MARTIN LUTHER KING JR

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MARTIN LUTHER KING JR
MARTIN LUTHER KING JR.
Io accarezzo un sogno
lo accarezzo un sogno: che i miei quattro figlioletti possano
vivere un giorno in una nazione dove non saranno giudicati
per il colore della loro pelle ma per la qualità della loro indole.
lo oggi accarezzo un sogno.
lo accarezzo un sogno: che un giorno lo stato dell'Alabama,
dove attualmente le labbra del governatore gocciolano parole
d'intervento e annullamento, si trasformi in modo da consentire
ai bambini neri e alle bambine nere di unire le loro mani a quelle
dei bambini e delle bambine bianchi per camminare tutti insieme
come fratelli e sorelle.
lo accarezzo un sogno oggi.
lo accarezzo un sogno: che un giorno ogni valle venga innalzata,
ogni collina e ogni montagna abbassata, che i luoghi impervi
vengano spianati e quelli contorti raddrizzati e la gloria
del Signore sia rivelata e possano vederla tutti insieme allo
stesso modo.
Questa è la nostra speranza. Questa è la fede con cui faccio
ritorno al Sud. Questa è la fede mediante la quale potremo
ritagliarci dalla montagna della disperazione una pietra di
speranza. Questa è la fede mediante la quale saremo in grado di
trasformare le stridenti dissonanze della nostra nazione in una
stupenda sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo capaci
di lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in
prigione insieme, difendere la libertà insieme, certi che saremo
liberi un giorno.
ANTONIO MACHADO
A Granada fu il crimine
I. Il crimine
Lo si è veduto andare tra i fucili
lungo una lunga strada,
verso gelidi campi,
con il cielo stellato che schiariva.
Hanno ucciso Federico
quando la luce si affacciava.
Quel plotone d'assassini
non ardì guardarlo in faccia.
Chiusero gli occhi, pregando:
neppure Dio può salvarti!
Morto cadde Federico
- sangue in fronte e piombo in petto –
...A Granada fu il crimine, a Granada,
sapete - la sua povera Granada...
2. Il poeta e la morte
Lo si è veduto camminarle al fianco,
non temendo la falce.
- Di torre in torre il sole ed i martelli
sull'incudine già delle officine. –
Parlava Federico,
corteggiando la morte, che ascoltava.
«Perdé ieri, compagna, nel mio verso
delle tue ossute palme c'era il suono
e desti il gelo al canto mio ed il taglio
della tua argentea falce alla tragedia,
io canterò la carne che non hai
e gli occhi che ti mancano,
i capelli che il vento ti scuoteva,
le rosse labbra dove ti baciavano...
Gitana, morte mia, com'ieri oggi
che bene sto con te,
in questa mia Granada, noi due soli!»
3.Lo si è veduto andare...
Alzate, amici,
di pietra e sogno nell'Alhambra
un tumulo al poeta,
presso una fonte dove pianga l'acqua
ed in eterno dica:
fu a Granada, la sua Granada, il crimine!
RAFAEL ALBERTI
Ritorni della dolce libertà
Potevi, quand'eri un marinaio in terra,
esser più libero d'adesso,
lietamente vagando
dalle ormeggiate terre infuocate
del tuo giovane sognare, per le profonde
valli d'orti sottomarini, per le verdi
fiancate di delfini, sommersi sentieri
che portavano a dolci desiderate sirene.
Potevi, ben potevi allora, ben potevi,
senza inutili lacrime o imposti affanni
viaggiare, gonfie di vento le labbra e un colpo
di aperta luce in mezzo al cuore e bene eretta
la valente vita cadente dalla tua fronte.
Dove le frontiere, allora, quel timore,
quell'orrore dei limiti,
quell'assedio che senti stringersi nella notte
come un triste mandato da compiersi all'alba?
Libertà, dolce e mia,
anche se tanto bambina,
anche se cosi piccoli erano i tuoi teneri passi, dimmi,
rispondimi se i tuoi piccoli orecchi ancora
mi conoscono: Non cerchi, cantando nella fuga,
di riportarmi alle tue libere felici terre?
Chi t'imprigiona, dimmi? Dimmi, chi ti tiene in ceppi?
Chi ti ammanetta le ali e chi, dimmi, spranghe
ti inchioda sulla lingua e solo d'ombre ti circonda?
Libertà, non lasciarmi. Torna da me, dura e dolce,
come fresca fanciulla cresciuta nella pena.
Oggi il mio braccio è più forte di ieri e il mio canto,
infiammato nel tuo, può per sempre aprire
sugli orizzonti del mare la nostra mattina.
CESARE PAVESE
Tu non sai le colline
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome. Una donna
ci guardava. fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome.
Una donna ci aspetta alle colline.
FEDERICO CARCÍA LORCA
L eroica morte del generale Torrijos
Torrijos, il generale
dall'ampia, nobile fronte,
dove si stavan specchiando
le genti d'Andalusia,
gran signore in mezzo ai duchi,
gran cuore di fino argento,
è stato ucciso sui lidi
di Malaga ardita e fiera.
Con inganno lo attirarono,
ci cascò per sua disgrazia
e si accostò, senza un dubbio,
coi suoi velieri alla riva.
Guai allo spirito nobile
che dei malvagi si fida!
Come mise il piede a terra,
i realisti lo arrestarono.
Il visconte di La Barthe
che era a capo delle forze
dové tagliarsi la mano
di fronte a sì grande oltraggio
qual fu togliere a Torrijos
la spada ch'egli cingeva
dalla bella impugnatura
di cristallo con due nastri.
In piena notte l'uccisero
con tutti quanti i suoi uomini.
Gran signore in mezzo ai duchi,
gran cuore di fino argento.
Grandi nubi si sollevano
sopra la terra di Mijas.
Il vento agita il mare
e indietreggiano le navi
con svelti colpi di remo
ed a vele ben spiegate.
Tra il fragore delle onde
crepitarono i fucili;
sulla rena cadde morto
sanguinando da tre fori
il valente cavaliere
con tutti quanti i suoi uomini.
La morte, benché sia morte,
non smorzò quel suo sorriso,
e piangeva sulle navi
tutta la marineria.
Anche le donne più belle,
afflitte e vestite a lutto,
lo vanno piangendo tutte
tra le fronde dei limoni.
GIUSEPPE UNGARETTI
Mio fiume anche tu
l.
Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente
E come a stento erotto dalla pietra
Un gemito d'agnelli si propaga
Smarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l'attesa senza requie,
Il peggiore dei mali,
Che l'attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi;
Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto
0 temono l'offesa tanti segni
Giunti, quasi divine forme, a splendere
Per ascensione di millenni umani;
Ora che già sconvolta scorre notte,
E quanto un uomo può patire imparo;
Ora ora, mentre schiavo
Il mondo d'abissale pena soffoca;
Ora che insopportabile il tormento
Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;
Ora che osano dire
Le mie blasfeme labbra:
«Cristo, pensoso palpito,
Perché la Tua bontà
S'è tanto allontanata?».
2.
Ora che pecorelle cogli agnelli
Si sbandano stupite e, per le strade
Che già furono urbane, si desolano;
Ora che prova un popolo
Dopo gli strappi dell'emigrazione,
La stolta iniquità
Delle deportazioni;
Ora che nelle fosse
Con fantasia ritorta
E mani spudorate
Dalle fattezze umane l'uomo lacera
L'immagine divina
E pietà in grido si contrae di pietra;
Ora che l'innocenza
Reclama almeno un'eco,
E geme anche nel cuore più indurito;
Ora che sono vani gli altri gridi;
Vedo ora chiaro nella notte triste.
Vedo ora nella notte triste, imparo,
So che l'inferno s'apre sulla terra
Su misura di quanto
L'uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della tua passione.
3.
Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l'uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell'amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell'umane tenebre,
Fratello che t'immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.
BERTOLT BRECHT
Mio fratello era aviatore
Mio fratello era aviatore.
Un giorno gli diedero una carta,
e fece i bagagli, con rotta verso Sud.
Mio fratello è un conquistatore.
Al nostro popolo serve spazio,
è un nostro antico sogno
avere terre.
Lo spazio mio fratello l'ha conquistato
nel massiccio del Guadarrama.
È lungo un metro e ottanta,
profondo un metro e cinquanta.
CORRADO GOVONI
Morte del partigiano
Dorme nei suoi capelli, vegetali
fili che il sole e il vento scioglieranno
vivi all'alba: una buia sventagliata
di mitra lo sferzò tra capo e collo
come brusca manata di un amico:
così cadde supino, per voltarsi
a riconoscerlo e scambiare il colpo.
Non sentì allontanarsi per la riva
i passi dei fucilatori, dopo
che gli diedero un calcio per saluto
gridandogli «Carogna!», e dentro il fiume
scaricarono l'arma e un po' più avanti
graffiarono rabbiosamente il ponte
di bombe a mano: troppo poco a fare,
anche se così complice od assente,
che la notte straripi di terrore
F per un sol sparo secco.
Dorme, dorme
lungo disteso, stretto il gonfio collo
nella sciarpa di sangue larga e morbida
sempre più gelida; e il lungo cappotto
indurito di brina è il suo sepolcro.
E la sua patria è l'erba.
EUGENIO MONTALE
La primavera hitleriana
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l'estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l'ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch'esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccato che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s'è tramutata in un sozzo trescone d'ali schiantate,
di larve sulle golene, e l'acqua séguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla, dunque? - e le candele
romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente
l'orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell'orda (ma una gemma rigò l'aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
dell'avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani - tutto arso e succhiato
da un polline che stride
come il fuoco e ha punte di sinibbio...
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell'Altro e si distrugga.
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince,
col respiro di un'alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz'ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud...
ALFONSO GATTO
25 Aprile
La chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai figli uccisi, l'ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage, .
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l'orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
«liberate l'Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera»:
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell'azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la orario nel suo pugno: il cuore
d'improvviso ci apparve in mezzo al petto.
ALEKSANDR BLOK
La libertà contempla il cielo azzurro
La libertà contempla il cielo azzurro.
La finestra è dischiusa. L'aria è ruvida.
Dietro il fogliame giallo-rosso
declina un segmento di luna.
Sarà notte la luminosa falce
che splende sulle biade della notte.
Il suo tramonto, la sua decrescenza
l'ultima volta lusingano gli occhi.
Tintinna come allora la finestra.
Ma la mia voce, come l'aria fresca,
da tempo è cessata, da tempo s'è spenta
sotto le canne lungo il litorale.
Com'è scialba la luna nell'azzurro,
come biondeggia il capello sottile...
Come vacilla laggiú tra il fogliame
la spiga obliata, pallida, morta...
Quelli che sono nati in giorni oscuri
Quelli che sono nati in tempi oscuri
non ricordano il proprio cammino.
Noi - figli dei terribili anni della Russia –
non potremo scordarci di nulla.
Anni che tutto incenerite!
Siete annunzio di follia o di speranza?
Dai giorni della guerra, e della libertà –
un riverbero sanguigno é nei volti.
Tutto è silenzio: è stato un rombo
di campane a serrare le labbra.
Nei cuori, un tempo esultanti,
è adesso un vuoto fatale.
E sul nostro giaciglio di morte
si levino pure con un grido i corvi:
quelli che più sono degni, Dio, Dio,
vedano il Tuo regno!
BORIS PASTERNAK
Frammento su Blok
Sinistro pare l'orizzonte e improvviso,
e sparsa d'ecchimosi l'alba,
come tanti segni di tagli ancora aperti
e di sangue sulle gambe dei falciatori.
Senza numero queste unghiate nel cielo,
annunciatrici di temeste e sciagure,
e odora di acqua e di ferrò
e di ruggine l'aria delle paludi.
Nel bosco, nella strada, nel burrone,
nel borgo e nel villaggio,
questi zig-zag sulle nubi
sono alla terra presagi d'intemperie.
Ma quando su una grande capitale
i lembi del cielo sono così di ruggine e di porpora,
qualcosa allo stato accadrà,
s abbatterà un uragano sul paese.
Blok nel cielo vedeva questi segni.
L'orizzonte gli preannunciava
un grande temporale, intemperie,
una tremenda tempesta, un ciclone.
Blok aspettava questa tempesta e lo sconvolgimento:
i loro tratti infuocati,
con paura e insieme sete d'una soluzione,
si sono incisi nella sua vita e nei suoi versi.
EVGENIJ EVTUSENKO
Le betulle nane
Siamo betulle nane.
Noi stiamo salde, infisse come schegge,
nell'unghie vostre, geli.
I sultani del ghiaccio eterno
sono disposti a svariate viltà
per incurvarvi ancor più in basso.
Vi pare strano, castagni a Parigi?
V'attrista, palme altere,
quello che il nostro aspetto
esprime d'alberi corrotti?
V’accora, gran custodi della moda,
se ciascuno di noi è un Quasimodo?
Tuttavia nel tepore
vi è caro il nostro ardimento civile
e in modo afflitto e grave
ci inviate il vostro aiuto morale.
Voi, colleghi, pensate
che siamo mutili tronchi, non alberi,
ma il verde, anche se squallido,
in mezzo alla gelata è progressivo.
Grazie cari. Ma in qualche modo
riusciremo da sole a stare in piedi
- quando ci storceranno bestialmente –
senza il vostro aiuto morale.
Certo di noi voi siete un po' più liberi,
ma noi siamo più salde di radici.
Noi non stiamo a Parigi,
ma nella tundra ci apprezzano di più.
PABLO NERUDA
I dittatori
Resta ancora un odore fra i canneti:
di sangue e corpo una mistura, petalo
penetrante e nauseabondo.
Fra le palme le tombe sono colme
d'ossa disfatte e silenziosi rantoli.
Il raffinato satrapo conversa
con calici, collari e fregi in oro.
Brilla, il palazzo come un orologio
e le risate rapide, inguantate
percorrono talvolta i corridoi
e si congiungono alle voci morte,
alle livide bocche seppellite.
Il pianto si nasconde come pianta
il cui seme ricade sulla terra
e fa crescere al buio foglie cieche.
L'odio si è costruito squama a squama,
colpo a colpo, nell'acqua del pantano,
col muso nella melma e nel silenzio.