siria due anni dopo - Medici Senza Frontiere

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siria due anni dopo - Medici Senza Frontiere
 SIRIA DUE ANNI DOPO
IL FALLIMENTO DEGLI AIUTI INTERNAZIONALI
Siria due anni dopo – Il fallimento degli aiuti internazionali
Il violento conflitto che da due anni affligge la Siria e che secondo le stime
Onu ha provocato oltre 70.000 vittime, pone oggi la popolazione davanti a
una vera e propria catastrofe umanitaria.
Nonostante le ripetute richieste al governo siriano, MSF non ha ottenuto il
permesso di operare in Siria ma è riuscita ad aprire tre ospedali nelle aree
controllate dall’opposizione nel nord del paese, dove l’assistenza rimane
ben al di sotto del livello di bisogno.
1. Assistenza sanitaria in pericolo
Dalla repressione alla distruzione completa
Dalle prime proteste del marzo 2011, nel paese si è assistito a una spirale di
violenza che è esplosa in una vera e propria guerra. Proseguono i
combattimenti tra l’esercito nazionale e i gruppi dell’opposizione che
hanno guadagnato terreno: ma i civili pagano un prezzo altissimo.
Mentre il conflitto si fa sempre più intenso, gli operatori sanitari sono
costantemente minacciati e le strutture mediche vengono prese di mira e
distrutte. Questo rapporto vuole essere una riflessione sui due anni di
conflitto in Siria e sullo svuotamento di valore del concetto di assistenza
medica in questo paese.
Feriti arrestati, medici perseguitati
Come altri paesi del mondo arabo, la Siria è stata percorsa da un
movimento rivoluzionario nei primi mesi del 2011. Le prime grandi
proteste hanno avuto luogo a Damasco il 15 marzo 2011. Con il passare
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delle settimane si è moltiplicato il numero dei manifestanti che ben presto
sono stati presi di mira dalle forze di sicurezza che tentavano di reprimere
la rivolta. Gli attivisti credevano di poter ricevere le necessarie cure
sanitarie negli ospedali pubblici e privati, perché questi possedevano i
mezzi tecnici, le competenze e le risorse per trattare le emergenze
traumatologiche. Un tempo il sistema sanitario siriano aveva uno standard
elevato. Ma poi le strutture sanitarie sono diventate un obiettivo della
repressione.
Medici e pazienti hanno riferito di ospedali controllati dalle forze di
sicurezza e di persone arrestate e torturate. I medici rischiavano di essere
considerati “nemici del regime” perché curavano i feriti e di essere
arrestati, incarcerati, torturati e persino uccisi. Le persone ferite nel corso
delle proteste hanno smesso di andare negli ospedali pubblici nel timore di
essere torturate, arrestate o che venisse negato loro l’accesso alle cure, e
sono quindi state costrette ad affidare la loro salute a reti clandestine di
operatori sanitari.
A Dera, Homs, Hama e Damasco l’assistenza sanitaria veniva fornita ancora,
ma di nascosto. Nelle case poco lontane dai luoghi delle proteste, venivano
avviati ospedali di fortuna. I centri di salute che curavano i feriti fornivano
false diagnosi a livello ufficiale per nascondere la loro attività. La maggiore
preoccupazione dei medici che lavoravano in queste reti clandestine era la
propria salvezza.
L’assistenza sanitaria diventa clandestina
Con l’intensificarsi dei combattimenti è stato colpito un numero crescente
di strutture mediche. Nel luglio del 2011, l’esercito siriano ha schierato i
carri armati nella città di Homs; nel febbraio 2012, la città è stata
costantemente oggetto di attacchi da parte di cecchini e di bombardamenti
da parte dell’aeronautica militare. Gli aiuti umanitari sono continuati
clandestinamente; i medici lavoravano sotto una pioggia di bombe. Le
autorità hanno negato non solo l’accesso agli aiuti umanitari internazionali,
ma anche il cessate il fuoco per evacuare i feriti.
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In prossimità delle zone di conflitto, pochi ospedali di fortuna
provvedevano alle cure sanitarie, allestiti in grotte, case, fattorie e persino
in bunker sotterranei. Qui i pazienti ricevevano le prime cure e una volta
stabilizzati, venivano trasferiti in ospedali situati in località più sicure.
L’attività di MSF è iniziata donando farmaci e forniture sanitarie ai medici
che curavano clandestinamente i feriti. Nel giugno 2012, MSF ha allestito il
suo primo ospedale nel nord della Siria, situato lungo una via di
evacuazione dei feriti. In sei giorni, MSF è riuscito ad allestire una clinica
chirurgica nascosta all’interno di una casa abbandonata. Nel settembre del
2012, MSF ha aperto altri due ospedali nelle province di Aleppo e Idlib, nel
nord della Siria, controllate dai gruppi di opposizione.
MSF non è riuscito a operare nelle aree controllate dal governo perché le
autorità siriane hanno negato l’autorizzazione, nonostante le ripetute
richieste di accesso. Di conseguenza, MSF può fornire assistenza diretta e
schierare le équipe unicamente nei territori controllati dall’opposizione e
può quindi parlare principalmente di quello che le sue équipe testimoniano
in quelle località. Il governo siriano è l’unico ad avere una forza aerea e nel
corso dei suoi raid prende di mira i centri di salute. MSF verifica
quotidianamente le condizioni di sicurezza delle sue équipe e garantisce
che gli ospedali restino spazi neutrali demilitarizzati.
Strutture sanitarie prese di mira e distrutte
La repressione delle proteste pacifiche ha spinto l’opposizione a prendere
le armi dal 2012 in avanti. Quando l’opposizione armata ha guadagnato
terreno, c’è stata una recrudescenza del conflitto siriano. Le strutture
sanitarie sono state prese di mira e distrutte e gli operatori sanitari
minacciati o uccisi. Fornire assistenza medica è diventato un atto di
resistenza e le strutture sanitarie sono diventate obiettivi militari.
Nel luglio 2012, si è aperto un nuovo fronte ad Aleppo. La capitale
economica del paese è stata devastata da bombardamenti aerei e
combattimenti di terra. Sono stati distrutti gli edifici, tra i quali anche le
strutture sanitarie; la banca del sangue che riforniva gli ospedali della
regione è stata la prima ad andare in fumo.
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Dar El Shifa, il più grande ospedale privato di Aleppo, era situato in un’area
controllata dall’opposizione, nella parte orientale della città. L’ospedale ha
erogato cure sanitarie alle vittime delle violenze fino ad agosto, quando è
stato bombardato nel corso di un raid aereo. La sala operatoria è andata
distrutta ma il reparto di pronto soccorso ha continuato a funzionare e
sono state visitate circa 200 persone al giorno, finché alla fine di novembre
un nuovo bombardamento ha completamente demolito ciò che restava
dell’ospedale, rendendolo definitivamente inagibile. Nella stessa area è
stato predisposto un reparto di pronto soccorso per accogliere il costante
flusso di feriti. Per minimizzare i rischi, le attività mediche sono state
decentrate in varie località. Due cliniche private si sono fatte carico dei
pazienti di Dar El Shifa. I feriti venivano portati in barella a piedi, fino a
quando anche una delle cliniche è stata bombardata.
Oggi gli ospedali in Siria vengono usati come uno strumento della strategia
militare delle parti in conflitto. Nelle aree “liberate” alcuni ospedali sono
allestiti o trasformati in “ospedali dell’esercito di liberazione siriano - Free
Syrian Army (FSA)” o in ospedali che “sostengono la rivoluzione”. Di
conseguenza corrono il rischio di diventare obiettivi militari dove i civili
sono ammessi raramente.
Delle basi militari di opposizione sono state installate nei pressi di alcuni
ospedali di fortuna ― in alcuni casi, anche nello stesso edificio. Questi
ospedali corrono il grave rischio di restare coinvolti nei combattimenti o di
essere direttamente colpiti nel corso di un attacco.
Secondo le autorità siriane, il 57% degli ospedali pubblici del paese è stato
danneggiato e il 36% non è più funzionante. Per avere un quadro completo
della disastrosa situazione occorre aggiungere anche gli ospedali di fortuna
allestiti dall’opposizione e successivamente distrutti dall’esercito.
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Ospedali in pericolo
Il dottor K è un chirurgo che opera i feriti in un ospedale privato da
30 posti letto nella parte nordoccidentale della Siria. “È caduto un
missile a circa 50 metri dall’ospedale: le finestre sono andate in
frantumi. L’obiettivo era l’ospedale. Questo è l’unico ospedale operativo
nella città e serve 15 tra paesi e villaggi: una popolazione di 200.000
persone fa affidamento su questa struttura. Siamo in grado di lavorare
e ci sono medici a sufficienza, ma mancano farmaci e attrezzature
mediche. Le scorte sono finite. Ora abbiamo bisogno di materiali per le
radiografie, di fissatori esterni… non possiamo più fare analisi di
laboratorio e le persone sono costrette ad andare da qualche altra
parte. L’esercito si è disposto a circa 20 km da qui ― ha conquistato la
città due volte lo scorso anno. Quando è arrivato, sono stato costretto
ad andarmene perché arrestano i medici che curano i feriti. Per loro i
medici sono dei terroristi. Sono arrivati all’ospedale e hanno preso un
paziente del reparto. Perché rimango? Perché se me ne vado nessuno
curerà i malati. Sono stato minacciato molte volte ma finora sono
riuscito a cavarmela perché alcuni amici mi hanno avvertito”.
La difficoltà di curare i feriti
A causa dei continui bombardamenti c’è una grande necessità di cure
chirurgiche traumatologiche. E trattare i feriti di guerra è diventata una
priorità. Tuttavia, fornire questo tipo di cure è molto difficile.
I centri di produzione e distribuzione farmaceutica di Aleppo hanno chiuso:
le scorte sono praticamente finite. Impossibile ricevere rifornimenti da
Damasco; tutto sommato, l’unico modo per portare le scorte in Siria è
attraverso le linee di rifornimento clandestine dai paesi confinanti.
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Inoltre le centrali elettriche che servono la regione di Aleppo sono state
distrutte. Gli ospedali sono in grado di funzionare grazie all’elettricità
prodotta da generatori, ma ottenere il carburante è estremamente difficile.
Queste strutture funzionano meglio che possono, data la carenza di
forniture mediche. “Ho visto un pronto soccorso in cui mancavano gli
strumenti per la sterilizzazione. Dovevano fare le suture con materiali usati”
spiega la dottoressa di MSF Natalie Roberts, tornata di recente da Aleppo.
C’è anche carenza di ambulanze per il trasporto dei feriti. I pazienti
vengono trasportati sulle moto o con veicoli privati, mezzi che
generalmente non sono equipaggiati per stabilizzare i feriti. In tutta la
provincia di Aleppo c’è soltanto una dozzina di ambulanze che, ovviamente,
sono diventati degli obiettivi militari.
Con l’emergenza umanitaria in Siria le persone sono state costrette a
intraprendere lavori per i quali non hanno avuto alcuna formazione. Molti
operatori sanitari siriani hanno lasciato il paese e quelli che rimangono
fanno ciò che possono. Tra questi vi sono specialisti, tirocinanti e chirurghi
senza la minima esperienza di ferite di guerra. I dentisti effettuano
interventi chirurgici minori, i farmacisti trattano i pazienti e i giovani
volontari svolgono mansioni da infermieri. “Questa è la guerra e tutti
devono fare tutto” racconta uno di loro.
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Manca una banca del sangue
Per trattare pazienti con ferite da arma da fuoco occorrono grandi
quantità di sangue. L’unica banca del sangue presente nell’area di
Aleppo è stata distrutta nel corso di un raid aereo all’inizio del
conflitto. Da mesi gli ospedali devono affrontare questa difficile
situazione.
Il problema non è trovare i donatori: molte persone sono pronte a
donare il sangue. Il problema è mantenere refrigerate le sacche di
plasma. Quasi tutti gli ospedali sono privi di frigoriferi. Se una
struttura ha la fortuna di averne uno è necessario anche un
generatore di corrente perché nella regione manca l’elettricità.
Inoltre, gli ospedali dell’area sono privi dei materiali necessari per
analizzare e determinare il gruppo sanguigno. Le persone, quindi, che
hanno bisogno di trasfusioni di sangue urgenti vengono trasfuse
senza effettuare le analisi necessarie e le conseguenze possono essere
fatali. “Ho saputo di una donna incinta che era andata a partorire
all’ospedale” racconta la dottoressa Natalie Roberts. “Ha avuto
bisogno di una trasfusione di sangue ma il sangue usato non
apparteneva al suo gruppo. È morta, ma non è chiaro se sia stata
l’emorragia o la trasfusione a ucciderla”.
MSF ha fornito un frigorifero, soldi per il combustibile, scorte di
materiali per le analisi e competenze per avviare una nuova banca del
sangue. Oggi, questa nuova struttura rifornisce gli ospedali della
regione di Aleppo, ma corre il rischio di diventare un obiettivo
militare.
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2. I civili intrappolati nella violenza
Nelle regioni del nord della Siria in cui opera MSF, la popolazione è allo
stremo, in particolare nelle aree urbane e semi-urbane che hanno subito
bombardamenti indiscriminati e nelle quali vi sono grandi assembramenti
di persone, nei mercati e nelle file per il pane, che sono stati presi di mira
dagli aerei.
Oltre alla devastazione materiale, è crollata anche la struttura socioeconomica del paese e i civili sono i primi a farne le spese. Nonostante una
forte solidarietà locale, il perdurare del conflitto ha messo in ginocchio il
sistema sanitario e le condizioni di vita si sono gravemente deteriorate.
Inoltre, le risorse stanno per finire e la capacità delle persone di darsi
reciprocamente aiuto è messa a dura prova.
Civili nel terrore
Dall’inizio delle sue attività nel nord della Siria, MSF ha potuto testimoniare
come la popolazione civile sia coinvolta costantemente nelle violenze. I
pazienti feriti dallo shrapnel o dalle bombe, mentre sono al mercato o in fila
per il pane, riescono a raggiungere l’ospedale solo grazie alla solidarietà di
altri cittadini, malgrado la distanza dai centri di salute e la minaccia
costante delle bombe.
“Alcuni villaggi vengono quotidianamente colpiti dai razzi o dagli esplosivi
lanciati dagli elicotteri” dice Katrin Kisswani, coordinatore di MSF in Siria.
“Questo ha avuto un effetto devastante sulle persone. Qualche giorno fa un
elicottero ha sganciato un paio di barili di tritolo e schegge di metallo
proprio al centro di un villaggio. Abbiamo curato le vittime nel nostro
ospedale c’erano anche donne e bambini”. Nel corso di missioni esplorative,
le équipe di MSF sono anche entrate in contatto con persone che erano
rimaste completamente prive di assistenza.
I civili sono traumatizzati dal conflitto e vivono nella paura costante di colpi
d’arma da fuoco, di razzi e missili. Sono persino sospettosi l’uno dell’altro: è
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capitato che non abbiano fornito il loro vero nome per paura che la loro
storia potesse diventare pubblica e la loro famiglia subire delle minacce.
Il 13 gennaio di quest’anno, 20 persone sono rimaste uccise e 99 ferite nel
bombardamento di un mercato ad Azaz. MSF ha trattato 20 feriti, tutti civili,
tra i quali vi erano cinque bambini. Neanche due giorni dopo altri 44
pazienti hanno ricevuto cure di emergenza in un’altra struttura di MSF
dopo che diversi barili di esplosivo erano stati sganciati su un villaggio e un
razzo era caduto sulla provincia di Idlib.
Paura degli aerei
Faotum H., 55 anni, sta seduta fuori dall’ospedale di MSF dove è stato
visitato suo nipote. Ricorda l’estate del 2012, il rombo degli aerei
militari siriani sopra Azaz, una città nel nord della Siria che si trova
poco lontano dal confine con la Turchia. Un bombardamento aereo le
ha colpito la casa ma nessuno dei suoi familiari è rimasto ferito
perché non erano lì in quel momento. Il secondo piano è stato però
completamente distrutto. La voragine e le macerie sono rimaste lì a
ricordare il terribile impatto.
Qualche mese dopo il nipote di Faotum, Mohammed, 6 anni, stava
giocando a casa con i suoi fratelli quando gli aerei hanno sorvolato
Azaz. “I bambini erano terrorizzati e sono corsi al pianoterra.
Mohammed non ha visto la voragine ed è caduto rompendosi la gamba
e ferendosi alla testa” racconta la nonna. Non era un bombardamento:
il semplice rumore degli aerei era bastato a spaventare i bambini e a
farli scappare. Mohammed è stato curato in un ospedale di MSF
presente nella regione. Sua nonna è sollevata ma ricorda quanto sia
stato difficile trovare assistenza medica. “Ad Azaz ci hanno detto che
dovevamo andare in Turchia. Alla fine siamo venuti qui e mio nipote è
stato ricoverato”.
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Uomo ferito mentre era in fila per il pane a Halfaya (provincia di
Hama)
“Un pomeriggio alla fine di dicembre ero in fila dal panettiere per
comprare il pane. C’era una fila di circa 300 persone ― è l’unico
panettiere rimasto in città. Ero in attesa da tre ore quando
improvvisamente è arrivato un aereo e siamo stati colpiti da due
missili.
Intorno a me gridavano tutti, c’erano molti feriti. Mi sono sentito
disorientato, avevo la sensazione che le labbra e la lingua mi
bruciassero. I feriti sono stati caricati sui veicoli. Io sono stato portato
in un centro di salute, prima con una carriola, poi con un mototaxi.
Sono rimasto priva di coscienza per tre giorni. Il secondo giorno mio
fratello mi ha portato in un altro centro di salute e poi, con un
furgoncino, qui all’ospedale di MSF, dove mi hanno operato.
Ho ancora dei problemi alle orecchie, c’è sempre un ronzio e non
riesco a sentire bene.
La cosa incredibile è che le mie due figlie ne sono uscite indenni. Un
muro mezzo crollato le ha protette dall’esplosione e così hanno
riportato solo qualche graffio”.
All’ospedale di MSF un chirurgo ha pulito le ferite di quest’uomo,
rimosso la parte necrotica e suturato i tagli sul viso. La dimensione
della ferita sulla spalla sinistra e la gravità della ferita sulla mano
destra hanno reso necessario il trasferimento in un ospedale turco per
la chirurgia ricostruttiva poiché la struttura di MSF non è attrezzata
per effettuare procedure così complesse.
Un sistema sanitario al collasso
Prima del conflitto, la Siria aveva un sistema sanitario efficiente. Nel paese
c’erano operatori sanitari, medici specialisti e un’industria farmaceutica.
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Ma oggi le risorse sono esaurite. Le reti sanitarie sono al collasso per i
problemi di approvvigionamento e la carenza di farmaci dovuti al crollo
dell’industria farmaceutica e, indirettamente, nelle sanzioni internazionali
imposte alla Siria.
Il clima di violenza rende molto difficoltoso accedere alle cure sanitarie. A
Homs, Aleppo e nella zona di Damasco i cecchini rappresentano un pericolo
costante. È spesso impossibile spostarsi da un’area all’altra e intere
comunità sono di conseguenza private dell’assistenza medica. In una
emergenza sanitaria i pazienti si trovano ad affrontare un terribile
dilemma: rinunciare all’assistenza o rischiare di trovarsi al centro del fuoco
incrociato.
Di frequente i pazienti vengono mandati in strutture sanitarie con
pochissime risorse, ed è già una fortuna che riescano ad avere accesso alle
cure. In molti ospedali l’assistenza viene prioritariamente erogata ai
combattenti, ma ci sono moltissimi pazienti che necessitano di cure
mediche, sia per malattie croniche (diabete, malattie cardiovascolari e
insufficienza renale) sia per cure ostetriche e post-operatorie, i quali hanno
difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria.
“Molte strutture sanitarie hanno chiuso perché sono prive delle attrezzature
essenziali e altre sono focalizzate unicamente sulle cure traumatologiche.
Questo rende l’accesso alle cure sanitarie molto più difficoltoso” spiega
Miriam Alia, coordinatore medico di MSF in Siria. “Nelle regioni in cui
operiamo, negli ultimi 18 mesi i bambini non sono stati vaccinati. Non sono
protetti contro malattie contagiose come il morbillo e la tubercolosi. Le
condizioni sanitarie stanno peggiorando perché l’acqua scarseggia e
aumenta il rischio di malattie”.
Di recente, sono stati riportati focolai di migliaia di casi di leishmaniosi
cutanea nella provincia settentrionale di Aleppo. I medici locali di Deir ezZor hanno riferito a MSF che alla fine di febbraio erano stati registrati 1.200
casi di febbre tifoide, che può essere mortale, e 450 casi di leishmaniosi
cutanea. I farmaci per la tubercolosi non sono stati disponibili nella regione
per mesi.
I pazienti diabetici hanno bisogno di cure e follow up costanti ma al
momento sono stati lasciati a se stessi. “Senza insulina i pazienti arrivano
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con livelli di glucosio nel sangue fino a 5 grammi/litro e abbiamo avuto
alcuni casi di piede in cancrena, che deve essere trattato con l’amputazione”
racconta Anne-Marie Pegg, specialista in medicina d’urgenza di MSF.
Partorire in un paese devastato dalla guerra
Prima del conflitto il 95% delle donne siriane partoriva con una ostetrica
specializzata. A seguito del graduale collasso del sistema sanitario, ciò non
è quasi mai possibile. Quando è fortunata, una donna può partorire con
l’aiuto di una levatrice o di una ostetrica tradizionale. Le donne che hanno
parti più complessi che richiedono assistenza chirurgica hanno grandi
difficoltà a trovare strutture adeguate.
Il primo febbraio di quest’anno una donna ha partorito con taglio cesareo
due gemelli in una clinica di MSF nel nord della Siria. Il padre dei gemelli ha
detto di aver impiegato due settimane per trovare un ospedale in grado di
effettuare l’intervento.
Nell’ospedale di MSF presente nella provincia di Aleppo i parti sono passati
dai 56 del novembre 2012 ai 183 registrati nel gennaio 2013. Le équipe
mediche di MSF hanno assistito a un abnorme aumento del numero di
aborti e di nascite premature, oltre 30 nei soli mesi di dicembre e gennaio.
Ciò è imputabile allo stress generato dal conflitto.
Peggioramento delle condizioni di vita
“Quasi tutte le famiglie sono fuggite dal villaggio. Non c’è gas, elettricità né
pane e le linee telefoniche sono morte. Non c’è niente di cui vivere” dice una
casalinga della provincia di Idlib.
Il costo della vita è considerevolmente aumentato e i bombardamenti
hanno interrotto il rifornimento idrico ed elettrico nel nord del paese.
Dall’inizio del mese di dicembre 2012 manca l’elettricità nella parte
orientale di Aleppo, ad Al Bab e nell’intera regione fino a Kilis. Il prezzo del
carburante è aumentato significativamente e ora che è inverno il clima è
costantemente freddo e umido. Per scaldarsi, la gente usa la legna o le stufe
a combustibile che sono spesso causa di gravi incidenti.
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Elisabeth Jaussaud di MSF, tornata dalla parte orientale di Aleppo,
racconta: “Ad Aleppo hanno bombardato tutti quegli edifici che hanno un
aspetto vagamente amministrativo. Manca l’elettricità per i generatori. La
città è piena di cumuli di macerie che bloccano le strade e così le auto o i
veicoli blindati non possono passare. Ci sono anche cumuli di spazzatura
dappertutto”.
Un altro problema è quello della provvista di cibo. I prezzi alimentari sono
molto aumentati nelle province settentrionali della Siria, dove è presente
MSF (Latakia, Idlib e Aleppo), e per questa ragione si sono verificate gravi
carenze di farina e di latte in polvere. MSF ha perciò donato latte in polvere
e varie tonnellate di farina nelle province di Idlib e Deir ez Zor.
“Solo pochi mercati sono aperti. Le fabbriche sono chiuse. Quando cibo e
verdure ci sono, sono troppo cari” sostiene un mukhtar, il capo del villaggio,
che non vuole essere identificato.
Popolazioni sfollate e isolate
Secondo l’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati (UNHCR), dall’inizio
delle proteste due anni fa, nel paese sono stati sfollati due milioni e mezzo
di siriani. Gran parte di questi non vive nei campi, molti si sistemano in
edifici e luoghi pubblici oppure si spostano continuamente. Le condizioni di
vita degli sfollati nei campi sono pessime e anche le comunità ospitanti
sono allo stremo.
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È ancora molto difficoltoso l’accesso a vaste aree del paese. Partendo dal
confine turco e dirigendosi a sud il livello dell’assistenza cala. È anche
difficile portare assistenza nelle aree densamente popolate e nelle regioni
desertiche orientali. La crisi alimentare è così acuta che le reti di solidarietà
e approvvigionamento non riescono a far fronte alle necessità.
Nelle aree controllate dal governo, come le aree occidentali della città di
Aleppo, la popolazione vive in enclave circondate dall’opposizione armata.
È impossibile portare aiuti umanitari da Damasco in queste aree.
Di fronte a una situazione che va peggiorando inesorabilmente, un numero
crescente di siriani sta lasciando il paese. Secondo l’UNHCR, un milione di
siriani è stato registrato come rifugiato o è in attesa di esserlo,
principalmente nei paesi confinanti: Iraq, Giordania, Libano e Turchia. Nel
solo mese di febbraio sono arrivati oltre 150.000 rifugiati.
Sinora gli aiuti umanitari ai rifugiati siriani non sono stati sufficienti per
rispondere ai loro bisogni primari. Nel frattempo le loro condizioni di vita
sono costantemente peggiorate con il rigido clima invernale e le
temperature sotto lo zero.
3. Ostacoli all’incremento degli aiuti in Siria
Una serie di gravi ostacoli impedisce l’incremento degli aiuti nelle aree in
mano all’opposizione come in quelle governative. Il governo sta limitando
gli aiuti umanitari: a seguito del controllo esercitato da Damasco è molto
difficile ampliare l’assistenza e le organizzazioni umanitarie hanno grandi
difficoltà ad attraversare le prime linee. Nel frattempo, nel nord del paese
l’insicurezza causata da combattimenti e bombardamenti è aggravata da
vincoli politici e diplomatici che limitano gravemente la quantità di aiuti.
Il controllo dell’assistenza nelle aree governative
Dal 2012, gli aiuti internazionali per i siriani rimasti nel paese sono stati
generalmente distribuiti da Damasco, dal Comitato Internazionale della
Croce Rossa (ICRC), da agenzie ONU (tra le quali PAM, UNHCR, UNRWA,
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ecc.) e da un’altra decina di ONG internazionali. Gli aiuti vengono erogati
attraverso la Mezzaluna Rossa siriana e altre organizzazioni locali
autorizzate dal governo a distribuirli sul terreno. Le operazioni sono svolte
anche sotto la supervisione del Vice ministro degli Esteri e degli Espatriati
siriano.
Benché attualmente gli aiuti umanitari non siano sufficienti per i massicci
bisogni della popolazione, sarà difficile portare nel paese una quantità
maggiore ― e più efficace ― di aiuti. Tanto per cominciare il governo non
sta consentendo l’accesso ai territori posti sotto il proprio controllo alle
ONG internazionali: l’accesso a queste aree è stato negato a MSF nonostante
le numerose richieste. Inoltre, le organizzazioni umanitarie sono tenute a
distribuire gli aiuti attraverso le organizzazioni locali che stanno già
operando a pieno regime e il cui raggio d’azione è geograficamente limitato.
Questi vincoli limitano inoltre in modo significativo la capacità delle
agenzie umanitarie tollerate da Damasco di raggiungere la popolazione nel
territorio controllato dall’opposizione, nel nord della Siria. Secondo Valerie
Amos, sottosegretario generale per gli affari umanitari dell’ONU, delle
alternative per la distribuzione degli aiuti, come ad esempio condurre le
operazioni umanitarie dai paesi confinanti, non sono attualmente fattibili
senza un’autorizzazione governativa o una risoluzione speciale del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Aiuti alle aree controllate dall’opposizione: limitati e a singhiozzo
Circa una dozzina di ONG internazionali sono presenti ai confini siriani e
cercano di far penetrare gli aiuti all’interno del paese. Inizialmente gli aiuti
erano limitati a forniture mediche per i gruppi di medici siriani che
curavano clandestinamente i feriti in ospedali di fortuna. Alcuni aiuti sono
stati forniti ai campi sfollati lungo il confine con la Turchia. MSF ha
inizialmente supportato i medici siriani in questo modo. Con il consolidarsi
dei territori controllati dall’opposizione, MSF è stato in grado di entrare nel
nord del paese e di aprire tre ospedali. Questa operazione è stata effettuata
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ufficiosamente perché Damasco impedisce tuttora a MSF di operare sul
territorio siriano.
Inoltre, gran parte degli aiuti ai civili proviene da tre fonti: la diaspora
siriana, i paesi “simpatizzanti” per l’opposizione (Arabia saudita, Francia,
Turchia, Qatar…) e le reti di solidarietà politica e religiosa; sono pertanto
aiuti soggetti alle agende politiche di questi attori.
Nel frattempo il bombardamento indiscriminato o mirato limita
notevolmente la quantità di aiuti nel nord della Siria. Gli aiuti sono
distribuiti attraverso le organizzazioni locali (composte da medici, uomini
d’affari, ecc.), i gruppi armati e le autorità civili che stanno cercando di
costituirsi (come i comitati di coordinamento rivoluzionari locali). Alcune
aree lungo i confini, de facto, non subiscono bombardamenti. Ma
l’approvvigionamento di aiuti è ancora minore nell’entroterra, come nella
regione di Deir ez-Zor, che è particolarmente dimenticata.
Un altro ostacolo alla distribuzione degli aiuti è di natura politica. Nel nord
della Siria gli organismi internazionali stanno lottando per trovare un
modo per collaborare efficacemente con le autorità locali e con le reti
siriane di aiuti. Un problema è costituito dalla presenza di molti
rappresentanti e leader. Gli attori umanitari cercano di valutare la reale
importanza e consistenza dei vari rappresentanti con cui vengono a
contatto. Inoltre gli attori umanitari diffidano di queste persone perché
possono essere affiliate a varie reti in competizione tra loro (per esempio,
politiche, militari o religiose).
L’ultimo ostacolo è amministrativo. Benché i paesi confinanti tollerino le
ONG impegnate in operazioni umanitarie oltreconfine, non sono disposti a
concedere loro il sostegno logistico e amministrativo di un permesso
ufficiale. Oltre a rallentare l’invio degli aiuti, questa condizione di
semiclandestinità è in conflitto con le norme finanziarie di alcuni donatori
che sono restii a finanziare ONG che svolgono operazioni oltreconfine.
Ciò che rende questa situazione paradossale è il fatto che la UE, la Turchia e
altri 130 paesi riconoscono la coalizione nazionale siriana quale unica
rappresentante del popolo siriano, cui forniscono aiuti finanziari e militari
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(ufficialmente “non letali”). Stando così le cose, è difficile capire cosa stia
trattenendo i paesi confinanti con la Siria e i donatori dal riconoscere
ufficialmente e dal fornire supporto finanziario alle operazioni umanitarie
oltreconfine.
Il pericolo delle operazioni umanitarie oltre le prime linee
Benché l’assetto attuale sia volto a coprire tutti i bisogni umanitari della
Siria, gli aiuti nazionali e internazionali forniti nelle aree non controllate da
Damasco restano limitati. Ciò è dovuto alle grandi difficoltà nell’imporre un
cessate il fuoco temporaneo, necessario per trasportare oltre le prime linee
e in modo sicurole forniture e le équipe che collaborano con la Mezzaluna
Rossa siriana. Un portavoce della ICRC, che è stato recentemente nel paese,
ha sintetizzato la situazione con questa dichiarazione pubblica:
“Organizzare operazioni trasversali è una grossa sfida, non ultimo perché,
come in ogni conflitto, nessuna delle due parti è entusiasta di vederci andare
nell’area controllata dal nemico”. I gruppi dell’opposizione armata
dimostrano una grande sfiducia nei confronti della Mezzaluna Rossa siriana
che viene percepita come filogovernativa, nonostante la dedizione dei suoi
membri (dall’inizio del conflitto sono stati uccisi in missione sette volontari
della Mezzaluna Rossa e otto dipendenti ONU).
Per coprire i bisogni della popolazione civile occorre prioritariamente
ampliare la capacità degli attori umanitari di fornire aiuti imparziali su
tutto il territorio siriano e facilitare urgentemente le operazioni
oltrefrontiera.
Aiuti insufficienti
Alla fine di gennaio 2013, oltre 60 paesi hanno assunto l’impegno di
devolvere oltre 1,5 miliardi di dollari in aiuti umanitari per la popolazione
siriana. Questa cifra, volta a coprire gli urgenti bisogni umanitari per la
prima metà del corrente anno, può essere confrontata con la piccola somma
che l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (UNOCHA) è stato
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realmente in grado di ottenere per finanziare il proprio piano d’azione nel
2012.
Il piano per il 2013 prevede una risposta regionale per i rifugiati, stimata in
un miliardo di dollari per 1.1 milioni di persone, e in 520 milioni di dollari
per 4 milioni di persone “direttamente o indirettamente colpite dagli eventi
in corso” in Siria. Tuttavia, al 19 febbraio il piano di azione ONU aveva
ricevuto solo il 20% dei finanziamenti necessari.
A parte ciò, la differenza tra l’importo dei finanziamenti per gli aiuti ai
rifugiati e l’importo stanziato per i siriani rimasti nel paese dimostra che
l’attuale sistema è incapace di rispondere all’emergenza attualmente in
corso nel Paese.
4. Aiuti inadeguati per i rifugiati siriani
Secondo le stime ufficiali, 1 milione di rifugiati siriani sono registrati o in
attesa di esserlo nei paesi confinanti della Siria: Libano, Giordania, Turchia
e Iraq. Tuttavia la cifra reale potrebbe essere molto più alta perché molte
persone non stanno seguendo l’iter per il riconoscimento dello status di
rifugiato. Nei mesi scorsi, 7.000 persone hanno lasciato la Siria ogni giorno,
in maggioranza donne e bambini.
La situazione dei rifugiati in fuga dalla Siria mette in luce il fallimento del
sistema degli aiuti internazionali nel rispondere alla crisi siriana. Benché
accesso e sicurezza nei paesi confinanti non rappresentino un grave
problema, il sistema degli aiuti internazionali non è riuscito a prevenire e a
rispondere ai crescenti bisogni dei rifugiati. Il costante flusso di rifugiati
che si riversano nei paesi confinanti con la Siria sta indebolendo le già
precarie strutture di accoglienza e sta peggiorando la terribile situazione
dei rifugiati sparsi in Libano.
In Giordania e in Iraq le condizioni di vita nei campi rifugiati sono
spaventose. I campi sono saturi e l’igiene scarseggia a causa della mancanza
di latrine e docce. La gente vive in tende affollate e prive di riscaldamento
che offrono ben poca protezione dal freddo invernale. All’ inizio dell’anno,
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piogge torrenziali e neve hanno devastato alcuni campi rendendoli
inagibili.
In Libano, dove non ci sono campi ufficiali per i rifugiati siriani, un numero
sempre crescente di persone vive in ripari collettivi inadeguati, fattorie,
garage, edifici in costruzione e vecchie scuole. Secondo un’indagine
condotta da MSF a dicembre, il 50% dei rifugiati siriani in Libano non
riceve le cure mediche necessarie perché non può permettersele. Anche il
cibo è un problema spinoso. Le équipe di MSF hanno visto donne nutrire i
loro bambini con il tè perché non potevano permettersi di comprare il latte.
Lo stress psicologico è diffuso tra i rifugiati, siano essi uomini, donne,
bambini. La maggioranza dei rifugiati intervistati da MSF in Libano e Iraq
ha riferito di aver lasciato la Siria per la mancanza di sicurezza ma anche
per il deterioramento delle condizioni di vita (mancanza di cibo, acqua,
carburante e cure sanitarie).
Migliaia di rifugiati siriani si trovano in una situazione inaccettabile. Dopo
essere fuggiti da una zona di guerra e aver lasciato ogni cosa, le persone
devono aspettare settimane e persino mesi per ottenere il riconoscimento
ufficiale di rifugiato e ricevere l’assistenza necessaria. Molte famiglie
vivono in condizioni disperate con pochissima assistenza mentre altre ne
sono del tutto prive: circa un rifugiato su quattro in Libano ha riferito di
non aver ricevuto alcuna assistenza mentre il 65% ha raccontato di aver
ricevuto solo un’assistenza parziale che non ha coperto i bisogni della
famiglia.
Per Iraq, Giordania, Libano e Turchia, che ospitano quasi tutti i rifugiati
siriani, il costo è sempre più alto e le popolazioni che negli ultimi due anni
sono state molto ospitali non sono più in grado di portare questo peso.
Malgrado la solidarietà e i tremendi sforzi fatti da questi paesi per
fronteggiare la crisi, le varie strutture e progetti di aiuto messi in campo
non sono oggi funzionali ed è assai probabile che rimangano tali se
continuerà il flusso di rifugiati.
Un tardivo riconoscimento della portata e della durata della crisi e il
numero sempre crescente di rifugiati sono le principali ragioni che
spiegano i ritardi nel fornire una risposta commisurata ai bisogni. Ma oggi è
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necessario ampliare il livello di aiuti ai rifugiati siriani per scongiurare una
grave crisi umanitaria. È necessaria una risposta umanitaria più vasta,
concertata ed efficace che dia sollievo a queste persone già provate dal
conflitto che dilania la Siria e garantisca il soddisfacimento dei loro bisogni
umanitari e sanitari.
A partire dal 2011, MSF ha ampliato il suo lavoro con i rifugiati siriani in
Libano, Giordania, Iraq e Turchia.
In Libano
Dei 300.000 rifugiati siriani registrati ufficialmente oggi in Libano, secondo
l’UNHCR, da ottobre in 220.000 hanno attraversato il confine. Molte
famiglie vivono in edifici in costruzione, garage, magazzini e accampamenti
del tutto inadeguati ai rigori dell’inverno. I principali bisogni individuati da
MSF in un’indagine condotta nel dicembre del 2012 sono gli alloggi, il cibo, i
generi di conforto per l’inverno, assistenza sanitaria primaria e secondaria
e supporto psicologico. La comunità libanese ha fatto un grosso sforzo per
assistere i rifugiati. Anche se la situazione in Libano rimane relativamente
stabile, gli effetti economici, sociali e politici della guerra in Siria stanno
avendo un forte impatto sul paese, esacerbando le tensioni settarie nei
quartieri poveri di Tripoli. Il governo libanese ha affermato di non avere
più i mezzi per fronteggiare l’afflusso dei rifugiati1 e ha chiesto il sostegno
della comunità internazionale.
In Giordania
In Giordania, oltre 240.000 siriani hanno lo status di rifugiati o sono in
attesa di averlo. Lungo il confine vi sono oggi 25 centri di accoglienza
ufficiali per i rifugiati e molti altri punti di attraversamento non ufficiali.
Nel solo mese di gennaio, circa 40.000 rifugiati siriani hanno attraversato il
confine. Il campo di Za’atari, poco lontano dalla frontiera siriana, ospita
1
Lebanon suspends aid to Syrian refugees: PM office / AFP / 11.07.12
20
oggi oltre 60.000 rifugiati. Le condizioni di vita sono del tutto inadeguate.
Le condizioni igieniche sono scarse perché mancano latrine e docce. Questo
inverno è stato particolarmente rigido e in gennaio il campo di Za’atari è
rimasto parzialmente allagato. Le autorità hanno cominciato a trasferire i
residenti in case prefabbricate ma la maggioranza vive ancora in tende
prive di riscaldamento che offrono ben poca protezione dal freddo
invernale.
In Iraq
Il Governo Regionale del Kurdistan (KRG) ospita le popolazioni curde in
fuga dalla Siria mentre il governo centrale di Baghdad ha aperto due campi
nella parte sud-occidentale dell’Iraq (campi di Al-Qa’im e Al Waleed).
Secondo l’UNHCR, a metà del mese di febbraio 2013 in Iraq erano presenti
96.270 rifugiati di cui 75.500 nella regione curda.
- Il campo di Domeez è stato istituito nella provincia di Duhok nell’aprile
del 2012 ed è gestito dall’UNHCR e dalle autorità del KRG. Inizialmente
progettato per ospitare 1000 famiglie, il campo ospita oggi più di 50.000
persone. Acqua e fognature scarseggiano. Le condizioni di vita dei rifugiati
sono rese ancora più difficili dal clima invernale e dalle temperature
sottozero.
- La frontiera ad Al Qaim, l’unico valico di confine ufficiale nel raggio di 400
km, resta chiusa. Benché venga consentito ad alcuni feriti di attraversare il
confine per ricevere cure mediche, MSF teme per le persone in fuga dai
combattimenti di Deir Al Zoyr in Siria, che non sono in grado di raggiungere
la salvezza in Iraq.
In Turchia
In Turchia, i campi rifugiati sono gestiti dalle autorità turche con il sostegno
di attori locali quali la Mezzaluna Rossa turca. Secondo le autorità turche,
183.540 siriani hanno trovato rifugio in sette province e vengono ospitati
in 14 campi, quasi tutti pieni. Si stima che le persone non registrate
oscillino tra le 70.000 e le 100.000. A Kilis le stime parlano di 40.000 siriani
tra registrati e non all’interno e all’esterno del campo. Vengono aperti dei
nuovi campi che non riescono a far fronte al grande flusso di rifugiati. Molte
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persone restano bloccate al confine siriano nelle cosiddette zone di
transito, in attesa di essere trasferite nei campi. Molte di queste cercano di
attraversare il confine da sole, stabilendosi a Kilis e nelle zone circostanti,
prima tappa del loro esodo.
Stretti nella morsa della guerra, fuga e sopravvivenza
testimonianze dei rifugiati siriani
Libano
“Dopo un po’ hanno iniziato a bombardare città e villaggi… L’esercito
ha inviato i carri armati per demolire la mia casa. Hanno distrutto le
pareti e sono entrati con i carri armati attraverso le colonne. Della
nostra casa non è rimasto nulla. Siamo scappati in un altro villaggio,
ma lì eravamo sotto i bombardamenti e allora ho preso i miei figli che
erano terrorizzati dalle bombe e li ho portati ad Aarsal in Libano” ha
raccontato il padre di otto figli alle nostre équipe. “Cadevano 400
bombe all’ora. Non potevamo sopportare quella situazione, abbiamo
dei bambini. Abbiamo dovuto dormire sotto gli alberi, in una grotta, in
una vallata per salvarci dalle bombe. Poi non c’è rimasta altra scelta
che fuggire in Libano per proteggere i nostri figli e le nostre vite”.
Iraq
“Sono arrivata dalla Siria quattro giorni fa. La nostra situazione
economica laggiù era veramente critica. Veniamo da Qamishli, dove
manca il gas, l’elettricità, l’acqua: manca tutto. La città è
completamente assediata. Non avevamo combustibile per le stufe e così
dovevamo usare i fazzoletti di carta e qualsiasi materiale che
riuscissimo a trovare. I bambini si sono ammalati a causa del fumo,
avevano un’irritazione alle vie respiratorie, e per questo siamo venuti
qui. Il viaggio è stato molto difficoltoso e lungo” ha raccontato una
donna arrivata con il marito e cinque bambini piccoli. La famiglia è
ancora in attesa di un riparo.
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5. MSF in Siria e dintorni
Prima dell’insurrezione in Siria, MSF operava a Damasco dove forniva
assistenza sanitaria ai migranti. Il progetto è stato però chiuso nell’aprile del
2011. In seguito MSF ha più volte richiesto ufficialmente al governo siriano di
Damasco l’accesso per fornire assistenza in base ai bisogni sanitari, ovunque
essi fossero. Ma finora è stata negata a MSF la possibilità di operare a
Damasco e nelle aree controllate dal governo.
MSF ha iniziato dando supporto a gruppi di medici siriani che curavano i
feriti rifornendoli di medicinali e forniture sanitarie. A metà del 2012 MSF è
rientrata ufficiosamente nelle aree controllate dall’opposizione, ma non è
riuscita a entrare nelle aree controllate dal governo. Oggi MSF ha tre
ospedali nel nord della Siria, dei quali le autorità siriane sono state
informate. Mentre inizialmente l’attività di MSF era focalizzata su
assistenza chirurgica e medicina d’urgenza, in una fase successiva è stata
allargata alle visite per le cure primarie, alle cure materne e
all’organizzazione di campagne di vaccinazione contro polio e morbillo.
MSF fornisce inoltre trattamenti per la leishmaniosi cutanea, per malattie
trasmissibili come la febbre tifoide e per malattie croniche come asma,
diabete e malattie cardiovascolari.
Dal giugno del 2012 alla fine di febbraio 2013, le équipe di MSF hanno
effettuato in Siria oltre 1500 interventi chirurgici e più di 20.800 visite
ambulatoriali e di pronto soccorso. Molti pazienti si fanno curare per ferite
legate alle violenze, come ferite da arma da fuoco, da shrapnel, fratture
aperte e lesioni riportate in seguito a esplosioni. L’accesso dei feriti è
discontinuo data l’instabilità delle prime linee e perché a volte non c’è la
possibilità di trasferire i pazienti.
Nella regione settentrionale del paese sono presenti numerose strutture
sanitarie avviate da medici siriani e da altre organizzazioni sanitarie per
trattare i feriti. L’accesso globale ai servizi sanitari resta tuttavia limitato,
soprattutto per i pazienti affetti da malattie croniche. Un numero
23
significativo di pazienti di MSF necessita di cure per malattie croniche,
traumi accidentali e assistenza al parto.
MSF svolge anche attività di formazione per la gestione del flusso di feriti,
triage e cure di emergenza al personale sanitario siriano che necessita di
supporto nella gestione dei feriti di guerra. Nelle strutture sanitarie viene
inoltre svolta assistenza specifica, un esempio è la banca del sangue
istituita in una struttura sanitaria nell’area di Aleppo.
Le nostre équipe svolgono regolarmente una distribuzione ad hoc di generi
di primo soccorso come latte in polvere e farina per le famiglie colpite, e
donazioni di forniture sanitarie e medicinali ad altri centri di salute. Nel
corso del 2012, abbiamo inviato diverse tonnellate di medicinali e generi di
primo soccorso a ospedali e cliniche in Siria, anche nelle aree controllate
dal governo.
Assistenza ai rifugiati anche nei paesi confinanti
Nell’agosto del 2011, MSF ha iniziato a dare supporto alle iniziative locali
sorte in Turchia per aiutare i rifugiati e da allora ha ampliato le attività
fornendo assistenza medica ai rifugiati in Libano, Iraq e Giordania.
Dall’inizio del 2012 fino a gennaio del 2013, MSF ha effettuato circa 69.000
visite mediche e psicologiche ai rifugiati di questi quattro paesi, soprattutto
in Libano e Iraq.
In Libano, MSF assiste la popolazione siriana attraverso servizi di cure di
base, trattamento delle malattie croniche, cure prenatali e di salute
mentale, e si occupa inoltre di distribuire generi di primo soccorso. MSF
opera attualmente a Tripoli, nel nord del Libano, dove è maggiore la
presenza di rifugiati siriani, e nella valle della Bekaa, dove molti siriani in
fuga dal loro paese attraversano il confine.
In Iraq MSF è il principale fornitore di assistenza medica nel campo
rifugiati di Domeez, dove si sono stabilite oltre 50.000 persone. MSF
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effettua visite di medicina generale, di salute mentale, vaccinazioni e
distribuzioni mirate di kit igienici, oltre a occuparsi
dell’approvvigionamento idrico e delle fognature. MSF opera inoltre ad Al
Qaim dove supporta la clinica gestita dal Ministero della Salute iracheno e
ha recentemente iniziato a fornire servizi di salute mentale in due campi
rifugiati dell’area.
In Giordania, MSF fornisce servizi di chirurgia ricostruttiva per i rifugiati
che hanno riportato ferite di guerra. Attualmente, i casi chirurgici siriani
(principalmente ortopedici) rappresentano il 40% delle ammissioni
nell’ospedale gestito da MSF ad Amman, dove vengono offerti fisioterapia,
supposto psicosociale e assistenza post-operatoria. MSF gestisce anche le
visite ambulatoriali per i siriani.
In Turchia, in partnership con la Helsinki Citizens Assembly, MSF dà
supporto psicologico ai rifugiati siriani che vivono all’interno e all’esterno
dei campi e ha distribuito generi di soccorso alle famiglie rifugiate che
vivono al di fuori dei campi e che non sono aiutate dal sistema di aiuti
esistente.
Importi complessivi – al 28 febbraio 2013
Budget: Totale per operazioni di MSF dentro e fuori la Siria nel 2013: 19
milioni di euro.
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Tutti i fondi per i programmi dentro e fuori la Siria provengono da
donazioni private.
Risorse umane (équipe locali e internazionali)
Siria:
229
Turchia:
58 (include supporto e coordinamento per la Siria)
Libano:
118
Iraq:
75 (per i campi rifugiati, non include le équipe che operano in
altri progetti in Iraq)
Giordania: 64 (per il campo rifugiati, non include il progetto dell’Amman
Hospital)
Totale:
544 membri delle équipe che operano dentro e fuori la Siria
Attività sanitarie in Siria (Governatorati di Aleppo e Idlib) –a febbraio
2013
Sono stati effettuati 1560 interventi chirurgici da MSF in tre ospedali,
soprattutto per lesioni a seguito di violenze.
Sono state effettuate oltre 20.800 visite mediche, che includono cure
primarie e pronto soccorso.
Da novembre 2012 a gennaio 2013, sono nati 368 bambini, per lo più nel
reparto maternità di Aleppo.
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Distribuzioni in Siria
Sono state consegnate 166 tonnellate di materiali tra i quali kit per trattare
i feriti, le ustioni, kit chirurgici e donazioni di attrezzature sanitarie come
generatori di ossigeno, kit per trasfusioni, ecc. Inoltre nel febbraio 2013,
sono stati forniti 4.000 trattamenti per la febbre tifoide e 500 trattamenti
per la leishmaniosi cutanea nel governatorato di Deir Ezzor.
Sono stati distribuiti generi di prima soccorso tra cui la farina nei
governatorati di Deir Ezzor e Idlib e a 7500 persone che vivono nei campi
di transito vicino al confine con la Turchia, nel governatorato di Aleppo.
Le attività sanitarie nei paesi confinanti con la Siria
Visite a rifugiati (ambulatoriali, salute mentale, postoperatorie, follow up)
Libano: ambulatoriali e salute mentale
25250
Iraq: visite mediche
40000
Turchia: consultazioni individuali di salute
mentale
623
Giordania: visite ambulatoriali
2653
Giordania: follow up post-operatorio
201
Totale pazienti amulatoriali/salute mentale 68727
In aggiunta, in Giordania 190 pazienti sono stati sottoposti a interventi
chirurgici nel programma di chirurgia ricostruttiva di Amman e 125
pazienti hanno effettuato la riabilitazione con della fisioterapia.
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La distribuzione nei paesi confinanti con la Siria
Circa 55.000 generi di primo soccorso sono stati distribuiti in Libano ai
rifugiati siriani. Dalla metà di gennaio, le nostre équipe hanno distribuito
3000 buoni carburante a 500 famiglie della valle della Bekaa.
In Iraq, sono state effettuate distribuzioni mirate di generi di prima
necessità (coperte, kit igienici).
In Turchia, sono stati distribuiti generi non alimentari (coperte, kit igienici,
stufe, carbone) a circa 6900 rifugiati siriani al di fuori dei campi che non
avevano ancora ricevuto alcun aiuto.
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