la mercificazione dell`acqua - Isf

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la mercificazione dell`acqua - Isf
OSIAMO
... difendere l'ACQUA
“Gusteremo Acqua Libera”
OSIAMO
(ORGANIZZAZIONI SALENTINE IN ARMONICO MOVIMENTO)
è una rete di associazioni, che hanno statuti e obiettivi molto diversi tra
loro, la cui finalità è quella di mettere ognuna a disposizione delle altre il
proprio know – how per il raggiungimento di risultati in linea con i propri
principi.
Questo movimento nasce dall’esigenza di dare forza e strumenti a chi
spende molte ore della propria giornata al servizio della collettività senza
chiedere in cambio nessun ringraziamento o contributo, ma semplicemente
perché convinti delle proprie idee e consapevoli che è necessaria la loro
divulgazione, e non l’imposizione, offrendo alla società l’opportunità di
valutarle e condividerle trasformandole in realtà.
Il periodo attuale rappresenta un momento della storia dell’umanità nel
quale devono essere prese delle decisioni radicali, in tutti gli ambiti
economici, ambientali e sociali con obiettivi profondamente diversi da quelli
inseguiti negli ultimi quarant’anni, in quanto oggi viviamo in un contesto nel
quale non vi sono più i presupposti per un processo di continuità.
L’attuale società nonostante stia pagando gli errori derivanti dalle scelte
passate ha il vantaggio di avere all’interno di sè, la prima generazione che ha
potuto accedere ad alti e variegati livelli di istruzione in modo massiccio e
che quindi possiede un bagaglio culturale diversificato che potrebbe
rappresentare un punto di forza determinante nelle fasi di scelta. I giovani
hanno il diritto di pretendere un futuro a misura d’uomo ma allo stesso
tempo il dovere di garantirlo alle future generazioni.
La definizione dello stato di un sistema non deve essere affidato alle sole
istituzioni, ma deve avvenire su più livelli partendo proprio dalla
popolazione, attraverso l’espressione dei propri bisogni, l’analisi delle
alternative e la definizione delle linee d’azione nell’ottica di un approccio
partecipativo. A tal proposito l’associazionismo rappresenta un modo
attraverso il quale la gente può contribuire a tale processo.
Sulla base di tali considerazioni nasce sul territorio salentino “OSIAMO”,
nell’ottica dell’armonia e della mutualità tra soggetti aventi diverse
conoscenze e che inseguono distinti obiettivi, ma che possono essere
accomunati tutti dal senso del bene comune e dal valore della
partecipazione sociale, prerogative imprescindibili per la realizzazione di un
futuro degno di essere vissuto.
NORMATIVA INTERNAZIONALE
Normativa Internazionale
La presa di coscienza dei problemi relativi a questa risorsa risale alla prima
Conferenza delle Nazioni Unite sull'acqua, che si è tenuta a Mar de la Plata
(Argentina-1977). La conferenza portò questa tematica hai primi posti
dell'agenda politica internazionale mettendo in evidenza i dati di base della
crisi della risorsa, crisi che ha continuato ad aggravarsi, tanto che le Nazioni
Unite promossero il Decennio internazionale dell'acqua potabile '81-'90, che
permise un più facile accesso all'acqua a 600/800 milioni di persone con un
risultato ben lontano da l' obbiettivo principale di permettere a tutti gli
esseri umani di disporre di acqua sana nel 2000.
Questa prima fase di iniziative internazionali si è conclusa con la Conferenza
delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, tenuta a Rio de Janeiro nel 1992,
durante la quale fu istituita la giornata mondiale dell'acqua, fissata al 22
marzo di ogni anno. Nello stesso anno durante la Conferenza di Dublino
l’acqua viene riconosciuta come bene economico, l'assoggettamento
dell'acqua alle logiche di mercato ne garantisce la conservazione e
protezione.
Più recentemente e in modo particolarmente efficace si sono pronunciati il
Gruppo di Lisbona e la fondazione di Mario Soares, che nel settembre del
1998 hanno promosso il ‘Manifesto dell’acqua’ mentre il Consiglio Mondiale
dell’acqua, un’istituzione privata finanziata dalla Banca Mondiale e composta
dalle più grandi multinazionali dell’acqua Forum Mondiali per l’acqua hanno
organizzato il Forum di Marrakesh (1997) e dell’Aja (2000) tutti privi di
forza vincolante. L'ultimo Forum Mondiale si è svolto a Città del Messico
conclusosi senza giungere a nessuna soluzione concreta.
Documenti più rilevanti sul piano normativo è il “Patto sui diritti economici,
sociali e culturali” del 1966, che enuncia il diritto dei popoli “a disporre
liberamente delle proprie ricchezze e risorse naturali”, non specificando
cosa viene inteso con “proprie” quando le acque appartengano a più Stati.
Pertanto, in conclusione, si può affermare in tema di acqua siamo in presenza
di una sostanziale carenza internazionale, sia per quanto riguarda la
proclamazione e la tutela del diritto all’acqua e del dovere di cooperazione
nell’uso delle risorse idriche internazionali, sia per quanto riguarda la
presenza di strumenti di garanzia per la protezione di questi interessi e
valori.
Normativa Italiana
L’esigenza di tutelare l’ambiente ed in particolare l’acqua quale bene
fondamentale per la vita, e quindi far nascere una normativa di salvaguardia,
in Italia è stata avvertita molto tardi precisamente con il varo della c.d.
legge Merli (n. 319/1976) che costituisce tuttora il testo legislativo
ambientale per la tutela dell’inquinamento idrico.
L'art. 17 bis e ter della Legge Merli sono stati successivamente abrogati dalla
Legge Galli n. 36 del 1994. Essa introduce il concetto di tariffa del servizio
idrico integrato ponendo l'accento sul legame servizio-tariffa, la quale deve
essere in grado di coprire i costi di gestione, manutenzione ed
ammodernamento degli impianti. Con questa legge si è voluto rivoluzionare
il precedente assetto normativo considerando l'acqua una risorsa da
utilizzare secondo il criterio di solidarietà sociale e nel rispetto degli
equilibri idrogeologici, al fine di salvaguardare i diritti delle generazioni
future.
Inoltre, questa legge prevede per la prima volta il concetto di “gestione
integrata del ciclo delle acque” attraverso il SII (servizio idrico intergrato) le
cui fasi devono essere gestite da un Ambito Territoriale Ottimale (ATO). Le
tipologie di gestione previste sono la concessione a privati, l'affidamento
diretto a società mista o gestione in house (pubblico-privato) privandola così
del suo carattere di bene comune e pubblico.
Stato di attuazione della Legge Galli (relazione 2005 Comitato di Vigilanza)
Un terzo degli Italiani non gode ancora di un accesso regolare e sufficiente
all’acqua potabile;
Il 30% degli abitanti dei capoluoghi di provincia è ancora privo di un sistema
di depurazione delle acque reflue;
Le perdite d’acqua negli usi irrigui si aggira sul 30 % in media. Ciò è dovuto
anche al fatto che le autorità preposte non hanno speso entro i termini
prescritti una percentuale importante delle risorse disponibili erogate
specialmente dall’Unione Europea;
Se l'acqua non è una merce sembrerebbe conseguente affermare che su
l'acqua non si possono fare utili, invece
risulta che ad eccezione di 4 regioni su 15, i ricavi da tariffa sono superiori ai
costi operativi totale;
Esistono variazioni consistenti di tariffa all’interno della stessa regione tra
ATO ed ATO.
Normativa Comunitaria
Una delle leggi comunitarie in materia ambientale più avanzate e ambiziose è
la Direttiva 2000/60/CE che obbliga gli Stati alla protezione delle acquee e
ad un utilizzo idrico sostenibile. Inoltre, per la prima volta una Direttiva
europea si preoccupa anche dell' aspetto sociale con la protezione della
salute, dell’aspetto economico garantendo un accesso delle attività
produttive alle risorse e dell' aspetto ambientale con la conservazione delle
risorse.
Agli Stati Membri spetta il compito di valutare l’impatto ambientale delle
attività umane, produrre l’analisi economica e attuare il monitoraggio dello
stato delle acque.
In materia di privatizzazioni, il Parlamento europeo ha difeso l'acqua come
bene comune, votando nel marzo 2006 a Strasburgo una risoluzione ad hoc
contro la privatizzazione delle risorse idriche. Nonostante ciò, dopo appena
un mese il Parlamento europeo ha approvato la tanto discussa Direttiva
Bolkestein che sancisce il via alla liberalizzazione dei servizi in tutta l’Unione
europea.
L'ACQUA NEL MONDO
INTRODUZIONE
Nel pianeta solo il 3% circa dell'acqua è acqua dolce e comprende quella
imprigionata nei ghiacciai delle calotte polari e nelle distese nordiche, quella
sotterranea e, infine, quella compresa nel sistema dell'acqua superficiale e
dell'atmosfera; ovunque, in misura diversa, è evidente l'impatto sui sistemi
idrici dell'inquinamento da agricoltura, industria e insediamenti abitativi.
Il fabbisogno minimo biologico pro-capite per la sopravvivenza umana è di
5 litri di acqua al giorno. Senza cibo si può vivere un mese, senza acqua non si
supera una settimana.
La Commissione Mondiale per l’acqua ha fissato in 40 litri giornalieri a
persona il diritto minimo all’acqua. Con circa 40 litri noi italiani facciamo la
doccia, per molti altri rappresenta l’acqua di intere settimane. Inoltre le
stime medie indicano un consumo di 350 litri di acqua al giorno per una
famiglia canadese, 165 per una europea e di 20 litri per una famiglia africana.
Attualmente un abitante della Terra su cinque non ha acqua potabile a
sufficienza. Oltre 1 miliardo di persone beve acqua non sicura. Secondo le
stime dell’OMS (organizzazione mondiale per la sanità) ogni anno nel mondo
muoiono 10 milioni di persone, la metà bambini, per tifo, colera, dissenteria e
altre malattie dovute soprattutto alla mancanza di acqua potabile e il
conseguente consumo di acqua insalubre.
L’acqua sulla Terra è molto più di quella necessaria per gli impieghi umani,
eppure il problema della sua crescente scarsità sta aumentando. Diverse
attività umane che “consumano” l’acqua, la stanno rendendo rara e/o
inquinata.
REGIONI
Nord America
America Latina e
Carabi
Europa
Africa
Medio Oriente
Asia e Pacifico
AGRICOLTURA INDUSTRIA USO DOMESTICO
38,7%
48%
13,3%
70,7%
10,3%
19%
32,4%
84,1%
87,6%
81,3%
52,4%
7,3%
5,5%
11,4%
15,2%
8,6%
6,9%
7,3%
L'ACQUA NEL MONDO
L’acqua è una delle risorse distribuite nel mondo con maggiore
disuguaglianza, infatti basti pensare che meno di dieci paesi si dividono il
60% delle risorse idriche naturali del mondo; per ben 80 Paesi, al contrario,
si può parlare di stato di penuria. Ovviamente il problema si acutizza nelle
zone più aride del mondo dove vivono più di 2 miliardi di persone, e più
della metà dei poveri del mondo.
In alcune regioni del mondo, come l'Africa, la scarsità di acqua potrebbe
diventare quello che la crisi dei prezzi del petrolio è stata negli anni
Settanta: una fonte importante di instabilità economica e politica.
KENYA
LA CITTÀ DI NAIROBI
Il nome della capitale keniana Nairobi derive dal termine masai che significa
“luogo delle acque fresche”. In alcune parti della città, tuttavia, l’espressione
suona più che altro ironica, visto che la domanda di acqua supera
abbondantemente l’offerta.
L’Athi Water Services Board (AWSB), ente governativo che gestisce la
fornitura dell’acqua a Nairobi e nelle aree circostanti, sostiene che la
domanda di acqua è attualmente di 337.487 metri cubi al giorno, ma ai
consumatori ne arrivano solo 248.000 metri cubi. Il peggio è che la domanda
arriverà a 573.871 metri cubi al giorno entro il 2015 e a 728.229 metri cubi
entro il 2020 – fino a superare il milione di metri cubi entro il 2030, secondo
un nuovo rapporto dell’AWSB: dal titolo “Fornitura d’acqua e servizi fognari:
previsione per la città di Nairobi 2005-2030”.
Tuttavia, a Nairobi portare l’acqua a chi ne ha bisogno è complicato dal
fatto che le leggi attuali non riconoscono gli insediamenti informali,
ostacolando così un’adeguata pianificazione per il problema della fornitura
idrica in queste aree. Le cifre del governo indicano che circa il 75 per cento
della popolazione di Nairobi, quasi 2,6 milioni di persone, abitano in alloggi
miseri e al di sotto dello standard.
Se questo problema venisse superato e la fornitura idrica fosse assicurata
in queste baraccopoli, si potrebbe presentare un’altra difficoltà dato lo
scontento che provocherebbe tra i venditori d’acqua. “Il fenomeno dei
venditori privati d’acqua negli slum è una delle conseguenze dell’inefficacia
della fornitura ufficiale
Makau è presidente della Maji Bora Kibera (Acqua pulita a Kibera),
organizzazione di venditori privati d’acqua a Kibera, un insediamento
informale abitato da 700.000 persone, pochi chilometri a sud-ovest di
Nairobi, e considerato lo slum più grande dell’Africa sub-sahariana. Circa 500
venditori sono registrati alla Maji Bora Libera: vendono acqua ai residenti
dell’insediamento a un costo di tre centesimi ogni 20 litri.
Questo prezzo per molti dei residenti di Kibera - dove la disoccupazione
è fortissima - è troppo elevato.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni membro di una
famiglia dovrebbe poter usufruire di minimo 20 litri d’acqua al giorno. Per
una famiglia di cinque persone, equivale a 3.000 litri mensili.
Il prezzo dell’acqua nelle zone informali è elevato anche rispetto al costo
di questo bene in altre aree la popolazione degli insediamenti informali paga
l’acqua circa otto volte di più rispetto alle aree più agiate.
Gli abitanti della baraccopoli pagano dai tre ai trenta centesimi circa per
una tanica d’acqua da 20 litri, a seconda della disponibilità. Chi abita nelle
aree più esclusive paga una quota standard di circa 1,7 dollari per 10.000
litri d’acqua – ovvero, meno di un centesimo per 20 litri.,inoltre l’acqua
venduta agli abitanti degli slum non sempre è pulita.
I venditori ottengono le scorte attraverso l’attacco illegale ai tubi, a danno
di altri consumatori.
Secondo Amina Mustafa, coordinatore di Ushirika wa Usafi Kibera
(Associazione per la pulizia a Kibera), “In queste condizioni, malattie come
tifo, colera e diarrea sono molto comuni qui a Kibera".
SUD AFRICA - GRAHAMSTOWN:
LA SETTIMANA DELL’ACQUA (17-23 MARZO) IN SUDAFRICA
Fino all’inizio di febbraio di quest’anno, il termine “crisi nazionale” non
era stato in genere mai applicato al settore dell’acqua in Sud Africa. C’erano
state diverse crisi localizzate, e molti cominciavano a preoccuparsi per il
deterioramento percepito dell’acqua e dei servizi igienici, ma pochi
avrebbero parlato di un problema diffuso all’intero paese.
Il rapporto della DA, “Allarme tempesta: un’imminente crisi dell’acqua”,
osservava che “una combinazione di sorgenti idriche inquinate e di mala
gestione delle dighe, delle fognature e degli impianti di trattamento,
minaccerebbe gravemente le nostre forniture idriche”.
Il rapporto del DA analizza i problemi del settore dell’acqua, proponendo
una
lista
dettagliata
di
possibili
soluzioni.
Secondo il documento, i problemi legati all’acqua in Sud Africa
rientrerebbero in tre categorie.
Nella prima sezione, sulle sorgenti idriche, il rapporto attribuisce alle
lotte interne burocratiche ciò che definisce una “disattenzione generalizzata
delle istituzioni per le conseguenze ambientali dell’attività industriale”.
La seconda sezione individua la mala gestione delle dighe del paese
secondo cui solo 160 delle 294 dighe possedute e amministrate dal suo
dipartimento sarebbero conformi ai moderni standard di sicurezza.
La terza e ultima categoria evidenzia la inadeguata manutenzione dei
sistemi municipali di acqua e fognature”.
Il tema della Settimana dell’acqua di quest’anno, “sostenere la vita,
permettere la crescita”, ha lo scopo di sensibilizzare la popolazione
sull’importanza dell’acqua nella vita quotidiana e sul perché proteggere
fiumi, laghi e dighe del paese.
E in quella stessa occasione aveva lanciato la campagna
“Masimbambane”, o “acqua per la crescita”, in collaborazione con l’Unione
europea, per finanziare nuovi progetti per l’acqua in tutto il paese.
INDIA
LA DIGA DELLA NARMADA
In India quasi tutte le acque di superficie vengono utilizzate per
l'irrigazione. E' possibile attingere ormai solo ad una quantità limitata di
acque di falda. Se la popolazione continuerà a crescere fino al 2025
aumenterà anche la necessità di irrigare e il fabbisogno di acqua potrebbe
raddoppiare. Nel 2025 anche le riserve di acque di falda disponibili saranno
probabilmente esaurite, I conflitti di interessi tra le città industrializzate e
l'agricoltura, che necessità della gran parte dell'acqua per la produzione di
generi alimentari, si acuiranno.
Il fiume Narmada scorre per più di 1300 chilometri e attraversa tre stati
dell’India - Madhya Pradesh, Maharashtra e Gujarat - prima di sfociare nel
golfo di Khambhat, a nord di Mumbai. La valle del fiume, abitata da 25
milioni di persone, dalla metà degli anni ’80 è teatro di un conflitto per
fermare la costruzione di un sistema di dighe, tre delle quali dalle dimensioni
imponenti: la Sardar Sarovar, la Narmada e la Maheshwar. La popolazione,
raccolta nel Narmada bachao andolan - Movimento per salvare il Narmada,
sostenuto da una rete internazionale di ambientalisti, si oppone duramente
alla posizione assunta dai governi dei tre Stati indiani e dalla Banca Mondiale,
principale finanziatrice del progetto con uno stanziamento iniziale di 450
milioni di dollari..
Il fiume Narmada proviene dalle montagne di Amarkantak a 1057m sopra
il livello del mare nel distretto di Shahdol in Madhya Pradesh. Quasi il 90%
del flusso del fiume è in MP e la maggior parte del restante è nel
Goudjerate.
I ritrovamenti archeologici lungo le rive del Narmada hanno provato come
questo fiume sia sempre stato considerato come uno dei più sacri in India.
Alla fine degli anni '80, il grande progetto di dighe della valle di Narmada,
abbozzato già negli anni '60, è definito nei suoi dettagli: 30 grandi dighe, 135
dighe di medie dimensioni e 3000 di piccole dimensioni.
Nel 1994, grazie alle proteste delle popolazioni locali e delle associazioni
internazionali, la Banca Mondiale aveva abbandonato il progetto Sardar
Sarovar nella valle di Narmada. La Corte Suprema indiana , successivamente
al ritiro della Banca Mondiale, aveva bloccato il progetto. Nell'ottobre
2002, la Corte stessa ha pero' dato il permesso alla ripresa dei lavori di
costruzione.
La diga implicherà l'espulsione di 200.000 persone dalle proprie terre.
Gli abitanti dell'area più volte si sono dichiarati pronti a farsi travolgere
dalle acque. Alcuni villaggi sono già stati allagati a seguito dei primi lavori
realizzati.
BOLIVIA
LA RIVOLTA DI COCHABAMBA
La piccola città andina di Cochabamba, infatti, è considerata ormai in tutto
il mondo il simbolo più visibile della lotta per il controllo dell’acqua. Come
sappiamo tutti la Bolivia è una delle nazioni più povere dell’America Latina
oltre ad essere anche la nazione con più componente indigena di tutto il
continente (61,8% della popolazione). Cochabamba è la seconda città più
importante di questa nazione dopo la capitale, La Paz, però sicuramente è la
città con il più alto tasso di crescita negli ultimi decenni.
SEMAPA (Servicio de Agua Potable y Alcantarillado de Cochabamba), il
sistema pubblico che amministrava l’approvvigionamento dell’acqua nella
città, aveva grosse difficoltà e non riusciva più a soddisfare la domanda di
espansione, anche a causa dell’alto livello di corruzione statale, e dei
numerosi tentativi, da parte dei partiti politici locali, di utilizzare l’impresa
pubblica per il proprio beneficio politico.
La Banca Mondiale prese la decisione che per i problemi di Cochabamba
sarebbe stato necessario privatizzare l’intero sistema dell’acqua potabili,
concesse un prestito di 14 milioni di dollari al comune di Cochabamba per
l’espansione del servizio dell’acqua, con la condizione che il comune avrebbe
provveduto a privatizzare il servizio stesso.
Fatto sta che nel 1999, il governo boliviano, fece partire definitivamente
il processo di privatizzazione del sistema statale delle acque di
Cochabamba. In una asta pubblica a porte chiuse alla quale partecipò un solo
offerente, i funzionari boliviani sottoscrissero un contratto di concessione
dell’acqua di Cochabamba, per 40 anni, ad una misteriosa nuova società
denominata “Aguas del Tunari” (AdT), che poi risultò essere una sussidiaria
del gigante di ingegneria californiana Bechtel con diverse partecipazioni tra
le quali quelle delle italiane Edison-Aem e della spagnola Abengoa.
Fu con queste premesse che scoppiò la cosiddetta “guerra dell’acqua”. La
reazione delle popolazioni locali ad un aumento della tariffa dell’acqua di
questa portata fu infatti ferocissima. L’intera popolazione civile di
Cochabamba organizzò una serie di proteste in cui si esigeva l’annullamento
immediato degli insostenibili aumenti. Il governo boliviano, in difesa delle
multinazionali straniere, mandò 1200 poliziotti per le strade della città
andina con lo scopo di soffocarne le proteste. Gli scontri furono di
grandissima portata, il risultato furono decine morti e diversi feriti gravi.
Nonostante la repressione però, durante la prima settimana dell’aprile
2000, i cittadini di Cochabamba riuscirono ad immobilizzare l’intera città con
uno sciopero generale che blocco strade, scuole e negozi, che aveva come
obiettivo l’uscita di scena definitiva della Bechtel ed il ritorno dell’acqua in
mano statali.
Lo sciopero continuò nonostante tutto, e finalmente il 10 aprile tutti i
funzionari della Bechtel furono costretti ad abbandonare il paese.
La guerra dell’acqua era vinta. Nel novembre 2001, la Bechtel Corporation
così come la Edison e la Abengoa presentarono una domanda di indennizzo
di 25 milioni di dollari al popolo boliviano stessa istituzione che aveva in
pratica costretto la privatizzazione dell’acqua, la Banca Mondiale. Questa
domanda di indennizzo però, dopo mesi di mobilitazioni e di campagne in
America latina e in tutto il Mondo è stata, da poco, finalmente ritirata.
Si conclude quindi con una grande vittoria la sfida lanciata dopo un'altra
grande battaglia: quella della guerra dell'acqua di Cochabamba, la vittoria di
una città, di tutti i cittadini boliviani ma anche di quei 2,5 miliardi di uomini,
donne e bambini di tutto il mondo che vivono in condizioni di insufficienza
di acqua, bene primario, fonte insostituibile di vita, patrimonio dell’umanità,
diritto inalienabile e universale.
BRASILE
Il Brasile possiede centinaia di fiumi ed alcuni tra i bacini idrografici più
importanti al mondo ed è il Paese con più acqua in assoluto: 5670 km3/anno
(1 km3=1000 miliardi di litri). Lo sterminato territorio brasiliano è
disseminato di dighe, bacini artificiali e centrali idroelettriche interconnessi
fra loro in un sistema che viene fornito d’acqua senza nessuna interruzione.
Tutti i bacini artificiali del Paese funzionano come vasi comunicanti tra i
quali è possibile spostare grandi quantità di energia, a seconda delle
variazioni stagionali della pioggia da una regione all’altra, mantenendo così le
riserve generali di acqua ad un livello costante. Questo sistema è definito
“l’ottava meraviglia del mondo” per il suo impeccabile funzionamento ma
soprattutto per l’avanguardia tecnologica che lo caratterizza.
Nonostante queste premesse il Brasile è uno dei Paesi che di più soffre
per il cosiddetto “stress idrico” dato dalla difficoltà di approvvigionamento
da parte della popolazione. Dal 1994 il Brasile sta svuotando i suoi serbatoi
d’acqua ed è giunto quest’anno al punto critico di avere soltanto il 29% della
quantità necessaria per il consumo.
In Brasile il 20% della popolazione non ha accesso all'acqua, il 40% non
riceve acqua.
Le multinazionali riducono drasticamente la manodopera peggiorando la
manutenzione degli impianti e deteriorando la qualità del servizio nelle aree
più povere del Paese. Inoltre ritoccano le tariffe, cresciute del 150% dal
1995 al 2000, ben al di sopra del tasso di inflazione. In tal modo possono
ricavare grandi profitti da distribuire ai loro azionisti, lasciando il Brasile a
secco di investimenti e con un settore energetico in via di rottamazione. Al
sistema non è rimasto altro che consumare le proprie riserve d’acqua.
La filosofia che caratterizza le multinazionali ignora completamente la
cultura dei brasiliani e non tiene conto delle loro credenze, dei significati
che essi attribuiscono all’acqua. Nella cultura brasiliana essa ha un valore
altissimo, quasi sacro; l’organizzazione della società e dei sistemi produttivi
sono strettamente legati alle risorse idriche. Le sorgenti costituiscono un
punto di riferimento nella socializzazione, nell’identità, nella delimitazione
del territorio e della localizzazione della popolazione.
Così la popolazione rurale vive in accordo con una serie di principi che è
consuetudine applicare all’acqua. Secondo gli agricoltori “l’acqua è comune,
nessuno può togliere il diritto all’accesso, l’acqua non ha proprietario, è della
gente, è degli animali, l’acqua è per tutti”.
Questi principi vanno a scontrarsi sia con una legge emanata dal
Parlamento brasiliano nel ’97 che regolamenta l’uso dell’acqua quale risorsa
vulnerabile, finita, scarsa, sia con la mentalità propria della multinazionale.
Microscopicamente potremmo subito pensare all’agricoltura e dall’assenza
settori che tuttora sfamano milioni di brasiliani, messi in ginocchio
dall’assenza d’acqua e delle conseguenti ondate migratorie di “flagelados”
che a milioni lasciano le campagne per raggiungere città sempre più
sovraffollate. Però, quello che più spaventa e fa rabbrividire è l’avanzare
dell’ideologia dominante: quella della speculazione di tutto e di tutti.
IL CASO”MANAUS”
Il governo brasiliano intende privatizzare l'acqua di molti fiumi, laghi e
serbatoi che appartengono allo Stato, per poter realizzare allevamenti di
pesce. Si tratta di una misura che fa parte della logica di privatizzazione
delle risorse naturali, in corso in Brasile.
Se è vero che l'acqua si sta sempre più trasformando in merce, occorre
ricordare che la legislazione brasiliana afferma che l'acqua è un bene dello
Stato, «un bene di dominio pubblico», e quindi non può essere privatizzata.
Tuttavia, c'è chi riesce ad aggirare questo «problema»: se l'acqua non può
essere privatizzata, può però essere concessa una licenza per il suo utilizzo.
In questo contesto, spicca il caso dell'Amazzonia e, in particolare, la vicenda
di Manaus.
L'Amazzonia possiede il 75% dell'acqua dolce del Brasile. Manaus è la città
più importante della regione ed è significativo raccontare come si è
realizzata la privatizzazione dell'acqua.
Manaus, 1.800.000 di abitanti nel 2005. Attualmente si parla di circa due
milioni di abitanti. La maggior parte della popolazione ha difficoltà a
disporre di acqua per dissetarsi e per le altre necessità familiari. Un
paradosso crudele per una città costruita all'incrocio di due grandi fiumi.
Il 63% delle zone denominate Zona Est, Zona Nord e Città Nuova non
hanno acqua. Quasi metà della città utilizza acqua senza nessun trattamento e
senza che vengano effettuati periodici esami di laboratorio e controllo
sanitario. Malgrado i due fiumi portino acqua potabile, ci si affida alla acque
sotterranee, mediante pozzi artesiani.
La popolazione non rimane passiva, lotta con iniziative concrete e
mediante rivendicazioni organizzate, esigendo dal potere pubblico il
rispetto del diritto fondamentale all'acqua.
In un'azione collettiva che, viene chiamata mutirão varie famiglie uniscono
gli sforzi per trovare le risorse per perforare un pozzo di uso comunitario.
L'impresa non è facile, poiché per avere acqua di buona qualità bisogna
superare gli 80 metri di profondità.
Alcune istituzioni locali, come scuole e centri sanitari, hanno costruito
pozzi per la gente. Qui si formano lunghe file fin dal mattino presto. Ci sono
poi pozzi artesiani di poca profondità, nei giardini delle case. Sono pozzi
contaminati e, quindi, pericolosi per la salute.
L'uso di cisterne è un costume antico, soprattutto nell'arido Nord-Est,
costume che era stato abbandonato. Ritorna ora nella periferia di Manaus,
regione delle acque!
L'azienda protagonista del processo di privatizzazione dell'acqua a
Manaus è il gruppo francese Suez, presente nel mercato dei servizi idrici in
altre città e municipi del Brasile.
Il
processo
comincia
nel
1999
nasce
senza
debiti.
Nel 2000, rapidamente, senza dibattiti popolari e mandando la polizia a
circondare l'assemblea legislativa, il governatore Amazonino Mendes vende
al gruppo Suez la Manaus Saneamento, che assume il nome di Águas do
Amazonas. Il costo è di 193 milioni di reais, quando il valore contabile era
stimato in 480 milioni.. La concessione è per 30 anni, potendo rinnovarsi per
altri 15.
La prima conseguenza è stata un aumento delle tariffe pari a oltre il
doppio dell'inflazione. Quando l'azienda ha annunciato un incremento del
31,5% delle tariffe dell'acqua, senza che fosse stata nel frattempo allargata
o migliorata la rete di distribuzione,alcune famiglie dovrebbero pagare per
la bolletta dell'acqua un prezzo mensile corrispondente al proprio salario.
Così, oggi, più di 300mila abitanti non hanno accesso all'acqua, per il
semplice fatto che non possono pagarla. L'acqua, poi, continua a essere
pericolosa per la salute, dato che il suo livello qualitativo è molto dubbio.
Oltre a questo, la nuova impresa non ha fornito praticamente nessun servizio
di fognatura: solo il 7,2% della città è ricoperto dalla rete contro il 31%
previsto dal contratto.
Alcuni leader popolari hanno preso l'iniziativa per difendere gli interessi
dei più poveri. La prima forma di resistenza è stata quella di decidere di non
pagare l'acqua.
La Águas do Amazonas ha tentato di giustificarsi, dicendo che è stata
ingannata, che non conosceva la situazione della distribuzione dell'acqua e
delle fognature a Manaus e che lo Stato ha fornito dati falsi ,propone di
dividere la città in due aree: una «consolidata», dove l'acqua distribuita sarà
potabile, e l'altra di «espansione », dove questo non sarà possibile.
PROGETTO UN MILIONE DI CISTERNE
Il progetto “Un milione di cisterne“ fa parte del programma “Fame zero”
lanciato dalla Presidenza di Lula. In Brasile il progetto è coordinato dalla
ASA (Articulacao no Semi-Arido Brasileiro) di cui fanno parte oltre 700
associazioni che hanno aderito al programma Semi-arido brasiliano e dalla
struttura operativa AP1MC (Associazione programma “un milione di
cisterne” ).
Il sostegno al progetto da parte del Comitato internazionale per il
Contratto Mondiale dell'acqua deriva dall'impegno assunto dal Comitato, a
conclusione del 1° Forum Mondiale Alternativo dell'acqua a Firenze, in
favore dell'accesso all'acqua potabile per tutti gli abitanti del Pianeta entro
l'anno 2020.
Questo impegno promuovere da parte degli Enti locali e della società
civile nuove modalità di cooperazione decentrata, solidale, tra cittadini del
mondo sviluppato e dei paesi poveri.
LE GUERRE DELL'ACQUA
La grave crisi idrica che sta colpendo, particolarmente nell’ultimo secolo,
molte zone della Terra ha permesso che questa risorsa assumesse un valore
geopolitico di primissimo piano.
Attualmente nel mondo si stimano attivi circa 48 conflitti legati all'acqua,
concentrati soprattutto nei cosiddetti paesi in via di sviluppo che, con
diversi livelli d’intensità, insanguinano i cinque continenti. Tali guerre sono
legate dall’uso che i paesi fanno dell’acqua condivisa con gli altri Stati e
durano a volte per lunghi anni, nell’indifferenza e nel silenzio dei mass media
e dell’opinione pubblica.
Tra i primi conflitti riguardanti il settore idrico troviamo quello che ha
avuto per oggetto il Gange, uno dei più grandi fiumi al mondo. Le prime
tensioni sono state alimentate, negli anni '60, dalla realizzazione della diga di
Farakka da parte dell’India che finiva per danneggiare i paesi a valle, tra cui
il Bangladesh, e ridurre drasticamente l’apporto idrico. Questo fece cessare
tutte le trattative sino al 1996 anno in cui fu stipulato un trattato
trentennale con il quale l’India si è impegnata a lasciare al Bangladesh metà
dell’acqua che arriva alla diga di Farakka. Tale trattato, tuttavia, presenta
gravi errori sulle stime del flusso d’acqua del Gange e non tiene conto
dell’impatto ambientale sulla regione. Numerosi esperti di problemi idrici
ritengono che la tensione possa trasformarsi in un vero e proprio conflitto
per l’acqua.
Al centro di un'altra disputa, questa volta tra Turchia da una parte e Stati
arabi dall’altra, vi è la scelta di avviare, negli anni novanta, la costruzione di
un gigantesco piano idrico che interessa il Bacino del Tigri e dell'Eufrate,
chiamato GAP. Questo viene considerato il maggior progetto idraulico della
Turchia e uno dei maggiori del mondo che prevede tra l’altro la costruzione
di una gigantesca diga, denominata Atatürk.
Questo progetto ha provocato una riduzione notevole delle portate dei
corsi, così da indurre l’Iraq ad avviare la creazione del canale artificiale che
prende il nome di Saddam, che ha trasformato gran parte del territorio che
risultava essere paludoso in terreno arido. La situazione potrebbe
peggiorare con la realizzazione della grande diga di Ilısu, sul Tigri, nei prossimi
anni, ed assistere alla divisione del territorio curdo operata dalle acque del
lungo lago artificiale, ciò che potrebbe portare a una forte opposizione
locale, ma anche a peggiorare la già limitata portata del fiume.
Ogni giorno i giornali e la televisione ci mostrano le immagini del conflitto
israelo-palestinese, ma difficilmente menzionano l'importanza che le risorse
idriche, quelle del bacino del Giordano, rivestono nello scontro.
Con la nascita dello Stato israeliano (1948) il controllo sull’acqua ha assunto
un ruolo determinante nelle relazioni tra Giordania, Libano, Siria, da una
parte, e Israele dall’altra. L’assenza di un accordo riconosciuto dalle parti ha
legittimato gli Stati a dare vita individualmente ai propri piani di intervento
idrico: la Giordania ha progettato una serie di dighe sugli affluenti del
Giordano. L’ex primo ministro israeliano Levy Eshkol dichiarava, nel 1962,
che l’acqua è il sangue nelle nostre vene” e che impedirne l’accesso sarebbe
stata causa di guerra. La reazione, da parte d’Israele al progetto sulle dighe
promosso dal governo giordano non si è fatto attendere, il quale, due anni
dopo dalla dichiarazione del ex primo ministro, ha bombardato il progetto
ancora in costruzione.
Poi, nel giugno del 1967 è cominciato il vero e proprio scontro militare
con la Guerra dei Sei Giorni, infatti il primo obiettivo bombardato
dall’esercito israeliano è stato proprio il cantiere edile addetto alla
diversione dei fiumi.
L'esito del conflitto ha posto sotto il controllo governativo e militare
israeliano tutte le risorse idriche della Palestina, della Cisgiordania, della
striscia di Gaza, del Sinai e delle Alture del Golan.
Negli anni ‘90 tra Israele e l’OLP è stato siglato il primo accordo, la
“Dichiarazione di Principi”, con il quale “Israele riconosce i diritti dei
palestinesi sull’acqua in Cisgiordania”. Ma centinaia di colonie installate
all’interno dei territori palestinesi, sia in Cisgiordania che a Gaza,
contribuiscono a violare il diritto sociale all’acqua dei palestinesi. Oggi solo il
5% dei terreni coltivati dai palestinesi è irrigato, contro il 70% delle aree
coltivate dai coloni israeliani.
In base al diritto internazionale generale, lo Stato di Israele ha il dovere di
usare le acque internazionali, condivise in questo caso con il popolo
palestinese, secondo il principio della “sovranità limitata”. Evitare di recare
danni alla qualità e al flusso delle acque condivise dagli altri Stati, e di
cooperare nella gestione della acque e informare gli altri Stati della sua
politica idrica. In realtà Israele non ha mai consultato le autorità palestinesi.
I palestinesi residenti in Cisgiordania hanno continuato a subire i continui
razionamenti e le improvvise interruzioni d’acqua, di contro all’enorme
quantità messa a disposizione dei coloni israeliani. Contemporaneamente la
striscia di Gaza, zona caratterizzata da un clima arido e povera di risorse
idriche, è stata giudicata da un rapporto della Banca mondiale la regione con
la situazione idrica più critica al mondo.
Il problema delle risorse idriche costituisce un ostacolo fondamentale alle
trattative di pace, come ha riconosciuto lo stesso premio Nobel per la pace
Yitzhak Rabin che ha dichiarato “Senza accordo sull’acqua, non ci sarà nessun
accordo”.
In Africa gli scontri maggiori si sono avuti tra Egitto, Etiopia e Sudan per il
controllo del Nilo.
Nel 1958, l’Egitto diede inizio ai lavori di costruzione della diga di Assuan,
che costrinse 100.000 sudanesi ad evacuare dalle proprie abitazioni. L’anno
successivo i due paesi decisero la spartizione delle risorse idriche: il Sudan in
cambio dell’aumento della quantità d’acqua ottenuto, approvò la
costruzione della diga di Assuan, ma Etiopia, dal canto suo, reclamò un
diritto prioritario di utilizzo delle acque del fiume visto che il Nilo Azzurro
nasce proprio sull’altopiano etiopico e contribuisce alla sua portata per
l’83%,minacciando di costruire una diga sul Nilo Azzurro. Questo ha portato
nel 2004, alla stipulazione di un intesa tra Egitto, Etiopia e Sudan per la
creazione di un parlamento che coinvolge i dieci Stati del bacino nilotico.
Ma, al di là di dei tentativi di negoziazione, la diga di Assuan rappresenta un
bersaglio fondamentale in caso di conflitto tra questi paesi, con
conseguenze catastrofiche qualora venisse distrutta.
Passando al Nord America, controversi furono i conflitti tra Messico e
USA per l’appropriazione delle acque del fiume Colorado, in particolare a
causa della costruzione di acquedotti e dighe. Nel 1944 venne raggiunto un
accordo sulla gestione del fiume che stabiliva una quota fissa di acqua
destinata allo Stato messicano, non contenendo, però, clausole a tutela della
qualità dell’acqua, tanto che il livello qualitativo cominciò a crollare
vertiginosamente.
Il governo di Città del Messico accusò gli Stati Uniti di aver ricevuto acqua
che, a causa del suo basso livello qualitativo, era inutilizzabile a scopo
agricolo , compromettendo, pertanto, la produzione del paese.
Di recente, questo fiume è stato colpito da gravi problemi di
inquinamento e le numerose dighe degli Stati uniti hanno provocato anche
gravissimi danni ambientali, riducendo il fiume a poco più di un torrente.
Gli insegnamenti che possiamo cogliere da questi fatti sono chiari: non c'è
nessuna ragione economica, culturale, politica e religiosa valida che possa
giustificare l'utilizzo dell'acqua come strumento di mantenimento dei
conflitti. E la risoluzione di queste controversie sta nell’alimentare la
democrazia ecologica ed economica con l’obbiettivo, di raggiungere una
gestione integrata delle risorse idriche poiché se si costruisce la democrazia,
si costruiscono anche la cooperazione e la pace.
LA MERCIFICAZIONE
DELLA VITA
LA PRIVATIZZAZIONE E
LA GESTIONE DEI SERVIZI IDRICI
Solo il 3% dell'acqua presente sul nostro pianeta è potabile, di questa il
2,7% viene usata dall'agricoltura e dall'industria. Più di 1.400.000.000 di
persone al mondo non hanno accesso all'acqua potabile, e più di 30.000
muoiono ogni giorno a causa dell'assenza di servizi idrico/sanitari adeguati.
Rimane solo lo 0,3% di acqua potabile, la sua tutela e la sua gestione
assumono un ruolo sempre più rilevante, nella drammatica previsione che nel
2025 il 60% (3.000.000.000 di persone) della popolazione vivrà in situazioni
di stress idrico1.
Questo scenario provoca quello che potremmo definire il paradosso del
profitto, ovvero l’atteggiamento di alcune grandi compagnie che si
occupano della gestione dell’acqua e che intravedono in questo scenario il
nuovo business del futuro. Attraverso le leggi che regolano il mercato di
queste multinazionali il connubio ‘scarsità dell’acqua’ e ‘business’ configura
l’acqua come merce, come bene economico il cui prezzo è meramente
stabilito dalle leggi di mercato e non tiene conto dell'enorme importanza
che questa risorsa riveste per la vita e non solo quella umana.
La storia delle privatizzazioni rileva che in regimi privatistici l'accesso e
la distribuzione dell’acqua non vengono sempre garantiti. Basta
riportare qui alcuni dati: a Buenos Aires il 58% della popolazione non era
servita dal settore idrico privatizzato, a Cartaghena l’Aguas de Barcelona
aveva promesso di coprire il 90% della popolazione entro il 1999, ma un
rapporto della Banca Mondiale di quell’anno affermava che 1/3 della
popolazione non aveva accesso all’acqua, in Gran Bretagna con le
privatizzazioni aumentò del 50% il numero di utenze a cui fu sospesa
l’erogazione del servizio idrico.
Una seconda negativa caratteristica della gestione privatizzata del settore
idrico è rappresentata dall’impennata delle tariffe.
Anche in Italia diventa sempre più costoso accedere ad acqua dolce e di
buona qualità. In molte regioni la sua distribuzione resta inadeguata e carente.
Il 50% delle imprese che gestiscono i servizi idrici italiani è privatizzato, il
restante 50% è affidato a s.p.a. il cui capitale è in mano ai comuni. Questo sta
avvenendo in tutto il mondo, il che implica un vero e proprio processo di
mercificazione.
Mentre le tariffe crescono l’occupazione e gli investimenti sulla rete
calano drasticamente, anche le manutenzioni si riducano, ma i profitti
arrivano in alcuni casi ad aumentare del 147% con un incremento del
50-200% delle paghe degli alti dirigenti. Inoltre il controllo dell’acqua non è
1
Cfr. www.invisiblewater.org
più in mano all’ente locale, ma al consiglio di amministrazione di una
multinazionale, lontana e fredda, che decide sulla base delle proprie scelte
azionarie e del capitale finanziario le modalità con cui erogare l'acqua. E'
questo il passaggio alla mercificazione.
Questi sono i principali problemi legati alla privatizzazione e
mercificazione di diritti fondamentali, ma è ancora possibile riaffermare che
l'acqua è un diritto fondamentale, contrastando questo suo processo di
trasformazione da diritto a bisogno perché i bisogni si soddisfano in funzione
del potere d'acquisto che uno ha.
Per fortuna la realtà ci insegna che si può anche tornare indietro sulla
strada delle privatizzazione e rendere così di nuovo l’acqua un bene per
tutti, a portata di tutti. In questo senso è significativo l’esempio di Grenoble,
una città della Francia meridionale, dove la gestione dell’acqua è stata
affidata ai privati dal 1985 al 2000, anno in cui venne ripubblicizzata. Gli
effetti positivi sono stati immediati: la qualità del servizio è migliorata, il
prezzo dell’acqua è stato ridotto e tutte le decisioni in merito al servizio
vengono prese in modo chiaro e trasparente da autorità elette dalla
popolazione, tutte le informazioni sono a disposizione del pubblico e gli
interventi relativi alla manutenzione a al miglioramento del servizio sono tre
volte quelli effettuati durante la gestione privata.
In Europa il Belgio ha dichiarato che l'acqua è pubblica, il Lussemburgo,
l'Olanda, addirittura la Svizzera ha stabilito che l'acqua è un monopolio di
stato, Francia e Germania hanno bloccato il processo di privatizzazione,
adesso tocca a noi tornare indietro e riappropriarci di questo bene comune
riportandolo nelle mani della società civile.
Chiudendo con le parole di Padre Alex riferite alla privatizzazione: “Lo sai
che questo significa la morte di milioni di persone per sete? Con questa
logica di privatizzazione, se oggi abbiamo cinquanta milioni di morti per
fame, domani avremo cento milioni di morti di sete. Sono scelte politiche
che si pagano con milioni di morti”.
IL BUSINESS DELLE ACQUE MINERALI
Un altro aspetto della privatizzazione delle risorse idriche riguarda la
forte espansione del mercato dell'acqua in bottiglia che viene ormai definita
“l'oro blu” del 21° secolo. Le fonti idriche sono ormai oggetto di
sfruttamento da parte delle grandi multinazionali del settore e, come
afferma Riccardo Petrella, “la mercificazione dell’acqua, facilitata dal boom
delle acque minerali, rappresenta uno dei mali più grossi e insidiosi”.
L'Italia è una nazione ricchissima di fonti, e non fa parte per fortuna di
quella parte del mondo che non ha accesso a questo diritto fondamentale,
ma continua a cresce nella popolazione l’abitudine al consumo di acqua
minerale: il 98% di Italiani la preferisce sempre più all'acqua potabile.
Secondo Emilio Molinari (Presidente del Contratto Mondiale per l'Acqua)
si tratta di una grande operazione ”truffaldina”, Si è convinto la gente che la
potabilità dell'acqua è garantita solo dalla messa in bottiglia, ma per
definizione e per concreta manifestazione la sola acqua potabile è quella del
rubinetto perché controllata quotidianamente al fine di garantire
l'obbligatorietà di rispettare tutti i vincoli ed i parametri di potabilità.
Molti non bevono acqua di rubinetto perché non sopportano l’odore del
cloro, una sostanza immessa nelle acque per garantirne l’igiene. Pochi sanno
che il cloro è una sostanza che evapora rapidamente, è sufficiente lasciare
una brocca d'acqua per circa 20 minuti nel frigo perché il cloro svanisca
completamente.
Le acque imbottigliate non nascono come acque potabili, ma come acque
curative, l'eccesso di certi sali rispetto ad altri le rendono adatte per di
alcuni tipi di malattie. Quando si è capito che poteva rappresentare un
grosso business convincendo la gente che quella di rubinetto non è acqua
sicura, il mercato delle acque in bottiglia ha iniziato ad avere il suo boom
esplosivo. Si è diversificata e si racconta di acqua che non fa ingrassare (da
quando l'acqua fa ingrassare?), di una che non ha colesterolo2 (bisognerebbe
informare i diabetici...), di quella povera di sodio (in un acciuga c'è un
concentrato di sodio che è 1.000.000 di volte quello che può essere
presente in acqua.), ed altri slogan e false verità di cui siamo
quotidianamente vittime. In questo senso gioca un ruolo fondamentale la
pubblicità, basti guardare il seguente grafico per avere un'idea dell'influenza
che i media possono avere sulle abitudini degli italiani.
2
L'uomo produce per biosintesi autonoma la maggior parte del colesterolo necessario. Solo una piccola
parte (in media , massimo 0,5 grammi) viene assunta con l'alimentazione.
Le aziende private che gestiscono l’estrazione di queste acque godono di
una legislazione estremamente favorevole. La normativa che regolamenta le
acque minerali rientra in quella generale del settore Minerario, considerando
l’acqua al pari delle altre risorse ad uso industriale. Tale normativa fissa dei
canoni concessori veramente irrisori rispetto al fatturato della maggior
parte di queste aziende private. Lo Stato ricava da queste concessioni meno
di 500 mila euro all’anno a fronte di fatturati che si aggirano attorno ai 400
miliardi di euro.
A questo basso costo di un bene prezioso per tutta l’umanità, si deve
aggiungere il costo di smaltimento delle bottiglie in plastica a carico
ovviamente della collettività (circa 6 miliardi di bottiglie l'anno finiscono
negli inceneritori).
Purtroppo, in questo contesto, l’Italia non fa una bella figura in quanto
detiene il primato mondiale di consumo di acque imbottigliate. Il consumo
medio pro capite, che nel 1988 era di 80 litri, nel 2003 si è più che
raddoppiato passando a 182 litri, con un incremento pari al 115%. Da notare
che nel resto dell’Europa occidentale l'incremento è stato del 106%3.
Queste elevate cifre del consumo di acque imbottigliata in Italia possono
trovare una spiegazione, oltre che nell'illusione pubblicitaria, anche nella
contestuale sfiducia che gli italiani provano nei confronti dell’acqua di
rubinetto. E su questa sfiducia occorre soffermarsi con dati alla mano. Infatti,
il primo motivo che si potrebbe portare a giustificazione di questo
atteggiamento è la considerazione che le acque di rubinetto siano poco
salubri. Ma ciò non corrisponde a realtà prendendo in considerazione, in
particolare, quello che è considerato il maggiore indicatore della salubrità
dell’acqua, ovvero la presenza di nitrati4: maggiore è la loro quantità
peggiore è la sua qualità, con la notazione che tale composto non dovrebbe
superare la concentrazione massima ammissibile di 50 mg/l.
Ebbene, a fronte di un contenuto medio nazione piuttosto basso (9,4 mg/l
nel 2003)5, si registra un decisivo atteggiamento di sfiducia degli italiani
verso l’acqua potabile. Sicuramente, riguardo questo aspetto, è da
sottolineare una scarsità di informazioni sulle caratteristiche biochimiche del
bene in questione, spesso condivisa solo da pochi gruppi di persone e
sconosciuta alla massa. Questa affermazione assume maggiore rilievo se
confrontata con la salubrità delle acque minerali in bottiglia. Come ricorda
Altamore6, “la legge italiana stabilisce che le acque in bottiglie possono
contenere sostanze tossiche ed elementi salini in concentrazioni così elevate
3
Fonte Beverfood, citata in www.ares2000.net.
La presenza di nitrati nell'acqua è diretta conseguenza dell’uso intensivo dei concimi in agricoltura. Il
problema principale dei nitrati è che nell’acqua, e nell’organismo umano, vivono batteri che trasformano i
nitrati in nitriti, che sono tossici ed ostacolano l’ossigenazione dell’organismo attraverso il sangue. Cfr. F.
Martire, R. Tiberi, Acqua. Il consumo in Italia, EMI 2006.
5
Fonti ISTAT 2003.
4
che, se sottoposte ad analisi di laboratorio come la comune acqua di
rubinetto, il responso potrebbe essere “acqua non potabile” […] Una
quantità di arsenico superiore ai 10 µg/l, ad esempio, rende imbevibile
l’acqua di casa, ma nella minerale può raggiungere anche i 50 µg/l. E, ancora,
nell’acqua in bottiglia il manganese può arrivare a 2000 µg/l, ma
nell’acquedotto deve rimanere al di sotto dei 50 µg7l. Per queste come per
altre sostanze tossiche, inoltre non c’è alcun obbligo di indicazione in
etichetta, sicchè la composizione analitica delle acque minerali è assimilabile
a un segreto di Stato”7.
Un passo da compiere è sicuramente quello di organizzare campagne
informative finalizzare a rendere note al pubblico le qualità biochimiche
dell’acqua potabile di rubinetto e a rendere trasparente tutto ciò che ruota
attorno al business dell’acqua minerale. Perché nessuno ce la dia più a bere.
6
Vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana” si occupa prevalentemente di economia, di consumi e di
sicurezza alimentare con diverse inchieste dedicate all’affaire delle acque minerali.
7
Cfr. G. Altamore, Qualcuno vuole darcela a bere. Acque minerali uno scandalo sommerso, Frilli 2005.
AMBIENTE &ACQUA
Un viaggio fino al cuore del Salento
Nel suo ciclo naturale l’acqua, sia quella meteorica che quella proveniente
dal dilavamento dei suoli o quella di derivazione fluviale o lacustre, passa
attraverso la zona di aerazione caratterizzata dalla presenza di una mistura
di aria e acqua tra le rocce e le particelle del suolo.
Qui l’acqua può essere assorbita dalle piante, essere scaricata in un corpo
idrico ricevente, fluire nel suolo sottostante cioè nell’acquifero (falda),
definito come formazione rocciosa o sedimentaria capace di accumulare,
contenere e trasmettere (produrre, rendere) quantità di acqua a pozzi o
sorgenti. Le attività antropiche e gli eventi naturali possono essere causa di
contaminazione degli acquiferi, che possono arricchirsi di materiali
indesiderati tra i quali possono essere annoverati microrganismi come
batteri, virus e protozoi patogeni.
L’incremento della popolazione e la sempre maggiore richiesta di
acqua rendono necessario un approccio critico alla gestione delle
risorse di acque sotterranee.
Ciò deve essere particolarmente sentito per quei territori nei quali le
acque sotterranee rappresentano la risorsa idrica preponderante. È il caso
del nostro paese nel quale l’acqua utilizzata dalla popolazione è in
percentuale elevata di provenienza sotterranea, l’80% circa.
Rispetto alle acque superficiali, quelle sotterranee dovrebbero essere di
qualità igienica migliore poiché gli strati del suolo agiscono su di esse come
filtri naturali.
Questo tipo di risorsa, comunque, può risultare contaminata da
apporti provenienti dagli strati superiori o dalla superficie dei
terreni e, in funzione del tipo di terreno che attraversa, può
mantenere o meno i contaminanti acquisiti.
L'acquifero salentino, costituisce l’unica risorsa idrica autonoma per il
nostro territorio, da salvaguardare e proteggere attivando urgentemente
interventi di risanamento volti prioritariamente alla rimozione delle
immissioni nel sottosuolo attualmente esistenti e a favorire il riuso irriguo
dei reflui depurati, con la duplice finalità di recupero di questa risorsa non
convenzionale ed una auspicabile riduzione dei prelievi in atto dalla falda.
I caratteri di elevata permeabilità dei litotipi affioranti non consentono un
deflusso regolare delle acque di origine meteorica verso il mare, ma
permettono una diretta alimentazione del sistema idrico sotterraneo.
Il territorio della Provincia di Lecce è caratterizzato da una fitta rete
carsica, formata da cavità aventi forma e dimensioni differenti e variamente
distribuite tanto in superficie e nel sottosuolo quanto in profondità. Di
solito laddove il deflusso superficiale e l'infiltrazione delle acque di pioggia
si manifestano in forma diffusa le cavità carsiche si distribuiscono in
superficie senza alcun ordine
apparente; viceversa, nelle zone
caratterizzate da pendii più o meno acclivi e delimitati da spartiacque più o
meno decisi con linee di impluvio convergenti verso aree depresse, la
circolazione idrica superficiale e la infiltrazione delle acque meteoriche si
esplica prevalentemente in forma concentrata. E’ proprio la presenza di
queste fessurazioni e carsificazioni che consente lo scorrimento delle acque
della falda profonda. La falda profonda è sostenuta alla base da acqua di
mare di invasione continentale con una interfaccia, tra le due acque, di
profondità variabile dall'ordine di alcune decine di metri a pochi decimetri
nelle zone prossime alla costa. Il fenomeno dell’intrusione marina assume un
peso importantissimo sullo stato
qualitativo delle risorse idriche
sotterranee.
Le principali falde superficiali nel territorio Provinciale si rinvengono:
1. nell’area di Campi Salentina (a sud);
2. nella parte centrale e meridionale del territorio provinciale e nell'area
di Taviano;
4. nell'area compresa tra le Serre di Casarano, Alessano e gli affioramenti
eocenici e di Pietra Leccese del versante adriatico;
5. nella fascia adriatica tra Lecce ed Otranto.
Le acque sotterranee rappresentano per il Salento l’unica risorsa
uniformemente distribuita sul territorio e come tale è deputata a
soddisfare l’idroesigenza dei comparti civile-potabile, irriguo ed industriale.
Tale circostanza, in mancanza di una corretta politica di gestione
e di salvaguardia della risorsa ha fatto sì che alle acque
sotterranee si è fatto sempre più ricorso, anche per sopperire al
deficit di altre risorse idriche, determinando sensibili squilibri negli
acquiferi.
Gli impianti depurativi (con particolare riferimento a quelli gestiti
dall’AQP S.p.A.) evidenziano sistemi di smaltimento confrontabili con i
caratteri morfologici, litologici ed idrogeologici della singola porzione di
territorio cui sono a servizio. Il numero elevato di Comuni, in
considerazione dell’alta densità dei centri urbani, della modesta dimensione
degli stessi e della loro pressoché omogenea distribuzione sul territorio, ha
favorito l’adozione di soluzioni impiantistiche consortili, soluzione in linea
con le prospettive del Piano Direttore a stralcio del piano di tutela delle
acque della Regione Puglia. Circa il 40% degli impianti di depurazione
presenti sul nostro territorio provinciale hanno come recapito finale
dell’effluente il sottosuolo. Il restante 60% è omogeneamente distribuito
tra scarichi convogliati a mare (Lecce, Gallipoli, Santa Cesarea Terme, Porto
Cesareo, Nardò), scarichi su suolo (Casarano, Squinzano, Alliste, Collepasso) e
recapito collettato in corsi idrici superficiali.
Particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell'impiego
sempre più cospicuo di sostanze chimiche come fertilizzanti o pesticidi
nelle produzioni agricole, considerate uno dei fattori principali di
inquinamento, a seguito del dilavamento dei suoli, con effetti eutrofizzanti
e, talvolta, tossici. Fondamentale è realizzare la salvaguardia delle “aree
vulnerabili”. Ai sensi della normativa vigente, si considerano vulnerabili da
Nitrati le “zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente
composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero essere inquinate in
conseguenza di tali scarichi”.
Da noi, il maggior pericolo da prevenire risulta quello dell’inquinamento
delle falde idriche sotterranee data la nota permeabilità del suolo.
Molto grave è anche il fenomeno dell’intrusione salina delle acque marine
in quelle di falda a seguito dell’eccessivo sfruttamento di queste ultime.
Le acque sotterranee profonde esistenti nel sottosuolo pugliese
contribuiscono all’apporto idrico con volumi d’acqua, impiegati soprattutto
per alimentare la rete acquedottistica o per uso irriguo. Quando
concentrato in determinate aree, il Numero di pozzi esistenti è causa di
alterazione di qualità della risorsa idrica sotterranea, in quanto il gioco di
pressioni suolo-aria-acqua che si innesca, può generare fenomeni di
contaminazione salina da parte dell’acqua proveniente dal mare. Il fenomeno
della “intrusione salina” è iniziato, ormai, da tempo nelle falde idriche della
regione in prossimità della costa. Di qui la necessità di contenere le
autorizzazioni per trivellazione di pozzi sul territorio, onde evitare il
depauperamento di risorsa idrica sotterranea di qualità.
L’acqua captata dalle fonti segue percorsi ben precisi nelle grandi reti di
adduzione e successivamente di distribuzione attraverso gli schemi
acquedottistici esistenti all’interno dei centri urbani; ma non tutta arriva ai
rubinetti per essere utilizzata. Alle perdite, che possono verificarsi lungo il
percorso dell’acqua nell’acquedotto, bisogna aggiungere quelle cosiddette
“apparenti” di tipo fisico, corrispondenti ai volumi d’acqua non
contabilizzati, anche se risultanti come erogati all’utenza. Le aliquote delle
perdite apparenti sono riconducibili soprattutto ai prelievi abusivi,
abbastanza diffusi nella regione, ed al cattivo funzionamento dei contatori
delle utenze o alla errata rilevazione delle misure.
Queste possono essere valutate insieme a quelle relative alle reti di
distribuzione interna ai centri abitati attraverso i volumi d’acqua che
risultano fatturati.
Fonti:
PROVINCIA DI LECCE - ASSESSORATO ALLE POLITICHE DI RISANAMENTO AMBIENTALE, (a cura),
Rapporto sullo Stato dell’Ambiente della Provincia di Lecce, Galatina, TorGraf, 2003
ARPA PUGLIA – Relazione sullo Stato dell’Ambiente 2006, Bari, Rainò Promotions S.r.l. Unipersonale