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Psicologia
Geoff Colvin
La trappola del talento
2008
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
La trappola del talento, per mesi in testa alla classifica del New York Times, si basa sui più
recenti studi scientifici riguardanti le grandi performance nel lavoro e nello sport. Le
conclusioni di questi studi, commentati dal giornalista e scrittore americano Geoff Colvin,
contraddicono apertamente le opinioni più diffuse. Il talento naturale e le doti innate come
l’intelligenza o la memoria, infatti, svolgono un ruolo assai più limitato di quanto si creda.
L’esercizio continuato, faticoso e ripetuto ha invece una rilevanza decisiva. Essere bravi in
qualsiasi cosa vogliamo fare (suonare uno strumento musicale, dipingere un quadro,
partecipare a una corsa, dirigere un gruppo di persone, parlare in pubblico) è una delle
esperienze più appaganti della vita, ma spesso è molto difficile. A volte l’incapacità di fare
progressi può essere frustrante. La lettura di questo libro ci può aiutare a capire qual è il
modo giusto di migliorare per poter esprimere tutte le nostre potenzialità.
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PUNTI CHIAVE

Il talento naturale viene generalmente sopravvalutato

Anche Mozart e Tiger Woods non avevano un talento innato nel loro campo

Occorrono lunghi anni di preparazione per raggiungere un elevato livello di bravura

Anche il Quoziente Intellettivo non permette di predire chi saranno i migliori

La memoria eccezionale si forma in gran parte con l’esercizio

Non basta la pratica per migliorare: occorre lavorare intensamente sui propri punti
deboli

L’esercizio finalizzato al miglioramento non è mai facile né divertente

Per dare frutti l’esercizio deve permettere un immediato feedback sui risultati

Occorrono almeno dieci anni di addestramento intensivo per padroneggiare una
data attività

Il miglioramento attraverso l’esercizio intenzionale è sempre possibile a qualsiasi
età

Occorre avere una forte motivazione interna per raggiungere livelli eccezionali di
bravura
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RIASSUNTO
Il segreto dei fuoriclasse
La maggior parte delle persone è brava nelle proprie attività quotidiane. Sa svolgere con
competenza il proprio lavoro o le proprie faccende di casa, riesce negli sport o negli hobby
dai quali trae piacere. È molto improbabile, tuttavia, che tra loro vi siano degli autentici
fuoriclasse. Molte persone svolgono la propria attività con scrupolo e impegno per trenta
o quarant’anni, ma non riescono a dirigere le grandi società come Jack Welch o Andy Grove,
non giocano a golf come Tiger Woods, non suonano il violino come Itzhak Perlman. Perché
sono così poche le persone che raggiungono livelli eccezionali nel proprio campo?
Nel libro La trappola del talento Geoff Colvin cerca di rispondere a questa domanda
basandosi su centinaia di studi scientifici che hanno analizzato le performance d’eccezione
negli ambiti più diversi: tra i direttori d’azienda, i giocatori di scacchi, i chirurghi, i piloti di
jet, i violinisti, i venditori, i romanzieri, gli sportivi e altro ancora. Questi studi giungono tutti
a conclusioni che contraddicono gran parte di quello che noi crediamo di sapere sulla
bravura eccezionale.
Il talento è sopravvalutato
La gente è convinta che per cantare, comporre o suonare occorra un dono naturale o un
talento speciale. Nel 1992 un gruppo di ricercatori inglesi fece un vasto esperimento per
individuare i segni del talento musicale, ma non riuscì a trovarlo. Dopo aver esaminato 257
allievi delle scuole musicali e divisi in gruppi a seconda dell’abilità, i ricercatori si accorsero
che i segni rivelatori del genio musicale precoce semplicemente non c’erano. Al contrario,
se giudicati sulla base delle prime prove, tutti i gruppi di allievi risultavano molto simili tra
loro. Quale elemento, allora, differenziava i più bravi dai meno bravi? Lo studio fornì una
risposta a questa domanda: un solo e unico dato consentiva di pronosticare l’eccellenza
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musicale degli studenti, ed era quanto si esercitavano. Per superare un esame
occorreva un certo numero d’ore d’esercizio giornaliero. Non esisteva nessun “percorso
rapido” per ottenere grandi risultati.
E Mozart allora? Non è la dimostrazione più evidente che la grandezza è originata da una
scintilla divina? Componeva musica a cinque anni, si esibiva in pubblico come pianista e
violinista a otto, creò centinaia di opere, alcune delle quali considerati autentici tesori della
cultura occidentale, nell’arco di una vita di soli trentacinque anni. Se non è talento questo,
vien da pensare, allora niente lo è.
In realtà Wolfgang ricevette fin dalla più tenera età una severissima istruzione musicale da
parte del padre musicista Leopold. Le sue prime composizioni di bambino non sono
particolarmente originali. Il primo capolavoro, il Concerto per piano n. 9, venne composto
quando aveva ventun anni. Un’età giovanile, certo, ma a quel punto Wolfgang aveva alle
spalle già diciotto anni di duro lavoro formativo. Qualsiasi scintilla divina Mozart possa aver
avuto dentro di sé, commenta Colvin, non gli ha permesso di realizzare un’opera
straordinaria in tempi brevi e con facilità, al contrario di quanto comunemente si crede.
Mozart diventò Mozart impegnandosi allo spasimo.
Anche la storia del fenomeno del golf Tiger Woods è simile a quella di Mozart. Earl Woods
era un esperto e appassionato golfista che ha cominciato a istruire suo figlio Tiger fin quasi
dalla nascita. A sette mesi lo teneva sul seggiolone per ore a guardare il padre che tirava le
palline in garage. Prima che Tiger compisse due anni, padre e figlio giocano e si allenavano
regolarmente sul campo da golf. Quando a 19 anni realizzò la sua prima straordinaria
performance a livello internazionale, aveva alle spalle almeno 17 anni di pratica intensiva.
Woods infatti non ha mai spiegato i suoi fenomenali successi con il talento innato, ma solo
con il duro addestramento: lavoro, lavoro e ancora lavoro.
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Anche se si esaminano le vite dei grandi uomini d’affari, come Jack Welch, Bill Gates, John
D. Rockefeller, David Ogilvy o Warren Buffett, si scopre che nessuno di loro mostrò da
giovane una particolare inclinazione per gli affari, salvo uno spiccato interesse per il denaro
e un fortissimo impulso ad arricchirsi. Hanno lavorato con il massimo impegno per molti
anni, per imparare tutto il possibile nel campo di loro interesse. Hanno realizzato
performance di prim’ordine solo dopo una certa età. I primi grandi successi di Buffett come
investitore ad esempio arrivarono quando era già più che trentenne e aveva lavorato con
impegno in quel settore per più di vent’anni.
Quanto contano l’intelligenza e la memoria?
Anche le doti intellettive e mnemoniche hanno un ruolo molto limitato nel raggiungimento
dei grandi risultati. In una vasta gamma di ambiti, compreso quello degli affari, il legame
tra intelligenza e capacità specifica è debole e in alcuni casi inesistente. Quando i ricercatori
hanno confrontato il quoziente intellettivo (Q.I) dei venditori con i risultati effettivi delle
vendite, non hanno trovato corrispondenza. Gli stessi risultati hanno dato le ricerche sugli
scommettitori di cavalli, i quali svolgono un’attività non dissimile dagli investitori: studiano
i fatti, valutano le quotazioni e poi decidono dove piazzare il proprio denaro. Gli esperti
nelle previsioni non sono risultati più intelligenti degli scommettitori inesperti.
Anche negli scacchi il QI non predice in modo affidabile la performance. Sembra difficile
crederci, perché siamo soliti pensare che il gioco degli scacchi sia un esercizio di pura
intelligenza. Eppure, i ricercatori hanno riscontrato che alcuni Grandi Maestri di scacchi
hanno un QI al di sotto della norma. Uno studio condotto su bambini che iniziavano a
giocare a scacchi ha evidenziato come il quoziente intellettivo non fosse di alcuna utilità
per prevedere quanto rapidamente avrebbero fatto progressi. Più i bambini facevano
pratica e progredivano, più il QI perdeva importanza. Il QI è dunque un discreto elemento
di previsione della performance per un compito sconosciuto, ma quando una persona
svolge un certo lavoro da qualche anno, il QI dice poco o nulla sulla sua performance.
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Anche l’altra capacità generalmente associata al successo, una memoria prodigiosa, è stata
ridimensionata dagli studi più recenti. La capacità mnemonica, del resto, è più formata che
innata. Uno studente con una memoria nella media riuscì a memorizzare, dopo 250 ore di
allenamento nel corso di due anni, 82 cifre in sequenza casuale, quando tutti arrivano al
massimo a sette o nove cifre. Anche i Grandi Maestri di scacchi che giocano in simultanea
e bendati (“alla cieca”) numerose partite contro avversari di livello inferiore non hanno una
memoria sovrumana. In realtà grazie alla pratica hanno acquisito un’incredibile capacità di
ricordare le posizioni reali dei pezzi sulla scacchiera, ma fuori da questo campo specifico la
loro memoria non è superiore alla media.
La regola dei dieci anni di pratica
Qual è allora il fattore chiave? Colvin esamina la storia di Jerry Rice, il più grande ricevitore
nella storia del football americano. I suoi record di ricezioni sono superiori di circa il 50 % a
quelli del secondo in classifica. Questa sua superiorità sembra incredibile in un campionato
in cui la competizione è così elevata. Tutti nel mondo del football sembrano tuttavia essere
d’accordo sul fatto che Rice era il più grande perché s’impegnava più a fondo di qualsiasi
altro. Di solito continuava l’allenamento a lungo, dopo che il resto della squadra se n’era
andato a casa. In più faceva sei giorni alla settimana di allenamento fuori stagione, in
completa solitudine. Rice programmava il suo allenamento per lavorare su esigenze
specifiche, concentrandosi solo su quegli elementi nei quali pensava di aver bisogno di
migliorare, in particolare la sua resistenza. Non si divertiva affatto, perché non c’è nulla di
divertente nel correre fino al limite dello sfinimento o sollevare pesi fino al limite del
cedimento dei muscoli, ma queste attività avevano un’importanza fondamentale.
Le ricerche del professor K. Anders Ericsson e della sua equipe hanno permesso di chiarire
un spetto cruciale della questione. Studiando le performance dei violinisti, scoprirono che
la cosa più importante per fare progressi era l’esercizio solitario. I violinisti migliori in media
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si esercitavano da soli circa 24 ore alla settimana, gli altri soltanto nove ore alla
settimana. I primi erano d’accordo che esercitarsi da soli fosse l’attività più importante, ma
erano anche convinti che non fosse né facile né divertente. Il vantaggio dell’esercizio era
cumulativo: i migliori avevano accumulato, a diciotto anni, in media 7.410 ore di
esercitazione, contro le 5.301 dei violinisti di medio livello e le 3.420 dei peggiori. Le ore di
esercizio sono dunque strettamente collegate alla qualità della prestazione, e per questa
ragione tutti avevano sempre impiegato molti anni per raggiungere l’eccellenza.
Anche negli scacchi si è notato che nessuno raggiunge i massimi livelli senza almeno un
decennio di studio intensivo. Persino il mitico Bobby Fischer divenne Grande Maestro
all’età di sedici anni dopo aver studiato in modo ossessivo da nove anni. Le tre sorelle
ungheresi Polgar divennero le più forti scacchiste di tutti i tempi dopo essere state
sottoposte a un esperimento dal padre Laszlo Polgar, uno psicopedagogista convinto che i
fuoriclasse non fossero tali per nascita ma per formazione. Le sue tre figlie furono istruite
in casa fin da piccole, e l’insegnamento consisteva soprattutto in lezioni di scacchi. Tutte e
tre raggiunsero livelli mondiali di prim’ordine. Nei tornei i risultati migliori di Judit, la sorella
che si impegnava più ore al giorno.
La regola dei dieci anni di addestramento assiduo per raggiungere i livelli più elevati è stata
successivamente confermata da altre ricerche in numerosi ambiti. Se una persona
raggiunge una condizione elitaria solo dopo molti anni di lavoro, conclude Colvin, attribuire
il ruolo principale del suo successo a doni innati non è molto credibile.
L’importanza dell’esercizio intenzionale
Le differenze tra coloro che realizzano elevate prestazioni e le persone normali sono
dunque il risultato di un periodo, lungo tutta la vita, di impegno volontario per migliorare
la performance in un campo specifico. La cosa interessante è che si può continuare a
progredire anche dopo aver raggiunto quelli che una persona considera i propri limiti
naturali. Le ricerche hanno infatti dimostrato che le persone comuni, in vari ambiti di
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lavoro, potevano fare progressi anche dopo che il loro livello si era apparentemente
stabilizzato. La normale pratica però non è sufficiente. Occorre qualcosa di più: l’esercizio
intenzionale, cioè un’attività espressamente finalizzata al miglioramento in cui si cercano
di identificare con precisione gli elementi della performance da migliorare, per poi lavorare
intensamente su quelli.
Coloro che raggiungono grandi risultati, infatti, isolano aspetti molto specifici della loro
attività e si concentrano solo su uno di essi finché non fanno progressi, poi passano al
successivo. Per questa ragione almeno agli inizi diventare molto bravi è estremamente
difficile senza l’aiuto di un coach. Quando manca una visione chiara e obiettiva della
prestazione, infatti, è impossibile scegliere le migliori modalità di esercizio. Ogni persona
ha una propria “zona comfort” (le cose che sa far bene per abitudine), una “zona di
apprendimento” (le cose che non sa fare bene) e una “zona panico” (le prestazioni giudicate
impossibili da realizzare). È possibile fare progressi solo scegliendo attività che fanno parte
della zona di apprendimento, cioè quelle appena fuori dalla propria portata. Molti anni di
esercizio intensivo, infatti, modificano davvero il corpo e il cervello, creando nuove
connessione neuronali e allargando quelle già esistenti mediante l’accumulo di una
sostanza chiamata mielina intorno alle fibre nervose e ai neuroni.
Una seconda caratteristica dell’esercizio intenzionale è la ripetizione, anche ossessiva. I
grandi giocatori di pallacanestro, tennis, golf o baseball hanno passato anni e anni, tutti i
giorni per ore e ore, a tirare a canestro e a colpire o lanciare una pallina. Occorre anche
avere un criterio per valutare i risultati, cioè un feedback sempre disponibile. Per gli sport
di solito questo non è un problema, mentre per altre attività, come suonare uno strumento
o i colloqui d’affari, spesso è indispensabile il giudizio di una persona esperta o di un
insegnante. L’esercizio intenzionale non è mai rilassante, e richiede un notevole sforzo di
concentrazione. Mentre le attività “automatiche” che sappiamo fare bene sono piacevoli,
l’esercizio intenzionale non è mai divertente.
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Il ruolo della motivazione
L’estenuante spingersi oltre ciò che è facile, per tante ore al giorno, per tanti anni, è
talmente faticoso che nessuno può farlo senza una passione straordinaria. Non basta una
motivazione “estrinseca”, ad esempio il desiderio di guadagnare di più. L’impulso deve
venire dall’interno. Poiché l’esercizio estenuante non è di per sé piacevole, deve soddisfare
un bisogno interiore a livello più profondo.
In genere questa passione non nasce tutta in una volta, ma si sviluppa assieme al
miglioramento delle proprie capacità. Un livello accresciuto di competenza aumenta il
livello massimo di esercizio intenzionale che può essere sostenuto. Praticamente in ogni
campo i principianti non riescono a sopportare più di un’ora di esercizio al giorno, ma nel
momento in cui sono diventati fuoriclasse si sono ormai irrobustiti e riescono a fare quattro
o cinque ore di esercizio al giorno.
Col passare del tempo l’allenamento intensivo e il miglioramento delle prestazioni
contribuiscono quindi alla crescita reciproca. Il prezzo delle grandi performance è
straordinariamente alto, e forse è inevitabile che pochi scelgano di pagarlo. Il modo con cui
i fuoriclasse sono riusciti a diventare bravissimi nel loro campo, tuttavia, ci dimostra che
tutti possono migliorare. La grande prestazione, conclude Colvin, non è riservata a pochi
eletti, ma è alla portata di tutti.
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CITAZIONI RILEVANTI
Che cos’è l’esercizio intenzionale
«L’esercizio intenzionale è caratterizzato da vari elementi, ciascuno degno di analisi. É
un’attività espressamente progettata per migliorare la performance e spesso richiede
l’aiuto di un insegnante. Può essere ripetuta a lungo, il feedback sui risultati è sempre
disponibile, è molto impegnativa a livello mentale, sia che si tratti di un’attività puramente
intellettuale come il gioco degli scacchi o gli affari, oppure pesantemente fisica come lo
sport. E non è molto divertente» (p. 89).
Evitare gli automatismi
«I grandi, invece, nel loro campo d’elezione, non si concedono mai di abbandonarsi agli
automatismi, che arrestano i progressi. L’effetto dell’esercizio intenzionale continuo
consiste nell’evitare l’automaticità. L’essenza stessa dell’esercizio, che si basa sul tentativo
costante di fare cose che ci riescono difficili, rende impossibili i comportamenti automatici
… Evitare l’automaticità attraverso l’esercizio continuo è un altro modo per dire che color
che raggiungono grandi risultati progrediscono sempre» (p. 108-109).
La dura preparazione precede l’impresa creativa
«L’impresa creativa non arriva mai all’improvviso, anche nei casi in cui il creatore sostiene
che è stato così. Il transistor o l’album dei Beatles Sgt. Pepper, o il telefono cellulare, o Les
Demoiselles D’Avignon di Picasso, tanto per fare qualche esempio, sono traguardi raggiunti
dopo un lungo periodo di intenso lavoro e, nella maggior parte dei casi, lo sviluppo del
prodotto stesso della creazione ha richiesto molto tempo. Le grandi innovazioni sono rose
che per fiorire hanno bisogno di essere coltivate a lungo e con cura» (p. 193).
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L’AUTORE
Geoff Colvin è caporedattore della rivista Fortune, conferenziere, autore di programmi
televisivi e radiofonici, scrittore di libri di successo sui trend recenti dell’economia e del
business: Angel Customers and Demon Customers (2003), The Upside of the Donwturn
(2009), La trappola del talento (Talent is Overrated, 2008), Humans are Underrated (2015).
NOTA BIBLIOGRAFICA
Geoff Colvin, La trappola del talento. Da Mozart a Tiger Woods, è il duro lavoro a fare di te
un genio, Rizzoli, Milano, 2009, p. 276, Traduzione di Simona Brogli, redazione di Giulio
Lupieri.
Titolo originale: Talent is Overrated. What Really Separates World-Class Performers from
Everybody Else
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