di lavoro. Ciò potrebbe comportare
un eventuale contaminazione di alimenti ivi presenti e destinati
al consumo senza alcun trattamento termico.
E’ da sottolineare come l’aumento degli scambi commerciali
di prodotti sia di origine vegetale che animale con Paesi Terzi
possa contribuire ad aumentare il rischio di introduzione e
quindi diffusione di sierotipi di Salmonelle “minori” nel territorio
comunitario con conseguenti riflessi sulla salute pubblica.
Inoltre si sottolinea l’importanza nell’implementare controlli su
questa tipologia di prodotti, per verificare l’eventuale trattamento
con radiazioni ionizzanti, al fine di tutelare il consumatore con
una corretta informazione. Infatti, la normativa comunitaria
prevede che gli alimenti sottoposti ad irraggiamento devono
essere correttamente etichettati riportando sulla confezione la
dicitura “IRRADIATO”.
BIBLIOGRAFIA
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165
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
L’IMPATTO MEDIATICO DELLA PARVOVIROSI DEL CANE: INGIUSTIFICATO ALLARME
PER UN CEPPO MUTATO DI CPV-2 A ROMA NEL 2012
Tabella 1 - Indagini svolte in Italia sulla diffusione delle tre varianti di CPV-2
1
Autori
Cardeti G., 1Barcaioli R., 1Sittinieri S., 1Dante G., 1Cittadini M., 2Desario C., 2Decaro N., 1Amaddeo D.
Istituto Zooprofilattico delle Regioni Lazio e Toscana, Biotecnologie, Roma
Dip.to di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, Valenzano (BA)
1
2
Keywords: Canine Parvovirus, Variants, Web
ABSTRACT
In Autumn 2012, some dramatic information about the circulation
of a mutate strain of Canine Parvovirus 2 among the dog
population in Rome was edited online in some web sites. CPV-2c
strain would have been responsible of severe disease till death.
Therefore CPVs from Rome province were herein analyzed to
characterize the strains and to provide a real insight into local
viral diffusion. Thirtynine CPV positive samples collected from
dogs in 2011-2012, were identified by ICT, IEM and PCR. Variant
prevalence was analyzed by MGB real time PCR. In Rome and
environs, CPV-2b was the most prevalent variant (58.97%),
while CPV-2a strain constituted 30.77% of the samples; CPV2c was 2.56%. The associations of all the variants isolated with
clinical symptoms indicate that in the area under investigation,
dull mentation, haemorrhagic gastroenteritis and hypothermia
occurred more frequently in infection with CPV-2b and CPV-2a
and not with CPV-2c as incorrectly recently announced in many
web sites.
Introduzione
Il Parvovirus canino 2 è considerato uno dei maggiori agenti
patogeni responsabili di gastroenterite acuta nel cane. Isolato
nel 1978, il CPV-2 è antigenicamente diverso dal CPV-1 (oggi
compreso nel genere Bocavirus), ma soprattutto risulta essere
più patogeno per il cane. Qualche anno dopo emerge la nuova
variante 2a e nel 1984 negli Stati Uniti viene identificata la
variante 2b. Le differenze antigeniche di queste varianti rispetto al
ceppo 2 originario, sono dovute a mutazioni puntiformi nel gene
codificante la proteina capsidica VP2 con conseguente presenza
nel residuo 426 di asparagina nel CPV-2a e aspartato in CPV-2b.
Nel 2000 (2), viene infine caratterizzata una terza variante, la 2c,
che presenta, sempre nel residuo 426, l’aminoacido glutamato.
Da allora numerosi studi ne hanno evidenziato la diffusione in
Europa (4; 5), in Sud America (10; 1), in USA (7), in Tunisia
(Touhiri et al., 2009 in 1), in Vietnam (9) e in Italia, dove sono state
condotte alcune indagini i cui risultati sono elencati in tabella 1.
Un rilievo riportato da alcuni ricercatori (6), è quello di aver isolato
la variante 2c oltre che nei cuccioli di 4-12 settimane (periodo
in cui gli anticorpi materni tendono a scomparire), anche in cani
adulti da 2 a 3 anni di età. Questa osservazione ha portato ad
ipotizzare che tale variante possa essere più patogena delle altre.
Nell’autunno 2012, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle
Regioni Lazio e Toscana (IZSLT) è stato consultato in relazione a
notizie allarmistiche apparse su Facebook (https://it-it.facebook.
com) ed in vari siti web (Repubblica online - www.repubblica.
it, A.N.M.V.I. - www.anmvioggi.it, Ordine dei Medici Veterinari di
Roma - www.ordineveterinariroma.it), su di un “virus mutato” di
Parvovirus canino, particolarmente aggressivo e responsabile
di malattia e morte di molti cani, a Roma e provincia. L’Istituto,
al fine di confermare o smentire l’ipotesi della circolazione della
variante 2c (“virus mutato”) nella suddetta popolazione canina,
ha ripreso i campioni relativi al periodo 2011-2012, conservati
congelati, già risultati positivi per Parvovirosi ed ha proceduto alla
loro caratterizzazione genetica.
Materiali e metodi
In totale sono stati esaminati n. 56 campioni di contenuto
intestinale di animali morti, pervenuti nel biennio 2011-2012, tutti
risultati positivi per Parvovirosi canina. Di questi, 36 provenivano
da Roma e provincia e 20 dal resto della regione Lazio. I soggetti
avevano presentato sintomi (febbre, vomito, diarrea emorragica,
leucopenia) e lesioni anatomo-istopatologiche riferibili a
Parvovirosi. L’evidenziazione del virus era stata effettuata
mediante: test immuno-cromatografico (AniTM Parvo Stick,
AniBiotech OY); immunoelettromicroscopia (8) e PCR end
point (5).
Per la caratterizzazione dei ceppi, è stata utilizzata la Real Time
PCR che usa sonde MGB, in grado di distinguere le tre varianti
di CPV-2 (5).
Risultati e conclusioni
La caratterizzazione dei ceppi risultati positivi per Parvovirosi, è
rappresentata nelle tabelle 2 - 3 e 4.
Dai risultati ottenuti, si evince che la variante più frequentemente
riscontrata è la 2b. Di contro, la variante 2c “incriminata” è stata
rilevata a Roma e provincia, soltanto una volta e solo nel 2011.
Da nostre precedenti indagini relative al quadriennio 2007-2010,
la variante 2a risultava quella maggiormente rilevata e la 2c era
presente nel 15,69% dei casi. Questi dati rispecchiano quanto
rilevato in altri Paesi del mondo, dove le percentuali di positività
delle tre varianti, mostrano valori altalenanti a seconda dell’area
di studio e del periodo di prelievo (1).
Infine, 5 campioni caratterizzati come variante 2b, erano stati
prelevati da soggetti di età compresa da 1 a 3 anni, probabilmente
non vaccinati e deceduti per sintomi riferibili a Parvovirosi nel
2012, a Roma e paesi limitrofi.
E’ stato osservato che all’interno di queste varianti antigeniche
esiste un alto livello di variabilità genetica dovuto all’intrinseco
alto tasso di mutazione del genoma del Parvovirus canino (1).
Nonostante l’affinamento delle tecniche diagnostiche e gli
approfonditi studi patogenetici su tali varianti, non è ancora chiaro
quali siano i meccanismi e/o le condizioni per cui una di esse
possa essere più patogena delle altre. Si è osservato però, che lo
stesso potenziale patogeno (sintomi clinici ed esito infausto della
malattia) di CPV-2a, CPV-2b, CPV-2c può aumentare in funzione
sia di particolari fattori quali età, presenza di anticorpi materni,
tipo di vaccino, eventi stressanti (3), che della risposta individuale
al Parvovirus.
Alla luce di queste considerazioni, le notizie circolate nel web lo
scorso autunno, vanno rilette riconfermando che quanto sopra
detto, può far pensare alla presenza di ceppi più o meno virulenti
e quindi a ceppi diversi, dando adito ad interpretazioni errate ed
affrettate che diventano rapidamente oggetto di discussione in
Internet.
166
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Periodo
Area
Tot. camp.
Pos.
2a
n. Pos/%
2b
n. Pos/%
2c
Pos/%
CPV-2
19972004
Italia
327
227/69,42%
27/8,26%
73/22,32%
ND
19952005
Italia
414
268/64,73%
49/11,84%
97/23,43%
ND
2006
Italia
107
43/40,19%
3/2,80%
57/53,27%
4/3,74%
20042008
Abruzzo
55
31/6,36%
1/1,82%
23/41,82%
ND
20082009
Italia
21
13/61,90%
3/14,30%
5/23,80%
ND
Tabella 2 - Risultati dell’identificazione dei ceppi di CPV-2 mediante real time PCR con sonde MGB
Periodo
Totale
camp. pos.
caratterizzati
Area
Lazio
RM e prov.
Lazio
RM e prov.
2011
2012
24
18
32
18
2a
n. Pos / %
7 / 29,16%
7 / 38,90%
8 / 25%
5 / 27,77 %
Tabella 3 - Prevalenza delle varianti di CPV-2 a Roma e
provincia, suddiviso nei due anni
50,00%
40,00%
70%
5,55%
27,77%
20,00%
0,00%
2 0 11
8,34%
0%
0%
CPV-2b
0%
C P V- 2 c
55,55%
62,50%
72,23%
75%
C P V- 2 c
50%
C P V- 2 b
40%
CPV-2c
30%
20%
C P V- 2 b
10,00%
5,55%
60%
CPV-2a
38,90%
30,00%
2 / 8,34%
1 / 5,55%
0 / 0%
0 / 0%
80%
55,55%
60,00%
15 / 62,5%
10 / 55,55%
24 / 75%
13 / 72,23%
90%
72,23%
70,00%
2c
n. Pos / %
Tabella 4 - Disposizione delle varianti per area geografica
Roma e provincia; Lazio) e per anni
10 0 %
80,00%
2b
n. Pos / %
38,90%
10 %
0%
C P V- 2 a
2 0 12
Roma
2 0 11
167
C P V- 2 a
2 9 , 16 %
27,77%
Laz i o
Roma
25%
Laz i o
2 0 12
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
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168
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
RICERCA DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE E GENI CODIFICANTI DA
STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE E FORMAGGI DELLA REGIONE LAZIO
Carfora V., Marri N., Sagrafoli D., Boselli C., Giacinti G., Patriarca D., Pietrini P., Giangolini G., Amatiste S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana
Centro di Referenza Nazionale per la Qualità del Latte e dei Prodotti Derivati degli Ovini e dei Caprini
Key words: staphylococcal enterotoxins (SEs), milk, dairy products
SUMMARY
The aim of this study was to determine the presence of
enterotoxigenic S. aureus by Multiplex-PCR (M-PCR) and by
reversed passive latex agglutination (RPLA). During 2011,
2012 and part of 2013, 169 isolates of S. aureus isolated
from milk and dairy products of different animal species
were investigated for the presence of genes encoding for
staphylococcal enterotoxins (SEs) by M-PCR. These data
were compared with the results obtained by using the kit
SET-RPLA for the SEs detection, since the presence of
SEs genes not always implies that the toxin is produced.
As a whole, 29.5% of the isolates were positive for genes
encoding “classical” SEs (sea, seb, sec, sed). Sec was the
most frequent gene (46.0%), and it was mainly found in
goat isolates. 61.0% of strains positive for sea, seb, sec,
sed produced the corresponding SEs. Our findings suggest
the opportunity to improve specific monitoring and control
programmes at the farm level to reduce subclinical mastitis,
a frequent cause of milk contamination by S. aureus.
di origine umana sembrano produrre più frequentemente
SEA (12). Altri Autori riportano che i ceppi in cui è presente il
gene seb sono spesso coinvolti nelle SFPs dell’uomo, quelli
in cui è presente sea nelle infezioni del bovino, mentre i
ceppi che presentano sec sono frequentemente associati a
casi di mastite nella capra e nel bovino (4). L’introduzione di
tecniche biomolecolari ha permesso di individuare in modo
rapido ed efficace i determinanti genetici coinvolti nella
sintesi delle SEs/SEls direttamente nei ceppi isolati, tuttavia
tale approccio diagnostico non consente di rilevare l’effettiva
produzione delle tossine da parte dei ceppi enterotossigeni.
Scopo di tale lavoro è stato quello di eseguire un’analisi
conoscitiva sulla presenza di geni codificanti le SEs
mediante Multiplex-PCR (M-PCR) in ceppi di S. aureus
isolati da latte e prodotti lattiero-caseari provenienti da 20
aziende localizzate nella regione Lazio e di confrontare tali
risultati con quelli ottenuti mediante test di agglutinazione
passiva inversa al lattice (RPLA), per la valutazione delle
tossine effettivamente prodotte.
INTRODUZIONE
Le enterotossine stafilococciche (SEs) rappresentano
attualmente una delle maggiori cause di intossicazione
alimentare; il latte e i prodotti lattiero-caseari sono spesso
associati alle intossicazioni alimentari da stafilococco
(SFPs) (13).
I sintomi clinici sono caratterizzati da
una rapida insorgenza ed includono nausea e vomito
accompagnati o meno da diarrea, solo occasionalmente
determinano l’ospedalizzazione del paziente. S. aureus
produce un’ampia varietà di tossine, tra cui le SEs,
enterotossine con attività emetica già dimostrata (SEASEB-SEC-SED-SEE-SEG-SEH-SEI-SER-SES-SET),
le
“enterotoxin like proteins” (SEls) il cui effetto emetico non è
stato dimostrato nei primati (SElL e SElQ) e infine quelle la
cui attività emetica deve essere ancora testata (SElJ, SElK,
da SElM a SElP, SElU, SElU2 e SElV). Tutte posseggono
attività superantigenica e i rispettivi geni codificanti possono
essere localizzati in elementi genetici accessori, che
includono profagi, plasmidi, isole genomiche nSa, isole di
patogenicità (SaPls) (2,8,13), oppure in prossimità della
cassetta cromosomica stafilococcica (SCC) implicata nella
meticillino-resistenza (2). Nelle SFPs sono spesso coinvolti
ceppi batterici produttori di una o più SEs (da SEA a SEE).
Sebbene siano stati documentati alcuni casi di intossicazioni
alimentari in cui sembrano essere coinvolte nuove tipologie
di SEs (da SEG a SET) e di SEls (da SElJ a SElU2), solo
la presenza di SEH sembra effettivamente essere associata
allo sviluppo di SFPs (2). E’ inoltre riportato in letteratura
che l’identificazione delle SEs potrebbe essere utilizzata
per studiare l’origine dei ceppi di S. aureus. E’ stato infatti
osservato che ceppi isolati da animali (bovini, ovini e capre)
sono in grado di produrre in prevalenza SEC, mentre quelli
MATERIALI E METODI
Nel corso degli anni 2011, 2012 e parte del 2013 e sono
state selezionate 169 colonie di stafilococchi coagulasi
positivi (48 di origine bovina, 38 caprina, 76 ovina, 5 asinina
e 2 ceppi isolati da formaggio di tipologia mista) provenienti
da campioni di latte (crudo e termizzato) e varie tipologie
di prodotti lattiero-caseari (formaggi freschi, stagionati e a
pasta filata) sottoposti a numerazione degli stafilococchi
coagulasi positivi secondo la ISO 6888-2: 1999 e Amd1:
2003 (1). Le suddette colonie ottenute da BP-RPF sono
state seminate su terreno Agar sangue defibrinato sterile di
montone al 5% e incubate a 37°C in aerobiosi effettuando
la lettura delle piastre dopo 24 ore. Successivamente,
le colonie sono state sottoposte alle seguenti prove di
identificazione per S. aureus: colorazione di Gram, test
della catalasi e PCR. Per la PCR, dopo estrazione del DNA
batterico mediante bollitura è stata effettuata l’amplificazione
di un frammento di 132 bp appartenente al gene FemA
utilizzando la seguente coppia di primers: GFEMAR-1
(5’-AAAAAAGCACATAACAAGCG-3’) e GFEMAR-2 (5’GATAAAGAAGAAACCAGCAG-3’). Il gene FemA codifica
per una proteina universalmente presente in tutti gli isolati
di S. aureus coinvolta nell’attività metabolica della parete
cellulare batterica (10).
I ceppi batterici identificati come S. aureus sono stati
sottoposti a M-PCR per il rilevamento dei geni codificanti
SEs/SEls (5,6), secondo il protocollo messo a punto dal
Laboratorio Comunitario di Riferimento (EU-RL CPS). Sugli
isolati positivi alla presenza dei geni sea, seb, sec e sed è
stata determinata l’espressione in vitro delle enterotossine
A, B, C, D mediante test RPLA utilizzando il kit SET-RPLA
(TD 9000, Oxoid, U.K.).
169
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
RISULTATI E CONCLUSIONI
169 colonie di stafilococchi coagulasi positivi selezionate
sono state identificate come S. aureus mediante test
fenotipici e PCR. Le stesse colonie sono state sottoposte
a M-PCR per la ricerca dei geni SEs. Nella tabella 1 è
riportato il numero degli isolati positivi a sea, seb, sec e
sed e la relativa produzione e identificazione delle tossine
SEs mediante SET-RPLA (SEA-SED): di 41 ceppi in cui è
stata rilevata la presenza di sea-seb-sec-sed, 25 si sono
confermati produttori di tossine (61.0%). Questo dato
conferma come la presenza di ceppi che presentano geni
codificanti la tossina, non sempre si affianca alla produzione
della tossina stessa. In determinate condizioni (temperatura,
pH, aW, concentrazione di cloruro di sodio), le enterotossine
stafilococciche possono non essere prodotte o essere
presenti in concentrazioni inferiori al limite di rilevazione
del SET-RPLA (1 ng/ml) (7). I geni codificanti le SEs inoltre
potrebbero subire delle mutazioni a livello delle regioni
codificanti o in quelle regolatrici: ad esempio, secondo alcuni
Autori, il blocco dell’espressione genica di SED non sembra
essere correlata alla stabilità dell’RNA ma si verificherebbe
durante la sintesi proteica (9).
Tabella 2 – isolati positivi e negativi alla presenza di geni SEs/
SEls (sea-ser) in relazione all’origine dei campioni
Tabella 1- Isolati batterici positivi alla presenza di geni
codificanti sea-sed mediante M-PCR e relativa produzione
della tossina mediante SET-RPLA
RPLA / M-PCR
N° ISOLATI POSITIVI RPLA / PCR (%)
SEA/Sea
2/4 (50.0%)
SEB/Seb
2/2 (100%)
SEC/Sec
17/26 (65.4%)
SED/Sed
4/9 (44.4%)
Totale
25/41 (61.0%)
Nella tabella 2 sono riportati gli isolati batterici positivi ai
geni codificanti SEs/SEls (sea-ser) rilevati tramite M-PCR in
relazione all’origine dei campioni. Dall’analisi in PCR si rileva
un certo grado di eterogeneità tra i profili dei geni codificanti
SEs: è stato infatti possibile raggrupparli in 10 combinazioni
geniche. Su 50 isolati positivi (29.5%) ai geni codificanti SEs,
sec è stato il gene più frequentemente riscontrato (46.0%). Tale
dato conferma quanto riportato in bibliografia sulla maggior
diffusione di sec nei ceppi batterici isolati da animali (11,12).
Inoltre considerando che sec è stato isolato nel 2.0% dei
ceppi bovini, nel 13.1% dei ceppi ovini e nel 34.2% dei ceppi
caprini, viene avvalorato quanto riportato riguardo la maggiore
diffusione di tale gene negli S. aureus di origine caprina (12).
Sea e sed sono stati identificati solo in ceppi isolati da latte
crudo bovino: il primo è stato riscontrato nell’ 8.3% degli
isolati bovini sempre associato a sed, a sua volta riscontrato
nel 18.7% degli isolati bovini. Seb è stato riscontrato solo in
2 ceppi isolati da un formaggio speziato di capra. Sono stati
isolati 5 ceppi sec positivi tutti produttori di SEC dal formaggio
di tipologia mista, di tali ceppi non è stato possibile stabilire la
provenienza (bovina o ovina).
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
M-PCR
N°
Ceppi
bovino
ovino
caprino
asinino
misto
adj
1
1
0
0
0
0
adr
2
2
0
0
0
0
adrj
1
1
0
0
0
0
bc
2
0
0
2
0
0
c
23
1
9
11
0
2
cgi
1
0
1
0
0
0
dj
5
5
0
0
0
0
g
5
0
0
5
0
0
gi
5
5
0
0
0
0
h
5
0
5
0
0
0
POS
50
15
15
18
0
2
NEG
119
33
61
20
5
0
TOTALE
169
48
76
38
5
2
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230.
Tra le nuove tipologie di geni codificanti SEs/SEls quelle
maggiormente riscontrate sono risultate seg (7.1%) spesso
associata a sei (4.1%), seh (2.9%) e sej (4.1%) sempre associata
a sed. I geni see e sep non sono stati riscontrati in nessuno
dei 169 isolati. Una elevata prevalenza di ceppi positivi ai geni
seg-sej è stata riscontrata anche da altri Autori, ad esempio
in uno studio condotto in Francia su 332 S. aureus isolati da
varie tipologie di alimenti, è stato perfino riscontrato un maggior
numero di ceppi positivi a seg, seh, sei e sej (57.0%) rispetto a
quelli positivi ai geni codificanti le enterotossine classiche (8).
La maggior parte degli studi condotti sulle enterotossine SEASEE dimostra una buona correlazione tra la presenza di geni
codificanti SEs e la produzione delle tossine corrispondenti.
Questo aspetto non è stato ancora chiarito per gli altri geni
codificanti SEs/SEls come il ruolo che alcuni di questi svolgono
nella genesi delle SFPs, per questo ulteriori approfondimenti
dovranno essere effettuati per chiarire tale aspetto. I metodi
biomolecolari possono costituire un rapido ed efficace metodo
di screening per la rilevazione di geni codificanti SEs, anche se
sarebbe opportuno affiancarli sempre ad altri metodi per ottenere
informazioni sull’espressione di tali geni (2,3,8). Purtroppo per
le SEs/SEls recentemente identificate, i metodi attualmente
utilizzati per la valutazione delle tossine effettivamente prodotte
sono poco disponibili e non standardizzati. La presenza in latte
e formaggi di S. aureus produttori di SEs di origine animale,
suggerisce di prestare particolare attenzione al management
igienico-sanitario degli animali in allevamento, in modo da
ridurre le mastiti subcliniche, che spesso costituiscono la causa
più frequente di contaminazione del latte (7).
170
Ringraziamenti: si ringrazia per la consulenza tecnica il
Laboratorio Nazionale di Riferimento per gli stafilococchi
coagulasi positivi compreso S. aureus.
171
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
ISOLAMENTO DI PSEUDORABIES VIRUS (PrV) GENOTIPO II
IN VOLPE ROSSA ITALIANA (Vulpes vulpes)
Caruso C1., Dondo A.1, Cerutti F.1, Masoero L.1, Rosamilia A.2, D’ Errico V.1, Grattarola C.1, Acutis P.L.1, Peletto S.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (Sezione di Torino). 2Istituto Zooprofilattico
Sperimentale Lombardia ed Emilia Romagna
Key words: Aujeszky, PrV, fox
SUMMARY
Aujeszky’s disease (AD), caused by Suid herpes virus 1
(SHV1) which is also called Pseudorabies virus (PrV), is an
economically important disease in domestic swine, the natural
hosts of the virus. A variety of mammals other than suids,
with the exception of humans, and notably the carnivores are
considered dead-end hosts since infection is normally fatal
before virus excretion occurs. This report describes a case of
AD occurred in a female of red fox (Vulpes vulpes). The red
fox showed atypical behavior with neurological symptoms,
facial pruritus and motor incoordination. Virological isolation
from brain tissue, direct immunofluorescence test, and nested
PCR allowed identification of PrV. Phylogenetical analysis
classified PrV as genotype II. Even though the wild boar seems
to be the most important “wild reservoir” for PrV, the identified
red fox strain clustered in the phylogenetic tree with sequences
recovered in swine and in working dogs from farms in Northern
Italy, suggesting pigs as possible source of infection. The
results underline the importance of biosecurity measures in pig
farms and of proper disposal of dead pigs to prevent contact
with wild animal.
INTRODUZIONE
Osservato e descritto per la prima volta nel 1813, il morbo di
Aujeszky o Pseudorabbia è una malattia virale causata da Suid
herpes virus 1 (SuHV1), denominato anche Pseudorabies virus
(PrV) , famiglia Herpesviridae, sottofamiglia Alphaherpesvirinae
Gli unici ospiti naturali per il PrV sono i membri della famiglia
Suidae, in cui sono rilevabili sia i diversi quadri della malattia
(encefalite, polmonite, enterite, turbe della funzione riproduttiva)
che infezioni asintomatiche o subcliniche, nonché infezioni
latenti con possibilità di riattivazione in presenza di fattori
stressogeni o immunodepressivi. Nella specie suina i soggetti
di ogni età sono da ritenere recettivi all’infezione; tuttavia la
maggiore espressione clinica della pseudorabbia (encefalite
ad esito letale) si ha nelle prime settimane di vita e la sua
evoluzione è fortemente influenzata dall’immunità passiva
colostrale. Oltre al suino ed al cinghiale, altri animali domestici
e selvatici (bovino, pecora, cane, gatto capra, ratto, procione,
opossum) e diversi animali da pelliccia risultano suscettibili
all’infezione (1). Nelle specie diverse dai suidi, l’infezione,
oltre ad essere poco o nulla diffusibile, determina la morte dei
soggetti colpiti in percentuale quasi pari al 100%, portando a
considerare i mammiferi diversi dal maiale e dal cinghiale come
“ospiti aberranti” o “a fondo cieco” (2). L’ infezione da virus della
malattia di Aujeszky è presente in Italia in popolazioni di cinghiali
che condividono il proprio territorio con alcuni predatori come
la volpe, il lupo e l’orso bruno marsicano; conseguentemente è
possibile che l’infezione possa diffondere nei carnivori selvatici
attraverso un ciclo preda-predatore.
Nel presente lavoro è riportato un caso di malattia di Aujeszky in
una femmina adulta di volpe rossa (Vulpes vulpes) in Regione
Sagnassi, comune di Centallo (CN).
La volpe manifestava eclatante anomalia comportamentale,
riconducibile a sintomatologia nervosa con incoordinazione
motoria e aggressività; in particolare, gli addetti del Servizio
Veterinario intervenuti riportavano che l’animale si rotolava
nella neve, scagliandosi contro le siepi e mordendo rami e
arbusti.
MATERIALI E METODI
Presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Piemonte, Liguria
e Valle d’ Aosta - Sede di Torino - è stata effettuata la necroscopia,
seguita dagli esami diagnostici mirati all’accertamento della
causa di morte. Le indagini sono state implementate con
l’isolamento e la ricerca di genoma virale di PrV.
- IMMUNOFLUORESCENZA DIRETTA - Per la diagnosi
diretta di PrV sono state allestite quattro sezioni di circa 4-6
µm a partire da porzioni di encefalo, successivamente fissate
e colorate con anticorpo monoclonale coniugato, specifico anti
PrV (EUROCLONE).
- ISOLAMENTO VIRALE - I campioni di encefalo sono stati
tritati ed estratti in MEM EARLE antibiotato 5x. La sospensione
è stata successivamente chiarificata mediante centrifugazione
a 3500 rpm per 30 minuti a +4°C ed il surnatante inoculato su
monostrati di cellule RK13 (Rabbit kidney) coltivati su piastre
24 pozzetti ed incubati a 37°C in presenza del 5% CO2 .
L’identificazione virale è avvenuta mediante allestimento di
chamber - slides con infezione a monostrato fissate in etanolo
freddo e colorate con anticorpo monoclonale coniugato
specifico anti PrV (EUROCLONE).
- NESTED PCR PER RICERCA GENOMA PrV - 25 µl di cervello
ed omogenato cellulare di RK13 che hanno mostrato ECP alla
procedura di isolamento virale, sono stati estratti mediante
PureLink Genomic DNA mini Kit (Invitrogen) seguendo le
istruzioni della casa produttrice. La presenza del genoma virale
di PrV nel campione è stata determinata mediante nested
PCR per la ricerca del gene della glicoproteina gB utlizzando
sequenze i primers (3) riportate in tabella 1.
Tabella 1 – Primers utilizzati per la nested Pcr
PRIMERS
gB first 05
gB first 03
gB second 05
gB second 03
SEQUENZA 5’-3’
ATGGCCATCTCGCGGTGC
ACTCGCGGTCCTCCAGCA
ACGGCACGGGCGTGATC
GGTTCAGGGTCACCCGC
(bp)
334
195
- ANALISI FILOGENETICA - Per l’analisi filogenetica sono state
amplificate regioni del gene codificante per la glicoproteina gC
(788 bp) e del gene codificante per la glicoproteina gE (493
bp). Gli alberi filogenetici dei due frammenti sono stati costruiti
con il programma PhyML v3.1 specificando il modello evolutivo
172
migliore ottenuto dall’analisi mediante programma jModeltest2.
Negli alberi sono state inserite sequenze di riferimento
disponibili in GenBank.
- DIAGNOSI DIFFERENZIALE - Per la diagnosi differenziale
sono state escluse le principali cause batteriche mediante
esame colturale classico. Al fine di escludere sia la rabbia che
il cimurro, malattie responsabili di sintomatologia neurologica
nei carnivori, sezioni di encefalo sono state processate
e sottoposte a IFD, secondo metodica precedentemente
descritta, e colorate con anticorpo monoclonale specifico anti
Rhabdovirus (BIO-RAD), and anti Canine Distemper Virus
(VMRD Inc.), rispettivamente.
RISULTATI E CONCLUSIONI
All’esame necroscopico esterno, la volpe non mostrava lesioni
evidenti: solo la testa appariva edematosa e con chiari segni
di scarificazione dovuto al grattamento continuo da intenso
prurito.
L’esame anatomopatologico non ha rilevato alterazioni
macroscopiche significative riferibili a malattie infettive o
infestive a carico dei visceri addominali e toracici. Gli esami
di IFD per Rhabdovirus e Canine distemper virus hanno dato
entrambi esito negativo.
Le sezioni di encefalo hanno mostrato una fluorescenza
intracellulare specifica per PrV. Contestualmente, le indagini
virologiche effettuate hanno permesso l’isolamento del virus
dopo 72 h di incubazione su monostrato cellulare RK13 e la
successiva messa in evidenza mediante colorazione con
anticorpo monoclonale coniugato.
Le indagini biomolecolari hanno confermato la presenza di
genoma virale di PrV sia nel campione di encefalo sia nel
monostrato cellulare RK13 che presentava ECP alla procedura
di isolamento (Figura 1).
di cinghiale che condividevano lo stesso territorio della
volpe. Tuttavia, l’epidemiologia molecolare e la ricostruzione
dell’albero filogenetico non supportano questa ipotesi, in
quanto dimostrano che il virus isolato dalla volpe appartiene
al genotipo II/cluster B (Figura 2); infatti, secondo quanto
riportato in letteratura, PrV genotipo II sembra essere associato
esclusivamente a stipiti isolati nel suino domestico e in cani
domestici che vivevano presso allevamenti suini. PrV genotipo
I sembra invece circolare esclusivamente nel cinghiale e,
conseguentemente, in cani da caccia (2). L’analisi filogenetica
è stata quindi effettuata su altri due stipiti virali isolati da un
cane da caccia e da un cinghiale, provenienti dalla stessa area
geografica della volpe, che si sono, in effetti, rivelati appartenere
al genotipo I/cluster C.
L’albero filogenetico mostra inoltre che sequenze del gene gC,
simili al virus isolato nella volpe, sono state identificate in suini
domestici e in cani che vivevano in allevamenti suini in Nord
Italia da altri autori (5). L’ipotesi più accreditata è quindi che
la volpe si sia infettata mediante consumo di carne di suino
infetta; ciò pone l’accento sull’importanza delle misure di
biosicurezza negli allevamenti suini e del corretto metodo di
smaltimento delle carcasse al fine di prevenire il contatto con
animali selvatici.
Figura 2 – Albero filogenetico basato sul gene gC di PrV.
Figura 1 – Nested PCR encefalo / surnatante RK13
Le possibilità che hanno i carnivori selvatici di venire a
contatto con il virus sono molteplici, tra cui quella di contagiarsi
nutrendosi di scarti di rifiuti organici contaminati dal virus;
tuttavia la conformazione territoriale e l’inaccessibilità delle
aree deputate allo smaltimento di tali rifiuti rende, nel nostro
caso, quest’ ipotesi poco percorribile.
Un’altra ipotesi plausibile è che la trasmissione del virus alla
volpe possa essere avvenuta mediante consumo di carne di
cinghiale contaminata da PrV. Sotto questo aspetto il cinghiale
si colloca come importante “wild reservoir” del virus, come
confermato anche dal monitoraggio sierologico e da precedenti
isolamenti effettuati presso il nostro laboratorio in popolazioni
173
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
BIBLIOGRAFIA
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Italy - Transbound Emerg Dis. 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
EPATITE E (HEV): INDAGINE SIEROLOGICA, VIROLOGICA E FILOGENETICA SULLA
POPOLAZIONE DI CINGHIALI PIEMONTESI
Caruso C.1, Modesto P.1, Peletto S.1, Bertolini S.1, Soncin A.1, De Marco L.1, Buholzer P.2, Boin C.1,
Acutis P.L.1, Masoero L.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino
2
Prionics Ag – Zurich, Switzerland
Key words: HEV, wild boar, zoonosis
SUMMARY
The hepatitis E virus (HEV) is a small, non-enveloped, singlestranded RNA virus classified in the Hepeviridae family as
Hepevirus genus. Four major genotypes and only one serotype
have been identified. Pigs, wild boars and perhaps others species
such as deer and rabbits that harbor HEV strains closely related to
human strains must be considered reservoir in industrial countries.
To assess the potential risk of zoonotic transmission of HEV from
wild boar, we analyzed 594 serum and 320 liver samples from wild
boar in order to search for antibody anti - HEV and viral genome
respectively. Twenty nine out of 594 serum tested positive to ELISA
commercial kit (p= 4,9%), and HEV RNA was detected in 12 out
of 320 liver samples (p= 2,8%) using a one step Real Time RTPCR. Phylogenetical analysis classified isolates as genotype 3,
subtype 3f and 3e. Improving correct sanitary and food education
may help prevent HEV risk of infection in occupationally exposed
categories and consumers.
INTRODUZIONE
L’ Hepatitis E Virus (HEV), agente eziologico dell’epatite E
umana, è un piccolo virus (27-34 nm) a RNA monofilamento e
simmetria icosaedrica, privo di envelope, classificato nella famiglia
Hepeviridae (1). Il genoma del peso di circa 7,2 kb è costituito da
una corta regione non tradotta 5’ (UTR) seguita da 3 open reading
frames (ORFs, 1, 2, 3) e una seconda regione non tradotta con
una sequenza poly A all’estremità 3’ (2). Nel complesso, i ceppi di
HEV dei mammiferi appartengono a 4 differenti genotipi: i genotipi
1 e 2 sono limitati all’uomo e sono spesso associati ad infezioni ed
epidemie in Asia, Africa e Messico, mentre i genotipi 3 e 4 sono
zoonotici, colpendo sia l’uomo che gli animali (suini, cinghiali,
cervi). Il genotipo 3 si trova principalmente in Europa, Stati Uniti
e Giappone, mentre il genotipo 4 è stato identificato in Asia (Cina,
Giappone e India) e in Europa. I quattro genotipi sono stati
inoltre subclassificati in 24 sottotipi con differente distribuzione
geografica:1a-1e (genotipo 1), 2a-2b (genotipo 2), 3a-3j (genotipo
3), 4a-4g(genotipo 4) (3).
Nel suino e nel cinghiale l’infezione decorre in maniera
asintomatica, provocando di regola infezioni subcliniche con segni
di epatite rilevabili solo a livello istologico. Nel suino domestico,
il periodo di incubazione dura in media quattro settimane; gli
animali infetti eliminano il virus con le feci a partire dalla seconda
settimana post infezione per un periodo che può raggiungere le 7
settimane, sieroconvertendo a circa 2-3 settimane post infezione
(4). Conseguentemente, il picco anticorpale si ha tra i 3 e i 5 mesi
di età e gli animali restano altamente sieropositivi fino a 6 - 7 mesi
di vita, con le IgG che cominciano lentamente a decrescere fino
alla negativizzazione dell’animale, con conseguente possibile
reinfezione nel corso della sua carriera produttiva.
Il consumo di fegato crudo e carne di cinghiale e cervo poco
cotta ha portato a casi umani in cui è stato isolato il genotipo 3
(5). In Piemonte la presenza dell’HEV negli allevamenti suinicoli
è stata segnalata attraverso un precedente studio condotto su 42
174
allevamenti, di cui 40 risultati sierologicamente positivi; tutti gli
stipiti isolati appartenevano al genotipo 3.
Per comprendere la possibilità di rischio per l‘ uomo di trasmissione
della malattia dagli animali selvatici, è stata condotta un’indagine
sierologica e virologica nella popolazione di cinghiali del territorio
piemontese.
MATERIALI E METODI
Per l’indagine sierologica e biomolecolare sono stati testati,
rispettivamente, 594 sieri e 320 campioni di fegato di cinghiali
provenienti dall’ attività venatoria 2011/2012 e 2012/2013. ANALISI
SIEROLOGICA - I campioni di siero sono stati testati in un’unica
diluizione 1/100 mediante un kit ELISA commerciale (PrioCHECK
HEV Ab Porcine). Il metodo consiste in una tecnica ELISA di tipo
indiretta in cui l’ antigene ORF2 e ORF 3 HEV sono adesi alla
piastra. Il test ha una sensibilità del 91% ed una specificità del
94% (6).
ONE STEP REAL TIME RT-PCR - L’RNA è stato estratto dai tessuti
con Trizol seguendo il protocollo della ditta di produzione, e
risospeso in 20 ml di acqua RNA/DNA free. La reazione PCR è
stata effettuata su un volume di 25 ml. La metodica descritta in
bibliografia (7) utilizza primer specifici per la regione dell’ORF3
altamente conservata in tutti i genotipi di HEV. I campioni con ct >
38 sono stati considerati negativi; i campioni con 36 < ct < 38 sono
stati considerati dubbi; i campioni con ct < 36 sono stati considerati
positivi. I campioni dubbi e positivi sono stati retrotrascritti (Life
Technologies) e analizzati con nested PCR per la conferma e la
successiva analisi filogenetica.
NESTED PCR - La metodica descritta in bibliografia (8) prevede
l’utilizzo di due set di primers degenerati per la regione 5’ della
ORF2. Il primo step amplifica un frammento di circa 710 bp,
mentre nel secondo step il prodotto amplificato è di 348 bp ed è
costituito da una regione variabile in grado di fornire un segnale
filogenetico paragonabile al full genome.
ANALISI FILOGENETICA - Gli ampliconi ottenuti con nested PCR
sono stati sottoposti a sequenziamento diretto. A questo scopo
i prodotti di PCR sono stati purificati con il kit del commercio
EUROGOLD Cycle-Pure Kit e marcati mediante reazione di
cycle-sequencing utilizzando il kit Big Dye Terminator Cycle
Sequencing V.3.1 (Life Technologies). Gli amplificati marcati
sono stati purificati utilizzando il kit AutoSeq G-50 Dye Terminator
Removal Kit e sequenziati mediante sequenziatore automatico
ABI PRISM 3130 (Life Technologies). Le sequenze ottenute sono
state visualizzate ed editate manualmente utilizzando il software
Sequencing Analysis ed allineate con BIOEDIT (http://www.mbio.
ncsu.edu/bioedit/bioedit.html) selezionando l’algoritmo Clustal W.
L’analisi filogenetica è stata eseguita con MEGA 5.0 utilizzando il
metodo neighbor joining e selezionando il modello Kimura-2. La
robustezza dell’albero generato è stata valutata mediante test di
bootstrap con 1000 reiterazioni. Per il calcolo delle percentuali di
similarità e divergenza tra gli stipiti identificati è stato utilizzato il
software MegAlign del pacchetto Lasergene (DNASTAR Inc.).
175
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
RISULTATI E CONCLUSIONI
Ventinove sieri su 594 testati sono risultati positivi con una
prevalenza del 4,9% (IC95% = 3.3 – 6.9). La figura 1 rappresenta
la distribuzione delle aree territoriali del prelievo e delle positività
riscontrate.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
ESTRATTI POLISACCARIDICI DA ALGHE DEL MEDITERRANEO: VALUTAZIONI
DELL’ATTIVITA’ CITOTOSSICA IN COLTURE DI LEISHMANIA INFANTUM
poco cotta e sui prodotti a base di fegato.
In tale contesto epidemiologico, l’educazione sanitaria in
categorie professionalmente esposte (veterinari dei centri di
raccolta selvaggina e cacciatori) (10) affiancata all’educazione
alimentare del consumatore, risultano di fondamentale
importanza al fine di prevenire il rischio di trasmissione
zoonosica e alimentare.
Castelli G.1, Bruno F.1, Migliazzo A.1, Vitale F.1, Piazza M.1, Armeli Minicante S.2, Michelet S. 2,
Sfriso A.2, Morabito M.3, Genovese G.3
BIBLIOGRAFIA
Fig.1
I risultati delle indagini biomolecolari effettuate hanno rilevato
la presenza di genoma virale in 12 campioni su 320 testati (p=
3,8% IC95%, 1.9% - 6.5%). L’analisi filogenetica degli isolati ha
messo in evidenza come tutti gli stipiti identificati appartenessero
al genotipo 3, nello specifico 7 sequenze sono risultate sottotipo
3f e 5 sottotipo 3e. Martinelli et al (9) hanno riportato dati di
sieroprevalenza più alti (10,2%) in popolazioni di cinghiali del
Centro Nord Italia e non hanno evidenziato positività alla ricerca di
genoma virale. Carpentier (10) in un lavoro del 2012, ha rilevato
una percentuale di sieropositività variabile tra il 10,5% in soggetti
inferiori all’anno e 15, 7% in soggetti superiori all’anno. La minore
prevalenza rilevata nel nostro studio, nonché il rilevamento di HEV
in 12 campioni di fegato potrebbe essere giustificata da diversi
valori di sensibilità e specificità dei kit ELISA utilizzati nei diversi
studi, nonché da differenti protocolli biomolecolari. I ceppi virali
identificati appartengono tutti al genotipo 3 nel quale si collocano
sia sequenze di origine umana che suina, supportando l’ipotesi di
un potenziale rischio zoonotico degli stipiti di HEV circolanti nella
popolazione di cinghiali del territorio oggetto di studio.
Ulteriori considerazioni potrebbero emergere da questo studio,
classificando i sieri e i fegati per classi di età e sesso.
I continui dati di sieropositività riportati in bibliografia, seppure
con percentuali di prevalenza variabili, dimostrano l’effettiva
circolazione del virus in popolazioni di cinghiali in diverse aree
territoriali europee. Riguardo la possibilità di trasmissione della
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epatitis E virus seroprevalence in forestry workers and in wild boars in
France.
malattia per via alimentare, la positività virologica riscontrata
pone l’attenzione sulla carne di cinghiale consumata cruda o
176
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, C.Re.Na.L via GinoMarinuzzi, 3-90129Palermo, Italy
Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatiche e Statistiche, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia, Italy
3
Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali (Botanica), Università di Messina, Salita Sperone 31, 98166 Messina, Italy
1
2
Key words: Sulfated polysaccharides, Leishmania infantum, secondary cell lines
SUMMARY
Sulfated polysaccharides derivatives from marine macroalgae
have been shown to possess a variety of biological activities
against fungi, bacteria, viruses and protozoa. The aim of this
study is to investigate the in vitro anti-leishmanial activity of
polysaccharides from Mediterranean Sea’s different macroalgae.
The polysaccharides studied were extracted from the red algae Gracilaria bursa-pastoris, Gracilaria viridis, Agardhiella
subulata, Hypnea cornuta from the brown algae Sargassum
muticum, Undaria pinnatifida and from the green alga Chaetomorpha linum. Under the same assay conditions, only three of
the 7 polysaccharides are active against Leishmania infantum,
and the polysaccharide extracted from Undaria pinnatifida is
the most potent.
According to our results, the sulfated polysaccharides are able
to modulate the growth rate and cell survival of L. infantum promastigotes in vitro assays and don’t alter significantly the viability of three secondary cell lines.
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni le sostanze naturali di origine marina
hanno suscitato l’interesse dei ricercatori sullo studio
delle proprietà biologiche di tali sostanze, in particolare la
ricerca si è rivolta all’identificazione dei “principi attivi” di
sostanze ricavate da specie di aree geografiche diverse.
Complessivamente, più di 3000 nuove sostanze sono state
estratte da diversi organismi marini, dimostrando pertanto il
grande potenziale di questo ambiente quale fonte di nuove
classi chimiche (1). In particolar modo i polisaccaridi presenti
nelle alghe marine hanno evidenziato interessanti proprietà
biologiche quali: anticoagulante, antitrombotica, antivirale (2),
antiproliferativa, antiadesiva, immunostimolante, antiossidante,
antinfiammatoria e antiparassitaria (3, 4).
Pol.
003
Pol.
062
Pol.
007
Pol.
039
Pol.
019
Pol.
057
Pol.
028
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
--
L929
DH82
MDCK
Tabella 1 - Attività citotossica dei polisaccaridi in cellule L929,
DH82 e MDCK, tramite saggio MTT.(--) non tossico.
Queste proprietà rendono tali composti interessanti per
l’applicazione in ambito farmaceutico. Pertanto, lo scopo
del presente studio è stato quello di analizzare l’attività
citotossica dei polisaccaridi algali, provenienti da diverse
macroalghe del Mare Mediterraneo, sia in tre differenti
linee cellulari immortalizzate e sia in colture di Leishmania
infantum. I polisaccaridi oggetto di studio sono stati estratti
dalle alghe rosse Gracilaria bursa-pastoris (Pol. 003),
Gracilaria viridis (Pol. 062), Agardhiella subulata (Pol. 007),
Hypnea cornuta (Pol. 039), dalle alghe brune Sargassum
muticum (pol 019), Undaria pinnatifida (Pol. 057) e dall’alga
verde Chaetomorpha linum. (Pol 028).
MATERIALI E METODI
L’attività citotossica dei 7 polisaccaridi è stata esaminata utilizzando il saggio colorimetrico 3-(4,5-dimethyl2thiazolyl)-2,5-diphenyl-2H-tetrazolium bromide (saggio
MTT) in 3 linee cellulari immortalizzate: fibroblasti murini
(L929), monociti-macrofagi canini (DH82) e cellule epiteliali
di cane (MDCK). Le cellule sono state seminate in piastre
da 96 pozzetti ad una densità di 1×105 cellule/pozzetto e
incubate a 37 ° C, con il 5% di CO2. Dopo 24 ore i polisaccaridi sono stati aggiunti ad una concentrazione finale di 0,02, 0,04, 0,08 e 0,16 mg/ml, a 37 °C. Dopo 48 ore,
l’assorbanza è stata letta a 570 nm, usando un lettore di
micropiastre Spectrostar Nano (BMG LabTech). Il ceppo di
Leishmania infantum, IPT1 ZMON1, è stato ottenuto dalla
collezione dell’Istituto Superiore di Sanità (Roma, Italia). Fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml di terreno di coltura RPMIPY, sono state inoculate con 4x106/ml promastigoti e trattate
con concentrazioni seriali (0,02, 0,04, 0,08 e 0,16 mg/ml)
dei 7 polisaccaridi. Dopo 48 ore di incubazione a 24°C, si è
proceduto alla valutazione della percentuale di vitalità delle
Leishmanie, tramite conteggio in camera di bϋrker, e rispetto
alla coltura di controllo rappresentativa del 100% di vitalità.
L’effetto apoptotico esercitato dai composti algali sul ceppo
di L. infantum MON1/IPT1 è stato stimato morfologicamente
tramite colorazione May-Grϋnwald Giemsa. I dati ottenuti,
dagli esperimenti ripetuti in triplicato, sono stati confrontati con analisi statistica mediante t-test. I valori considerati
statisticamente significativi presentano un p-value inferiore
a 0,05.
RISULTATI E CONCLUSIONI
La tabella 1 mostra i dati attinenti l’azione citotossica dei 7
polisaccaridi in linee cellulari fibroblastiche murine (L929),
in linee cellulari macrofagiche canine (DH82) e in cellule
epiteliali di cane (MDCK), evidenziando una vitalità cellulare
maggiore rispetto al valore cut-off (60%), definendo tali polisaccaridi potenzialmente non tossici.
177
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 1 - Istogramma rappresentante le percentuali di vitalità della Leishmania infantum trattata per 48 ore con i polisaccaridi
Pol. 003, Pol. 062, Pol. 007, Pol. 039, Pol. 019, Pol. 057, Pol. 028. I dati sono statisticamente significativi con un p-value< 0,05.
EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI PARVOVIRUS DEI CARNIVORI
IN PUGLIA E BASILICATA
Vitalità Leishmania infantum (%)
120
Pol. 003
Pol. 062
Pol. 007
Pol. 039
Pol. 028
Catanzariti R.1, Decaro N.2, Padalino I.1, Parisi A.1, Desario C.2, Narcisi D.2, Palazzo L.1, Nardella La Porta A.1,
Cavaliere N.1, Buonavoglia C.2
2
80
1
Istituito Zooprofilattico di Puglia e Basilicata, Foggia
Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studidi Bari, Valenzano (BA)
Key words: Cane, Gatto, Parvovirus,Caratterizzazione molecolare
60
40
20
20
40
µg/ml
In figura 1 sono riportate le percentuali di vitalità della Leishmania infantum trattata per 48 ore con le diverse concentrazioni
dei polisaccaridi, mettendo in evidenza una diversa azione citotossica, nei confronti del parassita, tra i polisaccaridi oggetto
di studio.
Figura 2 - Curva di vitalità di Leishmania infantum, trattata per
48 ore con concentrazioni seriali del polisaccaride Pol. 057. I
dati sono statisticamente significativi con p-value<0,001.
100
80
60
40
20
20
40
µg/ml
80
160
In figura 3 si osserva l’effetto citotossico esercitato, dopo 48 ore
alla massima concentrazione (0,16 mg/ml) del campione Pol.
057 sul ceppo di L. infantum tramite colorazione May-Grϋnwald
Giemsa. La figura 3 A rappresenta la coltura di Leishmania infantum (controllo), senza alcuna somministrazione di polisaccaride ma con analogo volume di diluente dell’estratto polisaccaridico, mentre in figura 3 B è possibile osservare parassiti
trattati con 0,16 mg/ml, dove non sono riscontrabili forme inte-
80
160
gre di Leishmania, ma corpi apoptotici, a conferma della potenziale attività anti Leishmania dei polisaccaridi estratti dall’alga
Undaria pinnatifida.
Gli estratti polisaccaridici Pol. 019 (ricavati dall’alga bruna Sargassum muticum) e Pol. 062 (dall’alga rossa Gracilaria viridis)
mostrano una moderata attività anti-Leishmania. Come si evince in figura 2 l’estratto polisaccaridico da Undaria pinnatifida
(Pol. 057) presenta una potente azione citotossica nei confronti
di colture promastigoti di L. infantum. Dopo 48 di trattamento, la
coltura di parassiti, trattata con Pol. 057, mostra una riduzione
dose-dipendente del numero di Leishmanie/ml e alla massima
concentrazione polisaccaridica saggiata, si osserva una vitalità
del protozoo del 2,5 %.
Vitalità Leishmanie (%)
Pol. 057
100
0
0
Pol. 019
A
B
Figura 3 A - osservazione microscopica (20X) della coltura
controllo di Leishmania infantum. Figura 3 B - osservazione
microscopica (20X) di coltura trattata con Pol. 057 per 48 ore.
I risultati da noi mostrati, non solo confermano i dati bibliografici
sull’attività antiparassitaria degli estratti polisaccaridici da alghe
marine, ma nello specifico tale indagine scientifica dimostra
come i polisaccaridi ottenuti dall’alga bruna Undaria pinnatifida,
macroalga che cresce spontaneamente nel Mare Mediterraneo, abbia una potente attività anti-Leishmania in vitro. Inoltre
i dati ottenuti suggeriscono un’azione citotossica del Pol. 057
A
B
Leishmania-target, poiché in 3 linee cellulari immortalizzate
non ha determinato alcuna azione pro-apoptotica.
BIBLIOGRAFIA
1. Schweitzer J, Handley FG, Edwards J, et al. Summary of
the workshop on drug development, biological diversity,
and economic growth. J Natl Cancer Inst. 1991;83:12941298.
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of galactan from Codium fragile and its antiviral effects.
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3. Bilan, M.I.; Usov, A.I. Structural analysis of fucoidans.
Nat. Prod. Commun. 2008, 3, 1639–1648.
4. Jiao, G.; Yu, G.; Zhang, J.; Ewart, H.S. Chemical structures and bioactivities of sulfated polysaccharides from
marine algae. Mar. Drugs 2011, 9, 196–22
178
SUMMARY
Parvovirus strains from twenty-two intestines of domestic carnivores (dogs, n = 19; cats, n = 3) dead as a consequence of
haemorrhagic enteritis and/or severe leukopenia in Puglia and
Basilicata regions were submitted to sequence analysis of the
VP2 gene. Three and 19 strains were characterised as canine
parvovirus (CPV) and feline panleucopenia virus (FPLV), respective, which was in agreement with the related animal species. The canine viruses were types as CPV-2a (n = 9), CPV-2b
(n = 2) or CPV-2c (n = 7). Four of the type 2c strains were
characterised as atypical CPV-2c on the basis of the substitution A1275G found in the VP2 sequence. One sample was
found to contain a mixed population, which was characterised
as CPV-2b/atypical CPV-2c co-infection. While previous reports
accounted for a rapid spreading of CPV-2c in Europe and a decreasing frequency of detection of type 2a/2b strains, the present study demonstrates a new expansion of CPV-2a.
INTRODUZIONE
I parvovirus dei carnivori sono virus privi di envelope, a DNA
monocatenario, molto resistenti alle condizioni ambientali, che
possono causare, specialmente nei cuccioli e nei gattini, grave
gastroenterite emorragica, leucopenia, miocardite ed eventualmente ascite, idrotorace e idropericardio con tassi di mortalità
elevati. I parvovirus, pur essendo virus a DNA, possiedono una
spinta evolutiva elevata, con tassi di sostituzione simili ai virus
a RNA, pari a 1.7 x 104 sostituzioni per sito per anno. Questa caratteristica è stata associata ad una elevata variabilità
intrinseca legata alla struttura monocatenaria del DNA, come
pure ad una pressione di selezione positiva legata all’immunità
dell’ospite. Mentre la malattia causata dal virus della panleucopenia felina (FPLV) è nota fin dall’inizio dello scorso secolo,
il parvovirus del cane tipo 2 (CPV-2) è stato identificato per la
prima volta negli anni 70 nel corso di una grave epidemia di
gastroenterite diffusasi su scala mondiale. In base all’ipotesi
più accreditata, CPV-2 deriverebbe da FPLV previo adattamento in una specie di carnivoro selvatico non identificata (1). A
pochi anni dalla sua prima comparsa, CPV-2 ha dato origine
a due varianti antigeniche, CPV-2a e CPV-2b, le quali hanno
progressivamente soppiantato il tipo originale, attualmente
presente solo in alcune formulazioni vaccinali. Confrontando
le sequenze della proteina capsidica VP2, sono state osservate cinque-sei sostituzioni aminoacidiche tra il tipo originale
e le varianti antigeniche, le quali sono state associate sia ad
un incremento di patogenicità che ad un cambiamento dello
spettro d’ospite. Infatti, le varianti CPV-2a e CPV-2b sono maggiormente patogene e, a differenza di CPV-2, sono in grado di
infettare e causare malattia anche nel gatto. Le varianti 2a e 2b
si differenziano solo a livello del residuo 426 della VP2, dove
si evidenzia Asn per CPV-2a e Asp per CPV-2b. Tuttavia, tale
unica differenza è stata sufficiente per mettere a punto anticor-
pi monoclonali (MoAb) specifici. Nel 2000 è stata identificata
una nuova variante, denominata CPV-2c e caratterizzata dalla sostituzione Asp426Glu a livello di residuo 426 della VP2.
Tale mutazione, a differenza di molte altre precedentemente
descritte, è localizzata in un sito antigenicamente dominante
(epitopo A) della proteina VP2, per cui è stato possibile mettere
a punto MoAb in grado di differenziare la variante 2c da CPV-2a
e CPV-2b (2).
Nella presente nota si riportano i risultati della caratterizzazione
molecolare di 22 stipiti di parvovirus dei carnivori.
MATERIALI E METODI
Gli stipiti parvovirus analizzati sono stati identificati in campioni
intestinali di cani (n = 19) e gatti (n = 3) deceduti a seguito di
gastroenterite emorragica e/o leucopenia grave (Tabella 1). I
campioni provenivano da allevamenti, canili e/o colonie feline
di Puglia e Basilicata.
La ricerca del DNA virale è stata eseguita utilizzando un protocollo di PCR convenzionale messo a punto da Buonavoglia
et al. (2). I campioni sono stati omogenizzati (10% peso/volume) in terreno di Dulbecco modificato da Eagle (DMEM) e
successivamente chiarificati tramite centrifugazione a 2.500 x g
per 10 min. Il DNA virale è stato estratto dai supernatanti degli
omogenati fecali attraverso bollitura per 10 min e successivo
raffreddamento in ghiaccio. Ciascun estratto di DNA è stato diluito 1:10 in acqua distillata per ridurre gli inibitori della PCR a
concentrazioni inefficaci.
Gli estratti di DNA dei 22 campioni intestinali contenenti i ceppi
parvovirus sono stati sottoposti ad amplificazione in PCR di tre
frammenti che coprono l’intera sequenza del gene VP2 (3, 4).
Le reazioni di sequenziamento sono state condotte utilizzando la mix BigDye 3.1 Ready (Applied Biosystems, Foster City,
CA, USA) secondo le istruzioni della casa produttrice. I prodotti sequenziati sono stati separati mediante Genetic Analyzer
3130 (Applied Biosystems). Le sequenze sono state importate
e assemblate con il software Bionumerics 5.0 (Applied Maths,
Saint-Martens-Latem, Belgio). Le sequenze assemblate sono
state analizzate utilizzando il BioEdit software package e gli
strumenti di NCBI (htttp://www.ncbi.nlm.nih.gov) ed EMBL
(www.ebi.ac.uk). Le sequenze ottenute sono state confrontate con analoghe sequenze di ceppi di riferimento disponibili in
GenBank .
RISULTATI
I ceppi di parvovirus dei carnivori sono stati caratterizzati come
CPV o FPLV in accordo alla specie animale dalla quale era
stato effettuato il campionamento (Tabella 1). I tre stipiti FPLV
non presentavano particolari mutazioni rispetto ai ceppi di riferimento, confermando la scarsa plasticità antigenica di questo
virus. I 19 stipiti CPV hanno mostrato le mutazioni aminoacidiche (aa) tipiche delle varianti rispetto al ceppo CPV-2 originale
179
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
(M87L, I101T, A300G, D305Y, N375D), compresa la mutazione
S297A identificata negli isolati recenti. In base al codone presente in posizione 1276-1278, 9 stipiti sono stati caratterizzati
come CPV-2a, 2 come CPV-2b e 7 come CPV-2c. Quattro di
questi sono risultati CPV-2c atipici, in quanto presentavano la
mutazione A1275G, la quale è stata associata al mancato riconoscimento della mutante da parte della sonda specifica per
2c in un test di biologia molecolare messo a punto negli anni
precedenti (5).
Un ceppo CPV è risultato contenere due distinte popolazioni virali a livello di codone 1276-1278: una prima popolazione conteneva la tripletta GAT, per cui era caratterizzata come CPV-2b,
mentre nell’altra popolazione era presente la sequenza GAA,
che la identificava come CPV-2c. Inoltre, questa popolazione
presentava anche la mutazione A1275G. Si trattava quindi
probabilmente di un caso di infezione mista CPV-2b/CPV-2c
atipico.
CONCLUSIONI
In questo studio sono stati analizzati 22 campioni intestinali di
cane e gatto di Puglia e Basilicata. I risultati hanno mostrato
che CPV-2a rappresenta la variante predominante in queste
regioni. Al contrario, CPV-2c è stato individuato con frequenza
inferiore rispetto a quanto osservato in precedenza. Altri autori (6) hanno osservato che CPV-2c, diffusosi in Uruguay tra
il 2007 ed il 2009, negli ultimi anni è stato completamente sostituito da uno stipite 2a. A differenza del suo antenato, il virus
della panleucopenia felina (FPLV), che è sostanzialmente in
stasi evolutiva, CPV è in continua evoluzione, probabilmente in
conseguenza dell’accumulo di errori della polimerasi durante la
replicazione virale. Durante lo shift dal tipo originale 2 alle sue
varianti CPV2a/2b, le mutazioni sono state accumulate nei domini della VP2 responsabili del legame con il recettore canino
della transferrina (TfR). Al contrario, le differenze genetiche fra
CPV-2a, 2b e 2c si limitano ad un singolo residuo e consistono nella mutazione N426D/E, collocata nel più importante sito
antigenico, l’epitopo A. Ulteriori mutazioni nel gene VP2 sono
state descritte più recentemente (1), in particolare le mutazioni A4104G e A4061G individuate in recenti isolati di CPV-2c.
Mentre la prima mutazione non ha inficiato i protocolli molecolari di caratterizzazione delle varianti antigeniche, la seconda,
localizzata nel sito di attacco della sonda specifica per CPV-2c,
impedisce la corretta ibridazione della sonda e la caratterizzazione dei ceppi mutanti. Un recente studio ha evidenziato
che la distribuzione dei virus mutanti A4061G è attualmente limitata alla sola Italia, anche se con una crescente diffusione,
considerato che l’8,3% dei campioni risultati positivi per CPV
e provenienti da diverse regioni italiane sono risultati mutanti
CPV-2c (7). Un particolare interesse suscita l’identificazione in
un cane di una possibile infezione mista, causata dalle varianti
2b e 2c atipico. Infezioni sostenute da più varianti sono state
identificate a più riprese anche in Italia (8).
L’evoluzione genetica ed antigenica delle varianti CPV-2 apre
nuovi orizzonti sulla profilassi vaccinale, tenendo presente che
sono ancora in uso vaccini allestiti con il virus originale non più
circolante, i quali si sono dimostrati non completamente efficaci
nel contrastare la diffusione delle varianti antigeniche, in particolare della nuova variante CPV-2c.
2. Buonavoglia C, Martella V, Pratelli A, et al: Evidence for evolution of canine parvovirus type-2 in Italy. J Gen Virol 82: 15551560, 2001.
3. Decaro N, Desario C, Parisi A, et al: Genetic analysis of canine parvovirus type 2c. Virology 385: 5-10, 2009.
4. Decaro N, Desario C, Miccolupo A, et al: Genetic analysis of
feline panleukopenia viruses from cats with gastroenteritis. J
Gen Virol 89: 2290-2298, 2008.
5. Decaro N, Elia G, Martella V, et al: Characterisation of the
canine parvovirus type 2 variants using minor groove binder
probe technology. J Virol Methods 133: 92-99, 2006..
6. Pinto LD, Streck AF, Gonçalves KR, et al: Typing of canine
parvovirus strains circulating in Brazil between 2008 and 2010.
Virus Res 165: 29-33, 2012.
7. Decaro N, Desario C, Amorisco F, et al: Detection of a canine
parvovirus type 2c with a non-coding mutation and its implications for molecular characterisation. Vet J 196: 555-557, 2013.
8. Battilani M, Scagliarini A, Ciulli S, et al: High genetic diversity
of the VP2 gene of a canine parvovirus strain detected in a
domestic cat. Virology 352: 22-26, 2006.
BIBLIOGRAFIA
1. Decaro N, Buonavoglia C: Canine parvovirus-A review of
epidemiological and diagnostic aspects, with emphasis on type
2c. Vet Microbiol 155: 1-12, 2012.
180
Tabella 1.Risultati della caratterizzazione molecolare degli stipiti parvovirus di cane e gatto.
Campione
Specie
Stipite parvovirus
FG1 - 20973
Cane
CPV-2c atipico
FG2 - 598 TA
Cane
CPV-2b/CPV-2c atipico
FG3 - 2153 TA
Cane
CPV-2c atipico
FG4 - 2828
Cane
CPV-2a
FG5 - 545 TA
Cane
CPV-2a
FG6 - 8806 PT
Cane
CPV-2c atipico
FG7 - 428 PZ
Cane
CPV-2c atipico
FG8 - 14933
Cane
CPV-2b
FG9 - 15329
Cane
CPV-2a
FG10 - 831/1 BR
Cane
CPV-2a
FG11 - 831/2 BR
Cane
CPV-2a
FG12 - 831/3 BR
Cane
CPV-2a
FG13 - 831/4 BR
Cane
CPV-2a
FG14 - 5580
Cane
CPV-2a
FG15 - 4469
Cane
CPV-2c
FG16 - 4505
Cane
CPV-2c
FG17 - 4651
Cane
CPV-2c
FG19 - 1956/1
BR
Gatto
FPLV
FG20 - 1956/2
BR
Gatto
FPLV
FG21 - 2587 TA
Gatto
FPLV
FG22 - 15316
Cane
CPV-2b
FG24 - 1813 TA
Cane
CPV-2a
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI METALLI PESANTI (PIOMBO, CADMIO E
MERCURIO) NEI PRODOTTI ITTICI COMMERCIALIZZATI IN PUGLIA NEL 2012
Chiaravalle A.E.1, Iammarino M.1, Miedico O.1, Pompa C.1, Tarallo M.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Via Manfredonia, 20 – 71100 Foggia
Key words: prodotti ittici, metalli pesanti, monitoraggio
SUMMARY
A monitoring study on the presence of heavy metals (Pb, Cd
and Hg) in fishery products was carried out using an accredited
analytical method (UNI EN 15763:2010) by inductively coupled
plasma mass spectrometry (ICP/MS). A total of 342 samples
of different marine species were analyzed. The results were
compared with the law limits according to the EC Reg.
1881/2006. 4 different categories of seafood were recognized.
The concentration levels were found in compliance with
literature data. The mean contamination levels of lead are lower
than legal limits. Particular attention is due to the mercury and
cadmium levels in swordfish and squid, respectively.
INTRODUZIONE
L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della
Basilicata è deputato al controllo ufficiale dei prodotti alimentari.
Ogni anno vengono eseguite sulle diverse tipologie di alimenti,
prelevati dal Servizio Sanitario Locale, le analisi dei principali
contaminanti organici ed inorganici, principalmente responsabili
degli effetti nocivi sulla salute umana. Tra i contaminanti
inorganici, un posto di rilievo è occupato dai metalli pesanti, quali
Piombo (Pb), Cadmio (Cd) e Mercurio (Hg), a causa della loro
natura chimica che li rende persistenti nei comparti ambientali,
con conseguente tendenza al bioaccumulo negli organismi
viventi. Gli organismi marini, da un lato sono le specie viventi
maggiormente esposte all’inquinamento antropico, dall’altro
sono una delle principali fonti di approvvigionamento della dieta
umana. Per tali motivi, gran parte dell’attenzione del mondo
scientifico si concentra sul livello di contaminazione dei prodotti
ittici. Il presente lavoro, pertanto, mostra i risultati ottenuti
nell’ambito di un piano di monitoraggio sulla contaminazione
da Piombo, Cadmio e Mercurio in campioni di prodotti ittici
commercializzati in Puglia e Basilicata e pervenuti presso
codesto Istituto nell’anno 2012. I tenori massimi ammessi sono
definiti del Regolamento CE 1881/2006 e s.m.i. [5].
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2012 sono stati
prelevati 342 campioni di prodotti ittici di varia tipologia ed
origine (italiana ed estera), presso punti vendita e stabilimenti
di produzione e trasformazione siti nelle regioni della Puglia e
della Basilicata (Italia). Su tali campioni sono state determinate
le concentrazioni di tre metalli pesanti Piombo, Cadmio e
Mercurio mediante una metodica analitica normata [4] e
accreditata presso i laboratori dell’IZS-Puglia e Basilicata.
Il metodo prevede l’omogeneizzazione della parte edibile
del campione, la mineralizzazione umida (HNO3 e H2O2) con
microonde di una parte rappresentativa (circa 1,0g) ed infine la
determinazione strumentale mediante Spettrometria di Massa
al Plasma Induttivamente Accoppiato (ICP-MS, mod. Elan DRC
II, PerkinElmer). Il segnale del Piombo è rivelato come somma
degli isotopi Pb-206, Pb-207 e Pb-208, quello del Cadmio
dall’isotopo Cd-111 ed infine quello del mercurio dall’isotopo Hg-
202. Tutti gli ioni sono misurati in Standard Mode, con taratura
mediante standard acquosi (1000 mg L-1, ICP-International).
Per il controllo qualità del dato analitico sono stati utilizzati
inoltre diversi Materiali di riferimento Certificati. Ogni campione
è stato analizzato in doppio; i limiti di quantificazione (LOQ) del
metodo sono pari a: 0,012 mg kg-1 (Pb), 0,0043 mg kg-1 (Cd) e
0,0063 mg kg-1 (Hg).
Al fine di agevolare l’elaborazione dei risultati e la loro
interpretazione, i campioni sono stati raggruppati in quattro
categorie: 1) Molluschi bivalvi (138 campioni), così suddivisi:
cozze (Mytilus galloprovincialis, 93 campioni), vongole (Tapes
phylippinarum, 23 campioni), ostriche (Ostrea edulis, 6
campioni), murici (Bolinus brandaris, 5 campioni), altri molluschi
(modiole, lumache marine ed altri, 11 campioni).
2) Molluschi cefalopodi ed altri echinodermi (68 campioni):
calamari (Loligo vulgaris, 26 campioni), ricci di mare
(Paracentrotus lividus, 11 campioni), totani (Todarodes
sagittatus, 10 campioni), seppie (Sepia officinalis, 8 campioni),
polpi (Octopus vulgaris, 7 campioni), altri echinodermi (6
campioni).
3) Pesce azzurro (59 campioni): tonni (Thunnus thynnus, 29
campioni), sgombri (Scomber scombrus, 21 campioni), altri
(alici, verdesche, salmoni, ecc. 9 campioni).
4) Altri teleostei (77 campioni): pescespada (Xiphias gladius,
25 campioni), orate (Sparus aurata, 13 campioni), spigole
(Dicentrarchus labrax, 11 campioni), merluzzi (Gadus morhua,
9 campioni), altri (razze, pangasi, vopilli, cefali, scorfani, ecc.
19 campioni).
RISULTATI E CONCLUSIONI
Nella tabella 1 sono riassunti tutti i risultati ottenuti, suddivisi
per contaminante e tipologia di matrice. Per le 4 categorie
esaminate, la contaminazione da piombo risulta generalmente
bassa e nettamente inferiore ai limiti massimi stabiliti nel
Regolamento CE N. 1881/2006, ovvero 1,5 - 1,0 e 0,3 mg kg1
, rispettivamente per molluschi bivalvi, molluschi cefalopodi
e muscolo di pesce in genere. La categoria molluschi bivalvi
mostra livelli di Pb più elevati (media di 0,274 mg kg-1) seguita
dai molluschi cefalopodi (0,124 mg kg-1); il pesce azzurro e gli
altri teleostei, invece, hanno fatto registrare tenori più bassi
e confrontabili (rispettivamente 0,024 e 0,048 mg kg-1). Per il
pesce azzurro una buona percentuale dei campioni (11.4%) è
risultata al di sotto del Limite di Quantificazione. Al contrario, la
tipologia di prodotti ittici che risulta più contaminata da piombo è
quella dei molluschi bivalvi, caratterizzata dalla contaminazione
media più elevata. In particolare, nel periodo temporale oggetto
d’esame è stato notato un apprezzabile aumento del valore
medio (0,274 mg kg-1) se paragonato con i valori riscontrati in
precedenti monitoraggi effettuati presso codesto laboratorio
[2]. Le “non conformità” per il Pb, ovvero campioni con livelli di
contaminazione superiori ai limiti massimi consentiti, sono solo
due: si tratta di due campioni di modiole (Modiolus barbatus) di
provenienza greca, con tenore di Pb pari a 2,20 e 2,52 mg kg-1.
181
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
SVILUPPO DI UN TEST DIAGNOSTICO IN REAL TIME PCR PER LA DIAGNOSI
DI MICOPLASMI AVIARI PATOGENI
Tabella 1 – Livelli di Pb, Cd e Hg nelle 4 categorie di prodotti ittici (valori espressi in mg kg-1)
PIOMBO
N° non
conformità
Media
Range
0.019 2.52
2
1,0
0,173
0.124
0.013 –
0.191
0
1,0
0.024
0.014 –
0.191
0
0,050
0.048
0.014 –
0.269
Categoria
Limite
di
Legge
Media
Range
Molluschi
Bivalvi
138
1.5
0.274
Molluscghi
Cefalopodi
68
1.0
Pesce
Azzurro
59
0.3
Altri
Teleostei
77
0.3
CADMIO
Limite
di
Legge
N°
Camp.
analizz.
0
0,10
N° non
conformità
Media
Range
N° non
conformità
0,015 – 1,23
2
0,50
0,018
0,006 – 0,020
0
0,364
0,004 – 8,47
4
0,50
0,012
0,006 – 0,122
0
0,023
0,004 – 0,142
0
0,50
0,344
0,015 – 3,77
4
0
0,50
(1,0)
0,557
0,006 – 8,61
10
0,009
Per quanto riguarda la contaminazione da cadmio, i livelli
medi di ciascuna categoria sono sensibilmente diversi tra loro.
In particolare, i valori riscontrati nel pesce azzurro e negli altri
teleostei sono risultati molto bassi (rispettivamente 0,023 e
0,009 mg kg-1) e inferiori ai limiti massimi stabiliti (ovvero 0,3 mg
kg-1 per il pesce spada, 0,1 mg kg-1 per diverse specie di pesce
azzurro, come tonno, sardine, acciughe, ecc. e 0,050 mg kg-1
per gli altri pesci). Livelli di contaminazione maggiori sono stati
riscontrati per i molluschi bivalvi (valore medio 0,173 mg kg1
) e, soprattutto, per i molluschi cefalopodi (0,364 mg kg-1), in
accordo con quanto riportato da Bustamante et al [1]. In base
ai tenori massimi stabiliti dal Reg. CE 1881/2006, 6 campioni
sono risultati “non conformi” per cadmio: si tratta degli stessi
due campioni di modiole (Modiolus barbatus), di provenienza
greca, risultati “non conformi” anche per piombo (concentrazioni
di cadmio pari a 1,23 e 1,02 mg kg-1), di tre campioni di totani
(Todarodes sagittatus), di provenienza argentina, con livelli di
contaminazione pari a 8,47, 1,69 e 2,70 mg kg-1 ed infine di un
campione di calamari, di provenienza nazionale, con livello di
contaminazione pari a 1,07 mg kg-1. La percentuale globale di
non conformità per Cadmio è pari a 1,8%, mentre sale al 6% se
si considera soltanto la categoria dei molluschi cefalopodi, noti
organismi accumulatori di cadmio.
I livelli di contaminazione da mercurio registrati in questo studio
sono risultati confrontabili con quelli disponibili in letteratura
[3]. Tale contaminazione è risultata minima nei molluschi, con
livelli medi pari a 0,018 mg kg-1 per i bivalvi e 0,012 mg kg-1
per i cefalopodi. I molluschi, come noto, accumulano quantità
trascurabili di mercurio; infatti, 50 campioni su 206, cioè circa
1/4, ha fatto registrare un contenuto di Hg inferiore al LOQ del
metodo (0,0063 mg kg-1). Le contaminazioni da mercurio più
elevate sono state registrate, come prevedibile, sui teleostei. I
livelli di contaminazione medi risultano piuttosto elevati (0,344
mg kg-1 per il pesce azzurro e 0,557 mg kg-1 per gli altri teleostei).
In particolare, la percentuale di campioni risultati “non conformi”,
ovvero caratterizzati da livelli di contaminazione superiori ai limiti
massimi consentiti, è la più elevata registrata in questa indagine.
Tale percentuale è pari al 4,1% se si considerano tutti i campioni
analizzati e raggiunge il 10,3% se si considerano solo i teleostei.
4 campioni di pesce azzurro sono risultati “non conformi”, in
particolare: 2 campioni di verdesca (Prionace glauca) (1,11 mg
kg-1 e 3,77 mg kg-1) e 2 campioni di tonno (Thunnus thynnus) (1,24
mg kg-1 e 2,54 mg kg-1) tutti di provenienza italiana. 10 campioni
appartenenti alle altre tipologie di teleostei sono risultati inoltre
“non conformi”; ovvero: 1 campione di smeriglio (Lamna nasus)
di provenienza spagnola (8,61 mg kg-1) e 9 campioni di pesce
spada (Xiphias gladius), di cui 3 di provenienza spagnola (2,30
mg kg-1, 2,83 mg kg-1, 3,02 mg kg-1), 2 provenienti dall’Oceano
Pacifico (1,07 mg kg-1, 1,06 mg kg-1) 1 proveniente dall’Oceano
MERCURIO
Limite
di
Legge
0,004 – 0,118
Indiano (1,49 mg kg-1), 1 proveniente dall’Oceano Atlantico (1,42
mg kg-1), 1 di provenienza vietnamita (1,06 mg kg-1) ed infine, 1
di provenienza francese (1,33 mg kg-1). È importante sottolineare
che 9 campioni di pescespada su 25 analizzati sono risultati “non
conformi” (ovvero il 36% dei campioni) e che la concentrazione
media (0,88 mg kg-1) è risultata di poco inferiore al limite di legge
(1,0 mg kg-1). Tale dato mostra senza dubbio una situazione
allarmante, che dovrebbe indurre ad una certa cautela nel
consumo di pesce spada, soprattutto per categorie di persone
maggiormente esposte o “sensibili” (donne in gravidanza,
bambini nei primi anni di età).
In figura 1 sono schematizzati i livelli di medi di contaminazione
da Pb, Cd, e Hg ottenuti per ogni tipologia di prodotto ittico
considerata, da cui si evince chiaramente quale contaminante
prevale per ciascuna tipologia.
Figura 1 - Contaminazioni medie (mg/kg) delle 4 categorie
di prodotti ittici
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1881/2006 della Commissione del 19 Dicembre 2006 che
definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti
alimentari.
182
Ciprì V.1, Puleio R. 1, Macaluso G. 1, Messina F. 1, Sallemi S. 1, Tumino G. 1, Antoci F. 1, Messina A. 2,
Tamburello A. 1, Loria G. R. 1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, 2 Veterinario Libero Professionista
Key words: Real time PCR, Mycoplasma gallisepticum, Mycoplasma synoviae
SUMMARY
Diagnosis of mycoplasma infection is normally based on
culture and serological tests, which are often time-consuming
and laborious. This study describes the development of
a diagnostic test based on duplex Real time Taqman PCR
with mycoplasma-specific primers to detect Mycoplasma
gallisepticum and Mycoplasma synoviae from clinical samples.
The selected genomic targets were species specific regions
of Mycoplasma synoviae (16S-23S intergenic spacer region)
and highly conserved foci of mgc2 gene of Mycoplasma
gallisepticum. The protocol can be performed directly from
clinical samples in less than 24-48 h representing a significant
improvement on current laboratory methods available for the
diagnosis of avian mycoplasma infections.
INTRODUZIONE
I micoplasmi sono microrganismi unicellulari, privi di
parete cellulare, parassiti-obbligati di animali e uomo; tale
caratteristica strutturale conferisce loro resistenza ai comuni
chemioterapici che agiscono sulla parete cellulare. Dalle
specie aviarie sono state ad oggi isolate oltre 25 specie di
micoplasmi; quelli che rivestono un particolare interesse
per l’industria avicola, per il grave impatto economico,
sono rappresentate da Mycoplasma gallisepticum (MG) e
Mycoplasma synoviae (MS).
Il Mycoplasma gallisepticum è stato isolato da diverse
specie aviarie nelle quali generalmente causa sintomi di tipo
respiratorio con interessamento delle prime vie respiratorie
e dei sacchi aerei. La patologia provoca gravi aerosacculiti
con dispnea, tosse, rantoli e mancato sviluppo corporeo nei
broilers. Nelle galline ovaiole determina un marcato calo della
produzione di uova. Il controllo di tale patogeno nelle aziende
intensive si basa oggi su rigorose misure di biosicurezza
(mantenimento di gruppi di riproduttori “mycoplasma free”) e
sulla vaccinazione.
Mycoplasma synoviae è di sovente coinvolto in forme
respiratorie e articolari che interessano in maggior misura
i broilers. La trasmissione orizzontale avviene sia per
inalazione di aerosols contenenti il virus, sia per via verticale.
Il contenimento dell’infezione si basa come per MG sulla
produzione e mantenimento di gruppi MS free.
particolare, sono stati utilizzati due tipi di terreni : brodo e agar
mycoplasma derivante dalla formula di Hayflick modificata
(Oxoid ®) ed un altro specifico per la crescita dei micoplasmi
aviari
(Avian micoplasma, prodotto dalla Mycoplasma
Experience ®).
Una volta inoculati i brodi sono stati incubati, in camera
termostatata, a 37°C per 24h in presenza di CO2 al 10%(6,8).
Dopo 24 ore di incubazione i brodi venivano processati per
le prove di Real Time PCR con chimica fluorescente Taqman
utilizzando due sonde con marcatura differente (MG in FAM
e MS in HEX), eseguite mediante apparecchio Real Time:
CFX96™, Biorad.
Il DNA è stato estratto da 200 ml da entrambi i brodi
selettivi, utilizzando il kit Pure Link Genomic DNA mini kit
(INVITROGEN™): Alla fine della fase di estrazione il DNA è
stato eluito in 100 ml di acqua DNAsi free.
Quindi si è proceduto alla fase di amplificazione, della
sequenza del gene target.
Inizialmente è stata effettuata la ricerca di Mycoplasma spp.
con PCR Real Time in Syber green(7).
A seguire i campioni risultati positivi sono stati analizzati per la
ricerca di MG ed MS; nella prova venivano inclusi un controllo
positivo di DNA di Mycoplasma gallisepticum e sinoviae , ed
un controllo negativo in assenza di DNA (NTC); inoltre per
verificare la specificità della coppia di primers è stato incluso
un campione di DNA di Mycoplasma bovis.
I controlli positivi sono ceppi
di riferimento, ”National
Collection of Type Cultures” (NCTC) Public Health England
Culture Collection
Protocollo PCR real time
La procedura di amplificazione ha previsto l’impiego dei
seguenti reagenti: mastermix (Sso Fast™ probe Supermix
Biorad) ,acqua nuclease free fino a raggiungere il volume
finale di reazione( 20 ml). I primers e la sonda utilizzati sono
stati tratti dal lavoro di Raviv et al. (9).
Tab.1 Primers e sonda per MG
MATERIALI E METODI
I campionamenti sono stati eseguiti nel corso del progetto
di ricerca corrente, finanziata dal Ministero della Salute
IZS SI RC 01/11, dal titolo: “Sorveglianza e controllo delle
micoplasmosi aviarie in allevamenti di polli da carne(broilers)
e galline ovaiole nel territorio siciliano”.
Sono stati raccolti ed analizzati 238 campioni biologici
sia organi (trachea e polmone) che tamponi (tracheali e
dell’ovidutto). I campioni pervenuti, sono stati seminati in
brodo e terreno agar selettivo per il genere Mycoplasma; in
183
Primer
MG
forward
51-TTGGGTTTAGGGATTGGGATT-31
Primer
MG
reverse
51CCAAGGGATTCAACCATCTT31
Probe
MG
marcata
51FAMTGATGATCCAAGAACGTGAAGAAGAACACC
BHQ1-31
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Tab.2 Primers e sonda per MS
Primer
MS
forward
51-CCTCCTTTCTTACGGAGTACA-31
Primer
MS
reverse
51-CTAAATACAATAGCCCAAGGCAA-31
-esame della real time Pcr duplex 1 ora e 20 minuti
-esame di una real time PCR 2 ore e 10 minuti
-PCR classica 6-8 ore
-esame colturale una settimana ed oltre.
Da ciò si può desumere che la real time PCR, oltre ad essere un
modello innovativo, è una metodica molto flessibile e rapida.
Obiettivo futuro sarà quello di estendere il protocollo ad altri
micoplasmi aviari per meglio valutare il rischio infettivo nella
filiera industriale avicola nella regione Sicilia
Probe MS 51HEXATTCTAAAAGCGGTTGTGTATCGCT
marcata BHQ1-31
Le concentrazioni finali ottenute nella mix di reazione sono:
Supermix 1X, 0.5mM di ciascun primer ed 0.2 μM di ciascuna
sonda. Sono state utilizzate delle piastre per lettura ottica a
96 pozzetti ( Hard-Shell®PCR plates 96, Biorad) e in ciascun
pozzetto sono stati inseriti 1.5 μl di DNA estratto e 18.5 μl di
mix. Ciascuna prova è stata condotta in duplicato. Il protocollo
termico applicato è stato il seguente: denaturazione iniziale a
95°C per 10 minuti, seguiti da 45 cicli a 95°C per 10 secondi,
30 secondi di annealing a 60°C ed una estensione di 72°C per
1 secondo.
RISULTATI E CONCLUSIONI
N° 24 campioni risultati positivi in sybr green per la ricerca di
Mycoplasma spp, sono stati successivamente analizzati con
Real Time PCR con sonda taqman confermando le positività
ottenute e identificando la specie di patogeno in causa ( MG - MS).
Le curve di amplificazione sono risultate di forma sigmoidale,
caratteristica che evidenzia una efficiente amplificazione in
entrambi i segnali di fluorescenza ( FAM ed HEX). Il controllo
negativo o i campioni aspecifici (M.bovis) hanno mostrato
l’assenza di amplificazione assicurando un’accurata specificità
del metodo.
Un problema riscontrato durante l’esame colturale è stata la
contaminazione batterica riscontrata nei brodi, che facilmente
degrada e inibisce lo sviluppo delle colonie di micoplasma, ciò
nonostante la PCR ha permesso di ottenere delle positività.
I risultati ottenuti hanno permesso di evidenziare che i broilers
mantengono il loro stato di “mycoplasma free” almeno sino
ai 50 giorni di vita, età a cui raggiungono il peso ottimale di
macellazione.
Le galline ovaiole invece, avendo una carriera produttiva
maggiore (anche fino a 18 mesi), vanno incontro più facilmente
a infezioni da micoplasmi e talvolta anche miste(MG e MS)
Dalle analisi effettuate, sono stati confermati 11 casi di positività
per MG e 13 casi di positività per MS, in 4 casi si è osservata
una infezione mista (MG e MS).
Il protocollo sviluppato permette di analizzare il campione per
entrambe le specie di mycoplasma in un’unica PCR (duplex
PCR) permettendo l’ottimizzazione dei tempi di risposta
diagnostici .
Altri vantaggi di questa metodica sono il minor costo, la facilità
d’ uso e l’elevata sensibilità e specificità.
Inoltre si può sottolineare la minore attesa nei tempi di risposta
in quanto:
Studio finanziato dal Ministero della Salute (IZS SI RC 01 /11,
dal titolo: “Sorveglianza e controllo delle micoplasmosi aviarie
in allevamenti di polli da carne e galline ovaiole nel territorio
siciliano”).
BIBLIOGRAFIA
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
VALIDAZIONE DEL METODO SURETECT REAL-TIME PCR DI THERMO SCIENTIFIC PER
LA DETERMINAZIONE DI SALMONELLA IN CAMPIONI ALIMENTARI E AMBIENTALI
Cloke J.1, Zodo T.F. 2, Clark D.3, Radcliff R.3, Leon-Velarde C.4, Larson N.4, Dave K.4
Thermo Fisher Scientific, Basingstoke, Hampshire, RG24 8PW, UK; 2Oxoid - Thermo Fisher Scientific, Rodano, Strada Rivoltana, 20090, Italy; 3Marshfield Food Safety, 1000 North Oak Avenue, Marshfield, Wisconsin, 54449, USA; and 4Agriculture
and Food Laboratory, University of Guelph, Guelph, Ontario, N1H 8J7, Canada
1
Key words: Validation ; Real-Time PCR ; Detection
Abstract
Introduction: The purpose was to validate the Thermo
Scientific™ SureTect™ Salmonella spp. Assay according
to AOAC Research Institute PTMs validation criteria. This
SureTect™ Assay is a Real-Time PCR test used for detection of Salmonella in food, animal feeds and environmental samples. Materials and Methods: The SureTect method was compared to the reference method detailed in ISO
6579:2002. Results: No statistically significant difference,
by probability of detection analysis, was seen for any of the
samples evaluated between the ISO reference method or
the SureTect Salmonella assay. Conclusions: The SureTect
Salmonella spp. assay reliably detected the presence of Salmonella in a wide variety of matrices and was shown to be
an accurate and user-friendly method.
Introduzione
Il Saggio Thermo Scientific SureTect Salmonella spp.
(PT0100A) è un nuovo test Real-Time PCR per la determinazione di Salmonella in campioni alimentari, ambientali e
mangimi per animali; combina reagenti di lisi pre-aliquotati e
reagenti disidratati in pastiglie per la PCR per semplificare
e migliorare la manualità dell’analisi e un software dedicato
per far correre i test, interpretare e mostrare in contemporanea i risultati PCR . Questo studio è stato condotto su una
ampia gamma di matrici alimentari, usando il programma1
AOAC RI Performance Tested MethodsSM per validare il saggio SureTect Salmonella spp. confrontandolo con il metodo
di riferimento indicato nella ISO 6579:20022 .
Figura 1. Thermo Scientific SureTect System.
Metodi
Preparazione del Campione
Campioni di massa di alimenti sono stati controllati per contaminazione naturale con Salmonella prima di dividerli in
tre campioni : non contaminati (controllo), a bassa contaminazione (0.2-2 UFC/25g ) e ad alta contaminazione (2-5
184
UFC/25g) . Una volta inquinati, tutti i campioni sono stati
lasciati a stabilizzarsi come da istruzioni AOAC. Campioni di
superfici in acciaio sono stati contaminati artificialmente con
una sospensione di Salmonella. Dove i campioni non erano
in doppio come nel caso delle analisi di superfici e manzo
macinato con il protocollo di arricchimento di 8 ore, sono
stati preparati ulteriori campioni.
Metodo d’Analisi SureTect
25g di campione e spugne (per il controllo delle superfici)
sono stati aggiunti a 225ml di Buffer Peptone Water (BPW)
(ISO) a temperatura ambiente , con un’unica eccezione per
il protocollo breve di 8 ore per la carne bovina macinata,
dove è stato usato BPW (ISO) preriscaldato. I campioni di
carne bovina analizzati con il protocollo breve (8 ore) sono
stati incubati a 41,5°C per 8 ore, il latte in polvere disidratato, campioni di superfici, carne bovina cruda e uova liquide
sono state incubate a 37°C per 18 ore mentre scampi cotti, wurstel, lattuga e pollo crudo per 20 ore a 37°C. Dopo
l’arricchimento, 10µl di ogni campione sono stati aggiunti ai
Tubi di Lisi SureTect pre- riempiti (prepararti con l’aggiunta
di Proteinasi K) e lisati in accordo al protocollo SureTect
(37°C per 10 min. e 95°C per 5 min.) Una volta lisati, 20µl
del lisato sono stati aggiunti alle provette per PCR SureTect
, che contengono tutti i reagenti per PCR liofilizzati (Figura 2)
prima di farli correre con lo strumento PikoReal™ Real-Time
PCR Thermo Scientific™ (Figura 1) . I risultati dell’analisi
sono stati interpretati automaticamente dal Software SureTect , come “positivi” o “negativi”. Tutti i risultati SureTect
sono stati confermati colturalmente utilizzando il metodo di
conferma SureTect che prevede di piastrare direttamente su
Oxoid™ Brilliance™ Salmonella Agar e controllare le colonie porpora presunte positive con Oxoid™ Salmonella Latex
Kit (DR1108A). In aggiunta, le conferme sono state fatte seguendo il protocollo di riferimento.
Metodo di Riferimento ISO
Il metodo di riferimento descritto nella ISO 6579:2002 è stato
eseguito utilizzando Brilliance Salmonella Agar come secondo terreno (in piastra ). Le conferme sono state fatte con i
kit Remel™ microID™ o bioMérieux API™ 20E, Triple Sugar
Iron (TSI) e antisieri poly-O e poly-H .
Inclusività
117 isolati di Salmonella (coprono la maggior parte dei sierogruppi O- e sottospecie) sono stati fatti crescere in BPW
(ISO) e analizzati ad un livello di circa 104 UFC/ml con il protocollo d’analisi SureTect in accordo ai criteri AOAC-RI PTM
.
Esclusività
36 isolati sono stati fatti crescere in TSB per 18-24 ore e
analizzati ad un livello approssimativo di 108 UFC/ml utilizzando il protocollo d’analisi SureTect in accordo ai criteri
AOAC-RI PTM.
185
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 5. Risultati dello Sviluppo del Metodo con ISO e
SureTect Salmonella spp.
Figura 2. Flusso Saggio SureTect .
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
STUDIO DELL’ESPRESSIONE DEL BIOFILM, DELLA CELLULOSA E DELLE FIMBRIE
CURLI IN CEPPI DI SALMONELLA SPP ISOLATI DA CINGHIALE
Cocchi M., Deotto S., Ustulin M., Di Giusto T., Di Sopra G., Conedera G., Vio D.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Key words: slime production, surface structures, Salmonella
ABSTRACT
In this study we examined the extent of biofilm formation and the
expression of the cellulose and the curli fimbriae in thirty-one
Salmonella strains isolated from an episode of salmonellosis
in wild boars. The characterization was performed on indicator
agars, as previously described. Co-expression of cellulose
and curli fimbriae was assessed at 28°C and 37°C. At 28°C
no tested strains expressed biofilm, and 30 out of 31did not
express curli or cellulose, either. At 37°C all the strains were
non forming biofilm strains, but they did express curli and
cellulose. A plethora of bacterial structures can influence its
expression and some surface structures like capsules can hide
biofilm. We therefore have to perform other tests in order to
verify if these structures can interfere with the expression of the
biofilm in these strains. To the author’s knowledge this is the
first description about biofilm formation of Salmonella strains
isolated from wild boars.
Risultati
Inclusività ed esclusività
Tutti i 117 isolati di Salmonella sono stati rilevati come positivi
dal software SureTect. Nessuno dei 36 isolati è stato determinato dal Software SureTect (figura 3).
Figura 3. Inclusività Saggio Salmonella SureTect
* Risultati Presunti (Presun) e Confermati (Con)
Analisi Alimenti
Dall’analisi della probabilità di determinazione (POD), non è
stata trovata alcuna differenza statisticamente significativa tra il
metodo di riferimento ISO e il saggio SureTect Salmonella spp.
per le dieci matrici alimentari e superfici ambientali valutate in
questo studio PTM , sia durante lo sviluppo del metodo sia durante lo Studio indipendente di laboratorio (Figura 4 e 5).
Figura 4. Risultati dello Studio indipendente di Laboratorio con
ISO e SureTect Salmonella spp.
Conclusioni
Il Saggio SureTect Salmonella spp. si è dimostrato un metodo
accurato e semplice, grazie all’uso di reagenti di lisi predosati , reagenti PCR in pastiglie e interpretazione automatica
dei risultati. Risultati ottenuti da un’ampia gamma di alimenti
comprese matrici di difficile gestione hanno dimostrato che il
saggio è in grado di determinare in modo affidabile la presenza
di Salmonella.
Referenze
1) AOAC International, Method Committee Guidelines for
Validation of Microbiological Methods for Food and Environmental Surfaces 2012.
2) ISO, Microbiology of Food and Animal Feeding stuffsHorizontal Method for the Detection of Salmonella spp.
ISO 6579:2002.
* Risultati Presunti (Presun) e Confermati (Con)
186
Introduzione
Al genere Salmonella appartengono due specie (enterica
e bongori), suddivisibili dal punto di vista antigenico in più
di 2400 sierotipi. Epidemiologicamente si distinguono in
salmonelle adattate e non adattate all’ospite. Fra le salmonelle
ospite-adattate, Salmonella (S.) choleraesuis causa nel
suino forme setticemiche caratterizzate da bassa morbilità
ed elevata letalità. Fra le salmonelle non ospite-adattate, S.
typhimurium è responsabile di gastroenterite nell’uomo ed è
caratterizzata da un ampio spettro di ospiti. L’infezione causata
da S. choleraesuis, specie specifica del suino, ha un’elevata
prevalenza nei Paesi asiatici e nel Nord America, mentre sono
rare le segnalazioni in Europa (3). S. typhimurium, invece,
costituisce in Europa un importante agente di tossinfezione
alimentare ed è inoltre frequentemente isolata dal suino (7).
La capacità di questo microrganismo di colonizzare il tratto
gastrointestinale di diversi ospiti e di resistere nell’ambiente
sono importanti fattori di virulenza, legati anche alla sua
capacità di formare il biofilm, che è definito come “una
comunità strutturata di cellule batteriche racchiuse in una
matrice polimerica autoproducentesi ed aderente ad una
superficie inerte o meno”. La sua formazione comporta sia una
maggiore capacità del microrganismo di aderire e colonizzare
i tessuti dell’ospite sia di eludere le difese immunitarie, a cui
si correlano meccanismi di cronicizzazione dell’infezione e di
aumentata resistenza agli antimicrobici e ai disinfettanti (2).
Alla formazione del biofilm concorrono diverse strutture, quali
la cellulosa, le fimbrie curli e la capsula polisaccaridica (6).
L’espressione del biofilm e dei suoi costituenti è regolata da
diversi geni, organizzati in operoni, ed è influenzata da diversi
fattori. Fenotipicamente, lo studio dell’espressione del biofilm
e delle sue strutture costitutive può essere approntato tramite
l’uso di appositi terreni indicatori che permettono di distinguere,
in base alla morfologia e al colore delle colonie, fra ceppi capaci
di formare il biofilm e di esprimere cellulosa e fimbrie curli e
ceppi non in grado di esprimere una o entrambe le strutture;
in questo modo, si ottengono dei morfotipi che definiscono
fenotipicamente il comportamento del ceppo batterico in
esame. Ad esempio, i ceppi definiti RDAR (red, dry and rough),
indicano la co-espressione delle fimbrie curli e della cellulosa,
mentre il morfotipo SAW, (smooth and white) indica ceppi che
non esprimono né la cellulosa né le fimbrie. Recentemente, in
ceppi di S. typhimurium è stato descritto un nuovo morfotipo,
SBAM, (smooth brown and mucoid) (6).
Scopo del presente lavoro è stato indagare circa la presenza del
biofilm in ceppi di Salmonella spp isolati da cinghiale, valutando
inoltre l’espressione della cellulosa e delle fimbrie curli.
Materiali e metodi
Ceppi batterici. 31 ceppi di Salmonella spp, precedentemente
identificati come S. choleraesuis (N=30) e S. typhimurium
(N=1), isolati in corso di salmonellosi in cinghiali della
provincia di Pordenone, sono stati sottoposti alle seguenti
indagini. Formazione del biofilm. Questa ricerca è stata
eseguita secondo quanto riportato da Freeman et al (4). Le
colonie sono state inoculate su Congo Red Agar (CRA) e le
piastre incubate per 48 ore a 37±1°C e 28±1°C, in condizioni
di aerobiosi e successivamente poste per ulteriori 24-48 ore a
temperatura ambiente. La valutazione delle colonie si è basata
su un’evidenza colorimetrica: le colonie producenti il biofilm
apparivano nere/nero-grigie/grigie su fondo rosso, mentre
le colonie non producenti il biofilm apparivano rosa/rosso su
fondo scuro. (Fig.1). Studio dell’espressione delle fimbrie curli
e della cellulosa. L’abilità di espressione delle fimbrie curli e
della cellulosa è stata valutata inoculando ogni ceppo sul
terreno Luria-Bertani (LB) (senza NaCl) addizionato di Congo
Red (0.004%) e Coomassie Brilliant Blue G (0.002%). Le
piastre sono state incubate a 28±1°C e a 37±1°C per 48-96 ore,
in atmosfera aerobia. La presenza di colonie rosa o rosse era
indicativa di una reazione positiva. (Fig. 2). La produzione di
cellulosa, invece, è stata determinata utilizzando piastre di LBagar contenenti 0.02% di Calcofluor. In seguito ad incubazione
overnight a 28±1°C e a 37±1°C, le piastre sono state controllate
tramite luce UV con lunghezza d’onda di 360 nm. La presenza
di colonie fluorescenti era indicativa di una reazione positiva.
(Fig. 2 e 3) (5).
Figura 1
Formazione del
biofilm
Figura 2
Espressione delle
fimbrie curli
Figura 3
Espressione
della cellulosa.
Risultati e conclusioni
Formazione del biofilm. Tutti I ceppi testati sono negativi alla
ricerca del biofilm, ad entrambe le temperature testate. Studio
dell’espressione delle fimbrie curli e della cellulosa. Tutti i
ceppi di S. choleraesuis sono risultati negativi alla ricerca delle
fimbrie curli e della cellulosa a 28°C, mentre erano positivi alla
187
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
temperatura di 37°C. Il ceppo di S. typhimurium ha presentato
sia a 28°C che a 37°C l’espressione di entrambe le strutture di
superficie.
In questo studio 31 ceppi di Salmonella spp, isolati in corso di
epidemia di salmonellosi nel cinghiale, sono stati sottoposti alla
ricerca del biofilm e di alcune delle strutture che concorrono alla
sua formazione, come le fimbrie curli e la cellulosa. La ricerca
è stata condotta utilizzando test fenotipici, basati sull’utilizzo
di terreni indicatori. Per quanto riguarda l’espressione del
biofilm, i ceppi sottoposti ad indagine sono risultati negativi ad
entrambe le temperature utilizzate e hanno, inoltre, presentato
morfotipi differenti. In letteratura, sono descritti diversi morfotipi
(SAW, RDAR e BDAR) nei ceppi di Salmonella isolati in corso
d’infezioni cliniche e da campioni ambientali; in particolare,
diversi autori hanno descritto come nella maggior parte dei
ceppi patogeni delle serovars di S. typhimurium e S. enteritidis
(isolati dall’uomo e dagli animali) sia presente il morfotipo RDAR,
corrispondente alla co-espressione di cellulosa e delle fimbrie
curli (7). Recentemente, inoltre, in ceppi di S. typhimurium è
stato descritto il morfotipo SBAM (smooth, brown and mucoid),
capace di formare il biofilm, pur non esprimendo cellulosa e
fimbrie tipo curli; in questi morfotipi la capacità di aderire alla
superficie è legata unicamente ad una iperproduzione di
polisaccaridi capsulari (6).
La formazione del biofilm è un meccanismo complesso, utilizzato
da diverse specie batteriche (Enterobacteriaceae, S. aureus,
Pseudomonas aeruginosa) per sopravvivere in un ambiente
ostile, come ad esempio in presenza di un pH basso o in carenza
di ossigeno (9). La regolazione genica della formazione del biofilm
in S. typhimurium è stata ampiamente studiata e diversi sono i
geni identificati: fra di essi, il gene csgD stimola indirettamente
la formazione del biofilm attraverso la sintesi delle fimbrie curli,
mentre il gene adr è cruciale per la biosintesi della cellulosa (10).
La formazione del biofilm, come descritto da diversi autori, è
influenzata da molteplici strutture di superficie: Schembri et al.
(8) hanno sottolineato ad esempio come la capsula possa celare
l’espressione del biofilm nei test in vitro.
La mancata espressione del biofilm nei ceppi testati, pertanto,
potrebbe essere spiegata o da un’assente trascrizione genica
o dall’intervento nella sua formazione di altre strutture non
sottoposte ad indagine nel presente studio. Come descritto in
ceppi di S. typhimurium, infatti, i LPS di membrana possono
intervenire nella formazione del biofilm, in ceppi cellulosa- e
fimbrie curli negativi.
Per quanto riguarda le fimbrie curli e la cellulosa, solo il ceppo
di S. typhimurium ha espresso entrambe le strutture a 28°C.
Tutti i ceppi, invece, hanno mostrato co-espressione a 37°C.
La co-espressione di queste strutture di superficie alle diverse
temperature è tipica ad esempio dei ceppi di Escherichia
coli commensali isolati dalle feci nell’uomo, mentre i ceppi
uropatogeni le producono solo a temperatura pari a 28°C (1).
Nel caso, invece, dei ceppi di S typhimurium, dati di letteratura
mostrano bassi livelli di espressione di entrambe le strutture
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
a temperatura ambiente, negli isolati umani. Le differenze di
espressione riscontrate alle temperature utilizzate possono
essere spiegate (per i ceppi di S. choleraesuis) o da una mancata
espressione genica o perché in vitro solo una sub-popolazione
potrebbe esprimere il biofilm e i suoi componenti (5). Inoltre,
diversi studi condotti, hanno evidenziato che l’espressione di
dette strutture risulta correlata e regolata da diverse condizioni
ambientali (10), fra le quali la temperatura.
I risultati ottenuti mostrano la presenza di strutture implicate
nella formazione del biofilm in ceppi isolati dal cinghiale, ma
la complessità delle strutture e i fattori che ne influenzano
la sua formazione comportano la necessità di approfondire
l’espressione del biofilm in questi patogeni.
Ulteriori test saranno, pertanto, necessari (p.e. formazione della
capsula, applicazione di metodi biomolecolari per lo studio dei
geni presenti) per verificare se vi sono elementi che possano
interferire con l’espressione di tali strutture.
Bibliografia
1)
2)
3)
4)
5)
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Tabella 1. Risultati
28°C
S. choleraesuis
S. typhimurium
37°C
Biofilm
Fimbrie Curli
Cellulosa
Biofilm
Fimbrie Curli
Cellulosa
0/30
0/1
0/30
1/1
0/30
1/1
0/30
0/1
30/30
1/1
30/30
1/1
0/31
1/31
1/31
0/31
31/31
31/31
188
UTILIZZO DEL SISTEMA INFORMATIVO APPA-RE ALL’INTERNO DEI LABORATORI
DELL’IZS&AM “G.CAPORALE”
Colangeli P., Ricci L., Cioci D.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Teramo, Italia
Keywords: Laboratori, dematerializzazione, rilevazioni, pianificazione.
RIASSUNTO:
Il programma APPA-RE nasce dall’esigenza di automatizzare
l’attività legata alla manutenzione/taratura delle apparecchiatura di misura e prova (AMP) dei laboratori dell’IZS&AM, rendendola più veloce e sicura egarantendo il recupero e l’analisi
dei dati.
Il software è stato concepito nell’ambito del progetto di “dematerializzazione” al quale l’IZS&AM aderisce da anni con
l’obiettivo di eliminare il cartaceo all’interno della struttura in
favore di supporti magnetici sui quali dovrà essere registrata
e conservata tutta l’attività svolta.
Il software è stato realizzato internamente dopo un’attenta ricerca di mercato nel tentativo di trovare un applicativo rispondente alle nostre esigenze ma senza alcun esito positivo.
La prima versione è stata rilasciata nel 2010 e successivamente raffinata in risposta alle richieste del personale utilizzatore ai fini di una maggiore efficienza e risolutezza.
INTRODUZIONE
L’attività dei laboratori diagnostici in Istituto, è ormai quasi
completamente informatizzata tramite l’utilizzo di diversi
specifici applicativi; APPA-RE è uno di questi e si occupa della
registrazione dell’attività legata all’uso delle apparecchiature
di misura e prova (AMP).
Il software consente di registrare manutenzioni, tarature, usi,
rilevazioni di temperatura, fuori uso e di pianificare annualmente l’attività delle AMP.
Le AMP sono registrate nell› Inventario Centralizzato gestito dal Sistema Informativo dell’Amministrazione; APPA-RE
legge da tale inventario solo le apparecchiature di proprio interesse (misura e prova) identificate da un apposito “flag”; il
software non può in alcun modo modificare i dati di inventario
ma può solo leggerli e utilizzarli.
E’ cura del responsabile di reparto verificare che tutte le AMP
presenti all’interno del reparto risultino correttamente inventariate e quindi accessibili tramite APPA-RE e nominare un
responsabile ed un sostituto di ogni strumento. La figura del
responsabile di apparecchio è essenziale perché è l’unico a
poter accederealle modifiche anagrafiche, alla gestione del
fuori uso e alla pianificazione dello strumento.
I dati anagrafici registrati in inventario definiscono le caratteristiche generali dello strumento, la sua collocazione all’interno
della struttura (reparto di appartenenza, stanza e posizionamento), il nome, la data di acquisto e l’eventuale alienazione.
Tali dati non sono però sufficienti a definirne le proprietà “operative” cioè che ne caratterizzano la modalità d’uso. Ecco
quindi che per ogni strumento bisogna indicare una serie di
dati aggiuntivi.
Queste caratteristiche verranno registrate dal responsabile
dello strumento e salvate sul programma APPA-RE a integrazione delle proprietà anagrafiche di inventario.
CRONOLOGIA DELLE ATTIVITA’ IN APPA-RE
Interazione con sistemi paralleli
Un aspetto importante è l’interazione con altri sistemi interni
da cui il programma attinge informazioni essenziali per il corretto funzionamento, in particolare:
• l’Inventario (da cui APPA-RE recupera i dati degli
strumenti di misura e prova)
• il Silab (Sistema Informativo dei Laboratori) da cui il
sistema attinge le relazioni operatore/reparto e i ruoli
di responsabile di reparto.
Competenze
Le competenze degli operatori sui vari strumenti dipendono
da criteri concordati con la Qualità in conformità alle Procedure Operative Standard (SOP) interne. In particolare:
• il responsabile di reparto nomina il responsabile di
strumento (ed il suo sostituto) e, se lo strumento è
complesso, nomina anche gli operatori abilitati all’uso.
• il responsabile di strumento ed il sostituto possono
modificare i dati di dettaglio dello strumento, programmare la pianificazione annuale di tarature e manutenzioni, dichiarare eventuali fuori uso dello strumento, nominare gli operatori abilitati all’uso (se lo
strumento è semplice).
• Gli operatori del reparto sono “implicitamente” abilitati all’uso degli strumenti semplici, mentre i complessi richiedono sempre una esplicita abilitazione
registrata sull’applicativo.
Individuazione delle AMP all’interno di ciascun reparto:
interazione col DB dell’Inventario
La fase preliminare all’utilizzo del sistema informativo APPARE è quella di individuare le apparecchiature di “misura e prova” all’interno di ciascun reparto, leggendole dal programma
di Inventario. Ogni bene nel momento della consegna viene
identificato con un codice univoco e registrato in inventario
con l’opportuna tipologia di bene; nello specifico, la tipologia
da APPA-RE è « Misura e Prova» (MP). Questo legame ha
obbligato ad una revisione e correzione di quanto presente
in inventario.
In assenza di un inventario costantemente gestito ed aggiornato, è possibile utilizzare una tabella locale con le informazioni richieste il cui aggiornamento sarà a carico di APPA-RE.
Degli appositi “remind” giornalieri allertano gli operatori della
pianificazione prevista per il giorno successivo.
189
Definizione delle informazioni di dettaglio
Le informazioni provenienti dall’inventario sono visibili su
APPA-RE ma non modificabili. Vanno integrate con dettagli
ulteriori tra cui:
• la scheda di manutenzione e d’uso
• la tipologia di strumento (da cui dipenderà il set di
informazioni richieste in fase di registrazione delle
manutenzioni/tarature/temperature)
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
•
•
•
•
•
se si tratta di strumento semplice/complesso
se è richiesta la registrazione di manutenzioni e/o
tarature (e che tipo di tarature, cioè di reparto e/o
della Qualità)
la matricola del termometro eventualmente associato (qualora lo strumento richieda una registrazione
di temperatura)
se lo strumento funziona o meno a temperatura costane (ed eventualmente quale)
delta di errore associati al termometro utilizzato.
L’elenco delle apparecchiature di ciascun reparto, corredato da tutte le informazioni richieste ai fini della Qualità, può
essere visualizzato e scaricato su file excel. Il file riporta la
dotazione di apparecchiature del reparto alla data corrente e
le altre informazioni richieste in conformità al punto 5.5 della
ISO 17025.
Pianificazione delle attività di manutenzione/taratura
La compilazione del planner, ad opera del responsabile dello
strumento o del suo sostituto, avviene attraverso un’apposita
griglia su cui vengono riportati mesi e giorni e su cui l’operatore può indicare i giorni in cui si prevede di eseguire la
manutenzione/taratura. Il planner evidenzia anche eventuali
pianificazioni non eseguite o esecuzioni non pianificate. Date
pregresse non sono modificabili. Anche la pianificazione delle
tarature ad opera del Reparto Assicurazione Qualità (AQ) è
registrata.
Registrazione delle Rilevazioni
Giornalmente, gli operatori abilitati, sono tenuti a registrare su
APPA-RE le manutenzioni e tarature effettuate (anche quelle
non pianificabili legate ad attività correttive e straordinarie) e
le rilevazioni di temperatura.
Attività su Termometri
La pianificazione delle tarature sui termometri e la successiva
registrazione dell’avvenuta taratura compete al reparto Qualità. Ogni taratura AQ di un termometro dovrà essere corredata
dal certificato riportante parametri di taratura (temperature
e delta) da allegare tramite applicativo; i certificati vengono
salvati su DB e sono consultabili in qualsiasi momento dagli
operatori abilitati.
Sistema di Allerte
Ogni notte un batch invia un email ai responsabili di strumento
e/o agli operatori abilitati all’uso per notificare le tarature/manutenzioni da eseguire il giorno successivo.
Utilizzo dei Data Logger
APPA-RE si integra con il sistema dei Data Logger (sonde
applicate ai frigo/congelatori) in grado di rilevarne la temperatura in modo pressoché “continuo”. Tali temperature vengono
scaricate in tempo reale su un db proprio, da cui APPA-RE,
ogni notte, recupera un set significativo di valori che salva
e collega all’apparecchiatura in modo da avere una visione
completa direttamente sull’applicativo APPA-RE.
CONCLUSIONI
L’applicativo APPA-RE è in uso dal 2010 e se ne registra un
utilizzo in progressivo aumento.
Accredia, durante le ultime visite annuali ha avuto modo di
verificare che i dati e l’operatività del programma sono compatibili con quanto richiesto ai fini della Qualità.
Possibili sviluppi sono rappresentati dall’inserimento di una
sezione di Reportistica (parzialmente già presente grazie alla
possibilità di scaricare in excel tutti i risultati delle interrogazioni da form) e dall’estensione dell’uso dei Data Logger dai
restanti reparti delle sezioni periferiche.
190
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
ASSOCIAZIONE TRA IL POLIMORFISMO 140T DEL GENE MHC DI CLASSE IIb E LA RESISTENZA ALLA LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA
ASSOCIATION BETWEEN POLYMORPHISM 140T OF MHC CLASS IIb AND RESISTANCE
TO LACTOCOCCOSIS IN RAINBOW TROUT
Colussi S., Prearo M., Maniaci M. G., Scanzio T., Peletto S., Bertuzzi S., Favaro L., Modesto P., Ru G.,
Desiato R., Acutis P. L.
Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, Torino
Key words: Lactococcosis, genetic resistance, rainbow trout
ABSTRACT
Genes within the major histocompatibility complex (MHC) are
important for both innate and adaptative immunity in mammals;
however, less is known regarding their contribution in teleost fish.
We examined the involvement of MHCIIB gene in resistance to
Lactococcus garvieae, the causative agent of lactococcosis, after rainbow trout exposure to naturally contaminated water. The
polymorphism 140t and the haplotype 25, including the same
polymorphism, were found strongly associated with resistance to
lactococcosis. This mutation and those present in haplotype 25 all
code for phenylalanine, characterized by an aromatic side chain
common in polyproline-binding sites and reported in staphylococci
and streptococci surface proteins. This could explain the affinity
between MHC class IIb mutated chain and L. garvieae. A study is
ongoing to confirm the role of this mutation so to use it in the future
for molecular marker-assisted selective breeding in rainbow trout.
Introduzione
La lattococcosi della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è una
streptococcosi di acqua calda, sostenuta da Lactococcus garvieae: essa determina l’insorgenza di una patologia a carattere
iperacuto-acuto di notevole impatto economico per la troticoltura.
Al momento le strategie di controllo disponibili si basano sull’utilizzo di vaccini stabulogeni e sul trattamento terapeutico. In entrambi i casi vi sono grossi limiti dovuti alla ridotta efficacia dei
vaccini nelle forme giovanili il cui sistema immunitario non è ancora adeguatamente competente alla risposta e ad una funzionalità del vaccino ridotta nel tempo, non sufficiente a coprire l’intera
durata della vita commerciale dei pesci. Il trattamento terapeutico,
basato sull’utilizzo di eritromicina dispersa in acqua, determina
d’altro canto una rilevante immissione di antibiotici nell’ambiente
incrementando così l’insorgenza di ceppi antibiotico resistenti e
determinando gravi problemi di management in allevamento e forti
ripercussioni sulla salute animale e pubblica; L. garvieae è infatti
caratterizzato da uno spettro d’ospite ampio che coinvolge anche
bovini, suini, cani e gatti e soprattutto l’uomo in cui, in soggetti a
rischio, può provocare miocarditi letali.
Da qui l’esigenza di sviluppare forme alternative di controllo della malattia, partendo da studi basati su diverse specie ittiche che
hanno messo in luce il coinvolgimento dei polimorfismi del gene
MHC di classe IIB, codificante per la catena beta delle molecole
di classe II del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC), nella
resistenza a patologie batteriche e virali (1, 2).
Nella trota è stata descritta la sequenza genica dei geni MHC, ma
ad oggi non è stata riportata alcuna indagine relativa al possibile
coinvolgimento di questo gene nella modulazione della resistenza alla lattococcosi. Il presente lavoro descrive in particolar modo
l’associazione tra il polimorfismo 140t e l’aplotipo 25 e la resistenza genetica alla lattococcosi in una popolazione di trota iridea naturalmente esposta ad acque contaminate da L. garvieae.
Materiali e Metodi
400 esemplari di trota iridea sono stati esposti nel mese di luglio
ad acque naturalmente contaminate da L. garviae. La temperatura dell’acqua ha oscillato tra i 19 e i 21°C, range ideale per lo
sviluppo del batterio. Casi sono stati considerati i soggetti deceduti
nel corso del periodo di esposizione naturale (luglio-ottobre), presentanti sintomatologia specifica, risultati positivi ad esame colturale per L. garvieae mediante prelievo dal rene (primo isolamento
e isolamento su terreno selettivo e a seguito di caratterizzazione
fenotipica e bio-molecolare del ceppo isolato. Controlli sono stati
invece considerati i soggetti sopravvissuti all’infezione.
Per l’analisi genetica, da ciascun soggetto è stata prelevata la
pinna adiposa sottoposta a congelamento –20°C: il DNA è stato
estratto mediante il kit Pure LinkTM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen). Mediante la PCR, utilizzando i primer B1RA e B1FA descritti da Miller (3), è stato amplificato un frammento dell’esone 2
di 257 paia di basi, codificante per il dominio b-1 della proteina
(dal residuo aminoacidico 33 al 112). La reazione PCR è stata
condotta su un volume pari a 25 μl utilizzando Platinum® qPCR
Supermix-UDG (Invitrogen) a cui sono stati aggiunti 300 nM di
ciascun primer descritto e circa 50 ng di DNA. È stato utilizzato il
seguente profilo termico:
50°C per 2’ e 95°C per 2’ seguiti da 35 cicli 94°C per 30”, 55°C per
1’, 72°C per 1’ ed estensione finale a 72°C di 7’.
Si è successivamente proceduto al sequenziamento mediante l’utilizzo degli stessi primer di PCR e la chimica BigDye 1.1 (Applied
Biosystems) utilizzando il sequenziatore 3130 (Applied Biosystems).
L’allineamento delle sequenze è stato effettuato con il Software
SeqMan (Lasergene). Per ciascun polimorfismo è stato calcolato
l’equilibrio di Hardy-Weinberg; la definizione degli aplotipi è stata
effettuata con il software PHASE v.2.1 (4). Il test del chi-quadro di
Pearson, è stato applicato sia ai singoli polimorfismi (alleli e genotipi), sia considerando gli aplotipi. Le associazioni risultate significative (p < 0.05) sono state ulteriormente indagate mediante analisi
univariata basata sulla funzione di sopravvivenza di Kaplan–Meier
e sul log-rank test per la significatività statistica. I polimorfismi risultati ancora significativi all’analisi univariata sono stati inseriti nel
modello di regressione lineare di Cox. L›analisi di sopravvivenza è
stata condotta mediante l›uso del software Stata 10.
La realizzazione di un modello per omologia della catena beta
della molecola MHC di classe II della trota iridea è stata ottenuta attraverso il software SWISS-MODEL, utilizzando la struttura
cristallina della catena beta umana (PDB id: 3lqz, B chain) come
stampo. É stata poi effettuata una comparazione tra l’idrofobicità della proteina wild-type e della proteina mutata (aplotipo 25)
utilizzando ProtScale (ExPASy Bioinformatics Resource Portal).
Sucessivamente sono state analizzate le differenze alla struttura
tridimensionale della proteina utilizzando il software DeepViewSwiss-Pdb Viewer (ExPASy Bioinformatics Resource Portal).
191
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Risultati e Conclusioni
L’analisi della sequenza dell’esone 2 ha confermato l’estrema variabilità di questa regione in cui, infatti, sono stati riscontrati 37 siti
polimorfi sui 257 analizzati.
Il calcolo del chi quadro ha però mostrato come soltanto tre dei polimorfismi, rispettanti l’assunto di Hardy-Weinberg, siano risultati
associati alla lattococcosi: 140 c>t (47 S>F) e 253 a>t (85 I>F) a
resistenza e 305 a>c (102 D>A) a suscettibilità. Per lo SNP 253 la
significatività viene però persa considerando i genotipi.
I risultati del test chi-quadro sono stati confermati dall›analisi statistica dei dati di sopravvivenza. In particolare, per quanto riguarda il polimorfismo 140t, gli animali mutati presentavano un rischio
inferiore rispetto agli individui wild-type (HR 0.24, 95% CI 0.110.54). Tale associazione si è mantenuta statisticamente significativa anche dopo aggiustamento per sesso e dopo valutazione
dell›interazione tra sesso e genotipo.
I soggetti mutati portatori della mutazione 305c hanno invece presentato un rischio di morte di 2.16 superiore rispetto agli individui
wild-type.
Inoltre, i due polimorfismi sono stati inseriti in un modello multivariato insieme alla variabile sesso: anche in questo caso i genotipi
mutati hanno mantenuto la loro significatività statistica (HR 0.30,
95% CI 0.13-0.68 e HR 1.87, 95% CI 1.216-2.86 rispettivamente).
Dei 37 aplotipi generati soltanto l’aplotipo 25, costituito da tre siti di
mutazione 140t (47F), 143t (48F) e 145t (49F) (figura 1) è risultato
significativamente associato alla resistenza alla malattia; in tal
caso la significatività si mantiene anche effettuando l’analisi per
genotipo(p = 0.00).
A livello proteico ciò causa la comparsa di un sito di poli-fenilalanina caratterizzato dalla presenza di questo amino acido ai residui
47, 48 e 49, a cui si aggiunge un quarto residuo di fenilalanina in
posizione 50 codificato dalla sequenza wild-type.
Dal confronto fra i due profili di idrofobicità della catena beta, tra
la struttura wild-type e quella mutata derivante dall’aplotipo 25,
emerge un innalzamento dei picchi associati all’idrofobicità di ciascun residuo, in corrispondenza degli amino acidi mutati (Figura
2a e 2c). Inoltre, la rappresentazione grafica tridimensionale delle
due proteine mette in evidenza un aumento dell’a-polarità nella
forma mutata (Figura 2b e 2d). Ciò può comportare l’insorgenza
di modifiche strutturali nella catena beta mutata poiché questi residui per le loro caratteristiche chimiche tendono ad essere presenti
nelle parti della proteina meno esposte all’ambiente acquoso.
Una caratteristica estremamente interessante della fenilalanina è
quella di legare siti di poli-prolina; infatti diverse proteine di superficie isolate in stafilococchi e streptococchi patogeni presentano
una struttura caratterizzata da siti ricchi di prolina.
In particolare gli streptococchi di gruppo B a cui appartiene Streptococcus agalactiae, espongono sulla loro superficie una proteina,
denominata b, con struttura caratteristica dei peptidi legati dalle
molecole di classe II del sistema maggiore di istocompatibilità (5).
S. agalactiae, L. garvieae, Streptococcus parauberis e Streptococcus inieae appartengono tutti alla famiglia delle Streptococcaceae e sono agenti associati all’insorgenza di patologie d’acqua
calda nei pesci: ciò ci consente pertanto di ipotizzare che proteine
con struttura analoga possano essere presenti anche sulla superficie di L. garvieae.
L’associazione con la mutazione 140t riscontrata sia come mutazione a singolo nucleotide sia come aplotipo induce a pensare
che questa posizione da sola sia sufficiente a conferire resistenza
alla lattococcosi, ma non consente di escludere che tale ruolo sia
rafforzato dalle altre mutazioni coinvolte nell’aplotipo.
Ulteriori studi di approfondimento sono al momento in corso per
verificare se questa mutazione possa rappresentare, in futuro, un
marcatore d’elezione da applicare nella selezione genetica in troticoltura.
Bibliografia
1. Langefors A., Lohm J., Grahn M., Andersen O. And
Von Schantz T., 2001. Association between major histocompatibility complex class IIB alleles and resistance to
Aeromonas salmonicida in Atlantic salmon. Proc R Soc
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2. Palti Y., Nichols K.N., Waller K.I., Parsons J.E., Thorgaard G.H. 2001 Association between DNA polymorphisms tightly linked to MHC class II genes and IHN
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trout. Aquaculture 194, 283-289.
3. Miller K.M., Withler R.E., and Beacham T.D., 1997.
Molecular evolution at MHC genes in two populations of
Chinook salmon Oncorhynchus tshawytscha. Molecular
Ecology, 6: 937-954.
4. Stephens M, Smith N, and Donnelly P, 2001. A new
statistical method for haplotype reconstruction from population data. American Journal of Human Genetics, 68:
978-989.
5. Areschoug T., Linse S., Stålhammar-Carlemalm M.,
Heden L-O, Linahal G. 2002. A proline-rich region with
a highly periodic sequence in Streptococcal b protein
adopts the polyproline II structure and is exposed on the
bacterial surface. Journal of Bacteriology 184, 6376.
DOI:10.1128/JB.184.22.6376-6393.2002.
Questa ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute (IZSPLV 06/09 RC)
Figura 1: sequenza aminoacidica derivante dall’aplotipo 25 Figura 2: profili idrofobici e struttura 3D della proteina wild-type
e mutata raffrontata alla sequenza riportata da Glamann (1995)
192
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
MONITORAGGIO DEL VIRUS DELL’EPATITE A NEI PRODOTTI VEGETALI
Consoli M.1, Galuppini E.1, Ferrari M.1, Malanga M.1, Meletti F.1, Pavoni E.1, Petteni A.1, Losio M.N.1,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna
Centro di Referenza Nazionale per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare
1
Key words: HAV, vegetali, nested-PCR
SUMMARY
Hepatitis A virus (HAV) is an RNA virus that cause enteric
disease. It can provoke nausea, fever, headache and liver
infection. It is possible to contract HAV by different foods, like
mussels, vegetables, red fruits and water. From September
2009 to August 2013 it was conducted a monitoring work to
research HAV in vegetables and to evaluate the risk associated
to the consumption of this food category. At the laboratory of
IZSLER of Brescia it was analyzed 1.484 samples using the
molecular method of heminested-PCR and 24 of these were
positive to HAV. Especially, plant broadleaf and red fruits were
more involved. It will be interesting to understand the future
trend of food contamination and to do more studies about the
cause of the persistence of the virus in the different matrices.
INTRODUZIONE
Il virus dell’epatite A (HAV) è un agente patogeno a trasmissione
alimentare estremamente diffuso e di facile propagazione.
Questo appartiene alla famiglia delle Picornaviridae ed è
provvisto di un capside icosaedrico di 27 nm di diametro. E’
dotato di un genoma di 7.5 kb ad RNA a polarità positiva;
all’estremità 5’ è legata la proteina VPg, mentre in 3’ è
poliadenilato (Figura 1). Una sola Open-reading-Frame
(ORF) codifica per le proteine virali: la regione P1 codifica per
le proteine strutturali VP1, VP2 e VP3, mentre le regioni P2
e P3 codificano per le proteine non strutturali associate alla
replicazione.
Figura 1: diagramma schematico del genoma di HAV
Il virus HAV è trasmesso tramite il circuito oro-fecale in condizioni
di scarsa igiene o insufficiente sanitizzazione dell’acqua e
degli alimenti. Una volta ingerito, penetra attraverso l’epitelio
orofaringeo o intestinale nella circolazione sanguigna, per poi
raggiungere il fegato ed attaccare gli epatociti, all’interno dei
quali si replica. Viene così rilasciato per esocitosi nella bile e
eliminato con le feci. Il virus ha un tempo di incubazione di 2-7
settimane e i sintomi si hanno dopo circa 15 giorni dall’infezione.
I soggetti accusano ittero, febbre, anoressia, nausea, vomito,
mal di testa e affaticamento; nei soggetti immunocompromessi
e più a rischio possono verificarsi delle infezioni acute con epatiti
anche fulminanti. A livello epidemiologico, negli ultimi anni si è
registrato un incremento dei casi d’infezione da HAV, ma i dati a
disposizione non possono fornire un quadro attendibile poiché
le infezioni sono sottostimate, dato che possono verificarsi casi
asintomatici o non correttamente riconosciuti. Inoltre, nel primo
semestre del 2013 si è assistito in Italia ad un incremento del
70% rispetto agli anni precedenti delle infezioni, soprattutto nei
mesi di aprile-maggio nelle regioni del Nord ed in Puglia, tale da
far concludere che vi fosse in atto un’epidemia da epatite A (1; 2).
Il virus HAV è in grado di contaminare gli alimenti, dove resta
in fase di quiescenza fino all’arrivo nell’ospite, per poi replicare.
Gli alimenti maggiormente coinvolti nella trasmissione di HAV
all’uomo sono i molluschi eduli lamellibranchi (cozze, vongole,
ostriche), i vegetali (insalata, pomodori, frutti di bosco), così
come ha un ruolo centrale l’acqua utilizzata per le coltivazioni o
per le lavorazioni successive dei prodotti. Data l’importanza da
un punto di vista sanitario di questo virus, sono stati effettuate
delle indagini per valutare la presenza di HAV nelle diverse
matrici alimentari, che potrebbero subire contaminazioni sia
nelle fasi di produzione, di conservazione, sia di consumo.
Scopo del seguente lavoro è stato quello di eseguire un’indagine
di monitoraggio della presenza di HAV nei vegetali nel periodo
2009-2013, al fine di valutare il rischio associato al consumo.
MATERIALI E METODI
Nel periodo Gennaio 2010 - Agosto 2013, presso il laboratorio
di Tecnologia degli Acidi Nucleici Applicata agli Alimenti
dell’IZSLER di Brescia sono stati analizzati 1.484 campioni di
vegetali. Tra i campioni presi in considerazione per l’anno 2013
sono stati considerati anche i vegetali analizzati nell’ambito del
piano di emergenza per l’epidemia di epatite A. E’ stato possibile
suddividere i campioni in 4 categorie: 654 campioni di vegetali
a foglia larga (insalata, rucola, scarola, lattuga), 107 campioni
di verdure (pomodori, cipolle, carote), 588 campioni di frutti
rossi (lamponi, mirtilli, ribes, fragole, more) e 135 campioni di
altri vegetali (insalata mix, macedonia, kiwi, ananas, albicocche,
funghi). Tutti i campioni presi in esame sono stati analizzati
secondo un metodo accreditato presso L’IZSLER. I campioni
presi in esame da giugno 2013 sono stati analizzati secondo un
nuovo metodo accreditato in conformità alla ISO ISO_TS 152162 VirusFood (3). Di ciascun campione sono stati pesati 25g,
che sono trattati con tampone TGBE e pectinase per staccare
dalla loro superficie l’eventuale virus presente. In seguito, dopo
aver portato il valore del pH a 9.5, una centrifugazione e una
incubazione a 4°C per 60 minuti, il campione è stato sottoposto
ad ulteriore centrifugazione e il pellet è stato risospeso in PBS e
cloroformio/butanolo, in modo da ottenere un eluato. Da questo
è stata effettuata l’estrazione dell’acido nucleico, svolta con il
kit QIAamp Ultrasense Virus Kit (Qiagen). Una volta ottenuto
l’RNA, è stata fatta una reazione di retro trascrizione, con l’uso di
esameri random e l’enzima MuLV trascrittasi inversa, e il cDNA
ottenuto è stato sottoposto ad una reazione di nested-PCR,
facendo ricorso a tre diversi primer (AV 1 e AV2 per la reazione
di prima PCR, AV2 e AV3 per la reazione di nested-PCR) che
amplificano la regione conservata del genoma virale che codifica
per il capside, in modo da operare con sensibilità e specificità
(Tabella 1).
193
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Tabella 1: sequenza dei primer della reazione di nested-PCR
AV1
5’-GGAAATGTCTCAGGTACTTTCTTTG-3’
AV2
5’-GTTTTGCTCCTCTTTATCATGCTATG-3’
AV3
5’- TCCTCAATTGTTGTGATAGC-3’
L’amplificato è stato poi sottoposto ad elettroforesi su gel
d’agarosio al 2.5% a voltaggio costante (5V/cm) per circa 30
minuti ed effettuata una fotografia tramite trans illuminatore per
verificare la presenza della banda.
RISULTATI E CONCLUSIONI
Il campionamento effettuato da Gennaio 2010 ad Agosto 2013
in campioni di vegetali per la ricerca di HAV ha permesso di
registrare la positività in PCR al virus di 35 campioni su 1.484
(2,35%); di questi, 12 sono stati riscontrati nei primi sei mesi
del 2013. Valutando le diverse categorie d’indagine, è possibile
osservare che i campioni risultati positivi sono stati 26 vegetali
a foglia larga, 5 verdure, 3 frutti rossi e 1 di altri vegetali (Figura
2). Questi dati, pur non essendo sufficienti per poter trarre delle
conclusioni, permettono di evidenziare come le categorie più
coinvolte siano i vegetali a foglia larga e i frutti di bosco. Ciò è
in linea con quanto descritto in letteratura (4;5) e si potrebbe
quindi avvalorare l’ipotesi secondo cui tali prodotti siano più
soggetti alla contaminazione da parte del virus HAV.
Campioni positivi per HAV
5
3
1
Vegetali foglia larga
Verdure
Frutti rossi
Altri vegetali
26
Figura 2: grafico dei campioni positivi per HAV suddivisi per
matrice
Potrebbe essere importante sottolineare come i prodotti di
IV gamma rientrino nella categoria maggiormente implicata,
rappresentando un rischio per il consumatore che ha la
tendenza a consumare questi prodotti senza alcun lavaggio o
trattamento disinfettante. Allo stesso modo, i frutti di bosco sono
spesso consumati senza cottura, rappresentando un veicolo
di trasmissione diretta all’uomo. Inoltre, potrebbe essere
interessante sottolineare come i campioni risultati positivi
fossero congelati prima del consumo, indicando le capacità
del virus di resistere alle basse temperature e mantenersi
sulla superficie dell’alimento per molto tempo.
Altro dato da valutare è l’andamento annuale, molto
differente: se nel periodo dal Gennaio 2010 al Dicembre 2012
il numero di campioni positivi è di 23 (5 nel 2010, 11 nel 2011
e 7 nel 2012), nei primi sei mesi del 2013 c’è stato un netto
incremento con 12 campioni risultati positivi, con un picco
nel periodo di aprile-maggio. A tale incremento è corrisposto
un aumento dei casi clinici di epatite A, soprattutto nel nord
Italia, ad indicare non solo la presenza del virus negli alimenti,
ma anche la sua capacità infettante. Si è così verificata
una situazione di allerta, che ha coinvolto il Ministero della
Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e l’IZSLER, che ad oggi
stanno ancora lavorando in modo coordinato per affrontare
l’epidemia.
In futuro potrebbe essere interessate valutare, con ulteriori
studi, i motivi per i quali determinate matrici alimentari siano
maggiormente esposte rispetto ad altre alla contaminazione
con il virus. Altro elemento è quello di individuare le criticità
nei processi produttivi, in modo che le aziende produttrici
possano evitare le contaminazioni e gestirle al meglio. Infine,
si rende necessaria una maggiore attenzione al problema
delle contaminazioni virali degli alimenti, e in particolare del
virus dell’HAV, data l’assenza di una normativa specifica
e l’importanza che negli ultimi anni tale problematica ha
assunto per garantire la sicurezza ai consumatori.
BIBLIOGRAFIA
1) Sentinel Surveillance System for Acute Viral Hepatitis
(SEIEVA), 2013.
2) Epidemia di Epatite A: situazione epidemiologica in Italia,
aggiornamento al 29 luglio 2013. Attività del Gruppo di lavoro
ISS in sinergia con le Regioni e con la Task Force del Ministero
della Salute e IZSLER (Centro Nazionale di referenza per i
Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare).
3) ISO-TS 15216/2. Microbiology of food and animal feed –
Horizontal method for determination of hepatitis A virus and
norovirus in food using real time PCR. Part 2: method for
qualitative detection.
4) The evaluation of the microbial safety of fresh ready-toeat vegetables produced by different technologies in Italy. De
Giusti M, Aurigemma C, Marinelli L, Tufi D, De Medici D, Di
Pasquale S, De Vito C, Boccia A. Depart. Of Experimental
Medicine, Sapienza University of Rome, Rome, Italy.
5) Survival of hepatitis A virus in spinach during low
temperature storage. Shieh YC, Stewart DS, Laird DT.U.S.
Food and Drug Administration, National Center for Food
Safety and Technology, Summit-Argo, Illinois 60501, USA.
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VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA SU PRODOTTI TIPICI DELLA PASTICCERIA SICILIANA
Corpina G.G., Ventura V.P., Cadili V., Puglisi M.L., Pillera A., Bonaventura T., Spartà D., Marino A.M.F.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Dipartimento Sanità Territoriale Interprovinciale Catania - Ragusa, Catania
Keywords: Esame microbiologico, Cannoli, Cassate.
ABSTRACT
The authors report on the results of a microbiological study
(TMC, L. monocytigenes, Salmonella spp., Brucella spp.,
Enumeration of S. aureus - E. coli - Yeasts and Moulds,
B. cereus) conducted on certain types of famous products
of Sicilian pastries: cannoli, cassata and ice cream, taken
at the most famous bakeries in the city of Catania and its
hinterland. Were applied laboratory methods ISO accredited,
out of a total of 50 samples, in order to obtain the isolation
of potential pathogens and to evaluate enumerations of the
most important indicators of microorganisms hygiene of the
production process. The results obtained, even in the face
of microbial loads quantifiable, related to the handling of the
products themselves, showed the total absence of pathogenic
microrganisms to consumers, allowing it to associate with the
famous and well-known traditional goodness of the products
concerned, even their health for consumers.
INTRODUZIONE
Gli autori riportano i dati parziali relativi ad una ricerca corrente
dal titolo “STUDIO SULLA PRESENZA DI CONTAMINANTI
MICROBIOLOGICI IN PRODOTTI ARTIGIANALI TIPICI DELLA
PASTICCERIA SICILIANA, FAMOSI NEL MONDO: CANNOLI,
CASSATE, GELATI”, attualmente ancora in corso, concernente
le indagini microbiologiche eseguite su prodotti tipici della
pasticceria siciliana, in modo da associare alle caratteristiche
di gusto e di soddisfazione per il consumatore già famose, un
supporto anche dal punto di vista della sicurezza alimentare
per il consumatore finale. La ricerca ha interessato alcuni tra
i prodotti tipici legati alla pasticceria siciliana, in particolare
sono stati scelti: la cassata, dolce tipico con una base di pan di
spagna ricoperto da una farcitura di ricotta, più o meno raffinata
e lavorata, ed una copertura di glassa; i cannoli alla ricotta e
alla crema che si compongono di una cialda di pasta fritta ed
un ripieno a base di ricotta raffinata e zuccherata o di crema;
ed infine i gelati ai vari gusti a base di panna e latte. Lo studio
ha previsto sia la ricerca di tipo qualitativo, per organismi
potenzialmente patogeni, che la ricerca (sia l’elaborazione) di
tipo quantitativo per le popolazioni batteriche eventualmente
presenti, che ci permettono dì avere una stima sui livelli igienici
applicati durante i processi di produzione e conservazione dei
prodotti esaminati.
MATERIALI E METODI
I campioni sono stati acquistati presso 15 rinomate pasticcerie
di Catania ed hinterland catanese e ne sono stati esaminati
un totale di 50 seguentemente rappresentati: 15 cassate, 15
cannoli alla ricotta, 5 cannoli alla crema e 15 gelati di gusti vari.
In particolare, le analisi condotte sono state indirizzate verso le
seguenti valutazioni analitiche (1-4):
- Carica microbica totale a 30°C (Norma ISO 4833:2003);
- Isolamento Salmonella spp. (Norma EN UNI ISO
6579:2008);
- Ricerca di Listeria monocytogenes (Norma EN UNI ISO
11290-1:1997 e amendment 1:2004 );
194
- Numerazione di Bacillus cereus a 30°C (Norma ISO
7932:2004.);
- Numerazione di Stafilococchi coagulasi positivi (Norma ISO
6888-2:1999);
- Numerazione di E.coli (Norma UNI ISO 16649-2:2010);
- Numerazione di lieviti e muffe – parte 1 Conteggio delle
colonie in prodotti con aw > 0,95 (Norma ISO 215271:2008);
- Isolamento di Brucella spp. (Metodo Manual of Diagnostic
Tests and Vaccines for terrestrial Animals OIE ed. 2008
“Brucellosis”, Chapter 2.4.3, B. 1b).
Fig. 1 - Cassata siciliana
Fig. 2 - Cannolo alla ricotta
RISULTATI E CONCUSIONI
In definitiva dai dati raccolti risulta che sul totale dei campioni
esaminati la ricerca di microrganismi patogeni, cioè di
Salmonella spp., Listeria spp. e di Brucella spp. ha dato esito
negativo, così come l’enumerazione di stafilococchi coagulasi
positivi ha dato valori <1x 101 ufc/g. Come mostrato in tab.1 la
carica microbica totale nei campioni di cassata ha dato valori
quantificabili, con limiti variabili tra un minimo di 5,7x105 ufc/g
e un massimo di 3,3x107 ufc/g. L’enumerazione di E. coli ha
evidenziato, solo in tre campioni valori rilevabili compresi tra
1,4x102 ufc/g e 7,5x103 ufc/g. L’enumerazione di B. cereus ha
evidenziato nella maggior parte dei casi valori inferiori a 1x101
ufc/g, in un unico campione il valore di carica è di 2,1 x 104.
Infine l’enumerazione di lieviti e muffe ha dato valori rilevabili in
soli quattro campioni compresi tra un minimo di 1,2x103 ufc/g e
un massimo di 7,5x105 ufc/g.
Come mostrato in tab.2 la carica microbica totale nei campioni
195
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
di cannoli ha dato valori quantificabili, con limiti variabili tra
un minimo di 1,2 x104 ufc/g e un massimo di 1,1x107 ufc/g.
L’enumerazione di E. coli ha evidenziato, solo in tre campioni
valori rilevabili compresi tra 1,4x102 ufc/g e 2x103 ufc/g.
L’enumerazione di B. cereus ha evidenziato nella maggior parte
dei casi valori inferiori a 1x101 ufc/g, in soli quattro campioni il
valore di carica è compreso tra un minimo di 1x103 ufc/g e
un massimo di 3,3x104 ufc/g. Infine l’enumerazione di lieviti e
muffe ha dato valori rilevabili in otto campioni compresi tra un
minimo di 1,5x103 ufc/g e un massimo di 6,6x105 ufc/g.
Come mostrato in tab.3 la carica microbica totale nei campioni
di gelato ha dato valori quantificabili, con limiti variabili tra
un minimo di 5,3 x102 ufc/g e un massimo di 5,8x107 ufc/g.
L’enumerazione di E. coli ha evidenziato, solo in tutti i campioni
valori rilevabili inferiori a 1x101 ufc/g. L’enumerazione di B.
cereus ha evidenziato nella maggior parte dei casi valori
inferiori a 1x101 ufc/g, in soli due campioni il valore di carica
è rispettivamente di 1x104 ufc/g e di 1,9x103 ufc/g. Infine
l’enumerazione di lieviti e muffe ha dato valori rilevabili in sei
campioni compresi tra un minimo di 9,1x102 ufc/g e un massimo
di 5,5x104 ufc/g.
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
GENETIC REASONS OF MEDITERRANEAN BUFFALOES INFERTILITY
Tab. 2 – Esiti laboratorio da n. 20 campioni di cannoli
Fig. 3 Gelato artigianale
Salmonella
spp./
Listera m..
/ Brucella
spp.
CMT
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
7,5 x 105
<1 x 101
4,2 x 104
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
2,7 x 106
<1 x 101
1,2 x 104
<1 x 101
<1 x 101
1,6 x 106
<1 x 101
<1 x 101
1,1 x 107
<1 x 101
8,4 x 105
5,3 x 105
<1 x 101
<1 x 101
E.coli
Staf. C.P.
2,0 x 103
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
1,4 x 102
<1 x 101
<1 x 101
5,2 x 102
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
B. cereus
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
2,1 x 104
<1 x 101
<1 x 101
1,0 x 103
<1 x 101
3,3 x 103
3,3 x 104
<1 x 101
<1 x 101
Lieviti
e muffe
1,5x 103
<1 x 101
5,2 x 103
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
2,0 x 105
<1 x 101
3,3 x 104
<1 x 101
<1 x 101
6,6 x 105
<1 x 101
<1 x 101
5,4x 103
<1 x 101
9,5x 103
3,1 x 103
<1 x 101
<1 x 101
In conclusione, sia pure con dati parziali, riferiti al numero limitato
di campioni finora esaminati, si può affermare che il consumo
dei prodotti artigianali della pasticceria siciliana non costituisce
fonte di particolare esposizione al pericolo per i consumatori.
E’ opportuno in taluni casi, migliorare ulteriormente l’igiene
della produzione, al fine di potere sempre abbinare alla bontà
e tipicità della tradizione pasticcera, il valore aggiunto della
garanzia di salubrità per i consumatori.
Tab. 3 – Esiti laboratorio da n.15 campioni di gelati
Salmonella
spp./ Listera
m.. / Brucella
spp.
Per quanto riguarda l’ E.coli i valori quantificabili si ritrovano
soprattutto in prodotti quali cassata e cannoli, mentre nei gelati
i valori sono inferiori <1x 101 ufc/g.
Infine per il B. cereus e per i lieviti e muffe la distribuzione dei
campioni con cariche quantificabili è omogenea per le diverse
classi di prodotti.
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
assente
Tab. 1 – Esiti laboratorio da n. 15 campioni di cassata siciliana
Salmonella
spp./
Listera m..
/ Brucella
spp.
CMT
E.coli
Staf. C.P.
B. cereus
Lieviti
e muffe
assente
5,7 x 105
<1 x 10 1
<1 x 101
<1 x 101
1,2 x 103
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
<1 x 10
<1 x 10
<1 x 10
<1 x 10
<1 x 10
assente
2,4 x 107
1,4 x 102
<1 x 101
<1 x 101
7,5 x 105
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
<1 x 10
<1 x 10
<1 x 10
1
<1 x 10
<1 x 101
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
3,3 x 10
7,5 x 10
<1 x 10
2,1 x 10
4
2,5 x 103
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
assente
7,7 x 10
5,2 x 10
<1 x 10
<1 x 10
2,4 x 105
1
1
7
5
1
1
3
2
1
1
1
1
1
1
1
CMT
E.coli
Staf. C.P.
B. cereus
Lieviti
e muffe
5,8 x 107
4,9 x 106
3,3 x 104
2,2 x 103
1,7 x 107
1,4 x 104
3,2 x 103
4,3 x 107
4,1 x 107
5,3 x 102
5 x 104
9 x 104
8,2 x 104
3 x 104
1,8 x 103
<1 x 10 1
<1 x 10 1
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
1,9 x 103
1,0 x 104
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
1,9 x 103
1,6 x 103
1,0 x 103
<1 x 101
5,5 x 104
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
9,1 x 102
<1 x 101
<1 x 101
<1 x 101
1,7 x 104
<1 x 101
<1 x 101
BIBLIOGRAFIA
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196
Corrado F.*, De Roma A.*, Cutarelli A.*, Mandato D.*, Cecere B.*, Coletta A.**, Cerino P.***, Guarino A.*, Galiero G.*
*Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno
** Associazione Nazionale Allevatori Specie Bufalina
*** Veterinario libero professionista
Keywords: CYP21, polymorphism, water buffalo
ABSTRACT
CYP21 gene encodes the steroid 21-hydroxylase (P450c21),
the key enzyme in corticosteroids metabolism. This enzyme is
connected with microsomal P450 cytochrome, fundamental
in estrogen biosynthesis. Estrogens are imperative for
reproductive development, fertility, bone growth and sexual
behavior. The analysis of the polymorphism of this gene
is therefore very important to understand the low level
of ovaric estrogens, a common cause of the infertility in
buffaloes. This work concerns the study of the CYP21 gene
through the Single Strand Conformational Polymorphism
(SSCP) in Mediterranean water buffaloes of different fertility
performance, in order to identify CYP21 allelic variants which
could be connected with the buffaloes infertility.
INTRODUZIONE
L’infertilità dell’allevamento bufalino risulta essere un
problema in progressivo aumento (1). Le cause sono
molteplici e talvolta sono da ricollegare all’elevato grado di
consanguineità presente nella specie bufalina allevata in
Campania. Infatti il rischio di diffusione di malattie infettive
ha costretto molti allevatori a limitare l’introduzione di tori
provenienti da altre aziende. Ciò ha indirettamente causato
un ridotto rimescolamento genetico causa di infertilità. Il
presente lavoro si inserisce in tale ambito con lo scopo di
individuare e limitare i fattori genetici di infertilità della bufala
mediterranea.
Studi precedenti hanno, infatti, evidenziato una correlazione
tra le mutazioni che si riscontrano nei geni del citocromo P450
microsomiale e il basso livello di estrogeno ovarico in Bubalus
bubalis di razza murrah (2). Alla famiglia dei geni del citocromo
P450 specifici per i mammiferi appartengono i geni CYP19
e CYP21. Il gene CYP21 codifica lo steoide 21-idrossilasi
(P450c21), un enzima necessario nel metabolismo di
corticosteroidi e connesso al citocromo P450 microsomiale,
enzima chiave nella biosintesi degli estrogeni (3). Questi ultimi
sono indispensabili per lo sviluppo riproduttivo, la fertilità, la
crescita delle ossa e il comportamento sessuale.
Obiettivo del presente lavoro è quello di identificare significativi
polimorfismi della sequenza di un frammento
(351 bp) del gene CYP21 di bufale di razza mediterranea
italiana di diverse età e con differenti livelli di fertilità. In questo
modo sarà possibile effettuare un’ indagine preliminare sulla
correlazione genetica tra le mutazioni osservate e l’infertilità
della bufala mediterranea.
MATERIALI E METODI
Campionamento
Le analisi sono state condotte su 22 campioni di sangue
di bufala, alcuni selezionati dall’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Mezzogiorno nell’ambito di progetti di
ricerca dell’ente (es. Progetto Genoma Bufala) e altri sono
stati forniti dall’ANASB (Associazione Nazionale Allevatori
Specie Bufalina).
PCR di amplificazione
Il DNA è stato estratto utilizzando il QIAamp DNA Mini kit
(Qiagen). La PCR è stata preparata utilizzando 5 µL di DNA
genomico e i seguenti primers:
Primer forward: CCCACCGAGTCCTGCCAC
Primer reverse: GAGGGGGCAGTTGAAGGAC
La mix di reazione (50µL) include: 25µL di Master Mix 2x
(Applera), 1µL di ogni primer (10µM), 18µL di acqua DNAse/
RNAse free e 50 ng del DNA estratto.
Il profilo termico di reazione è costituito da una prima fase
di denaturazione di 15 min a 95°C, 35 cicli di 30 sec a 94°C,
30 sec a 60°C, e 30 sec a 72°C, e una fase di elongazione
finale di 10 min a 72°C. I prodotti di PCR, dopo essere sono
stati visualizzati mediante l’uso di un sistema di elettroforesi
capillare (QIAxcel Advanced System), sono stati sottoposti a
sequenziamento.
PCR di sequenziamento e analisi BLAST
I prodotti della PCR di amplificazione sono stati purificati
mediante Qiaquick PCR purification Kit (Qiagen) e
successivamente sottoposti a PCR di sequenziamento bidirezionale utilizzando il kit di sequenziamento ABI PRISM Big
Dye3.1 Terminator Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems)
secondo le istruzioni contenute nel kit. Le sequenze sono state
poi purificate mediante DyeEX 2.0 spin kit (Qiagen) ed infine
sottoposte ad elettroforesi capillare con lo strumento ABI
Prism 3130 e 3500 Genetic Analyzer (Applied Biosystems).
Gli Elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software
SeqScape v.2.5 (Applied Biosystem). Le sequenze ottenute
sono state elaborate attraverso BLAST (http://blast.ncbi.nlm.
nih.org) che esegue il confronto con la sequenza di riferimento
depositata (GeneBank accession number M11267).
RISULTATI E CONCLUSIONI
In fase preliminare, il criterio di selezione dei campioni ha
riguardato la loro distinzione nelle tre seguenti categorie al
fine di discriminarli per grado di fertilità:
C1: bufale che hanno partorito
C2: bufale in lattazione
C3: bufale sessualmente mature
Per effettuare la ricerca di eventuali mutazioni ed identificarne
la natura, le 22 sequenze del gene target sono state
sottoposte ad analisi comparativa mediante allineamento
al fine di identificare le corrispondenze residuo per residuo.
Dall’analisi dei dati preliminari è stato possibile riscontrare
un elevato grado di similarità fra le tre categorie di campioni
analizzati: le sequenze risultano infatti omologhe.
197
XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
Figura 1
nel gene CYP19, anch’esso appartenente alla famiglia dei geni
del citocromo P450 microsomiale e pertanto fondamentale per
la fisiologia della riproduzione.
Unica eccezione è rappresentata dalla sequenza ottenuta
per un campione appartenente alla categoria delle bufale
sessualmente mature (C3). In questo caso si è individuata una
singola mutazione, nella posizione evidenziata in figura 1, di
una Citosina in luogo di una Timina.
Lo studio della storia clinica dei campioni in esame, con
particolare attenzione al campione che ha mostrato la
mutazione, permetterà di sviluppare le correlazioni genetiche
oggetto di questo lavoro.
Sviluppi futuri riguarderanno, inoltre, lo studio del polimorfismo
BIBLIOGRAFIA
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013
CARATTERIZZAZIONE DI UN CEPPO DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
METICILLINO-RESISTENTE (MRSA) E CATALASI NEGATIVO ISOLATO DA UN CANE
Corrente M.1, Ventrella G.1, Parisi A.2, Desario C.1, Narcisi D.1, Buonavoglia D.1
1
Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, Valenzano (BA)
2
Istituto Zooprofilattico della Puglia e Basilicata, sezione di Putignano (BA)
Key words: Cane, Staphylococcus aureus, catalasi
SUMMARY
A catalase-negative MRSA strain and a methicillin resistant
S. pseudintermedius strain (MRSP) were isolated from a dog
affected by a severe form of pododermatitis. The catalase
negative isolate was typed as a SCCmec I, PVL negative, ST5
t002 strain. A deletion at position 487 of the kat gene altered the
functionality of the catalase enzyme. This is the first report of a
catalase-negative MRSA in animals. As catalase test is a rapid
assay routinely employed for the identification of staphylococci
in clinical microbiology laboratories, the presence of MRSA with
this uncommon phenotype may be underestimated. Moreover,
catalase-negative staphylococci should be investigated more
in-depth in order to assess their virulence.
INTRODUZIONE
Staphylococcus aureus è un microrganismo patogeno sia per
gli animali che per l’uomo. Le infezioni da S. aureus hanno
assunto grande rilevanza per la sanità pubblica in seguito
alla comparsa di ceppi antibiotico-resistenti, in particolare S.
aureus meticillino-resistente (MRSA) (3). MRSA è considerato
un patogeno primario nell’uomo, ed è stato segnalato anche
negli animali, sia da compagnia che da reddito. In particolare,
i ceppi MRSA isolati da cani e gatti, sono risultati spesso
assimilabili a cloni umani, circolanti in ambito ospedaliero,
suggerendo l’ipotesi che sia avvenuta una trasmissione
dall’uomo agli animali (10). L’enzima catalasi è caratteristico
di tutti gli stafilococchi, ad eccezione di S. aureus subsp.
anaerobius e S. saccharolyticus, che sono catalasi negativi
e anaerobi (15). Tale enzima è considerato cruciale per la
virulenza, dato che permette agli stafilococchi di resistere ai
radicali liberi dell’ ossigeno prodotti dai macrofagi (7). Tuttavia,
sin dal 1955, sono stati identificati ceppi di S. aureus catalasi
negativi isolati da campioni clinici nell’uomo (18). Più di recente,
sono stati segnalati, sempre nell’uomo, stipiti MRSA privi dell’
attività della catalasi (2, 5). Nel complesso, tali segnalazioni
sono frammentarie, e non sempre sono documentate da
caratterizzazione molecolare dei ceppi.
Nell’ambito del piano di monitoraggio relativo agli stafilococchi
coagulasi positivi, isolati da animali d’allevamento e da
compagnia, condotto presso il laboratorio di batteriologia del
Dipartimento di Medicina veterinaria dell’ Università di Bari, è
stato riscontrato un ceppo MRSA catalasi negativo in un cane
con una grave forma di pododermatite, in associazione ad un
ceppo di S. pseudintermedius meticillino-resistente (MRSP).
MATERIALI E METODI
Un cane meticcio, adulto, proveniente da un canile, è stato
visitato da un veterinario libero professionista, che aveva
riscontrato una grave forma di pododermatite. L’animale era
stato precedentemente trattato con cefalessina per 3 settimane
ed enrofloxacin per 7 giorni, senza remissione delle lesioni.
I campioni prelevati da tre siti distinti di lesione sono stati
seminati su Columbia blood agar, Mac Conkey, e Mannitol salt
198
agar, (MSA) (Liofilchem, Teramo) Dopo incubazione per 48 ore
a 37 °C, sono stati evidenziati cocchi Gram positivi in purezza
su agar sangue e MSA; su quest’ultimo, sono stati distinti, in
base al comportamento biochimico, due ceppi, uno mannitolopositivo (164/13a) e uno mannitolo-negativo (164/13b). Gli
isolati sono stati sottoposti al test della catalasi (3% H2O2) e
identificati mediante PCR con primers specie- specifici per S.
aureus e S. pseudintermedius (16).
Entrambi i ceppi sono risultati oxacillina-resistenti, mediante il
test di diffusione in agar, eseguito secondo le linee-guida del
Clinical
Laboratory
Standards
Institute
(1).
Tale pattern fenotipico è stato confermato mediante PCR
per il gene mecA; entrambi i ceppi sono risultati meticillinoresistenti (12). Inoltre sono stati saggiati per la sensibilità
ai seguenti antibiotici non beta-lattamici: ciprofloxacin,
clindamicina, cloramfenicolo, cotrimossazolo, doxiciclina,
eritromicina,
enrofloxacin,
gentamicina,
norfloxacin,
rifampicina, kanamicina, tobramicina (1). Il ceppo 164/13a è
stato ulteriormente caratterizzato mediante spa-typing (17),
multilocus sequence typing (MLST) (4) e multiplex PCR per
la Staphylococcal Chromosome cassette (SCCmec) (13) .
Inoltre è stata valutata la presenza dei geni codificanti per la
tossina Panton Valentin leukocidin (PVL) mediante PCR (9).
La sequenza del gene katA è stata amplificata, seguendo il
protocollo di To et al (18 ) ed è stata analizzata e confrontata
con il gene katA di un ceppo di riferimento, catalasi positivo (S.
aureus ATCC 12600, AJ000472).
RISULTATI
Lo stipite mannitolo-positivo (164/13a), identificato come
S. aureus, è risultato negativo al test della catalasi. Il ceppo
mannitolo-negativo (164/13b), catalasi positivo è stato
identificato invece come S. pseudintermedius. Il ceppo 164/13a
è risultato resistente alla clindamicina e eritromicina, mentre
il ceppo 164/13b ha mostrato resistenza a tutte le molecole
testate, tranne il cloramfenicolo, la gentamicina e la rifampicina.
Il ceppo 164/13a è risultato appartenere, mediante MLST, al
gruppo ST5, e spa-type t002. Inoltre, è stato caratterizzato
come SCCmec tipo I e PVL negativo. Mediante l’analisi di
sequenza del gene katA, il ceppo 164/13a ha mostrato il 99,6
% di identità nt con il ceppo di riferimento ATCC 12600. E’ stata
evidenziata una delezione puntiforme in posizione 487 che ha
alterato l’integrità strutturale e funzionale dell’enzima.
CONCLUSIONI
L’enzima catalasi di S. aureus è composto da 4 subunità
codificate dal gene katA, (1518 nt) e che codifica per una
proteina di 505 aa. Nei ceppi di S. aureus catalasi negativi
sino ad oggi segnalati, la mancata attività dell’enzima è
stata collegata a mutazioni puntiformi e/o delezioni in grado
di alterare l’integrità e la funzionalità del gene katA (18).
Nel ceppo 164/13a il fenotipo catalasi negativo è stato
correlato ad una delezione in grado di causare un frame-
199