Adolescenti immigrati. Dalla vulnerabilità alla resilienza. Le risposte

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Adolescenti immigrati. Dalla vulnerabilità alla resilienza. Le risposte
 Adolescenti immigrati. Dalla vulnerabilità alla resilienza. Le risposte al disagio. Riccardo D’Agostino – ASAI Torino Perdersi… e ritrovarsi Quotidianamente incontro decine e decine di giovani nei centri aggregativi dell’associazione ASAI e presso il Centro Interculturale della Città di Torino, nel progetto Giovani al Centro. Molti sono giovani immigrati o figli di immigrati nell’età dell’adolescenza. Tutti alle prese con la fatica del crescere, comune anche agli adolescenti italiani, ma con l’aggiunta di dover fare i conti con la difficoltà di essere in un contesto che evidenzia la contraddizione tra modelli culturali e di vita differenti. Nelle loro storie si intrecciano diversi tipi di vulnerabilità: sociali, emozionali, economiche. In un modo o nell’altro questi ragazzi si sentono “fuori luogo” e talvolta “di nessun luogo”. L’adolescenza porta con sé, in molti casi, l’esperienza del “perdersi”. Molte sono le favole che parlano di bambini che si perdono nel bosco (si pensi a Cappuccetto Rosso, ad Hansel e Gretel). In molte culture, inoltre, il passaggio dall’età dell’infanzia all’età adulta è sancito da rituali di iniziazione che prevedono l’atto di perdersi nella foresta e la conseguente ricerca di un senso, di una direzione, di un ri‐orientamento all’interno della minacciosa confusione che circonda gli iniziati. Perdersi, dunque, non rappresenta solo una condizione di fragilità e vulnerabilità (e la paura che ne consegue), ma assume il significato di una condizione di origine, di inizio. Il bambino si perde per diventare adulto. Per l’adolescente immigrato (ma anche per i figli di migranti, che hanno alle spalle un atto migratorio non loro) il viaggio tra il Paese d’origine e l’Italia costituisce proprio un rituale di passaggio. Ma non solo, durante questo passaggio si smarriscono anche i riferimenti abituali: il proprio corpo, lo spazio, gli amici, i riferimenti adulti. In questo senso, crescere, vuol dire liberarsi dalle conseguenze drammatiche del perdersi. Significa imparare ad orientarsi autonomamente, a cavarsela da soli, trovando nuovi punti di riferimento in mezzo al caos. “Dal perdersi all’orientarsi c’è un processo culturale, l’uso delle occasioni esterne, indifferenti, per volgerle a nostro favore, il piegare l’estraneo a divenire accogliente, a permettere di dimorarvi” (La Cecla F., Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza, 2000). Questo processo di ri‐orientamento, prevede la ricerca e l’impiego da parte dell’adolescente di risorse proprie ed esterne. L’adulto (genitore, educatore, insegnate) non può fare altro che accompagnare il bambino che sta diventando uomo nell’individuazione di queste risorse. La prima risposta che si può dare al disagio è di non trattarlo come un disagio. Un pregiudizio diffuso tra operatori sociali, educatori, psicologi e assistenti sociali è che il ragazzo sia la somma delle disgrazie personali e famigliari pregresse. La tentazione, di fronte alle diversità, è di considerarle sempre e solo come una patologia, una malattia da curare attraverso degli interventi terapeutici ad hoc. Certamente, una disabilità fisica va affrontata con adeguate cure mediche, così come il deficit linguistico di chi arriva in Italia dall’estero va colmato con una “terapia” a base di grammatica italiana. Al tempo stesso, però, occorre non trascurare ed anzi potenziare la parte relazionale, per rispondere a quel bisogno di amicizia e inclusione che ciascuno di noi avverte. L’esperienza quotidiana di dialogo con ragazzi di 14‐18 anni ci suggerisce che per ri‐orientarsi occorre in qualche modo: 1)
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Ricercare e ridefinire il senso dello stare nel mondo. Rispondere alle domande fondamentali. Riuscire a simbolizzare attraverso il linguaggio emozioni, esperienze, pensieri. Sviluppare appartenenza a luoghi e persone. Dare spazio alla propria creatività. È a partire da questi punti cardinali che insegnanti, genitori, educatori, operatori sociali, animatori interculturali, possono accompagnare gli adolescenti nel loro viaggio, da protagonisti, verso l’età adulta.