ULTIMI DELLA CLASSE PRIMI NELLA VITA A scuola erano

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ULTIMI DELLA CLASSE PRIMI NELLA VITA A scuola erano
ULTIMI DELLA CLASSE PRIMI NELLA VITA
A scuola erano dislessici. Avevano problemi a leggere e scrivere. Eppure sono
diventati grandi imprenditori, artisti e scienziati. La dislessia è una
caratteristica dei geni?
Da Milionaire - di Cristina Galullo
Paul era un bambino con molte difficoltà a scuola: confondeva le lettere dell’alfabeto,
faceva fatica a leggere e scrivere, tanto che venne bocciato due volte. Arrivato
all’università, nel 1970 a Santa Barbara (California), aprì un bugigattolo di tre metri
per tre che offriva un servizio di fotocopie agli studenti. Ne avviò un altro, poi un altro
ancora, fino a creare una catena di 1.500 negozi sparsi per il mondo. Stiamo parlando
del fondatore di Kinko’s, colosso americano della stampa e copiatura, che nel 2004 la
FedEx ha acquistato per una cifra astronomica. Da allora Paul Orfalea si dedica a fare
conferenze motivazionali su come ha avuto successo nonostante il problema della
dislessia: molti altri imprenditori, insieme a lui, ingrossano le file dei dislessici famosi,
una lista in cui compaiono artisti, presidenti, musicisti, star dello spettacolo e persino
scrittori. La sindrome sembra una caratteristica tipica dei geni creativi. Confondere le
lettere, non saperle pronunciare in modo corretto perché non si associa il suono
corrispondente, essere lenti nel leggere e scrivere, invertire i numeri, non riuscire a
imparare le tabelline e aver difficoltà di concentrazione possono essere un serio
problema per i primi anni di scuola. Ma come compensare questi deficit con altre
capacità? “La dislessia è anche dura da vivere, ma non impedisce di trovare la propria
strada.
E
la
soddisfazione
è
doppia”
esordisce
Rossella
Grenci
(www.dislessia.org/forum), Docente del corso di laurea in Logopedia dell’Università
Cattolica di Roma, e fondatrice dell’Associazione Italiana Dislessia, mamma di due
ragazzi dislessici e autrice di “Storie di normale dislessia: 15 dislessici famosi
raccontati ai ragazzi” (Angolo Manzoni Editore).
Come si riconosce la Dislessia?
“E’ caratterizzata dalla difficoltà nella lettura e nella scrittura, ma può riguardare
anche altri ambiti cognitivi come la memoria e l’organizzazione spazio-temporale.
Compare all’inizio dell’attività scolastica e il primo segnale è la lentezza nell’associare
ad una lettera scritta un suono. Si confondono così suoni simili, come ‘d’ e ‘t’, ‘p’ e ‘b’,
‘f’ e ‘v’. la lettura risulta difficoltosa, lenta e scorretta, e naturalmente questo viene
trasferito nella scrittura. Tutte queste componenti sono alterate in grado differente nel
dislessico, così come si possono associare altre manifestazioni tipo la difficoltà a
scrivere correttamente, sia come tratto grafico sia per la presenza di errori ortografici.
Ci sono anche con difficoltà matematiche (si chiamano discalculici)”.
E’ vero che si tratta soprattutto di un problema maschile?
“Colpisce più gli uomini che le donne, ma bisogna anche dire che nei maschi, secondo
alcune ricerche americane, il fenomeno appare più visibile. La dislessia si associa
spesso all’iperattività, che è una caratteristica per sé più maschile”
Quali le cause?
“La dislessia non è conseguenza di problemi di ordine psicologico, come per tanti anni
si è creduto. Non è una malattia. I dislessici sono persone sane, che non hanno deficit
sensoriali di udito e di vista e che non hanno alcun disturbo neurologico o psichico,
inoltre il loro quoziente d’intelligenza è nella norma o addirittura superiore. Anzi, è
proprio questo uno degli elementi diagnostici per stabilire che si tratta di dislessia,
ovvero di un “disturbo dell’apprendimento”. Le sue origini sono neurobiologiche, cioè
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org
Campagna sociale nazionale
contro gli abusi nella prescrizione
di psicofarmaci a bambini ed adolescenti
sono scritte nel diverso funzionamento delle aree cerebrali deputate alla lettura e alla
scrittura, pertanto quando si parla di dislessia si intende una diversità nel modo di
apprendere”.
Come influisce la dislessia nella vita?
“Da bambini, in maniera pesante, perché condiziona la loro immagine di sé: non è
piacevole faticare per fare cose che al proprio compagno vengono facilmente, come
leggere e scrivere. O, come ancora succede se non vengono diagnosticati e capiti,
sentirsi chiamare “pigri” o “asini”, quando invece fanno un grande sforzo per leggere.
E’ stato calcolato che il cervello di un dislessico quando legge lavora cinque volte di
più di quello di un normolettore. In Italia la legge che dovrebbe tutelarli a scuola è
ferma, ma esistono delle circolari ministeriali in cui è scritto che il bambino dislessico
ha diritto ad usare strumenti compensativi come il computer o la calcolatrice. L’adulto,
dipendendo dal grado di dislessia e dalla storia personale, può portarsi dietro alcune
difficoltà. Per esempio potrebbe fare ancora fatica a leggere, soprattutto se è stanco,
a ricordare le cose a memoria. Vero però che il dislessico ha una spiccata capacità di
“pensiero laterale”, quello comandato dall’emisfero destro, che gli consente di trovare
la strada anche quando gli altri annaspano”
Si può curare e guarire?
“Dalla dislessia non si guarisce mai, primo perché non è una malattia, secondo perché
essendo una condizione neurobiologica fa parte dell’individuo. Può però essere ben
compensata negli anni. I dislessici riescono a mettere in atto delle strategie proprie
che permettono loro di avere risultati eccellenti in molti settori. Ecco perché possono
anche diventare scrittori di successo, come Hans C. Andersen, Agatha Christie e Mark
Twain. Gli errori di ortografia si possono correggere, ma quello che importa è la loro
fantasia. Il pensiero visivo permette loro di eccellere in tutti i campi, secondo le
attitudini di ognuno. Lo sapevate che il 40% dei miliardari inglesi è dislessico?”.
Approfondimenti
A SCUOLA DI LINGUAGGIO
E’ importante la terapia logopedia - quanto prima, già a metà della prima elementare
- anche se la diagnosi certa si può fare in equipe (neuropsichiatria infantile, psicologo,
logopedista, foniatra) solo alla fine della seconda elementare, quando cioè è terminata
la fase di alfabetizzazione e il bambino è stato teoricamente messo in grado di
districarsi con la lingua scritta. Prima di allora si parlerà di ritardo nell’acquisizione
dell’apprendimento scolastico. “La diagnosi di dislessia negli adulti, invece, si fa poco
in Italia. Attualmente è in fase di standardizzazione il test presso l’Arcispedale di
Reggio Emilia ( tel. 0522 296031), dove lavorano alcuni specialisti collegati
all’Associazione italiana sislessia (www.dislessia.it)”, commenta la logopedista Rossella
Grenci.
DISLESSICO A CHI?
Il guru Nicholas Negroponte
“Sono dislessico e trovo che leggere sia una cosa dura! Non mi piace leggere… L’unica
cosa che leggo è la prima pagina del giornale per scannerizzarla al computer, affinchè
tutti i miei collaboratori la leggano”. Nicholas Negroponte, guru dell’informatica, è
considerato una delle menti più illuminate di questo secolo. Ha fondato la rivista di
tecnologia “Wired”, ha scritto – tra gli altri - un libro, “Essere digitale”, tradotto in 25
lingue, ha costruito un computer per le popolazioni tecnologicamente arretrate, il
famoso PC a manovella che costa circa 80 euro. Eppure è dislessico.
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org
Campagna sociale nazionale
contro gli abusi nella prescrizione
di psicofarmaci a bambini ed adolescenti
Il giocatore di pallacanestro Magic Johnson
A scuola soffriva per le risatine dei compagni e a tutti voleva dimostrare che poteva
fare di meglio, e che era in grado di leggere, nonostante la dislessia. Capì presto il suo
punto di forza: era alto e fisicamente portato per la pallacanestro. Diventò così uno
dei giocatori più forti di tutti i tempi. Ai suoi fan ha detto: “Ricerca la tua idea. Vedi se
c’è bisogno di essa. Un sacco di gente ha grandi idee ma non sa se ce n’è veramente
bisogno. Solo tu devi capire come gareggiare”.
L’attore di “Fonzie” di Happy Days
Ha dichiarato: “Fonzie era il mio alter ego. Era tutto quello che volevo essere io,
perché, crescendo, non ero per niente figo. Mi sentivo un budino. Forse a causa della
dislessia o per la scarsa fiducia in me stesso, ma la mia autostima negli anni
dell’adolescenza era davvero sotto le suole. Avevo 31 anni quando mi sono accorto di
non essere stupido, ma di soffrire di un disturbo che ha un nome preciso: dislessia.
Oggi tengo conferenze in tutti gli USA. E secondo i test scolastici, appartenevo al 3%
degli studenti più scarsi”.
Commento di Luca Poma, giornalista e portavoce nazionale del Comitato “Giù
le Mani dai Bambini” (www.giulemanidaibambini.org)
La posizione espressa dal Prof. Rossella Grenci è quanto mai condivisibile – commenta
Luca Poma, giornalista e portavoce di “Giù le mani dai bambini”, il più rappresentativo
comitato per la farmacovigilanza in Italia (www.giulemanidaibambini.org) – e anche
se alcuni sacerdoti delal morale scientifica restano aggrappati alle loro false certezze,
è ora di affermare a gran voce che la dislessia è una “diversità”, un diverso modo di
apprendere, ma non è una “malattia”.
E’ questa società assetata di performance che fa diventare la dislessia una
patologia, ed allora il dito va puntato anche verso l’ansia di certi genitori ed
insegnanti. Il bambino che non legge bene “non è adatto” a reggere il confronto con “i
normodotati”: ma questo è razzismo, è come se decidessimo di “rieducare a forza” i
mancini, inadatti a svolgere alcune funzioni lavorative. Nicolas Negroponte, una delle
menti tecnologiche più illuminate del secolo, conferma di essere dislessico e
paradossalmente dice: “leggere è una cosa dura, non mi è mai piaciuto” – e con lui
Picasso, John Lennon, Kennedy, Agata Christie ed anche Albert Einstein.
Alcuni “fortunati” hanno il dono di “dell’orecchio assoluto” ovvero riescono a capire
qual è la nota musicale esatta di ogni rumore che sentono. Forse che tutti noi
“persone normali” dovremmo “curarci” per l’handicap costituito dalle nostre
carenze nel linguaggio musicale? E se le “orecchie assolute” diventassero
maggioranza, noi diventeremmo patologia?
Un mio amico e collaboratore mentre discutevamo dell’intervista alla Grenci, ricordava
come alla scuola media si fosse rifiutato di imparare a suonare il flauto, perché non gli
piaceva e riteneva di essere una frana. Ancor oggi, mi diceva, “se prendo in mano uno
strumento musicale può essere solo per disporlo come pezzo d’arredamento”. Però
amava molto ascoltare musica, e allora fece un patto con la maestra: niente flauto,
ma doveva studiare storia della musica il doppio degli altri compagni, ascoltandola
spesso. In terza media aveva la cultura musicale di un universitario.
E allora dobbiamo ripensare il modello della scuola: perché quello della lettura deve
essere il linguaggio dominante? Qualche psichiatra massimalista tenterà di spiegarci
che essere inadeguati e disfunzionali rispetto a ciò che l’ambiente normalmente ci
chiede è di per se patologia, che non imparare a leggere bene crea disadattati. Le
risposte a mio avviso sono due. Primo: facciamo sempre un “saldo” dei costi e dei
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di psicofarmaci a bambini ed adolescenti
benefici, e ben venga una terapia logopedica, ma se l’accanimento dello
specialista arriva fino a far sentire il bambino isolato, malato e “diverso”, per
approdare magari poi allo psicofarmaco per problemi di comportamento, non
siamo più d’accordo. Secondo: se il problema è quello del bambino in rapporto
all’ambiente ed alle aspettative e pretese della società, l’antropologia - ben prima
della psichiatria - ci insegna che da milioni di anni l’uomo è capace di modificare
l’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze. All’alba di questo XXI° secolo, con
le sue nuove sfide sociali e tecnologiche, è giunta ora di modificare nuovamente il
nostro ambiente e fare un nuovo, poderoso balzo in avanti.
Luca Poma
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org
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