DIES IRAE

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DIES IRAE
DIES IRAE
(da “Renzo Errante” di Renzo Bellanti)
Frate Tommaso socchiude gli occhi. E' vecchio e stanco, il sole lo abbaglia con i suoi riflessi.
Dov'è ora la letizia, vestita di poesia di Santo Francesco che egli per ben due volte, si è
sforzato di trascrivere nelle vite ? Dove i miracoli che avevano stupito e commosso la cristianità
intera ? L' Umbria sembra lontana quanto la giovinezza. Nel vecchio sentiero inselvatichito crescono
le more e cantano le cicale. Eppure è lo stesso sentiero che, dal piano al paese, egli era solito
percorrere nella sua giovinezza, insieme agli altri ragazzi. Di là passava anche suo padre, al ritorno
dai campi. Ecco, in quella svolta, attendeva con impazienza la dolce figura di Margherita, per un
gioco innocente, fatto di sguardi e di sottintesi, senza malizia. Margherita......il vecchio cuore si
strugge nel ricordo. Ricorda ancora le parole del Messaggero che parlavano di saccheggio e di
violenza. Margherita è morta lassù, nell'orrore di quel giorno, insieme con la creatura che portava
nel grembo.
Il frate, ricurvo, riprende a fatica il cammino. Le gambe sono così pesanti e il giovane
professore che lo accompagna è tanto sottile e delicato che pare non basti a sostenerlo. Mio Dio,
perché ? Perché tutta questa violenza ? Ogni giorno dall'Italia, dalla Germania e dalla Palestina
insanguinate giungono notizie di battaglie, di città prese e saccheggiate. Ogni volta i messaggeri
arricchiscono i racconti con particolari di massacri, di stupri, di fame e di rapine. Perché tutto
questo ? Frate Francesco aveva dato voce al sogno di pace di tutta l'Europa. Ma quella voce,
adesso, sembra lontanissima. La sua stessa gloria, la santità proclamata, sembrano renderla
irraggiungibile. Come appartenente a una persona non più umana.
Ecco il luogo degli avamposti di Federico. Le trincee scavate dai soldati si sono riempite di
rovi. Ancora pochi passi, appena dopo la svolta, si alzano le mura annerite e smozzicate dal fuoco.
Silenzio. Perché questo irreale silenzio ? Una lucertola disturbata guizza attraverso la soglia della
porta, verso un rifugio d'ombra. Erano forse così anche i bambini e le ragazze, nel giorno del
saccheggio e della violenza, con il cuore pieno di paura che si vedeva battere attraverso la pelle
trasparente della gola ? Silenzio. Alle grida di allora è successo questo enorme silenzio. Le stesse
pietre sembrano consegnate alla morte. Ma perché non c'è quiete anche nella mente del vecchio ?
Perché sente risuonare ancora, argentino e insistente, il martellare del calderaio che modella la
forma gentile nella conca di rame ? E che c'entra con l'antico ricordo, la voce arrogante del
banditore che proclama la scomunica del papa intransigente contro l'imperatore ? La Chiesa.
Perché, Signore, hai affidato la tua Chiesa alle mani insanguinate degli uomini e non a quelle sante
degli angeli ?
Tacete ! No. Ora il sovrano risponde minacciando quelli che prenderanno posizione contro
di lui ! Dio, perché questa guerra insensata sulla pelle della povera gente ? I passi, per quanto timidi
e trattenuti, suscitano echi paurosi e smisurati tra le vecchie mura diroccate. Ecco la fontana, con la
vasca di pietra sfondata, vicino agli scalini della cattedrale. Frate Tommaso non pensa, no, al suo
battesimo e alle preghiere di un tempo. Pensa, piuttosto, al gioco delle piastrelle con i coetanei. Dio
voglia perdonare ! Ma che c'entra Dio in tutto questo ? Dov'è il suo Regno che Francesco aveva reso
visibile ? O, forse, proprio da qui comincia il suo Regno, dalla violenza e dal fuoco, per purificare il
mondo ?
Cos'è ora ? Sembra il vento. Ma non c'è vento ! No. Sembrano voci di terrore, lamenti di
feriti, rantoli di morenti ! Da dove vengono tutte queste voci e queste urla ? Una città così piccola
non può contenere tante voci. E aumentano ancora ! Sono forse le urla delle città d'Europa
devastate, della Terrasanta insanguinata e di tutti i focolai di violenza. Basta ! Volete dunque
dissolvere il mondo ? E' forse questo il giorno predetto, il giorno dell'ira ? “Dies irae, dies illa/solvet
saeculum in favilla/teste David sum sibilla” - Giorno dell'ira quel giorno/che dissolverà il mondo in
faville/come preannunciato da David e dalla Sibilla -
Ora non si sentono più rantoli né urla. Un brivido lungo attraversa la schiena del vecchio
frate che, immobile, è giunto alla fine del tempo, al termine delle età, al giorno del grande Giudizio !
“Quantum tremor est futurus/quando iudex est venturus/ cuncta stricte discussurum” - Quanto
terrore verrà/quando il Giudice giungerà/a giudicare ogni cosa -.
E' la vittoria degli inermi e degli innocenti. Ma chi può tranquillamente definirsi così ? Come
sarebbe preferibile seguitare a dormire, nella quiete delle pietre mute e delle foglie marcite, mosse
appena dal vento ! Non udire il clamore. Non udire nulla. Come il padre e la madre di Tommaso
che, nel giorno della strage, dormivano già il loro sonno profondo, sotto le lastre del pavimento
della cattedrale. Come sarebbe bello attardarsi nell'incoscienza, non udire la chiamata, non vedere
lo stupore delle cose ! “Tuba mirum spargens sonum/per sepulcra regionum/coget omnes ante
thronum/mors stupebit et natura/cum resurget creatùra/iudicanti responsura” - La tromba dal
suono tremendo/dalla terra dei sepolcri/chiamerà tutti davanti al trono. La morte e la natura
stupiranno/quando risorgerà ogni creatura/per rispondere al giudice -. Non c'è alternativa. Non c'è
nell'universo un silenzio tanto profondo da non poter essere squarciato da quel tremendo suono.
“Liber scriptus proferetur/in quo totum continetur/unde mundus iudicètur” - Sarà
presentato un libro/nel quale tutto è stato scritto/per giudicare il mondo - .
L'umanità è chiamata. Tutti sono chiamati. L'orgoglio e la violenza mostrano le loro radici
nascoste nel cuore di ogni uomo. “Iudex ergo cum sedebit/quid quid latet apparebit:/nihil inultum
remanebit” - Quando il giudice siederà/ogni cosa celata si vedrà/nulla rimarrà invendicato -.
Chi potrà dunque salvarsi ? tutto sarà salvato ! Nulla finirà nel groviglio insanguinato dei
giorni e neppure nella violenza del fuoco, ma ogni creatura, ogni cosa, sarà trasfigurata dall'infinita
tenerezza di Dio. E' questa la bellezza di fede che incendiava l'anima di Francesco.
Il cuore di frate Tommaso sembra volersi fermare. Seduto su un gradino di pietra, con le
spalle appoggiate a un resto di muro, egli può respirare appena. Sulle rovine della sua Celano
distrutta, il vecchio ascolta, nel silenzio, le voci dentro di lui che, poco a poco, si placano in un
sussurro. L'affanno si fa preghiera. La preghiera si fa verso.
“Quid sum miser tunc dicturus/quem petronum rogaturus/cum vix iustus sit securus /Rex
tremendae maestatis/qui salvandos salva gratis/ salva me, fons pietatis” - Che dirò in quel
momento/chi, misero chiamerò a difendermi/se a stento il giusto sarà al sicuro? Re di tremenda
maestà/che salvi per grazia chi vuoi/salva me, sorgente di pietà -.
A nome di tutti. Per i vivi e per i morti, per gli uccisi e per gli uccisori, le parole ritmate si
alzano nell'aria immobile. “Peccatricem qui solvisti/et latronem exaudisti/mihi quoque spem
dedisti/praeces meae non sunt dignae/ sed tu bonus fac benigne/ ne perenni cremer igne” - Tu che
hai perdonato la peccatrice/e hai esaudito il buon ladrone/hai dato anche a me la speranza. Le mie
preghiere non sono degne/ma tu, Dio buono/fa che io non bruci nel fuoco eterno -.
Intorno le rovine si vestono di ombre, sempre più lunghe e misteriose, laggiù nei campi il
sole luccica ancora. Per i contadini è tempo di prepararsi al ritorno. “Lacrimosa dies illa/qua
resùrget ex favilla/iudicandus homo reus:/huic ergo parce Deus” - Giorno di lacrime quel
giorno/quando risorgerà dalla cenere/ogni peccatore per essere giudicato/a lui perdona, Signore -.
Anche per frate Tommaso è tempo di tornare verso il povero borgo che i superstiti hanno
voluto chiamare come l'antico. Perché la vita continui.
“O tu, Deus maiestatis/alme candor Trinitàtis/nos coniuge cum beatis” - Dio d'immensa
maestà/dallo splendore infinito/ammetti anche noi tra i beati -.
Immoto, assorto nella visione del sole che scende, il giovane frate attende con pazienza, di
offrire al vecchio la sua spalla.