Rivista numero 30 - SATURA art gallery
Transcript
Rivista numero 30 - SATURA art gallery
Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 1 SaTuRa Trimestrale di arte letteratura e spettacolo Redazione Giorgio Bárberi Squarotti, Milena Buzzoni, Giuseppe Conte, Gianluigi Gentile, Rosa Elisa Giangoia, Mario Napoli, Mario Pepe, Giuliana Rovetta, Stefano Verdino, Guido Zavanone Redazione milanese Simona De Giorgio via Farneti,3 20129 Milano tel.: 02 74 23 10 30 e-mail: [email protected] Direttore responsabile Gianfranco De Ferrari Segreteria di Redazione Flavia Motolese Collaboratori di Redazione Silvia Bottaro, Francesca Camponero, Wanda Castelnuovo, Elena Colombo, Marta Marin, Andrea Rossetti, Maria Valacco Editore SATURA associazione culturale Amministrazione e Redazione SATURA piazza Stella 5, 16123 Genova tel.: 010 2468284 cellulare: 338 2916243 e-mail: [email protected] sito web: www.satura.it Progetto grafico Elena Menichini Stampa AGF s.r.l. Via XXV Aprile 8/6, 16123 Genova Abbonamenti versamento sul conto corrente bancario: Banca Prossima S.p.a. IBAN IT92 G033 5901 6001 0000 0113 014 intestato a SATURA ASSOCIAZIONE CULTURALE AnnuAlE € 20,00 SoStEnitoRE A PARtiRE DA € 50,00 Anno 8 n° 30 secondo trimestre Autorizzazione del tribunale di Genova n° 8/2008 in copertina Carlo Merello, Reliquiario d'architettura, 2015, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, particolare SATURA è un trimestrale di Arte Letteratura e Spettacolo edito dall'Associazione Culturale Satura Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l'autorizzazione scritta della Direzione e dell'Editore Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile per la redazione per la pubblicazione vanno inviati a: SAtuRA associazione culturale, piazza Stella 5/1 16123 Genova Le opinioni degli Autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quella della direzione della rivista Tutti materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti Satura 30-2014 nero_Layout 1 05/10/15 19:35 Pagina 2 sommario 3 4 6 6 8 6 10 10 12 14 22 30 XXI FESTIVAL INTERNAZIONALE DI POESIA A GENOVA VENTI DI POESIA: UN FESTIVAL, UN’ANTOLOGIA, UN SOGNO Claudio Pozzani PLANÈTE Issa Makhlouf JE VEUX DIRE, CE QU‘ÉCRIT LE TEMPS Michel Thion NERVURES Hamid Tibouchi L’HÔTE Moncef Ouahibi QUELLES LANGUES PARLEZ-VOUS? Pierre Tilman METS UNE ROBE Viviane Ciampi JE PENSE À TOI Guido Zavanone SULLE TRACCE DI GEORGES SIMENON: PASSAGGIO IN AFRICA Giuliana Rovetta LE SALMONELLE A RADO Guido Zavanone QUATTRO POESIE Mary Cassatt Lev Nikolaevic Tolstoj William Orpen Ivan Sergeevic Turghenev Angelo Manitta 65 75 79 82 86 88 90 92 94 96 98 CRITICA CARLO MERELLO ARCHETIPO/ARCHITETTURA Le geometrie della mente Flavia Motolese SATURARTE 2015 Mario Napoli STEFANO GRONDONA VISIONARIO CONTEMPORANEO Flavia Motolese TIME TO TALK ± 100 contemporary artists from Iran Mario Napoli VETRINA ALESSANDRO BERRETTA FENOMENOLOGIA SOCIALE Andrea Rossetti STEFANO BORRONI MEDITAZIONI PITTORICO-FIGURATIVE Andrea Rossetti ORNELLA DE ROSA SGUARDO RAVVICINATO Elena Colombo LOREDANA GAZZOLA TRAME-TRAPPOLA Andrea Rossetti LUDOVICA LANCI OLTRE LE FINESTRE APERTE Elena Colombo ALLA CHIARA LUZZITELLI UNDER THE SKIN I DON’T LIVE IN Elena Colombo GIUSEPPE PALUMBO FORMA COME ESSERE Flavia Motolese ROBERTA SIGNANI RAZIOCINIO PITTORICO Andrea Rossetti 32 ORO BIRMANO Seconda parte Milena Buzzoni 100 40 DIRITTI UMANI NEL MONDO: SUCCESSI, ERRORI, PASSI INDIETRO… Aldo Forbice 102 ANDANDO PER MOSTRE Wanda Castelnuovo 110 I LIBRI DI ELENA COLOMBO Elena Colombo 52 DUE POESIE Genova come un malumore Sono te Milena Buzzoni 53 VERISIMILE, DILETTO E GIOVAMENTO Franca Alaimo 57 PROSPEZIONI POESIA COME UNICA FORMA POSSIBILE DI CONOSCENZA Renato Dellepiane I PERCORSI FANTASTICI DI GREENE Giuliana Rovetta SE IL DOPOGUERRA È SENZA PACE Giuliana Rovetta LA VIA DELLA VERITÀ Rosa Elisa Giangoia TRE CITTÀ Rosa Elisa Giangoia MARTA GIERUT TORNA A PIETRASANTA Milena Buzzoni Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 3 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Pubblichiamo volentieri il comunicato che c’invia il valoroso organizzatore del XXi Festival genovese di poesia, manifestazione che si è svolta dal 10 al 21 giugno 2015. Questo Festival, giunto alla sua ventunesima edizione, rappresenta sicuramente uno degli eventi culturali più importanti tra quelli che si svolgono a Genova ed ha risonanza nazionale e internazionale richiamando poeti tra i più significativi di ogni parte del globo. SATURA è stata presente all’avvenimento, in modo particolare il giorno 12 giugno in cui si sono alternati sul prestigioso palco di Palazzo Ducale poeti francesi e francofoni le cui poesie sono state lette e prevalentemente tradotte da Viviane Ciampi, collaboratrice della nostra rivista. Dopo il comunicato, ne riportiamo alcune particolarmente interessanti anche per la varietà di contenuto e di forma espressa da poeti provenienti da diversi luoghi della grande poesia francese. XXi Festival internazionale di Poesia a Genova XXI FESTIVAL INTERNAZIONALE DI POESIA A GENOVA 3 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 4 Claudio Pozzani Venti di poesia: un festival, un’antologia, un sogno 4 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA VENTI DI POESIA: UN FESTIVAL, UN’ANTOLOGIA, UN SOGNO di Claudio Pozzani La XXi edizione di “Parole Spalancate – Festival internazionale di Poesia di Genova” si è chiusa con un ottimo riscontro di pubblico e critica. Con 12 giorni consecutivi di programmazione, 70 poeti provenienti da tutto il mondo, 100 eventi tra letture, concerti, performance, mostre, visite guidate e conferenze, “Parole spalancate” ha presentato ancora una volta lo stato dell’arte della poesia mondiale contemporanea, senza barriere di stile, di lingua o generazionali. A riprova di questa prerogativa del Festival, nato esattamente venti anni fa nel 1995, abbiamo anche pubblicato un’antologia con l’editore Liberodiscrivere che racchiude proprio questi quattro lustri della manifestazione e degli ospiti che si sono succeduti sul palco di Palazzo Ducale e negli altri luoghi di spettacolo. il volume, di quasi 300 pagine, lungi dall’essere esaustivo su un evento che ha visto nel tempo la partecipazione di oltre 1000 poeti e artisti, riunisce oltre 120 autori che hanno fatto la storia della poesia contemporanea, dai premi Nobel Walcott, Soyinka, Milosz e Cootzee, a personaggi come Ferlinghetti, Gelman, Mutis, Montalban, Simic, Armitage, Yang Lian, Ondaatje, Strand fino agli italiani Sanguineti, Luzi, Guerra, Mussapi, Cucchi, Buffoni, Ruffilli, Majorino, Anedda e molti altri ancora, diventando un vero must per ogni amante della poesia in tutte le sue forme. Per quanto riguarda l’edizione del Festival appena conclusa, penso che abbia segnato un’ulteriore svolta, con un fil rouge dettato dal sottotitolo “La ricostruzione poetica dell’universo” che vuole riferirsi alla lotta necessaria contro lo scadimento etico, educativo e culturale nel quale stiamo affondando in tutti i comparti della nostra vita quotidiana e dell’attività sociale. Credo nel più profondo del mio animo che la poesia (e l’arte in generale) possa realmente dare una scossa e rappresentare una risorsa per invertire questa discesa qualitativa della vita. in un mondo nel quale arte, cultura, poesia, passioni, sogni sono considerati “inutili” perché non servono, in una società di massa che, come diceva Hannh Arendt, non vuole cultura ma semplice svago, in un mondo in cui lo studio è visto soltanto come propedeutico a una professione e non come valore e piacere in sé, dobbiamo ricostruire l’universo dentro e attorno ciascuno di noi, partendo proprio dalla parola-elemento base di ogni comunicazione e convivenza della quale la Poesia è l’espressione più alta. A questo proposito il XXi Festival internazionale di Poesia ha offerto molti spunti di riflessione, a cominciare dallo spettacolo di Andrea Nicolini dal titolo Uscito dalla trincea – Il fronte dei poeti, nel quale la Grande Guerra è vista e narrata attraverso le parole di grandi poeti e scrittori, come Ungaretti, Scotellaro, Sbarbaro, Gadda e altri. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 5 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Claudio Pozzani Venti di poesia: un festival, un’antologia, un sogno inoltre, come di consueto, “Parole Spalancate” non si è limitato ad accogliere poeti internazionali e italiani, tra i quali De Angelis, Buffoni, Mussapi, Testa, Bocchiola, Zavanone, ma ha prodotto alcuni spettacoli come quello multimediale intitolato La ricostruzione poetica dell’universo, con Carlo Massarini, noto volto televisivo, e Giulio Casale, poeta e musicista. Con Letture soniche dell’inquietudine si è concretizzata poi una sinergia tra il Festival e il Teatro Carlo Felice, con i solisti dell’orchestra che hanno accompagnato mie letture di autori “inquieti” come Sbarbaro, Ungaretti, Poe, Baudelaire, Verlaine, Pozzi. infine con il reading-concerto con il mezzosoprano Susanne Kelling e il pianista Julian Riem, il Festival ha reso omaggio a Luciano Berio, per i 90 anni dalla nascita. in sostanza, l’edizione 2015 del Festival internazionale di Poesia ha offerto un equilibrio fra tradizione e ultime tendenze, presentando anche la poesia in rapporto con altre arti, soprattutto musica e cinema, con presenze illustri come il regista israeliano Amos Gitai, e con nuove forme di comunicazione, con incontri con gli statunitensi Richard Stallman, teorico del software e internet libero e Kenneth Goldsmith, creatore del più grande archivio web di poesia contemporanea: Ubuweb. Valeriu Butulescu diceva che la poesia è nata la notte in cui l’uomo ha iniziato a contemplare la luna, consapevole del fatto che non era commestibile. “Parole spalancate” è nato proprio per non dimenticarsene … 5 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 6 issa Makhlouf Planète / Michel Thion Je veux dire, ce qu‘écrit le temps 6 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA ISSA MAKHLOUF PLANÈTE La terre est belle. Beau le nuage qui s’en va seul dans le ciel, semblable à un oiseau perdu et désorienté dans son vol. Beaux les astres, aux étranges, aux inquiètes lumières. Gardiens de l’espace infini, ils t’observent de loin, te connaissent mais tu ne les connais pas. Auraient-ils donc de la compassion pour toi qui ignores ce qui t’attend dès le seuil ? À moins que ces étoiles n’oublient que leur sort est aussi le tiens. Tendre est la clémente brise touchant les fronts dans l’été lointain des îles. Tendres les pluies, agiles sur l’herbe sèche. Tendre est le parfum de la femme inconnue qui va son chemin près de toi. Belle fut notre rencontre avant de trébucher sur les détails. Elle avait l’allure d’un croissant de lune auquel étaient suspendus nos rêves. Belle est la terre lorsque l’âme la quitte. Tel un astronaute à travers sa vitre, je la vois bleue. illuminée de l’intérieur, elle lève ses voiles blancs et me précède là où je vais. Belle planète, notre Terre, allant vers sa fin avec un étrange délice. MICHEL THION JE VEUX DIRE, CE QU‘ÉCRIT LE TEMPS elle est l’oubli, reste une trace du passé. Elle disparaît, Mais reste-t-il une trace de l’oubli ? Horloge de neige, Une étoile, une seconde, ou peut-être… un siècle. il y a les voleurs de neige, des mendiants aveugles, de vieux renards, blanchis par le temps. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 7 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Bella è la terra. Bella la nuvola che se ne va sola nel cielo, simile a un uccello smarrito e disorientato nel suo volo. Belli gli astri, dalle bizzarre inquietanti luci. Guardiani dello spazio infinito, ti osservano di lontano, ti conoscono ma tu non li conosci. Hanno forse compassione per te che ignori ciò che ti attende appena varcata la soglia? A meno che quelle stelle non dimentichino che la loro sorte è anche la tua. Tenera è la clemente brezza che lambisce le fronti nella lontana estate delle isole. Tenere le piogge, snelle sull’arida erba. Tenero è il profumo della donna sconosciuta che va per la sua strada vicino a te. Bello fu il nostro incontro prima d’imbatterci nei dettagli. Pareva uno spicchio di luna al quale fossero sospesi i nostri sogni. Bella è la terra quando l’anima l’abbandona. Tale un astronauta attraverso il vetro, la vedo azzurra. illuminata dall’interno, solleva i suoi bianchi veli e mi precede laddove vado. Bel pianeta, la nostra Terra, che s’avvia verso la fine con curioso diletto. Traduzione dal francese di Viviane Ciampi VOGLIO DIRE, CIÒ CHE SCRIVE IL TEMPO Lei scompare, lei è l’oblio, resta una traccia del passato. Ma resta una traccia dell’oblio? Una stella, un secondo, o forse… un secolo. Vi sono i ladri di neve, mendicanti ciechi, vecchie volpi, imbiancate dal tempo. Traduzione dal francese di Viviane Ciampi Orologio di neve. issa Makhlouf Pianeta / Michel Thion Voglio dire, ciò che scrive il tempo PIANETA 7 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 8 8 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Hamid Tibouchi Nervures / Moncef Ouahibi L’Hôte HAMID TIBOUCHI NERVURES J’écris mais je n’ai rien à dire de précis si je ne cesse d’écrire c’est sans doute pour justement tenter de saisir ce pourquoi j’écris à moins que ce ne soit pour essayer d’éviter que ne se comble le fossé qui me sépare de la mort oui je crois que j’écris pour rester en vie un peu comme la sentinelle dans la nuit fais les cent pas pour rester éveillée Et si les mots n’étaient plus que des taches et si les lignes n’étaient plus que des sentiers les pages des paysages les chapitres des géants de pierre de l’île du Silence et les livres des grands oiseaux sauvages annonçant la venue du printemps Un fil me relie à mon enfance le barbelé MONCEF OUAHIBI L’HÔTE J’ai dressé la table Mais ni ceux que j’ai conviés Ni ceux que j’ai aimés Ne sont venus J’ai rempli mes cruches de vin Et là j’ai attendu Je me suis assis dans l’obscurité, seul, J’étais mon propre hôte Qui buvait de ma propre main Et disait Gloire à celui qui dans la nuit, A conduit cet enfant d’une illusion A une autre Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 9 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Scrivo ma non ho niente da dire di preciso se non smetto di scrivere è probabilmente per appunto tentare di agguantare ciò per cui scrivo a meno che non sia per tentare di evitare che si colmi il fossato che mi separa dalla morte sì credo ch’io scriva per rimanere in vita un po’ come la sentinella nella notte fa i cento passi per rimanere sveglia. E se le parole non fossero più che macchie e se le linee diventassero sentieri le pagine paesaggi i capitoli giganti di pietra dell’isola del Silenzio e i libri grandi uccelli selvatici che annunziano l’arrivo della primavera un filo mi riallaccia all’infanzia quello spinato Traduzione dal francese di Viviane Ciampi L’OSPITE Ho apparecchiato Ma né quelli che ho invitato Né quelli che ho amato Sono venuti Ho riempito le mie giare di vino E ho atteso Mi sono seduto Nel buio, solo Ero il mio proprio ospite Che beveva per mano propria E diceva Gloria a colui che, nella notte, Ha condotto questo bambino da una illusione All’altra! Traduzione dall’arabo al francese da Abdul Kader El Janabi e Mona Huerta Traduzione dal francese all’italiano di Viviane Ciampi Hamid Tibouchi Nervures / Moncef Ouahibi L’ospite NERVURES 9 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 10 Pierre Tilman Quelles langues parlez-vous ? / Viviane Ciampi Mets une robe 10 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA PIERRE TILMAN QUELLES LANGUES PARLEZ-VOUS ? À la question quelles langues parlez-vous ? je réponds : je parle de temps en temps le rire, je parle assez souvent le soupir, je parle parfois le cri. Le silence, je le parle couramment, c’est ma seconde langue. VIVIANE CIAMPI Mets une robe. Et par-dessus cette robe une autre robe. Ne dis rien de ta nudité des nuées du voyage. Vois ce que tu étais et ce que tu es. Maintenant tire sur toi le drap tire-le tant que tu peux. Le soleil a vu les gens ont murmuré les arbres ont allongé leurs doigts. Tu auras une chambre à toi, n’oublie pas de chanter. Ne crains plus rien maintenant. Tout va bien. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 11 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Alla domanda Quali lingue parli? rispondo: parlo ogni tanto la risata, parlo assai spesso il sospiro, parlo talvolta il grido. il silenzio, lo parlo con scioltezza, è la mia seconda lingua. Traduzione dal francese di Viviane Ciampi Metti un vestito. E sopra il vestito un altro vestito. Non dire della tua nudità delle nubi del viaggio. Vedi ciò che eri e ciò che sei. Ora tira su di te il lenzuolo tiralo finché puoi. il sole ha visto la gente ha mormorato gli alberi hanno allungato le dita, avrai una stanza tua, non dimenticarti di cantare. Non temere più niente ora. Va tutto bene. Pierre Tilman Quali lingue parli? / Viviane Ciampi Metti un vestito QUALI LINGUE PARLI? 11 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 12 12 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Guido Zavanone Je pense à toi GUIDO ZAVANONE TI PENSO Ti penso in quest’ora che le saracinesche dei negozi si schiantano nel petto, ghigliottinano le nostre speranze. Quali misteriosi paesi di confine abita oggi il nostro spirito turbato se scorgo figure ben salde trascorrermi innanzi abbracciate a fantasmi? Care sembianze, amici troppo miti per trovare un posto nelle pagine frettolose della storia, fanno ressa poi si dissolvono sullo schermo della memoria. Tu resti. Come quella sera sul terrazzo noi due soli a guardare il cielo venirci incontro uccello immenso che spalancava l’ali azzurre fino all’orizzonte. Mi restano i tuoi versi, che trascorre una delicata brezza Quell’aria di famiglia che s’avverte tra poesia e tristezza. Issa Makhlouf è nato in Libano, risiede a Parigi. Laureato in Antropologia Sociale e Culturale (Università della Sorbona), ha pubblicato in arabo e francese e ha tradotto autori francesi e latino-americani. La sua opera è al crocevia di culture diverse. È direttore dell’informazione a Radio Orient a Parigi. È stato consigliere speciale agli affari culturali all’ ONU, a New York, nel quadro della LXi sessione dell’Assemblea Generale (2006-2007). Autore di molte opere, citeremo solo le ultime: Lettre aux deux sœurs, tradotto da Abdellatif Laâbi, Ed. José Corti, Paris, 2008 (Prix Max Jacob, 2009); Une ville dans le ciel, Ed. Attanwir, Beyrouth 2012, Ed. José Corti, Paris, 2014. Moncef Ouhaibi, nato nel dicembre 1949 a Hajeb El Ayoun è una delle più grandi voci della poesia tunisina e araba contemporanea. Docente di lingue e letterature arabe all’Università di Kairouan e alla facoltà di lettere e scienze umane dell’Università di Sousse, pubblica diverse raccolte in arabo: Tables (1982), Table 2 (1991), Manuscrit de Tombouctou (1998), dove interroga la storia dei miti delle città tunisine, Les Affaires de la femme qui a oublié de grandir (2010) e Diwan al-Ouhaibi (2010). Pubblica in francese Que toute chose se taise (2011), Ed. Bruno Doucey. Autore di sceneggiature e cortometraggi documentari, direttore ad interim di Radio Monastir. Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue. Michel Thion, nato nel 1947 à issy-les-Moulineaux, si occupa prevalentemente di arte nel campo della musica contemporanea. Crea nel 1986 il festival «Futurs/Musiques», ha un’attività di cronista e critico musicale al settimanale «Révolution» poi a «Monde de la Musi- Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 13 X X I F E S T I VA L I N T E R N A Z I O N A L E D I P O E S I A A G E N O VA Je pense à toi en cette heure où les rideaux de fer des magasins s’écrasent dans notre poitrine, guillotinent nos espérances. Quels mystérieux villages de frontière habite aujourd’hui mon esprit troublé quand je vois des forms bien réelles passer devant moi embrassant des fantômes? De chères apparences, des amis trop doux pour trouver une place dans les pages hâtives de l’histoire, se bousculent puis se dissolvent sur l’écran de ma mémoire. Toi tu restes. Comme le soir où sur la terrasse nous étions seuls à regarder le ciel venir à notre rencontre immense oiseau ouvrant tout grand ses ailes bleues jusqu’à l’horizon. Me restent tes vers, que parcourt une délicate brise cet air de famille que l’on perçoit entre poésie et tristesse. que», e a «Lettres Françaises». Scrive poesie da 45 anni. Dal 2008 lavora all’associazione «Arts Résonances» creata dalla poetessa Brigitte Baumié. È uno dei poeti-animatori del Festival « Voix Vives » di Sète. Partecipa a un gruppo di ricerche sui problemi inerenti il Laboratoire SFL (Sciences Formelles du Langage) del CNRS – Università Paris Viii. Hamid Tibouchi, pittore e poeta, nato nel 1951 in Algeria, vive e lavora in Francia dal 1981. La sua produzione è proteiforme: poesia, pittura, disegni, incisioni, fotografie, scenografie teatrali. Ha collaborato a numerose riviste e antologie. Alcune sue poesie sono state tradotte in varie lingue (arabo, inglese, spagnolo, ungherese, tedesco, islandese…). È autore di una ventina di raccolte. Tahar Djaout dice di lui che è il poeta più esigente e avventuroso della sua generazione. Pierre Tilman ha cofondato la rivista «Chorus» con Franck Venaille, Daniel Biga e Jean-Pierre Le boul’ch. Ha pubblicato più di una trentina di libri (editi da Guy Chambelland, Seghers, Galilée, Limage, Sixtus, Unes, Voix Richard Meier, Bernard Dumerchez). Tra questi, vi sono libri d’arte e Tilman è anche un pittore che scrive su altri artisti tra i quali Peter Klasen, Errò, Jacques Monory e Robert Filliou. Numerose le sue personali in gallerie, musei e centri d’arte a Parigi, Tolone, la Seyne sur Mer, Saint-Fons, Montbéliard, Cavaillon, Avignone, Saint-Paul-de-Vence. Di lui, Claude Guilbert ha detto «scrittore, poeta, è innamorato delle parole. Artista di arti plastiche, ha preso le parole alla lettera e ha creato un universo in cui le parole sono diventate cose di cui è il grande orchestratore». Guido Zavanone Ti penso JE PENSE À TOI 13 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 14 Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa 14 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A SULLE TRACCE DI GEORGES SIMENON: PASSAGGIO IN AFRICA Di Giuliana Rovetta «Era il Balzac del Novecento. Solo chi crede nella realtà può riuscire a disegnarla così» Carlo Fruttero Diverse città, in diversi Paesi, hanno fatto da cornice all’irrequieto e prolifico scrittore che ha genialmente creato, o meglio trasferito sulla pagina come proiezione della sua conoscenza di vita, il personaggio di Maigret. Non solo la Liegi natia, con le atmosfere plumbee dei suoi canali e le chiuse avvolte dalla nebbia, ma soprattutto l’agognata Parigi dei bistrot e dei viali periferici, diventata scenario d’elezione per il suo estro narrativo negli anni 1922-1932. E poi La Rochelle, aperta verso il largo ma con vocazione a chiudersi nel mistero, città di una luce così straordinaria e affascinante da trattenere lo scrittore in Charente per circa dieci anni. Più avanti, dopo altre peregrinazioni alle isole Porquerolles e in Vandea, Simenon tornerà in patria per affrontare il periodo bellico con l’incarico di assistere i connazionali rifugiati e, malgrado avesse subìto lui stesso sospettosi controlli per via del cognome dalla radice vagamente ebraica, alla Liberazione organizzerà una precipitosa partenza per gli Stati Uniti, ossessionato dall’incubo di finire vittima di un’ingiusta epurazione. Le sue colpe erano evidentemente poco dimostrabili: il precoce esordio giornalistico in un quotidiano reazionario, «La Gazette de Liège», la collaborazione fortuita con una casa di produzione tedesca per l’adattamento cinematografico dei suoi romanzi, un fratello militante di estrema destra1. il soggiorno americano, durato cinque anni, avrà come base strategica New York, città propizia ai grandi incontri, dove lo scrittore potrà costruire al meglio la sua fortuna editoriale grazie alle relazioni con esponenti della vita artistica e intellettuale dell’epoca. incapace di reggere a lungo la routine in una 1 Su questo tema è interessante il capitolo La fuite de Monsieur Georges, in Pierre Assouline, Simenon, Gallimard, Parigi 1996, documentata biografia che si apre con questo interrogativo: “Chi potrà mai trovare una spiegazione al paradosso di Simenon, un uomo conosciuto soprattutto per la sua fama?”. il titolo riecheggia il romanzo di Simenon La fuite de Monsieur Monde, Gallimard, Parigi 1944. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 15 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A 2 Le notizie biografiche sul personaggio del commissario Maigret sono contenute in Georges Simenon, Les Mémoires de Maigret, Presses de la Cité, Parigi 1951; in italiano Le Memorie di Maigret, Adelphi, Milano 1957, traduzione di Marco Bevilacqua. 3 A segnare l’atto di nascita ufficiale del personaggio di Maigret è il romanzo poliziesco Pietr le Letton, Fayard, Parigi 1931, pubblicato in italiano col titolo Pietr il Lettone, Mondadori, Milano1933 traduzione di Marise Ferro. Così Simenon descrive l’estro di quel momento: “Mi rivedo, un mattino di sole in un caffè…Un’ora più tardi, quasi vinto dal torpore, cominciai a scorgere davanti la massa imponente e impassibile di un signore che -mi parve- sarebbe stato un commissario accettabile”. 4 Jean-Baptiste Baronian, Passion Simenon. L’homme à romans, Textuel, Parigi 2002 e Cahiers Simenon n. 2, Les Amis de Georges Simenon, Bruxelles 1988. 5 Le Pendu de Saint-Pholien, Fayard, Parigi 1931; in italiano (anche col titolo Maigret e il viaggiatore di terza classe) L’impiccato di Saint-Pholien, Mondadori, Milano 1932, traduzione di Guido Cantini. 6 Pedigree, Presses de la Cité, Parigi 1948. Simenon prende lo slancio per scrivere questo testo al seguito di una diagnosi, poi rivelatasi errata, di un medico di Fontenay-le-Comte che riteneva il suo stato di salute minacciato da una grave cardiopatia. 7 il duraturo rapporto fra Gide e Simenon fu improntato, più che a una vera e propria amicizia, al confronto fra l’influente maestro, riconosciuto come “le contemporain capital”, e il giovane aspirante letterato. in proposito citiamo la corrispondenza 1938-1950 tra i due pubblicata col titolo Sans beaucoup de pudeur…, Carnets Omnibus, Parigi 1999 e in italiano Caro Maestro, caro Simenon, Archinto, Milano 1999, traduzione di Chiara Agostini, da cui si deduce l’ammirazione (un po’ invidiosa?) di Gide per la facilità e fluidità di scrittura di Simenon. Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa stessa dimora (in questo caso un centralissimo hotel di Manhattan) Simenon prenderà spesso la via del Canada, intraprenderà il periplo della costa est degli Stati Uniti, si fermerà qualche tempo in Florida, raggiungerà il Messico e il Connecticut, sempre mantenendo la collaborazione con «France-Soir», il quotidiano diretto da Pierre Lazareff a cui invia regolarmente dei resoconti di viaggio. Tornato in Europa negli anni Cinquanta, si stabilisce prima in Costa Azzurra e poi, definitivamente, in Svizzera. Ognuno di questi insediamenti, lunghi o brevi, ispirerà direttamente la sua opera connotandola in modo specifico. Tanto per cominciare il francesissimo Jules Maigret, nato secondo i sommari dati biografici forniti dall’autore2, a Saint-Fiacre in Alvernia, e venuto alla luce letterariamente nel settembre 1929 durante una navigazione lungo i canali dei Paesi Bassi3, viene subito spedito a Liegi da un’inchiesta iniziata altrove (a Brema, poi a Reims) e questo già dal terzo libro della saga di Maigret, mentre ancora il personaggio in formazione sta precisando le sue caratteristiche di base. Quella che Jean-Baptiste Baronian chiama Simenonville4 è per Simenon una Liegi del cuore, introiettata nell’infanzia e ripercorsa a più riprese, a partire da Le Pendu de Saint-Pholien, romanzo in cui i personaggi portano nomi e cognomi riconducibili alla città: vengono citati luoghi evocativi come la stazione da cui Simenon era partito per Parigi in una sera di dicembre o il quartiere della Caque, ritrovo di artisti e bohémiens frequentato a suo tempo anche dal giovane Georges5. All’altro estremo della sua produzione Pedigree -libro di autofiction fondamentale nel suo percorso di scrittore non maigrettiano- si presenta come l’opera di tutti i superlativi: maggior tempo per la stesura, maggior numero di pagine, scrittura emancipata dall’intreccio, registro autobiografico legato a infanzia e adolescenza e, per concludere, più intimo richiamo liégeois che in ogni altro scritto6. Nell’ampliare, su consiglio perentorio di Gide7, l’accreditata eminenza grigia degli intellettuali dell’epoca, una serie di lettere scritte al figlio Marc a partire dal 1940, Simenon compone in Pedigree un grande romanzo familiare, ripercorrendo con rit- 15 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 16 Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa 16 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A mo alterno le tappe della sua infanzia nella Liegi d’inizio secolo, senza dimenticare mai che le sue parole non sono soltanto memorie del suo vissuto ma anche un progetto di vita consegnato al figlio. Altra città, altra cornice. i mille volti di Parigi, scrutati da Simenon nelle differenze fisiche e antropologiche proprie dei diversi quartieri, torneranno nella sua opera in una sfilata campionaria di mestieri, di caratteri, di destini sparsi tra le scalinate della Butte Montmartre, il labirinto delle Halles, le piazze di periferia, i lungosenna. La sua è la Parigi degli ultimi fiacres, dei lampioni a gas “che segnano i bordi della strada di una luce perlacea”, delle caves dove si suona il jazz e dei locali che vedono Joséphine Baker (una delle sue moltissime conquiste) esibirsi vestita solo di uno scandaloso gonnellino di banane. “Ero affamato di strada” viene detto dal protagonista di un romanzo a cui l’autore sembra prestare la propria curiosità e voracità 8. Dalle pagine del «New Yorker», di cui è stata storica collaboratrice per molti anni, Lis Harris sottolinea con queste parole la dimensione di “paradiso perduto” della Parigi simenoniana: “Molti luoghi, se non la maggioranza, di quelli che Simenon ha descritto, soprattutto nei libri degli anni Quaranta, sono già scomparsi o scompariranno in un futuro relativamente prossimo. Nessun antropologo culturale avrebbe potuto preservarli per i posteri meglio di lui”. Senza dunque entrare nel merito dei libri ambientati nella capitale francese (che rappresentano, fra romanzi con Maigret e senza, circa un terzo del totale dei 450 che sono attribuiti all’autore) ci limitiamo a riferire la singolare impressione riportata dal commissario nel visitare un palazzo nel corso di una delle sue inchieste: “…era una specie di Parigi in formato ridotto, con gli stessi contrasti, da un piano all’altro, che si trovano fra le strade e i quartieri…Arrivato al quarto piano a Maigret sembrava di aver visitato tutto un universo”9. E ancora in Le Chat, ripercorrendo la passeggiata mattutina del protagonista, Monsieur Bouin, attraverso il suo quartiere della Santé: “Durante un giro di un quarto d’ora era passato davanti a un ospedale, una prigione, un ricovero, una scuola infermieristica, una chiesa e una caserma di pompieri. Non sembrava forse una specie di riassunto dell’esistenza? Mancava solo il cimitero, che peraltro non era molto distante”10. Largamente presente nell’opera di Simenon (una quindicina di romanzi) è anche La Rochelle, città dall’austera impronta protestante, dove le antiche facciate aristocratiche sembrano voler custodire riti e tradizioni di un passato irrinunciabile. il libro in cui La Rochelle appare con maggiore nettezza è Le Testament Donadieu, saga di una famiglia in piena crisi, scatenata dalla morte del patriarca. Così come in Le voyageur de la Toussaint 11 Simenon sceglie 8 il personaggio è Steve Adams in Passage de la ligne, Presses de la Cité, Parigi 1958; in italiano La linea della fortuna, Mondadori, Milano 1961, traduzione di Roberto Cantini. 9 Vedi di Michel Carly, Simenon, la vie d’abord, Édition du Céphale, Liège 2002 e Maigret dans sa ville, in «Magazine Littéraire», n. 417, febbraio 2003. il brano è tratto da La Patience de Maigret, Presses de la Cité, Parigi 1965, cap. iii. in italiano La pazienza di Maigret, Mondadori, Milano1968, traduzione di Elena Cantini. 10 Le Chat, Presses de la Cité, Parigi 1967, cap. ii; in italiano Il gatto, Mondadori, Milano 1969, traduzione di Gabriella Cioffi. 11 Le Testament Donadieu, Gallimard, Parigi 1937; in italiano Il testamento Donadieu, Mondadori, Milano 1940, traduzione di Antonio Segre. Le voyageur de la Toussaint, Gallimard, Parigi 1941; in italiano col titolo La cassaforte dei Mauvoisin, Adelphi, Milano 1963, traduzione di Elena Cantini. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 17 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A La posizione di Simenon a New York è abbastanza ambigua: arrivato nell’ottobre del 1945, penalizzato dalla scarsa padronanza della lingua, colloca la famiglia nel Canada francofono, ma non può, né vuole, perdere l’occasione di stringere nella città legami e frequentazioni che possono aiutarlo sul mercato editoriale americano. Tiene tuttavia un profilo basso, sempre preoccupato che i suoi libri possano essere esclusi dalla pubblicazione in patria com’è accaduto a quelli di Céline. Molte foto di questo periodo (in cui stringerà il duraturo legame con la sua interprete Denyse, diventata la sua seconda moglie nel 1950, dopo diversi anni di un tranquillo ménage à trois con la consorte in carica) lo ritraggono sorridente ed elegante in mezzo alla folla o all’uscita di locali alla moda. Nei reportage che continua a inviare a «France-Soir» esprime il suo entusiasmo per il dinamismo e la libertà di costumi del paese che lo ospita, valorizzando agli occhi dei suoi compatrioti la generosità e l’aiuto economico che gli Stati Uniti avevano saputo dimostrare nei confronti dell’Europa. in realtà la città per certi versi appare ostica a un provinciale con ambizioni di affermazione com’è il quarantaduenne scrittore belga, arrivato a metà della vita col sogno ancora irrealizzato di ottenere, oltre al successo nelle vendi- Didier Gallot, Simenon ou la Comédie humaine, France Empire, Parigi 2003. Patrick Marnham, The Man Who Wasn’t Maigret, Bloombsury Publishing, London 1992; L’uomo che non era Maigret, La Nuova italia, Firenze 1994, traduzione di Carla Della Casa. 12 13 Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa questa città, emblematica di una comunità che tende a dissimulare i suoi segreti, per comporre un affresco di tipo balzacchiano caratterizzato dalla lotta fra i deboli e i potenti. L’intreccio poliziesco sembra piuttosto un pretesto per penetrare il noeud de vipères di una famiglia che vede il prevalere degli interessi e degli affari sui sentimenti, mentre i singoli lasciano libero corso alle loro ambizioni. Quanto a Balzac12, a cui dedicò un saggio in occasione di una trasmissione radiofonica negli anni Sessanta, Simenon lo immaginava come un uomo ossessionato dal bisogno (forse lo stesso suo) di vivere tante vite quante erano quelle degli innumerevoli personaggi che dipingeva, nel tentativo di eludere i limiti impostigli dall’esistenza reale13. 17 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 18 Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa 18 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A te, anche il riconoscimento dei critici qualificati. E’ tuttavia in uno stato di grazia che si accinge a scrivere il suo primo libro americano. Trois chambres à Manhattan dove, per la prima volta, viene trattato il tema dell’amour fou, in una trasposizione romanzata dell’incontro reale con Denyse. E’ anche la prima occasione che ha Simenon di utilizzare come scenario questa megalopoli carica di energia vitale, ma anche socialmente problematica. L’azione, se tale si può chiamare la lenta deriva di due esseri solitari che deambulano per le strade, unico luogo in cui si sentono veramente “a casa”, ha per cornice Fifty Avenue, Greenwich Village, Broadway. Passando da un anonimo albergo all’abitazione di lui, e poi ancora alla stanza di lei, i due protagonisti consumano furiosamente il loro amore, ma ancor più mettono a confronto solitudine, disillusione, povertà morale14. Questo romanzo suscita delle reazioni interessanti: il regista Jean Renoir si offre di metterlo in scena, Charles Boyer di recitare nella parte del protagonista, Gide contesta a Simenon di aver sostituito la sua straordinaria capacità di vivere nei panni di un’altra persona alla pura e semplice confessione di un’esperienza personale. L’autore stesso mantiene con questo libro un rapporto ambiguo: nella fase della stesura, per la prima volta abdica al suo metodo che consiste nello scrivere di getto senza apportare correzioni. il risultato è un testo tormentato, che sembra scritto in preda a un incontrollabile nervosismo. Dapprima compiaciuto del risultato, trascorsi gli anni così Simenon ridimensionerà il suo giudizio: “Non sono soddisfatto dello stile ma vi ho riscoperto la nascita del mio amore per Denise” (così lui aveva adattato ai suoi gusti il nome di Denyse). Dopo il primo “romanzo americano”, Simenon ritorna alle inchieste del commissario con Maigret à New York. Mantiene come cornice gli stessi luoghi, ma cambia registro e aggiunge qualche tocco di umorismo: farà viaggiare il povero Maigret, strappato ai piaceri della pesca praticata a Meung sur Loire, per immergerlo nelle atmosfere gangsteristiche della Grande Mela dove, tra molti colpi di scena, avrà modo di mostrare un coté tipico del francese medio, molto critico verso le abitudini di vita americane. Ancora una volta l’irrequietezza agita Simenon, in un momento in cui si affacciano al suo orizzonte gli esiti di una prolungata assuefazione all’alcol, una leggera depressione, disturbi dell’equilibrio e dell’udito: per mettersi al riparo cerca un posto che sia “tranquillo, organizzato, discreto”. Si orienta verso la Svizzera e sceglie il Cantone di Vaud. Qui, dal 1957 fino alla morte, trascorrerà una trentina d’anni, molti di più che in Belgio, suo paese natale, che in Francia, patria d’adozione, che in Nord America, luogo di decisive esperienze di vita. Stabile in questa postazione ha scritto più di cinquanta romanzi e, ad esclusione di Je me souviens 15, anche tutte le opere autobiografiche, da Quand j’étais vieux del 1970 a Mémoires intimes del 198116 . Tuttavia il contesto elvetico risulta praticamente assente dall’opera: fa appena capolino la città di Losanna, ma solo come tappa di passaggio, in tre scritti di fiction17. Si può dare una spiegazione a questo fenomeno ricordando che la scrittura di Simenon evolÈ questo il primo grande romanzo che non avrà per editore Gallimard, dalla cui tutela Simenon gradualmente tende a svincolarsi mettendo al centro di una vera e propria “querelle de famille” i suoi interessi economici. D’ora in poi avrà come editori Presses de la Cité in Francia e Brentano a New York. 14 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 19 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A Nella serie di traslochi, spostamenti e nuovi insediamenti familiari indotti certo dal suo animo inquieto ma anche dalla ricerca di nuove fonti d’ispirazione, s’inserisce, nell’estate del 1932, un viaggio particolare. Ancora sposato con la prima moglie, Régine Renchon da lui rinominata Tigy, Simenon decide di intraprendere con lei un periplo dell’Africa con partenza da Marsiglia della durata di due mesi. Visiterà brevemente l’Egitto, più lungamente il Congo belga e farà ritorno navigando lungo la costa occidentale toccando diversi porti dell’Africa equatoriale francese. A questa decisione non è estranea la lettura approfondita di Voyage au Congo, un testo importante per l’epoca, in cui l’autorevole amico Gide aveva riferito, in forma romanzata ma sulla base di un’oggettiva documentazione, il viaggio di sei mesi compiuto fra il 1925 e il ’26 in compagnia del regista Marc Allégret19. Antecedente diretto di questa immersione esotica, Heart of Darkness di Conrad era stato uno dei libri più amati da Je me souviens, Presses de la Cité, Parigi 1945. Da questo testo si svilupperà poi Pedigree. Mémoires intimes, Presses de la Citè, Parigi 1981. Queste memorie si riferiscono al suicidio della figlia Marie-Jo e svelano per la prima volta una dimensione intima e sofferente dell’ormai anziano scrittore. Alcuni passaggi giudicati scabrosi saranno eliminati dalle successive pubblicazioni su richiesta della moglie Denyse. 17 Si tratta di Maigret voyage, Le train de Venise, La disparition d’Odile, scritti nel periodo 1965-1971. 18 Secondo Pierre Assouline, Simenon, Julliard, Parigi 1992, l’editore americano decise di soprassedere alla pubblicazione di questo testo perché negli Stati Uniti alcune delle sue ammissioni sarebbero state valutate dannose alla sua reputazione. 19 André Gide, Voyage au Congo, Gallimard, Parigi 1927. 15 16 Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa ve spesso (non sempre: due casi di espressione riversata “a caldo” sulla pagina sono Trois chambres à Manhattan e Maigret à Vichy) a partire da memorie, impressioni, reminiscenze che la sua sensibilità incamera, da acuto osservatore, mentre si trova in un luogo, per poi elaborare il tutto quando già si trova sotto un altro cielo. Molti dei romanzi di Maigret più tipicamente parigini sono stati infatti redatti o negli Stati Uniti o proprio in Svizzera. in particolare Les Mémoires de Maigret, che riferisce l’emozionante scoperta da parte del commissario di una Parigi fino ad allora soltanto immaginata, è stato scritto durante il soggiorno nel Connecticut. Appare invece la Svizzera, con molti dei suoi villaggi e piccole città, con molti dei suoi usi e costumi e alcune delle sue problematiche (la secolare opposizione fra protestanti e cattolici) nell’opera Dictées scritta in ventuno parti e pubblicata fra il 1975 e il 1981. Si tratta di una particolare autobiografia sentimentale, lontana dalla soluzione diaristica scelta dai fratelli Goncourt, ma anche da una confessione in stile Rousseau, e neppure somigliante al genere bloc-notes proprio di Mauriac. in queste “dettature” l’autore settantacinquenne, che ormai da qualche tempo ha chiuso con la narrativa, premette la sua totale sincerità: “con i miei Dictées voglio solo analizzarmi e esprimere dei pensieri, delle sensazioni passeggere, i sogni, le gioie, le pene di un uomo come un altro…”. il risultato è una narrazione a tratti confusa e un po’ ripetitiva, articolata in chiacchiere, aneddoti, pensieri sparsi, rimpianti frivoli o riflessioni gravi, a commento (ma non sempre a spiegazione) del suo modo di essere e di scrivere. Questo slancio di autenticità, cui non è estraneo un larvato compiacimento, sembra esentarlo da qualsiasi critica al proprio comportamento18. 19 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 20 Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa 20 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A Simenon, lettore in giovane età anche di Stevenson: su questi modelli, aiutandosi con cartine, fotografie e voci dell’enciclopedia il futuro padre di Maigret aveva costruito i suoi primi romanzi brevi e racconti d’avventura, un po’ alla maniera di Salgari e cioè lavorando molto di fantasia e puntando su certi ben definiti caratteri. Si trattava però di romanzi popolari che poco avevano da spartire con lo stile rigoroso e il linguaggio denso di termini puntigliosamente appropriati, se non proprio tecnici, a cui Conrad aveva abituato i suoi lettori20. Molto è stato detto sulle motivazioni che hanno spinto Simenon a compiere questo viaggio-lampo in cerca del presunto “uomo nudo”, cioè dell’uomo autentico, al netto delle sovrastrutture sociali e intellettuali dietro cui l’individuo si dissimula e che, una volta rimosse, farebbero risaltare quanto la condizione umana non si differenzi poi molto da un luogo all’altro, da un tempo all’altro. Come sappiamo questo è uno degli assunti che reggono la sua esplorazione al centro di un’umanità ordinaria (composta da soggetti che lui chiama les petites gens, persone senza rilievo e senza aggettivi21) a cui in pratica è dedicata l’opera simenoniana nella sua interezza. Esiste anche una motivazione contingente (il lancio molto reclamizzato della missione Dakar-Djibuti, preceduta dall’esposizione coloniale al parco di Vincennes dell’anno prima) e un’intenzione apertamente polemica: denunciare le menzogne della propaganda coloniale e rifiutare le lusinghe del facile esotismo22. Ne seguirà L’Heure du nègre, virulento scritto indirizzato contro lo stereotipo di un’Africa invitante e godibile nel suo trionfo di suoni e colori. Per Simenon, messo agli atti il fallimento economico e morale del processo di colonizzazione, il continente africano resta ancora un mistero non chiarito: la sua triste immensità e il suo insostenibile clima, non consentono all’uomo bianco di adattarsi e anzi producono su di lui un effetto demoralizzante. Sbarcato con un carico di mal riposte illusioni, finirà per esserne espulso. il tenore di questo scritto, più simile a un pamphlet che a un reportage, uscito sulla rivista «Voilà» dall’8 al 12 novembre 1932, susciterà una certa perplessità, ma anche molta irritazione, nella comunità coloniale. Dal copioso materiale riportato in patria, Simenon trarrà materia per diversi romanzi e racconti in cui il continente africano rappresenta lo spazio ambientale e il quadro d’azione. il lavoro più rappresentativo della svolta impressa allo scrittore dall’esperienza di questo viaggio è Le coup de lune, storia del fallimento lavorativo ma soprattutto esistenziale del giovane Timar, giunto dalla Francia con molte aspettative e poi spinto ai limiti della follia da una serie di impedimenti, ma anche di scontri con una realtà africana violenta, degradata e pervasa da ogni sorta di crudeltà. A parte il contesto esotico, il romanzo riproduce il processo di esplorazione dei meandri oscuri della mente in preda al disorientamento che sempre caratterizza le opere di Simenon: appare dun- 20 Joseph Conrad, Heart of Darkness, pubblicato come racconto in «Blackwood’s Magazine» nel 1899 e poi (1902) in volume; in italiano Cuore di tenebra, Sonzogno, Milano 1928, traduzione di Alberto Rossi. 21 in una lunga intervista di Jacques Lanzmann in «Lui», n. 42, giugno 1967, pp. 7-34, così si spiega Simenon su questo tema: “Quelli che io chiamo les petites gens stanno fra il proletariato e la piccola borghesia: operai, piccoli impiegati, artigiani, commessi viaggiatori, donne delle pulizie, portinaie, persone che in pratica sono poco considerate e hanno difese molto deboli”. 22 Vedi a questo proposito Benoît Denis, Á la découverte de l’homme nu, «Magazine Littéraire» 417, febbraio 2003. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 21 S U L L E T R A C C E D I G E O R G E S S I M E N O N : PA S S A G G I O I N A F R I C A 23 Le coup de lune, uscì per la prima volta su «Candide» dal 19 gennaio al 9 marzo 1933, poi da Fayard lo stesso anno; in italiano Colpo di luna, Mondadori, Milano 1934, traduzione di H. Majnoni d’intignano. Giuliana Rovetta Sulle tracce di Georges Simenon: passaggio in Africa que meno un racconto di viaggio che una storia di formazione in chiave negativa23. Più in generale, anche negli altri romanzi africani, il ruolo centrale è sempre lasciato alle persone comuni (in questo caso “les petits blancs”) vale a dire a chi è rimasto indietro nella corsa alla colonizzazione. Si tratta di funzionari presso modesti uffici, impiegati subalterni senza avvenire, piccoli avventurieri, persone dal retroterra equivoco: tutto un microcosmo di gente mediocre, sparsa in lontane piantagioni della brousse, com’è il caso di Le Blanc à lunette, o in viaggio per mare, come in 45° à l’ombre. Osserva Benoît Denis a proposito di Simenon in Africa, che “questa visione del fallimento coloniale -al netto delle contumelie- è stranamente simile a quella di Céline nell’episodio africano di Voyage au bout de la nuit” (uscito proprio mentre Simenon concludeva la stesura del Coup de lune). La vicinanza fra i due romanzi, più che nella trama o nella scrittura, è proprio nello specifico punto di vista dell’autore, rivolto verso personaggi insignificanti che, credendo di sfuggire alla ristrettezza di una vita metropolitana da cui si sentono respinti, finiscono per accedere a un contesto dove le speranze di riuscita esistono solo per pochi fortunati. Ma così come Conrad prima e Gide poi, anche Simenon e Céline sembrano attribuire la responsabilità del demoralizzante esito del tentativo di ricostruirsi una vita in Africa non alle singole persone o alla scarsa efficienza delle istituzioni coloniali, ma all’Africa stessa. L’inganno è quello di credere che un territorio possa essere civilizzato per forza, mentre le persone che dovrebbero assumersi questo compito sono vinte dal malefico sortilegio che permea l’ambiente: e così “sudano, si lamentano, si trascinano da una parte all’altra e finiscono per odiare tutti, anche se stesse”. invece dell’uomo nudo, dell’uomo autentico, in Africa Simenon ha incontrato il solito uomo bianco, un piccolo, piccolissimo borghese alle prese con un’impotenza rabbiosa e un grande senso d’abbandono, così da confermarlo nell’idea che la vita non cambia mai: è sempre e dovunque uguale. Sulla base delle impressioni e degli appunti riportati dal viaggio in Africa, Simenon aveva congegnato un romanzo destinato ad essere inviso ai coloni e considerato diffamatorio. Era ben conscio di suscitare, con l’uscita di Le coup de lune, reazioni contraddittorie. Non immaginava però che proprio da quella comunità coloniale descritta come senza nerbo e quasi alla deriva, gli sarebbe stato presentato il conto, sotto forma di una causa intentatagli dalla proprietaria di un hotel di Libreville offesa nel vedere il proprio nome, a suo dire onorato, applicato dall’autore alla tenutaria di una casa d’appuntamenti, e quindi in un contesto disdicevole e infamante. Alla vedova, dalla reputazione comunque incerta, che si era riconosciuta nella figura di Adèle, non basterà il sostegno dell’irritata lobby locale: l’esito del processo è già scritto nella disparità fra la pretesa diffamazione e la libertà artistica e creativa riconosciuta a uno scrittore di fama. A lui, Carlo Rim, giornalista del periodico «Marianne», notando l’assopimento di un magistrato durante la prolissa esposizione dei fatti, rivolgerà questo divertito e lusinghiero commento: “È la prima volta che vedo qualcuno addormentato da un Simenon”. 21 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 22 Guido Zavanone Le salmonelle a Rado 22 LE SALMONELLE A RADO LE SALMONELLE A RADO di Guido Zavanone Riassunto delle puntate precedenti A Rado, centro agricolo-industriale della Repubblica di San Sulpicio, arriva il nuovo parroco, Don Sereno. È festa grande. Arriva purtroppo anche una grave epidemia di tifo, che ha cause facilmente individuabili in quanto, inizialmente, colpisce gli utenti di uno degli acquedotti del paese, il “Cresci”, che prende il nome dal suo proprietario. Ha luogo un grottesco rimpallarsi di responsabilità tra lo stesso Cresci, il Sindaco, il Commissario alla Sanità. Anche la spedalizzazione degli ammalati si presenta ardua per gli ostacoli, sovente pretestuosi, frapposti dagli ospedali viciniori ben più attrezzati del “San Lorenzo” di Rado. È in questa situazione che si verificano alcuni decessi. Le vittime: Aldo Campo, appena tornato da una “missione di pace”, Anselmuccio, un ragazzo di soli otto anni, il maestro Zigoni, sacrificato sull’altare di un’assurda sperimentazione scientifica. Presi alla gola da questi eventi e dal rapido diffondersi della malattia, le autorità comprendono che per loro non v’è salvezza nel non fare. Adottano quindi ovvi quanto inadeguati provvedimenti che si scontrano con la sconfortante mancanza d’ogni valido presidio terapeutico, quale la vaccinazione. Solo Don Sereno appare all’altezza della situazione: una processione solenne, una predica memorabile per ricordare che, per l’intercessione della Madonna, il paese aveva superato negli anni, ogni genere di afflizioni e di calamità, infine la proposta di una nuova chiesa dedicata al patrono di Rado, San Barbanziano, doverosamente propiziata da generose offerte. PARTE SECONDA Capitolo IX il vecchio castello medioevale, ove, da oltre un secolo, alloggia la Giustizia di prima istanza di Rado, apparteneva, ai suoi bei dì, ad una delle più cospicue e gloriose casate di “San Sulpizio”: i marchesi Limondi di Sassolungo, noti dai tempi delle Crociate in Terra Santa: cui avevano, ovviamente, preso parte combattendo gloriosamente, cioè infilzando il maggior numero d’infedeli che gli capitasse; ricavandone ricchezze oltre che benedizioni, avendo a tenere per Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 23 LE SALMONELLE A RADO Capitolo X il dirigente, dott. Keres, lesse per la terza volta la denuncia e non poté trattenere un’esclamazione indignata: che poi s’impigliò nell’intrico di un’operazione aritmetica: “un uomo che dà il pane a più di trecento operai, trecento famiglie… due figli in media più i genitori… più di un decimo degli abitanti di Rado… a non considerare l’indotto. Chiamò il giudice Sartori, che aveva l’ufficio nella stanza accanto: “Legga qui: un uomo che sfama buona parte del paese. Rifece ad alta voce il calcolo. “Sotto gli occhi dei famigliari”, soggiunse. Sartori scorreva rapidamente l’esposto. “Erano alla finestra?” s’informò. La domanda era forse senza malizia, ma stonava. “E’ scapolo, rifletté Keres, non capisce l’importanza della famiglia”. “Quali aggravanti pensa che si possano contestare?” chiese il dirigente. La caccia alle aggravanti era tra le passioni più vive di quel vecchio magistrato. Guido Zavanone Le salmonelle a Rado sperimentato che le benedizioni, da sole, non permangono in questo povero pianeta, ma fatalmente risalgono alla loro patria celeste, mentre le ricchezze senza benedizione sono farina del diavolo, soggette, alla prima occasione, ad andare in crusca o, peggio ancora, in mani d’altri. Tornando al glorioso castello, era avvenuto che i marchesi Limondi lo avessero ceduto al Comune, barattandolo, per così dire, con una promettente industria di paste alimentari. Le sale ostentavano ancora gli aurei stucchi e i gentilizi contrassegni, ma non potevano nascondere le profonde, corrucciate rughe del soffitto e lo stonacarsi progressivo delle pareti. i marchesi, o meglio i loro illustri avi, adornavano, purtroppo soltanto in effigie, la grande scalinata marmorea dell’edificio: lungo la quale s’arrampicavano ogni giorno i bravi magistrati radesi, amaramente confrontando i loro aspetti dimessi con la splendida solennità degli effigiati. Ora facevano ritorno, rinfrancati dalle loro ferie bimestrali, al pauroso arretrato e trovavano il lavoro accumulatosi nel frattempo che reclamava la loro allarmata attenzione. E fu proprio alla ripresa del lavoro, che sull’alta scrivania del magistrato dirigente, apparve un foglio munito del timbro dell’i.R.T.A. (industria radese tubi e affini) che conteneva una denuncia del titolare dell’impresa, il commendatore Paolo Cresci. il quale “rispettosamente” esponeva: che la sera del venti settembre, mentre faceva ritorno alla propria abitazione, dopo una giornata faticosa di lavoro, era stato avvicinato da uno sconosciuto, poi identificato per Canzio Michele residente a Rado, fruttivendolo. Costui, afferratolo per un braccio, aveva proferito le parole “farabutto, assassino”, cui era seguita - a togliere ogni dubbio sul destinatario degli epiteti – una gragnuola di pugni in faccia che aveva costretto il denunciante, previo intervento liberatorio – ab energumeno – da parte di alcuni passanti, al pronto soccorso: ove gli era stata riscontrata la frattura di uno zigomo, oltre a contusioni ed ecchimosi varie: il tutto guaribile in giorni venti, salvo complicazioni, come da certificato medico allegato. “Eppertanto – così concludeva la denuncia – io sottoscritto Comm. Cresci chiedo che si proceda penalmente nei confronti del Canzio per i reati d’ingiurie, percosse, lesioni e ogni altro reato che la S.V. ill.ma ravviserà nel comportamento descritto: con espressa riserva per i danni materiali e morali “patiti e patiendi” dalla proditoria aggressione”. 23 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 24 Guido Zavanone Le salmonelle a Rado 24 LE SALMONELLE A RADO Sartori scosse il capo. Non scorgeva aggravanti all’orizzonte. intuiva il disappunto del dirigente. “Ma quando la faranno questa riforma dei codici?” invocò Keres. Per lui il maggior malanno che affliggeva la giustizia sansulpiciana era la penuria di aggravanti. Lui ne aveva proposte un centinaio in una lunga e motivata relazione. Ma probabilmente nessuno l’aveva letta. Dunque un galantuomo, un datore di lavoro che si sacrificava per i suoi concittadini, poteva essere assalito, a pochi metri dalla propria abitazione, da un facinoroso, e il legislatore non batteva ciglio, un’aggressione come tante altre. Ma non era soltanto sdegno morale. Questo moto dell’anima che più ci distingue dalle altre specie animali, non si trova in noi allo stato puro; come invece avviene alle intelligenze celesti, per lo più angeli e arcangeli, che balzano di continuo dalle pagine della Scrittura, nonché dai dipinti sacri, il volto e la spada fiammeggianti; e appaiono traboccanti d’ira, ma per nulla che personalmente li riguardi. Purtroppo nelle regioni dell’animo umano l’indignazione, per sollevarsi e prender quota, abbisogna sempre della regolare pista di un interesse pratico e personale. in mancanza del quale sono soltanto sobbalzi e strattoni che la Storia irride con il nome di utopie. Utopistica infatti è un’idea che in un dato momento storico non è sorretta da interessi sufficienti. Nel caso del dott. Keres, l’interesse pratico che lievitava il suo sdegno doveva, secondo i maligni, ravvisarsi nella cosiddetta “pendenza”; che tenteremo di tradurre, per i profani, come “la quantità di lavoro gravante su un determinato ufficio”. Ora la competenza della magistratura di primo grado, rispetto a quello di secondo grado, si determina, a “San Sulpizio”, in base al massimo degli anni di reclusione che può infliggere il giudice. E una o più aggravanti, inasprendo sensibilmente la pena, hanno l’effetto di lievitare il reato e di far traboccare la competenza dal giudice inferiore a quello superiore; con sollievo del primo. “A chi si potrebbe affidare questo processo?” chiese ancora il Dirigente a Sartori. Era un po’ come affacciarsi in una trattoria e chiedere dove si mangia bene in paese. Keres se ne rese conto e si affrettò ad aggiungere: “Lei, Sartori, è troppo oberato di lavoro. Bisogna pure che facciano qualcosa i giovani”. in realtà, sapeva che Sartori era un giudice esperto e capace, ma con un limite: non ascoltava i suggerimenti degli altri e non si lasciava influenzare da nessuno. in altre parole: non era affidabile. “È un processo semplice – continuò il Dirigente – ma potrebbe anche complicarsi. “Eh sì – approvò Sartori – Canzio accusa Cresci di avergli ucciso il figlio. Per via dell’acquedotto…”. “Ma sono sciocchezze belle e buone – esclamò Keres – Ha letto il “Corriere del Giorno”? Non c’è alcuna prova che le morti siano causate dal tifo. E poi cosa c’entra il commendator Cresci? Mica ce l’ha messo lui il bacillo nell’acqua!”. Sartori annuì, pensando intensamente alla sospirata promozione. Del resto il processo non sarebbe stato affidato a lui. E tuttavia provò un senso di disagio. Per salire era necessario buttare a mare molta zavorra. Lo rattristava che, troppo spesso, la zavorra fossero i buoni principi. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 25 LE SALMONELLE A RADO L’aula ove si celebrano a palazzo Limondi i processi è una sala piuttosto ampia con una grande finestra rettangolare che, in origine, doveva essere più che sufficiente ad illuminarla. Ora purtroppo impedita, in questa sua ragione d’essere e aspirazione, da un sovrapposto tendaggio, plumbeo per colore e pesantezza, che un’improvvisa paralisi dei gangli motori, e cioè del complicato meccanismo che ne consentiva l’elevazione verso il soffitto, ha immobilizzato per sempre. L’esperto in tendaggi visitando, qualche anno prima dei fatti che si raccontano, il paralitico, non aveva saputo indicare altro rimedio che la sostituzione, non senza porre in evidenza, com’è uso con i famigliari costernati, l’età dell’infermo: “Siamo giusti. Ha l’età di quello”, indicando un quadro tutto scrostato del Seicento. Questa volta il Dirigente non aveva esitato ed aveva richiesto al Ministero la sostituzione del tendone o l’autorizzazione alla spesa relativa. Ma si era ancora in attesa di una risposta. Così si era pensato di togliere semplicemente il drappone e riaprire il varco alla luce. Ma una più matura riflessione aveva sconsigliato tale semplice operazione. infatti non soltanto il sole, ormai senza ostacoli, avrebbe assalito i giudici con la luce diretta, in estate con un insopportabile calore, aggiungendo altro tormento a quello del giudicare, ma i prospicienti balconi del palazzo di fronte, trasformati in altrettanti palchi di teatro, si sarebbero, specie in occasione d’importanti processi, popolati di persone, magari in vestaglia, intente a godersi lo spettacolo; con disdoro della giustizia e pericolose distrazioni dei giudici. Così da molti anni il sole non visitava l’aula giudiziaria di Rado. Del resto avrebbe rappresentato una stonatura, una stupefacente intrusione della vita. Quell’agitarsi nero di toghe tra la decrepitezza dei banchi e degli scanni; lo svolgersi del rito processuale secondo tempi e modi e parole fissate per sempre da un mondo defunto, la campeggiante scritta “La legge è uguale per tutti” sormontata e forse esemplificata da un sottostante crocifisso allargante sconsolatamente le braccia – “Vedete anche a me cos’hanno fatto”, - avevano trovato infine nella spettralità del neon la luce giusta, oltre che economica, del quadro. L’aula era divisa in tre settori a mezzo di due transenne che la percorrevano in senso longitudinale. il primo settore era destinato ai giudici, al pubblico accusatore e al cancelliere, i quali sedevano sopra una sconnessa pedana dietro un grande tavolo a forma di ferro di cavallo. il settore mediano era occupato da un lungo banco, con sedili retrostanti in cui trovavano posto gli avvocati. A un lato una rozza panca e dura riservata all’imputato: a richiamarlo alla sua condizione e pungolarlo all’umiltà. infine lo spazio riservato al pubblico, spoglio d’ogni ornamento: ad eccezione di due grandi targhe d’ottone inchiodate nella parete di fondo recanti l’imperativo “non fumare, non sputare”; a luccicare piacevolmente, tutto il giorno, davanti agli occhi dei giudici. Erano le ore 9,30 quando il suono prolungato di un campanello elettrico e il trepestio degli avvocati in cerca del posto e della toga annunciarono al numeroso pubblico presente l’ingresso in aula del giudice Regli. Subito gli si avvicinò l’avv. Forioli, patrono di Paolo Cresci, inchinandosi, ossequiando, sorridendo: con un’arte che escludeva l’improvvisazione. Chiedeva che il processo nei confronti di Michele Canzio fosse celebrato per primo. il suo cliente era Guido Zavanone Le salmonelle a Rado Capitolo XI 25 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 26 Guido Zavanone Le salmonelle a Rado 26 LE SALMONELLE A RADO atteso a un importante incontro con i sindacati. La comunicazione aveva anche il pregio di porre in rilievo l’importanza del personaggio. il giudice acconsentì e fece chiamare la causa. L’imputato era un uomo esile, dall’aspetto dimesso. Si guardava intorno impacciato, non sapeva dove collocarsi. L’ufficiale giudiziario gl’indicò la panca. “Sieda lì”, intimò, con il mal garbo riservato agli umili. Sulla scia del Canzio una piccola folla di testi, spintisi, l’uno dietro l’altro, fin dentro all’emiciclo. il giudice, dopo essersi assicurato che non ne mancasse nessuno, “Sarete richiamati”, disse. Come stavano impalati, l’ufficiale giudiziario, a rendere esplicite le parole del giudice, prese a spingerli fuori dall’aula senza tanti complimenti. Dal settore riservato agli avvocati si staccò, con voluta lentezza, il Cresci. Con aria infastidita, andò a collocarsi su una sedia presso la parete opposta a quella dell’imputato. Era un uomo alto e corpulento; elegante a metà, cioè vestito da un buon sarto, che aveva però trascurato d’indicargli la cravatta e il pullover da intonare all’abito. Mentre il cancelliere dava lettura dei capi d’imputazione, Regli osservava comparativamente l’imputato e la parte lesa. incredibile che nello scontro fosse stato Cresci ad avere la peggio. Si volse all’imputato. La domanda di rito: “Ha inteso l’accusa… cos’ha da dire a sua discolpa?”. “Quello che è detto lì è tutto vero”, ammise a voce bassa il Canzio. “È confesso”, proclamò l’avvocato Forioli. Sfoderò un sorriso, riservato, questa volta, al difensore dell’imputato “Per non far perdere tempo al giudice, potremmo rinunciare ai testimoni”, propose. il difensore, l’avvocato Paglieri, era giovane e combattivo. Difendeva il Canzio gratuitamente, forse per incarico del partito in cui militava: “Chiedo – replicò – che il giudice voglia interrogare l’imputato sulle circostanze e sui motivi che lo hanno indotto ad agire; e sentire su questo punto i nostri testi”: “Mi devo opporre – si rammaricò l’avv. Forioli – Risulta dagli atti che il commendator Cresci fu assalito mentre faceva ritorno a casa, alla sua famiglia. Niente legittima difesa, niente provocazione. i motivi sono irrilevanti”. Esperto professionista, capiva la debolezza di questi argomenti. Li offriva tuttavia al giudice un po’ nella speranza che questi abboccasse, magari per motivi metagiuridici, un po’ per dimostrare al suo cliente che non lasciava nulla d’intentato in suo favore. Aveva, del resto, la coscienza a posto: a lungo aveva insistito presso Cresci perché ritirasse la querela e non si esponesse all’alea e alla pubblicità di un processo. Ma Cresci era stato irremovibile: “Certa gente ha bisogno di una lezione – aveva enunciato – E poi mi do’ del tu con il Dirigente”; battendo una mano sulla spalla al suo legale, a infondergli coraggio. il dr. Regli prese tempo: “Sentiamo il parere del pubblico accusatore”. “il pubblico accusatore non si oppone”, dichiarò con un filo di voce l’interpellato. A San Sulpicio, per ragioni di economia, la pubblica accusa, nei giudizi di primo grado, è rappresentata, volta per volta, da un avvocato officiato all’inizio dell’udienza. Colto al volo mentre transita frettoloso per i corridoi del palazzo di giustizia, distolto brutalmente dalle redditizie occupazioni professionali, questo coatto collaboratore del giudice sprofonda in un letargo che è, ad un tempo, non resistenza e protesta contro la sopraffazione legale subita. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 27 LE SALMONELLE A RADO Guido Zavanone Le salmonelle a Rado Letargo o, piuttosto, sonno di felino se, all’incauto affacciarsi di un altro più giovane avvocato, balza dal suo seggio e reclama, “a causa d’impegni professionali inderogabili”, la sostituzione. “Allora – disse il giudice con tono bonario – se l’imputato vuole spiegarci i motivi…”. Canzio si alzò di colpo dalla panca e puntando un dito accusatore contro Cresci: “ Quel signore lì ha ucciso mio figlio”, gridò. Negli occhi un lampo improvviso di furore. Cresci si sollevò a sua volta dalla sedia; enorme di fronte all’avversario e tuttavia stordito dalla violenza dell’attacco; sembrava l’orso del tirassegno centrato in pieno da un colpo di carabina. Tentò di ricomporsi. D’un tratto, portò la mano destra all’altezza della fronte e prese ad agitarne, unite nella reiterazione, le tre dita mediane. Voleva lumeggiare l’aberrante stato mentale da cui solo poteva essere scaturita una siffatta accusa. Scoppiò un parapiglia. “Esigo rispetto per l’imputato”, urlò con quanto fiato in gola l’avv. Paglieri. “Vergognatevi, anche qui siete venuti ad insultare”, replicò, con vibrazioni di altrettanta frequenza, l’avv. Forioli. “Assassino, assassino”, gridò dal pubblico una voce femminile. il giudice prese ad agitare freneticamente il piccolo campanello che teneva sempre a portata di mano. A differenza di quello elettrico, che si azionava dalla camera di consiglio e aveva un suono imperioso, questo spargeva un suono dolce e festoso, poco adatto alla circostanza. Due guardie accorsero verso il rumoreggiante settore del pubblico, afferrarono la donna che ancora urlava e si dibatteva e la portarono fuori. “Faccio sgombrare l’aula!” minacciò Regli. Ma il silenzio stava già tornando. Ora anche gli avvocati ricuperavano la calma mai veramente perduta e facevano a gara a presentare le scuse – per loro, per i clienti, per il pubblico – al giudice; che le accoglieva di buon grado, visibilmente soddisfatto dell’ordine da lui con prontezza ristabilito; e con mezzi, bisogna riconoscerlo, assai modesti. “Procediamo ad interrogare i testi”, comandò. Sfilarono per primi i testi dell’accusa. Avevano assistito all’aggressione e, a stento, non senza personale rischio, erano riusciti a sottrarre Cresci alla furia del suo aggressore. Era evidente il rispetto e la considerazione per la vittima, cui non mancavano d’offrire, all’uscita dall’aula, un cordiale tributo di beneauguranti sorrisi. Fu poi la volta dei testi della difesa. “Presenti al fatto?”, chiese l’avv. Forioli. “Riferiranno su circostanze precedenti”, chiarì non troppo l’avv. Paglieri. Cercava di far passare inosservato il suo carico d’esplosivo. “Allora mi oppongo!”. L’avv. Forioli non era uomo da lasciarsi sorprendere. “Non vogliamo farci insultare un’altra volta!”. “Ma cosa dovrebbero dire?” s’informò il giudice. Sentiva addensarsi di nuovo la tempesta. “Che Aldo Canzio è morto, nel settembre scorso, a causa – scandì Paglieri – di gravissima incuria e negligenza del qui presente signor Cresci”. Dal settore del pubblico si levò un lungo mormorio. “Ma è assurdo!” gridò rosso in volto e gesticolando l’avv. Forioli. “Assurdo”, echeggiò lugubre Cresci. “Qui – riprese il legale – si cerca d’intorbidire le 27 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 28 Guido Zavanone Le salmonelle a Rado 28 LE SALMONELLE A RADO acque di una causa molto chiara.”. Assunse un tono più composto e solenne: “Denuncio il tentativo avversario di politicizzare questa causa”. “Ma che c’entra la politica?” domandò Regli che sapeva fin troppo quanto c’entrasse. Ancora il giorno prima il Dirigente, allarmatissimo per il nome del difensore nominato da Canzio, aveva intrattenuto a lungo Regli nel suo ufficio: “Condanni o assolva non m’interessa… sembra un processo molto semplice… Ma tagli corto, ha capito, tagli corto! Deve giudicare ingiurie, lesioni e null’altro. E si ricordi: siamo in periodo preelettorale, la giustizia non deve prestarsi a speculazioni di nessun genere”. “insisto per l’audizione dei testi – incalzò l’avv. Paglieri – non raccolgo le insinuazioni avversarie. La difesa intende provare che Canzio agì nello stato d’ira provocato dal comportamento delittuoso di Cresci”. Regli guardava l’imputato che si passava la mano sul volto come a trattenere le lacrime. “Poco o tanto”, pensò, “sono sempre loro a pagare”. Volle fare un tentativo e chiamò a sé gli avvocati. “Avete considerato – chiese – la possibilità di risolvere pacificamente questo processo? Canzio fa una dichiarazione di rincrescimento e di stima; e Cresci rimette la querela. Sarebbe meglio per tutti”, concluse con forza. Detta da chi doveva decidere la causa, la conclusione suonava come un ammonimento per entrambi i contendenti. Forioli se ne rese conto. “Provo a parlarne con il mio cliente” disse sollecito. Si avvicinò a Cresci e prese a confabulare con lui a voce bassa. Si capiva che incontrava una resistenza tenace. Alla fine si staccò dal suo cliente e ritornò al banco degli avvocati. “il mio patrocinato – annunciò - acconsente a ritirare la querela. in ossequio all’invito del signor giudice” aggiunse. “Così va bene – stabilì Regli – e avete fatto un piacere anche a me. Ho ancora sette processi oggi”. Una considerazione banale: volta peraltro a scaricare la tensione che ancora si avvertiva nell’aria. Senz’attendere la chiusura ufficiale, il pubblico scivolò via. Era un modo di manifestare insoddisfazione. Di natura sportiva, è pur possibile, per un risultato in bianco. Ma forse era rimasta la sensazione deludente per qualcosa che si era intravisto e non aveva avuto la forza di sbocciare. D’improvviso l’imputato, s’alzò dalla panca e, rivolto al giudice, “È possibile non accettare?”, chiese. “Non accettare che?” trasecolò l’avv. Forioli. La sua voce assunse un’intonazione di profondo disgusto. “Non accettare, fare il processo”, chiarì Canzio, rivolto al giudice. “Certo, ma non avete alcun interesse. Più che prosciolto non potete essere”. “Vuole anche un premio per quello che ha fatto”, schernì Cresci. “Noi non accettiamo”, dichiarò deciso l’imputato. “Ci pensi bene, Canzio”, lo ammonì il suo difensore. “Non accettiamo” ripeté l’imputato. Era, pur in un uomo così dimesso e senza rendersene conto, un plurale di maestà. “Avanti i testi”, ordinò il giudice. Sei volte, pur in versioni varie, Regli dovette ascoltare le malefatte di Cresci e dell’acquedotto. il racconto era di continuo interrotto dall’avv. Forioli con domande e contestazioni varie con lo scopo fin troppo evidente di confondere le idee ai testimoni; ma ricucito poi, pazientemente, da Paglieri con brevi e Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 29 LE SALMONELLE A RADO Guido Zavanone Le salmonelle a Rado calzanti domande: se il tifo aveva, almeno all’inizio, colpito esclusivamente gli utenti dell’acquedotto Cresci; se da molti anni non si era più effettuata la pulizia della vasca; se questa era stata collegata con un rigagnolo apportatore di acque putride; se Aldo Canzio aveva contratto il tifo ed era morto a seguito di questa malattia. Ogni risposta una martellata a ribadire attorno a Cresci i chiodi acuminati delle responsabilità. Forse fu per non assistere allo scempio della legge, sibilò – ma il giudice non vi fece caso – e per riprendere, spiegò, il controllo dei propri nervi, che Forioli, senza chiedere autorizzazione, abbandonò, ad un tratto, l’aula giudiziaria, di corsa, in toga, in un nero fremito d’ali. Le testimonianze volgevano intanto alla fine: fatti noti e arcinoti, ma che adesso, sotto la scorta dell’angelo Paglieri, per la pazienza del giudice Regli e in virtù dell’azzurra linfa trasfusa dalla biro veloce del cancelliere, non erano più soltanto sofferenze e lacrime nelle case e per i marciapiedi del paese, ma entravano purificati nella patria del diritto, dipartimento di Rado. Sullo sfondo poteva scorgersi il diavolo Forioli che fuggiva a rotta di collo, la toga tra le gambe. Ahimè queste fughe sono strategiche la maggior parte, e di breve durata! Dopo solo dieci minuti d’assenza ecco l’avv. Forioli far ritorno in aula, disteso in volto e persino sorridente. Chiese ed ottenne la parola esprimendo il suo “accorato stupore” che il processo a carico di Canzio “un forsennato privo d’ogni facoltà critica e che in fondo ci fa una gran pena” si fosse trasformato, per la malizia del suo difensore, in un processo, senza garanzia alcuna, a un galantuomo da tutti stimato quale Cresci. “Chiedo – aggiunse – un congruo rinvio per poter indicare testi non compiacenti”. Così dicendo, fece un gesto d’incoraggiamento all’usciere che sporgeva, titubando, dalla porta e chiamò a sé Cresci, dimentico ormai, nell’accorrere, del peso materiale oltre che sociale della propria persona – gli sussurrò qualcosa nei penduli padiglioni auricolari e riportò lo sguardo sul giudice nel frattempo raggiunto dal claudicante messaggero. Regli fece un gesto di fastidio. “Dica: appena terminato questo processo. Subito dopo questo processo”, scandì. L’usciere schizzò via, trascinando per gl’insidiosi dislivelli, la gamba da lui immolata, almeno in parte, alla Patria (in umiltà, nel corso di una razzia di galline). S’alzò il Pubblico accusatore. Riattivava la circolazione del sangue. “M’associo alla domanda di rinvio”. Senza malizia alcuna. Sperava soltanto d’essere liberato dal supplizio: le campane annunciavano a gran voce il mezzogiorno. La decisione del giudice giunse inaspettata. Spiegava che i nuovi fatti emersi nel dibattimento erano collegati e influenti rispetto al processo a carico di Canzio e però superavano la competenza del giudice di primo grado. Di qui la necessità di rinviare tutto quanto “al superiore Tribunale di Mortola”. Giuridicamente la soluzione era ineccepibile. Molti la giudicarono coraggiosa; anche se, nell’opinabilità delle cose umane, qualcuno, in quella decisione che apparentemente non decideva nulla, volle scorgere analogie con quella adottata in Palestina dal governatore romano; complice il bacile. 29 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 30 Angelo Manitta Mary Cassat/ Lev Nikolaevic Tolstoj 30 Q U AT T R O P O E S I E QUATTRO POESIE di Angelo Manitta Mary Cassatt La strada antica svapora di colori lilla come cornice che cerchia giochi segreti di pittori. La tela è un plenilunio di soli svaniti e rappresi che evocano sortilegi, lievitati da desideri: il battello si ferma sulla battigia in remota afasia. Lev Nikolaevic Tolstoj «Non ho dimenticato la triste partenza, immaginata come esilio perpetuo, o Signore. Ora, quasi senza Dio, non sento religione; ma non T’ho dimenticato né ho dimenticato il volto rugoso di mia madre, le cui guance si rigavano di lacrime e il cuore mi si spezzava col tremore delle membra, l’irrigidimento delle ossa, il raggelamento del sangue. il treno le portò via la speranza, quel treno che mi dava speranza. O Signore, è caro il prezzo Della alsa ricchezza conquistata, quando scopro i miei cibi insapori e inodori. Ma tu come hai fatto a sopravvivere così a lungo?» Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 31 Q U AT T R O P O E S I E il giornalista fissa sulla carta l’evento quotidiano, lo storico approfondisce la connessione delle azioni, dei gesti, delle parole. il pittore rende perpetuo l’attimo in un unico eterno fluire. i capi di stato sono tutti lì. A guerra finita William Orpen guarda in faccia Woodrow Wilson, Lloyd George, Vittorio Orlando, e li immortala Ivan Sergeevic Turghenev Penetra cespugli con il fucile a tracolla. Le anitre starnazzano sul lago e lunghe scie d’ombra segnano lo specchio. Voli d’uccello si alternano a corse di cinghiali o a lepri sfuggite dai giacigli per l’annusare dei cani. Botti assordanti riempiono l’aria, mentre passi silenziosi scrutano prede acquattate che lanciano occhiate guardinghe. Silenzio è intorno. Paura d’assoluto e di vuoto astrae la mente del cacciatore, le cui pupille feriscono l’aria di smalto: passi nel bosco, rumore di foglie calpestate a battiti lenti. Sussulta il cacciatore e, avvolto dal verde degli alberi, si fa foglia, si fa fiore, si fa frutto. il tempo non sonnecchia. La preda scappa nell’oscurità delle fronde e gli occhi corrono dietro inattesi fruscii: rami mossi dal vento, scoiattoli danzanti, raggi di luce multicolore. Angelo Manitta William Orpen / Ivan Sergeevic Turghenev William Orpen 31 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 32 Milena Buzzoni Oro birmano 32 ORO BIRMANO ORO BIRMANO di Milena Buzzoni SECONDA PARTE Causa maltempo il volo per Mandalay ha due ore di ritardo. Ne approfitto per un caffè (2 dollari!), per comprare qualche braccialetto di lacca in una specie di free shop e per documentarmi un po’. A 700 Km da Yangon e con circa 700.000 abitanti, Mandalay fu l’ultima capitale prima dell’avvento dell’impero coloniale inglese e conserva un ruolo religioso e culturale. il penultimo sovrano Mindon Min trasferì la capitale da Amarapura a Mandalay nel 1861 e con l’occasione fece seppellire vive nelle fondamenta della nuova reggia 52 persone perché diventassero spiriti protettori. Allo stesso modo il successore re Thibaw pensò di rafforzarli seppellendone altri 600 attorno al palazzo: tutto questo in tempi non lontanissimi a conferma di quell’attitudine alla ferocia di cui si diceva all’inizio. intanto l’ATR 72 della Yangon Airways è finalmente arrivato e un funzionario chiama i passeggeri ad alta voce facendo segno di affrettarsi. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 33 ORO BIRMANO Milena Buzzoni Oro birmano Arrivati a destinazione ci fermiamo subito in un laboratorio di intaglio del legno dove ragazzi accucciati per terra lavorano con scalpelli e bulini: nascono bellissimi pannelli, statue, mobili a intagli e volute che costano davvero poco rispetto alla perizia che richiedono, anche se i prezzi migliori non si trovano in questi laboratori ma in giro per mercatini. Un salutino (per le donne solo da lontano!) al Budda alto 4 metri e coperto da uno strato di 15 centimetri d’oro del Mahamuni temple e siamo al Sedona Hotel con un elegante ingresso a colonnato affiancato da due vasche di pesci rossi grossi come carpe che ci seguono fino nella hall. Camere belle e ampie, ma il bollitore, come spesso accade, non funziona, mentre in bagno non manca nulla. Proprio davanti all’albergo si espandono le mura merlate del Forte suggestivamente illuminate, alle quali domattina vorremmo dare un’occhiata. L’acqua riempie il fossato che le cinge per una larghezza di 70 metri e riflette gli 8 km di mura che, con uno spessore di 3 metri, ne costituiscono il perimetro. Nel 1945 il palazzo reale che sorgeva all’interno, fu distrutto da un incendio durante la battaglia tra gli inglesi e gli indiani da una parte e i giapponesi, che dal 1942 occupavano la Birmania, dall’altra. Vera e propria città fortificata, il palazzo è stato ricostruito ad opera dei carcerati, ma il calcestruzzo si è sostituito al legno e l’alluminio ai tetti! Delle tre porte per ciascuno dei quattro lati ne è rimasta una per lato sormontata da un pyatthat, cioè un padiglione in legno originale di raffinata fattura. È piacevole andarsene a letto con le immagini della giornata negli occhi e stasera, quando li chiudo, rivedo il Monastero del Palazzo d’Oro, uno spettacolare tempio di legno dal fittissimo intaglio: pareti, porte, coperture sono tutte un ricamo, mentre l’interno è interamente rivestito d’oro. La struttura ha la fragilità degli edifici di questo materiale ma proprio per questo è tanto più accogliente e caldo. in origine era l’appartamento reale che fu poi smontato e rimontato nel luogo dove si trova adesso per farne un monastero. Un tempo sfavillava di mosaici di vetro ed era dorato anche all’esterno: vento e pioggia lo hanno reso meno sontuoso ma più intimo e familiare. Ci spostiamo per andare a vedere il Kuthodawpaya, l’altra delle immagini che riempiono il mio dormiveglia. È il “libro” più grande del mondo formato da 729 lastre di pietra fittamente incise dove sono riportati gli insegnamenti di Budda. Ognuna è conservata dentro uno stupa bianco, quindi le 729 costruzioni disposte simmetricamente attorno a un ottocentesco stupa centrale creano una specie di cimitero di cappelle contenenti non un corpo ma un precetto. Quando il re Mindon convocò il V Sinodo Buddista ci vollero 6 mesi ai 2400 monaci là convenuti per leggere tutte le tavole! La cena di stasera, sempre davanti al forte illuminato, ha qualche variante: spiedini di maiale, pollo allo zenzero, gamberi al tamarindo e un dolcetto di palline di gelatina con mais che non è male. Ogni tanto, come all’Ocean, il centro commerciale dove siamo passati prima di cena, manca la luce che per fortuna torna dopo pochi minuti. È una scarpata sabbiosa e sporca quella lungo la quale scendiamo per raggiungere un barcone di legno che ci porterà a Mingun. La traversata sull’irawadi è un lento percorso di circa un’ora su un fiume senza corrente smosso solo dai balzi dei delfini. All’arrivo ci aspetta un gruppo di carovane tirate da un paio di maestosi buoi dal mantello grigio-verde come se fossero emersi dal muschio 33 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 34 Milena Buzzoni Oro birmano 34 ORO BIRMANO della terra. La capotte porta la scritta “taxi”! Usciamo da un breve sentiero e vediamo emergere dalla pianura quello che, se il suo committente re Bodawpaya non fosse morto nel 1819, sarebbe diventato lo zedi più grande del mondo! Siamo sopraffatti da un’ imponenza che non ci saremmo aspettati: davanti a noi solo il basamento di questo stupa incompiuto che avrebbe dovuto innalzarsi per 150 metri! È un enorme rossiccio parallelepipedo con un portale lavorato a bassorilievo su ognuno dei quattro lati, un gigante di mattoni ferito dal terremoto del 1838 con i fianchi sgretolati e spesse spaccature. Resiste con la sua forza solitaria come se dovesse restare testimone di una memoria: c’è in questa immane presenza l’intenzione del suo ideatore di creare qualcosa di spettacolare ed eterno e c’è la fatica di migliaia di schiavi e prigionieri di guerra che vi lavorarono per vent’anni! Poco lontano, vicino al fiume, al loro posto di guardia ci sono due chinthe, in parte crollate, di cui resta la porzione posteriore con una traccia di coda. Anche qui non sembra ci sia in corso alcun progetto di recupero: eppure ognuno di noi vorrebbe che tutto questo avesse non solo un futuro ma una vita eterna perché lo vedessero i nostri figli e i nostri nipoti, perché, appunto, fosse un patrimonio dell’umanità, per sempre. il Pahtodawgyi era anche munito di una campana di 90 tonnellate, la più grande del mondo dopo quella di Mosca che pare sia venata e poggi a terra. Conservata lì accanto e sorretta da una robusta struttura in ferro, fa da sfondo alle foto dei visitatori che la colpiscono con un tronco facendola risuonare. Si può entrare e uscire da sotto la campana e farsi avvolgere dal suo bronzeo mantello. Comincia a piovere e, prima che diluvi, raggiungiamo un posto dove mangiare con una veranda coperta da una lamiera che amplifica il suono della pioggia. Nella strada le pozzanghere si allargano, l’acqua cola dal tendone che copre la veranda verso la strada e scava rivoli nel fango. La tenda stessa è bucata e dobbiamo spostarci a seconda delle gocce che cadono. Fede tenta di ordinare una pizza ma quando ormai tutti abbiamo finito il nostro spuntino, gli dicono no tomato, il pomodoro non basta per la sua pizza; così ripiega su un piatto di tempura croccante che non gli fa rimpiangere la Margherita mancata. Una donna, insolitamente alta rispetto alla media delle donne e degli uomini birmani dagli esili corpi di adolescenti, mi ha seguito fin qui con i suoi longyi . Provo a darle i 5 dollari senza prendere il longyi che mi porge ma rifiuta e mi mette in mano una fantasia di fiori verdi marroni e neri e se ne va. Per fortuna la pioggia cessa e cessa il frastuono che l’accompagna. Torniamo verso il battello. Ritroviamo gli stessi “taxi” in attesa sull’argine del fiume e scendiamo per la scarpata di sabbia dove piante di zucchine corrono in mezzo a cartacce e residui di plastica e risaliamo a bordo. Anche se ne abbiamo visti tanti, i laboratori artigianali sono sempre interessanti come testimonianze di abilità, creatività, attenzione, pazienza. i manufatti arrivano a commuovere, come se custodissero una scintilla trascendente. i telai in legno intagliato della seteria nella quale ci fermiamo, sembrano piuttosto strumenti musicali, baldacchini sotto i quali una pianista intesse note, creando disegni colorati come onde sonore. Ogni lavorante riceve 1000 kyat per ogni spoletta lavorata il cui filo viene intrecciato sul rovescio del tessuto per ottenere il motivo riportato su un canovaccio che ognuna ha davanti agli occhi. Restiamo nei dintorni di Mandalay, la città del forte in mezzo all’acqua, e raggiungiamo Amarapura. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 35 ORO BIRMANO Milena Buzzoni Oro birmano -Andatelo a vedere! Non ve lo perdete il ponte u Bein!- ci avevano detto due turisti italiani che all’aeroporto di Heho dividevano con noi l’attesa del volo per Mandalay. in effetti il ponte in teck più lungo del mondo è una curiosa struttura fatta di pali piantati nell’irawadi che reggono una malferma passerella. La suggestione è data dal suo scheletro essenziale che si prolunga a perdita d’occhio sull’acqua, esile e sinuoso. È domenica e lo percorre una folla di giovani che passeggiano su e giù, coppie per mano, famiglie. La serata è al Green Elephant , un ristorante cinese con un bel giardino a pochi passi dal Sedona al quale torniamo a piedi per godere ancora un po’ di queste mura merlate che si raddoppiano nell’acqua. Mura che la mattina successiva intravvederemo appena nella nebbia di questa ulteriore giornata nuvolosa. il programma è raggiungere Bagan con il pullman per evitare un altro volo e guardare il paesaggio. Usciti dalla città, c’è solo un tratto di quella che sarebbe presuntuoso definire “autostrada”; la carreggiata è più larga e asfaltata e passiamo un casello con un tavolo al quale sono sedute tre persone (dalla consegna dei bagagli allo smistamento delle valigie nelle hall ai lavori lungo le strade tutto viene fatto “in gruppo”!) che staccano una ricevuta e la consegnano all’autista. Altre volte i caselli somigliano ai nostri; quello alle porte della città, poi, è costruito in mattoni rossi, come se fosse l’ingresso di un palazzo importante. La strada in realtà prosegue come una normale provinciale con animali che trotterellano ai bordi, rivendite lungo la corsia, persone che camminano. Una breve deviazione ci porta al Monte Popa, alto più di 700 metri su una foresta pietrificata. Questa solitaria vetta posata in mezzo a una fertile pianura (popa in sanscrito significa “fiore”) e sormontata da una corona di pagode, somiglia a un cappello a cilindro infiocchettato. Definito l’Olimpo del Myanmar, è considerato la dimora dei Nat ed è il principale centro di culto di questi numi tutelari simili ai Penati e ai Lari dei Romani. Qui sono rappresentati da una serie di coloratissimi manichini ai quali si portano offerte. Secondo la superstizione birmana non bisognerebbe indossare vestiti rossi o neri sulla montagna, né sparlare di altri né portare carne con sé per non offendere questi spiriti ricevendone cattiva sorte! il tempio di Mahagiri, in realtà, ha ben poco di mistico o raccolto. Arrivati, dopo 777 scalini, alla cima che da lontano prometteva spazi dello spirito con le sue svettanti pagode, si scopre un posto molto kich, da padiglione di Luna Park: Luci psichedeliche (quelle stesse, come osserva Terzani, che i militari regalavano ai monasteri per ingraziarsi gli abati e che adesso «lampeggiano a mo’ di aureola dietro le teste di tantissimi Budda in tutta la Birmania»), manichini, fiori finti, bancarelle, stupa senza storia coperti di bronzina. Dopo la fatica della salita, scalzi su sporchi gradini tra scimmie dispettose che frugano nella spazzatura, siamo veramente delusi! Lungo la strada ci imbattiamo in una specie di laboratorio per l’estrazione del succo di palma con il quale vengono fatte caramelle, bevande, grappe, unguenti per massaggi. Per 3$ compro una bottiglietta di grappa rivestita da un involucro intrecciato con foglie di palma da regalare al mio futuro genero. Assaggiamo anche un aperitivo birmano preparato per accompagnare il tè o viceversa: noccioline, aglio abbrustolito, zenzero tagliato a fiammifero, fagioli secchi. Arriviamo a Bagan per una strada che passa attraverso la pianura dei templi, un notturno pieno di suggestione con le luci che rischiarano dal basso questi stupa di mattoni, grandi, piccoli, a gruppi o isolati. Qualcuno vanta una cuspide dorata che scintilla nel buio. Arriviamo al nostro resort, il Tyripyitsaya 35 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 36 Milena Buzzoni Oro birmano 36 ORO BIRMANO Hotel che, dopo il basso edificio in legno della reception, si apre verso un prato con lampioni e aiuole fiorite. il tutto, a sua volta, scende verso una distesa di sabbia aperta sul fiume. Un sogno! Purtroppo ci danno delle camere in due edifici-dormitorio defilati, forse ex alloggi per il personale con camere squallide e bagni da palestra! Sollevazione generale visto che la nostra prenotazione prevedeva superior rooms! in breve scopriamo che quelle che ci hanno dato sono superior rooms, ma niente da fare, la disputa si anima sempre di più e dopo un’estenuante trattativa, per 20 $ in più a camera, spuntiamo 7 bungalows sul prato affacciato al fiume che delizieranno i nostri tre giorni di soggiorno! Siamo nel cuore della piana, circondati dagli stupa illuminati che spuntano tra gli alberi! La solita cena sotto il tetto in legno di un ristorante-giardino, è movimentata da uno spettacolo di marionette che muovono persino occhi e sopracciglia. Visitiamo ancora templi magnifici, pagode d’oro che sfavillano finalmente in una giornata di sole pieno e tutta una serie di stupa in mattoni, a base quadrata, rettangolare, rotonda, con copertura a cupola, a cuspide, a scudo. i portali sono quasi sempre lavorati e coronati da formelle occupate da Budda o da piastrelle; gli interni affrescati da minuziosi disegni a riquadri rappresentanti le fasi della creazione con i primitivi colori del nero, del bianco e del giallo. Lavori del 1100 a coprire una struttura in mattoni che si regge senza malta o alcun materiale tra un elemento e l’altro; qua e là i buchi provocati dagli insetti attirati dal latte usato come collante nell’impasto dell’intonaco. Gli stupa della pianura di Bagan nascono e crescono di diverse altezze e forme come se una mano divina li avesse disordinatamente seminati. Germogliati in maniera spontanea, sono diventati una folla di guglie che al tramonto si trasformano in rosse fiamme tra le quali, dal Noro Guni temple, vediamo scomparire il sole. Solitari come il Taj Mahal, sorprendenti come i mostri di Bomarzo, incredibili come i monumenti di Angkor, vivono tra le palafitte della gente che coltiva orti ai loro piedi. «Ci sono viste al mondo dinanzi alle quali uno si sente fiero di appartenere alla razza umana. Pagan all’alba è una di queste. Nell’immensa pianura segnata solo dal baluginare argenteo del grande fiume irrawadi, le sagome chiare di centinaia di pagode affiorano lentamente dal buio e dalla nebbia: eleganti, leggere; ognuna come un delicato inno a Budda. Dall’alto del tempio di Ananda si sentono i galli cantare, i cavalli scalpicciare sulle strade ancora sterrate. E’ come se una qualche magia avesse fermato questa valle nell’attimo passato della sua grandezza….. solo qua e là dal verde giada delle risaie spuntano le vette bianche delle pagode, i tetti bassi di paglia delle case di legno….Niente è moderno, niente è del ventesimo secolo». Così, In Asia, Terzani descrive questa pianura. Anche mercoledì è una giornata splendida che si annuncia con colori d’acquerello. Giriamo con calessi che passano tra uno stupa e l’altro, sfiorano spigoli, sostano davanti ai templi incisi. Stiamo un po’ in bilico su questi sobbalzanti carretti a cui, come dice Orwel nel suo primo romanzo Giorni in Birmania, «raramente i carrettieri birmani ungono i mozzi delle ruote, forse pensando che quel rumore tenga lontano gli spiriti maligni». il pullman ci porta poi nei siti principali : l’Ananda Temple è l’unico a croce greca con affreschi ancora visibili e quattro enormi Budda in piedi, uno per ciascun lato dell’edificio, il Tayokepyay Temple con portali ricamatissimi, il Payathozu Temple che Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 37 ORO BIRMANO Milena Buzzoni Oro birmano si presenta lungo e basso e conserva minuziosi ininterrotti affreschi, con piccoli riquadri dove si moltiplicano le effigi di Budda formato tessera, motivi di alberi, soffitti a volta finemente dipinti. il Nanphaya Temple è l’unico tempio indù della zona, rinforzato all’interno con putrelle e sorretto da poderosi pilastri incisi sui quali compare l’immagine di Shiva. Non altrettanto suggestivo e raccolto l’ultimo paya della mattinata intonacato di bianco e ingabbiato dalle impalcature di bambù, che conserva i Budda più grandi del paese, uno in piedi, gigantesco, sfavillante d’oro e l’altro all’interno di un ambiente angusto, interamente occupato da questo Budda disteso. È il tempio di Manuha indicato dai Birmani «come il simbolo della loro condizione. il tetto del tempio gli preme sulla testa. Le pareti gli stringono le spalle. il suo petto è come se non avesse spazio per respirare. il suo corpo è come pressato in una cella. il Budda di Manuha è lì da più di mille anni, prigioniero, col suo sorriso triste rivolto contro la parete. Lo fece costruire un re che aveva perso la libertà e che volle ricordare al suo popolo le pene di quella condizione» , così ancora dice Terzani nel suo libro. Ad ogni sosta siamo assaliti da nugoli di venditori, soprattutto venditrici, di solito ragazze giovani, carine, a volte con bambini in braccio, disposte a barattare una scatola di lacca con un rimmel o un rossetto. il villaggio di Minanthu, conciliabolo di poche capanne, ha prezzi alti, donne che fumano grossi sigari e vecchiette che filano: un fasullo allestimento per i turisti di passaggio. Anche oggi pausa-pranzo in piscina, sul prato tra i templi e il fiume. «Alberi di Mohur, simili a grandi ombrelli di boccioli rosso sangue, frangipani con fiori color crema senza gambo, buganvillea rossa, hibiscus scarlatti e rosai cinesi, e tigli e tamarindi dalle foglie simili a piume. i colori vivi abbagliavano nella luce. Un mali quasi nudo, con un annaffiatoio in mano, si aggirava in mezzo alla giungla fiorita come un grande uccello che si nutrisse di nettare»: le parole di Orwel si adattano a questo Eden asiatico dove vorrei fermarmi almeno una settimana! Anche l’aeroporto di Bagan dal quale partirà il volo per Yangon, è poco più di un capannone. Niente nastri, bagagli scaricati a mano e monitor che anziché riportare l’orario dei voli trasmettono pubblicità. A fungere da tabellone è un cartello scritto a mano davanti all’uscita sulla pista dove un uomo in divisa chiama ad alta voce i passeggeri. Gli aerei della Yangon airwais sono piccoli ma non così male come qualcuno ci aveva detto e la rotta ci permette di guardare dal finestrino le risaie sottostanti, i campi arati, il fiume lucido e sinuoso come la scia di una lumaca. Atterriamo in perfetto orario a Yangon per prendere subito il pullman verso la Golden Rock. Dopo un’ora e mezza circa, lasciamo il pullman per salire su uno dei camion che arrivano alla sommità della montagna. Sono mezzi da una ventina di persone e, dato che nel nostro c’è ancora posto, salgono alcuni bambini usciti da scuola per approfittare del passaggio. Seduti su stretti sedili, con tubi di acciaio come schienali, iniziamo una ripidissima salita a tornanti: l’autista prende le curve come Valentino Rossi sulla sua Honda incurante della strada sconnessa mentre noi, ne siamo certi, non sopravviveremo alla prossima rampa! Per fortuna qualche volta ci fermiamo per consentire la discesa ad altri camion superaffollati di pellegrini. Finalmente la corsa è finita ma domani dovremo tornare a valle! il nostro albergo, che sapevamo sarebbe stata una sistemazione molto frugale, è inferiore alle aspet- 37 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 38 Milena Buzzoni Oro birmano 38 ORO BIRMANO tative con letti scrostati, lenzuola di dubbia freschezza e lavabo senza acqua calda. in compenso c’è una tv piatta con due canali e una dotazione minima di confort, tipo caffettiera elettrica, spazzolini, cuffie per la doccia. Visto che l’ora del tramonto è prossima, ci affrettiamo verso la Golden Rock dove sta avviandosi molta altra gente. Una breve scalinata porta a una terrazza in fondo alla quale ai soli uomini è consentito di entrare su un piccolo belvedere proprio a ridosso della grande pietra che resta in bilico su un precipizio grazie, giurano, a un capello di Budda che fa da contrappeso!. Le donne devono accontentarsi di fotografarla dal percorso che le gira attorno. i pavimenti, sui quali, come sempre, camminiamo scalzi, anziché essere lindi e puliti sono invece sporchissimi dato che i pellegrini di solito passano qui la giornata intera mangiando e bevendo; ma la roccia, che sembra debba rotolare giù da un momento all’altro, nobilita tutto questo allestimento un po’ kich e si presenta a noi grande, rotonda, rivestita d’oro con un piccolo stupa sulla sommità. il tramonto è perfetto, persino oleografico con questa sfera d’oro in primo piano, il rosso sull’orizzonte, il verde ormai sfocato dei monti e delle colline che riempiono la vallata sottostante. Ci sentiamo un po’ a disagio a parlare ad alta voce e a girare con le fotocamere in mano tra questa gente che prega, ma nessuno sembra farci caso. La cena a buffet consente una varietà che mancava alle nostre solite cene. L’allestimento è da refettorio ma il mangiare buono. La mattina aspettiamo di scendere con uno di quei camion-ottovolante con i quali siamo saliti. Monaci in tunica bordeaux sfilano con le ciotole in mano per la questua quotidiana; alcuni portano due cestini appesi a un bilanciere e un copricapo di cuoio, alto e piatto e, di tanto in tanto, suonano un gong procedendo lentamente. Ma la folla più consistente è quella dei pellegrini e quella degli sherpa che si caricano incredibili pile di bagagli nelle gerle di bambù che portano sulle spalle. Uomini o donne chiedono ai turisti di affidare loro le proprie valigie o di farsi trasportare su portantine fatte con grossi pali di bambù. Arriva il camion e comincia la discesa in caduta libera per i ripidi e ravvicinati tornanti. È tutto un inchiodare e accelerare tra le preghiere dei passeggeri affinché Budda protegga i freni con sguardo “illuminato”! E infatti, incredibile a dirsi, arriviamo incolumi e dopo tre ore buone di pullman (il traffico e la durata dei semafori di Yangon mettono a dura prova qualunque pazienza!) siamo di nuovo al Shangri-là Hotel. Doccia e riconcepimento dei bagagli in funzione del volo di domani che ci riporterà a Milano. Mentre cerco di smistare le cose comprate, mi capitano in mano, oltre le ciotole di lacca, la vecchia scatola, la collana di giada e gli orecchini, il fermaglio a pettine e un imprecisato numero di parei e longji dalle fantasie irresistibili, i regali per Bianca, la mia nipotina di due mesi che non vedo l’ora di vedere: un pigiamino viola con alamari e colletto in piedi, una marionetta di legno con due codini in testa e una scatola fatta a pesce che contiene un micro-presepe. Poi apro un foglio che avevo messo da parte insieme a queste cose per lei, del quale mi ero completamente dimenticata : è una ninna nanna birmana da sussurrarle all’orecchio non so ancora su quale melodia ….. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 39 ORO BIRMANO 39 Milena Buzzoni Oro birmano Ninnananna Sulla banchina rotonda della luna una lepre dorata s’acquatta, occhi socchiusi………. dormi……….. dormi………. Un vecchio tutto ossa macina riso guarda alla banchina rotonda della luna……. dormi……….. dormi……….. Potrebbero essere spettacoli dorati, le dolci mezze ombre dei Nat…… dormi………… dormi………… Pittura di sole calante che scorre, per placare e chiudere i tuoi occhi…… dormi…… dormi…… Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 40 Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… 40 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . DIRITTI UMANI NEL MONDO: SUCCESSI, ERRORI, PASSI INDIETRO… di Aldo Forbice Da seimila anni la guerra piace ai popoli litigiosi. E Dio perde il tempo a fare le stelle e i fiori. Victor Hugo (La poesia Depuis six mille ans la Guerre (1865) si trova incisa nella parete della cella 601del carcere di Scheveningen, L’Aia, dove erano stati rinchiusi i partigiani condannati a morte dalla Gestapo tra il 1940 e il 1945). Ormai è noto, anche perché se ne è parlato molto, i media sono scarsamente interessati ai temi della tutela del diritti umani. Se ne discute raramente, perché vengono considerati “noiosi” e ripetitivi: argomenti da addetti ai lavori, da minimizzare, nascondere, come la polvere sotto il tappeto, a meno che non si tratti di grandi catastrofi umanitarie (genocidi, massacri ripetuti, violazioni sui diritti umani per lo più perpetrati da paesi occidentali, soprattutto degli Stati Uniti: quelli della Cina, della Federazione Russa e della piccola Cuba non “fanno notizia”, così come le sistematiche violazioni sui diritti fondamentali che avvengono quasi quotidianamente in Africa, in Asia e in America Latina). Anche la letteratura - mi riferisco soprattutto alla narrativa e alla poesia - è piuttosto avara di argomenti che abbiano come soggetto i bambini soldato, le vedove indiane che ancora oggi finiscono sul rogo, insieme al corpo del marito, le donne pakistane col viso devastato dall’acido, le donne cinesi vittime della secolare schiavitù imposta dagli uomini, i bambini sottoposti a sevizie e sfruttati anche sessualmente, il nuovo schiavismo, le infibulazioni, ecc.). Certo, non mancano i saggi e i libri di testimonianze, di nicchia, di denuncia, ma si tratta di un fenomeno editoriale molto limitato, con la saggistica che risente pesantemente la crisi e che, soprattutto in questo campo, non “tira” più come pochi anni fa. Del resto, che cosa ci possiamo aspettare se persino un grande storico scomparso di recente, Eric Hobsbawn, quando gli fu chiesto, nel 1995, se l’aver appreso che il massacro di 15 o 20 milioni di uomini, donne e bambini avvenuto nell’Unione Sovietica, negli anni ’30 e ’40, gli avesse fatto cambiare opinione sul comunismo, rispose orgogliosamente di no. Ciò significa, insistette l’intervistatore, che valeva la pena massacrare milioni di esseri umani? «Certamente», ribatté Hobsbawn. Quello storico era di formazione marxista e, come dimostra un saggio pubblicato da “Nuova storia contemporanea” (diretta da Francesco Perfetti), giustificò i massacri stalinisti, l’attacco dell’Urss alla Finlandia e persino la repressione russa della rivolta ungherese. Massacri che, lo diciamo per inciso, non erano Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 41 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… ascrivibili solo all’era di Stalin, ma che risalivano, anzi iniziarono con la rivoluzione russa per volere di Lenin. Citiamo solo un esempio: il leader carismatico dei Soviet, l’11 agosto 1918, ordinava ai comunisti di Penza: «impiccate assolutamente e pubblicamente non meno di cento kulak, ricchi e succhiatori del sangue del popolo, e pubblicate i loro nomi, togliete loro tutto il grano e preparate delle liste di ostaggi». Tutta l’operazione veniva fatta “in via amministrativa”, senza cioè processi o alcuna garanzia legale. in quei giorni le vittime della repressione ordinata da Lenin furono almeno 20 mila. Ecco da chi aveva imparato quel “galantuomo” di Stalin, che –secondo Hobsbawn – “non era totalitario”. La saggistica, in generale, sulla violazione dei diritti umani non è in alcun modo paragonabile alla vasta letteratura sulla Shoah, che ogni anno si arricchisce, per fortuna, di nuovi testi. Nella narrativa le cose cambiano sensibilmente. infatti, dopo il definitivo tramonto del “romanzo ideologico”, tipico dell’impegno politico e sociale dell’immediato dopoguerra, gli scrittori italiani hanno dimostrato di essere sempre più “ reticenti” sui temi sociali e su quelli roventi dei diritti degli esseri umani, e troppo spesso si rifugiano nelle eterne tematiche dell’amore, dei sentimenti, delle passioni e dell’evasione. Eppure scrittori, come ignazio Silone, ebbero molto da dire negli anni ’70, in proposito: «il primo dovere di uno scrittore – scrisse - è la sincerità. E il primo dovere di una società verso i suoi artisti e scrittori è di rispettarne la sincerità. Sono pertanto lontanissimo da ogni velleità di far prevalere tra gli scrittori una mia particolare concezione delle relazioni tra letteratura e politica. Personalmente io mi sono sempre sentito ‘impegnato’, direi quasi nel senso più rigoroso del termine: “impegnato”, direi quasi nel senso che il termine ha nel gergo del Monte di Pietà o Monte dei Pegni. Ma sono assolutamente avverso a farne una norma o una misura di valore. Non credo raccomandabile indurre altri scrittori, che spontaneamente non se la sentono, ad attenersi al medesimo criterio. Ogni scrittore deve esprimersi con la sua voce: non deve parlare o cantare in falsetto». Questa l’opinione di uno scrittore che era stato un importante dirigente politico comunista, ma che poi aveva rinunciato al marxismo per il cristianesimo e un socialismo umanitario. Vi sono però saggisti e storici contro corrente, come Steve Pinker, autore de Il declino della violenza, che ha scritto un libro di quasi 900 pagine per dimostrare che oltre 100 milioni di morti, fra le due guerre mondiali, la Shoah, le vittime dei gulag, i genocidi, i massacri interetnici, la criminalità, il terrorismo, ecc. non sono una gran cosa, in un contesto di oltre 15 miliardi di persone. in realtà, la cifra andrebbe moltiplicata per due se consideriamo anche le vittime dello stalinismo e del maoismo. Ma lo scrittore Vincenzo Cerami cita questa cifra ricavandola da un saggio di Charles S. Maier per dimostrare che in realtà il complesso delle vittime (100 milioni di esseri umani) rappresenta appena l’1% della popolazione mondiale vissuta nel corso del Novecento. Ma dobbiamo essere contenti per questo, come fa Pinker? «È probabilmente vero che l’1% dei delitti è poca cosa, ma è altrettanto vero che le immagini ancora vive dello sterminio ebraico ci raccontano il contrario: di un’epoca di abominio e di crudeltà inaudite» (Cerami). Nel suo saggio Pinker osserva: «Bisogna guardare i dati. E i dati ci dicono che nelle guerre ai tempi delle società non statuali (società tribali, quelle do- 41 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 42 Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… 42 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . minate dai signori della guerra, ecc.) periva circa il 15 % della popolazione, mentre oggi non si arriva neppure all’1%. Quanto agli omicidi siamo passati dai 110 su 100 mila abitanti nella Oxford del XiV secolo all’1 della Londra di metà del XX secolo. Se ci riferiamo ai giornali ricordiamoci che le notizie sono le cose che accadono, non quelle che ‘non accadono’. La tendenza è cambiata. innanzitutto “la pacificazione”, ovvero il passaggio dalle società basate sulla caccia a quelle agricole, di circa 5000 anni fa, con cui si registrò un calo di cinque volte delle morti violente. il “processo di civilizzazione”, tra il Medioevo e il XX secolo con cali negli omicidi tra le 10 e le 50 volte. Poi c’è stata la “rivoluzione umanitaria”, che coincide con l’illuminismo, in cui si formano movimenti per l’abolizione della schiavitù, della tortura, delle uccisioni per superstizione. La “lunga pace”, dopo la Seconda Guerra Mondiale. E poi la “nuova pace”, dalla fine della guerra fredda. Da allora conflitti, genocidi e attacchi terroristici sono diminuiti rispetto al passato. infine le “rivoluzioni del diritto”, che hanno portato a meno violenze contro gli omosessuali, le donne, le minoranze etniche. Ma tutti questi argomenti sono sufficienti a farci tollerare le attuali gravi violazioni dei diritti umani? Cerchiamo di capire quali sono oggi le più gravi violazioni dei diritti umani nel mondo. Lo facciamo con degli esempi. Scena prima. Di recente si è diffusamente parlato sui media del ventesimo anniversario del genocidio in Rwanda, che, come è noto, a partire dell’aprile 1994, in poco più di cento giorni, ha rappresentato il caso più clamoroso di sterminio di esseri umani del dopoguerra, dopo quello della Cambogia dei kmer rossi (due milioni di vittime). in Rwanda furono fra 800 mila e un milione i tutsi (ma anche migliaia di hutu) lasciati a pezzi sul campo, oltre ai mutilati e a più di tre milioni di profughi nei paesi vicini. Se ne è parlato soprattutto per le polemiche sulle responsabilità della Francia. il presidente Kagame ha accusato Parigi di “complicità e connivenza” dei francesi con le bande di assassini hutu, che erano a conoscenza del genocidio in corso. Ci sarebbero prove sulla vendita delle armi agli hutu e cablogrammi che confermerebbero che l’Eliseo veniva sistematicamente informato sui massacri. La Francia aveva, sotto l’egida dell’Onu, 2500 soldati, poi vi erano i militari del Belgio e di altri paesi. Ma il contingente francese, in nome di una dichiarata “neutralità”, non si mosse per impedire gli assassinii di massa. il generale Romeo Dallaire, canadese, capo della forza militare Onu, venne ostacolato in tutti i modi. in un’intervista (contenuta nel libro di Daniele Scaglione Rwanda, Istruzioni per un genocidio (infinito edizioni, 2010), il generale dichiarò: «Se in me c’è una parvenza di serenità penso sia grazie alle nove pillole al giorno che prendo. Credo sia impossibile fare come Ponzio Pilato e lavarsi le mani della morte di 800 mila persone, di cui 300 mila bambini. Non puoi allontanarti da tutto quel sangue, da tutte quelle ferite sanguinanti, da tutti quei lamenti… Non puoi dire ‘bene, è successo tutto e io ho fatto quello che potevo’. Davvero ho fatto tutto quello che potevo? Sarei dovuto andare da Kofi Annan o da Boutros Ghali, gettare davanti a loro il mio incarico e dire: ‘Andate all’inferno. Nessuno è venuto a sostenermi e io me ne vado’. Avrei dovuto aprire il fuoco? Mi fu subito chiaro che se avessi dato l’ordine di sparare saremmo diventati il terzo belligerante nel Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 43 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . Scena seconda. i talebani non amano le donne istruite. Da tempo utilizzano il gas nelle aule scolastiche per cacciar via le bambine. Sono molte decine le scuole prese di mira con armi chimiche: centinaia di alunne sono state ricoverate in ospedali. L’obiettivo è la chiusure di tutti i centri scolastici. Nausea, vomito, svenimenti, le membra semiparalizzate. il “gas dei talebani” sta mietendo centinaia di vittime anche a Kabul, ma la maggior parte degli attentati si registra a Kunduz, vicino al confine con l’Uzbekistan. Un recente rapporto di “Save the Children” afferma che, tra il 2006 e il 2008, si sono registrati 2.450 attacchi alle scuole, in cui sono stati uccisi dai fondamentalisti islamici 235 persone, fra studenti, insegnanti e altro personale scolastico. Almeno 300 mila bambine non potranno accedere all’istruzione a causa delle violenze degli “studenti di Allah” nelle zone controllate dai talebani. Del resto che cosa ci si può aspettare da musulmani educati a deridere e schiavizzare le donne? Da una parte, infatti, c’è la nuova Costituzione (approvata nel 2004), dall’altra il “codice di comportamento” deciso dal Consiglio degli Ulema nel 2012. E prevale sempre quest’ultimo: le donne afghane continuano ad essere picchiate dai mariti, sono costrette ad essere sempre accompagnate, non possono parlare con gli estranei, sono sottoposte ad angherie e violenze inaudite. Lo esigono i fondamentalisti afghani a dispetto della conclamata parità tra donna e uomo di fronte alla legge. E così tra i grandi problemi che ancora affliggono le donne afghane tre risultano di particolare importanza: i diritti individuali, l’istruzione e la salute. Ma la lunga guerra non ha risolto questi problemi di tutela dei diritti delle donne. Le intellettuali di genere femminili sono sempre odiate, combattute e uccise. È accaduto a una donna simbolo di 49 anni, Sushmita Banerjce, una scrittrice che lavorava in ospedale come ostetrica nel villaggio di Daygan Soraia. Un gruppo di uomini l’ha cercata a casa, hanno legato il marito e l’hanno trascinata in strada: le hanno sparato venti colpi, le hanno strappato i capelli, buttando il suo corpo davanti a una scuola coranica. Scena terza. Ancora le donne protagoniste, ma sempre vittime degli uomini, dei regimi totalitari e, talvolta, delle stesse donne… quelle potenti del sistema, succube della cultura tribale e del fondamentalismo religioso. Basta spostarsi in india per trovare orrori simili che ci ricordano che lì le donne vivono ancora in stato di schiavitù. il 17 maggio 2013 in india, nello Stato dell’Uttar Pradesh, due donne musulmane sono state arrestate perché avevano ucciso le loro due figlie, colpevoli di essere fuggite con due uomini hindu contro la volontà delle famiglie. Le vittime, amiche fra di loro (si chiamavano Zahida, di 19 anni, e Husna, di 26 anni), si erano innamorate di due manovali di fede hindu, conosciuti nella loro cittadina di Baghpat. Nonostante l’opposizione dei genitori, si erano sposate ugualmente. in india i matrimoni interreligiosi, come quelli fra caste diverse, sono ancora vietati. Le due ragazze, dopo pochi giorni, erano tornate a casa con l’intenzione di riconciliarsi con i genitori, ma le madri le hanno strangolate nel sonno. E, sempre in india, il 2014 Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… conflitto. Ma con le forze che avevo a disposizione non c’era modo di partecipare agli scontri e garantire la sicurezza dei miei soldati». E così, con la complicità dell’Onu, della Francia, del Belgio, degli Stati Uniti e persino della Cina (da dove provenivano un milione di machete) si è compiuta l’ultima tragedia umanitaria del “secolo breve”. 43 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 44 Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… 44 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . si è aperto come il 2013, con una ragazza morta dopo un brutale stupro di gruppo, a cui è seguita la rabbia e l’indignazione di migliaia di persone in piazza. Le aggressioni sessuali si ripetono con maggiore frequenza del passato. Questa volta hanno preso di mira una ragazza di appena 16 anni e per di più incinta. La ragazza aveva trovato il coraggio di sporgere denuncia alla polizia e quasi sicuramente è stata “punita” anche per questo. Nei primi dieci mesi del 2013 sono stati denunciati 1330 casi di stupro a New Delhi (dati della Corte Suprema) e 7200 i bambini stuprati ogni anno in india (dati Unicef). Del resto nel vicino Pakistan le donne vengono condannate a morte anche per blasfemia. il caso più clamoroso è rappresentato da Asia Bibi, una donna cristiana di 45 anni, di un villaggio del Punjab, condannata alla pena capitale per avere pronunciato, nel corso di una lite con delle compagne di lavoro, delle frasi ingiuriose nei confronti del profeta Maometto. Del suo caso si era interessato Shahbas Bhatti, ministro per le minoranze religiose; aveva sostenuto la liberazione di Asia e l’abolizione della iniqua legge sulla blasfemia. Ma il cristiano Bhatti, com’è noto, è stato assassinato. Grazie alla campagna di “Zapping”di qualche tempo fa (che raccolse in sei mesi oltre 160 mila firme inviate al presidente del Pakistan), Asia si è salvata dalla pena capitale, ma è ancora in carcere in attesa di un nuovo processo. Nel vicino Bangladesh si trovano le bimbe drogate delle città bordello. Ad esempio, a cento chilometri da Dacca, a Tangail, vi sono 17 case di tolleranza con baby prostitute di 12-13 anni (ve ne sono oltre 1000). Queste bambine, per guadagnare peso e curve, vengono costrette a ingoiare la cow pillo, la pillola per le mucche, uno steroide che si dà alle mucche per farle ingrassare. Questo “trattamento” produce effetti devastanti sull’organismo: provoca il diabete e attacca il fegato, alza la pressione e crea forte dipendenza. Ma la violenza sulle donne non ha confini. il caso più emblematico in America Latina è quello di Ciudad Juarez, una città messicana ai confini con gli Stati Uniti, tristemente nota per lo stillicidio continuo di uccisioni di giovani donne: migliaia in pochi anni. il numero esatto non è noto; quasi ogni giorno si ritrovano corpi di donne violentate e abbandonate nel deserto. E non si riesce mai a individuare i responsabili. L’impunità impera in una città dominata dai clan dei narcotrafficanti. Ma il “femminicidio” non è diffuso solo in Messico. A Città del Messico una trasmissione televisiva quotidiana intitolata “Laura”, dal nome della giornalista che lo conduce, denuncia ogni giorno sparizioni, violenze e assassinii di giovani donne. La persecuzione di genere da anni ha oltrepassato i confini di questo Stato e si è estesa a tutta l’America centrale, in particolare negli Stati di El Salvador, Honduras e Guatemala. Lo chiamano il triangolo della violenza, dove una donna può essere uccisa solo per il fatto di essere uscita di casa per andare a lavorare o a scuola (negli ultimi dieci anni più di 5 mila donne del Guatemala sono state stuprate e poi uccise). Amareggia profondamente l’impunità di cui, nella gran parte dei casi, godono i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani: né i governi, né le Nazioni Unite riescono a fronteggiare con efficacia l’escalation della violenza. Eppure gli strumenti sovranazionali esistono, a cominciare dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, attualmente diretto da Navanethen Pillay, che di recente ha celebrato i venti anni di vita. Proprio la signora Pillay, in un intervento al Senato (10 marzo 2010), ha ribadito che l’italia ha svolto un ruolo fon- Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 45 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . Scena quarta. La Repubblica popolare cinese sta per superare gli Stati Uniti nella crescita economica. Se anche nel 2014 la Cina registrerà un incremento del pil vicino al 10%, il sorpasso con l’economia americana diventerà una realtà. Ma la Cina (un miliardo e 300 milioni di abitanti) continua a rimanere ai gradini più bassi nel mondo per la tutela dei diritti umani (pena di morte, tortura, persecuzione delle minoranze etniche e religiose: tibetani, musulmani, cristiani, uiguri, ecc.). La Cina continua ad occupare il 174° posto nella graduatoria della libertà d’espressione su180 paesi. Scena quinta. O l’inferno, come si potrebbe definire. Ci riferiamo alla Corea del Nord, col presidente-tiranno sanguinario Kim Jong-Un, che non ha avuto alcun riguardo neppure per i suoi parenti (di recente ha fatto uccidere suo zio con tutta la famiglia, compresi i bambini piccoli). Ogni anno nei lager si registrano non meno di 10 mila prigionieri politici assassinati o fatti morire di fame. Ve ne sono rinchiusi oltre 200 mila; vengono sottoposti a torture e a denutrizioni: la razione di base è di 14 fagioli al giorno. Si calcola che dal 1948 in Corea del Nord siano stati uccisi o fatti sparire circa due milioni di persone nel vasto arcipelago gulag del regime comunista di Pyongyang. Scena sesta. il Darfur è un paese dominato da molti anni da una dittatura sanguinaria (Omar Hassan Al Bashir, presidente del Sudan) e sostenuto dalla Cina (scambio di armi con materie prime, come il petrolio). Le Nazioni Unite hanno dimostrato un’impotenza ed incapacità di grandi dimensioni. Ban KiMoon non ha mai trovato il coraggio di definire quello nel Darfur un “genocidio” (anche se il Tribunale Penale internazionale ha chiesto da tempo l’arresto di Al Bashir per crimini contro l’umanità) e di agire per fermare le stragi, promosse dal regime sudanese di Khartoum. Ma Ban Ki –Moon il 16 giugno del 2007 ha dato una stupefacente spiegazione per le 400 mila persone, assassinate da bande di guerriglieri arabi (che hanno bruciato villaggi, distrutto pozzi, piantagioni, allevamenti, stuprato donne, abusato di bambini e bambine, vendendoli poi come schiavi). il segretario delle Nazioni Unite ha commentato, purtroppo, seriamente: «il conflitto in Darfur è parte del surriscaldamento globale». in altre parole, le fosse comuni, gli orrori avvenuti – e ancora in corso- sarebbero da attribuire al deserto che avanza, ai cambiamenti climatici! Ma cerchiamo di “avvicinarci” il più possibile alla definizione di tutela dei diritti umani. Lo scrittore Alessandro Baricco ha provato a spiegare a suo figlio, di 11 anni, che cosa siano questi diritti fondamentali degli esseri umani, ma non senza difficoltà, nonostante si fosse avvalso di un opuscolo di Amnesty international. Ha scritto: «Gli [al figlio] ho spiegato che a noi non piace il fascismo perché c’erano le autostrade ma non la libertà. -Libertà di fare cosa?-, mi ha chiesto mio figlio. Molte libertà, ho cercato di spiegargli, ma se vogliamo andare al cuore del problema non c’era una reale, effettiva libertà di pensare quello che volevi e di esprimerlo ad alta voce. A parte il fatto che se trovavi da ridire sul regime ti ritrovavi senza lavoro o in galera, o peggio, ma a parte questo, il problema era che proprio ti si impediva di avere un cervello Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… damentale nell’inserire il tema della lotta alla violenza alle donne nell’agenda del G8, «esplicitamente definita una violazione dei diritti umani e, per certi versi, anche un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità». 45 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 46 Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… 46 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . tuo, con dei pensieri, delle tue idee, magari anche sbagliate, o un po’ grulle, ma tue. Tutti in fila a imparare le parole d’ordine del capo, e fine della libertà di pensare, gli ho detto.» Peccato che Baricco si sia limitato a parlare del regime fascista, senza estendere il discorso a Hitler, a Stalin, a Mao, a Pol Pot, a Fidel Castro e a tutti gli innumerevoli dittatori e dittatorelli che ancora oggi dominano tanti paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Non solo, ma non ha saputo spiegare a suo figlio che i diritti fondamentali degli esseri umani non sono costituiti dalla generica (anche se importante) libertà. Per far capire questo concetto ha fatto l’esempio di Cuba dove si può navigare col computer, ma si può entrare “solo” in 15 siti. E suo figlio è rimasto esterrefatto dai limiti imposti dal regime. Ma Baricco non ha detto nulla sul fatto che i giovani non possono uscire dall’isola, né per vacanza, né per motivi di studio e di lavoro e neppure se devono farsi curare o operare in un ospedale. Quel vento di libertà nel Nord Africa e nel Medio Oriente fa sperare per il meglio in direzione di una vera democrazia e dei diritti umani. Ma non si può essere troppo ottimisti; talvolta le rivoluzioni portano ad altri regimi autoritari e ancora più illiberali dei precedenti, che avevano negato la libertà, la democrazia vera e i diritti dei cittadini. i regimi a partito unico sono tuttora numerosi nel mondo: vi sono quelli che ancora si definiscono comunisti o del “socialismo reale”, come Cuba, Cina, Vietnam, Corea del Nord, e quelli influenzati o dominati dall’islam fondamentalista, come l’iran . A oltre 65 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, i paesi di tutto il mondo registrano un bilancio tutt’altro che positivo. Lo vedremo dopo. intanto prendiamo atto del fatto che la lotta per la tutela dei diritti umani avviene in un mondo caratterizzato da conflitti e tensioni interne molto roventi in diverse aree del mondo. Non solo, ma i governi dei paesi in via di sviluppo devono affrontare sfide molteplici: dalla crisi economica globale, al cambiamento climatico, al crescente degrado ambientale, alla instabilità politica, alla fame, alle pandemie e, come si è detto, in molti casi, anche ai conflitti armati. Lo si è visto tragicamente nei Balcani, con la disgregazione della ex-Jugoslavia e le tragedie che ne sono seguite, anche con gravi crimini di guerra e contro l’umanità (in Bosnia, nel Kossovo, in Serbia). Per non parlare dei massacri e dei genocidi asiatici e africani: dalla Cambogia di Pol Pot (due milioni di vittime per decisione dei kmer rossi), al Rwanda nel 1994 . Fra i diritti fondamentali degli esseri umani le Nazioni Unite riconoscono da tempo il diritto all’alimentazione. Lo ribadiscono spesso anche tutte le organizzazioni internazionali (Oms, Fao, Commissariato per i rifugiati, Oil, Unicef, ecc.), visto che almeno due miliardi di esseri umani vivono nella povertà: non sono in grado, cioè, di soddisfare necessità primarie, come disporre di un alloggio dignitoso, di cibo, assistenza sanitaria, istruzione per i figli, acqua, e quasi 900 mila patiscono letteralmente la fame. D’altra parte ormai sappiamo che esiste l’altra faccia della medaglia: un miliardo e 400 milioni di persone che abusano di cibo, lo sprecano, lo buttano via. Mezzo miliardo di persone sono obese. il costo della malnutrizione - ha denunciato di recente la Fao - pesa per 500 dollari a persona, per ciascun cittadino del mondo, compresi i neonati. Giustamente ha osservato qualche tempo fa Kofi Annan (segretario delle Nazioni Unite dal 1997 al 2006): «La povertà è la nostra più grande vergogna. Fin- Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 47 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… ché tra ricchi e poveri continueranno ad esistere grosse disuguaglianze, non potremo dire di aver fatto sufficienti progressi verso la realizzazione degli ambiziosi ideali espressi 60 anni fa. il problema della povertà esige la nostra attenzione non solo per il numero degli individui coinvolti (oltre due miliardi che soffrono la fame ) ma anche perché, se non riusciremo a contrastare le altre minacce globali, saranno i poveri a subire le peggiori conseguenze.» Ora anche la povertà – e giustamente - è entrata a pieno titolo nella tutela dei diritti degli esseri umani. Lo sostiene anche irene Khan, una donna bengalese che è stata, nel 2001-2009, segretaria generale di Amnesty international, nel libro Prigionieri della povertà (Bruno Mondadori). Ha osservato la Khan che quasi metà della popolazione mondiale vive in condizioni di povertà -dall’Egitto al Messico, all’Angola, al Pakistan, al Bangladesh, al Darfur- e nel suo libro dimostra con argomenti solidissimi che la povertà è la causa prevalente delle violazioni dei diritti umani. Per queste ragioni non è concepibile oggi una strategia di difesa dei diritti degli esseri umani senza mettere al centro la “guerra” alla povertà. Nell’ultima relazione come segretaria di Amnesty (2009), irene Khan ha insistito molto sul rapporto povertà-violazioni dei diritti umani. Ha detto: «Come nel caso dei cambiamenti climatici, così accade per quanto riguarda la recessione economica globale: i ricchi sono responsabili della maggior parte delle azioni dannose, ma soni i poveri a subirne le peggiori conseguenze. Dai lavoratori migranti in Cina ai minatori della regione del Katanga, nella Repubblica Democratica del Congo, la gente che cerca di tenersi fuori dalla povertà subisce conseguenze terribili. La Banca Mondiale ha stimato che nel 2014 altri 53 milioni di persone saranno diventate povere andando ad aggiungersi ai 150 milioni già colpite dalla crisi alimentare del 2008, annullando di conseguenza i progressi conseguiti nel passato decennio. Secondo l’Oil (Organizzazione internazionale del Lavoro), tra i 18 e i 51 milioni di persone potrebbero perdere il lavoro. L’aumento vertiginoso dei prezzi dei prodotti alimentari è causa di fame, malattie, sgomberi forzati, ipoteche su beni personali, mancanza di abitazione e disperazione.» È inevitabile l’impatto di tutto questo sui diritti umani. La situazione non è migliorata negli ultimi anni. Anzi, il Rapporto 2012 di Amnesty international (con l’analisi dei diritti umani in 198 paesi) documenta casi di restrizioni della libertà in 89 paesi, casi di dissidenti (“prigionieri di coscienza”) in 48 paesi, denuncia torture e altri maltrattamenti in almeno 98 paesi e riferisce di processi iniqui in almeno 54 paesi. in Cina le autorità fanno capire che le esecuzioni ogni anno si aggirano sui 1000 casi, ma le ONG sui diritti umani sostengono che bisogna almeno decuplicare quella cifra. il regime, infatti, non rivela ufficialmente il numero dei giustiziati, anzi lo definisce ancora un “segreto di Stato”. Allo stesso modo si comportano la Corea del Nord, il Vietnam e la Malaysia. Al secondo posto troviamo l’iran (314 esecuzioni), seguito da iraq (129, raddoppiando il numero rispetto al 2011), Arabia Saudita (79), Stati Uniti (43, anche se il Connecticut è diventato il 17° Stato abolizionista), Yemen (28), Sudan (19), Afghanistan (14), Gambia (9) e, al decimo posto, il Giappone (7). La pena di morte viene ancora comminata, anche per reati non di sangue, in Cina, india, iran, indonesia, Pakistan, Arabia Saudita, Singapore, Thailandia, Yemen, Malaysia, Emirati arabi (traffico di droga); in Pakistan e iran (blasfemia, apostasia, ostilità verso Dio, adulterio, sodomia); in Cina (reati economici); in Kenya, Zambia, Arabia Sau- 47 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 48 Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… 48 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . dita (furto aggravato, stupro e stregoneria). Come si vede, nel terzo millennio si può essere ancora condannati al patibolo per stregoneria, adulterio e furto. Sulla nascita del concetto di diritti umani vi è sempre stato storicamente un grande dibattito (ma anche polemiche infuocate ) tra gli studiosi liberali, quelli di matrice socialista e quelli di ispirazione cristiana. È vero che la prima grande teoria espressa nel mondo moderno dei diritti inviolabili e imprescrittibili degli esseri umani è stata elaborata da un pensatore cristiano, John Locke, la cui dottrina ha avuto un grande rilievo nella civiltà occidentale. Nel Secondo trattato sul governo (1690) Locke afferma che il potere politico, che viene istituito dagli uomini al fine di proteggere la loro vita, la loro libertà e i loro beni, non può avere più diritti di quelli che gli vengono trasmessi. Vita, libertà e beni sono infatti diritti umani insopprimibili e le «obbligazioni della legge di natura - dice Locke - non cessano nella società, ma in molti casi diventano più coattive». Gli stessi concetti li ritroviamo nei filosofi marxisti e negli intellettuali e politici del filone socialista libertario e anarchico (da Turati, a Prampolini, alla Kuliscioff, alla Balabanoff, a Bakunin, a Errico Malatesta, sino a Buozzi, Silone, Nenni, Pertini e Saragat). Ma quando si parla di diritti umani il nostro pensiero va subito alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, dell’89 a Parigi. C’è però da ricordare che quello storico documento ha alle spalle i Bill of Rights sugli stati americani (Massachusetts, Virginia, North Carolina, Maryland, ecc.) che i rivoluzionari francesi conoscevano molto bene. infatti, senza la Dichiarazione dei diritti degli Stati americani, sicuramente non ci sarebbe stata la Dichiarazione francese dell’89. Lo hanno confermato gli studi di George Jellinek, nel suo saggio La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Jellinek ha osservato che «l’idea di fissare in forma di legge i diritti innati, inalienabili e sacri dell’individuo non è di origine politica, bensì religiosa». Ovviamente, come si è detto, gli intellettuali di cultura liberale e socialista la pensano diversamente. Ma non credo che questo confronto di idee sulle radici storiche dei diritti umani sia oggi molto importante. Forse è più significativo ricordare che, dopo la Shoah, con i processi di Norimberga ai gerarchi nazisti, condannati per crimini contro l’umanità, è nata la Dichiarazione Universale del Diritti dell’Uomo del 1948 e, successivamente, la Carta europea dei diritti dell’uomo del 1950, una Convenzione ratificata dai 47 Stati membri che salvaguarda i diritti dell’uomo e protegge le sue libertà fondamentali. Grazie a questo trattato, l’Unione Europea ha il potere di intervenire per combattere le discriminazioni, basate su sesso, razza, origine etnica, età e orientamento sessuale. Una “Carta” che è stata ampliata e arricchita di nuovi diritti il 18 dicembre 2000. Nei suoi 54 articoli si parla di dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, con alcune “disposizioni finali”. Principi che prefigurano quelli della Costituzione Europea, ispirata ai più alti obiettivi della convivenza. Ma, anche nella conquista dei diritti umani, purtroppo non c’è nulla di irreversibile. Sono diversi i paesi europei, fra cui la Gran Bretagna, che considerano sempre più la Convenzione come un “fastidio” e, di tanto in tanto, minacciano di uscirne. Secondo il premier David Cameron la “Carta” impedisce il rapido espatrio di “soggetti indesiderati”, come sospetti terroristi, che per evitare l’espulsione si appellano proprio ai principi sanciti dalla Convenzione. È lo stesso “fastidio” che hanno por- Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 49 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… tato gli Stati Uniti a non aderire al Tribunale Penale internazionale, per il timore di possibili incriminazioni di propri militari nelle operazioni di guerra nelle diverse aree del mondo. Con questi importanti documenti di principi ha cominciato tuttavia ad avviarsi quella “cultura” dei diritti individuali e collettivi delle persone che in passato non erano mai stati tenuti in alta considerazione. C’è però da osservare che le “Carte dei principi”, sottoscritte dalla maggior parte degli Stati del mondo, non sempre hanno trovato applicazione. Anzi, in molte aree della Terra, sono sempre state considerate assolutamente teoriche e comunque “non applicabili”. Le guerre locali, di indipendenza, di liberazione dal colonialismo, di occupazione, di conquista, di “difesa”, asimmetriche, ecc. non hanno mai ceduto il passo alla diplomazia, al confronto, alla pace, al rispetto dei diritti degli esseri umani. Non solo, ma in questi ultimi decenni il coinvolgimento deliberato e pianificato delle popolazioni civili nei conflitti è stato costante, con la conseguenza che sono state oggetto di violenze e di attacchi da parte dei combattenti armati (come confermano anche le nefaste “pulizie etniche”). Donne, anziani, bambini sono diventati spesso l’obiettivo primario degli eserciti e degli altri gruppi armati. Gli studiosi stimano che ormai le vittime civili nei conflitti superino l’80%, rispetto al 20% di quelle militari. Fra le vittime bisogna anche considerare lo “stupro di guerra” nei confronti delle donne e dei bambini (violentati, torturati, uccisi, ma in diverse regioni - come l’Africa, l’Asia e l’America Latina - vengono utilizzati anche come schiavi e soldati). Le donne e i bambini sono sicuramente “l’anello debole” di una catena di odio, di scontri armati, che si traducono in orrori indescrivibili, soprattutto in Africa, dove le guerre sono ancora numerose e influenzate dai vecchi e nuovi colonialismi (fra questi ultimi ormai spicca particolarmente la Cina). Oggi esistono numerose Convenzioni internazionali e, dal 2002, la Corte internazionale dell’Aja. Ma i paesi su cui ha giurisdizione questo Tribunale sui crimini contro l’umanità non è stato riconosciuto da molti paesi (fra cui, come si è detto, gli Stati Uniti, ma anche iran, Sudan, israele, Russia, india, Cina). Di conseguenza i suoi poteri sono, purtroppo, ancora limitati. Pensiamo che le dichiarazioni di principi, le Convenzioni delle Nazioni Unite e delle sue agenzie per essere rispettate (come la moratoria sulle esecuzioni capitali) devono essere tradotte in leggi dai paesi firmatari. Se questo non avviene, le convenzioni e le delibere assembleari dell’Onu si traducono in semplici esortazioni, totalmente inefficaci o semplici denunce all’opinione pubblica, che lasciano il tempo che trovano, con un valore persino meno significativo di quelle di Amnesty international, dell’Unicef, di Save the children e delle altre ONG umanitarie. Tuttavia l’impegno sistematico nella denuncia, le insistenti iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica possono portare col tempo a risultati molto positivi. Ad esempio, grazie alla continua mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale, è diminuito il numero dei paesi che fanno ricorso alla pena di morte. in un decennio, infatti, grazie anche alle moratorie sulle esecuzioni decise a partire dal 1999, i boia sono stati mandati in pensione in 31 paesi, mentre - come si è detto - Cina, iran, Arabia Saudita, Stati Uniti e Yemen restano tra i paesi che più frequentemente ricorrono alle esecuzioni. Ma, mentre le esecuzioni degli Stati sembrano essere in declino, un numero crescente di paesi continua a emettere condanne a morte per reati legati alla droga, di natura economica, per relazioni sessuali tra adulti consenzienti e per 49 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 50 Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… 50 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . blasfemia (il caso di Asia Bibi), violando il diritto internazionale dei diritti umani che indica l’uso della pena capitale solo per i reati più gravi. Nel complesso il bilancio delle Nazioni Unite non è stato molto entusiasmante nell’ultimo decennio. Nel 2004, ad esempio,13 Stati su un totale di 53, della vecchia Commissione dei Diritti Umani dell’Onu, non erano governati da sistemi democratici. Oggi sono addirittura 21 i paesi membri del rinnovato Consiglio dei Diritti Umani giudicati dittatoriali o comunque illiberali. Se la situazione al tempo del segretario generale Kofi Annan era contrassegnata da corruzione, nepotismo e irresponsabilità politica, oggi col segretario Ban Ki-Moon è anche peggio. Ma non è della gestione del Palazzo di Vetro e delle agenzie Onu che vogliamo occuparci, ma piuttosto dello smarrimento, delle difficoltà nel mettere in atto in ogni parte del mondo direttive e principi universali che facciano compiere progressi reali ai diritti delle donne, dei minori, degli anziani e, con loro, a quelli delle minoranze etniche e religiose. infatti non passa giorno senza che da qualche parte del mondo non giungano notizie di pulizie etniche, stupri, assassinii politici o detenzioni illegali (dall’Africa, alla Birmania, alla Cina, all’iran, alla Corea del Nord, all’America Latina). in quest’ultimo subcontinente ricordiamo le gravi e sistematiche violazioni che avvengono in Venezuela, da parte del presidente Nicolas Maduro. il successore del dittatore Chavez, che guida una nazione considerata il quarto produttore di petrolio nel mondo, sta portando il paese sull’orlo della bancarotta. Non solo, ma Maduro ha ristretto gli spazi di libertà, bandendo persino le telenovelas perché – ha commentato - «fomentano l’odio e lo spirito negativo di emulazione». Ricordiamo poi anche il regime castro-comunista di Cuba. Si sperava che il cambio della guardia, da Fidel al fratello Raul Castro, potesse rappresentare un cambiamento reale nell’allargamento degli spazi di libertà e di tutela dei diritti umani. Una pia illusione, subita svanita. il rinnovamento è stato timido e scarsamente efficace: le carceri continuano a riempirsi di dissidenti e le proteste vengono messe a tacere, con la sempre più rigida repressione di ogni forma di libertà di stampa e di opinione. Non si registra dunque una vera tregua nelle violazioni dei diritti umani. E, come si è detto, non bastano le leggi, le convenzioni, i trattati e le raccomandazioni dell’Onu e dei parlamenti sovrannazionali, come quello europeo. Non sono sufficienti neppure i “controlli”, le indagini, le ispezioni di organizzazioni internazionali, come Amnesty e Human Right Watch, che tuttavia svolgono un fondamentale lavoro di “sentinelle” dei diritti, con denunce e campagne internazionali. Talvolta però singoli testardi “cacciatori di dittatori” compiono temerarie operazioni di gran lunga superiori a quelle fatte da grandi e attrezzate ONG; operazioni individuali che rimarranno nella storia delle “imprese” umanitarie. Come quelle realizzate dall’avvocato Reed Brody, che ha trascorso trent’anni per inchiodare alla sbarra dittatori terribili, come il cileno Augusto Pinochet, l’haitiano “Baby Doc” Duvalier, il chadiano Hissène Habrè, col seguito di stuoli di aguzzini responsabili di atrocità inaudite in America Latina, Africa e Asia. Ha dichiarato di recente questo “cavaliere dei diritti umani”: «Per farcela, servono una volontà tetragona, corvées snervanti di ricerche e di viaggi e soprattutto la profonda convinzione che anche un semplice cittadino possa cambiare il mondo». La sensibilizzazione umanitaria dell’opinione pubblica è cresciuta molto in questi ultimi anni. Una constatazione che contrasta nettamente con l’al- Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 51 D I R I T T I U M A N I N E L M O N D O : S U C C E S S I , E R R O R I , PA S S I I N D I E T R O . . . Aldo Forbice Diritti umani nel mondo: successi, errori, passi indietro… to prezzo di sangue e di sofferenze (citiamo, ad esempio, la persecuzione costante dei cristiani in diversi paesi dell’Asia e dell’Africa) che continuiamo a registrare. E questo perché le istituzioni, internazionali e nazionali, i partiti politici, i sindacati e le stesse strutture religiose, non sempre si impegnano con decisione e continuità, promuovendo leggi e iniziative efficaci, al fine di superare la fase delle semplici e inconcludenti esortazioni. C’è, infine, una riflessione che vorremmo tentare, prendendo in prestito anche il contributo di un lucido intellettuale, che ha ormai superato i cento anni. Nel suo libro Irritazioni (Castelvecchi), Gillo Dorfles scrive: «Stupisce e indigna il fatto che di fronte a delle situazioni penose, sgradevoli addirittura estreme, come stupri, omicidi, fondamentalismi religiosi, la gente sia, non dico del tutto indifferente, ma poco partecipe. Come è anche incredibile la smania di avvicinare cose strepitose, occasioni eccezionali. in fondo, rispetto a questo aspetto sociale molto negativo, una ‘catastrofe’, nel senso di qualcosa che smuove sin dalle basi la nostra stessa esistenza, potrebbe essere in un certo senso anche positiva. O forse l’unica soluzione. Perché sia il fanatismo che l’indifferenza, complementari come sono, si rivelano entrambi molto perniciosi. Da una parte attentati ed eccidi terribili, dall’altra si vedono persone passare come se niente fosse, nella completa assenza di partecipazione, di fronte alla miseria, alla povertà, alla sporcizia, di cui abbiamo esempi continui… Cinquanta o sessant’anni fa c’era meno indifferenza? Quando erano meno sviluppati i mass media, l’uomo era più sensibile alle sventure altrui? io credo di sì… Ho la sensazione che oggi ci sia una certa anestesia indotta sicuramente dall’assuefazione. il nostro video quotidiano è il grande corruttore etico, e la videocrazia è l’oggetto di tante mie irritazioni. Attraverso la televisione siamo ormai abituati ad assistere ogni giorno a spettacoli molto spesso clamorosamente negativi. Pensiamo soltanto al dramma degli incidenti sul lavoro. Oggi avvengono ogni giorno e l’indomani si è dimenticato tutto ( ma questo vale per ogni sorta di tragedia umanitaria n.d.a). La tv ha anestetizzato la sensibilità». Concordo pienamente con quanto afferma un grande saggio come Gillo Dorfles, ma sono convinto che gli esseri umani possono fare molto di più oggi, a condizione che riescano a muoversi al di fuori di ogni fanatismo politico e religioso; se riescono a far prevalere la ragione, anteponendo l’azione per combattere ogni forma di violenza al fine di “costruire” un nuovo umanesimo, che veda al centro di ogni iniziativa la libertà, la crescita civile e culturale dell’uomo e della donna, come individui, con i loro diritti e i loro doveri verso la comunità. 51 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 52 Milena buzzoni Genova come un malumore /Sono te 52 DUE POESIE DUE POESIE di Milena Buzzoni GENOVA COME UN MALUMORE Camminando per vicoli bui seguo la mappa del mio umore: affiora l’umidità sulle pareti sconnesse le pietre del selciato la luce sembra lontana come un’infanzia dimenticata. San Matteo, vico del Filo, Canneto: prendo fiato nello slargo di una piazza che somiglia a un cortile. Senza cielo mi perdo tra colonne lasciate come relitti su una facciata, archi ciechi, portoni spenti, madonne mutilate. Svolto, faccio un passo, torno indietro. Uscirò mai a contare i raggi dell’alba? Poi di colpo Banchi e Caricamento. i bagliori dell’acqua in piedi sul porto, l’odore del sale che ha vinto la muffa, il colore del vento che adesca la luce. Rinasco nella città rinata. SONO TE Sono te nello specchio che il tempo deforma, nella voce un po’ roca, nella pronuncia della stessa parola, nella spalla ricurva, nel braccio abbronzato e smagrito, nell’anello che germoglia tra le dita come un fiore su una radice appassita, nel sopracciglio all’ingiù. Sono te e forse qualcosa di più: sono una figlia pentita Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 53 V E R I S I M I L E , D I L E T T O E G I O VA M E N T O di Franca Alaimo La modernità di un’antica ricetta poetica nel romanzo Il libro e l’anima di Davide Puccini A pag. 92 del romanzo Il libro e l’anima (LietoColle, Faloppio (Co) 2015, pp. 209, € 13), l’autore Davide Puccini cita un’ottava dal canto iV dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, nella quale si legge di un singolare duello tra Bradamante e Atlante, entrambi muniti di armi magiche: rispettivamente un anello e un libro. Quest’ultimo ha il potere di trasformare, una volta letti, nomi e verbi relativi all’arte della guerra in gesti ed eventi concreti. Si tratta, come scrive lo stesso autore, di una metafora che “svela i grandi poteri del libro”; e di fatto, al di fuori di ogni dimensione fantasiosa, molti lettori conoscono l’esperienza di una fascinazione profonda subita da un qualche libro, al quale devono, se non addirittura un mutamento di rotta esistenziale, una risposta importante a certe personali ed irrisolte domande. Dante cade “come corpo morto cade”, dopo avere ascoltato Francesca raccontare la sua drammatica esperienza d’amore e morte (nel canto V dell’Inferno), non solo perché mosso da compassione, ma anche perché si sente come sopraffatto dal peso di un dilemma relativo alla sua precedente produzione letteraria e, in generale, al ruolo dell’intellettuale nella società. infatti, la famosa autodifesa di Francesca, che esclama accoratamente: “Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse” - in quanto spinse lei e l’amante Paolo ad abbandonarsi alla passione, imitando il modello comportamentale degli adulteri Lancillotto e Ginevra - investendo globalmente una concezione della donna e una letteratura amorosa, di fatto moralmente devianti, solleva il problema della corresponsabilità etica dello scrittore. Alla luce di questa antica e vexata quaestio può essere letto il titolo Il libro e l’anima che Puccini ha scelto per il suo romanzo, anticipando ai suoi lettori i termini di una relazione che si svilupperà con una serie di colpi di scena fino alla tormentata decisione del protagonista di gettare tra le fiamme un libro che potrebbe arricchirlo e renderlo celebre, ma che gli costerebbe quella che Francesco d’Assisi chiama nel suo celebre Cantico “la morte secunda”, cioè quella dell’anima. La presenza dell’elemento magico e di quello meraviglioso all’interno della trama del romanzo, nonostante il palese realismo e le caratteristiche di contemporaneità della vita quotidiana del protagonista, nonostante la vivida descrizione (solo di poco alterata per ovvie esigenze narrative) dei luoghi in cui essa si svolge, facilmente identificabili con quelli della cittadina di Piombino in cui ha dimora l’autore, fa di esso un testo non catalogabile, che probabilmente è stato concepito da un insieme di intenzioni prima che da una pura necessità narrativa. È chiaro, infatti, che tra i due termini della relazione libro-anima a Puccini interessa il secondo, come si evince dal lungo dialogo (nel capitolo finale) fra il protagonista del romanzo e la moglie intorno al problema, for- Franca Alaimo Verisimile, diletto e giovamento VERISIMILE, DILETTO E GIOVAMENTO 53 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 54 Franca Alaimo verisimile, diletto e giovamento 54 V E R I S I M I L E , D I L E T T O E G I O VA M E N T O se il più delicato e dibattuto, del rapporto fra Dio e l’uomo: quello della prescienza divina e del libero arbitrio umano, a cui sempre Dante dà una risposta: “La contingenza, che fuor del quaderno / de la vostra matera non si stende, / tutta è dipinta nel cospetto etterno; / necessità però quindi non prende / se non come dal viso in che si specchia / nave che per torrente in giù discende” (Paradiso, XVii, vv. 37-42); problema quasi parallelo all’altro già ricordato del rapporto fra autore e lettore. Che all’elogio della fede umana e della grazia divina, e perciò alla funzione etica della scrittura, sia finalizzata l’intera vicenda, è cosa che il lettore comprende presto (al di là della suspence che lo tiene per tutti i capitoli avvinto alle vicende narrate da Puccini con un’innegabile bravura paragonabile a quella dei maestri del thriller - e, fra l’altro, anche in questa storia ci scappa l’immancabile morto), per la larga parte affidata all’introspezione morale ed alla graduale rinascita della dimensione spirituale del protagonista, il cui stesso cognome Visdomini, cioè forza del Signore, è di per sé una lode alla misericordia divina, alla quale pure si deve lo scioglimento del dramma. Per questo motivo l’elemento magico rimanderebbe più che a Ariosto, arioso e ironico narratore di favole e storia insieme commiste senza pressanti finalità educative, al più dolente e travagliato Tasso, che, obbedendo alle regole del Tribunale dell’inquisizione, sceglie per “ornamento” della sua fabula il meraviglioso di natura religiosa. Certamente nessuna pressione di qualsivoglia natura ha indotto il romanziere Puccini a questa scelta, se non un’autentica sensibilità spirituale, che ben conosciamo, perché viva e presente in tutta la sua produzione letteraria. Ma se l’oggetto magico che dà vita alle vicende narrate è proprio un libro, non lo si deve né ad Ariosto, né alla conoscenza di certe antichissime leggende sull’esistenza di un segreto ed incredibile Liber librorum, ma alla straordinaria passione del filologo Puccini, la quale anima tutte le pagine del romanzo, a cominciare dalla dedica : “Ai tanti libri amati nella vita, muti compagni pieni di parole”. il primo capitolo si apre con la descrizione del libro magico motore dell’intera vicenda (la qual cosa sottolinea la volontà del narratore di immettere immediatamente i suoi lettori in medias res), ed essa è così dettagliata che se ne ricava l’impressione che l’autore stia descrivendo un libro che tiene tra le mani: “Il libro sembrava molto antico: di piccolo formato, appena in sedicesimo, ma piuttosto alto di spessore, era rilegato in piena pelle di un colore chiaro e caldo che poteva ricordare il miele, liscia al tatto eppure porosa come viva”. Ma è il capitolo X quello in cui la passione per la letteratura diventa traboccante, appassionata, quasi ossessiva, quando Vladimiro Visdomini sogna di diventare, grazie all’enorme quantità di denaro che potrebbe ricavare dalla vendita del libro magico, un grande editore in possesso della più ricca e sontuosa e mirabile biblioteca esistente al mondo, descritta con tale, affollatissima messe di particolari, di cui nessun lettore comune, ma soltanto uno studioso potrebbe disporre. il lettore informato sull’attività di filologo che ormai da anni svolge Puccini troverà, infatti, nelle pagine del romanzo i nomi degli autori intorno ai quali con paziente amore egli ha lavorato per le più prestigiose case editrici italiane; e potrà quasi mettere insieme una mini-antologia di passi celebri tratti dai loro capolavori, nonché una serie di sobri e acutissimi giudizi critici. L’elemento autobiografico è a tal punto presente nel personaggio di Vladimiro che Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 55 V E R I S I M I L E , D I L E T T O E G I O VA M E N T O Franca Alaimo verisimile, diletto e giovamento sogna di possedere una biblioteca universale, che si fa fatica a separarlo dal suo autore. Vladimiro Visdomini è Davide Puccini quando gioisce per il ritrovamento di un codice antico, di un’edizione rara, quando legge faticosamente e febbrilmente un documento in cattivo stato di conservazione ma che tuttavia promette di svelare un enigma, quando prende in mano un bel libro e ne guarda e tasta la fisicità e l’eleganza, quando emette un giudizio, quando svela le sue personali antipatie o perplessità nei confronti di certi autori e testi. L’avidissimo e scrupoloso studioso di testi che è Puccini sembra, inoltre, avere trovato un secondo modo di rendere onore ai suoi autori amati, inserendo all’interno della trama del suo romanzo qualche elemento e qualche trovata narrativa che rimandano a ciascuno di loro: il recupero di un manoscritto antico ricorda l’ identico stratagemma narrativo usato da Manzoni e da Cervantes; il sogno della biblioteca universale sembra un omaggio a Borges; il libro magico, come s’è detto, fa pensare a quello usato dal mago Atlante nell’Orlando Furioso di Ariosto; lo stesso gesto di bruciare il libro che rischia per i suoi poteri di corrompere l’anima ci richiama alla mente il proposito di Boccaccio - assalito negli ultimi anni della sua vita da forti dubbi etico-religiosi - di distruggere il suo Decameron. Ma certamente il modello dominante è il celeberrimo Faust di Goethe. Anche Faust scorge in un libro il segno del macrocosmo, la totalità della creazione. Faust, pur cedendo alla magia, salverà egualmente la sua anima solo perché l’angelo della morte terrà conto della sua sete d’infinito. infatti “erra l’uomo finché cerca” e soltanto errando egli s’avvicina alla Verità. La storia di Valdimiro Visdomini è meno drammatica di quella di Faust, perché egli non si persuade come quello, sebbene assai tentato, a sottoscrivere patto alcuno con il diavolo (che gli si manifesta assumendo le sembianze di un vecchio signore elegante, ironico, ed apparentemente gentile), e si salva in tempo dal precipitare nell’abisso, aiutato anche da un misterioso libraio che fa le veci del saggio e pacato Wagner, amico di Faust nel romanzo di Goethe. C’è pure, giusto per sottolineare l’influenza del modello goethiano, un episodio che dal Faust, passa, sebbene modificato, a Il libro e l’anima di Puccini, e che riguarda l’incontro di Vladimiro con la bellissima Elena di Troia, che rappresenta la tentazione diabolica della lussuria fra le altre a cui egli è sottoposto dal Diavolo. in altri termini Puccini ha voluto raccontare in chiave moderna la più antica ed irrisolta storia della lotta fra il Bene ed il Male e richiamare i suoi lettori al senso della piena responsabilità delle proprie azioni, che va sempre distinta dalle occasioni o dalle ragioni estetiche. il ricorso alla magia, probabilmente, vuole solo essere uno strumento suasivo, capace di catturare l’attenzione dei lettori, secondo la poetica del Tasso che mette insieme gli ingredienti del “verisimile, del diletto e del giovamento”. Certo la presenza fisica del diavolo in una storia per molti versi contemporanea solleva una questione teologica assai delicata circa l’esistenza fisica del Male, che ormai viene da molti liquidata come inconcepibile ed antiquata. Ma a questo punto scivoleremmo in un campo che non compete alla scrittura critica. Siamo in presenza di un’invenzione letteraria che va giudicata solo in quanto tale e dunque, in quanto tale, meritoria di un giudizio più che positivo per l’armonia della sua struttura che si tiene in perfetto equilibrio fra l’indagine psicologica e la descrizione della dimensione quotidiana dei personaggi, fra la materia magico-esoterica e quella religiosa; fra l’accumulo dei colpi di scena e il graduale mutamento interio- 55 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 56 Franca Alaimo verisimile, diletto e giovamento 56 V E R I S I M I L E , D I L E T T O E G I O VA M E N T O re del protagonista. Ma soprattutto va lodata la bellezza della lingua, pulita, elegante, toscaneggiante specialmente nei dialoghi, ma sempre con misura, che si adatta perfettamente alla personalità dei personaggi e alle situazioni descritte; e non ultimo va apprezzato il dono di tanta cultura disseminata nei capitoli come un ornamento in più che mette addosso la voglia di leggere o approfondire quei capolavori a cui accenna l’autore. Se infatti lo scopo consapevole del romanzo vuole essere quello eticoreligioso dettato dalla fede profonda dell’autore nei valori del cattolicesimo, lo scopo secondo, che è quello di una laica fede nel libro, anche se non direttamente argomentato, è talmente straripante che il lettore del romanzo ne viene investito con la stessa forza persuasiva dell’altro. Ora, a ben considerare, tra le due “fedi” non c’è quella distanza che si potrebbe, a prima vista, supporre: se Dio è il Verbum per eccellenza, chi se non lo scrittore, che traffica con le parole e crea opere per mezzo di esse, è a Lui più simile? E se lo scrittore, finita la sua opera, potrà dire di essa che è buona, come lo dice Dio nel libro della Genesi di fronte ad ogni cosa creata, concorrerà a quel progetto di santità e di bene e di armonia che è la promessa più grande fatta all’umanità. Dunque, Davide Puccini mettendo la sua elegante scrittura al servizio della fede cattolica, ricompone il binomio del bello e del bene nell’ambito della letteratura, e ricalca le orme di molti grandi scrittori italiani e no, tra i quali il più popolare, quantomeno perché lo si studia a scuola da generazioni, è certamente l’Alessandro Manzoni dei Promessi sposi. Per ultimo c’è da dire che Puccini, nell’andare controcorrente, poiché ormai sono ben altri i temi della narrativa contemporanea più in voga, fa una scelta coraggiosa, coerente, ed assolutamente libera da motivazioni economiche, che non può che suscitare la nostra ammirazione. Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 57 PROSPEZIONI di Milena Buzzoni, Renato Dellepiane, Rosa Elisa Giangoia, Giuliana Rovetta POESIA COME UNICA FORMA POSSIBILE DI CONOSCENZA di Renato Dellepiane Lunghi anni di frequentazione con la letteratura, ed in particolare con la poesia, in quanto docente di italiano, mi hanno sempre più convinto che la poesia del ‘900 e di questi primi decenni del 2000 sia caratterizzata da un particolare atteggiamento del poeta di fronte al mondo (la natura, la società, la storia) che gli sta intorno. Questa caratteristica è forse propria del poeta di ogni tempo, ma si è certamente accentuata in quest’epoca in cui il decadentismo, liberato ormai di ogni accezione negativa, ha lasciato l’eredità più profonda di una poesia intesa come unica forma possibile di conoscenza nel mistero che ci circonda, nei dubbi che ci assillano, in una natura “foresta di simboli”. Mi pare infatti di poter dire che, da un lato, il poeta si sente vivere, dall’altro si vede vivere, nel senso così chiaramente e drammaticamente espresso da Pirandello nel suo saggio sull’Umorismo. Si pensi, nel primo caso, ai due estremi del senso panico del poeta quale si esprime in D’Annunzio (La pioggia nel pineto) e, meglio ancora, in Ungaretti (I fiumi in cui il poeta si sente “una docile fibra dell’universo”). Nel secondo al già citato Pirandello o a Gozzano (che, ne L’ipotesi si vede nonno nel 1940, lui vissuto solo fino al 1916) oltre, ovviamente, al correlativo oggettivo di Montale. Questa lunga premessa per dire che ho trovato questi elementi nell’ultima raccolta di Luigi De Rosa Fuga del tempo a suggello di un discorso poetico che si svolge da lungo tempo e che mi era capitato di seguire per una semplice curiosità iniziale e poi per vero interesse. Egli era stato infatti uno dei miei primi superiori quando ho iniziato ad insegnare e, in seguito, lo ritrovavo nell’ambito di quei poeti liguri contemporanei verso i quali ho provato sempre un grande interesse. Già nella raccolta Il volto di lei durante ed in particolare nella poesia che le dà il titolo avevo colto una delicata sensualità in un estatico abbandono che lasciava però il posto alla consapevolezza di “ore della solitudine”. C’era, insomma, quella capacità di creare immagini e contemporaneamente di inserire elementi meditativi che caratterizza la poesia di De Rosa. Nella raccolta di cui stiamo parlando questi elementi si fondono molto bene tra di loro, creando un linguaggio tutto particolare. il sentirsi vivere permette al poeta di creare immagini che indicano una sorta di assaporamento della natura e del paesaggio, in cui la nostalgia lascia talvolta il posto ad un attimo di felicità. Nel contempo, il suo vedersi vivere non è solo il vedersi protagonista di momenti della sua esistenza come individuo in mezzo ai suoi simili, ma anche di sentirsi protagonista, come tutti gli uomini, della grande Storia collettiva, pur nella loro piccola storia individuale . Ecco che allora si passa dalla contemplazione alla meditazione ed anche ad un atteggiamento di giudice disincantato e severo in cui facit indignatio versus. Dati questi elementi dell’ispirazione, il linguaggio varia di conseguenza, muovendosi su diversi registri espressivi. Questi traducono talora in immagini un atteggiamento contemplativo, quasi estatico, come si è accennato: si pensi al trittico dedicato alle rose (rosa, bianca, rossa) che esprime proprio quella simpatia (in senso etimologico) con la natura di cui si diceva. il cromatismo delle immagini esprime una sorta di identificazione col fiore, quasi il poeta ne vivesse la vita breve ed intensa. La rosa rosa “che pen- Renato Dellepiane Poesia come unica forma possibile di co- PROSPEZIONI 57 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 58 Renato Dellepiane Poesia come unica forma possibile di conoscenza 58 PROSPEZIONI zola nel vento/nevoso di gennaio”, è così “fuggevole promessa di bellezza/ nella fredda illusione/ che tutti ci circonda”. La rosa bianca si identifica col presente dell’uomo in quanto “solitudine splendida/ sospesa/ sul futuro e sul passato”. Nel caso specifico, ci sia concesso di notare, sul piano del significante, il rilievo dell’allitterazione sulla /s/ che sembra portare l’attenzione del lettore sul tema del passato, della nostalgia e di un futuro a cui ci si avvia “come un funambolo/ che ésita/ sopra una corda tesa”. Quella sensualità controllata e casta cui abbiamo accennato si esprime con chiarezza nella poesia un po’ più lunga dedicata alla rosa rossa in cui il poeta va ben oltre il topos letterario. La rosa infatti, con i suoi “baci dolci, di velluto/offre la sua bellezza/(pur irta di spine)/sperando di sopravvivere/ in altre rose rosse” e richiama così alla vita che è ancora lunga, mentre “Domani si potrà anche iniziare/ ad appassire”. Come si vede, il sentirsi vivere del poeta è sempre collegato ad una meditazione su se stesso e la vita. Talora questa meditazione nasce dal ricordo di un momento, assaporato creando una sorta di brevissimo idillio: si vedano Treno fermo in campagna e Sera in montagna che sono forse le espressioni più compiute della capacità “pittorica” del poeta che riesce ad immergersi nel paesaggio ed a ritrovare una comunione profonda e rasserenante con la natura. Quella natura che talvolta diventa vera metafora della vita, come in quel Sottobosco, in cui bisogna “inoltrarsi con passi cauti ma decisi” per arrivare a scoprire, alla fine del cammino, “un sogno che insperatamente/ si avvera”. Quando i versi di De Rosa si muovono sul filo della contemplazione e del ricordo, occhieggia qua e là la rima, come se la poesia volesse trovare un suo breve ritmo, una sorta di acuto delicato (mi si passi questa sorta di ossimoro….) come prosa-rosa cosa nella bella poesia dedicata a Giorgio Caproni (omaggio e meditazione sulla funzione del poeta) oppure nella contrapposizione cielo-tremulo altissimo stelo della rosa rossa. Così, non a caso, contemplare rima più sotto con lungomare nella poesia Genova è ancora la superba? che intrisa di nostalgia e speranze mosse nell’animo del poeta da una contemplazione, appunto, della città “in certe mattinate di cristallo”. Come si diceva, il poeta si vede vivere anche nel ricordo di un momento, come quello dell’abbandono “in una Milano del dopoguerra” che lascia un segno indelebile per tutta la sua esistenza. Ma se il poeta si rivede “bambino spaurito” che guarda attraverso “occhiali da sole soffocanti” la “madre che si allontana/per sempre”, non manca di dedicare al padre una poesia di grande dolcezza, capace di esprimere tutto il “non detto”, nel raccogliere “in questo cuore angosciato dai dissidi” tutto quanto di immateriale e materiale il padre ha lasciato. Nella poesia Caro papà si stabilisce una comunicazione che va al di là del tempo, delle incomprensioni, dei drammi stessi della vita. Allora il concetto, un po’ carducciano, La poesia non è cosa per allocchi assume un significato che va ben oltre il senso che ha nella poesia con questo titolo, ma diventa un misterioso veicolo di comunicazione, un modo per attingere l’eterno insieme con i propri cari. “Non omnis moriar” era l’aspirazione dei classici e lo è di ogni poeta, non solo perché gli altri lo ricordino (si veda Human destiny in cui De Rosa esprime tale speranza) ma perché egli stesso possa tramandare i suoi ricordi e gli oggetti dei suoi sentimenti. Proprio nella poesia sopra citata emerge con forza l’aspetto di un poeta che si vede vivere all’interno di un preciso contesto storico, di cui coglie inaccettabili aspetti negativi collegati al dominio del “dio denaro”, e pertanto dichiara con forza “Poeti ed artisti non restino sempre a guardare”. Confesso che, partendo da una posizione crociana quale la mia, inserirei questa composizione nell’ambito dell’oratoria. Ma si tratta di una oratoria Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 59 PROSPEZIONI Luigi De Rosa, Fuga del tempo, Genesi, Torino 2014, pp. € I PERCORSI FANTASTICI DI GREEN di Giuliana Rovetta Julien (o Julian) Green, uno dei maggiori scrittori cattolici del Novecento, passò la sua lunga vita in frequenti viaggi, seguendo poli di attrazione sentimentale e culturale diversi: americano di ori- gini gallesi, nato a Parigi nel 1900, si appassionò alla letteratura francese spaziando da Rousseau a Renan e si integrò, utilizzando il francese come lingua di scrittura, fino a ottenere un seggio all’Académie Française, che poi abbandonò per sdegno verso gli Immorteles, da lui definiti “uno sciame di maleducati”. Quanto basta per tratteggiare un personaggio inquieto, a cui Carlo Bo riconobbe le qualità allucinate ma divinatorie di un “profeta inattuale”. La ricerca dell’io più profondo, del suo, ma anche di quello che quasi tutti gli uomini tengono ostinatamente nascosto, rappresenta la bussola del girovagare di Green, con la missione di scandagliare i limiti della condizione umana in un contesto mobile, contrastato. “Per trovare la verità occorre lavorare contro se stessi, contro la propria inclinazione, contro la facilitazione consentita dalle abitudini, contro il successo, contro il pubblico: bisogna eliminare tutte le pagine in cui il divertimento del lettore è diventato l’unico obiettivo”, lasciò scritto nel suo ponderoso Journal, un diario diventato famoso come quello di Gide, suo grande ammiratore, in cui tra molte riflessioni aveva espresso anche il suo credo artistico. Col cuore diviso fra felicità e tragedia e gli occhi rivolti sempre a un altrove, Julien Green ha lasciato una vasta opera all’insegna della dualità: non solo in nome del praticato bilinguismo e dell’appartenenza tanto alla cultura francese quanto a quella “sudista” e georgiana di derivazione materna, ma anche per via della precoce conversione dal protestantesimo al cattolicesimo. Quasi tutti gli elementi che lo scrittore svilupperà nel corso della sua esistenza sono rintracciabili nella raccolta di cinque racconti Le voyageur sur terre, scritti a partire dal 1924 e usciti prima sulla «Nouvelle Revue Française» e poi in volume, a cominciare dalla sensazione che il mondo non è come appare ma ne dissimula un altro, invisibile e più vero. Giuliana Rovetta I percorsi fantastici di Greene sincera che nasce dall’indignazione di un poeta che non vuole estraniarsi dalla storia, chiudersi nel solipsismo dell’introspezione o nel puro sperimentalismo linguistico di chi, giocando con la parola, fa di essa l’unico vero contenuto di una composizione. Nella poesia che dà il nome alla raccolta, il poeta confessa, iniziando la poesia con un “E” che dà il senso della conclusione di un ragionamento, di una meditazione interiore: “E può arrivare il giorno del rimpianto / per frammenti di vita autentica perduti a miliardi / in illusioni inconsistenti”, nella consapevolezza che cultura, sensibilità e forse anche il riconoscimento dei propri errori non rendono felici. Tuttavia resta una certezza: quella di continuare “ad amare la vita / per continuare a viverla”. E amare la vita vuole dire per De Rosa amare intensamente la poesia. Questo anche perché egli ha continuato a praticarla fin dagli anni giovanili, pur avendo avuto incarichi di responsabilità, ponendosi semmai qualche interrogativo sul senso che oggi ha la poesia, di fronte a grandi catastrofi (E dopo Fukushima; Alluvione a Monterosso) con un tono che sembra riecheggiare il “come potevamo noi cantare” che tutti abbiamo nella memoria. in una delle poesie in cui la confessione si fa più personale, De Rosa si rivolge alla signora Senectus per dirle con chiarezza che “il suo cuore, i suoi sogni, la sua poesia” non saranno mai preda di lei. Questa raccolta ne è certamente la prova più evidente. 59 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 60 Giuliana Rovetta Se il dopoguerra è senza pace 60 PROSPEZIONI È questo il fulcro del racconto eponimo, in cui il protagonista, in preda a ossessioni e a una latente follia, si sdoppia fino a perdere la sua prima identità senza peraltro riuscire a imporre agli altri la figura artificiosamente costruita in cui tenta di proiettare le sue ambizioni e le sue debolezze. Anche il testo è presentato ad arte come un doppio, cioè come l’elaborazione di uno scritto nato in un’altra lingua e poi tradotto da un soggetto terzo che non è il vero autore. Un escamotage simile è all’origine del secondo racconto (qui l’estensore finge di completare un manoscritto interrotto trovato in un cassetto), Le chiavi della morte. La figura di Odile, imperscrutabile oggetto di fantasie amorose fin dall’infanzia, così come la giovanissima Christine del racconto omonimo, niente più che una tormentosa, evanescente visione, sono personaggi fittizi, al limite della vita vera e conosciuta, di cui percorrono i margini con una sorta di volontà allucinata che sempre allude al rifiuto della vita. Alla stregua del passeggero di L’inutile traversata (Leviatano), tutti questi personaggi sono in cammino su una terra che sfiorano appena con la levità di corpi inconsistenti, salvo poi scomparire, più che morire, attraverso il passaggio nello specchio del visibile: dall’altra parte li aspetta il mondo cosiddetto immaginario, per loro l’unico veramente reale. il racconto conclusivo, Maggie Moonshine, non sfugge all’atmosfera straniante che caratterizza tutta l’opera di Green ed è forse quello in cui risulta più riuscito l’intreccio fra dimensione fantastica e ipoteca di un destino finale che attiene alla sacralità dell’uomo e della natura che lo avvolge. in più, è questa la sede in cui lo scrittore introduce l’allusione a uno stigma che determina il destino di due personaggi, nell’ombra e nel silenzio dei rispettivi contesti sociali: se su Maggie, abbandonata in fasce sui gradini di una casa, incombe il segreto di una nascita infamante, Percival nel passato si è dovuto allontanare in extremis da una giovane fidanzata per mancanza di vero interesse verso il genere femminile. il dato accertato di una solitudine interiore è letto da Green in chiave d’ineluttabilità e non di melodramma, attraverso il filtro di una scrittura rarefatta che riesce ad essere incisiva e tagliente in ogni dettaglio. Julien Green, Il viaggiatore in terra, Nutrimenti, Roma 2015, pp. 222, € 17,00. SE IL DOPOGUERRA È SENZA PACE di Giuliana Rovetta Romanzo potente e spettacolare, Au revoir là-haut, ora tradotto per Mondadori da Stefania Ricciardi, è dovuto alla penna di un docente di letteratura convertito alla scrittura, una scrittura classica alla Dumas, avventurosa e consapevole, premiata con un Goncourt. Lo scenario è quello della Prima Guerra Mondiale, ma qui a interessare non sono gli scontri bellici o le gesta eroiche (“l’eroismo non è nel nostro patrimonio genetico, afferma l’autore Pierre Lemaire, tutt’al più è la coincidenza fra un’occasione che si presenta e un buon riflesso”) bensì la fase che segue all’azione e che prelude al lento ritorno alla normalità. Di quale “normalità” si tratti il libro darà conto nel corso della vicenda, ma già le prime cinquanta pagine trascinano il lettore in un’atmosfera di bruciante allucinazione. Due giovani che non si conoscono, sopravvissuti per quattro anni nelle trincee, poco prima dell’armistizio nel novembre 1918, sono obbligati da un tenente ambizioso e folle a compiere un’azione militare senza speranza. Albert, un modesto impiegato con poche risorse, si troverà a salvare la vita a Édouard, uno spavaldo e cocciuto figlio di papà, rimasto intrappolato in una buca dallo scoppio di una bomba che gli sfigurerà per sempre il volto. incentrato sul destino dei reduci, che siano come in questo caso “gueules cassées” o uomini resi inabili o individui os- Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 61 PROSPEZIONI ironico fatalismo così viene narrato il momento tanto atteso della smobilitazione: “Fin dalla mattina, si urlavano tutti addosso in un baccano permanente. il Centro di smobilitazione era un continuo risuonare di grida e imprecazioni e, all’improvviso, a fine giornata, lo sconforto sembrò invadere quel gran corpo agonizzante. Gli sportelli si chiusero, gli ufficiali andarono a cena, i sottufficiali, esausti, soffiavano per abitudine sul loro caffè peraltro tiepido, seduti su alcuni sacchi. i tavoli dell’amministrazione erano sgombri. Fino all’indomani. i treni che non c’erano non sarebbero più arrivati. Per oggi, niente da fare. Forse domani.” Pierre Lemaitre, Ci rivediamo lassù, Mondadori, Milano 2014, pp. 456, € 17,50. LA VIA DELLA VERITÀ di Rosa Elisa Giangoia Tutti noi nella nostra vita ci incamminiamo lungo il corso dell’esistenza, seguendo, dapprima inconsapevolmente, le orme di altri, innanzitutto dei nostri genitori, dei nostri fratelli maggiori, poi, a mano a mano che acquistiamo consapevolezza, scegliamo le persone di cui seguire le orme, maestri ed amici, a cui guardiamo per ragioni affettive e intellettuali, persone capaci di dare delle risposte ai nostri interrogativi, uomini e donne che suscitano la nostra ammirazione e che riescono a coinvolgerci emotivamente. Ma ad un certo punto del nostro esistere, prima o poi, ci rendiamo conto che, per dare pieno compimento alla nostra vita in una prospettiva escatologica, dovremmo individuare e seguire altre orme, orme che per noi diventano difficili da individuare e soprattutto da calcare per cui le possiamo definire “intangibili”. Sono naturalmente le orme di Dio, i segni del percorso che dalla nostra dimensione terrena ci possono portare nell’Oltre dell’infinito, dell’immen- Rosa Elisa Giangoia La via della verità sessionati mentalmente dal fantasma degli orrori passati, il romanzo indaga sul colpevole rifiuto della società alla cura e al reinserimento degli scampati, complice il generale bisogno di oblio che plana sul dopoguerra con un effetto di stordimento. A questo rigetto fa da contraltare il giustificato risentimento degli esclusi, disingannati dal perdurare delle iniquità che la guerra avrebbe dovuto rimuovere. Saranno proprio la delusione e il senso di rivalsa ad attrarre i protagonisti in una spirale esistenziale che li condurrà a trasformarsi in astuti truffatori, escogitando una sequela di colpi nel settore dei monumenti funebri. La storia passa in crescendo attraverso liti familiari e tentativi di riconciliazione, affari condotti in modo amorale da corrotti e delatori e comportamenti segnati da avidità e ingratitudine, ma anche col contrappunto di scoppi d’intensa voglia di vivere, in una galoppata che sfiora lo scandalo delle esumazioni militari, questo sì, realmente avvenuto nel 1922. Lemaitre mostra qui la sua spericolata capacità di orchestrare con mano ferma uno scenario vasto e movimentato, utilizzando con finezza lo scandaglio dell’approfondimento sociale non meno che “la cassetta degli attrezzi” (questa la sua definizione) che già aveva sperimentato nella stesura dei suoi primi romanzi, tutti ascrivibili, e fra questi il notevole Irène, al genere noir, basandosi sulla capacità di trascinare il lettore in un turbine di avvenimenti a cui la Storia, o più semplicemente la realtà, forniscono spessore e sostanza. Facendo sua l’affermazione di Anatole France secondo cui i soldati s’illudono di andare in guerra per salvare la patria, mentre fanno invece sempre gli interessi di qualcuno, Lemaitre lascia che a dominare il suo lungo racconto bellico e postbellico sia un sentimento di collera per la stonatura fra commemorazioni e onori militari da una parte e emarginazione e irriconoscenza dall’altra. Con un senso di suprema stanchezza ma anche con 61 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 62 Rosa Elisa Giangoia Tre città 62 PROSPEZIONI so, dell’eterno. il fatto che il poeta abbia scelto proprio il termine “orme” è significativo e importante; infatti le orme si determinano attraverso un contatto fisico, di conseguenza danno l’impressione di trattenere in sé qualcosa di chi le ha impresse, di cui non si limitano a suggerire un’immagine o un ricordo, ma ne suscitano direttamente la “presenza”. Queste “orme intangibili” che possono indicarci la strada da percorrere con fatica e impegno per trovare Dio sono quelle che Alessandro Ramberti persegue in questa sua nuova raccolta di liriche, in cui con grande tensione creativa, sostenuta da una ricca esperienza e consapevolezza intellettuale e fortificata dalla personale adesione alla Fede, cerca di dare concretezza di parole alla fenomenologia del divino nel nostro mondo. Per questo le sue liriche assumono una valenza di θῆλος con la sapienza biblica, con le pagine conclusive e più alte della Commedia dantesca e con altri pochi testi che hanno osato affrontare il tema arduo ed affascinante di “dire Dio”. Come si può “dire Dio” e, nello stesso tempo, cosa si può dire di Dio? La prima questione Ramberti l’affronta e risolve a livello creativo e culturale, in quanto si impegna in un tessuto poetico complesso e coeso, prima di tutto dal punto di vista metrico per l’organizzazione dei versi in quartine intercalate da un verso tra parentesi, occasione di sospensione, ma anche di approfondimento e di apertura di nuovi ulteriori orizzonti. D’altra parte Ramberti, per costruire questa sua opera come un insieme compatto ed unitario, tutto incentrato puntualmente sul tema dell’unicità di Dio, fa ricorso alla sua cultura, caratterizzata dalla conoscenza di diverse lingue, tra cui il cinese, e da molte letture. Così ogni poesia è chiusa da una parola in ideogrammi cinesi, traslitterata e tradotta, e i testi in poesia vengono in un certo qual modo approfonditi e quasi dilatati dal collegamento con citazioni da altri testi di autori appartenenti ad esperienze culturali molto diverse (Matteo Ricci, Albert Camus, immanuel Kant, Enzo Bianchi, Dietrich Bonhoeffer e altri ancora), che possono essere interpretati come compagni di viaggio nella ricerca delle “orme intangibili”. Sono tutti autori con cui evidentemente Ramberti ha consuetudine di frequentazione per essere sempre riuscito ad individuare punti di piena consonanza con il suo dire poetico. Si viene così a creare una mappa con dei segnali, degli indicatori, ma anche potremmo dire una polifonia di riflessioni, una coralità di espressioni che tutte convergono per individuare e illuminare quelle “orme tangibili” che il poeta ricerca ed evidenzia con le sue parole per sé e per gli altri in una dimensione di affratellamento pedagogico. Questo impegno letterario di Ramberti vuole anche dimostrare che le “orme intangibili” sono fatte, per noi uomini, di parole. infatti di Dio non abbiamo alcuna concretezza: è un templum in senso etimologico, un’area ritagliata nella nostra mente da riempire con il non-umano, con l’Altro, o meglio l’Oltre, per il quale abbiamo soprattutto le immagini e le parole speciali, forti, connotate ed espressive, capaci di aprire orizzonti illimitati e di comunicare con il massimo di efficacia. Ma tra le parole e le immagini privilegiamo le seconde, perché sono le parole il mezzo che Dio ha usato per comunicare a noi la Sua Rivelazione, per cui possiamo dire che la parola, il λλλλλ, è stata sacralizzata perché Dio se ne è servito per il nostro bene. Un libro di poesia costruito con originalità, abilità e finezza intellettuale, che può essere di molto aiuto a chi cammina sulla strada della ricerca della Verità. Alessandro Ramberti, Orme intangibili, FaraEditore, Rimini 2015, pp.78, € 10,00. TRE CITTÀ di Rosa Elisa Giangoia Quando si ha tra le mani un nuovo libro di poesia, scritto da chi per la prima volta nella vita si cimenta con questa forma Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 63 PROSPEZIONI della vita, tra emozioni del momento e riemergere di ricordi, sulla linea in certo qual modo delle Occasioni montaliane: sono immagini della memoria riflesse nello specchio del testo. Per questo potremmo dire che si tratta di una poesia che nasce dal realismo, ma che, per una sorta di magia, va oltre la realtà. Ad animare i testi è soprattutto un’energia intellettuale, pervasa da una sottile e incisiva inquietudine che determina la dinamica interna al discorso poetico. Un discorso che emerge dal profondo sulla spinta di un’urgenza esistenziale, che induce l’autore anche alla considerazione compassionevole degli altri (In morte di Mingo Smeraldo, La casa sul ponte, La visita, Down, L’amore malato). Quella di Pulei Russo è una poesia dall’andamento piano, dal tono colloquiale, dalla modulazione narrativa, con venature elegiache, senza velleitarie torsioni espressive sperimentali, ma che sa trovare una sua voce originale ed autentica per la capacità di intessere nei versi espressioni e figure originali. Basta un esempio: «Della triade di amici / che sorride nella foto d’istantanea / sotto i portici d’accademia / rimane l’immagine del superstite // che parla ai fantasmi. » (Album). Una voce personale che si viene progressivamente sempre meglio configurando nella sintesi espressiva fatta di concisione analogica ed allusiva. Giuseppe Pulei Russo, Liturgia del dolore – diario di un osservatorio sentimentale, De Ferrari, Genova 2015, pp. 191, € 12. MARTA GIERUT TORNA A PIETRASANTA di Milena Buzzoni il ritorno di Marta Gierut a Pietrasanta, a dieci anni dalla scomparsa, avviene attraverso una retrospettiva essenziale, se non esaustiva come quella del 2013 a Palazzo Panichi, certamente esemplare e mirata a concentrare nella varieta’ dei pezzi presentati, l’eclettismo di un’ ar- Rosa Elisa Giangoia Tre città espressiva, ci si sorprende sempre per la fiducia che la poesia continua a riscuotere ed anche per la fiducia che chi scrive poesia ha nei confronti degli altri, dell’ascolto e della comprensione da parte loro. La silloge Liturgia del dolore – diario di un osservatorio sentimentale di Giuseppe Pulei Russo appare subito, come rivela fin dal titolo, un itinerario esistenziale protratto nel tempo all’insegna dell’analisi di se stesso, della percezione della realtà, dell’osservazione degli altri, portate avanti con un particolare ésprit de finesse che induce l’autore a svelare innanzitutto la sua interpretazione dell’esistenza sub specie doloris, come indica il titolo. il poeta, infatti, ripercorre la sua vita evidenziando innanzitutto l’averla trascorsa in tre città, Messina, dove è nato e ha vissuto l’infanzia, Napoli, città dell’adolescenza e degli studi, e Genova, città del lavoro e della maturità, rappresentate in copertina con i loro monumenti e scorci panoramici simbolo: «… vivo a Genova / parlo con l’accento di Napoli / e sono nato a Messina» dice il poeta in Predestinazione. Tre città, accomunate dalla configurazione geografica simile, che ha determinato la loro storia, poste di fronte al mare, motivo di unione tra di loro, ma anche simbolo di quello spaziare con libertà e spirito d’avventura verso l’infinito che la poesia richiede. Genova è la città privilegiata come soggetto poetico, osservata dal mare e dai forti, di cui si cantano la Lanterna, i Caruggi e il Righi (Vento del Righi, Autunno del Righi), mentre Napoli è lo sfondo di sfumati ricordi dell’adolescenza in tempi marcati dalle vicende del secondo conflitto mondiale (dal Vesuvio, Una ferita di guerra, Il campo Yankee, Il pallone di carta) e Messina riemerge come ricerca delle radici (da Scilla a Cariddi, Gente peloritana). il poeta Pulei Russo per rapportarsi alla realtà si avvale anche degli strumenti della sua ampia cultura giuridica e letteraria che creano occasioni di maggiore sensibilità e di ampliamento degli orizzonti. Ne viene fuori una poesia ispirata dai piccoli fatti 63 Satura 30-2014 nero_Layout 1 02/10/15 15:47 Pagina 64 Milena Buzzoni Marta Gierut torna a Pietrasanta 64 PROSPEZIONI tista matura, nonostante i suoi ventotto anni, elaborata, sfaccettata. A ospitarla e’ la fondazione “La Versiliana”, nella quale disegni e parole si mescolano in un gioco espressivo che ingloba olii, sculture, fotografie; una serie di ritratti in bianco e nero la presentano nella sua dimensione reale, fisicamente autentica come se il percorso attraverso le opere esposte fosse destinato a comporre la sua persona in carne e ossa. Di solito siamo curiosi di vedere chi si nasconda dietro una poesia, un testo, un quadro e di solito restiamo delusi perche’ l’arte ci propone un contatto extrasensoriale, un incontro di anime. Con lei non sarebbe successo perche’ la sua sensibilita’ artistica era totalizzante e connaturava l’intera persona. La sua opera cosi’ ricca e varia offre migliaia di aspetti per comporre la sua personalita’: non abbiamo avuto bisogno di conoscerla perche’ lei si e’ lasciata scoprire attraverso cio’ che ha scritto, dipinto, disegnato, scolpito. Ricordo, solo a titolo esemplificativo, il monumento in marmo “ il volto e la maschera” a Marina di Pietrasanta all’interno di quel Parco della Scultura che vede opere di Botero, Cascella, Finotti, Folon, Mitoraj. Ma, come osserva Giovanni Faccenda “ Marta oggi sopravvive nelle sue opere e, in modo particolare, nelle liriche”. Le poesie infatti sono imprescindibili e indimenticabili sentieri di accesso al suo essere: quei “sonagli della luna” non smettono di tintinnare nella mente e “ l’eco che mi somiglia” risuona a replicare mille Marte. Trovarla qui in questa sequenza di grandi foto, e’ un’ emozione che non si dimentica: non si dimenticano quegli occhi densi come quelli di tutti gli individui tormentati ne’ la grazia dei suoi ge- sti. il suo volto e il suo corpo sono quelli di un’adolescente impensierita da un’ombra che le passa sullo sguardo ma nello stesso tempo divertita dal gioco della seduzione, dalla malizia di quella pennellata tirata sul petto. Anch’io, come molti, ho guardato a fondo quella figura per capire il mistero di quella morte volontaria, per scoprire un segno del tragico epilogo della sua vita. Ma era una verifica inutile: frugare tra i riccioli neri dei suoi capelli, osservare la bocca, sperare in un sorriso che potesse cambiare gli eventi, una luce negli occhi che scongiurasse la morte. Quelle foto non ci dicono di lei nulla piu’ di quanto svelino le poesie ( e di vera poesia si tratta, come nota anche Manlio Cancogni, non di prove adolescenziali, di tentativi ). Esse insinuano il disagio di un’attesa. Marta e’ immortalata proprio cosi’, con quello sguardo, con quei gesti che sarebbero rimasti insignificanti se avesse continuato a vivere ma che sono diventati emblematici per la scelta che poco dopo avrebbe fatto: leggiamo in essi la sospensione di ogni altra funzione in vista di quell’epilogo, la preparazione, l’attesa appunto di quel destino. E il grande quadro posto sul fondo della sala intitolato “ Un abbraccio è per tutti ,” con le due figure che si stagliano a concludere il percorso, diventa il suo commiato, il suo modo di lasciarci ancora una volta con un atto d’ amore, estinto nel rosso e nel blu dei colori come in mezzo a braci che ardono. Marta Gierut Poesie e opere dal 2 al 12 luglio 2015 Fondazione “La Versiliana” Spazio “Geen House” 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:34 Pagina 65 CRITICA di Flavia Motolese C’è una memoria antica che attraversa l’operato di Carlo Merello e poi c’è una mente moderna e razionale. La consapevolezza di una temporalità tutta umana contrapposta al perdurare di schemi e leggi che sovrastano la vita degli uomini e dei suoi manufatti e che in questo li accomunano. Carlo Merello, artista acuto e sperimentale, è solito affermare che i suoi lavori procedono per progetti con linguaggi espressivi e tecniche autonome con cui cerca di indagare e risolvere, attraverso soluzioni estetiche, problematiche teoriche, ma, guardando dall’esterno il suo lavoro, si può affermare che la costante delle sue opere sia rivelare una traccia dell’anima spirituale e dell’essenza materiale. L’essere architetto ha influenzato, sia nel procedimento sia nelle modalità espressive, il suo approccio con l’arte visuale in cui è sempre presente lo studio delle relazioni tra i valori estetici dell’architettura, quelli con- Reliquiario d'architettura, 2000, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 60x100 Carlo Merello CARLO MERELLO ARCHETIPO / ARCHITETTURA Le geometrie della mente 65 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:34 Pagina 66 CRITICA Carlo Merello 66 Reliquiario d'architettura, 1999, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 30x45 tenutistici dell’arte e le loro reciproche modalità rappresentative. L’arte è il risultato di un’attività speculativa e interpretativa: il punto di partenza è l’analisi di un’idea e della sua rappresentazione iconica, è il desiderio di costruire un’immagine in grado di rendere e dare forma simbolica e sintetica a questo concetto. La premessa più diretta di questo atteggiamento concettuale va individuata nell’assioma per cui, essendo impossibile inventare qualcosa di nuovo in pittura, l’unica strada per apportare un contributo personale significativo sia quello di superare i risultati già raggiunti, realizzando una pittura “ideale”: una rappresentazione di essa attraverso la sua apparenza, utilizzandone lo stesso involucro concettuale, compositivo e mnemonico. Da questo deriva la tendenza di innestare nelle sue opere riproduzioni pittoriche da citazioni storiche che, estrapolate dal loro contesto e sospese in uno spa- zio di memoria, creano un effetto straniante e dissertativo sulla complessità di istanze che vertono intorno al ruolo dell’arte e dell’immagine contemporanea. La sua ricerca segue percorsi complessi di ibridazione di pensiero e modus operandi, ma riconducibile ad un’unica matrice “Il tema fondamentale è il rapporto tra l’essere in noi e l’essere nel mondo; ovvero il senso dell’esistere rispetto all’ambiente creato”. Ogni tematica affrontata riconduce alla dialettica tra il contenuto e l’involucro concettuale, che ne è esternazione visibile; come la riflessione costante e mai risolta insita nel parallelismo tra il corpo umano inteso come contenitore di vita e di anima e la costruzione architettonica di per sé inanimata, inerte, ma resa viva dall’agire umano che interagisce con essa e all’interno di essa (“Vuoti a perdere”, “Il Respiro di Genova”, “Fessure di Genova”). La vita è decodificata sotto forma di geometrie razionalizzanti per sublimarla 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:34 Pagina 67 CRITICA te”. Un rigido schema formale che replica poche figure geometriche - matrici evocative di cultura, significato, sapere - infondendo un senso di mistero alla composizione. Viene così creato dall’artista il “tipoide” che è un elemento grafico reiterato, mutuato dall’architettura, antropomorfo, totemico, grammaticale. Questi moduli, variamente costituiti da simboli schematizzati, si ricollegano in qualche modo alle modalità della scrittura: altra tematica che si ripresenta in diversi progetti; in parte intesa come traccia che attraversa il tempo ed in parte per la sua caratteristica di evocare, attraverso il suo Reliquiario d'architettura, 1999, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 60x80 Carlo Merello ad un livello superiore puramente mentale, moduli ripetibili in grado di fornirci un più razionale approccio sistemico alle leggi del mondo e allo stesso tempo evocativi del potere della simbologia. È presente anche una certa aspirazione ad un processo catartico di purificazione della realtà attraverso una raffigurazione estetica essenziale che trova alcuni punti di contatto con il fondamento utopico dell’Astrattismo. Merello reinterpreta il passato e traccia le coordinate di un ipotetico futuro in un susseguirsi di linee, frammenti, segni, sfere, portali come in “Frammenti di città ideale” o “Casa limi- 67 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:34 Pagina 68 CRITICA Carlo Merello 68 Reliquiario d'architettura, 2000, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 60 aspetto, contenuti non espliciti assimilandosi all’architettura - struttura portante del pensiero umano e contenitore di significato. L’elemento razionale meditato trova un contrappunto gestuale, più irrazionale e libero nelle pennellate e colature di colore, molto spesso utilizzando il rosso per questo tipo di intervento pittorico, quasi a voler richiamare una matrice sanguigna ed alchemica. Bisogna, inoltre, sottolineare una continua ricerca di sintesi formale, di essenzialità a cui contribuisce la quasi totale esclusione del colore, fatta qualche rara eccezio- ne, e della riduzione degli sfondi nel rigore disegnativo di una sublimazione metafisica degli spazi, fino talvolta all’annullamento. Nel suo approccio disegnativo minimalista, anche una semplice linea diviene parte costitutiva deputata ad una funzione espressiva ben precisa: se le sue linee nell’aspetto richiamano i giochi ottici delle “Costellazioni strutturali” di Joseph Albers, nella sostanza si caricano di un elemento simbolico più profondo attraversando lo spazio e congiungendo virtualmente idee e tempi distanti tra loro. È il contenuto a dare la forma al contenitore e non viceversa, è molto importan- 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:34 Pagina 69 CRITICA Reliquiario d'architettura, 2013, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 50x40 69 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 70 CRITICA Carlo Merello 70 Reliquiario d'architettura, 2015, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 40x40 te per capire il lavoro di Merello il ruolo fondamentale che gioca la forma, intesa non come aspetto, ma come rappresentazione concettuale e simbolica. La forma è la realtà immediata con cui si può esprimere l’esperienza, l’anima, il pensiero scatenando nello spettatore processi cognitivi complessi e di interpretazione non univoca. L’opera agisce sempre su più livelli, investendo ambiti diversi e complementari, un continuo gioco di accostamenti e contrapposizioni: struttura archi- tettonica o urbana e corpo umano, fotografia e sperimentazione pittorica, passato e presente, pittura e architettura, riproduzione documentaristica e interpretazione allegorica, spazio fisico e spazio mentale. Bene riassume la sua poetica il ciclo dei “Reliquiari d’architettura” che coniugano scultura, pittura e design: opere tridimensionali basate sulle forme primarie di rettangolo, ovale, tondo e triangolo costruite in MDF. Sulle superfici interamen- 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 71 CRITICA 71 Carlo Merello Reliquiario d'architettura, 2001, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 90x60 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 72 CRITICA Carlo Merello 72 Omaggio a San Vitale di Ravenna, 1999, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 60x100 Reliquiario d'architettura, 2000, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 40x80 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 73 CRITICA introitarla. L’occhio riporta anche ad un senso di memoria, aggiungendo un’ulteriore suggestione emotiva a questa serie di opere e riallacciandosi alla funzione reale insita nel fenomeno della venerazione delle reliquie e cioè la credenza in una vita ulteriore e in una continuità di azione del defunto. Ritorna l’elemento della memoria, ciò che perdura di noi e si tramanda, riportandoci anche ad un'altra questione centrale nel lavoro dell’artista e cioè la riproduzione mnemonica di immagini. Così come culturalmente, le reliquie possono essere considerate il più antico oggetto di rilevanza antropologica, ancora prima dell'immagine, della parola e della scrittura, così l’opera di Merello si può considerare in sé perfetta espressione di un’arte complessa e autonoma che ridefinisce il rapporto tra l’arte e la comunicazione contemporanea, in cui il significato e la parvenza trovano un perfetto equilibrio armonico. Reliquiario d'architettura, 2000, grafite e acrilico su mdf, stampa digitale su acetato, 60x80 Carlo Merello te giocate sul binomio nero-argento, con motivi a meandro e ad ellissi, le teche lasciano apparire su un fondo oro, riprodotti in grafite su acetato, occhi e mani tratti anche dall’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. I Reliquiari ripropongono la dialettica tra significato e significante. Il termine in sé indica i contenitori adibiti alla custodia per la conservazione e l’esposizione di resti sacri. L’attenzione dell’autore, come di consueto, si focalizza sul contenitore, trasposizione architettonica della casa anch’essa contenitore di elementi sacri come la vita. Il reliquiario diventa così elemento di un’architettura concettuale: al suo interno Merello vi custodisce, non qualcosa di materiale, bensì l’idea della pittura, rappresentata attraverso tre simboli: la luce, le mani e l’occhio. La luce è raffigurata dall’oro, la mani sono l’operosità che costruisce, crea e l’occhio è la percezione, ricorda il senso che ci permette di ammirare la pittura, di 73 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 74 BIOGRAFIA Biografia Carlo Merello 74 BIOGRAFIA Carlo Merello è nato a Genova nel 1950. Architetto, lavora nel complesso delle arti visive. Dalla metà degli anni Settanta ad oggi la sua ricerca ha attraversato i valori della pittura neo-espressionista, con particolare attenzione al tema dell’autoritratto, fino a giungere, a metà degli anni Ottanta, ad una sintesi figurativa espressa da un simbolismo geometrico di forte valenza etico-spirituale. Nei lavori dei primi anni Novanta lo studio del simbolismo criptico degli archetipi della visione viene elaborato mediante il disegno di improbabili case di apparente e fredda memoria neo-classica. Nascono così i “Plastici”, che mettono in luce le contaminazioni tra scultura e architettura e poi le “Cattedrali”; alla fine del decennio iniziano le sperimentazioni per il così detto “Libro dei tipoidi” e i “Reliquiari d’architettura”, dove il riferimento è alla casa, come contenitore di elementi viventi e dunque sacri. A seguito dei tragici eventi del G8 del 2001 nasce la serie omonima, mentre tra 2004 e 2005 l’artista produce i “Vuoti a perdere”, che pongono l’attenzione sugli edifici pubblici ormai in disuso. Le sperimentazioni continuano negli anni successivi con le “Tavole sinottiche” (2008), “Il respiro di Genova” (2010-2011), “I capricci italiani” (2012-2013), fino ad arrivare agli ultimi lavori sulla “Città combusta”, in cui gioca con il parallelo tra la forza evocativa del fuoco e quella dell’arte. Nel corso della sua carriera Carlo Merello ha dato vita e numerose mostre personali in tutto il territorio ligure e ha partecipato anche a esposizioni di rilievo nazionale e internazionale, come "Crossing Borders" al Fine Arts Center di Irvine in California nel 1992; "Arte postal: a Festa" presso la Biblioteca municipal do Barreiro, in occasione del 5° Expo Internacional di Spagna nel 1993; "L'objet reconnu” presso la Galleria Etage di Munster nel 1995, "BUIO, sottovetro" a Madrid nel 2015, la Biennale di Chiasso nel 2010 e la Biennale di Genova nel 2015. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 75 S AT U R A R T E 2015 20° Concorso Nazionale d’Arte Contemporanea a cura di Mario Napoli 204 artisti finalisti in mostra SATURA art gallery - Genova, Palazzo Stella - 12 - 23 settembre 2015 Con il Patrocinio di: Regione Liguria Città Metropolitana di Genova Comune di Genova Municipio 1 Centro Est La celebrazione delle 20 edizioni del Concorso Nazionale d’Arte Contemporanea – SaturARTE, più che un riconoscimento per SATURA art gallery, che l’anno scorso ha festeggiato il ventennale di attività, è la riprova del ruolo svolto in questi anni nella ricerca e nella promozione di artisti di talento. La manifestazione vede la partecipazione di 200 artisti nazionali ed internazionali selezionati tra le oltre 1000 iscrizioni da tutta Italia. E se i numeri non sono certo l’unico aspetto da considerare per valutare la qualità di un’iniziativa, almeno in questo caso vanno reputati come un segnale esclusivamente positivo. In primis per l’affetto e la stima dimostrata dai tanti artisti che hanno voluto essere presenti e poi per il costante trend positivo che registrano le proposte del ricco programma espositivo di SATURA in termini di collaborazioni e di crescita per importanza e ambizione. Basti pensare alla Biennale di Genova da poco conclusasi con grande successo, che ha coinvolto, oltre a Palazzo Stella, cinque diverse location museali ed istituzionali o la presenza a Photissima Art Fair presso il prestigioso Chiostro dei Frari di Venezia in concomitanza alla 56^ Biennale d’Arte. Un percorso in continua ascesa dalla prima edizione, quando i concorsi in 1° Premio Fotografia Alessio Belloni 1° Premio Pittura Pauline Zenk SaturArte 2015 SATURARTE 2015 75 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 76 SaturArte 2015 76 S AT U R A R T E 2015 Italia dedicati all’arte contemporanea erano ancora pochi. Nel 1995 è stata una vera scommessa quella di istituire SaturARTE che voleva essere un’occasione reale di visibilità per gli artisti, di confronto tra di loro e con il pubblico. Il concorso rappresenta al meglio la missione di SATURA nel dare impulso all’arte contemporanea e valorizzare i giovani artisti, incentivandoli a realizzare i loro progetti. È cresciuto anno dopo anno, consolidando la sua fama grazie alla trasparenza e alla professionalità dimostrate. Si è trasformato in un marchio sinonimo di apertura, creatività e dialogo, in cui sono solo le opere a parlare. Un vero e proprio circuito ad ampio raggio che nella comunicazione e multidisciplinarietà fonda il suo punto di forza per generare un ambiente intellettualmente dinamico che mantenga alta l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori. SaturARTE è il nostro appuntamento annuale con l’arte capace di mostrare una raccolta di idee in tutte le sue forme, il baricentro per saggiare lo stato dell’arte contemporanea in Italia: quest’anno c’è stata una grandissima adesione di giovani emergenti di talento che utilizzano e sperimentano i mezzi più innovativi, ma dimostrano anche grande studio e padronanza delle tecniche pittoriche e fotografiche. Affiancati come di consueto da artisti professionisti, con una carriera consolidata: è una grande ricompensa andare a ritroso e vedere quanti di loro si sono affermati nel panorama italiano crescendo insieme e parallelamente al concorso. Voglio ringraziare gli artisti per la loro adesione e la fiducia accordata in tutti questi anni e per aver condiviso con noi l’ambiziosa volontà di non subire la scena contemporanea, ma di avere un ruolo culturale attivo e scriverne una pagina in prima persona. LA GIURIA DI SATURARTE 2015 Marino Anello collezionista, Silvia Canepa grafico, Wanda Castelnuovo critico d’arte, Elena Colombo critico d’arte, Mi- 2° Premio Fotografia Lorenzo Mini 3° Premio Fotografia Roberto Bordieri lena Mallamaci architetto, Marta Marin art curator, Yolanda Mora art advisor, Flavia Motolese art curator, Giuditta Napoli designer, Mario Napoli presidente associazione Satura, Mario Pepe critico d’arte, Andrea Rossetti critico d’arte e Maria Valacco critico letterario. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 77 S AT U R A R T E ARTISTI PREMIATI Rosario Abate, Andrea Agrati, Guido Alimento, Alessio Bandini, Lello Bavenni, Maria Bertolino, Tiziano Bonanni, Silvia Brambilla, Stefano Cacciatore, Lorenzo Castello, Franco Dallegri, Alessandro De Michele, Ornella De Rosa, Giustino De Santis, Enzo Forgione, Anna Gamberini, Massimo Gilardi, Pia Labate, Jessica Marangon, Mirella Marini, Pasquale Martino, Attilio Maxena, Antonio Milana, Roberto Miraglia, Anna Momini, Sarvenaz Monzavi, Massimo Motta, Pablo Muñoz Montaner, Luca Paramidani, Francesca Pompei, Aldo Righetti, Luca Salvetti, Gio Sciello, Andrea Simoncini, Santi Sindoni, Gennaro Totaro, Giovanni Vecchi, Stefano Zangara. Premio Giuria Tullio De Pietro ARTISTI SEGNALATI Laura Baiu, Mattia Baraldi, Antonio Biagiotti, Stefano Boschetti, Francesco Bruzzo, Paolo Cau, Renato Dametti, Anna Dennis, Francesco Falace, Sibilla Fanciulli, Amedeo Fernandes, Carlotta Fortuna, Sergio Franzosi, Silvia Fucilli, Gianni Gianasso, Giorgio Gioia, Andrea Granchi, Giovanni Ignazzi, Maria Kasakova, Lucia Maio, Umberto Marangoni, Luca Maria Marin, Marlen Und Marlen, Mauro Martin, Andreas McMuller, Martha Meza, MIG, Flavio Montagner, Nikolinka Nikolova, Ada Nori, Simone Paccini, Paola Pappalardo, Marjo Riitta Paunonen, Roberto Pestarino, Andrea Pollastro, Alessandro Rossi, Cristiano Salinardi, Rossella Sartorelli, Lara Sarzola detta Pandora, Renzo Sbolci, Maria Tcholakova, Federico Tinti, Gabriella Vinciguerra, Xavier Yarto. ARTISTI FINALISTI IN MOSTRA Guido Adaglio, Salvatore Affinito, Giulio Agostino, Aurelia Albertocchi, Lucio Alessio, Paolo Ambrosio, Annamaria Angelini Chiarvetto, Enzo Angiuoni, Domenico Arces e Lucia Macrì, Vittoria Arena, 77 SaturArte 2015 ARTISTI VINCITORI 1° Premio Pittura Pauline Zenk, 1° Premio Fotografia Alessio Belloni, 2° Premio Pittura Paola Pastura, 2° Premio Fotografia Lorenzo Mini, 3° Premio Pittura Maria Guida, 3° Premio Fotografia Roberto Bordieri, Premio della Critica Roberto Antelo, Premio della Giuria Tullio De Pietro. 2015 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 78 S AT U R A R T E 2015 SaturArte 2015 78 Premio Critica Roberto Antelo Grazia Badari, Cinzia Bassani, Carla Battaglia, Manuela Bausone, Fabrizio Bellè, Tiziana Benvenuto, Alessandro Berretta, Lisa Bertè, Amedeo Besana, Marinida Biagini, Raffaella Bisio, Francesco Blaganò, Ivo Bonsi, Moreno Bottauscio, Rosamaria Brioschi, Cristina Calderara Jaime, Barbara Callio, Sara Cancellieri, Matteo Cannata, Mario Caraffini, Luigi Carpineti, Antonio Casali, Caterina Cataldi, Maurizio Ceneviva, Venere Chillemi, Valeria Crisafulli, Francesca Cristini, Graziella De Poli, Massimo Di Bacco, Natalia Esanu, Sergio Fassan, Ida Fattori, Stefano Favaretto, Patrizia Fazzari, Daniele Fedi, Carolina Ferrara, Nicla Ferrari, Milena Ferruzzi, Leonardo Fiaschi, Ishmael Florez, Carla Freddi, Monica Frisone, Angela Furciniti, Francesca Galleri, Antonello Gangemi, Moreno Gasparetto, Lena Giannieri, Ada Giaquinto, Isabella Giovanardi, Alberto Giudici, Iolanda Giuffrida, Giulia Gorlova, Mara Grimaldi, Valeria Gubbati, Gisela Hammer, Anna Icardi, Florkatia Libois, Elisa Lovati, Francesca Lupo, Pierpaolo Mancinelli, Cristina Mantisi, Mariki, Antonella Marini, Silvana Mascioli, Silvana Mellacina, Me-Né, Edjola Merxhushi, Bruna Milani, Elvio Miressi, Giulia Monteverde, Valeria Morasso, Giacomo Mozzi, Not so popular, Adriana Olivari, GiBi Peluffo, Claudio Pesce, Giorgio Luigi Piana, Patrizia Poli, Raimund Prinoth, Elvi Ratti, Luana Resinelli, Agostina Ribaldone, Rossana Rigoldi, Patricia Rodriguez Pastor, Mariangela Rosso, Beatrice Salvadori, Antonio Scaramella, Giorgia Scoma, Monica Spicciani, Maurizio Stragapede, Lada Stukan, Giuseppina Taddei, Marialuisa Tedeschi, Carlo Terenzi, Antonella Tomei, Mario Tonino, Giuseppina Tonto, Alfredo Torsello, Luisella Traversi Guerra, Daniela Traverso, Rita Vitaloni, Claudia Vivian, Alice Voglino, Laura Zilocchi. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 79 CRITICA di Flavia Motolese Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia. Erasmo da Rotterdam Stefano Grondona osserva il mondo con estrema lucidità e ne rappresenta con divertito disincanto tutta la follia e le contraddizioni. Unico nel panorama italiano, realizza opere tridimensionali grazie ad un procedimento di stratificazioni di cartoncini intagliati e distanziati da un materiale semi plastico che gli permette di infondere profondità alla composizione e accentuarne l’effetto drammatico. La scelta della sequenza cromatica dei cartoncini non è prestabilita nella fase progettuale/disegnativa, ma improvvisata in fase di montaggio seguendo l’ispirazione e ricercando gli accostamenti che rendano al meglio contrasti e armonie o accentuino le volumetrie. L’atto creativo è totalmente libero, risponde solo alle sue esigenze narrative ed espressive, ma nelle sue opere nulla è casuale: come un esperto regista Grondona immagina la trama, predispone la scena e la fotografa, incidendola nella carta – il procedimento elaborato è frutto di anni di sperimentazione in campo fotografico. Artista visionario e geniale, è capace di tratteggiare scene di perfetta orchestrazione, stilizzando le figure e riducendo al minimo gli elemen- Gesù Cristo inchiodato al muro di casa, 2015, cartoncini intagliati, 70x100 Stefano Grondona STEFANO GRONDONA VISIONARIO CONTEMPORANEO 79 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 80 CRITICA Stefano Grondona 80 Section one, 2015, cartoncini intagliati, 100x70 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 81 CRITICA Non sarà forse l'esuberanza di cibo a creare il dissidio tra i popoli, 2015, cartoncini intagliati, 100x70 Stefano Grondona Direttiva primaria, 2015, cartoncini intagliati, 100x70 ti compositivi. Interessato all’attualità, tratta solo tematiche contemporanee, illuminando come un faro la verità, ritraendo le incoerenze umane, e rendendole manifeste. Questa aspirazione realista lascia affiorare la sua personale interpretazione della società, sarcastica e spietata, da cui sembra essere esclusa ogni possibilità di sottrarsi ad un destino beffardo e crudele. La lama che incide con chirurgica perizia i cartoncini colorati corrisponde alla lama intellettuale che disseziona la mente e l’anima senza lasciare margini di fuga a soluzioni consolatorie. Ma più il soggetto è grave, più i colori devono attrarre lo spettatore, affascinarlo in un gioco di antitesi: la gamma cromatica volutamente vivace determina un effetto di straniamento rispetto alla tematica trattata e genera un forte impatto psicologico. Le opere di Grondona si possono ricondurre a filoni tematici la cui ispirazione spazia dal campo letterario, a quello cinematografico: l’immagine sacra, la città nuda, gli strumenti musicali, i Cristi, i vizi, le scene dell’Apocalisse. Influenzato dal Surrealismo, dalla Pop Art, dall’Espressionismo e, in particolare, dall’opera di Bacon e Munch, se ne discosta attraverso l’elaborazione di un linguaggio del tutto originale che non è possibile relegare nella definizione di una sola corrente artistica. La sua analisi della condizione umana lascia emergere la visione di uomo consapevole del dramma esistenziale, in cui gioca un ruolo fondamentale la percezione dell’identità. Grondona ha saputo rappresentare i tormenti della società contemporanea in cui verità oggettiva e capacità immaginative si mescolano in una concezione filosofica simile a quella che Herzog definiva “verità estatica”: più profonda di quella apparente, banale e superficiale, che si ottiene riproducendo i fatti reali, una verità che scuote l’anima e che si può raggiungere “solo attraverso invenzione e immaginazione e stilizzazione”. 81 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 82 Time to talk 82 T I M E T O TA L K TIME TO TALK ± 100 Contemporary Artists From Iran a cura di Sarvenaz Monzavi e Mario Napoli Sabato 17 ottobre 2015 ore 17:00 Palazzo Stella - inaugurazione aperta fino al 28 ottobre 2015 da martedì a sabato ore 15:00 – 19:00 Genova, SATURA art gallery SATURA art gallery ha il piacere di ospitare nei propri spazi espositivi una grande mostra dedicata all’arte iraniana contemporanea. 100 artisti, membri dell’Associazione dei Pittori Iraniani, presenteranno in anteprima assoluta per l’Italia le loro opere dando corpo alla mostra “TIME TO TALK. ± 100 contemporary artists from Iran”. La rassegna offre un punto di vista sulla storia dell’arte e della cultura visiva iraniana contemporanea, senza proporne una lettura unitaria, ma sottolineando la varietà e la complessità di un immaginario artistico che arricchisce la nostra visione offrendo molti spunti di riflessione. “TIME TO TALK” nasce con l'obiettivo di favorire lo scambio artisticoculturale tra l'Italia e l’Iran, un paese dalle solide tradizioni artistiche ancora poco conosciute fuori dai suoi confini: la pittura è una delle arti più coltivate nella cultura persiana, in cui confluiscono elementi deri- Amin Rostamizadeh 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 83 T I M E T O TA L K 83 Time to talk Mahshid Rahim Tabrizi vati dalla raffinata perizia della miniatura, dal ricercato e fastoso gusto estetico mediorientale e, oggi, dalla globalizzazione del linguaggio espressivo. L’esposizione assegna ai dipinti il compito di esprimere e comunicare lo spirito del tempo, disvelando allo spettatore un ricchissimo universo in cui ai soggetti e alle formule compositive di stampo più tradizionale si intrecciano soluzioni innovative e sorprendenti (giochi di prospettiva, rare essenzialità di forme e astrazioni geometriche). Un viaggio alla scoperta di un Paese che si sta aprendo al mondo per far conoscere ad un pubblico più vasto la sua immensa cultura in cui la modernità convive con l'eredità culturale di un incredibile immaginario di storie e poesia. La mostra sarà un’opportunità unica per ammirare le opere che rappresentano le impressioni intellettuali e personali di alcuni maestri dell’arte iraniana, tra cui spiccano i nomi degli artisti contemporanei più importanti e quotati a livello internazionale – Hadi Jamali, Behzad Shishehgaran, Reza Bangiz - insieme con i giovani talenti che stanno scrivendo la storia attuale. 30-2015 colore_Layout 1 05/10/15 19:31 Pagina 84 T I M E T O TA L K Time to talk 84 Niloofar Ghaderi Nejad ARTISTI IN ESPOSIZIONE: Afsaneh Akhoondi, Ahmad Nasrollahi, Alaleh Amini, Ali Taraghi Jah, Amin Rostamizadeh, Armineh Negahdari, Arta Sharif, Atash Shah Karami, Atefeh Mehrvarz, Atefeh Rezaei, Azadeh Keyghobadi, Azadeh Teymourian, Azim Morakabatchi, Azin Alavi, Badri Meraji, Bahar Binesh Marvasti, Bahareh Zali, Behshid Farhangian, Behzad Shishehgaran, Elaheh Nasiri, Elham Aghili, Fariba Rahnavard, Farshid Shiva, Fatemeh Abdollahzadeh, Fatemeh Pakdel, Fereshteh Yamini Sharif, Golnar Habibi, Golnaz Anbari Attar, Hadi Jamali, Haleh Hassani Kia, Haniyeh Forootan, Hekmat Rahmani, Helia Azmi, Hermineh Keshish, Hesam Poloei, Homa Tavakoli, Jamileh Vosoughi, Jina Shamsolvaezin, Kiana Mirhaghani, Leila Gholoubi, Leila Taherian, Leyli Derakhashani, Mahin Lotf Mohammadi, Mahnaz Ahmadi, Mahshid Rahim Tabrizi, Mahvash Joorabchi, Manijeh Sehi, Manouchehr Motabar, Maryam Aghaee, Maryam Mohammadi, Maryam Mojta- 30-2015 colore_Layout 1 05/10/15 19:31 Pagina 85 T I M E T O TA L K 85 Time to talk Behzad Shishehgaran hedi Moghadam, Maryam Seraj, Maryam Sharifi, Masoumeh Mozafari, Mehrdad Fallah, Milad Mahmoudi, Mina Naderi, Mitra Kharestani, Mohammad Hadi Fadavi, Mohammad Ishaghi, Mohammadreza Ahmadzadeh, Mohammadreza Pour Farzaneh, Mohsen Nazari Khanmiri, Mojdeh Mehrafarin, Mojgan Hosseini, Mojgan Rohani, Mona Khodadad Pour, Mona Zand Kiani, Nazanin Allah Verdi, Negin Javaheri Far, Niloofar Ghaderi Nejad, Niloufar Torabi, Nima Petgar, Parvaneh Razaghi, Pegah Ja- mali, Pouneh Oshidari, Pooya Jamali, Pouran Harati Pour, Rahman Ahmadi Maleki, Reza Bangiz, Ronak Farhangian, Rozita Sharaf Jahan, Sabrineh Toopchi, Samaneh Ahmadi, Sanaz Eskandari, Sanaz Haeri, Sarah Ameri, Sarvenaz Monzavi, Setareh Dehdari, Shabnam Tolou, Shahin Ghaffari, Shirin Boriyaei Doost, Sima Amani, Sima Novin, Sirous Aghakhani, Somayeh Hedayat, Sousan Ettehad, Yaghoob Amamepich, Zahra Khalil Zadeh, Zeinab Sadeghi Kaji. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 86 Alessandro Berretta 86 VETRINA ALESSANDRO BERRETTA FENOMENOLOGIA SOCIALE di Andrea Rossetti Diretta su un immaginario collettivo è la posizione di chi i piedi a terra sa come tenerli. Alessandro Berretta va contestualizzato nell'ascendenza che un certo concettualismo tutt'ora ha su una larga fetta della produzione artistico-contemporanea, quasi come lascito propedeutico - quando non fondamentale - all'introduzione dell'artista verso un'azione espressiva centripetamente basata su sistemi di relazione sociale. E pur se l'arte in quanto pratica per Berretta non arriva ad essere quel sinonimo sintomatico di “ricatto sociale” ipotizzato da Massimo Grimaldi (artista in molti casi protagonista di soluzioni decisamente più “borderline”, ma che per inciso col torinese condivide una forma di arte-denuncia giostrata nei confini di un teorizzazione compartecipata dal valore razionale dell'oggetto-immagine), si trova comunque a significare una forma di “contatto sociale”. Contrapposizioni (complemetari), 2014, tecnica mista, 18,5x11,5 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 87 VETRINA Ognuno a suo modo ha lasciato qualcosa, 2015, tecnica mista su tela, 35x50 Quindi si pone una domanda che rischia d'essere banale, per alcuni forse lo sarà sicuramente, tuttavia apparentemente necessaria: quale è il ruolo (vero e non presunto) dell'artista? Questione che si tira dietro una riflessione molto meno banale, perlomeno se si tiene conto del ruolo sociologico maturato dall'arte direttamente (e indirettamente) nel tempo, e che fa da volano affinché l'artista non precluda dalle proprie azioni il contatto con la realtà di un quotidiano vissuto, o vivibile anche a distanza. In Berretta ciò si riduce ad una sintesi minimal di fatti e Ne risponderemo, 2005, tecnica mista su legno, 28x23 Alessandro Berretta misfatti (di cui l'uomo è “self maker” assoluto) condizionanti a livello planetario, ricorrendo all'uso meta-evocativo di oggetti istantaneamente riconoscibili, non manipolati fisicamente quanto sviluppati concettualmente. Decontestualizzati nella loro iconicità per far si che essa sia messa in rima con la loro totemica modernità. Berretta così attesta il ricorso ripetuto alla linea nei codici a barre, sbarre di un'omologazione imperante, come all'insolenza di quella “mascherina” eletta ad oggetto globale, multiplo passato per una catartica pop-art, (forse) finito nel più perfetto autoritratto di un artista auto-elettosi membro egalitario di una popolazione mondiale. Tra universalità condita di veemenza ieratica e la stoccata nazional-popolare del “siamo tutti sulla stessa barca”. 87 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 88 Stefano Borroni 88 VETRINA STEFANO BORRONI MEDITAZIONI PITTORICO-FIGURATIVE di Andrea Rossetti Mossa vagamente underground - o pensata fuori dalla frenesia di un rapporto tra la contemporaneità e le immagini basato spesso sull'immediatezza - coltivare la quiete fino a farne una situazione pittorica “ambientale”, coercitiva fino al punto di poter essere considerata conditio sine qua non per buona parte della produzione di un artista. Ma è seguendo questo procedimento “improprio” che Stefano Borroni s'è ritrovato protagonista in una pittura di netta evidenza meditativa, nella quale l'espressività pura è già stata superata da una tracciatura riflessiva spandente, che dai luoghi rimbalza su soggetti e complementi narrativi. Fissandosi in ultimo sul tempo, divenendo immagine di una melanconia non appassita, fatta di situazioni vivibili e persone in cui riconoscersi, mo- Per l'ultima volta, 2013, olio su tela, 80x80 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 89 VETRINA 89 Stefano Borroni Tutte le mattine, 2015, olio su tela, 70x70 vimenti-attimi che si guadagnano la loro meritata eternità ripetendosi giorno per giorno. È quel sentore d'eterno, immutabile e imperturbabile alla vista, che si riflette in un grigiore (virato talvolta ad una fotografica tonalità seppia) in cui non c'è negazione cromatica, ma la facoltà dell'artista di gelare l'istante preso, bloccarlo nella visione collettiva, lasciarlo immobile nell'invariabilità delle sue marcate luci e ombre. Tono seppia che chiede nuova attenzione, poiché coerente con una pittura tesa a catturare fotograficamente l'istante dato, da cima a fondo, riportando con precisione l'immagine; e doppiamente coerente quando, allargato il proprio spettro cromatico, l'artista mette la stessa immagine alla funzione di una misura tonalmente poco satura, in verità perfettamente ghirriana. Svicoliamo subito da ogni sorta di equivoco: definire “fotografica” la pittura di Borroni non comprende solo fattori connessi a situazioni stilistiche, opinabili quanto si vuole; al contrario tale aggettivazione è determinante per tracciare l'ipotetica “filiera concettuale” delle sue immagini. Ghirriano (quindi legato ancora all'istantanea d'autore) infatti è il piacere di selezionare una complessità visiva tale da mettersi in condizione di “parlare per immagini”, cercando modalità di visione allegorico-contemporanee che arrivino a formare percorsi in cui la figurazione sia affare di pubblico dominio, e non solo di chi la fa. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 90 Ornella De Rosa 90 VETRINA ORNELLA DE ROSA SGUARDO RAVVICINATO di Elena Colombo Lo sguardo femminile di Ornella de Rosa nasce da un approccio iperealistico e da una scelta cromatica che, avvicinandosi alle tavolozze minime del fumetto statunitense e alla grafica, ricorda la verosimiglianza fotografica del cinema. Arte di consumo, dunque, cioè immagine che contribuisce a orientare il gusto livellando i canoni estetici. Si tratta forse del trionfo dell’apparenza; ovvero, che senso ha la pittura descrittiva nell’era del digitale? Allo stesso modo dell’obiettivo, il pennello agisce come una Oltre lo sguardo, 2014, acrilico su tela, 60x60 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 91 VETRINA La scelta, 2015, acrilico su tela, 90x60 spatola anestetizzante ma varia l’intensità pratica dell’azione. Sociologi e giornalisti – per non parlare dei blogger – hanno notato il passaggio dalla tela al selfie, salutandolo come abbattimento dell’estetica d’élite o viceversa come manifestazione di una “Sindrome Narcisista”. Cellulari e macchine hanno il dono della rapidità dell’occhiata di superficie, mentre il pennello impone ancora tempi di lavorazione lunghi e una diversa abilità tecnica. C’è però un fattore che accomuna le due dimensioni, ossia la funzione standardizzante che prescinde da un racconto per creare icone ad hoc. L’artista lombarda unisce a queste visioni quella del fotogramma, grazie a un approccio confermato dalla se- Semplicemente stupore, 2014, acrilico su tela, 50x100 (particolare) Ornella De Rosa quenzialità che restituisce l’idea di movimento anche in un contesto che apparentemente richiede meditazione. La donna è ripresa in tutte le sue sfaccettature, secondo inquadrature e tagli graffianti, dall’efficacia pubblicitaria: troviamo la vamp e la ragazza comune; quella sicura di sé e la sognatrice che ci porta in un mondo di introspezione. Così, mentre creiamo un’ipotetica sfilata di volti, dobbiamo sempre tener presente il filtro attraverso il quale stiamo guardando, uno specchio che restituisce una percezione particolare del soggetto. In alcuni casi il personaggio è colto di sorpresa, in un momento di riflessione o di assoluta spontaneità - e allora si ha una sensazione di freschezza, come se l’occhio passasse attraverso un vetro – in altri pare che si sia volutamente messo in posa per mostrare una certa idea di bellezza, un distacco che ha a che fare con la concezione patinata dell’algida perfezione fisica. Come nel ritratto di Natasha Gilman firmato da Diego Rivera le linee seducenti della figura sono riprese e sottolineate dall’ondulazione bianca delle calle, qui i tratti somatici si riverberano nella vaporosità degli scolli o nell’increspatura lattea di uno sfondo neutro. 91 30-2015 colore_Layout 1 05/10/15 19:31 Pagina 92 Loredana Gazzola 92 VETRINA LOREDANA GAZZOLA TRAME-TRAPPOLA di Andrea Rossetti Destabilizzano quelle parole tese nello spazio, aperte, troppo libere d'essere un intreccio ampliato alla rinfusa. Toglie il fiato la loro infinita potenzialità estensiva, sulla carta non quantificabile o direttamente percepibile, così come il loro ruolo di unica immagine tronca e ridondante, sovra-estetica in tutti i suoi strutturali punti di saldatura che ne avallano l'inscindibilità. Una cortina ostica, difficilmente penetrabile, con cui Lo- Reti antigrandine, 2012-2014, fotografia bn, 49x49 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 93 VETRINA 93 Loredana Gazzola Solo il cielo lo sa, 2012-2014, fotografia bn, 49x39 redana Gazzola sembra fotograficamente avanzare una domanda cruciale: c'è ancora voglia (e possibilità) di attivare un qualsiasi tipo di comunicazione in questo fitto intreccio privo di senso logico-grammaticale, che sembra destinato a non avere inizio o fine? Forse, o forse il gioco della fotografia sarà solo l'ennesimo reticolo costrittivo, ingabbiamento disposto a modificare la nostra conoscenza del mondo, un filtro attraverso cui la realtà è presa come dato di fatto, quasi involontariamente, come non ci si rendesse conto che sentirsi “dall'altra parte” significa assumere quell'intreccio snervante a condizione primaria del quotidiano. Una rete già impiegata in proporzione concettuale e che la Gazzola riprende nella libera interpretazione dei suoi termini, con l'intenzionale duplicità percettiva di una maglia realmente intessuta o di una sommatoria fittizia tra elementi eterogenei, equivocando le immagini secondo la legge dell'inganno più che mentale. Non blocco, ma interferenza in grado di condizionare la percezione individuale, di un individuo obbligato dalla Gazzola (per prima, ma non da sola) ad osservare (quindi ad una presa di coscienza sul proprio esistere) da dietro la semi-penetrabilità delle sue maglie larghe, fitte o piegate dal passare del tempo. Di nuovo sul concetto d'interferenza, quella che si trasforma in abitudine, entra in circolo nella sua dimensione decorativo-aggiuntiva, agendo sulla comprensione delle immagini, sulla loro iconografia, ma senza intaccarne la base iconologica. Con alcuni passaggi in analogia al percorso video-installativo della statunitense Trisha Baga, la Gazzola colpisce al cuore il nostro “saper vedere”, vittima tanto delle incidenze esterne quanto della sua logica frammentazione. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:35 Pagina 94 Ludovica Lanci 94 VETRINA LUDOVICA LANCI OLTRE LE FINESTRE APERTE di Elena Colombo Ludovica Lanci riflette sulla permeabilità tra Interno ed Esterno nella percezione dello Spazio. Questo approccio fondamentale è dato non solo dalla scelta degli oggetti da rappresentare ma anche e soprattutto dai colori, ossia dall’uso calcolato della luce che di volta in volta crea sgranature o saturazioni sulla retina. Se dal punto di vista tecnico ritroviamo il gu- Green light, 2013, fotografia digitale su forex 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 95 VETRINA sto di Childe Hassam e Edward Hopper per le finestre, filtri trasparenti tra un Noi osservante e una realtà pregnante. La letteratura aveva già esplorato queste possibilità utilizzando una serie di metafore: dalla famosa “Stanza tutta per Sé” di Virginia Woolf alle “Finestre aperte” di John Irving nel romanzo “Hotel New Hampshire”. Attraverso i vetri si può spiare il mondo senza essere visti, costruendosi una dimensione che sarà privata e al contempo sociale. Nella sua Teoria dei Sistemi, Nikolas Luhamnn evidenziava tre piani di lettura: il materiale, il temporale e il sociale ricombinati secondo la personale percezione dei fattori ambientali, cronologici e psicologici. Le immagini propongono una simile elaborazione del rapporto tra Ego e Alterego, situando la scena in luoghi che non sarebbero considerati come location privilegiate e soffermandosi sui particolari. Nell’immagine, la modernità convive con la solidità dell’antico, il calore del mattone si affianca alla schematicità di tubi e ringhie- Sadness, 2013, fotografia digitale su forex Ludovica Lanci Riflessi, 2013, fotografia digitale su forex re malferme. Le inquadrature lasciano intuire un’ascensione anche quando sono semplicemente statiche o mere trascrizioni della geometria; pare infatti che il gusto contemporaneo trovi sempre il modo di spezzare la linearità in favore del movimento. Si tratta chiaramente di scorci di periferia urbana – laddove il termine “periferia” viene messo in discussione dalla centralità che il luogo assume sul momento. Si evidenzia così l’importanza dei linguaggi metropolitani, specie se posti in relazione con la presenza spontanea della Natura. Nella logica in cui l’ecosistema etra nell’architettura e ne diventa parte, il graffitismo ha il valore semiotico di un albero, grazie a un processo che deriva direttamente dal Post-Impressionismo violento di Vincent Van Gogh. Per Ludovica Lanci a emozione è quindi una fiammata fredda o una tag spezzata, mentre il soggetto nascosto nelle proprie inquietudini come un nuovo Noferatu di Munch o come i ragazzini foto fobici ma foto-generati di “The Others”. 95 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 96 Alla Chiara Luzzitelli 96 VETRINA ALLA CHIARA LUZZITELLI UNDER THE SKIN I DON’T LIVE IN di Elena Colombo Ritratti che qui traducono il senso di teatralità che è implicito in ogni “scena della vita”, ovvero l’idea di movimento che si cela dietro al distacco dei gesti . Quelle di Alla Chiara Luzzitelli sono foto che vanno viste in sequenza, cercando la ragione dinamica dietro alla posa assunta nella transitorietà dell’istante. Come in una coreografia, ciascun movimento racconta una storia e ha un’armonia, ma trova collocazione in una struttura narrativa complessa, che dipana le due principali coordinate: è il Tempo che viaggia all’interno dello Spazio. Il soggetto può essere uno e compiere un’azione lungo i vari scatti posti in successione, svelandosi o nascondendosi allo sguardo – e allora la sensibilità è quella che si ritrova anche nelle performance della danza contemporanea che si chiude sul singolo e gli dà corpo, mostrandolo come unico attore. Non più la coralità che si ricercava nello sfarzo, ma piut- Surgical hide under 2, 2014, fotografia bn, 50x70 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 97 VETRINA 97 Alla Chiara Luzzitelli Surgical hide under 4, 2014, fotografia bn, 50x70 tosto l’essenzialità ridotta fino all’annullamento dell’Altro e la conseguente cancellazione di qualsiasi sfondo o riferimento. Avvicinandosi all’individuo – e quindi alla sfera privata che analizza il corpo e lo rende tramite dell’emozione – s’inaugura un percorso di conoscenza che ci spinge a interrogarci nella smania di zumare sempre di più. In ogni caso, l’esperienza è straniante quanto il kamikakushi. Si ha la sensazione che i nuovi Ego, prodotti dalla post-modernità e nati per ciò dalle contrazioni di teatro Butoh siano stati rapiti restituiti dagli Spiriti e che restino egosintonici, incapaci di rapportarsi con realtà esterne. Abbandonato nella neutralità fittizia di un palco, Uomini e Donne devono fronteggiare le paure relazionali e reinterpretare una condizione di pre-artificialità riscritta sulla non-riconoscibilità oggetti- va di un Io dai mille volti che non è più un Eroe ma un essere dimezzato dalla promessa di una finitezza di là da venire. In “Time” di Kim Ki-Duk, i protagonisti vogliono cambiarsi per potersi accettare nel rinnovamento. Come le figure di René Magritte erano standardizzate dal completo grigio con bombetta, questi soggetti declinano l’incomunicabilità – e il conseguente bisogno di oltrepassare il Muro nichilista – nell’interpretazione psicosociale della fascinazione contemporanea per le bende: non più simbolo di sottomissione come nella moda delle ragazze kega-doru, ma espressione d’isolamento. Se ci si apre alla possibilità offerta dal panorama, se si affronta l’esplorazione dei luoghi oltre che del fisico l’ignoto diventa una dimensione avvolgente, brumosa, nella quale punti cardinali sono stati inghiottiti. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 98 Giuseppe Palumbo 98 VETRINA GIUSEPPE PALUMBO FORMA COME ESSERE di Flavia Motolese Giuseppe Palumbo riesce a coniugare nelle sue opere tutta la forza della materia ed un profondo sentimento di liricità. Ha iniziato il suo percorso artistico, dedicandosi alla scultura e dimostrando uno spiccato interesse per la plasticità dei corpi: l’utilizzo di diversi materiali denota la volontà di indagarne la struttura interna con un approccio di meditato verismo per cogliere l’interazione della luce con la materia, la corporeità delle cose. Le sculture di Palumbo mostrano chiaramente come sia centrale nella sua ricerca la questione della forma, quale elemento fondante e enigma da dirimere con cui l’artista deve confrontarsi per arrivare a comprenderne la realtà. La concretezza della materia e la scelta di definire solo per sommi capi la figura, lasciando alcune parti abbozzate, accentua l’intensità espressiva dell’opera. Le figure femminili in terracotta in cui non sono definiti volti e dettagli, ma l’attenzione è focalizzata sui volumi, sembrano derivare da un impeto creativo subita- Mucca, 1981, gesso, garza e filo di ferro, 47x100x20 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 99 VETRINA Ritratto di ragazza con sottoveste nera, 2003, olio su tela, 95x70 neo, scaturito per cogliere la loro essenza e dominare i segreti della forma e dei volumi. In altre sculture prevale la sintesi formale, come negli animali, in cui la figura è definita da una struttura metallica avvolta da garze immerse nel gesso. L’artista esegue una sorta di scarnificazione del corpo dal suo interno, lo evoca come apparenza, lasciandone intuire l’ineluttabile caducità, fino ad approdare ad opere in cui l’estrema sintesi delle forme rende l’illusione del movimento e della contemporaneità dei piani prospettici. Approdato, in un secondo momento, alla pittura, Palumbo richiama con i suoi ritratti un senso di rarefatta atemporalità, la materia pittorica è di classica memoria, mentre i soggetti e l’indagine psicologica che trapela sono figli della contemporaneità. La purezza delle forme e la linearità della composizione denotano la dimestichezza con la statuaria, le tonalità diffuse, a tratti opache e Ritratto di uomo con maglia rossa, 2005, olio su tela, 110x85 Giuseppe Palumbo gli scarti tonali richiamano atmosfere sospese di morandiana memoria. La riduzione degli sfondi a campiture uniformi, quasi monocrome, concentra l’attenzione sul soggetto prediligendo il taglio fotografico della rappresentazione e intensificando la modellazione dei personaggi in senso plastico. Palumbo si dedica anche alle nature morte e al paesaggio: i giochi chiaroscurali, la luminosità diffusa, gli impasti materici nelle tonalità dell’ocra e del verde restituiscono immagini di un universo interiorizzato senza perdere il contatto con l’elemento naturalistico reale che le ha ispirate. L’artista dimostra come sempre una grande sensibilità, approdando ad esiti figurativi di ieratica purezza e armoniosa composizione. 99 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 100 Roberta Signani 100 VETRINA ROBERTA SIGNANI RAZIOCINIO PITTORICO di Andrea Rossetti In origine era il paesaggio. Senonché i bisogni che sottendono la ricerca di un artista possono cambiare le sue scelte, anche di molto, prestando il fianco alla delineazione di spartiacque che non prevedono ritorno. Così per Roberta Signani è arrivato il tempo di dedicarsi ad un nuovo modo d'intendere la pittura, e di trainare lo sviluppo paesaggistico verso una netta razionalizzazione di ogni tratto pittorico maturato nell'osservazione della realtà, prevedendo perciò una riduzione primaria sulla comple- Da uno a cinque, 2014, acrilico su tela, 40x40 30-2015 colore_Layout 1 05/10/15 19:31 Pagina 101 VETRINA mentarietà di colori e forme. È la libera entrata dell'artista spezzina nella cultura visiva promossa dal Movimento Arte Concreta, dove Bruno Munari fu personalità di punta attenta ad un ritorno al significato effettivo, in qualche modo “crudo”, di una pittura messa nelle condizioni di dar valore per prima cosa ai suoi componenti. Un arte che non ha bisogno della realtà (ma nemmeno di eccessivi afflati poetici) per esistere, ma anzi in cui giochi illusori e isterismi soggettivanti hanno cessato di essere necessità. Non per nulla questo attuale rapporto di coesione pittorica tra la Signani e l'artista/designer milanese (come anche con la figura “similare” dello svizzero Max Bill) nasce da un background comune, che s'identifica nella passione per la progettazione oggettuale. L'arte così congetturata Spirale policentrica, 2013, acrilico su tela, 60x60 Roberta Signani Spirale Fibonacci 1, 2014, acrilico su tela, 100x80 diviene un vero luogo di strutturazione, la pittura passa da istintualità libera a progetto precostituito, quindi a farsi valere in quanto tecnica e controllo del proprio esercizio. È il raziocinio che porta l'azione pittorica ad essere metodo applicato, dove il colore (acrilico non a caso) steso con dovizia di precisione tuttavia è un'appendice colour field tirata a lucido, incontrando alcuni stilemi prediletti da artisti quali Noland o Stella; con la loro stessa intenzionale precisione la Signani “delega” a stretti rapporti geometrico-numerici la costruzione dell'opera, districando quindi munariamente transizioni cromatiche pseudo-motorie, teorizzate a mo' di cinetici movimenti di superficie. Geometria e colore trattati da unici elementi costituenti, e il dosaggio di un esigenza concreto-pittorica (svincolata da ogni inganno dimensionale, ma non percettivo) con quella anti-espressionista dell'astrazione post-pittorica americana, sono questi i termini con cui la pittura andrà a riformulare “signanamente” la sua universale concretezza. 101 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 102 Andando per mostre 102 ANDANDO PER MOSTRE ANDANDO PER MOSTRE Bell’Italia La pittura di paesaggio dai Macchiaioli ai Neovedutisti veneti 1850-1950 Luci e colori di affascinanti paesaggi raccontati da sensibili artisti che tra il 1850 e il 1950 hanno eternato tra Toscana e Veneto suggestioni di ieri che scivolano intense nell’animo di chi oggi ammira le circa 120 opere (in cinque sezioni) che nella tranquilla cittadina di Caorle (dal suggestivo centro storico) descrivono territori di notevole bellezza. Capolavori con acque vibranti, campagne rilassanti e monti incappucciati di candida neve testimoniano magie del passato, spesso ancora realtà odierne. Una laguna variegata con la vita che pulsa e freme in Giorno di vento a Venezia di Ettore Tito capace di adornarla con il viso raffinato e sognante di Donna sul molo e di contemplare con tenerezza Il tuffo entusiasta di ragazzi pieni di gioia di vivere, quasi dinamica metafora di rinnovata libertà, placida e sorniona in Vele al sole di Guglielmo Ciardi che ne scopre angoli silenti e ricchi di fascino in Rio verso le zattere o vanitosa e fiera nella Luce di maggio che si frange nell’acqua grazie alla sapienza pittorica di Emma Ciardi: l’opera, affascinante icona della mostra, è un sogno in cui tuffarsi. Emma Ciardi, Luce di maggio Acqua che diventa mare impetuoso ancorché generoso in La raccolta delle conchiglie a Castiglioncello di Luigi Bechi e palpitante di operosità umana in Golfo di Trieste di Pietro Fragiacomo o scorre in un corso fluviale intorno a cui si affollano laboriose Lavandaie di Aversa sul fiume Lori dai colori luminosi di Angelo Dall’Oca Bianca, memoria di un antico mestiere femminile sostituito da ben più di Wanda Castelnuovo ecologiche lavatrici. Una campagna in cui fervono i lavori agricoli come in La raccolta delle pannocchie in Lucchesia di Ruggero Focardi o in La vendemmiatrice, fiera figura di donna, di Arturo Faldi o ci si può confidare con tranquillità come nelle Bambine in conversazione di Augusto Tommasi e una montagna ben resa da Guglielmo Ciardi e a una sezione dedicata a Luigi De Giudici, artista capesarino che rielabora con stile personale gli stimoli del suo tempo completano la mostra. ↪ Caorle/VE, Centro Culturale ‘A. Bafile’, Rio Terrà 10 – 18 venerdì, sabato e domenica Fino al 25 ottobre 2015 Biglietto: ingresso € 7, ridotto € 5/4 Informazioni: 0421 219254, www.comune.caorle.it, www.civitatrevenezia.it Prenotazioni: 199757519 Catalogo Marsilio Editore Da Chagall a Malevitch La rivoluzione delle avanguardie Il Grimaldi Forum presenta ogni estate un’esposizione di ottima qualità dedicata quest’anno, in occasione dell’Anno della Russia a Monaco, alle avanguardie russe (tra il 1905, domenica di sangue al Palazzo d’Inverno, e il 1930 ‘suicidio’ di Majakovskij) i cui artisti più emblematici rompendo in modo radicale con la tradizione danno vita a Mosca e a San Pietroburgo a un’affascinante modernità con un diverso modo di osservare e riprodurre una realtà mutata anche dai nuovi mezzi di comunicazione. Sorgono così movimenti e scuole anticonvenzionali che colgono e incanalano queste dinamiche pulsanti in ‘avanguardie’ (futurismo, cubo-futurismo, raggismo, suprematismo, costruttivismo…) che si pongono contro accademismo e convenzioni come raccontano in modo esaustivo e intrigante i circa 200 pezzi (pitture, sculture, disegni e documenti) provenienti dai principali musei russi ed europei grazie alla competente scelta di Jean-Louis Prat, curatore della mostra. Un percorso completo, ben articolato, 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 103 ANDANDO PER MOSTRE Malevitch, Portrait perfectionné d’Ivan Klioune affascinante, illuminante e imperdibile con opere straordinarie come l’allegra e ludica Introduction au théâtre juif, uno dei sette pannelli decorativi di Marc Chagall per il Teatro ebraico statale Karmeny di Mosca dipinto dopo che l’artista dalla pittura figurativa con elementi fantastici e poetici ha abbandonato la natia Vitebsk e l’Accademia per essersi scontrato con Kazimir Malevitch (che vi insegna), sostenitore di un rigoroso e austero astrattismo geometrico, ma che come altri attraversa varie avanguardie: splendido il suo Portrait perfectionné d’Ivan Klioune venato di vivace cromatismo, uno degli esempi più significativi del cubo-futurismo russo. E Ivan Klioune suo amico e adepto a sua volta figura come autore di una raffinata ed equilibrata Composition sphérique sans-objet dai tratti suprematisti. Tra le opere futuriste seduce Le Vélocipédiste (Le Cycliste) di Natalia Gontcharova in cui la staticità delle lettere in cirillico contrasta con la dinamicità della figura che pedala. Il demone della modernità Pittori visionari all’alba del secolo breve Tra fine del 19° secolo e inizio del 20° complice un progresso galoppante determinato da numerose innovazioni tecnologiche - si affaccia prepotente sulla scena mondiale una modernità varia, sfaccettata e dirompente attraverso illuminazioni e visioni tradotte dalle diverse sensibilità artistiche in soggetti, forme e colori differenti. La sfera onirica estatica, l’inconscio primitivo e indocile, gli incubi arcani, le ossessioni mostruose, le nevrosi angoscianti e i più sconcertanti e alienanti moti irrazionali danno luogo ad apparizioni di angeli e demoni messaggeri di destini diversi e fluttuando dalla psiche turbata si materializzano nelle opere simboliste e surrealiste, presaghe di un secolo dagli eventi catastrofici e luttuosi tra cui due conflitti mondiali e in grado di indurre emozioni, turbamenti, inquietudini… in chi le guarda. La modificazione dei linguaggi artistici sovverte gli schemi della classicità e le abituali relazioni spazio-temporali portando a una contaminazione di generi con esiti diversificati e a volte sconvolgenti che in un intersecarsi fra varie discipline radicano anche nell’esaltazione delle idee innovative di Charles Baudelaire che ne Les Fleurs du Mal intepreta i turbamenti di un passaggio epocale. Paradigmatico Mikalojus Konstantinas iurlionis, elegante pittore e musicista sinestetico e raffinata la produzione di Gennaro Favai che parte da atmosfere notturne, brumose e decadenti della sua Venezia dove non riesce ad affermarsi, si impone a livello internazionale e accesa la sua Andando per mostre ↪ Principato di Monaco, Grimaldi Forum Monaco, Avenue Princesse Grace 10 10.00 – 20.00 tutti i giorni salvo giovedì fino alle 22.00 Fino al 6 settembre 2015 Biglietto: intero € 15, ridotto € 8, gratuito fino a 18 anni Informazioni e prenotazioni/Biglietteria: tel. 00 377 99993000, www.grimaldiforum.com Catalogo Editions Hazan/Grimaldi Forum Monaco 103 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 104 Andando per mostre 104 ANDANDO PER MOSTRE tavolozza nel sud dell’Italia arriva agli stupendi esiti delle opere dipinte oltreoceano come New York (1930 ca.), icona della mostra, dall’atmosfera incantata. I suoi lavori concludono l’esposizione dialogando armoniosamente con il moderno cinema impressionista di fine anni ’20 il cui rappresentante più significativo è il regista Fritz Lang con il celeberrimo Metropolis connotato da una folla e da ritmi angoscianti che anticipano quelli di alcune metropoli odierne. Gennaro Favai, New York ↪ Rovigo: Palazzo Roverella, Via Laurenti 8/10 9.00 – 19.00 martedì, mercoledì, giovedì e venerdì, 9.00 – 20.00 sabato e festivi Fino al 14 giugno 2015 Biglietto mostra (inclusa audioguida): intero € 11.00, ridotto € 9.00 Informazioni e prenotazioni: tel. 0425 460093, www.palazzoroverella.com Catalogo: Marsilio Editore Jackson Pollock, Murale Energia resa visibile In quella che fu la splendida dimora veneziana di Peggy Guggenheim, ora affascinante Museo, si ammira in anteprima europea un’esposizione itinerante dedicata al monumentale Murale di Jackson Pollock (Cody/Wyoming 1912 – Springs/New York 1956), geniale artista americano, rappresentante dell’Espressionismo astratto e in particolare dell’action painting, corrente americana dell’informale. Jackson Pollock, figura chiave dell’arte del XX Gennaro Favai, New York secolo e di forte impatto su quella americana, ha elaborato un modo originale di comunicare il proprio inconscio trattando la tela con ampi e violenti movimenti del pennello e utilizzando la tecnica del dripping (sgocciolamento) che consiste nel fare gocciolare il colore sulla tela attraverso gesti rituali - mediati dagli Indiani d’America - con risultati apparentemente irrazionali. Murale, lungo 6 metri (la più grande opera realizzata da Pollock) - dipinto tra l’estate e l’autunno 1943 per l’appartamento newyorkese di Peggy Guggenheim che affascinata dal suo estro, dopo averlo scoperto, sostiene e promuove il suo lavoro tanto da organizzargli nel 1950 la prima personale in Europa al Museo Correr - dopo un accurato intervento di conservazione e pulitura durato 18 mesi, è giunto a Venezia e successivamente sarà esposto alla Deutsche Bank Kunsthalle di Berlino e al Museo Picasso di Malaga. Lo accompagnano altre opere dello stesso autore tra cui Alchimia e di altri artisti quali Lee Krasner (sua moglie), David Smith e Robert Motherwell con Elegia alla Repubblica spagnola N.126 posta di fronte al Murale quale tributo a Pollock di cui sono approfonditi fonti, significati, influenze e i suoi rapporti con la fotografia d’azione di autori quali Herbert Matter, Barbara Morgan, Aaron Siskind e Gjon Mili. Lo studio di Murale, sorta di labirinto tumultuoso, ha evidenziato come dietro l’apparente disordine vi sia un movimento da destra a sinistra, cioè uno spostamento verso ovest (tema da lui già iniziato con Verso l’Ovest) tipico della cultura americana. ↪ Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 10.00 – 18.00 da mercoledì a lunedì Fino al 16 novembre 2015 Biglietto (consente di visitare tutti gli eventi in corso): ingresso € 15, ridotto € 12/9 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 105 ANDANDO PER MOSTRE Jing Shen The act of painting in contemporary China Un’originale mostra che permette di penetrare attraverso opere d’arte contemporanee nella mentalità di un popolo vario e sfaccettato e tuttavia unito dalla singolare scrittura che rappresenta una forma d’arte e di comunicazione legata alla filosofia e allo spirito ed è fonte d’ispirazione della collettiva di venti artisti cinesi di tre generazioni diverse presentati al Pac e in due installazioni esterne: nella Soglia Magica (spazio che collega la stazione ferroviaria all’aeroporto di Malpensa) Forward di Wang Gongxin con persone che camminano verso il futuro e presso Feltrinelli Duomo nella Galleria della città meneghina un allestimento site specific. Qiu Zhijie Una diversità fondamentale quanto a canoni estetici e stilistici in una Cina in cui dipingere è scrivere e viceversa; non a caso ‘Jung Shen’ significa ‘consapevolezza del gesto’ e insieme ‘forza interiore’ e nella pittura classica anche di matrice buddista o taoista è propedeutico alla produzione di un’immagine. L’esposizione non è solo una rassegna di opere (quadri, grandi installazioni, disegni, rituali, sculture e video), ma anche un’analisi sul rapporto tra pittura e altri linguaggi in un dialogo tra passato e presente arricchito con apporti dall’Occidente sui cui movimenti d’avanguardia l’arte cinese esercita a sua volta un’influenza. Un mondo complesso, affascinante e misterioso da esplorare, conoscere, approfondire, capire… a cominciare dagli artisti: Kan Kuan con il suo scrivere, cancellare e riscrivere, Liao Guohe con il mescolare grafica e pittura, Qiu Zhijie, uno dei più prolifici e comunque emblema dell’uomo di cultura di oggi, con i suoi cinque libri illustrati con disegni a inchiostro di oggetti, invenzioni, sogni… come da Jinling Chronicle Theater Project lo spaventapasseri abbigliato alla cinese con sullo sfondo alti monti mentre con una calamita va raccogliendo solitario viandante un nugolo di chiavi di tutte le forme e fogge, Yan Pei-Ming che con ampie e rapide pennellate di grigio fonde figure e ambiente… ↪ Milano, PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea), Via Palestro 14 9.30 – 19.30 martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica, 9.30 – 22.30 giovedì Fino al 6 settembre 2015 Biglietto: ingresso € 8, ridotto € 6.50/4 Informazioni e prenotazioni: 02 88446359, www.pacmilano.it Catalogo Silvana Editoriale La Grande Guerra I luoghi e l’arte feriti Una grande mostra organizzata da Intesa Sanpaolo con 500 opere (da Musei pubblici e collezioni private italiani e stranieri con più di 100 restaurate dalla Banca) articolata in tre città Milano (Arte e artisti al fronte), Napoli (Società, propaganda, consenso) e Vicenza (I luoghi e l’arte feriti) per raccontare - allo scopo di ricordare e non ripetere - aspetti diversi di un tragico evento come la Grande Guerra di cui ricorre il centenario. La sede di Vicenza descrive la guerra in sé attraverso le numerose testimonianze di vita quotidiana di soldati spesso volontari - artisti poco conosciuti o reporter in veste ufficiale che anonimi eroi in prima linea hanno combattuto patendo, soffrendo e sacrificando spesso la vita. Circa 130 tra dipinti e disegni offrono un resoconto dettagliato dei luoghi del fronte italiano ormai entrati nella memoria collettiva del popolo come i grandi fogli con ampie Andando per mostre Informazioni e prenotazioni: 041 2405440/419, www.guggenheim-venice.it Catalogo Thames & Hudson 105 106 ANDANDO PER MOSTRE Andando per mostre 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 106 panoramiche del Montello, Monte Grappa, Vittorio Veneto, San Michele del Carso e il mitico Piave disegnati dal bravissimo Innocente Cantinotti, artista dalla mano felice anche nei Ritratti di prigionieri austriaci melanconici e dolenti, le cui testimonianze ricordano tanti quadri della tradizione ottocentesca. Innocente Cantinotti, Ritratto di prigionero Né sono da meno quanto a icasticità le rappresentazioni di solitari quanto affascinanti panorami alpini - luoghi in cui secondo i manuali di strategia militare del tempo si doveva combattere la guerra - di Achille Beltrame, il più noto degli illustratori di giornali dell’epoca, capace di rendere l’impari fatica dei soldati sul Monte Pasubio. Toccanti le testimonianze del quotidiano come le manovre raccontate dalle tavole di Italico Bross, dalle litografie di Aldo Carpi e dai disegni di Michele Casciello e delle distruzioni violente che non hanno risparmiato niente, neanche la grande arte come evidenzia la Gipsoteca di Possagno con i numerosi gessi di Antonio Canova dolorosamente mutilati e ricordati dagli scatti di Luca Campigotto: uno scempio di vite umane, valori e tesori. ↪ Vicenza, Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari, Contra’ Santa Corona 25 10.00 - 18.00 da martedì a domenica (ultimo ingresso ore 17.30) Fino al 23 agosto 2015 Biglietto: intero € 5.00, ridotto € 4.00, gratuito per le scuole Informazioni: 800.578875 (numero verde), www.gallerieditalia.com Catalogo Intesa Sanpaolo Antonio Ligabue in Museo della Follia Vivace e provocatoria azione culturale quella di organizzare in occasione di Expo 2015 nel Palazzo della Ragione (risalente all’11°-12° secolo) - risanato come il resto della città di Mantova dai danni del recente sisma con una tempestività e un’operosità encomiabili - una mostra che induce a riflettere sul rapporto tra arte e salute attraverso sei sezioni con opere e testimonianze sulla tematica degli scompensi nervosi da cui il titolo Museo della Follia. Cuore dell’iniziativa - mostra nella mostra - è l’originale dialogo tra le 190 opere, di cui 12 dipinti e 2 disegni inediti, di Antonio Ligabue (Zurigo 1889 – Gualtieri/RE 1965) e i 37 lavori (alcuni mai esposti e pubblicati) di Pietro Ghizzardi (Viadana/MN 1906 – Boretto/RE 1986), due esponenti del ‘900 i quali malgrado le condizioni di vita sono riusciti grazie all’arte a trovare un rapporto con la natura e l’umanità evitando di perdersi nelle nebbie della follia e raggiungendo notevole affermazione personale. Antonio Ligabue, Paesaggio con cani Toccante la dolorosa vita di Ligabue, figlio di un’operaia bellunese emigrata in Svizzera e legittimato dopo due anni da Bonfiglio Laccabue, pare il vero padre, non amato dall’artista che muta il cognome. Segnato nel corpo e nello spirito da un’alimentazione insufficiente, ha rapporti difficili con la 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 107 ANDANDO PER MOSTRE Mondi a Milano Culture ed esposizioni 1874 - 1940 Il Museo delle Culture - che risale all’acquisto negli anni ‘90 da parte del Comune di Milano con l’intento di destinarle ad attività culturali delle fabbriche dismesse dell’Ansaldo (esempi di archeologia industriale): modificate da un mirato intervento architettonico, queste sono divenute un polo multidisciplinare di 17.000 m² dedicato alle differenti culture e sede espositiva delle civiche Raccolte Etnografiche - inaugura i suoi spazi con due mostre, una sull’Africa e l’altra sui Mondi a Milano raccontati con le grandi esposizioni dal 1874 (Esposizione storica d’arte industriale) fino al 1940. Una Milano alacre, cosmopolita e interculturale che al pari dell’Occidente scopre le diverse culture come qualcosa di esotico e man mano ne approfondisce la conoscenza a volte allontanandosi dalla realtà: opere d’arte, architetture, oggetti di design, documenti e arredi testimoniano l’affascinante percorso dall’esotismo all’ansia di modernità. Dal successo nel 1874 dei manufatti bronzei dell’estremo oriente in particolare di Cina e Giappone all’Esposizione nazionale del 1881 ricca di suggestioni di altre culture (russa, turca, persiana, moresca…) che influenzano gli artisti dell’epoca fino alla tragica avventura coloniale italiana in Africa e alla singolare esposizione egiziana del 1891 con tanto di carovana beduina e villaggi-spettacolo. È tuttavia la prima Esposizione Internazionale del 1906 in occasione dell’apertura del Sempione a stupire con la ricostruzione di un villaggio eritreo e di un quartiere del Cairo come raccontano fantastiche cartoline con Figure e volti che animavano “Il Cairo a Milano”. Né si attenua, pur essendo aumentata la possibilità di viaggiare, l’influenza degli altri mondi sulle manifatture italiane: dai mobili ai soprammobili nelle Esposizioni di Monza e nelle successive Fiere Campionarie con rievocazioni favolose delle colonie attraverso la Sedia Tripolina e alla Triennale del 1933 un modello di Casa coloniale che diverrà smontabile e prefabbricabile. Figure e volti che animavano “Il Cairo a Milano” ↪ Milano, Mudec (Museo delle Culture), Via Tortona 56 14.30 – 19.30 lunedì, 9.30 – 19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica, 9.30 – 22.30 giovedì e sabato Fino al 19 luglio 2015 Biglietto: ingresso con audioguida inclusa € 15, ridotto € 13/11/7/6. Informazioni e prenotazioni: 02 54917, www.mudec.it Catalogo 24 Ore Cultura Nelle antiche cucine Nella suggestiva Villa edificata - su progetto di Giuliano da Sangallo per Lorenzo de’ Medici e terminata alcuni decenni dopo - sulle pendici del monte Albano all’interno di un’ampia proprietà agricola tra Firenze, Prato e Pistoia, Andando per mostre famiglia adottiva che lo denuncia per la sua aggressività con il risultato di farlo estradare a forza dalla Svizzera e spedire a Gualtieri (da cui era giunto Laccabue) aumentandone solitudine e isolamento anche perché il giovane parla solo lo zurighese. Emarginato in modo drammatico, riesce a riscattarsi grazie anche all’aiuto dello scultore Mazzacurati dipingendo e scolpendo e creando uno stile personale dominato da cromatismo, vitalità, forte senso della natura consolatoria nei confronti di questo fanciullo dolce e violento, ‘bambino selvaggio’ cresciuto nell’indifferente ‘giungla’ sociale. E tra le splendide opere l’inedito Paesaggio con cani con gli amati animali e il ricordo della natia Svizzera nella forma del campanile. ↪ Mantova, Palazzo della Ragione, Piazza Erbe 14.00 - 19.00 lunedì; 10.00 – 19.00 da martedì a venerdì e festivi; 10.00 – 22.00 sabato Fino al 22 novembre 2015 Biglietto: intero € 10, ridotto € 8.50/6/4.50 Informazioni: tel. 0376 1505892/223810, www.csaligabue.it Catalogo Augusto Agosta Tota 107 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 108 ANDANDO PER MOSTRE Jacopo Chimenti e l’elegante Natura morta con verdura, pane, testa di vitello e oggetti da cucina del fanese Carlo Magini. Orari variabili: consultare il sito Fino al 25 ottobre 2015 Ingresso gratuito Info e prenotazioni: tel. 055 877012, www.polomuseale.firenze.it/musei/?m=poggi ocaiano Catalogo Sillabe Andando per mostre 108 Carlo Magini, Natura morta con verdura, pane, testa di vitello e oggetti da cucina un’affascinante mostra in sintonia con Expo 2015 focalizza l’attenzione sulla cucina, fulcro della casa e del nucleo familiare, attraverso la pittura di genere del Sei e Settecento. Interni di cucine, cuochi e dispense sono le intriganti tematiche delle tre sezioni in cui oltre a dipinti sono presenti anche vari oggetti d’uso domestico (ceramiche, recipienti e strumenti in rame e vetri) che hanno ispirato gli artisti del passato oltre a famosi manuali di cucina quali l’Opera di Bartolomeo Scappi a indicare come dal Seicento la maggiore attenzione delle arti figurative verso le ‘cucine’ sia concomitante a una serie di innovazioni relative allo svilupparsi di un’arte culinaria, della figura del cuoco professionista e di nuove progettazioni delle cucine. È possibile visitare (su prenotazione) per la prima volta nella Villa le cucine “segrete” fatte costruire da Cosimo II de’ Medici e destinate all’esclusiva preparazione dei cibi per il Granduca - che conservano intatto il fascino del passato. Un percorso avvincente a cominciare dalle prime rappresentazioni cinquecentesche (di ascendenza fiamminga) di cucine con echi religiosi, allegorici e moraleggianti che scompaiono nelle nature morte del ‘600 ambientate in cucine come quella del Nord Europa di Scene di vita domestica in una cucina dell’olandese Monsù Teodoro. Di piccole dimensioni La cuoca intenta a pulire una conca di rame, opera straordinaria per l’aura di dolcezza melanconica, dell’olandese Caspar Netscher mentre di rara efficacia sono alcune nature morte classificate ‘dispense’ per l’eccezionale varietà e abbondanza di cibi e stoviglie come le Dispense del fiorentino Surfaces et correspondences Enrico Castellani e Lee Ufan Inserita nel progetto Arte Milano - che in occasione di Expo 2015 riunisce cinque gallerie e due storiche Fondazioni tutte attive a livello internazionale e vede risorgere l’omonima pubblicazione (distribuita gratuitamente) ricalcando un’analoga iniziativa del 1971 quando sette gallerie hanno dato vita alla rivista in grado di vivacizzare l’informazione sull’arte nazionale e internazionale - un’intrigante mostra mette a confronto Enrico Castellani e Lee Ufan, due esponenti di spicco della contemporaneità lontani per ambiti e percorsi culturali, ma accomunati da corrispondenze quali il rigore concettuale e il linguaggio sintetico e rarefatto dalla forte incisività. Enrico Castellani, Superficie bianca Nato a Castelmassa (Rovigo) nel Polesine nel 1930, Castellani, che lavora e vive a Celleno (sito tra i laghi di Bolsena e di Alviano), studia tra Novara, Milano e Bruxelles. Tornato a Milano, nel 1959 fonda con Piero Manzoni la rivista Azimuth, crea la sua prima superficie a rilievo (estroflessione) dando origine a una poetica 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 109 ANDANDO PER MOSTRE successive acquisizioni e donazioni. Numerosi pittori ticinesi sono stati legati al capoluogo lombardo avendo frequentato l’Accademia di Brera ed esposto i propri lavori a partire dalla mostra del 1886 (anno in cui è inaugurata la nuova sede progettata da Luca Beltrame) alla Permanente, all’epoca punto di riferimento per il mercato italiano dell’arte e per la promozione di molti giovani artisti. L’esposizione approfondisce le tematiche della ‘natura’ tra Naturalismo e Simbolismo fino al paesaggio astratto del dopoguerra con Guglielmo Ciardi dall’incantato Paesaggio lagunare o locustre, Alberto Pasini dal Monte Bianco visto da Courmayeur con nevai e ghiacciai oggi arretrati ed Emilio Longoni il cui onirico Ghiacciaio richiama altri climi e della ‘figura’ con ritratti che vanno da fine ‘800 come lo Studio di testa di grande intensità di Giuseppe Pelizza da Volpedo e la Giovane donna tra candore giovanile e sbocciata sensualità e il raffinato Ritratto della Signora Tina Ruffini Rocca di Cesare Tallone. Tra sogno e realtà Ottocento e Novecento dalle collezioni del Museo Civico della Città di Bellinzona Una magnifica opportunità lo scambio di una settantina di opere d’arte tra il Museo Civico Villa dei Cedri di Bellinzona e il Museo della Permanente di Milano, frutto di un progetto volto a mettere in luce le comuni radici linguistico-artistico-culturali tra Lombardia e Canton Ticino. In particolare la mostra esplora la storia del Museo ticinese iniziata più di quarant’anni fa nel 1971 grazie a Emilio Sacchi, medico, e Adolfo Rossi, banchiere, i quali, donando opere di artisti di area ticinese e lombarda soprattutto tra fine Ottocento e inizio Novecento, determinano la nascita del primo nucleo di 73 opere cui si sono aggiunte Interessante la presenza di opere di esponenti della Scuola del Paesaggio svizzero tra cui Friedrich Zimmermann e Gustave Eugène Castan che testimoniano la complessità della terra ticinese a cavallo tra sud e nord e di esemplari di fondi monografici su singoli artisti (Italo Valenti, Giuseppe Bolzani…) dei quali esaminano in modo approfondito la poetica. ↪ Milano, Museo della Permanente, Via Filippo Turati 34 10.00 – 13.00 e 14.30 – 18.30 da lunedì a sabato Fino all’11ottobre 2015 Ingresso libero Informazioni: 02 6599803, www.lapermanente.it Catalogo Skira Enrico Castellani, Superficie bianca Andando per mostre rigorosa definita dalla critica “ripetizione differente” e approfondisce temi come spazio, ritmo e tempo. Esposizioni e successi si susseguono in Italia e all’estero tra cui il prestigioso Praemium imperiale della Japan Art Association. Poco più giovane Lee Ufan nasce (1936) a Kyongnam in Corea, dove soffre gli esiti di un regime che arresta il padre per la sua attività di giornalista. Dopo il liceo si trasferisce in Giappone approfondendo anche la filosofia e realizzando nel 1968 a Tokio la sua prima esposizione con un linguaggio artistico, da lui chiamato yohaku (vacuità), aperto a uno spazio poetico vuoto nei dipinti e nella realtà. Apparsi sulla scena a una decina d’anni l’uno dall’altro e presenti in tutto il mondo in collezioni permanenti e musei, i due artisti oggi dialogano attraverso le opere come di Castellani i vari Superficie Bianca con un alternarsi serrato tra pieno e vuoto e gli ampi spazi bianchi di dipinti e sculture in cui occhieggiano le pennellate meditative di Hufan. ↪ Milano: Lorenzelli Arte, corso Buenos Aires 2 10.00 – 13.00 e 15.00 -19.00 da martedì a sabato, lunedì su appuntamento, festivi chiuso Fino al 16 luglio 2015 Ingresso libero Informazioni: tel. 02 201914, www.lorenzelliarte.com Catalogo: lorenzelli arte n. 146 109 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 110 I libri di Elena Colombo 110 I LIBRI DI ELENA COLOMBO I LIBRI di Elena Colombo FIORI ARTIFICIALI Luiz Ruffato La Nuova Frontiera, 166 pp., 15.50 € Luiz Ruffato si conferma una delle voci più promettenti della letteratura brasiliana contemporanea portando avanti il gioco della finzione che trasforma lo scrittore in semplice testimone della narrazione e depositario dello stile prima ancora che libero inventore. Se in “Di me ormai neanche ti ricordi” la voce narrante passava per le lettere di un ragazzo emigrato dalle campagne alla città, in “Fiori artificiali” il testo originale pare giungere da un certo Dório Finetto, ingegnere della Banca Mondiale: è un altro registro, un’altra visione che si dipana sulla pagina. Anche se dobbiamo riconoscere il medesimo punto di partenza (São Paulo – ovvero Il Mostro) le memorie del protagonista allargano la lente fino a comprendere scorci dei diversi Paesi che si affacciano sulla globalizzazione, questo a indicare che non è possibile scrivere di se stessi senza sommare i ritratti di cento persone che si sono incontrate lungo il cammino: è come rivedere Chaucher in chiave moderna. La lente si allarga, il linguaggio piano di Célio lascia il posto alla citazione colta e alla riflessione filosofica che trae origine dalle cronache di formazione e dalle impressioni di Almeida Garrett. Niente paura. Non è necessario conoscere i classici portoghesi, T. S. Eliot o Osvaldo Soriano per apprezzare il poliedrico dono della lingua che si unisce alla molteplicità dei quadri per arricchirli senza appesantirli. La vita di ciascuno si ricostruisce in un mosaico che va da Buenos Aires a Beirut, dall’Avana a Timor, ultimo angolo sperduto delle Terre Altrui. I personaggi entrano nel racconto regalando cammei. LE CASE DEGLI ALTRI BAMBINI Luca Tortolini e Claudia Palmarucci Orecchio Acerbo, 48 pp., 14.50 € “Si lasciano mai le case dell’infanzia?” si chiede Ferzan Ozpetek; e la risposta è no, mai. Le stanze in cui siamo stati bambini restano sempre dentro di noi, anche quando vengono distrutte. Luca Tortolini e Claudia Palmarucci disegnano queste splendide architetture dei sentimenti raccontandoci i vari tipi di casa che esistono, ognuna con la sua storia di persone che vivono e condividono gli spazi e i tempi di ciascuna; il realismo dei personaggi ricorda gli scorci urbani rubati da Edward Hopper. C’è Lorena con la sua villa antica e c’è Sindel che vive in una baracca; c’è Lillo che sta in villeggiatura e persino Claudia che un giorno si dedicherà alle illustrazioni. C’è Ottavio che sta sopra a un cinema e immagina i suoi film e Simone che è circondato dal silenzio, ma c’è sempre la fantasia a creare nuove geometrie d’incontro che consentono d’individuare una sequenza. Lo stile grafico è volutamente schematico, ma ricco di particolari: ogni camera è un riquadro in cui inserire un frammento per costruire una narrativa, suggerita e non imposta dalla brevità del testo, come in un gioco di bambole al quale aggiungere sempre nuovi dettagli da scoprire. Le persone sono colte da uno sguardo esterno e si mostrano nel loro privato uscendo dalle cornici fisse per muoversi sulla pagina. I colori vividi riempiono l’occhio: l’azzurro del cielo che entra dalle finestre senza profondità è talmente intenso che quasi ferisce, il grigio trasmette la malinconia ma la rende trattabile, appena venata da una nostalgia d’altri tempi. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 111 I LIBRI DI ELENA COLOMBO Martínez – autore e personaggio – una delle voci più importanti del Cono Sur, portata in Italia grazie a queste splendide edizioni. Simón è scomparso dopo l’arresto durante i primi giorni dal golpe. Sua moglie Emilia è scampata alla tortura grazie alla posizione del padre, consigliere d’immagine di una Giunta di personaggi da operetta. Lei non si rassegna alla morte del marito e continua a cercarlo ovunque fino a convincersi di averlo ritrovato trent’anni dopo, ma il suo è il dialogo con un fantasma che riallaccia i fili della memoria nel tentativo di colmare il bisogno d’amore – fisico ed emotivo – rimasto inappagato. È dunque così che inizia il delirio di una donna che però mostra anche realtà di un Paese ancora diviso, in cui la percezione si costruisce sulla base dell’apparenza e del racconto mediatico. La narrazione passa da un piano all’altro: dalla cartografia che inventa gli spazi annullandoli (come nel mondo Attraverso lo Specchio), alla magia bugiarda del cinema di Welles che diventa base della propaganda, al presente – ibrido di sogno e disillusione. Un mosaico espresso con uno stile luminoso che lascia il lettore sul ciglio del dubbio. TENTATIVI DI FUGA Miguel Ángel Hernández Guanda, 231 pp., 16 € Se preconizzare la Fine delle Grandi Narrazioni è forse troppo catastrofista, è comunque vero che siamo nell’era della post-immagine che dà all’apparenza una veste primaria diversa. Oggi Michele Smargiassi riflette sul ruolo dominante dell’immagine nella costruzione di una percezione manipolabile. Cosa si deve fare per essere davvero trasgressivi? La strada è trasformare il corpo in creazione in modo da entrare nel reale, descrivere dall’interno le situazioni marginali diventandone parte operante. Le performance di Jacobo Montes – come quelle di Santiago Sierra, suo eponimo reale – sono cinismo allo stato puro, il capitalismo I libri di Elena Colombo PURGATORIO Tomás Eloy Martínez Edizioni Sur, 283 pp., 15 € “Tutte le famiglie felici si somigliano” diceva Anna Karenina “ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”. La citazione di uno dei più noti incipit della letteratura si applica tragicamente in senso inverso alle dittature. Se si pensa alla Storia recente dell’America Latina, è facile confondere gli orrori del Cile di Pinochet con quelli dell’Argentina di Videla. A portarci in questo contesto di cruda finizione è Tomás Eloy 111 d’élite che si guarda e sovverte se stesso fino alle estreme conseguenze. Allo spettatore – e a Marcos, studente dell’accademia e aspirante critico – il compito di capire e filtrare. La ripetizione diventa copia. Pagare un immigrato per rischiare la vita ed essere parte di un’opera non è più amorale di contrattarlo per un salario da fame nella logica schiavista del caporalato che raccoglie manodopera all’alba. Come assistente della sua affascinante professoressa, Helena, Marcos scopre questi meccanismi e li mette in dubbio, chiamandosi fuori da un progetto che minaccia di passare qualsiasi limite allontanandosi dall’idea originaria, incentrata sull’attività come narrazione. Quello di Miguel Ángel Hernández è un excursus nel lato oscuro, la decostruzione dell’idea platonica attraverso l’apparato teorico dell’arte degli ultimi decenni; ma “Tentativi di Fuga” non è un manuale: una poetica tagliente genera un giallo che tiene incollati fino all’ultimo. 30-2015 colore_Layout 1 02/10/15 16:36 Pagina 112 I libri di Elena Colombo 112 I LIBRI DI ELENA COLOMBO TOKYO ORIZZONTALE Laura Imai Messina Edizioni Piemme, 264 pp., 14.50 € “Tokyo Orizzontale” è una dichiarazione d’amore che nasce dal cuore e da un vero talento letterario che ha superato meritatamente i confini della rete. È il libro perfetto per chi conosce la capitale giapponese e i suoi quartieri, che sono città nella città e hanno un loro carattere e una loro logica: Shibuya e Shinjuku - i luoghi che connotano Tokyo nelle cartoline – e poi i posti dove si lavora e basta, i posti che si svuotano con la notte e quelli che invece di notte si riempiono di persone e di storie. In questa moltitudine che si sgrana sulle strade ci sono Sara e Carmelita, adottate dal Sol Levante per il loro desiderio di scappare sempre più in fretta, Hiroshi e suo fratello, che non possono lasciarsi alle spalle il loro trauma e poi Jun e Masako, impegnati a costruirsi una personalità. Sono le maglie che costituiscono il blog Tokyo Orizzontale, una piattaforma che pubblica le foto dei salary man ubriachi stesi sui marciapiedi; non è solo derisione, ma la ricerca di una prospettiva più vera che trova nel cielo le radici della metropoli-melograno. Laura Imai Messina ha uno stile poetico e viscerale, immediato ma pieno di immagini evocative che si annodano alla fantasia di chi ha già visto quel panorama multiforme, ma che catturano anche chi non lo conosce e ne ha solo sentito parlare con curiosità. I tasselli si incastrano alla perfezione nella forma di questo romanzo che si svolge in tre giorni decisivi, rapidi, scanditi come in “After dark” di Haruki Murakami. UOMINI SENZA DONNE Haruki Murakami Einaudi, 222 pp., 19 € Sette storie di uomini che non odiano le donne ma anzi che ne hanno bisogno perché sono loro il filo che cuce insieme i frammenti della memoria ed è proprio grazie ai ricordi che si sopravvive, si può diventare un’altra persona sanando le scissioni interne o si scrive la propria (auto)biografia. Seguendo le tracce dei multi versi di Haruki Murakami ci si ritrova qui a scegliere tra una serie di crocicchi che conducono alla dimensione più “realistica” dell’autore giapponese, quella cioè che discende naturalmente da Norwegian Wood, strizzando sempre l’occhio al vecchio jazz e i Beatles. Tornano i personaggi-attori che dello scrittore conservano i tratti, lo stile e che si reinventano nella cornice di una tragedia russa cercando qualcosa. Attraverso l’apparato simbolico di Jirô taniguchi e di Takashi Hiroade, ciascuno si collega intimamente alla Natura trasformandosi in un elemento che va letto in base al Tempo; alberi e animali sfuggenti delineano un Tempo diacronico che scorre diversamente dal normale e che ha nella figura femminile assente il suo fulcro. Gli scambi amorosi si sviluppano solo fino a un certo punto arrivando a una cesura che crea un vuoto, un allentamento della tensione in cui mettono radici le contraddizioni e si fa strada il dubbio: che cos’è necessario al cuore e cosa non lo è; quale deve essere il ruolo del corpo nell’approccio con l’altro – parlando delle divergenze culturali prima che dell’aspetto fisico? Trascendendo fino allo stadio di pura metafora. È il racconto a fare da ponte sull’abisso, le parole sono il passaggio di un viaggio conoscitivo.