Il mito di Don Giovanni

Transcript

Il mito di Don Giovanni
Il Mito di Don Giovanni-Parte I^
La figura di Don Giovanni in Tirso de
Molina
Tirso De Molina prese i voti a 17 anni e unì la
vocazione religiosa a quella teatrale. A
Toledo conobbe Lope de Vega. La sua
produzione comprende commedie d’amore
e avventura ed opere religiose. La
commedia più nota che unisce entrambi i
temi è Il beffatore di Siviglia e Convitato di
pietra del 1630. Il protagonista che da
questo momento diventa il prototipo dei
seduttori è Don Giovanni che fin dall’inizio
inganna e seduce una ragazza a Napoli.
Fugge per nave e dopo un naufragio viene
curato da una ragazza che viene sedotta e
abbandonata. Giunto a Siviglia Don
Giovanni cerca di sedurre Anna che chiede
aiuto al padre Don Gonzalo.
Il Mito di Don Giovanni- Parte seconda
Don Giovanni e Don Gonzalo si sfidano a duello. Don Giovanni uccide Don
Gonzalo e si dà alla fuga. Durante la fuga si sostituisce al marito di una giovane
dopo aver ingannato il padre della ragazza con la promessa di grandi ricchezze e
giurando di mantenere la promessa: in caso contrario si augura di morire per
mano di un morto. Tornato a Siviglia, Don Giovanni vede la statua di pietra di don
Gonzalo eretta dal re per onorarlo. Come segno di derisione la invita a cena. La
sera la statua di Don Gonzalo si presenta a casa di Don Giovanni fra il terrore dei
servi, poi invita lo stesso Don Giovanni nella sua cappella. Don Giovanni
sfrontatamente vi si reca e al momento di andarsene è preso per mano dal
convitato di pietra e trascinato all’inferno. Indubbiamente il personaggio di Don
Giovanni con la sua sfrontatezza, la sua cinica e beffarda vitalità giganteggia nel
ricordo del lettore.
Due sono i temi peculiari del ’ 600 in quest’ opera: il tema della
trasformazione, della metamorfosi(Don Giovanni si traveste di continuo, si
sostituisce ad altre persone) e il tema del potere, la sete di dominio che si
manifesta sul piano del sesso e della conquista della donna nella capacità di
seduzione del protagonista.
Qualche don Giovanni da leggere
Tirso de Molina, L’ingannatore di Siviglia, 1630.
Molière, Don Giovanni, 1665.
Lorenzo Da Ponte, Il dissoluto punito o sia Il Don Giovanni, 1787.
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Don Giovanni, 1813.
George Gordon Byron, Don Giovanni, 1819-24.
Alexandre Dumas père, Don Juan de Marana, 1836.
Soren Kierkegaard, Don Giovanni, 1843.
Gustave Flaubert, Una notte di Don Giovanni, 1851.
George Bernard Shaw, Don Giovanni explains, 1887.
Guillaume Apollinaire, I tre Don Giovanni, 1915.
Vitaliano Brancati, Don Giovanni in Sicilia, 1942.
Bibliografia essenziale di riferimento
Franca Angelini, Don Giovanni, in Barocco italiano, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, diretta da
Roberto Alonge e Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 2000, I, La nascita del teatro moderno.
Alessandro Baricco, Dracula, in Il romanzo, a c. di Franco Moretti, Einaudi, Torino 2003, IV, Temi,luoghi, eroi.
Pierre Brunel, Dictionnaire de Don Juan, Laffont, Paris 1999.
Umberto Curi, Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno, Bruno Mondadori, Milano 2002.
Angelica Forti Lewis, Maschere, libretti e libertini: il mito di Don Giovanni nel teatro europeo, Bulzoni, Roma
1992.
Pierre-Jean Jouve, Il Don Giovanni di Mozart, Adelphi, Milano 2001.
Giovanni Macchia, Vita, avventure e morte di Don Giovanni, Laterza, Bari 1966.
Massimo Mila, Lettura del Don Giovanni di Mozart, Einaudi, Torino 1988 e 2000.
Renato Raffaelli, Variazioni sul Don Giovanni, Quattroventi, Urbino 1990.
Jean Rousset, Il mito di Don Giovanni, Pratiche, Parma 1980.
Don GiovanniGiovanni- il mito in Musica e in Letteratura
Capita spesso di sentir parlare di Don Giovanni, anche
in contesti molto diversi da quelli che più gli sono
propri, come la musica, il teatro e la letteratura. Questo
perché Don Giovanni è entrato nella vita quotidiana,
perdendo completamente la sua connotazione artistica
e lasciandosi assimilare nell’immaginario collettivo.
Don Giovanni è uno di quei personaggi che si
svincolano dall’opera e dall’autore che li ha generati,
per muoversi autonomamente nel mondo, forti di una
personalità ben definita e priva di debiti verso
l’esterno. Per questo Don Giovanni, come anche per
esempio Edipo, Amleto, Faust, viene accolto dalla
psicanalisi come immagine emblematica dell’uomo e
delle sue debolezze. L’eroe dell’opera di Mozart e Da
Ponte è quindi soprattutto un simbolo, che in quanto
tale non si lascia dimenticare, passando di autore in
autore come se appartenesse a tutti e a nessuno. Don
Giovanni è innanzitutto un mito moderno, che si
trasforma in relazione ai tempi e ai luoghi, ma che
sostanzialmente rimane invariato nelle sue
componenti essenziali.
Il Don Giovanni di Mozart
Verso la fine del Seicento si cominciano a
creare due fazioni principali sulla questione
dell’opera lirica. C’era chi riteneva che l’opera
fosse diventata una solenne porcheria, un
“contenitore” (un po’ come oggi ci sono i
programmi contenitore in tv) che veniva
riempito con un po’ di tutto ma che in
definitiva non aveva nulla. Gli spettacoli
duravano a lungo non perché ciò avesse un
senso drammatico, ma perché il pubblico
andava a teatro anche per giocare, fare
l’amore, mangiare, ordire intrighi di potere o
di affari, spendere soldi nel casinò al piano di
sopra a così via. Solo di tanto in tanto apriva
le tende del palco per vedere cosa succedeva
in scena, mantenendole aperte se, ad
esempio, Farinelli cantava la sua aria. Al
pubblico non interessava più quale fosse
l’argomento drammatico, ciò che la storia
raccontava: lo spettacolo diventava un
pretesto per fare altre cose e per ascoltare
l’aria o il duetto che più interessavano.
Il Don Giovanni di Mozart
Altri invece credevano nello spettacolo lirico e cercavano di
dimostrare che esso poteva ancora avere un riscontro culturale,
pur nel divismo dei cantanti, nella eccessiva spettacolarità e negli
interessi degli impresari. Personaggi come Metastasio cercarono
quindi di riformare l’opera per ritornare ad un melodramma che
avesse in se stesso una ragione d’essere.
Così ci ritroviamo nel Settecento, e sicuramente Mozart con i suoi
drammi buffi o presunti tali (ma prima di lui Gluck, Scarlatti,
Vivaldi, Haendel e altri) ha dato un nuovo significato al
melodramma, che poi con il Romanticismo ha ottenuto il massimo
del suo trionfo.
Lorenzo Da Ponte
Da Ponte è un autore geniale, e si classifica tra quegli avventurieri della penna che hanno
caratterizzato il Settecento europeo. Fu un poeta libertino in tutti i sensi, anche come percorso
biografico. Nacque da una famiglia ebraica e il suo vero nome era Emanuele Conegliano. La
famiglia, su sollecitazione del vescovo di Ceneda – l’attuale Vittorio Veneto - si convertì al
cattolicesimo, e il piccolo Emanuele venne preso a benvolere dal vescovo che lo fece studiare e gli
cambiò il nome dandogli il suo cognome. Da Ponte ripagò il vescovo dal punto di vista
dell’ingegno ma non sotto altri aspetti, perché condusse una vita irregolare al limite della liceità e
della legalità, sempre bandito da una città e dall’altra, addirittura perseguitato dalla Repubblica
Veneta in cui era nato. Giunse a Trieste solo per muoversi verso Dresda, dove c’era un re di
Sassonia che adorava le opere italiane. Però si fermò prima, a Vienna, dove trovò il successo e la
fama.
Da Ponte è un poeta di genio, capace di apprendere perfettamente la lezione di Goldoni. Accanto
alla sua produzione di prosa, infatti, Goldoni scrisse parecchi libretti in musica e guadagnò molti
seguaci ed imitatori. Il suo realismo sociale si rivelò assai misurato per quanto riguarda il
costume, cercando di non valicare mai i confini del buon senso e anticipando in ciò
un’inclinazione che sarà tipica del mondo liberale ottocentesco. Da Ponte non fu assolutamente
così: adoperò la tecnica realistica di Goldoni per mettere in scena situazioni provocatorie,
ironiche, sarcastiche. Ma era anche l’epoca a portarlo su questa strada.
Da Ponte e Mozart: un incontro felice

Si incontrarono perché lavoravano nella stessa città e negli stessi ambienti teatrali. La
produzione teatrale viennese era completamente controllata dal governo: c’era quindi un
legame molto forte tra l’attività degli spettacoli e l’imperatore Giuseppe II. Tale situazione
portò Da Ponte ad entrare in contatto con tutti i musicisti di Vienna, anche con Mozart.
Quest’ultimo, che aveva una straordinaria competenza in materia di libretti, era alla
continua ricerca di buone storie e di geniali librettisti. Pensava però che gli italiani fossero
pericolosi, per rimanendo affascinato dall’opera del nostro paese. Quando si incontrarono
erano ambedue pieni di inquietudini e di ambizioni, ma si capirono, anche umanamente.
Questa intesa si realizzò in tre famosissime opere – con soggetto sempre scelto da Mozart la prima delle quali è Le nozze di Figaro. Le nozze di Figaro deriva da una commedia di
Beaumarchais carica di elementi quasi sovversivi da un punto di vista sociale, tanto che era
stata censurata. Ovviamente, essendo un libro proibito, lo scritto circolava ancora di più,
ma nessuno si sarebbe mai immaginato che a qualcuno fosse venuto in mente di trarci un
melodramma. Oltretutto si trattava di un’azione molto complessa, con parecchi
personaggi. Mozart insistette lo stesso, rischiò, ed ebbe successo grazie alla benevolenza
dell’imperatore. Da Ponte ne trasse una commedia squisita, con tanta parte di umanità:
emozione, dolore, riflessione. Fu abilissimo a focalizzare l’attenzione più sulla vicenda
interiore ai personaggi che sulle tematiche sociali, pur mantenendo intatto lo spirito dello
scritto originale.
Da Ponte+Mozart
La seconda esperienza fu quella del Don Giovanni. Ovviamente Da Ponte non fu mai
moralistico, e anche in questo caso prese ciò che era stato scritto sul personaggio
traendone un qualcosa di più personale e originale.
Nel 1810 chiesero a Beethoven di parlare dei grandi musicisti moderni. Quando arrivò il
turno di Mozart egli lo descrisse come un sommo genio, ma lo accusò di aver scritto il Don
Giovanni. Questo perché? Perché Beethoven, sia pure in senso molto ideale e senza alcuna
venatura di violenza, era essenzialmente un moralista. Egli intendeva il Don Giovanni
come la celebrazione del male, perché il male vi si presenta in maniera così grandiosa che
non può non essere ammirato. Effettivamente gran parte di questa operazione è dovuta a
Da Ponte, che ha radicalmente trasformato l’originale di Tirso De Molina, sebbene lo stesso
testo fosse già stato portato nel teatro musicale più volte – ad esempio con Gazzaniga, su
libretto di Bertati, che lo musicò circa cinque anni prima della versione di Mozart.
Da Ponte+Mozart
Il duo Mozart-Da Ponte sapeva benissimo di cosa si trattava, perché aveva davanti un modello di poco
precedente che aveva riscosso un buon successo. Andavano alla ricerca di un piatto forte, di carattere
aristocratico ma capace di allargare la fascia di pubblico alla quale si rivolgevano.
Ne uscì un lavoro straordinario, che però manteneva qualcosa della versione originale. Sicuramente non venne
mantenuto il clima da Controriforma per cui il malvagio, laddove la società fallisce, viene punito dalla volontà
divina. La morale tornava però a ripetersi, così come si rinnovava la carica eversiva del libertino.
La parola “libertino” nasce proprio nel tardo Cinquecento e si lega a personaggi del genere, ossia
a quei nobili che rivendicano la propria libertà di comportamento nei confronti di tutte le
oppressioni, anche quella della chiesa verso i costumi. Ovviamente l’uomo comune fu colpito
principalmente dal loro comportamento irregolare sotto il profilo sessuale e familiare, e da qui
l’attuale significato.
All’epoca di Mozart questo don Giovanni si rivelò al passo con i tempi, perché sembrò sposare
proprio quelle idee che allora risultavano più rivoluzionarie ed avanzate.
Nel finale del primo atto si svolge una festa organizzata da don Giovanni per sedurre una
contadinella, Zerlina. A questa festa, che si svolge nel suo palazzo, vengono invitati tutti i
contadini dei dintorni. Arrivano però degli individui mascherati, che hanno intenzione di
partecipare all'evento per ucciderlo. Leporello, che lo ignora, li scorge dalla finestra e chiama don
Giovanni, il quale gli dice di invitare anche loro. Nel momento in cui entrano a palazzo, don
Giovanni canta: “E’ aperto a tutti quanti, viva la libertà!”, e tutti gli fanno eco: “Viva la libertà!”.
È veramente travolgente: non ci sono più barriere tra i ceti sociali, non ci sono più barriere di
costume. Qui si pratica l’amore libero. Ciò per l’epoca era veramente incredibile: non a caso Don
Giovanni fu musicato da un massone, e anche Da Ponte era iscritto alla massoneria. Meraviglia il
fatto che fosse rappresentata una cosa del genere.
Molière, Don Giovanni- trama e personaggi- prima
parte

Dai riduttori francesi, e maggiormente dagli
italiani, trasse Molière le linee generali del suo
Don Giovanni, commedia in cinque atti in prosa,
rappresentata a Parigi il 15 febbraio 1665. Don
Giovanni ha lasciato la sposa, donna Elvira, in
cerca di nuove avventure; col servo Sganarello
vuol rapire in mare una giovane al suo fidanzato;
ma i due compari stanno per naufragare e due
contadini li salvano. Don Giovanni corteggia la
contadina Carlotta (nonostante le rimostranze del
fidanzato, che è uno dei salvatori) e le promette di
sposarla, come prima aveva promesso a un'altra,
Maturina. Le due si accapigliano, don Giovanni le
tiene a bada entrambe. In una foresta, ove i due
fuggono travestiti, incontreranno i fratelli di
donna Elvira. Sempre nel bosco Sganarello cerca
invano di vincere l'empietà del padrone, il quale
osa offrire un luigi d'oro a un mendicante, purché
bestemmi. Questi rifiuta fermamente, e l'altro
glielo dà ugualmente "per amore dell'umanità".
Poi salva un gentiluomo assalito dai ladri, don
Carlos, fratello di Elvira, che per ciò gli concede
una dilazione nella vendetta.
Don Giovanni-trama e personaggi-2^ parte

Sganarello conduce il padrone a vedere, lì presso, la superba tomba di un Commendatore e la sua statua.
Don Giovanni la fa invitare a cena dal servo. In casa sua riceve poi il signor Dimanche, mercante suo
creditore, e cortesemente lo rimanda senza pagarlo; il padre, don Luigi, rimprovera il figlio dissoluto, che
risponde breve, con freddo scherno, e il vecchio gli predice la punizione che egli stesso potrebbe dargli
prima del Cielo. Giunge anche donna Elvira, del tutto staccata dagli affetti mondani, e lo supplica di
evitare l'ira divina: egli non si scompone, e ammira la donna rinnovata dal dolore e dall'abito modesto. La
tavola è pronta, la statua del Commendatore entra, si siede, e a sua volta invita don Giovanni a cena il
giorno dopo. Col padre ora il dissoluto si finge pentito; ma è l'ultima frode, l'ipocrisia. A don Carlos, che gli
chiede di confermare Elvira come sposa, rifiuta, adducendo il suo proposito di vita tutta devota. Un ultimo
avvertimento gli è dato da uno Spettro (una donna velata), che si cambia nel Tempo armato di falce, e
sparisce quando don Giovanni vuole colpirlo. La statua del Commendatore si presenta al libertino, per
condurlo a cena; lo prende per mano e gli rivela la condanna. Tuoni e fulmini cadono su di lui, la terra si
apre a inghiottirlo. La sua morte vendica gli offesi e libera il mondo; solo il servo reclama il salario non
ricevuto. Dal Burlador de Sevilla di Tirso de Molina eran derivate in Italia commedie regolari e dell'arte
che furono subito note e imitate in Francia. Dagli Italiani e dalle imitazioni francesi prese Molière la
materia, modificandola liberamente, e infondendovi uno spirito personale, per cui il suo Don Juan può
stare accanto a quello spagnuolo, come una nuova, diversa figurazione del tipo leggendario. Il seduttore si
complica con l'ipocrisia, "ce vice à la mode", dopo aver assunto atteggiamenti di libertino del pensiero.
Intorno al gran signore malvagio, robustamente accampato, Molière ha costruito liberamente una
commedia varia, disuguale, inquietante, che va dalla farsa campagnuola al dramma più acuto. La lucida
regolarità delle altre commedie è lontana, sostituita da una ricchezza quasi romantica di situazioni e di
sentimenti. La scena col povero, le severe parole di don Luigi recano sensi e preoccupazioni moderne;
mentre la coppia don Giovanni Sganarello ha un rilievo comico, la persona del seduttore perverso, isolata,
un po'amara, ha una severità che non è della vera commedia. Qui più che altrove l'autore ha superato i
confini del genere, con un ardimento che si spiega anche per la felice improvvisazione con la quale il
lavoro fu compiuto, in un momento in cui Molière alla piena maturità dell'arte aggiunge la sua passione di
uomo, il risentimento contro i "devoti" e il principe di Conti che combattevano il suo Tartufo.
Il dissoluto punito o sia il Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti
di Mozart- Scheda






Organico Soli (soprano, tenore, basso),
coro e orchestra (archi, flauti, clarinetti,
oboi, fagotti, corni, trombe, tromboni,
timpani, mandolino) - Continuo (cembalo
e violoncello) nei recitativi
Data Marzo-ottobre 1787 (31 anni)
Luogo Vienna e Praga
Prima Praga, Nationaltheater, 29 ottobre
1787
Edizione Schott, Mainz 1793
Testo Lorenzo da Ponte
Il dissoluto punito o sia il Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti
di Mozart- Scheda

























Personaggi
(voci)(primi interpreti)Donna Anna
soprano
Teresa Saporiti
Donna Elvira
soprano
Caterina Micelli
Zerlina
soprano
Caterina Bondini
Don Ottavio
tenore
Antonio Baglioni
Don Giovanni
basso
Luigi Bassi
Leporello
basso
Felice Ponzani
Il Commendatore
basso
Giuseppe Lolli
Masetto
basso
Giuseppe Lolli
Il dissoluto punito o sia il Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti
di Mozart- Scheda





Siviglia, XVI secolo. Il Commendatore accorso in difesa dell'onore della figlia Donna Anna, viene ucciso
dall'audace seduttore, il nobile Don Giovanni: Il duca Ottavio, promesso sposo di Donna Anna, giura di
scoprire l'assassino, mentre questi fugge coperto dalle tenebre assieme al servo Leporello. Raggiunto da
Donna Elvira, una delle passate amanti, Don Giovanni abbandona ancora la scena, lasciando Leporello a
sciorinare il "catalogo" delle conquiste amorose dello straordinario seduttore. Intanto si stanno svolgendo i
festeggiamenti per le nozze di due contadini, Masetto e Zerlina: Don Giovanni seduce la sposina e, con
minacce e lusinghe, riesce a star solo con lei. Ma arriva Donna Elvira, la quale sottrae Zerlina alle mire di
Don Giovanni.
Donna Anna riconosce dalla voce di Don Giovanni che egli è l'assassino di suo padre e, accompagnata da
Don Ottavio e Donna Elvira, si dirige al castello di Don Giovanni, dove si sta svolgendo la festa organizzata
"in onore" di Zerlina. Qui Don Giovanni viene smascherato e su di lui viene invocata la vendetta del cielo.
Nel secondo atto, dopo altri inganni perpetrati grazie allo scambio di abiti con Leporello, Don Giovanni si
rifugia in un cimitero, dove beffardamente invita a cena la statua del Commendatore. Tornato al suo
castello, Don Giovanni si siede a tavola, respingendo l'ultimo tentativo di Donna Elvira di farlo ravvedere.
Anche quando giunge la statua del Commendatore, che lo invita a pentirsi, Don Giovanni non arretra. È
l'ora fatale: la terra si squarcia e Don Giovanni viene inghiottito tra le fiamme.
Infine, Zerlina e Masetto celebrano le loro nozze, Donna Anna e Don Ottavio progettano la loro unione,
Donna Elvira annuncia di volersi ritirare in un convento e Leporello va all'osteria, "a cercar padron
miglior".
Note L'opera, meravigliosa e immortale, si ispira al celebre mito di Don Giovanni, entrato nella letteratura
nel 1630 con Tirso de Molina, per poi passare attraverso la penna di Molière e di Goldoni. "Mai [Mozart] ci
diede musica altrettanto tenebrosa, cruda, realistica, spregiudicata come in questo dramma crudele e
febbrile; mai altrettanta dovizia di rapidi e taglienti contrasti, passando dalla dolce cantabilità all'orrore
agghiacciante, dalla sublimità di rivelazioni celestiali alle minute banalità della vita quotidiana"
(Paumgartner).
Tirso de Molina, Molière, Lorenzo Da Ponte, Ödön von Horvàth
Don Giovanni. Variazioni sul mito

Il numero delle rielaborazioni teatrali della figura di Don Giovanni è tanto elevato da rendere
difficile, forse impossibile, contare i testi che si sono susseguiti dal 1630, anno in cui Tirso de
Molina inaugurò il fortunato filone con El burlador de Sevilla y convidado de piedra
(L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra). A metà Seicento si assiste ad un fiorire di
commedie e tragedie, spettacoli fieristici e scenari della Commedia dell’arte. Sul finire del
secolo il personaggio seduttore invade melodrammi e opere buffe, drammi giocosi e
commedie per musica, nei primi decenni dell’Ottocento il racconto-saggio di E.T.A. Hoffmann
disegna una nuova visione fantastica della personalità dell’eroe e del suo destino che rigenera
l’interesse e apre la strada ad inediti scenari e alla parallela proliferazione di opere in prosa,
poemi, romanzi, balletti, poemi sinfonici. L’emancipazione dal modello originale continua nel
Novecento e coinvolge l’insieme delle discipline espressive, cinema compreso, che concorrono
a definire Don Giovanni il mito della modernità.
Tirso de Molina, Molière, Lorenzo Da Ponte, Ödön von Horvàth
Don Giovanni. Variazioni sul mito

Apre la serie El burlador de Sevilla, l’opera di Tirso de Molina che ha segnato l’avvio alla
fortuna del personaggio nella cultura europea. Il drammaturgo spagnolo prese spunto da
materiali folklorici di area spagnola e napoletana, ricavò notizie da fonti religiose, drammi
e opere teatrali dell’epoca, tra le quali la Storia del conte Leonzio che, corrotto dal
Machiavelli, ebbe una fine terribile forse scritta da Jacob Gretser e rappresentata ad
Ingolstadt nel 1615. L’elaborazione dell’archetipo di Don Giovanni "non si caratterizza per
una generica immoralità di costumi - sottolinea Curi nell’Introduzione (p. 18) - né per un
impulso coattivo alla soddisfazione del desiderio sessuale, ma per la negazione della
trascendenza e per il rifiuto a riconoscere qualsiasi manifestazione sovrannaturale." Questa
interpretazione supera le strettoie dell’etichetta comune di Don Giovanni quale seduttore
impenitente e focalizza l’attenzione sul tema dell’incontro-scontro con la credenza che la
morte venga a prendere i vivi e che l’uomo morto uccida il suo assassino. L’agghiacciante
punizione finale inflitta da Leonzio è una chiara risposta ad una posizione eversiva verso la
religione, corrisponde alla vittoria della fede sull’Anticristo-Don Giovanni, perché l’abusare
delle donne, ferendole nel loro onore, significa realizzare le teorie morali e politiche
elaborate da Machiavelli sull’esercizio della conquista, che per la cultura del XVII secolo è
sinonimo di eresia ed ateismo. "Il più grande scellerato che la terra abbaia mai generato",
così il servo Sganarello definisce il suo padrone.
Tirso de Molina, Molière, Lorenzo Da Ponte, Ödön von Horvàth

Con Molière il Burlador di Tirso diventa Dom Juan, un libertino scettico e senza scrupoli,
protagonista di una commedia segnata da sintomatiche traversie. Dopo il debutto nel
febbraio 1665 nella sala del Palais-Royal di questo capolavoro, con il quale l’autore tentava
il rilancio dopo le difficoltà incontrate dal Tartufo, seguono solo quindici repliche con gli
incassi che precipitano rapidamente. Un mese dopo il testo fu messo al bando e rimase
lontano dai palcoscenici francesi per quasi due secoli. A provocare un simile destino fu la
radicalità con la quale Molière avanzò critiche feroci all’ipocrisia e al conformismo della
società del suo tempo, smascherando le sue debolezze e denunciando le contraddizioni.
Inoltre, l’attento rigore censorio colpì un altro tratto assolutamente originale del
personaggio, il suo modo di pensare e interpretare il mondo secondo i principi filosofici del
libertinismo. Don Giovanni sostiene che l’amore è "la continuazione della guerra con altri
termini", e che la pulsione sessuale è sete di conquista, desiderio di vittoria. L’amore perde
la sostanza platonica, si allontana dalla protezione divina, diventa istinto e bisogno in una
nuova visione di stampo meccanicistico.
Tirso de Molina, Molière, Lorenzo Da Ponte, Ödön von Horvàth

Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, il testo poetico di Lorenzo Da Ponte musicato
da Wolfgang Amadeus Mozart, costituisce il passaggio dal 'parlato' al 'cantato' del mito di
Don Giovanni, in un orizzonte dove amore e morte si intrecciano in senso tragico. Scritto
di getto in sessantatré giorni di isolamento interrotto solo dalla "compagnia di una
giovinetta di sedici anni", come l’autore riferì nelle sue Memorie, il libretto risente
dell’influenza della commedia goldoniana. Da Ponte trasformò il libertino Don Giovanni in
un "malandrino", lo allontanò dal "dissoluto punito" e dal conquistatore molieriano, per
sminuire lo spessore tragico ed enigmatico, trasformandolo in un giovane lezioso privo di
scrupoli e dubbi. Indossa gli abiti dell’uomo semplice nella psicologia e fallito nelle sue
imprese. Sono interessanti e significativi gli interventi correttivi operati da Mozart nel
libretto. Il compositore cercò di restituire forza al mito conferendo alla musica il delicato
compito di "contraddirne sistematicamente l’impostazione" - osserva sempre Curi (p. 38) introducendo "deliberatamente conflitti e dissonanze, scarti e anomalie, squilibri e
forzature nella geometria elementare dell’universo delineato da Da Ponte."
Rielaborazioni del mito di Don Giovanni nel Novecento

Originali rielaborazioni del mito di Don Giovanni, che si allontanano sempre più dalle
lezioni dei modelli anteriori, si incontrano nel corso del Novecento. Nella commedia Uomo
e superuomo (1901-1903) George Bernard Shaw capovolse l’impostazione tradizionale
affidando alle donne il compito di corteggiare Don Giovanni, il quale fugge e si nasconde
per poi rassegnarsi al ruolo di colui che garantisce la riproduzione della specie umana. In
Don Giovanni o l’amore per la geometria di Max Frisch (1953), l’antico corteggiatore è
impegnato con qualsiasi mezzo a sottrarsi alle donne per potersi dedicare in pace alla sua
vera passione, l’amore per la geometria. Si iscrive in questa corrente di stravolgimento del
mito il dramma Don Giovanni ritorna dalla guerra scritto da Ödön von Horvàth nel
1936 e pubblicato in questo volume. L’autore magiaro ambientò la vicenda in un periodo di
crisi, durante "la grande inflazione" del 1919-1923, e trasforma il personaggio in uno
smarrito e debole reduce dalla Grande Guerra. Rimane vivo il desiderio erotico che però
non significa spregiudicata avventura sessuale bensì ricerca di una perfezione impossibile,
sebbene le trentacinque donne coinvolte si sforzino non poco per dimostrare il contrario.
Questo Don Giovanni convive con lo struggente desiderio di morte, appagato solo nella
scena finale quando si accascia sulla tomba della fidanzata lasciando che la neve
lentamente lo trasformi in un "pupazzo di neve" come indica il titolo dello splendido atto
terzo.
Interpretazione filosofica di Umberto Curi sul
personaggio

Un mito così radicato nella nostra cultura quello di
Don Giovanni da potersi permettere anche, con
estrema disinvoltura di cambiare di forma, come è
stato per le tre versioni divenute poi classiche di Tirso
Da Molina, Molière e Mozart-Da Ponte. Ora su questa
personaggio si addensa però un'interpretazione
filosofica che ne minaccia la sua stessa essenza: Don
Giovanni non avrebbe nulla del seduttore, ma sarebbe
piuttosto il simbolo intorno al quale si concentrano
alcune questioni di grande rilievo filosofico e teologico.
Questa la tesi di Umberto Curi in "Filosofia del Don
Giovanni. Alle origini di un mito moderno" (ed. Bruno
Mondadori, euro 11,50). Se si analizzano infatti con
attenzione i testi delle tre versioni classiche, dice lo
studioso "è totalmente introvabile l'immagine
convenzionale di Don Giovanni come impenitente
seduttore o come insaziabile consumatore di relazioni
sessuali, mentre emergono con grande forza altri
aspetti della personalità dell'eroe e dell'intera vicenda
irriducibili allo stereotipo del collezionismo erotico, e
provvisto invece di una pregnanza filosofica
abitualmente del tutto trascurata nelle interpretazione
correnti del mito".
Interpretazione filosofica di Umberto Curi sul
personaggio




La storia del seduttore incallito e cinico, che sfugge a ogni responsabilità, e verrà dannato da una statua dì
pietra, è l'epopea tragicomica di una inarrestabile e perdente fuga dal tempo che ne fa uno dei miti dell'età
moderna. In un saggio denso e importante, pubblicato ora da Bruno Mondadori, Filosofia del Don Giovanni
(pagg. 248, euro 11,50), Umberto Curi indaga questa figura alla luce dei temi e dei problemi fondamentali della
società europea che dal Barocco si avvia al nostro tempo contemporaneo. Don Giovanni è innanzitutto un
personaggio che nasce nel Seicento, età della Controriforma, e incarna la sensualità, lo spirito libero da ogni
condizionamento morale, la potenza dei sensi sprigionata in piena libertà: una figura antagonistica al
cattolicesimo rigoroso e duro di quel tempo, anzi, un dichiarato spregiatore di Dio.
Deriva, il mito di questo amorale cercatore di piacere fine a se stesso, dalla figura del Libertino, libero pensatore
individualista e indifferente a ogni autorità religiosa o morale. Il libertino è un puro, algido, presuntuoso
intellettuale, il libertino-dongiovanni è più umano, una figura di vitalità irreligiosa, egoista, ma a suo modo
innocente.
Il saggio di Curi ripercorre le interpretazioni di questo personaggio che ne dilatano la complessità: nel
capolavoro di Mozart è vento, movimento, energia, incosciente manifestarsi della vita nella sua potenza. Non
per nulla Kierkegaard ne faceva l'emblema stesso della musica, arte sensuale per eccellenza. Nella sua cieca
furia conquistatore e amatoria, nel suo rapinoso correre di gonnella in gonnella, Don Giovanni rivela in realtà
l'anima di un uomo moderno che non trova più un centro, e la cui vita si rivela un continuo inseguimento che in
realtà è una fuga. Il più grande mito moderno, sostiene l'autore e ribadisce la quarta di copertina, cosa che
peraltro sosteneva già decenni orsono il grande Luigi Macchia. A un patto: che si consideri preminente un mito
dal punto statistico della sua fortuna letteraria.
Nessuno ha avuto tante versioni teatrali, musicali, cinematografiche come Don Giovanni. Ma se stabiliamo la
grandezza di un mito da un punto di vista non statistico, il responso potrebbe cambiare: gli altri due miti
moderni, Amleto e Faustus, rispettivamente emblemi del dolore per un mondo che si sgretola e della
presunzione scientifica, ci riguardano molto più da vicino: nell'età angosciosa delle manipolazioni genetiche,
delle inseminazioni via Internet, della pretesa di fare e cambiare l'uomo, credo sia Faustus, lo scienziato che
voleva sostituirsi a Dio, il mito tragicamente più presente. E Amleto, col suo dolore cosmico e la sua
melanconia, l'emblema di un'umanità che ha perso la fede nelle proprie origini.