colombia - Viaggi di Cultura

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colombia - Viaggi di Cultura
VIAGGI di CULTURA
Piazza S. Domenico 2, 40124 Bologna. 051 233716
COLOMBIA
5 - 24 AGOSTO 2012
Ass. culturale: Guido Corradi
Eduardo Galeano
Memoria del fuoco
Sansoni Editore, Firenze 1989
Le origini
1564 - Plymouth
Hawkins
I quattro vascelli, sotto il comando del capitano John Hawkins, aspettano la marea del mattino. Non appena saliranno le acque,
partiranno alla volta dell’Africa, a caccia di uomini sulle coste della Guinea. Di lì metteranno la prua sulle Antille, per scambiare
gli schiavi con zucchero, pelli e perle.
Un paio di anni fa Hawkins fece questo tragitto per conto suo. Su di una nave chiamata Gesù, vendette di contrabbando trecento
negri a Santo Domingo. La regina Elisabetta esplose d’ira quando lo seppe, ma la furia le svanì non appena conobbe il bilancio del
viaggio. In un batter d’occhio si fece socia in affari dell’audace cane di mare della contea del Devon, e i conti di Pembroke e Leicester e il giudice superiore di Londra comprarono le prime azioni della nuova impresa.
Mentre i marinai issano le vele, il capitano Hawkins li arringa dal ponte. L’armata britannica farà propri questi ordini nei secoli a
venire:
— Servite Dio ogni giorno! — ordina Hawkins a pieni polmoni. — Amatevi gli uni con gli altri! Tenete in serbo le vostre provviste! Custodite il fuoco! Mantenetevi in buona compagnia!
1599 - Santa Marta
Fanno la guerra per fare l’amore
Scoppia la rivolta sulle coste dei Caraibi e i tuoni squassano la Sierra Nevada. Gli indios si ribellano per la libertà dell’amore.
Nella festa della luna piena, gli dei ballano nel corpo del capo Cuchacique e conferiscono magia alle sue braccia. Dai villaggi di Jeriboca e Bonda, le voci della guerra svegliano l’intera terra degli indios tairona e scuotono Masinga e Masinguilla, Zaca e Mamazaca, Mendiguaca e Rotama, Buritaca e Tairama, Maroma, Taironaca, Guachaca, Chonea, Cinto e Nahuanje, Mamatoco, Ciénaga,
Dursino e Gairaca, Origua e Durama, Dibocaca, Daona, Chengue e Masaca, Daodama, Sacasa, Cominca, Guarinea, Mauracataca,
Choquenca e Masanga.
Il capo Cuchacique veste la pelle del giaguaro. Frecce che sibilano, frecce che bruciano, frecce che avvelenano: i tairona incendiano
cappelle, rompono croci e uccidono frati, combattendo contro il dio nemico che proibisce le loro abitudini.
Fin dai tempi più remoti, in queste terre divorziava chi voleva e facevano l’amore i fratelli, se ne avevano voglia, e la donna con l’uomo o l’uomo con l’uomo o la donna con la donna. Così fu in queste terre finché arrivarono gli uomini in nero e gli uomini di ferro,
che gettano ai cani quelli che amano come amavano gli antenati.
I tairona celebrano le prime vittorie. Nei loro templi, che il nemico chiama case del Diavolo, suonano il flauto nelle ossa dei vinti,
bevono vino di mais e danzano al suono dei tamburi e delle trombe di conchiglia. I guerrieri hanno chiuso tutti i passi e le strade
verso Santa Marta e si preparano all’assalto finale.
1600 - Santa Marta
Avevano una patria
Il fuoco indugia a bruciare. Come brucia lento!
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Rumori di ferro, avanzare di armature. L’assalto a Santa Marta è fallito e il governatore ha pronunciato sentenza di annientamento.
Armi e soldati sono arrivati da Cartagena al momento giusto e i tairona, dissanguati da tanti anni di tributi e schiavitù, si sparpagliano in rotta.
Sterminio mediante il fuoco. Bruciano i villaggi e le piantagioni, i campi di mais e di cotone, i campi di yuca e di patate, i frutteti.
Bruciano i terreni irrigati e quelli seminati che rallegravano la vista e davano da mangiare, i campi di lavoro dove i tairona facevano
l’amore in pieno giorno, perché nascono ciechi i bambini concepiti al buio.
Quanti mondi illuminano questi incendi? Quello che c’era e si vedeva, quello che c’era e non si vedeva...
Esiliati dopo settantacinque anni di rivolte, i tairona fuggono per le montagne verso i più aridi e lontani rifugi, dove non c’è pesce
né mais. Li stanno scacciando in quella direzione, su per la montagna, per strappar loro la terra e la memoria: perché là, lontano, si
isolino e dimentichino, nella solitudine, i canti di quando stavano insieme, federazione di liberi villaggi, ed erano potenti e vestivano
manti di cotone colorato e collane d’oro e pietre sfolgoranti: perché mai più ricordino che i loro nonni furono giaguari.
Dietro le spalle, lasciano rovine e tombe.
Sospira il vento, sospirano le anime in pena, e il fuoco si allontana ballando.
I volti e le maschere
La mantide
Ci sono molti animali nelle regioni dove Domingo Bioho regna per sempre nei suoi rifugi. I più temuti sono la tigre, il boa e il serpente che si intreccia con le liane e striscia nelle capanne. I più affascinanti sono il pesce mayupa, che caca dalla testa, e la mantide.
Come la femmina del ragno, la mantide divora i suoi amanti. Quando il maschio la abbraccia da dietro, gira verso di lui la sua faccia senza mento, lo misura con i grandi occhi sporgenti, gli conficca i denti nella carne e se lo pappa con tutta calma, fino a ridurlo
a niente.
La mantide è molto devota. Tiene sempre le braccia in atto di preghiera, e pregando mangia.
1712 - Santa Marta
Dalla pirateria al contrabbando
Tra le verdi gambe della Sierra Nevada, che immerge i piedi nel mare, si innalza un campanile circondato di case di legno e paglia.
Là vivono le trenta famiglie bianche del porto di Santa Marta. Tutto intorno, in capanne di canne e fango, sotto tetti di foglie di
palma, vivono gli indios, i negri e i meticci che nessuno si è preso la briga di contare.
I pirati sono sempre stati l’incubo di queste coste. Quindici anni or sono il vescovo di Santa Marta dovette sventrare l’organo della
chiesa per improvvisare munizioni. Una settimana fa le navi inglesi sono passate attraverso le cannonate dei fortini che sorvegliano
la baia e all’alba sono apparse indisturbate sulla spiaggia.
Tutti sono fuggiti sui monti.
I pirati hanno aspettato, senza rubare neanche un fazzoletto né incendiare una sola casa.
Gli abitanti, diffidenti, si sono avvicinati a poco a poco; e ora Santa Marta è diventata un allegro mercato. I pirati, armati fino ai
denti, sono venuti a vendere e a comprare. Tirano sul prezzo, ma sono scrupolosi nel pagare.
Lontano di qui, le fabbriche britanniche crescono e pretendono mercati. Molti pirati diventano contrabbandieri, anche se nessuno
di loro sa che cosa diavolo significhi questa faccenda dell’accumulazione del capitale.
1781 - Bogotá
I comuneros
Trema di rabbia l’arcivescovo di Bogotá e geme la pelle della poltrona. Le mani, mani di confetto, ornate di rubini e smeraldi, stropicciano la sottana viola. Sua eminenza, don Antonio Caballero y Góngora, impreca a bocca piena, anche se non sta mangiando,
perché la sua lingua è grassa come lui.
Dalla città di Socorro sono arrivate notizie incresciose. I comuneros, gente della comunità, si sono ribellati contro le nuove tasse, e
hanno nominato capitani i creoli ricchi. Ricchi e poveri sono offesi dalle nuove tasse, che colpiscono tutto, dalle candele di sego fino
al miele, e non risparmiano nemmeno il vento: si chiama balzello del vento l’imposta che paga il mercante di passaggio.
A Socorro, città di rocce, è scoppiata la rivolta che il viceré, a Bogotá, vedeva arrivare. In un giorno di mercato, in mezzo alla piazza.
Una popolana, Manuela Beltràn, ha strappato l’editto dalle porte del Cabildo, lo ha fatto a pezzi e calpestato; e il popolo ha preso
d’assalto i magazzini e incendiato le carceri. Ora migliaia di comuneros, armati di bastoni e zappe, vengono verso Bogotá battendo
i tamburi. Le armi spagnole sono cadute nella prima battaglia.
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L’arcivescovo, che comanda più del viceré, decide di uscire incontro ai ribelli. Andrà, per ingannarli con promesse, alla testa dell’ambasciata di corte. La mula lo guarda atterrita.
1801 - Bogotá
Mutis
Il vecchio frate chiacchiera mentre sbuccia arance, e una ininterrotta spirale d’oro scivola verso un secchio fra i suoi piedi.
Per vederlo, per ascoltarlo, Humboldt e Bonpland hanno deviato dal loro cammino verso sud e hanno risalito il fiume per quaranta
giorni. José Celestino Mutis, patriarca dei botanici d’America, si addormenta ai discorsi ma si diletta come nessun altro delle chiacchiere complici.
I tre uomini, sapienti sempre stupefatti dinanzi alla bellezza e al mistero dell’universo, si scambiano piante, idee, dubbi, scoperte.
Mutis si entusiasma sentendo parlare della laguna Guatavita, delle saline di Zipaquirá e del salto di Tequendama. Elogia la carta del
fiume Magdalena, che Humboldt ha appena disegnato, e discretamente suggerisce alcune modifiche, con la mitezza di chi molto ha
viaggiato e molto conosce, di chi sa, nella parte più profonda e autentica di sé, di avere molti seguaci nel mondo.
E mostra tutto e racconta tutto. Mentre mangia e offre arance, Mutis parla delle lettere che gli scriveva Linneo, e di quante cose gli
abbiano insegnato quelle lettere, e dei problemi che ha avuto con l’Inquisizione. E li fa partecipi delle sue scoperte sui poteri curativi
della corteccia della china, o sull’influsso della luna sul barometro, o sui cicli della veglia e del sonno nei fiori, che dormono come
noi e come noi si sgranchiscono e si svegliano a poco a poco, dispiegando i petali.
1811 - Bogotá
Marino
Abbiamo cambiato padroni, scrive Antonio Nariño in Colombia.
«La Bagatela», rivista da lui fondata, e da lui diretta e redatta da cima a fondo, non risparmia nessuno. L’insurrezione nazionale dei
colombiani, denuncia Marino, si sta trasformando in un ballo in maschera. Esige che venga dichiarata l’indipendenza una volta
per tutte. Chiede anche, voce nel deserto, che venga riconosciuto agli umili il diritto di voto e che la volontà del plebeo nudo valga
quanto quella del signore avvolto nei fastosi velluti.
Abbiamo cambiato padroni, scrive. Qualche mese fa il popolo invase la Plaza Mayor di Bogotá, e gli uomini imprigionarono il viceré, e le donne gettarono la viceregina nel carcere delle puttane. Il fantasma di José Antonio Galán, capitano di comuneros, muoveva
all’assalto alla testa della folla inferocita. Allora si presero un bello spavento i dottori e i vescovi e i mercanti e i padroni di terre e di
schiavi: giurando di evitare a qualsiasi prezzo gli errori dei libertini di Francia, aiutarono la coppia vicereale nella sua fuga clandestina.
Abbiamo cambiato padroni. Governano la Colombia i gentiluomini dalle camicie inamidate e dalle giacche cariche di bottoni. Perfino in Cielo ci sono le gerarchie, predica il canonico della Cattedrale, e nemmeno le dita della mano sono uguali. Le dame si fanno il
segno della croce inchinando cespugli di boccoli, fiori e nastri sotto la nera mantiglia. La Giunta dei Notabili emana i suoi primi
decreti. Fra gli altri provvedimenti patriottici, adotta quello di derubare i già derubati indios dell’unica cosa che rimane loro. Con
il pretesto di liberarli dai tributi, la Giunta strappa agli indios le terre comunitarie per obbligarli a servire nelle grandi proprietà che
ostentano il ceppo in mezzo al cortile.
Strofe del mondo alla rovescia, per chitarra accompagnata da un cantante
Han rovesciato il quadro
del mondo e delle colpe:
a caccia del cane la volpe
e dietro al giudice il ladro.
I piedi librati in aria e la bocca di buon passo,
il fuoco che estingue l’acqua,
il cieco che di mestiere insegna l’abbecedario,
e i buoi portati a spasso sul carro dal carrettiere.
Lungo le rive di un uomo
un fiume sedentario
stava affilando il cavallo
e abbeverando il coltello.
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1828 - Bogotá
Qui la odiano
A voce alta la chiamano la Forestiera o la Messalina, e bisbigliando le danno nomi peggiori. Dicono che per colpa sua Bolívar è carico
di ombre e crivellato di rughe e che brucia il suo talento a letto.
Manuela Sáenz ha combattuto con la lancia ad Ayacucho. I baffi che strappò a un nemico furono il talismano dell’esercito patriota. Quando Lima si ammutinò contro Bolívar, lei si travestì da uomo e girò tutte le caserme con una pistola e una borsa di denaro.
Qui, a Bogotá, passeggia all’ombra dei ciliegi, vestita da capitana e scortata da due negre in uniforme da ussari. Qualche notte fa,
in una festa, ha messo al muro un pupazzo di stracci e l’ha fucilato, sotto una scritta che diceva: Francisco de Paula Santander muore
da traditore.
Santander è cresciuto all’ombra di Bolívar, negli anni della guerra: fu Bolívar a nominarlo vicepresidente. Ora Santander vorrebbe
assassinare il monarca senza corona durante qualche ballo in maschera o facendogli tendere un agguato.
Il guardiano notturno di Bogotá, lanterna in mano, dà l’ultima voce. Gli rispondono le campane della chiesa, che spaventano il
Diavolo e invitano a raccogliersi.
Risuonano degli spari, cadono le guardie. Gli assassini irrompono su per le scale. Grazie a Manuela, che li distrae con una menzogna, Bolívar riesce a fuggire dalla finestra.
Dalla lettera di Manuela Sáenz al marito, James Thorne
No, no, mai più, per Dio! Perché costringermi a scrivere, e a venir meno alla mia decisione? Andiamo, cosa ci guadagnate voi, se non farmi
provare il dolore di dirvi mille volte no? Signore: voi siete eccellente, siete inimitabile, non dirò mai altra cosa se non ciò che voi siete. Ma,
amico mio, lasciare voi per il generale Bolívar è qualcosa; lasciare un altro marito senza le vostre qualità, sarebbe niente.
... Io so molto bene che niente può unirmi a lui sotto gli auspici di ciò che voi chiamate onore. Voi mi credete meno onorata perché lui è il
mio amante e non il mio sposo? Ah! Io non vivo delle preoccupazioni sociali inventate per tormentarsi reciprocamente.
Lasciatemi voi, mio caro inglese. Facciamo un’altra cosa: in cielo ci sposeremo di nuovo, ma sulla terra no... Là tutto sarà all’inglese perché
la vita monotona è propria della vostra nazione (in amore, dico; poiché per il resto, chi più abile di voi nel commercio e nella marina?).
L’amore vi si confà senza piacere; la conversazione, senza grazia, e la camminata con lentezza; il saluto, con riverenza; l’alzarsi e il sedersi,
con attenzione; lo scherzo, senza riso. Queste sono formalità divine; ma io, misera mortale, che rido di me stessa, di voi e di queste serietà
inglesi, come mi troverei male in cielo!...
1867 - Bogotá
Si pubblica un romanzo chiamato «Maria»
Le signore si dondolano sulle amache, boccoli ondeggianti dietro i colli eburnei, cullate da gentiluomini che si vestono come defunti
e hanno facce di polli lessi. Una carovana di negri, con cesti in testa, passa lontano e in silenzio, come chiedendo scusa di esistere e
di dare fastidio. Nel giardino della piantagione, aroma di caffè, fragranza di gardenie, Jorge Isaacs intinge la sua penna nelle lacrime.
Tutta la Colombia singhiozza. Efraín non è arrivato in tempo. Mentre lui solcava il mare, sua cugina Maria, vittima di una malattia ereditaria e incurabile, esalava l’ultimo respiro e ascendeva, vergine, al Cielo. Davanti al sepolcro Efraín si stringe al petto la sua
eredità d’amore. Maria gli ha lasciato un fazzoletto, ricamato da lei e da lei bagnato, alcuni petali di giglio tanto simili a lei e come
lei sfioriti, un anello scivolato via dalla rigida mano che era stata leggiadra rosa di Castiglia, e una ciocca delle lunghe chiome nel
reliquiario che le labbra di giaggiolo riuscirono a baciare mentre le gelava la morte.
1867 - Querétaro
Massimiliano
L’esercito di Juárez e le mille bande guerrigliere del popolo messicano scacciano i francesi. Massimiliano, l’imperatore, crolla nel
fango gridando que viva México.
Alla fine. Napoleone III gli aveva tolto l’esercito, il papa lo odiava e i conservatori lo chiamavano Impeggioratore. Napoleone gli aveva
ordinato di amministrare la nuova colonia francese, ma Massimiliano non obbediva. Il papa aspettava la restituzione dei suoi beni
terreni, e i conservatori credevano che avrebbe esorcizzato il Messico dal demonio liberale, ma Massimiliano, in piena guerra contro
Juárez, emanava leggi uguali a quelle di Juárez.
Una carrozza nera arriva a Querétaro sotto la pioggia. Il presidente Juárez, colui che ha sconfitto gli intrusi, si sporge sulla bara aperta e senza fiori, dove giace il principe dai languidi occhi azzurri a cui piaceva passeggiare nei giardini del centro vestito da charro,
con sombrero e lustrini.
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1896 - Papeete
Flora Tristán
La tela, nuda, immensa, si offre come una sfida. Paul Gauguin dipinge, insegue, scaglia colore come dicendo addio al mondo; e la
mano, disperata, scrive: Da dove veniamo, che siamo, dove andiamo?
Più di mezzo secolo fa la nonna di Gauguin chiese la stessa cosa, in uno dei suoi libri, e morì cercando risposte. La famiglia peruviana di Flora Tristán non pronunciava mai il suo nome, come se portasse sventura o fosse una pazza o un fantasma. Quando Paul
chiedeva di sua nonna, nei lontani anni dell’infanzia a Lima, gli rispondevano:
— A letto, che è tardi.
Flora Tristán aveva bruciato la sua fugace vita predicando la rivoluzione, la rivoluzione proletaria e la rivoluzione della donna schiavizzata dal padre, dal padrone e dal marito. La malattia e la polizia la finirono. Morì in Francia. Gli operai di Bordeaux le pagarono
la bara e la portarono a spalle al cimitero.
Il secolo del vento
1928 - Ciénaga
Strage
Sulle spiagge di Ciénaga, ondeggiare di mare e di bandiere. Gli scioperanti sono venuti da tutte le parti, uomini con machete alla
cintura, donne cariche di pentole e di bambini, e qui, circondati dai falò, aspettano. Hanno la promessa che questa notte l’impresa
firmerà l’accordo che metterà fine allo sciopero.
Invece dell’amministratore della United Fruit, arriva il generale Cortés Vargas. Invece dell’accordo, legge un ultimatum.
La folla non si muove. Risuonano i tre squilli di preavviso della tromba militare.
E allora, d’un tratto, esplode il mondo, subitaneo tuonare di tuoni, e si scaricano le mitragliatrici e le carabine.
La piazza è tappezzata di morti. I soldati la spazzano e la lavano, per tutta la notte, mentre le navi gettano i morti in alto mare; e
all’alba non succede niente.
— A Macondo non è successo niente, né sta succedendo, né succederà mai.
1948 - Bogotá
Vigilia
Nella placida Bogotá, dimora di frati e giuristi, il generale Marshall si riunisce con i primi ministri dei paesi latinoamericani.
Che cosa ci porta nelle sue bisacce il Re Magio di Occidente, colui che innaffia di dollari le terre europee devastate dalla guerra? Il
generale Marshall sopporta, impassibile, con la cuffia che gli schiaccia le orecchie, la interminabile sequela di discorsi. Senza neppure
muovere le palpebre, sopporta le lunghissime professioni di fede democratica di molti delegati latinoamericani ansiosi di vendersi a
prezzi di liquidazione, mentre John McCloy, amministratore della Banca Mondiale, avverte:
— Mi dispiace, signori, ma non ho messo in valigia il libretto degli assegni.
Anche al di fuori dei saloni della Nona Conferenza Panamericana, in lungo e in largo per tutto il paese ospite, piovono discorsi. I
dottori liberali annunciano che porteranno la pace in Colombia, come la dea Pallade Atena fece germogliare l’olivo sulle colline di Atene, e i dottori conservatori promettono di strappare al sole forze sconosciute e di accendere con l’oscuro fuoco che è nelle viscere del globo
la timida lampada votiva del tenebrario che si accende alla vigilia del tradimento nella notte delle tenebre.
Capi di governo e dottori esclamano, proclamano e declamano. Nel frattempo, la realtà esiste. Nelle campagne della Colombia si
gioca a fucilate la guerra tra conservatori e liberali; i politici mettono le parole e i contadini mettono i morti. E già la violenza sta
arrivando fino a Bogotá, già bussa alle porte della capitale e minaccia la sua routine di sempre, sempre gli stessi peccati, sempre le
stesse metafore: alla corrida dell’ultima domenica, la folla disperata si è lanciata nell’arena e ha fatto a pezzi un povero toro che si
rifiutava di combattere.
1948 - Bogotá
Gaitán
Il paese legale, dice Jorge Eliécer Gaitán, non ha niente a che vedere con il paese reale. Gaitán è il capo del Partito Liberale, ma è anche
la sua pecora nera. Lo adorano i poveri di tutte le bandiere. Che differenza c’è tra la fame liberale e la fame conservatrice? La malaria
non è né conservatrice né liberale!
La voce di Gaitán scatena il popolo che grida per bocca sua. Quest’uomo mette in fuga la paura. Da tutte le parti gli straccioni accor-
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rono ad ascoltarlo, ad ascoltarsi, remando attraverso la selva e spronando i cavalli lungo le strade. Dicono che quando parla Gaitán
a Bogotá si dirada la nebbia; e che persino in cielo san Pietro tende l’orecchio e non permette che cada la pioggia sulle gigantesche
manifestazioni alla luce delle torce.
L’altero condottiero, volto asciutto di statua, denuncia senza peli sulla lingua l’oligarchia e il ventriloquo imperialista che la tiene
seduta sulle sue ginocchia, oligarchia senza vita propria né parola propria, e annuncia la riforma agraria e altre verità che porranno
fine alla lunga menzogna.
Se non lo uccidono, Gaitán sarà il presidente della Colombia. Comprarlo non si può. A quale tentazione potrebbe soccombere
quest’uomo che disprezza il piacere, che dorme solo, mangia poco e non beve, e che non accetta l’anestesia neanche per togliersi
un dente?
1948 - Bogotá
Il bogotazo
Alle due del pomeriggio di questo nove di aprile, Gaitán aveva un appuntamento. Doveva ricevere uno studente, uno degli studenti latinoamericani che si danno convegno a Bogotá per manifestare la loro opposizione alla cerimonia panamericana del generale
Marshall.
All’una e mezza lo studente esce dall’albergo con l’intenzione di farsi una passeggiata fino all’ufficio di Gaitán. Ma, fatti pochi passi,
ode un rumore di terremoto e una valanga umana gli si precipita addosso.
La povera gente, schizzata fuori dai sobborghi e calata dalle montagne, avanza da ogni parte come una piena, uragano del dolore e
dell’ira che viene spazzando la città, rompendo vetrine, rovesciando tranvai, incendiando edifici:
— L’hanno ammazzato! L’hanno ammazzato!
È accaduto per strada, con tre colpi. L’orologio di Gaitán è rimasto fermo all’una e cinque.
Lo studente, un cubano corpulento chiamato Fidel Castro, si mette in testa un berretto senza visiera e si lascia trasportare dal vento
del popolo.
1948 - Bogotá
Fiamme
I mantelli indios e le scarpe operaie di corda invadono il centro di Bogotá, mani indurite dalla terra o dalla calce, mani macchiate d’olio di
macchina o di lucido da scarpe, e il vortice risucchia i facchini e gli studenti e i camerieri, le lavandaie del fiume e le vivandiere del mercato,
quelle dai cento amori e quelli dai cento mestieri, i cercafortuna, i cercarogna e i trovaguai: dal vortice si stacca una donna che si porta via
quattro soprabiti di pelle, indossandoli l’uno sopra l’altro, goffa e felice come un’orsa innamorata; fugge come un coniglio un uomo con
varie collane di perle al collo, e un altro con un frigorifero sulla schiena cammina come una tartaruga.
Bambini cenciosi dirigono il traffico agli incroci, i detenuti svellono le sbarre delle carceri, qualcuno taglia a colpi di machete le
pompe dei vigili del fuoco. Bogotá è un immenso falò e il cielo un’immensa volta rossa; dai balconi dei ministeri incendiati piovono macchine da scrivere e piovono colpi dai campanili delle chiese in fiamme. I poliziotti si nascondono o incrociano le braccia
davanti alla furia.
Dal palazzo presidenziale si vede la fiumana di gente che si avvicina. Le mitragliatrici hanno già respinto due attacchi, ma la folla è
riuscita a gettare contro le porte del palazzo il fantoccio sbudellato che ha ucciso Gaitán.
Donna Bertha, la first lady, si infila un revolver alla cintola e telefona al suo confessore:
— Padre, abbia la bontà di portare mio figlio all’ambasciata americana.
Da un altro telefono, il presidente, Mariano Ospina Pérez, invia un contigente a proteggere la casa del generale Marshall e dà ordini
contro la folla insorta. Poi si siede e aspetta. Cresce il ruggito dalle strade.
Tre carri armati avanzano in testa alla folla che attacca il palazzo presidenziale. Sui carri armati gente che agita bandiere e grida il
nome di Gaitán; e dietro incalza una selva di machetes, asce e randelli. Non appena arrivano al palazzo, i carri armati si fermano.
Girano lentamente le torrette, puntano all’indietro e cominciano a uccidere gente, a mucchi.
1969 - Mare della Tranquillità
La scoperta della Terra
La navicella spaziale in arrivo da Houston, Texas, posa sulla luna le sue lunghe zampe di ragno. Gli astronauti Armstrong e Aldrin
vedono la Terra come nessuno l’ha mai vista, e la Terra non è la tetta generosa che ci dà a poppare latte e veleno, ma una bella pietra gelata che ruota nella solitudine dell’universo. Sembra senza figli la Terra, abitata da nessuno, o forse indifferente, come se non
sentisse neanche il solletico delle passioni umane che brulicano sulla sua pelle.
Gli astronauti ci trasmettono per televisione e per radio le parole programmate a proposito del grande passo che l’umanità sta compiendo, mentre piantano la bandiera degli Stati Uniti d’America nel sassoso Mare della Tranquillità.