la mercificazione dell`acqua - Isf
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la mercificazione dell`acqua - Isf
OSIAMO ... difendere l'ACQUA “Gusteremo Acqua Libera” OSIAMO (ORGANIZZAZIONI SALENTINE IN ARMONICO MOVIMENTO) è una rete di associazioni, che hanno statuti e obiettivi molto diversi tra loro, la cui finalità è quella di mettere ognuna a disposizione delle altre il proprio know – how per il raggiungimento di risultati in linea con i propri principi. Questo movimento nasce dall’esigenza di dare forza e strumenti a chi spende molte ore della propria giornata al servizio della collettività senza chiedere in cambio nessun ringraziamento o contributo, ma semplicemente perché convinti delle proprie idee e consapevoli che è necessaria la loro divulgazione, e non l’imposizione, offrendo alla società l’opportunità di valutarle e condividerle trasformandole in realtà. Il periodo attuale rappresenta un momento della storia dell’umanità nel quale devono essere prese delle decisioni radicali, in tutti gli ambiti economici, ambientali e sociali con obiettivi profondamente diversi da quelli inseguiti negli ultimi quarant’anni, in quanto oggi viviamo in un contesto nel quale non vi sono più i presupposti per un processo di continuità. L’attuale società nonostante stia pagando gli errori derivanti dalle scelte passate ha il vantaggio di avere all’interno di sè, la prima generazione che ha potuto accedere ad alti e variegati livelli di istruzione in modo massiccio e che quindi possiede un bagaglio culturale diversificato che potrebbe rappresentare un punto di forza determinante nelle fasi di scelta. I giovani hanno il diritto di pretendere un futuro a misura d’uomo ma allo stesso tempo il dovere di garantirlo alle future generazioni. La definizione dello stato di un sistema non deve essere affidato alle sole istituzioni, ma deve avvenire su più livelli partendo proprio dalla popolazione, attraverso l’espressione dei propri bisogni, l’analisi delle alternative e la definizione delle linee d’azione nell’ottica di un approccio partecipativo. A tal proposito l’associazionismo rappresenta un modo attraverso il quale la gente può contribuire a tale processo. Sulla base di tali considerazioni nasce sul territorio salentino “OSIAMO”, nell’ottica dell’armonia e della mutualità tra soggetti aventi diverse conoscenze e che inseguono distinti obiettivi, ma che possono essere accomunati tutti dal senso del bene comune e dal valore della partecipazione sociale, prerogative imprescindibili per la realizzazione di un futuro degno di essere vissuto. NORMATIVA INTERNAZIONALE Normativa Internazionale La presa di coscienza dei problemi relativi a questa risorsa risale alla prima Conferenza delle Nazioni Unite sull'acqua, che si è tenuta a Mar de la Plata (Argentina-1977). La conferenza portò questa tematica hai primi posti dell'agenda politica internazionale mettendo in evidenza i dati di base della crisi della risorsa, crisi che ha continuato ad aggravarsi, tanto che le Nazioni Unite promossero il Decennio internazionale dell'acqua potabile '81-'90, che permise un più facile accesso all'acqua a 600/800 milioni di persone con un risultato ben lontano da l' obbiettivo principale di permettere a tutti gli esseri umani di disporre di acqua sana nel 2000. Questa prima fase di iniziative internazionali si è conclusa con la Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, tenuta a Rio de Janeiro nel 1992, durante la quale fu istituita la giornata mondiale dell'acqua, fissata al 22 marzo di ogni anno. Nello stesso anno durante la Conferenza di Dublino l’acqua viene riconosciuta come bene economico, l'assoggettamento dell'acqua alle logiche di mercato ne garantisce la conservazione e protezione. Più recentemente e in modo particolarmente efficace si sono pronunciati il Gruppo di Lisbona e la fondazione di Mario Soares, che nel settembre del 1998 hanno promosso il ‘Manifesto dell’acqua’ mentre il Consiglio Mondiale dell’acqua, un’istituzione privata finanziata dalla Banca Mondiale e composta dalle più grandi multinazionali dell’acqua Forum Mondiali per l’acqua hanno organizzato il Forum di Marrakesh (1997) e dell’Aja (2000) tutti privi di forza vincolante. L'ultimo Forum Mondiale si è svolto a Città del Messico conclusosi senza giungere a nessuna soluzione concreta. Documenti più rilevanti sul piano normativo è il “Patto sui diritti economici, sociali e culturali” del 1966, che enuncia il diritto dei popoli “a disporre liberamente delle proprie ricchezze e risorse naturali”, non specificando cosa viene inteso con “proprie” quando le acque appartengano a più Stati. Pertanto, in conclusione, si può affermare in tema di acqua siamo in presenza di una sostanziale carenza internazionale, sia per quanto riguarda la proclamazione e la tutela del diritto all’acqua e del dovere di cooperazione nell’uso delle risorse idriche internazionali, sia per quanto riguarda la presenza di strumenti di garanzia per la protezione di questi interessi e valori. Normativa Italiana L’esigenza di tutelare l’ambiente ed in particolare l’acqua quale bene fondamentale per la vita, e quindi far nascere una normativa di salvaguardia, in Italia è stata avvertita molto tardi precisamente con il varo della c.d. legge Merli (n. 319/1976) che costituisce tuttora il testo legislativo ambientale per la tutela dell’inquinamento idrico. L'art. 17 bis e ter della Legge Merli sono stati successivamente abrogati dalla Legge Galli n. 36 del 1994. Essa introduce il concetto di tariffa del servizio idrico integrato ponendo l'accento sul legame servizio-tariffa, la quale deve essere in grado di coprire i costi di gestione, manutenzione ed ammodernamento degli impianti. Con questa legge si è voluto rivoluzionare il precedente assetto normativo considerando l'acqua una risorsa da utilizzare secondo il criterio di solidarietà sociale e nel rispetto degli equilibri idrogeologici, al fine di salvaguardare i diritti delle generazioni future. Inoltre, questa legge prevede per la prima volta il concetto di “gestione integrata del ciclo delle acque” attraverso il SII (servizio idrico intergrato) le cui fasi devono essere gestite da un Ambito Territoriale Ottimale (ATO). Le tipologie di gestione previste sono la concessione a privati, l'affidamento diretto a società mista o gestione in house (pubblico-privato) privandola così del suo carattere di bene comune e pubblico. Stato di attuazione della Legge Galli (relazione 2005 Comitato di Vigilanza) Un terzo degli Italiani non gode ancora di un accesso regolare e sufficiente all’acqua potabile; Il 30% degli abitanti dei capoluoghi di provincia è ancora privo di un sistema di depurazione delle acque reflue; Le perdite d’acqua negli usi irrigui si aggira sul 30 % in media. Ciò è dovuto anche al fatto che le autorità preposte non hanno speso entro i termini prescritti una percentuale importante delle risorse disponibili erogate specialmente dall’Unione Europea; Se l'acqua non è una merce sembrerebbe conseguente affermare che su l'acqua non si possono fare utili, invece risulta che ad eccezione di 4 regioni su 15, i ricavi da tariffa sono superiori ai costi operativi totale; Esistono variazioni consistenti di tariffa all’interno della stessa regione tra ATO ed ATO. Normativa Comunitaria Una delle leggi comunitarie in materia ambientale più avanzate e ambiziose è la Direttiva 2000/60/CE che obbliga gli Stati alla protezione delle acquee e ad un utilizzo idrico sostenibile. Inoltre, per la prima volta una Direttiva europea si preoccupa anche dell' aspetto sociale con la protezione della salute, dell’aspetto economico garantendo un accesso delle attività produttive alle risorse e dell' aspetto ambientale con la conservazione delle risorse. Agli Stati Membri spetta il compito di valutare l’impatto ambientale delle attività umane, produrre l’analisi economica e attuare il monitoraggio dello stato delle acque. In materia di privatizzazioni, il Parlamento europeo ha difeso l'acqua come bene comune, votando nel marzo 2006 a Strasburgo una risoluzione ad hoc contro la privatizzazione delle risorse idriche. Nonostante ciò, dopo appena un mese il Parlamento europeo ha approvato la tanto discussa Direttiva Bolkestein che sancisce il via alla liberalizzazione dei servizi in tutta l’Unione europea. L'ACQUA NEL MONDO INTRODUZIONE Nel pianeta solo il 3% circa dell'acqua è acqua dolce e comprende quella imprigionata nei ghiacciai delle calotte polari e nelle distese nordiche, quella sotterranea e, infine, quella compresa nel sistema dell'acqua superficiale e dell'atmosfera; ovunque, in misura diversa, è evidente l'impatto sui sistemi idrici dell'inquinamento da agricoltura, industria e insediamenti abitativi. Il fabbisogno minimo biologico pro-capite per la sopravvivenza umana è di 5 litri di acqua al giorno. Senza cibo si può vivere un mese, senza acqua non si supera una settimana. La Commissione Mondiale per l’acqua ha fissato in 40 litri giornalieri a persona il diritto minimo all’acqua. Con circa 40 litri noi italiani facciamo la doccia, per molti altri rappresenta l’acqua di intere settimane. Inoltre le stime medie indicano un consumo di 350 litri di acqua al giorno per una famiglia canadese, 165 per una europea e di 20 litri per una famiglia africana. Attualmente un abitante della Terra su cinque non ha acqua potabile a sufficienza. Oltre 1 miliardo di persone beve acqua non sicura. Secondo le stime dell’OMS (organizzazione mondiale per la sanità) ogni anno nel mondo muoiono 10 milioni di persone, la metà bambini, per tifo, colera, dissenteria e altre malattie dovute soprattutto alla mancanza di acqua potabile e il conseguente consumo di acqua insalubre. L’acqua sulla Terra è molto più di quella necessaria per gli impieghi umani, eppure il problema della sua crescente scarsità sta aumentando. Diverse attività umane che “consumano” l’acqua, la stanno rendendo rara e/o inquinata. REGIONI Nord America America Latina e Carabi Europa Africa Medio Oriente Asia e Pacifico AGRICOLTURA INDUSTRIA USO DOMESTICO 38,7% 48% 13,3% 70,7% 10,3% 19% 32,4% 84,1% 87,6% 81,3% 52,4% 7,3% 5,5% 11,4% 15,2% 8,6% 6,9% 7,3% L'ACQUA NEL MONDO L’acqua è una delle risorse distribuite nel mondo con maggiore disuguaglianza, infatti basti pensare che meno di dieci paesi si dividono il 60% delle risorse idriche naturali del mondo; per ben 80 Paesi, al contrario, si può parlare di stato di penuria. Ovviamente il problema si acutizza nelle zone più aride del mondo dove vivono più di 2 miliardi di persone, e più della metà dei poveri del mondo. In alcune regioni del mondo, come l'Africa, la scarsità di acqua potrebbe diventare quello che la crisi dei prezzi del petrolio è stata negli anni Settanta: una fonte importante di instabilità economica e politica. KENYA LA CITTÀ DI NAIROBI Il nome della capitale keniana Nairobi derive dal termine masai che significa “luogo delle acque fresche”. In alcune parti della città, tuttavia, l’espressione suona più che altro ironica, visto che la domanda di acqua supera abbondantemente l’offerta. L’Athi Water Services Board (AWSB), ente governativo che gestisce la fornitura dell’acqua a Nairobi e nelle aree circostanti, sostiene che la domanda di acqua è attualmente di 337.487 metri cubi al giorno, ma ai consumatori ne arrivano solo 248.000 metri cubi. Il peggio è che la domanda arriverà a 573.871 metri cubi al giorno entro il 2015 e a 728.229 metri cubi entro il 2020 – fino a superare il milione di metri cubi entro il 2030, secondo un nuovo rapporto dell’AWSB: dal titolo “Fornitura d’acqua e servizi fognari: previsione per la città di Nairobi 2005-2030”. Tuttavia, a Nairobi portare l’acqua a chi ne ha bisogno è complicato dal fatto che le leggi attuali non riconoscono gli insediamenti informali, ostacolando così un’adeguata pianificazione per il problema della fornitura idrica in queste aree. Le cifre del governo indicano che circa il 75 per cento della popolazione di Nairobi, quasi 2,6 milioni di persone, abitano in alloggi miseri e al di sotto dello standard. Se questo problema venisse superato e la fornitura idrica fosse assicurata in queste baraccopoli, si potrebbe presentare un’altra difficoltà dato lo scontento che provocherebbe tra i venditori d’acqua. “Il fenomeno dei venditori privati d’acqua negli slum è una delle conseguenze dell’inefficacia della fornitura ufficiale Makau è presidente della Maji Bora Kibera (Acqua pulita a Kibera), organizzazione di venditori privati d’acqua a Kibera, un insediamento informale abitato da 700.000 persone, pochi chilometri a sud-ovest di Nairobi, e considerato lo slum più grande dell’Africa sub-sahariana. Circa 500 venditori sono registrati alla Maji Bora Libera: vendono acqua ai residenti dell’insediamento a un costo di tre centesimi ogni 20 litri. Questo prezzo per molti dei residenti di Kibera - dove la disoccupazione è fortissima - è troppo elevato. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni membro di una famiglia dovrebbe poter usufruire di minimo 20 litri d’acqua al giorno. Per una famiglia di cinque persone, equivale a 3.000 litri mensili. Il prezzo dell’acqua nelle zone informali è elevato anche rispetto al costo di questo bene in altre aree la popolazione degli insediamenti informali paga l’acqua circa otto volte di più rispetto alle aree più agiate. Gli abitanti della baraccopoli pagano dai tre ai trenta centesimi circa per una tanica d’acqua da 20 litri, a seconda della disponibilità. Chi abita nelle aree più esclusive paga una quota standard di circa 1,7 dollari per 10.000 litri d’acqua – ovvero, meno di un centesimo per 20 litri.,inoltre l’acqua venduta agli abitanti degli slum non sempre è pulita. I venditori ottengono le scorte attraverso l’attacco illegale ai tubi, a danno di altri consumatori. Secondo Amina Mustafa, coordinatore di Ushirika wa Usafi Kibera (Associazione per la pulizia a Kibera), “In queste condizioni, malattie come tifo, colera e diarrea sono molto comuni qui a Kibera". SUD AFRICA - GRAHAMSTOWN: LA SETTIMANA DELL’ACQUA (17-23 MARZO) IN SUDAFRICA Fino all’inizio di febbraio di quest’anno, il termine “crisi nazionale” non era stato in genere mai applicato al settore dell’acqua in Sud Africa. C’erano state diverse crisi localizzate, e molti cominciavano a preoccuparsi per il deterioramento percepito dell’acqua e dei servizi igienici, ma pochi avrebbero parlato di un problema diffuso all’intero paese. Il rapporto della DA, “Allarme tempesta: un’imminente crisi dell’acqua”, osservava che “una combinazione di sorgenti idriche inquinate e di mala gestione delle dighe, delle fognature e degli impianti di trattamento, minaccerebbe gravemente le nostre forniture idriche”. Il rapporto del DA analizza i problemi del settore dell’acqua, proponendo una lista dettagliata di possibili soluzioni. Secondo il documento, i problemi legati all’acqua in Sud Africa rientrerebbero in tre categorie. Nella prima sezione, sulle sorgenti idriche, il rapporto attribuisce alle lotte interne burocratiche ciò che definisce una “disattenzione generalizzata delle istituzioni per le conseguenze ambientali dell’attività industriale”. La seconda sezione individua la mala gestione delle dighe del paese secondo cui solo 160 delle 294 dighe possedute e amministrate dal suo dipartimento sarebbero conformi ai moderni standard di sicurezza. La terza e ultima categoria evidenzia la inadeguata manutenzione dei sistemi municipali di acqua e fognature”. Il tema della Settimana dell’acqua di quest’anno, “sostenere la vita, permettere la crescita”, ha lo scopo di sensibilizzare la popolazione sull’importanza dell’acqua nella vita quotidiana e sul perché proteggere fiumi, laghi e dighe del paese. E in quella stessa occasione aveva lanciato la campagna “Masimbambane”, o “acqua per la crescita”, in collaborazione con l’Unione europea, per finanziare nuovi progetti per l’acqua in tutto il paese. INDIA LA DIGA DELLA NARMADA In India quasi tutte le acque di superficie vengono utilizzate per l'irrigazione. E' possibile attingere ormai solo ad una quantità limitata di acque di falda. Se la popolazione continuerà a crescere fino al 2025 aumenterà anche la necessità di irrigare e il fabbisogno di acqua potrebbe raddoppiare. Nel 2025 anche le riserve di acque di falda disponibili saranno probabilmente esaurite, I conflitti di interessi tra le città industrializzate e l'agricoltura, che necessità della gran parte dell'acqua per la produzione di generi alimentari, si acuiranno. Il fiume Narmada scorre per più di 1300 chilometri e attraversa tre stati dell’India - Madhya Pradesh, Maharashtra e Gujarat - prima di sfociare nel golfo di Khambhat, a nord di Mumbai. La valle del fiume, abitata da 25 milioni di persone, dalla metà degli anni ’80 è teatro di un conflitto per fermare la costruzione di un sistema di dighe, tre delle quali dalle dimensioni imponenti: la Sardar Sarovar, la Narmada e la Maheshwar. La popolazione, raccolta nel Narmada bachao andolan - Movimento per salvare il Narmada, sostenuto da una rete internazionale di ambientalisti, si oppone duramente alla posizione assunta dai governi dei tre Stati indiani e dalla Banca Mondiale, principale finanziatrice del progetto con uno stanziamento iniziale di 450 milioni di dollari.. Il fiume Narmada proviene dalle montagne di Amarkantak a 1057m sopra il livello del mare nel distretto di Shahdol in Madhya Pradesh. Quasi il 90% del flusso del fiume è in MP e la maggior parte del restante è nel Goudjerate. I ritrovamenti archeologici lungo le rive del Narmada hanno provato come questo fiume sia sempre stato considerato come uno dei più sacri in India. Alla fine degli anni '80, il grande progetto di dighe della valle di Narmada, abbozzato già negli anni '60, è definito nei suoi dettagli: 30 grandi dighe, 135 dighe di medie dimensioni e 3000 di piccole dimensioni. Nel 1994, grazie alle proteste delle popolazioni locali e delle associazioni internazionali, la Banca Mondiale aveva abbandonato il progetto Sardar Sarovar nella valle di Narmada. La Corte Suprema indiana , successivamente al ritiro della Banca Mondiale, aveva bloccato il progetto. Nell'ottobre 2002, la Corte stessa ha pero' dato il permesso alla ripresa dei lavori di costruzione. La diga implicherà l'espulsione di 200.000 persone dalle proprie terre. Gli abitanti dell'area più volte si sono dichiarati pronti a farsi travolgere dalle acque. Alcuni villaggi sono già stati allagati a seguito dei primi lavori realizzati. BOLIVIA LA RIVOLTA DI COCHABAMBA La piccola città andina di Cochabamba, infatti, è considerata ormai in tutto il mondo il simbolo più visibile della lotta per il controllo dell’acqua. Come sappiamo tutti la Bolivia è una delle nazioni più povere dell’America Latina oltre ad essere anche la nazione con più componente indigena di tutto il continente (61,8% della popolazione). Cochabamba è la seconda città più importante di questa nazione dopo la capitale, La Paz, però sicuramente è la città con il più alto tasso di crescita negli ultimi decenni. SEMAPA (Servicio de Agua Potable y Alcantarillado de Cochabamba), il sistema pubblico che amministrava l’approvvigionamento dell’acqua nella città, aveva grosse difficoltà e non riusciva più a soddisfare la domanda di espansione, anche a causa dell’alto livello di corruzione statale, e dei numerosi tentativi, da parte dei partiti politici locali, di utilizzare l’impresa pubblica per il proprio beneficio politico. La Banca Mondiale prese la decisione che per i problemi di Cochabamba sarebbe stato necessario privatizzare l’intero sistema dell’acqua potabili, concesse un prestito di 14 milioni di dollari al comune di Cochabamba per l’espansione del servizio dell’acqua, con la condizione che il comune avrebbe provveduto a privatizzare il servizio stesso. Fatto sta che nel 1999, il governo boliviano, fece partire definitivamente il processo di privatizzazione del sistema statale delle acque di Cochabamba. In una asta pubblica a porte chiuse alla quale partecipò un solo offerente, i funzionari boliviani sottoscrissero un contratto di concessione dell’acqua di Cochabamba, per 40 anni, ad una misteriosa nuova società denominata “Aguas del Tunari” (AdT), che poi risultò essere una sussidiaria del gigante di ingegneria californiana Bechtel con diverse partecipazioni tra le quali quelle delle italiane Edison-Aem e della spagnola Abengoa. Fu con queste premesse che scoppiò la cosiddetta “guerra dell’acqua”. La reazione delle popolazioni locali ad un aumento della tariffa dell’acqua di questa portata fu infatti ferocissima. L’intera popolazione civile di Cochabamba organizzò una serie di proteste in cui si esigeva l’annullamento immediato degli insostenibili aumenti. Il governo boliviano, in difesa delle multinazionali straniere, mandò 1200 poliziotti per le strade della città andina con lo scopo di soffocarne le proteste. Gli scontri furono di grandissima portata, il risultato furono decine morti e diversi feriti gravi. Nonostante la repressione però, durante la prima settimana dell’aprile 2000, i cittadini di Cochabamba riuscirono ad immobilizzare l’intera città con uno sciopero generale che blocco strade, scuole e negozi, che aveva come obiettivo l’uscita di scena definitiva della Bechtel ed il ritorno dell’acqua in mano statali. Lo sciopero continuò nonostante tutto, e finalmente il 10 aprile tutti i funzionari della Bechtel furono costretti ad abbandonare il paese. La guerra dell’acqua era vinta. Nel novembre 2001, la Bechtel Corporation così come la Edison e la Abengoa presentarono una domanda di indennizzo di 25 milioni di dollari al popolo boliviano stessa istituzione che aveva in pratica costretto la privatizzazione dell’acqua, la Banca Mondiale. Questa domanda di indennizzo però, dopo mesi di mobilitazioni e di campagne in America latina e in tutto il Mondo è stata, da poco, finalmente ritirata. Si conclude quindi con una grande vittoria la sfida lanciata dopo un'altra grande battaglia: quella della guerra dell'acqua di Cochabamba, la vittoria di una città, di tutti i cittadini boliviani ma anche di quei 2,5 miliardi di uomini, donne e bambini di tutto il mondo che vivono in condizioni di insufficienza di acqua, bene primario, fonte insostituibile di vita, patrimonio dell’umanità, diritto inalienabile e universale. BRASILE Il Brasile possiede centinaia di fiumi ed alcuni tra i bacini idrografici più importanti al mondo ed è il Paese con più acqua in assoluto: 5670 km3/anno (1 km3=1000 miliardi di litri). Lo sterminato territorio brasiliano è disseminato di dighe, bacini artificiali e centrali idroelettriche interconnessi fra loro in un sistema che viene fornito d’acqua senza nessuna interruzione. Tutti i bacini artificiali del Paese funzionano come vasi comunicanti tra i quali è possibile spostare grandi quantità di energia, a seconda delle variazioni stagionali della pioggia da una regione all’altra, mantenendo così le riserve generali di acqua ad un livello costante. Questo sistema è definito “l’ottava meraviglia del mondo” per il suo impeccabile funzionamento ma soprattutto per l’avanguardia tecnologica che lo caratterizza. Nonostante queste premesse il Brasile è uno dei Paesi che di più soffre per il cosiddetto “stress idrico” dato dalla difficoltà di approvvigionamento da parte della popolazione. Dal 1994 il Brasile sta svuotando i suoi serbatoi d’acqua ed è giunto quest’anno al punto critico di avere soltanto il 29% della quantità necessaria per il consumo. In Brasile il 20% della popolazione non ha accesso all'acqua, il 40% non riceve acqua. Le multinazionali riducono drasticamente la manodopera peggiorando la manutenzione degli impianti e deteriorando la qualità del servizio nelle aree più povere del Paese. Inoltre ritoccano le tariffe, cresciute del 150% dal 1995 al 2000, ben al di sopra del tasso di inflazione. In tal modo possono ricavare grandi profitti da distribuire ai loro azionisti, lasciando il Brasile a secco di investimenti e con un settore energetico in via di rottamazione. Al sistema non è rimasto altro che consumare le proprie riserve d’acqua. La filosofia che caratterizza le multinazionali ignora completamente la cultura dei brasiliani e non tiene conto delle loro credenze, dei significati che essi attribuiscono all’acqua. Nella cultura brasiliana essa ha un valore altissimo, quasi sacro; l’organizzazione della società e dei sistemi produttivi sono strettamente legati alle risorse idriche. Le sorgenti costituiscono un punto di riferimento nella socializzazione, nell’identità, nella delimitazione del territorio e della localizzazione della popolazione. Così la popolazione rurale vive in accordo con una serie di principi che è consuetudine applicare all’acqua. Secondo gli agricoltori “l’acqua è comune, nessuno può togliere il diritto all’accesso, l’acqua non ha proprietario, è della gente, è degli animali, l’acqua è per tutti”. Questi principi vanno a scontrarsi sia con una legge emanata dal Parlamento brasiliano nel ’97 che regolamenta l’uso dell’acqua quale risorsa vulnerabile, finita, scarsa, sia con la mentalità propria della multinazionale. Microscopicamente potremmo subito pensare all’agricoltura e dall’assenza settori che tuttora sfamano milioni di brasiliani, messi in ginocchio dall’assenza d’acqua e delle conseguenti ondate migratorie di “flagelados” che a milioni lasciano le campagne per raggiungere città sempre più sovraffollate. Però, quello che più spaventa e fa rabbrividire è l’avanzare dell’ideologia dominante: quella della speculazione di tutto e di tutti. IL CASO”MANAUS” Il governo brasiliano intende privatizzare l'acqua di molti fiumi, laghi e serbatoi che appartengono allo Stato, per poter realizzare allevamenti di pesce. Si tratta di una misura che fa parte della logica di privatizzazione delle risorse naturali, in corso in Brasile. Se è vero che l'acqua si sta sempre più trasformando in merce, occorre ricordare che la legislazione brasiliana afferma che l'acqua è un bene dello Stato, «un bene di dominio pubblico», e quindi non può essere privatizzata. Tuttavia, c'è chi riesce ad aggirare questo «problema»: se l'acqua non può essere privatizzata, può però essere concessa una licenza per il suo utilizzo. In questo contesto, spicca il caso dell'Amazzonia e, in particolare, la vicenda di Manaus. L'Amazzonia possiede il 75% dell'acqua dolce del Brasile. Manaus è la città più importante della regione ed è significativo raccontare come si è realizzata la privatizzazione dell'acqua. Manaus, 1.800.000 di abitanti nel 2005. Attualmente si parla di circa due milioni di abitanti. La maggior parte della popolazione ha difficoltà a disporre di acqua per dissetarsi e per le altre necessità familiari. Un paradosso crudele per una città costruita all'incrocio di due grandi fiumi. Il 63% delle zone denominate Zona Est, Zona Nord e Città Nuova non hanno acqua. Quasi metà della città utilizza acqua senza nessun trattamento e senza che vengano effettuati periodici esami di laboratorio e controllo sanitario. Malgrado i due fiumi portino acqua potabile, ci si affida alla acque sotterranee, mediante pozzi artesiani. La popolazione non rimane passiva, lotta con iniziative concrete e mediante rivendicazioni organizzate, esigendo dal potere pubblico il rispetto del diritto fondamentale all'acqua. In un'azione collettiva che, viene chiamata mutirão varie famiglie uniscono gli sforzi per trovare le risorse per perforare un pozzo di uso comunitario. L'impresa non è facile, poiché per avere acqua di buona qualità bisogna superare gli 80 metri di profondità. Alcune istituzioni locali, come scuole e centri sanitari, hanno costruito pozzi per la gente. Qui si formano lunghe file fin dal mattino presto. Ci sono poi pozzi artesiani di poca profondità, nei giardini delle case. Sono pozzi contaminati e, quindi, pericolosi per la salute. L'uso di cisterne è un costume antico, soprattutto nell'arido Nord-Est, costume che era stato abbandonato. Ritorna ora nella periferia di Manaus, regione delle acque! L'azienda protagonista del processo di privatizzazione dell'acqua a Manaus è il gruppo francese Suez, presente nel mercato dei servizi idrici in altre città e municipi del Brasile. Il processo comincia nel 1999 nasce senza debiti. Nel 2000, rapidamente, senza dibattiti popolari e mandando la polizia a circondare l'assemblea legislativa, il governatore Amazonino Mendes vende al gruppo Suez la Manaus Saneamento, che assume il nome di Águas do Amazonas. Il costo è di 193 milioni di reais, quando il valore contabile era stimato in 480 milioni.. La concessione è per 30 anni, potendo rinnovarsi per altri 15. La prima conseguenza è stata un aumento delle tariffe pari a oltre il doppio dell'inflazione. Quando l'azienda ha annunciato un incremento del 31,5% delle tariffe dell'acqua, senza che fosse stata nel frattempo allargata o migliorata la rete di distribuzione,alcune famiglie dovrebbero pagare per la bolletta dell'acqua un prezzo mensile corrispondente al proprio salario. Così, oggi, più di 300mila abitanti non hanno accesso all'acqua, per il semplice fatto che non possono pagarla. L'acqua, poi, continua a essere pericolosa per la salute, dato che il suo livello qualitativo è molto dubbio. Oltre a questo, la nuova impresa non ha fornito praticamente nessun servizio di fognatura: solo il 7,2% della città è ricoperto dalla rete contro il 31% previsto dal contratto. Alcuni leader popolari hanno preso l'iniziativa per difendere gli interessi dei più poveri. La prima forma di resistenza è stata quella di decidere di non pagare l'acqua. La Águas do Amazonas ha tentato di giustificarsi, dicendo che è stata ingannata, che non conosceva la situazione della distribuzione dell'acqua e delle fognature a Manaus e che lo Stato ha fornito dati falsi ,propone di dividere la città in due aree: una «consolidata», dove l'acqua distribuita sarà potabile, e l'altra di «espansione », dove questo non sarà possibile. PROGETTO UN MILIONE DI CISTERNE Il progetto “Un milione di cisterne“ fa parte del programma “Fame zero” lanciato dalla Presidenza di Lula. In Brasile il progetto è coordinato dalla ASA (Articulacao no Semi-Arido Brasileiro) di cui fanno parte oltre 700 associazioni che hanno aderito al programma Semi-arido brasiliano e dalla struttura operativa AP1MC (Associazione programma “un milione di cisterne” ). Il sostegno al progetto da parte del Comitato internazionale per il Contratto Mondiale dell'acqua deriva dall'impegno assunto dal Comitato, a conclusione del 1° Forum Mondiale Alternativo dell'acqua a Firenze, in favore dell'accesso all'acqua potabile per tutti gli abitanti del Pianeta entro l'anno 2020. Questo impegno promuovere da parte degli Enti locali e della società civile nuove modalità di cooperazione decentrata, solidale, tra cittadini del mondo sviluppato e dei paesi poveri. LE GUERRE DELL'ACQUA La grave crisi idrica che sta colpendo, particolarmente nell’ultimo secolo, molte zone della Terra ha permesso che questa risorsa assumesse un valore geopolitico di primissimo piano. Attualmente nel mondo si stimano attivi circa 48 conflitti legati all'acqua, concentrati soprattutto nei cosiddetti paesi in via di sviluppo che, con diversi livelli d’intensità, insanguinano i cinque continenti. Tali guerre sono legate dall’uso che i paesi fanno dell’acqua condivisa con gli altri Stati e durano a volte per lunghi anni, nell’indifferenza e nel silenzio dei mass media e dell’opinione pubblica. Tra i primi conflitti riguardanti il settore idrico troviamo quello che ha avuto per oggetto il Gange, uno dei più grandi fiumi al mondo. Le prime tensioni sono state alimentate, negli anni '60, dalla realizzazione della diga di Farakka da parte dell’India che finiva per danneggiare i paesi a valle, tra cui il Bangladesh, e ridurre drasticamente l’apporto idrico. Questo fece cessare tutte le trattative sino al 1996 anno in cui fu stipulato un trattato trentennale con il quale l’India si è impegnata a lasciare al Bangladesh metà dell’acqua che arriva alla diga di Farakka. Tale trattato, tuttavia, presenta gravi errori sulle stime del flusso d’acqua del Gange e non tiene conto dell’impatto ambientale sulla regione. Numerosi esperti di problemi idrici ritengono che la tensione possa trasformarsi in un vero e proprio conflitto per l’acqua. Al centro di un'altra disputa, questa volta tra Turchia da una parte e Stati arabi dall’altra, vi è la scelta di avviare, negli anni novanta, la costruzione di un gigantesco piano idrico che interessa il Bacino del Tigri e dell'Eufrate, chiamato GAP. Questo viene considerato il maggior progetto idraulico della Turchia e uno dei maggiori del mondo che prevede tra l’altro la costruzione di una gigantesca diga, denominata Atatürk. Questo progetto ha provocato una riduzione notevole delle portate dei corsi, così da indurre l’Iraq ad avviare la creazione del canale artificiale che prende il nome di Saddam, che ha trasformato gran parte del territorio che risultava essere paludoso in terreno arido. La situazione potrebbe peggiorare con la realizzazione della grande diga di Ilısu, sul Tigri, nei prossimi anni, ed assistere alla divisione del territorio curdo operata dalle acque del lungo lago artificiale, ciò che potrebbe portare a una forte opposizione locale, ma anche a peggiorare la già limitata portata del fiume. Ogni giorno i giornali e la televisione ci mostrano le immagini del conflitto israelo-palestinese, ma difficilmente menzionano l'importanza che le risorse idriche, quelle del bacino del Giordano, rivestono nello scontro. Con la nascita dello Stato israeliano (1948) il controllo sull’acqua ha assunto un ruolo determinante nelle relazioni tra Giordania, Libano, Siria, da una parte, e Israele dall’altra. L’assenza di un accordo riconosciuto dalle parti ha legittimato gli Stati a dare vita individualmente ai propri piani di intervento idrico: la Giordania ha progettato una serie di dighe sugli affluenti del Giordano. L’ex primo ministro israeliano Levy Eshkol dichiarava, nel 1962, che l’acqua è il sangue nelle nostre vene” e che impedirne l’accesso sarebbe stata causa di guerra. La reazione, da parte d’Israele al progetto sulle dighe promosso dal governo giordano non si è fatto attendere, il quale, due anni dopo dalla dichiarazione del ex primo ministro, ha bombardato il progetto ancora in costruzione. Poi, nel giugno del 1967 è cominciato il vero e proprio scontro militare con la Guerra dei Sei Giorni, infatti il primo obiettivo bombardato dall’esercito israeliano è stato proprio il cantiere edile addetto alla diversione dei fiumi. L'esito del conflitto ha posto sotto il controllo governativo e militare israeliano tutte le risorse idriche della Palestina, della Cisgiordania, della striscia di Gaza, del Sinai e delle Alture del Golan. Negli anni ‘90 tra Israele e l’OLP è stato siglato il primo accordo, la “Dichiarazione di Principi”, con il quale “Israele riconosce i diritti dei palestinesi sull’acqua in Cisgiordania”. Ma centinaia di colonie installate all’interno dei territori palestinesi, sia in Cisgiordania che a Gaza, contribuiscono a violare il diritto sociale all’acqua dei palestinesi. Oggi solo il 5% dei terreni coltivati dai palestinesi è irrigato, contro il 70% delle aree coltivate dai coloni israeliani. In base al diritto internazionale generale, lo Stato di Israele ha il dovere di usare le acque internazionali, condivise in questo caso con il popolo palestinese, secondo il principio della “sovranità limitata”. Evitare di recare danni alla qualità e al flusso delle acque condivise dagli altri Stati, e di cooperare nella gestione della acque e informare gli altri Stati della sua politica idrica. In realtà Israele non ha mai consultato le autorità palestinesi. I palestinesi residenti in Cisgiordania hanno continuato a subire i continui razionamenti e le improvvise interruzioni d’acqua, di contro all’enorme quantità messa a disposizione dei coloni israeliani. Contemporaneamente la striscia di Gaza, zona caratterizzata da un clima arido e povera di risorse idriche, è stata giudicata da un rapporto della Banca mondiale la regione con la situazione idrica più critica al mondo. Il problema delle risorse idriche costituisce un ostacolo fondamentale alle trattative di pace, come ha riconosciuto lo stesso premio Nobel per la pace Yitzhak Rabin che ha dichiarato “Senza accordo sull’acqua, non ci sarà nessun accordo”. In Africa gli scontri maggiori si sono avuti tra Egitto, Etiopia e Sudan per il controllo del Nilo. Nel 1958, l’Egitto diede inizio ai lavori di costruzione della diga di Assuan, che costrinse 100.000 sudanesi ad evacuare dalle proprie abitazioni. L’anno successivo i due paesi decisero la spartizione delle risorse idriche: il Sudan in cambio dell’aumento della quantità d’acqua ottenuto, approvò la costruzione della diga di Assuan, ma Etiopia, dal canto suo, reclamò un diritto prioritario di utilizzo delle acque del fiume visto che il Nilo Azzurro nasce proprio sull’altopiano etiopico e contribuisce alla sua portata per l’83%,minacciando di costruire una diga sul Nilo Azzurro. Questo ha portato nel 2004, alla stipulazione di un intesa tra Egitto, Etiopia e Sudan per la creazione di un parlamento che coinvolge i dieci Stati del bacino nilotico. Ma, al di là di dei tentativi di negoziazione, la diga di Assuan rappresenta un bersaglio fondamentale in caso di conflitto tra questi paesi, con conseguenze catastrofiche qualora venisse distrutta. Passando al Nord America, controversi furono i conflitti tra Messico e USA per l’appropriazione delle acque del fiume Colorado, in particolare a causa della costruzione di acquedotti e dighe. Nel 1944 venne raggiunto un accordo sulla gestione del fiume che stabiliva una quota fissa di acqua destinata allo Stato messicano, non contenendo, però, clausole a tutela della qualità dell’acqua, tanto che il livello qualitativo cominciò a crollare vertiginosamente. Il governo di Città del Messico accusò gli Stati Uniti di aver ricevuto acqua che, a causa del suo basso livello qualitativo, era inutilizzabile a scopo agricolo , compromettendo, pertanto, la produzione del paese. Di recente, questo fiume è stato colpito da gravi problemi di inquinamento e le numerose dighe degli Stati uniti hanno provocato anche gravissimi danni ambientali, riducendo il fiume a poco più di un torrente. Gli insegnamenti che possiamo cogliere da questi fatti sono chiari: non c'è nessuna ragione economica, culturale, politica e religiosa valida che possa giustificare l'utilizzo dell'acqua come strumento di mantenimento dei conflitti. E la risoluzione di queste controversie sta nell’alimentare la democrazia ecologica ed economica con l’obbiettivo, di raggiungere una gestione integrata delle risorse idriche poiché se si costruisce la democrazia, si costruiscono anche la cooperazione e la pace. LA MERCIFICAZIONE DELLA VITA LA PRIVATIZZAZIONE E LA GESTIONE DEI SERVIZI IDRICI Solo il 3% dell'acqua presente sul nostro pianeta è potabile, di questa il 2,7% viene usata dall'agricoltura e dall'industria. Più di 1.400.000.000 di persone al mondo non hanno accesso all'acqua potabile, e più di 30.000 muoiono ogni giorno a causa dell'assenza di servizi idrico/sanitari adeguati. Rimane solo lo 0,3% di acqua potabile, la sua tutela e la sua gestione assumono un ruolo sempre più rilevante, nella drammatica previsione che nel 2025 il 60% (3.000.000.000 di persone) della popolazione vivrà in situazioni di stress idrico1. Questo scenario provoca quello che potremmo definire il paradosso del profitto, ovvero l’atteggiamento di alcune grandi compagnie che si occupano della gestione dell’acqua e che intravedono in questo scenario il nuovo business del futuro. Attraverso le leggi che regolano il mercato di queste multinazionali il connubio ‘scarsità dell’acqua’ e ‘business’ configura l’acqua come merce, come bene economico il cui prezzo è meramente stabilito dalle leggi di mercato e non tiene conto dell'enorme importanza che questa risorsa riveste per la vita e non solo quella umana. La storia delle privatizzazioni rileva che in regimi privatistici l'accesso e la distribuzione dell’acqua non vengono sempre garantiti. Basta riportare qui alcuni dati: a Buenos Aires il 58% della popolazione non era servita dal settore idrico privatizzato, a Cartaghena l’Aguas de Barcelona aveva promesso di coprire il 90% della popolazione entro il 1999, ma un rapporto della Banca Mondiale di quell’anno affermava che 1/3 della popolazione non aveva accesso all’acqua, in Gran Bretagna con le privatizzazioni aumentò del 50% il numero di utenze a cui fu sospesa l’erogazione del servizio idrico. Una seconda negativa caratteristica della gestione privatizzata del settore idrico è rappresentata dall’impennata delle tariffe. Anche in Italia diventa sempre più costoso accedere ad acqua dolce e di buona qualità. In molte regioni la sua distribuzione resta inadeguata e carente. Il 50% delle imprese che gestiscono i servizi idrici italiani è privatizzato, il restante 50% è affidato a s.p.a. il cui capitale è in mano ai comuni. Questo sta avvenendo in tutto il mondo, il che implica un vero e proprio processo di mercificazione. Mentre le tariffe crescono l’occupazione e gli investimenti sulla rete calano drasticamente, anche le manutenzioni si riducano, ma i profitti arrivano in alcuni casi ad aumentare del 147% con un incremento del 50-200% delle paghe degli alti dirigenti. Inoltre il controllo dell’acqua non è 1 Cfr. www.invisiblewater.org più in mano all’ente locale, ma al consiglio di amministrazione di una multinazionale, lontana e fredda, che decide sulla base delle proprie scelte azionarie e del capitale finanziario le modalità con cui erogare l'acqua. E' questo il passaggio alla mercificazione. Questi sono i principali problemi legati alla privatizzazione e mercificazione di diritti fondamentali, ma è ancora possibile riaffermare che l'acqua è un diritto fondamentale, contrastando questo suo processo di trasformazione da diritto a bisogno perché i bisogni si soddisfano in funzione del potere d'acquisto che uno ha. Per fortuna la realtà ci insegna che si può anche tornare indietro sulla strada delle privatizzazione e rendere così di nuovo l’acqua un bene per tutti, a portata di tutti. In questo senso è significativo l’esempio di Grenoble, una città della Francia meridionale, dove la gestione dell’acqua è stata affidata ai privati dal 1985 al 2000, anno in cui venne ripubblicizzata. Gli effetti positivi sono stati immediati: la qualità del servizio è migliorata, il prezzo dell’acqua è stato ridotto e tutte le decisioni in merito al servizio vengono prese in modo chiaro e trasparente da autorità elette dalla popolazione, tutte le informazioni sono a disposizione del pubblico e gli interventi relativi alla manutenzione a al miglioramento del servizio sono tre volte quelli effettuati durante la gestione privata. In Europa il Belgio ha dichiarato che l'acqua è pubblica, il Lussemburgo, l'Olanda, addirittura la Svizzera ha stabilito che l'acqua è un monopolio di stato, Francia e Germania hanno bloccato il processo di privatizzazione, adesso tocca a noi tornare indietro e riappropriarci di questo bene comune riportandolo nelle mani della società civile. Chiudendo con le parole di Padre Alex riferite alla privatizzazione: “Lo sai che questo significa la morte di milioni di persone per sete? Con questa logica di privatizzazione, se oggi abbiamo cinquanta milioni di morti per fame, domani avremo cento milioni di morti di sete. Sono scelte politiche che si pagano con milioni di morti”. IL BUSINESS DELLE ACQUE MINERALI Un altro aspetto della privatizzazione delle risorse idriche riguarda la forte espansione del mercato dell'acqua in bottiglia che viene ormai definita “l'oro blu” del 21° secolo. Le fonti idriche sono ormai oggetto di sfruttamento da parte delle grandi multinazionali del settore e, come afferma Riccardo Petrella, “la mercificazione dell’acqua, facilitata dal boom delle acque minerali, rappresenta uno dei mali più grossi e insidiosi”. L'Italia è una nazione ricchissima di fonti, e non fa parte per fortuna di quella parte del mondo che non ha accesso a questo diritto fondamentale, ma continua a cresce nella popolazione l’abitudine al consumo di acqua minerale: il 98% di Italiani la preferisce sempre più all'acqua potabile. Secondo Emilio Molinari (Presidente del Contratto Mondiale per l'Acqua) si tratta di una grande operazione ”truffaldina”, Si è convinto la gente che la potabilità dell'acqua è garantita solo dalla messa in bottiglia, ma per definizione e per concreta manifestazione la sola acqua potabile è quella del rubinetto perché controllata quotidianamente al fine di garantire l'obbligatorietà di rispettare tutti i vincoli ed i parametri di potabilità. Molti non bevono acqua di rubinetto perché non sopportano l’odore del cloro, una sostanza immessa nelle acque per garantirne l’igiene. Pochi sanno che il cloro è una sostanza che evapora rapidamente, è sufficiente lasciare una brocca d'acqua per circa 20 minuti nel frigo perché il cloro svanisca completamente. Le acque imbottigliate non nascono come acque potabili, ma come acque curative, l'eccesso di certi sali rispetto ad altri le rendono adatte per di alcuni tipi di malattie. Quando si è capito che poteva rappresentare un grosso business convincendo la gente che quella di rubinetto non è acqua sicura, il mercato delle acque in bottiglia ha iniziato ad avere il suo boom esplosivo. Si è diversificata e si racconta di acqua che non fa ingrassare (da quando l'acqua fa ingrassare?), di una che non ha colesterolo2 (bisognerebbe informare i diabetici...), di quella povera di sodio (in un acciuga c'è un concentrato di sodio che è 1.000.000 di volte quello che può essere presente in acqua.), ed altri slogan e false verità di cui siamo quotidianamente vittime. In questo senso gioca un ruolo fondamentale la pubblicità, basti guardare il seguente grafico per avere un'idea dell'influenza che i media possono avere sulle abitudini degli italiani. 2 L'uomo produce per biosintesi autonoma la maggior parte del colesterolo necessario. Solo una piccola parte (in media , massimo 0,5 grammi) viene assunta con l'alimentazione. Le aziende private che gestiscono l’estrazione di queste acque godono di una legislazione estremamente favorevole. La normativa che regolamenta le acque minerali rientra in quella generale del settore Minerario, considerando l’acqua al pari delle altre risorse ad uso industriale. Tale normativa fissa dei canoni concessori veramente irrisori rispetto al fatturato della maggior parte di queste aziende private. Lo Stato ricava da queste concessioni meno di 500 mila euro all’anno a fronte di fatturati che si aggirano attorno ai 400 miliardi di euro. A questo basso costo di un bene prezioso per tutta l’umanità, si deve aggiungere il costo di smaltimento delle bottiglie in plastica a carico ovviamente della collettività (circa 6 miliardi di bottiglie l'anno finiscono negli inceneritori). Purtroppo, in questo contesto, l’Italia non fa una bella figura in quanto detiene il primato mondiale di consumo di acque imbottigliate. Il consumo medio pro capite, che nel 1988 era di 80 litri, nel 2003 si è più che raddoppiato passando a 182 litri, con un incremento pari al 115%. Da notare che nel resto dell’Europa occidentale l'incremento è stato del 106%3. Queste elevate cifre del consumo di acque imbottigliata in Italia possono trovare una spiegazione, oltre che nell'illusione pubblicitaria, anche nella contestuale sfiducia che gli italiani provano nei confronti dell’acqua di rubinetto. E su questa sfiducia occorre soffermarsi con dati alla mano. Infatti, il primo motivo che si potrebbe portare a giustificazione di questo atteggiamento è la considerazione che le acque di rubinetto siano poco salubri. Ma ciò non corrisponde a realtà prendendo in considerazione, in particolare, quello che è considerato il maggiore indicatore della salubrità dell’acqua, ovvero la presenza di nitrati4: maggiore è la loro quantità peggiore è la sua qualità, con la notazione che tale composto non dovrebbe superare la concentrazione massima ammissibile di 50 mg/l. Ebbene, a fronte di un contenuto medio nazione piuttosto basso (9,4 mg/l nel 2003)5, si registra un decisivo atteggiamento di sfiducia degli italiani verso l’acqua potabile. Sicuramente, riguardo questo aspetto, è da sottolineare una scarsità di informazioni sulle caratteristiche biochimiche del bene in questione, spesso condivisa solo da pochi gruppi di persone e sconosciuta alla massa. Questa affermazione assume maggiore rilievo se confrontata con la salubrità delle acque minerali in bottiglia. Come ricorda Altamore6, “la legge italiana stabilisce che le acque in bottiglie possono contenere sostanze tossiche ed elementi salini in concentrazioni così elevate 3 Fonte Beverfood, citata in www.ares2000.net. La presenza di nitrati nell'acqua è diretta conseguenza dell’uso intensivo dei concimi in agricoltura. Il problema principale dei nitrati è che nell’acqua, e nell’organismo umano, vivono batteri che trasformano i nitrati in nitriti, che sono tossici ed ostacolano l’ossigenazione dell’organismo attraverso il sangue. Cfr. F. Martire, R. Tiberi, Acqua. Il consumo in Italia, EMI 2006. 5 Fonti ISTAT 2003. 4 che, se sottoposte ad analisi di laboratorio come la comune acqua di rubinetto, il responso potrebbe essere “acqua non potabile” […] Una quantità di arsenico superiore ai 10 µg/l, ad esempio, rende imbevibile l’acqua di casa, ma nella minerale può raggiungere anche i 50 µg/l. E, ancora, nell’acqua in bottiglia il manganese può arrivare a 2000 µg/l, ma nell’acquedotto deve rimanere al di sotto dei 50 µg7l. Per queste come per altre sostanze tossiche, inoltre non c’è alcun obbligo di indicazione in etichetta, sicchè la composizione analitica delle acque minerali è assimilabile a un segreto di Stato”7. Un passo da compiere è sicuramente quello di organizzare campagne informative finalizzare a rendere note al pubblico le qualità biochimiche dell’acqua potabile di rubinetto e a rendere trasparente tutto ciò che ruota attorno al business dell’acqua minerale. Perché nessuno ce la dia più a bere. 6 Vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana” si occupa prevalentemente di economia, di consumi e di sicurezza alimentare con diverse inchieste dedicate all’affaire delle acque minerali. 7 Cfr. G. Altamore, Qualcuno vuole darcela a bere. Acque minerali uno scandalo sommerso, Frilli 2005. AMBIENTE &ACQUA Un viaggio fino al cuore del Salento Nel suo ciclo naturale l’acqua, sia quella meteorica che quella proveniente dal dilavamento dei suoli o quella di derivazione fluviale o lacustre, passa attraverso la zona di aerazione caratterizzata dalla presenza di una mistura di aria e acqua tra le rocce e le particelle del suolo. Qui l’acqua può essere assorbita dalle piante, essere scaricata in un corpo idrico ricevente, fluire nel suolo sottostante cioè nell’acquifero (falda), definito come formazione rocciosa o sedimentaria capace di accumulare, contenere e trasmettere (produrre, rendere) quantità di acqua a pozzi o sorgenti. Le attività antropiche e gli eventi naturali possono essere causa di contaminazione degli acquiferi, che possono arricchirsi di materiali indesiderati tra i quali possono essere annoverati microrganismi come batteri, virus e protozoi patogeni. L’incremento della popolazione e la sempre maggiore richiesta di acqua rendono necessario un approccio critico alla gestione delle risorse di acque sotterranee. Ciò deve essere particolarmente sentito per quei territori nei quali le acque sotterranee rappresentano la risorsa idrica preponderante. È il caso del nostro paese nel quale l’acqua utilizzata dalla popolazione è in percentuale elevata di provenienza sotterranea, l’80% circa. Rispetto alle acque superficiali, quelle sotterranee dovrebbero essere di qualità igienica migliore poiché gli strati del suolo agiscono su di esse come filtri naturali. Questo tipo di risorsa, comunque, può risultare contaminata da apporti provenienti dagli strati superiori o dalla superficie dei terreni e, in funzione del tipo di terreno che attraversa, può mantenere o meno i contaminanti acquisiti. L'acquifero salentino, costituisce l’unica risorsa idrica autonoma per il nostro territorio, da salvaguardare e proteggere attivando urgentemente interventi di risanamento volti prioritariamente alla rimozione delle immissioni nel sottosuolo attualmente esistenti e a favorire il riuso irriguo dei reflui depurati, con la duplice finalità di recupero di questa risorsa non convenzionale ed una auspicabile riduzione dei prelievi in atto dalla falda. I caratteri di elevata permeabilità dei litotipi affioranti non consentono un deflusso regolare delle acque di origine meteorica verso il mare, ma permettono una diretta alimentazione del sistema idrico sotterraneo. Il territorio della Provincia di Lecce è caratterizzato da una fitta rete carsica, formata da cavità aventi forma e dimensioni differenti e variamente distribuite tanto in superficie e nel sottosuolo quanto in profondità. Di solito laddove il deflusso superficiale e l'infiltrazione delle acque di pioggia si manifestano in forma diffusa le cavità carsiche si distribuiscono in superficie senza alcun ordine apparente; viceversa, nelle zone caratterizzate da pendii più o meno acclivi e delimitati da spartiacque più o meno decisi con linee di impluvio convergenti verso aree depresse, la circolazione idrica superficiale e la infiltrazione delle acque meteoriche si esplica prevalentemente in forma concentrata. E’ proprio la presenza di queste fessurazioni e carsificazioni che consente lo scorrimento delle acque della falda profonda. La falda profonda è sostenuta alla base da acqua di mare di invasione continentale con una interfaccia, tra le due acque, di profondità variabile dall'ordine di alcune decine di metri a pochi decimetri nelle zone prossime alla costa. Il fenomeno dell’intrusione marina assume un peso importantissimo sullo stato qualitativo delle risorse idriche sotterranee. Le principali falde superficiali nel territorio Provinciale si rinvengono: 1. nell’area di Campi Salentina (a sud); 2. nella parte centrale e meridionale del territorio provinciale e nell'area di Taviano; 4. nell'area compresa tra le Serre di Casarano, Alessano e gli affioramenti eocenici e di Pietra Leccese del versante adriatico; 5. nella fascia adriatica tra Lecce ed Otranto. Le acque sotterranee rappresentano per il Salento l’unica risorsa uniformemente distribuita sul territorio e come tale è deputata a soddisfare l’idroesigenza dei comparti civile-potabile, irriguo ed industriale. Tale circostanza, in mancanza di una corretta politica di gestione e di salvaguardia della risorsa ha fatto sì che alle acque sotterranee si è fatto sempre più ricorso, anche per sopperire al deficit di altre risorse idriche, determinando sensibili squilibri negli acquiferi. Gli impianti depurativi (con particolare riferimento a quelli gestiti dall’AQP S.p.A.) evidenziano sistemi di smaltimento confrontabili con i caratteri morfologici, litologici ed idrogeologici della singola porzione di territorio cui sono a servizio. Il numero elevato di Comuni, in considerazione dell’alta densità dei centri urbani, della modesta dimensione degli stessi e della loro pressoché omogenea distribuzione sul territorio, ha favorito l’adozione di soluzioni impiantistiche consortili, soluzione in linea con le prospettive del Piano Direttore a stralcio del piano di tutela delle acque della Regione Puglia. Circa il 40% degli impianti di depurazione presenti sul nostro territorio provinciale hanno come recapito finale dell’effluente il sottosuolo. Il restante 60% è omogeneamente distribuito tra scarichi convogliati a mare (Lecce, Gallipoli, Santa Cesarea Terme, Porto Cesareo, Nardò), scarichi su suolo (Casarano, Squinzano, Alliste, Collepasso) e recapito collettato in corsi idrici superficiali. Particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell'impiego sempre più cospicuo di sostanze chimiche come fertilizzanti o pesticidi nelle produzioni agricole, considerate uno dei fattori principali di inquinamento, a seguito del dilavamento dei suoli, con effetti eutrofizzanti e, talvolta, tossici. Fondamentale è realizzare la salvaguardia delle “aree vulnerabili”. Ai sensi della normativa vigente, si considerano vulnerabili da Nitrati le “zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero essere inquinate in conseguenza di tali scarichi”. Da noi, il maggior pericolo da prevenire risulta quello dell’inquinamento delle falde idriche sotterranee data la nota permeabilità del suolo. Molto grave è anche il fenomeno dell’intrusione salina delle acque marine in quelle di falda a seguito dell’eccessivo sfruttamento di queste ultime. Le acque sotterranee profonde esistenti nel sottosuolo pugliese contribuiscono all’apporto idrico con volumi d’acqua, impiegati soprattutto per alimentare la rete acquedottistica o per uso irriguo. Quando concentrato in determinate aree, il Numero di pozzi esistenti è causa di alterazione di qualità della risorsa idrica sotterranea, in quanto il gioco di pressioni suolo-aria-acqua che si innesca, può generare fenomeni di contaminazione salina da parte dell’acqua proveniente dal mare. Il fenomeno della “intrusione salina” è iniziato, ormai, da tempo nelle falde idriche della regione in prossimità della costa. Di qui la necessità di contenere le autorizzazioni per trivellazione di pozzi sul territorio, onde evitare il depauperamento di risorsa idrica sotterranea di qualità. L’acqua captata dalle fonti segue percorsi ben precisi nelle grandi reti di adduzione e successivamente di distribuzione attraverso gli schemi acquedottistici esistenti all’interno dei centri urbani; ma non tutta arriva ai rubinetti per essere utilizzata. Alle perdite, che possono verificarsi lungo il percorso dell’acqua nell’acquedotto, bisogna aggiungere quelle cosiddette “apparenti” di tipo fisico, corrispondenti ai volumi d’acqua non contabilizzati, anche se risultanti come erogati all’utenza. Le aliquote delle perdite apparenti sono riconducibili soprattutto ai prelievi abusivi, abbastanza diffusi nella regione, ed al cattivo funzionamento dei contatori delle utenze o alla errata rilevazione delle misure. Queste possono essere valutate insieme a quelle relative alle reti di distribuzione interna ai centri abitati attraverso i volumi d’acqua che risultano fatturati. Fonti: PROVINCIA DI LECCE - ASSESSORATO ALLE POLITICHE DI RISANAMENTO AMBIENTALE, (a cura), Rapporto sullo Stato dell’Ambiente della Provincia di Lecce, Galatina, TorGraf, 2003 ARPA PUGLIA – Relazione sullo Stato dell’Ambiente 2006, Bari, Rainò Promotions S.r.l. Unipersonale