L`educazione familiare tra dipendenza e autonomia

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L`educazione familiare tra dipendenza e autonomia
L’educazione familiare tra dipendenza e autonomia
LUIGI PATI
Abstract: Every person, by being born, is called to accomplish a very precise task: moving to get autonomy, even though the dependence condition he is living in seems to be
satisfying. We can say that the whole human life sorts out into the two extremes of dependence and autonomy; the same way we can state that the achievement of higher and
higher levels of autonomy is directly connected to a specific educational aim: the taking
on of personal responsibility towards the world of experience. The article faces the above
mentioned matters, to dwell upon the educational action that the family is called to,
especially in the adolescence of the children.
Riassunto: Ogni persona, con il suo venire al mondo, è chiamata ad assolvere un compito ben preciso: volgersi alla conquista dell’autonomia, pur se la situazione di dipendenza in cui si trova può al momento risultare appagante. Possiamo dire che tutta la
vita umana si dipana tra i due estremi della dipendenza e dell’autonomia; così come
possiamo affermare che la conquista di livelli sempre più alti di autonomia si correla
direttamente a un obiettivo educativo specifico: l’assunzione della responsabilità personale verso il mondo dell’esperienza. L’articolo riflette sui motivi or ora richiamati, per
poi indugiare sull’azione educativa che la famiglia è chiamata a svolgere, specialmente
nell’età dell’adolescenza dei figli.
Parole chiave: educazione familiare, autonomia, dipendenza, adolescenza.
Ogni persona, con il suo venire al mondo, è chiamata ad assolvere un
compito ben preciso: volgersi alla conquista dell’autonomia, pur se la situazione di dipendenza in cui si trova può al momento risultare appagante.
Possiamo dire che tutta la vita umana si dipana tra i due estremi della dipendenza e dell’autonomia; così come possiamo affermare che la conquista
di livelli sempre più alti di autonomia si correla direttamente a un obiettivo educativo specifico: l’assunzione della responsabilità personale verso il
mondo dell’esperienza.
È mia intenzione, in un primo momento, riflettere sui motivi or ora richiamati, per poi indugiare sull’azione educativa che la famiglia è chiamata
a svolgere, specialmente nell’età dell’adolescenza dei figli.
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Vita umana e tensione all’autonomia personale
Sin dai primi giorni e mesi di vita, il piccolo dell’uomo sperimenta il valore della dipendenza da qualcuno che ha cura di lui; percepisce in maniera
funzionale l’importanza di poter dipendere da qualcuno pronto a soddisfare i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue attese; avverte in modo immediato
il suo appartenere a qualcuno capace di proteggerlo e di rassicurarlo. Nelle
situazioni in cui al bambino è impedito di fare esperienza di questa forma
di positiva dipendenza, non solo assistenziale ma anche e soprattutto emotivo-affettiva, allora può insorgere il senso di abbandono e di indifferenza
verso il mondo.
Tuttavia, sin dal momento della nascita, la vita del piccolo dell’uomo si
tinge anche dei colori dell’allontanamento, della separazione, del distacco,
al punto che soltanto in forza di esso è permesso acquisire piena padronanza di sé, maturità esistenziale, autonomia comportamentale. Ciò spinge
a dire che in campo pedagogico-educativo il tema della distinzione di Sé
dall’altro occupa un posto fondamentale.
Il bambino, nel corso dell’età infantile, è chiamato a passare con gradualità, da un comportamento dipendente dagli adulti, alla manifestazione
delle prime condotte autonome. In tale procedere, la funzione educativa
della famiglia è di primaria importanza. Tanto la madre quanto il padre,
con uguali responsabilità ma con tonalità e modi d’intervento differenti,
sono tenuti a soddisfare bisogni, esigenze, desideri del figlio, mentre lo sollecitano ad assumere condotte viepiù regolate ed autonome. Tutti gli studi
esistenti sull’argomento mettono in luce gli influssi educativi provenienti dai genitori in ordine allo sviluppo dell’autonomia individuale, quindi
all’acquisizione di alcune strumentalità operative fondamentali da parte
della prole (linguaggio, sviluppo motorio, criteri di condotta ecc.) (Pati,
2008). Padre e madre, attraverso i loro primi interventi educativi, già nel
corso della prima infanzia incentivano il processo di separazione del figlio.
I vari apprendimenti a cui questi è da quelli sollecitato ad attendere – dal
riconoscimento delle figure genitoriali all’apprendimento del linguaggio,
alla deambulazione, alla regolamentazione delle attività fisiologiche, ecc. –
sono fattori che definiscono sempre più il dinamismo della differenziazione
e quindi la graduale conquista di livelli sempre più alti di autonomia (Pas
Bagdadi, 2006, 15-23).
Nei confronti dei figli in età di fanciullezza, l’intervento educativo della
famiglia potenzia il processo di differenziazione in direzione evolutiva e in
prospettiva relazionale. Nella fanciullezza il minore abbisogna come non
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mai di riorganizzare il proprio comportamento e le proprie acquisizioni
alla luce di precisi principi orientativi. D’altro canto, anche l’ambiente in
cui egli vive necessita di specificarsi in settori d’esperienza maggiormente
definiti e attraenti. Se per un verso le sfere affettiva, sociale, cognitiva, morale, estetica, religiosa, motoria della persona in crescita si perfezionano e
si arricchiscono sempre più, per l’altro verso i vari spazi di vita in cui il medesimo è inserito richiedono una migliore strutturazione e un più efficace
orientamento (Debesse, 1972). Quella della fanciullezza, pertanto, si mostra come un’età di notevole incidenza sulla maturazione personale. In essa
compare l’intelligenza discorsiva o teorica, sicché il fanciullo, se nello stadio
evolutivo precedente era capace di ragionare movendo soltanto dal concreto, ora invece si avvia al padroneggiamento degli elementi astratti o simbolici. Durante questo periodo la famiglia è tenuta a perfezionare la propria
azione, attraverso una migliore delineazione dell’intervento educativo del
padre, della madre, della coppia di coniugi nel complesso, soprattutto in
conformità alle trasformazioni cui sono sottoposti il sistema scolastico e il
gruppo di coetanei a cui il minore appartiene. La differenziazione si palesa
come legge pedagogica dello sviluppo personale, familiare e sociale (Pati,
2007, 108-115).
Con l’accedere all’età della preadolescenza, il minore manifesta problematiche psicologiche, sociali, morali e così via le quali, mentre preannunciano
quelle proprie dell’adolescenza, sono al tempo stesso specifiche dell’età in
parola e affatto originali (De Pieri-Tonolo, 1990). In tale procedere, sono
due le note peculiari emergenti. Innanzi tutto, l’importanza educativa da
attribuire alla preadolescenza, da valutare come tappa ricca di trasformazioni e segnata da crisi, che sono da assumere e orientare nella direzione
della conquista di mète di sviluppo autonomo sempre più articolate e complesse (si pensi ai turbamenti, ma anche ai mutamenti provocati dall’insorgere della pubertà). In secondo luogo, l’emergere imperioso del tema
relativo alla proposta valoriale. Nell’età in parola è fondamentale che i valori
accompagnino e ispirino la crescita dei minori, per guidarla, correggerla,
darle un senso. Ne consegue che nella preadolescenza diventa sempre più
cogente l’esigenza pedagogica di sollecitare le figure parentali a delinearsi
come modelli educativi animati da una chiara e circostanziata concezione
dell’uomo, del mondo, della vita. Da essi i figli apprenderanno ad affrontare
con una certa responsabilità le varie e nuove situazioni esistenziali, verso
le quali si sentiranno viepiù attratti (sessualità, amicizie, gruppi associativi, ecc.) (Pati, 1999, 7-25). Qualora i genitori si sottraessero al suddetto
compito, favorendo nel figlio forme di eccessiva dipendenza da entrambi o
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da uno di essi, si avrebbe a che fare con disturbi delle relazioni educative,
suscettibili di sfociare in forme di vera e propria patologia relazionale. Nel
campo della letteratura scientifica concernente i disturbi della comunicazione educativa familiare, è permesso rilevare esemplificazioni significative
di rapporti domestici i quali, anziché giovare al graduale ampliamento del
raggio esplorativo del minore, quindi al graduale rafforzarsi dell’autonomia
comportamentale di costui, tendono a “bloccarlo” nella situazione di sviluppo e di esperienza in cui si trova (Rossi, 1995, 223 e ss.; Milani, 2009,
33-55).
La corretta separazione esige sempre una profonda unione, un intenso legame di cura (Dusi, 2008, 58-61). D’altro canto, occorre rilevare che
se quest’ultima si sviluppasse secondo modalità di mero inglobamento, di
annullamento dell’altrui realtà personale, anche quella si svolgerebbe in
maniera problematica, assumendo i tratti della lacerazione e della negazione. Una relazione educativa familiare fortemente vincolante, oppressiva,
limitante, che impedisce al minore di sperimentarsi come persona capace
di fare e di scegliere secondo le possibilità determinate dall’età, può causare
forme di acuta ribellione (Verlato, Anfossi, 2006, 206-231).
Caratteristiche della tensione all’autonomia
Autonomia non è rifiuto di ciò a cui si è stati uniti; anzi, è capacità di
continuare ad accettarlo, avendo al tempo stesso la forza di dichiararsi rispetto ad esso nella propria indipendenza di giudizio e d’azione. Pertanto,
sotto l’aspetto pedagogico l’autonomia non va mai intesa in termini drastici
né va suscitata in maniera repentina. Per sortire effetti positivi, essa ha da
essere collegata sempre alle istanze della dialetticità e della gradualità.
a) La dialetticità sta a significare che, nelle relazioni interpersonali sostenute da preoccupazioni educative, la tensione a separare il proprio Io dal Tu
si contraddistingue come permanente processo in cui l’allontanamento non
è mai lineare; ad esso possono subentrare momenti di ritorno alla fonte, di
ricupero delle radici, ed in siffatto procedere di separazione e avvicinamento il soggetto conquista il proprio spazio vitale.
Si pensi, per esemplificare, all’inserimento del bambino nella scuola materna. In alcuni casi si possono dare resistenze del bambino a misurarsi con
il nuovo (la scuola), quindi con un’esperienza di autonomia e di ampliamento del raggio esplorativo. Le difficoltà spesso si superano proprio attraverso il coinvolgimento e dei genitori (o di uno di essi) e delle insegnanti,
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tutti chiamati a “mediare” il già noto con la novità, a stabilire continuità tra
spazio domestico e spazio scolastico (Pati, 1998, 65-68).
Un altro esempio lo possiamo ricavare dall’adulto, che, dopo avere effettuato scelte di vita autonoma – come il matrimonio –, in alcuni periodi
desidera ritornare nel luogo della propria primaria dipendenza – la casa dei
genitori e il rapporto con essi – per ricuperare parte di sé e della propria
storia di figlio.
b) La gradualità giova a far sottolineare diversi gradi di distacco, conformemente all’età attraversata dal soggetto interessato, quindi al suo livello
di responsabilità morale, di maturità comportamentale, di capacità decisionale. Si può concepire tutta la vita dell’uomo come un lento e progressivo
processo di separazione, che tuttavia non si trasforma mai in isolamento.
A loro volta, le varie età della vita sono qualificate da peculiari momenti di
separazione: dalle età precedenti e seguenti, da modi di essere e di fare, da
spazi relazionali, da significati esistenziali. Essi, però, non si risolvono in
fratture. Le varie forme di autonomia si radicano sempre in una trama di
relazioni. L’adultità, pertanto, non fa rima con l’autosufficienza: si mostra
come capacità del soggetto di collegare con equilibrio la propria iniziativa
autonoma ai vincoli d’interdipendenza intrecciati.
Il grado ultimo della separazione è l’agire autonomamente con responsabilità, in riferimento al quale trova giustificazione l’allentarsi di alcuni legami e il privilegio accordato ad altri, il differenziarsi degli interessi rispetto
a quelli propri delle persone agenti nel nucleo primario di appartenenza,
l’insorgere di tensioni e conflitti tra soggetti di differente età.
La tensione umana all’autonomia, però, non va mai disgiunta da un elemento di base, indispensabile per il buon esito della medesima: qualsiasi
tipo di separazione chiama sempre in causa un’unione iniziale, un vincolo
forte primario attraverso il quale imparare a coltivare e alimentare il desiderio d’indipendenza.
Autonomia e dipendenza nell’età dell’adolescenza
Soprattutto nell’età dell’adolescenza dei figli i genitori sperimentano il
dolore della separazione. I figli cominciano con maggiore forza e volontà
a effettuare le loro scelte, a prendere le loro decisioni, a valutare con autonomia fatti e persone. È l’età in cui il tema dell’unità familiare si sfrangia,
ponendo i genitori dinanzi alla necessità di imparare a conciliare il loro
permanente uniformarsi allo stile relazionale domestico con l’inclinazione
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filiale a intessere legami esterni, anche se non condivisi dal padre e dalla madre; il rispetto di regole comuni con la tendenza adolescenziale alla
critica e/o al rifiuto delle medesime; la coerente proposta di orientamenti
valoriali già offerti in passato con le eventuali variazioni e negazioni compiute dai figli.
Spicca, in questa età, il tema del grado di responsabilità che i soggetti in
crescita sono chiamati a definire e a manifestare nell’affrontare in maniera
adeguata i nuovi compiti educativi che si pongono loro. Tra questi, assumono notevole peso l’autonomia dai genitori e dagli adulti di riferimento,
la scelta scolastico-professionale, l’assunzione di un codice morale preciso,
l’adattamento all’altro sesso. Tutto ciò può essere indicato con l’esigenza
educativa di elaborare, chiarire e iniziare a concretare un progetto di vita
(Pati, 2004; Simeone, 2008, 69-75). In questa situazione, se è importante
che il “piano esistenziale” sia avvertito dall’adolescente come autonomo e
personale, è altresì fondamentale l’atteggiamento educativo dei genitori.
Costoro sono tenuti ad ispirarsi come non mai alla “pedagogia del dialogo”
(Leroy, 1972, 210-221), mettendo in pratica la loro competenza educativa
ad allacciare buone reti di comunicazione con i figli; a disporsi in maniera
corretta all’ascolto dei loro problemi; a suscitare in essi atteggiamenti di
riflessione e atti di libera scelta. Va evitata, in linea generale, l’imposizione
autoritaria, l’insofferenza, la strumentalizzazione.
Ai genitori di soggetti adolescenti si richiede soprattutto la capacità di
rispettare l’alterità dei figli, di confrontarsi con loro, di disporsi alla revisione delle proprie idee e convinzioni, mentre al tempo stesso essi insegnano
con l’esempio a difendere la validità dei valori assunti e che ispirano la loro
vita individuale e comune. Gli adulti investiti di responsabilità educative
sono chiamati a concedere con gradualità agli adolescenti un sempre maggiore raggio di azione e di conoscenza, controllando che i medesimi diano
prova di saper governare i margini di libertà concessi. Ciò significa che non
è tanto il divieto in sé e per sé a dover primeggiare quanto la definizione e il
rispetto di regole di comportamento e di rapporto, che aiutino l’adolescente
a percepire il senso del limite esperienziale e morale. Al tempo stesso, l’attenzione per le regole poste va resa funzionale alla rilevazione della fiducia
riposta dagli adulti nell’adolescente, una fiducia che pertanto va coltivata
anche attraverso il rispetto di vincoli e norme di comportamento e d’azione
(Massa, 1990; Barone, Mantegazza, 1999).
I motivi esposti sospingono a sottolineare il primato educativo della famiglia nell’età in parola. Molteplici ricerche segnalano che nell’adolescenza,
mentre il gruppo dei pari influisce sull’assunzione di decisioni marginali
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(vestiti, gusti musicali, opinioni, ecc.), la famiglia ha un’incidenza di base
circa la scelta dei valori e le decisioni importanti come la carriera scolastica
(Brown, Mann, 1991, 363-371; Greco, Maniglio, 2009). S’impone, in siffatto contesto, la necessità pedagogica di distinguere tra adesione relazionale e appartenenza relazionale.
In ordine all’adesione relazionale, occorre notare che il processo di conquista dell’identità personale motiva nell’adolescente una maggiore attenzione verso ciò che può meglio aiutarlo a percepire in modo chiaro sé stesso
e, al tempo stesso, gli offre occasioni per dare prova delle sue permanenti
conquiste nel campo dell’agire autonomo. Deriva da ciò l’importanza assegnata al gruppo di amici, al rapporto affettivo (d’amore), agli adulti significativi. Tali riferimenti relazionali sono ricercati dall’adolescente perché gli
permettono di verificare i livelli di maturità conseguiti, quindi la possibilità di essere riconosciuto e di riconoscersi nella propria individualità (con
le proprie preferenze e decisioni; con i propri gusti, bisogni e desideri).
L’adesione relazionale, insomma, struttura il terreno in cui l’adolescente
sperimenta la coscienza di sé.
Per quanto concerne l’appartenenza relazionale, essa attiene soprattutto
ai rapporti con la famiglia, quindi con i genitori. Si tratta di legami che
dagli adolescenti sono coltivati per i contributi da essi offerti in ordine al
rafforzamento e/o alla precisazione dell’identità personale. Dalle relazioni
stabilite con il padre e con la madre l’adolescente trae incentivo, motivazione, suggerimento per tratteggiare e perseguire il proprio divenire umano
(Pati, 2000, 7-25).
Contributi della ricerca empirica per l’educazione all’autonomia
degli adolescenti
Per ribadire l’importanza educativa della famiglia nell’età dell’adolescenza, può risultare interessante riferirsi ai risultati di una ricerca svolta
dal Ce.S.Pe.F. (Centro Studi Pedagogici sulla vita Matrimoniale e Familiare
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - sede di Brescia) nell’anno 2003
presso 589 adolescenti di Cremona (249 maschi pari al 43% e 336 femmine
pari al 57%). Al momento della somministrazione del questionario, il 53%
degli studenti frequentava la classe II mentre il 47% frequentava la classe IV della scuola media di secondo grado. Scopo principale dell’indagine
è stato quello di rilevare le problematiche e i bisogni evolutivi principali,
in modo da procedere alla prospettazione di itinerari e compiti educativi
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idonei a favorire la conquista di forme sempre più sofisticate di autonomia
comportamentale.
Dai dati ottenuti si ricava che il desiderio dei soggetti indagati di avere
continui rapporti di dialogo e di confronto con gli adulti è vivo e forte, pur
emergendo e viepiù imponendosi in questa età la forza di attrazione del
gruppo dei pari.
Quando incontrano difficoltà o si sentono insoddisfatti, gli adolescenti
preferiscono in misura rilevante chiudersi in camera, magari ascoltando
musica. In misura minore evitano la vicinanza di altre persone in generale
e dei familiari in ispecie. Ciò fa supporre che è vivo in loro il desiderio di
essere cercati, di essere presenti nella mente e nei pensieri degli altri.
Su tale dato poggia l’esigenza pedagogico-educativa che le varie presenze adulte, i genitori specialmente, affinino le proprie capacità comunicative,
intrecciando con gli adolescenti rapporti di sostegno, di comprensione e di
cura.
Il gruppo rappresenta una delle note più caratteristiche della vita adolescenziale. In esso, contrariamente a quanto avviene nei vari spazi educativi,
dominano le relazioni simmetriche, con le quali si connette la possibilità
di aggregazione e di separazione all’insegna dell’assoluta discrezionalità. Il
gruppo s’impone nella vita dell’adolescente come esigenza primaria. Per
suo tramite il soggetto in crescita assume consapevolezza di alcuni suoi
tratti caratteristici, intraprende nuove vie esplorative e conoscitive, attiva
forme di confronto interpersonale.
Soprattutto il gruppo con nascita spontanea si presenta ricco di fascino
e di forza di attrazione: esente del controllo adulto, permette l’ostentazione
di comportamenti spregiudicati, l’assunzione di norme elaborate e decise
autonomamente dai membri costitutivi per adeguarle agli schemi di comportamento prescelti dai medesimi. La sua pressione sui soggetti aderenti
è innegabile, anche per la possibilità loro offerta di sperimentare senza il
controllo adulto la nascente identità e i diversi livelli di autonomia/responsabilità conseguiti.
È possibile convenire che, proprio se valutata in riferimento alla forza
esercitata dal gruppo dei pari, la presenza degli adulti acquista maggiore
peso educativo, delineandosi come fondamentale fattore di crescita (Galli,
1990, 195-200). Per meglio chiarire l’affermazione, vale la pena riprendere
alcuni risultati della ricerca citata.
Presso gli adolescenti di Cremona si nota la conferma di una generale
tendenza, tipica dell’età in parola, a spostare la propria attenzione dalla famiglia verso il gruppo dei coetanei. Si tratta di una comprensibile esigenza
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di partecipazione alle attività esplorative e conoscitive dettate dal nuovo
livello di autonomia e di responsabilità sociale conseguito. L’adolescente ha
bisogno di prendere le distanze dalla propria famiglia, dai propri genitori,
dal mondo degli adulti, per poter attendere alla migliore definizione di sé.
Le sollecitazioni esterne alla famiglia costituiscono oramai il suo elemento
primario di interesse: con esse si confronta e verso di esse spesso i genitori
assumono atteggiamenti di forte critica e di decisa resistenza.
L’esigenza partecipativa degli adolescenti ad ambiti esperienziali extradomestici, tuttavia, assume caratteristiche peculiari, conformemente al tipo
di legame che essi intrattengono con la famiglia. Si può parlare, a questo
riguardo, con riferimento all’indagine svolta a Cremona, dell’esistenza di
tre raggruppamenti di adolescenti, che manifestano differenti modalità di
relazione con l’ambiente familiare e con i coetanei.
a) Ad un estremo troviamo gli adolescenti fortemente orientati verso la famiglia. Sono soggetti d’ambo i sessi che coltivano soprattutto i rapporti con
i genitori e con i parenti e ad essi preferiscono rivolgersi in caso di bisogno.
In tale raggruppamento troviamo adolescenti che non hanno un buon rapporto con il proprio corpo i quali, in caso di difficoltà, tendono ad isolarsi
o rifugiandosi nel chiuso della propria stanza o, specialmente se di sesso
femminile, privilegiando la confessione dei propri stati d’animo attraverso
il diario personale. Sotto l’aspetto pedagogico non si tratta di esaltare gli
adolescenti orientati verso la famiglia. Nell’età in parola, infatti, l’esclusività
dei vincoli con l’adulto, quindi fortemente asimmetrici, non favorisce la
conquista dell’autonomia né promuove forme di sperimentazione di sé in
un contesto relazionale di natura simmetrica. Occorre invece sollecitare
l’adolescente ad equilibrare il proprio essere personale con la partecipazione a reti orizzontali di rapporto.
b) All’estremo opposto troviamo gli adolescenti fortemente orientati verso
il gruppo dei pari. Si tratta di ragazzi che si presentano come soggetti maggiormente a rischio, essendo evidente la loro inclinazione a sperimentare
modalità di comportamento e schemi di relazione alternativi a quelli degli
adulti. Sembra quasi che in tali soggetti il desiderio di guadagnare una certa
distanza dall’ambiente familiare e dal mondo degli adulti in generale li porti poi a stabilire forme di dipendenza ancora più stretta con il gruppo dei
coetanei e con l’uso di sostanze stupefacenti. In caso di difficoltà dichiarano
di reagire, soprattutto se maschi, bevendo alcolici e/o assumendo comportamenti distruttivi verso beni di pubblica utilità. Sotto l’aspetto pedagogico
tutto ciò non può né deve suscitare negli adulti posizioni di aspra critica
nei confronti del gruppo di adolescenti. Questi hanno bisogno di ampliare
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il proprio raggio relazionale, sperimentando nuove forme di rapporto interpersonale. Pertanto, occorre evitare di valutare erroneamente il gruppo
dei coetanei come fonte certa di pericolo. Al tempo stesso, è indispensabile
intraprendere forme di dialogo, in maniera tale da sollecitare i soggetti interessati a valutare con criticità la cultura del gruppo di riferimento.
c) Tra i due estremi su indicati si collocano gli adolescenti che, nel loro
desiderio di aggregarsi e di fare esperienze con i coetanei, mantengono ben saldo
il rapporto con la famiglia, dalla quale traggono incentivo e suggerimenti
per imparare a valutare con maggiore criticità la cultura del gruppo a cui
aderiscono. I soggetti facenti parte di questo settore manifestano maggiore
equilibrio emotivo rispetto ai loro coetanei compresi negli altri due settori.
Essi in caso di necessità si rivolgono di preferenza agli adulti significativi,
per ricevere consigli e consolazione. Con i genitori continuano a mantenere
rapporti positivi, pur nello stato di dialettica relazionale suscitato dal binomio desiderio di autonomia-indipendenza/vincoli-e-regole-di-comportamento dettate dalle figure parentali (Tonolo, 1999).
Sotto l’aspetto pedagogico questo gruppo di adolescenti si rivela assai ricco di suggerimenti educativi. Soprattutto, sollecita a dire che l’enfasi educativa, nell’età in parola, va posta non tanto sulla famiglia come
artefice esclusiva di educazione, quanto e soprattutto sulla famiglia come
spazio relazionale abbisognevole di essere sostenuto da altri ambienti educativi.
La presenza dell’adulto non può porsi in termini di pervasività relazionale;
non può diventare per l’adolescente fattore di esclusione sociale e di mero
divieto esperienziale. È chiamata, invece, a saper avvalorare le esigenze e le
attese adolescenziali, impegnandosi nell’organizzazione di un contesto di
vita in cui l’atteggiamento di controllo si accompagni sempre ad una chiara
preoccupazione educativa (Pati, 2000, 24-25). In altri termini, lungi dal negare il valore pedagogico del gruppo, è compito dei genitori attuare un’originale forma di mediazione educativa tra famiglia e mondo circostante.
L’adolescente desidera entrare in rapporto con i coetanei e con altri soggetti a lui più vicini per età e sensibilità: si tratta di una esigenza non solo
legittima ma assolutamente necessaria ai fini del corretto processo evolutivo
di crescita. Dinanzi a questo stato di cose, occorre prestare attenzione non
tanto al prevalere o meno del gruppo nella vita del soggetto rispetto alla
presenza di altri ambienti, della famiglia soprattutto. All’opposto, ciò di cui
bisogna accertarsi è il tipo di influsso che il gruppo può esercitare sull’adolescente, in modo da attivare adeguate strategie educative di selezione, di
valutazione, di orientamento. La famiglia non può incorrere nell’errore di
pensare di poter esaurire al proprio interno la carica esplorativa e conosci-
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tiva dell’adolescente. S’impone per essa la necessità d’intrecciare rapporti di
partecipazione con i vari spazi in cui l’adolescente via via s’inserisce e sperimenta nuove forme di relazionalità. Non bisogna mai dimenticare che in
forza dei movimenti di allontanamento dalla cultura familiare e di ritorno
ad essa, quindi ai valori che contrassegnano l’assetto interattivo domestico,
l’adolescente impara a costruire nuove reti di legami e a definire inediti
schemi di condotta con il mondo circostante.
Nella progettazione dell’intervento educativo, i genitori sono chiamati ad assumere consapevolezza del fatto che il rapporto stabilito dall’adolescente con la madre è più trainante, coinvolgente, rispetto al rapporto
stabilito dall’adolescente con il padre; un buon rapporto con quest’ultimo,
tuttavia, sembra facilitare il dialogo intrafamiliare. In ogni caso, è indispensabile capire che anche durante l’adolescenza il legame con la madre è fondamentale per il processo di crescita, pur nell’ovvia problematicità che esso
può assumere a causa dei dinamismi dettati dall’età. Per l’adolescente, avere
un buon rapporto con la madre significa essere aiutato a intrecciare un
buon rapporto con il padre; non vale invece il contrario.
Le riflessioni svolte permettono di rilevare, in fase conclusiva, due piani
pedagogici distinti eppure in costante e reciproca interazione. Da una parte
v’è il piano della competenza educativa degli adulti, implicante l’esigenza della
permanente preparazione al mestiere di genitori. Dall’altro lato si pone il piano della conquista della maturità personale da parte dei minori, in cui il soggetto mostra l’idoneità ad interpretare con originalità il processo di sviluppo,
contro i tentativi di manipolazione, di condizionamento, di non-intervento
adulto. Tutto ciò in riferimento al ciclo di vita della famiglia, che pertanto
mostra d’essere intrinsecamente connesso con il procedere educativo dei singoli soggetti, dei vari sottosistemi, dell’insieme domestico in generale.
Presentazione dell’Autore: Luigi Pati, professore ordinario di Pedagogia generale e di Pedagogia della famiglia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore,
è direttore del Ce.S.Pe.F. (Centro Studi Pedagogici sulla Vita Matrimoniale e
Familiare) operante presso la sede bresciana della medesima Università. È, inoltre,
direttore della rivista La Famiglia pubblicata dall’editrice La Scuola.
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EDUCATION SCIENCES & SOCIETY