Troppi libri su Jacovitti?

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Troppi libri su Jacovitti?
Troppi libri su Jacovitti?
In questi ultimi mesi quanti libri
su Jacovitti!
Viene naturale fare, ad esempio,
un confronto fra il volume edito
da Nicola Pesce dovuto alla penna
e all’intelletto di Bellacci e degli
altri amici Boschi, Gori e Sani (
peraltro, questi ultimi persi di
vista da decenni) e i prodotti
molto più popolari- e per questo
forse
più
commerciabilidell’editrice “Stampa Alternativa”
tipo “L’autobiografia” curata da
Cadoni
Mi pare cosa che si possa fare.
Il primo volume in questione è
un saggio fondamentalmente
cólto, rivolto- io credo- ad una
utenza di lettori impegnati , o
comunque preparati ad affrontare
simili letture, senza alcuna storia a
fumetti ristampata, anche se con
moltissime figure a corredo.
. Non che gli interventi scritti sui
volumi jacovitteschi editi da “Stampa Alternativa” siano rozzi, no, tutt’altro, ci
mancherebbe, ma la parte fondamentale è rappresentata dalle ristampe dei fumetti.
Però i due volumi in questione in un certo senso si assomigliano perché riciclano
entrambi cose già scritte in precedenza, con la stranezza di non prendere mai in
considerazione le decine e decine di articoli scritti su Jacovitti e pubblicati su
“Fumetto” dell’ANAFI e soprattutto su “Informavitt”/”Vitt & Dintorni”.
Per altri versi, su altri volumi precedenti, quanto è stato scritto è esemplare, vedi il
lungo intervento di Goffredo Fofi nei riguardi del periodo storico del 1960/80
all’interno del quale vengono a collocarsi “Gli anni d’oro del diario Vitt” Un
intervento degno di quell’intellettuale impegnato che Fofi è. Criticato però
inopinatamente da Gori , Boschi e Sani all’interno del loro remake prima citato.
Poi penso alla parte- maggioritaria- dedicata alle storie a fumetti sui libri di Stampa
Alternativa, che non di rado dal punto di vista della riproduzione grafica è scarsa: vedi
l’ultimissimo “Peppino il Paladino”( una cosa, secondo me, ATROCE).
Certo, il prodotto è - forse- rivolto ad un’utenza
non specializzata nei riguardi
dell’epos jacovittesco, però in questo modo, comunque, non si rende un buon servizio
alla memoria del rimpianto “Lisca di Pesce”.
Bellacci mi chiede se su “Vitt & Dintorni” ci sarà una presentazione o recensione del
volume edito da Nicola Pesce, chiedendo a me di provare a farla.
Non è da tutti trovare il filo di Arianna che permette di percorrere il labirinto
jacovittesco rappresentato da quanto da lui prodotto dal 1939 ad un momento
imprecisato degli anni 90. E di capire bene il senso di questa sterminata produzione.
Credo, penso, che il lavoro di Bellacci, Boschi , Gori e Sani miri a questo.
Secondo me il progetto – se è come io suppongo- è veramente ambizioso, nel senso
non di una sfrenata brama di onori e casomai anche soldi, ma di un forte desiderio di
raggiungere un obbiettivo importante. Sinceramente non saprei dire se poi questo in
effetti è avvenuto: da che cosa nascono i miei dubbi?
Dal fatto che- è ovvio, ma lo dico lo stesso- quanto scritto, specialmente dai magnifici
tre toscani,( Bellacci lo tiro fuori,
poiché la sua parte è tecnicamente
ineccepibile) esprime spesso pareri e
valutazioni storico critiche molto
personali, a vote dissonanti con quello
che di quelle stesse cose penso io; se la
questione viene posta in tale maniera
i contenuti del volume in questione
sono automaticamente da considerarsi
“discutibili”.
Ovverosia cosa sulla quale si potrebbe
discutere.
Però una ipotesi del genere per
concretizzarsi dovrebbe usufruire del
dialogo fra le opposte ( in senso
amichevole) parti.
Ma non credo che Boschi, Gori e
Sani, o anche uno solo dei tre, abbia
motivazioni per farlo, con me o
chiunque altro. Io ho scritto, ma non
mi hanno risposto.
Se si volessi fare una recensione
approfondita del volume qui in questione - attualmente ancora stranamente latitante
da molte librerie- non si potrebbe prescindere dal dialogo.
Chiaramente una presentazione su “Vitt & Dintorni” nell’ambito della rubrica “Sullo
scaffale dei libri” mi pare doveroso si debba fare “. Ma in quale modo??? Io a proposito
in effetti qualche idea ce l’ho.
Da buon piccolo megalomane ( mi si perdoni la contraddizione in termini ), ci
tengo a ribadire attraverso quanto scrivo la mia individualità.
Comunque, dovrei venire a più miti consigli e non partire lancia in resta criticando
questo e quello?? Non so, mi sbaglio??
Questo mi viene suggerito anche da Renato Ciavola, che dopo aver letto una bozza del
mio articolo intitolato “Pasqualino Rififì & Dintorni”, mi ha amichevolmente tirato le
orecchie . io l’ho poi un poco modificato .
Però alla fine ho scritto quello che mi frullava per la testa e che trovate qui di seguito.
Il lavoro è adatto per gli “Amici del Vitt”??
Mah?’.
Cordiali saluti.
Tomaso
Jacovitti, Autobiografia (mai scritta), a cura di Antonio Cadoni,
Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri editore, Gennaio 2011,
pag.157, €20
Ho sotto gli occhi il bel volume di “Stampa Alternativa” curato da Antonio Cadoni,
una Autobiografia assai particolare ricavata alla lettera dalle svariate interviste rilasciate
dal Nostro nel corso dei decenni. Le interviste in questione sono state rimontate in
modo il più possibile cronologico per dare l’impressione di una continuità progressiva
nel tempo.
Documentatissima dal punto di vista iconografico questa parte del lavoro del nostro
Cadoni ci dà un’idea di quale portata ed importanza sia l’archivio personale
dell’autore, certamente il più importante in assoluto.
A pagina 77 una “Bibliografia essenziale” elenca in ordine di data ben 35 interviste
apparse sui più disparati e a volte inaspettati “contenitori”: dalla prima risalente al 1959
a quella postuma del 1998 ospitata sul n°559 de “Il Venerdì” del 27 Novembre di
quell’anno.
Da pagina 139 a157 fa bella mostra di sé la completissima ed illustratissima (due
superlativi)“Cronologia Jacovittiana”: ne sono stati fatti dei passi in avanti da quando
nel 1969 sul mensile ”Il sergente Kirk” del genovese Ivaldi apparve la prima cronologia
jacovittesca redatta da Manfredo Gittardi!!
Ma in verità Jacovitti non teneva molto conto di queste cose e spesso non rispondeva in
modo coerente alle domande che gli venivano fatte.
Inoltre molti intervistatori presumibilmente si prendevano delle licenze, non solo
formali, quindi a volte c’è da dubitare che quanto poi è stato pubblicato sia in effetti
corrispondente al vero
Quelle sono esternazioni assai bislacche nell’ambito delle quali il Nostro prende fischi
per fiaschi; non so se per un lapsus della memoria o per una sottile voglia di
rimescolare le carte per scopi sui quali si potrebbe dissertare all’infinito.
Di quali dichiarazioni si tratta? Se siete curiosi andate a pagina 29 del prima citato
volume curato da Antonio Cadoni e le troverete.
Tutti sappiamo che Jacovitti non sempre era puntuale e preciso nelle sue esternazioni
di ricordi e memorie, confondendo non di rado date e nomi: a volte forse
volutamente, per tenere sulle spine gli intervistatori, altre volte per dare di sé una
immagine diversa, apparire come probabilmente in certe circostanze avrebbe voluto
essere,
Questo è un tratto comune a tutte la autobiografie, diari, memoriali e quant’altro scritto
con l’intento di mandare ai posteri un messaggio personale, di tramandare una certa
immagine di sé
Non per niente ci sono storici specializzati nel valutare l’attendibilità delle prove
documentali.
Io non ho intenzione di esaminare al microscopio le interviste, anche perché - bisogna
pur dirlo- a volte erano trascritte da semplici telefonate, fatte a voce in modo
improvvisato; anche per quelle fatte per lettera o registrate in audio o in video non
pensiate sia semplice risalire alle prove documentali originali.
Qualcosa ho guardato, letto e visto e su tutto quanto ho sempre preferito lavorare a
modo mio traendone spesso dei pastiches, cosa che ho intenzione di fare anche questa
volta,
Lo faccio per puro e semplice egoismo, ossia perché traggo soddisfazione nello
scrivere come e quello che mi garba.
Penso al grande Jac che per sua stessa ripetuta ammissione, leggeva molto: già, il
nostro “Lisca di Pesce: ammirava lo scrittore Italo Calvino, il suo “Cavaliere
inesistente”, la sua indimenticabile traduzione (1967) de “I fiori blu” di Raymond
Queneau e la sua postfazione a detto romanzo che inizia con la seguente citazione:
secondo un celebre apologo cinese, Chuang.tzé sogna d’essere una farfalla; ma chi dice
che non sia la farfalla a sognare d’essere Chuang-tzé.
E Jac andava anche spesso al cinema ( non solo films western), dove si addormentava
sognando di vedere un film con protagonista lui stesso che faceva la parte di uno
spettatore intento a guardare un bel film. Poi, svegliatosi, andava a casa dove, stanco
morto, cadeva in un profondo sonno senza sogni: la storia a fumetti del 1941 (
disegnata nel) “Pippo indaga” è nata proprio in tale modo.
Quella del 1942 “Alì Babà”, la prima ad essere stata pubblicata a tutta pagina a colori
su “Il Vittorioso” nel corso del 1942 invece Jac la fece ad occhi ben aperti avendo
come “spalla l’esperto Enrico Basari come aiuto per la sceneggiatura ( intervista del 24
Luglio 1987 a Forte dei Marmi”).
In comune queste due storie hanno in comune il fatto che nate con le nuvolette
dovettero essere poi sforbiciate per eliminare i baloons , invisi al MINICULPOP,
sostituiti da didascalie.
La storia “Peppino il Paladino”, disegnata nel 1942 ma pubblicata sul “Vitt” tre anni
più tardi, la prima riproposta nel volume qui in oggetto ( che divide in decenni l’intero
opus iacovittiano) con una resa assai discutibile della qualità grafica, è assai singolare
perché appartiene al periodo nel quale per ordine sempre del Ministero della cultura
popolare, dovette essere abbandonata persino la quadrettatura delle vignette; problema
questo che il nostro “Lisca di pesce “risolse da par suo, tanto che alcuni di quei lavori a
cavallo fra il 1942 e il 43 – prendo ad esempio “Caccia grossissima”( l’ultima puntata
apparsa su “Il Vittorioso” n° 22 del 1946, in fondo a destra nell’ultimo quadretto
mostra la sigla JB 43) che ne è l’esempio calzante, è a mio parere sotto tutti i punti di
vista STRAORDINARIO!!
Varrebbe veramente la pena di ristampare, senza far però pasticci, tutte le storie di quel
periodo, trascurate dalle grandi case editrici per motivi che appaiono assai misteriosi.
Per il decennio anni ’50 la storia riproposta è “Bobby Cianuro” tratta dal “Travaso”di
quell’anno”; per gli anni sessanta la storia scelta è invece lo straordinario “Pasqualino
Rififì”, disegnato in effetti fra la fine del 1958 e l’inizio del 1959, ma già proiettato
Verso il divenire dello stile jacovittesco.
Storia a fumetti ritornata alla ribalta dopo più di 50 anni di oblio, della quale ho
parlato diffusamente in altro ambito ( Vitt&Dintorni” di Marzo 2011).
L’autore definisce questa storia a fumetti “una satira di certa imperante letteratura
giallonera d’oltralpe. Da dove prende le mosse Jacovitti per disegnare questa canizza
parisienne?
Dal romanzo di Auguste le Breton ( nome anagrafico Auguste Montfort) “Du Rififì
ches les hommes” edito dalla francese Gallimard nella sua collana noir e risalente al
1994 : l’anno seguente ne venne tratto un film, per la regia Jules Dassin - Rififì - che nel
1995 vinse la palma d’oro al festival di Cannes.
Il romanzo tradotto in Italia nel 1958 da Garzanti, letto ora denuncia la sua età, il
film, per chi come me, l’ha visto cento volte, rimane un capolavoro.
Probabilmente Jacovitti vide il film, canticchiò forse anche la canzone motivo
conduttore della pellicola, quel “Rififi” che da noi in Italia il cantante Fred Buscaglione
rese famoso.
Io ve lo dico, sono un dritto,
A me nessuno fa dispetto,
Lo sanno tutti che è così,
perché mi garba il rififì.
Musica di Philippe-Gèrard, parole italiane di Buscaglione-Chiosso.
Rififi, era una parola in Argot? Secondo Andrea G. Pinketts il nome era quello del
cane di Le Breton: ci dobbiamo credere???
Per i curiosi e i dubbiosi esiste il vocabolario Larousse Du français argotique et
populaire. Va beh, son cose che forse se non tutti, molti conoscono.
Comunque io le ho scritte e riscritte per i pochi che cercandole sui saggi dedicati a Jac
non le hanno trovate.
In pratica gli anni sessanta vengono elusi ( si sarebbe potuto includere una storia come
“Pippo zumparapappà”, ancora inedita dopo la prima ed unica pubblicazione su “Il
Vittorioso” del 1962, ma……).
Arrivano gli anni settanta ed ecco il vero e proprio scoop: Sandocan, storia che capita a
proposito poiché quest’anno corre il centenario della morte dello scrittore Emilio
Salgari.
Digressione figurata
Alla fine mi sono deciso: ho impacchettato il mio lungo articolo recensione su “
Autobiografia di Jacovitti, 60 anni di surrealismo a fumetti” e mi sto dirigendo verso
l’ufficio postale per spedire il tutto alla Redazione de “Gli Amici del Vitt”.
Ho sudato sette camicie, ho dovuto superare mille ostacoli ma alla fine ce l’ho fatta!
Non mi rimane che percorrere i tre chilometri che mi separano dall’ufficio delle poste
del quartiere “Nuova Atene”, dove l’amico direttore Padre Gorla mi attende per gli
ultimi accordi, ormai nessun ostacolo può impedire la positiva conclusione di questo
importante evento.
Il fato questa volta mi è favorevole!
Mi illudo: intravedo alto nel cielo il dirigibile a strisce rosse e blu del pirata Lu-Feng
che si sta abbassando in modo pericoloso.
Scorgo il volto diabolico dell’indistruttibile(
teoricamente già defunto negli anni trenta
nell’ambito della saga dei pirati della
Malesia portata avanti da Luigi Motta)
cinese che mi guata con piglio feroce; lui
non sa che io conosco la sua identità occulta
rivelatami dallo scrittore messicano Paco
Taibo II°.
Voi l’ignorate? Beh, incredibilmente trattasi
del prof. Moriarty di sherlockiana memoria!
Siete perplessi? Vi rimando alla lettura
de”Ritornano le tigri della Malesia”, dovuto
alla immaginifica penna di Paco Ignacio
Taibo II°, edito or ora da Troppa Editore
in Mediolanum, euro 19,90.
Perché poi il malefico individuo da anni
congiuri per impedirmi di far pubblicare su
“Vitt& Dintorni” i miei scritti, lo ignoro.
Ed ecco sbucare una torma di orripilanti
straccioni che urlando e brandendo armi
bianche di vario taglio e dimensione si
gettano su di me.
Sono perduto!!
Riecheggiano in rapida successione svariati colpi
di pistola e furibondi ringhi e latrati: Holmes è
della partita affiancato dai suoi terribili cento
mastini di Baskerville ( tutti discendenti dal
famoso capostipite nativo delle brughiere del
Devon).
L’ orda dei miserabili aspiranti assassini vacilla,
arretra, si ferma ed è presto messa in fuga
lasciando sul terreno un migliaio di cadaveri
crivellati da proiettili o sbranati senza
misericordia.
Imperturbabile Holmes mi guarda: Thomas, di
nuovo nei pasticci, come al solito. Volge gli
occhi al cielo e con un cenno al fedele
Kammamuri dà l’ordine di fare partire la
batteria di missili terra –aria.
Alto nel cielo il dirigibile del truce Lu –Feng
colpito e in preda alle fiamme si allontana verso
oriente, in direzione del 13°, un arrondissement
della capitale parigina, ricco di quartieri
popolati da figli del celeste Impero. Un boato
lontano, un bagliore improvviso : la fine della
miserabile canaglia??
Sandokan con gli occhi iniettati di sangue si spoglia completamente e nudo con il
serpeggiante kriss stretto fra i denti si butta nelle turbinose acque della Senna; lo vedo
nuotare velocemente verso la riva sinistra.
Ha giurato di tagliare la testa a Moriarty alias Lu –Feng, di certo manterrà la sua
promessa: la Tigre non perdona!!
Io sospiro di sollievo: Sherlock, sempre presente al punto giusto, ma come fai??
I cento mastini uggiolando mi sono attorno, li accarezzo uno per uno, li conosco
benissimo per essere stato il loro padrino tanti anni fa .
Volete che vi racconti come ebbi modo e maniera di salvarli dalle grinfie di Moriarty
che li voleva spellare vivi e con le loro pelli opportunamente conciate rivestire i suoi
divani Frau??
Noo, ma, ma, me la caverei con poco, al massimo una decina di paginette scritte…..
“Dai Thomas”, mi bisbiglia Holmes, vieni con me, ho prenotato un intero treno- the
tunnel train- che fra un’ora partirà per l’Inghilterra e in men che si dica arriverà a
destinazione: laggiù, in quel di Battle on the hill ti aspetta Lady Gaga che ti vuole
consegnare di persona un rarissimo romanzo di Luigi Motta edito da Odham Press,
London, Agosto 1939, intitolato The red planet.
Sobbalzo dalla sorpresa: alla fine Lady Gaga ce l’ha fatta, alla faccia di Claudio Gallo
che non ha mai voluto credere all’esistenza di questo volume.
Claudio Gallo, l’occulto manovratore della sezione storica della biblioteca civica di
Verona, in combutta con Gallinoni e Gallinari ( quest’ultimo ora residente a Firenze
per oscuri motivi) hanno cestinato il mio annoso lavoro sulle storie a fumetti scritte da
Luigi Motta dal 1936 al 1955, alcune apparse poi postume.
Va beh, che ci volete fare, questa è la vita!!
Ritorno all’ordine (quasi).
Il decennio degli anni ottanta vede il Nostro alle prese con seri problemi di salute. Nel
1982 si ammala gavemente la moglie e Jacovitti risente in tal modo della pesante
situazione da avere un crollo nervoso tale da ridurlo balbuziente: dovrà sottoporsi per
alcuni anni a cure appropriate, ma ancora nel 1987 leggermente balbetta.
Il suo disegno ovviamente ne risente, complice anche un forte calo della vista e il
diabete che lo debilita e che lo costringe ad una alimentazione controllata.
La storia Cocco Beach, 1986, rivela con un disegno sofferente questa situazione di
forte disagio.
Ed eccoci arrivati al dolente periodo degli anni novanta, con Jacovitti in precaria
salute, tanto da dover ricorrere ad aiutanti vari: ahimè, che cosa ti combina l’editrice
“Stampa Alternativa”??
Va a pescare nelle acque poco chiare rappresentate dalla collaborazione di Jacovitti con
l’agenzia “Il Soldatino” del compianto Vezio Melegari”.
Tutti i lavori firmati Jacovitti ed apparsi sul trimestrale della “Banca Popolare
dell’Emilia Romagna” sono del falsi autorizzati dall’autore! Disegnati in realtà da
Ferrara prima e Triscari poi. Il loro nome appare in ultima pagina in fondo a destra di
ogni lavoro.
Tutti sanno come sono andate le cose, quindi perché non parlarne?? .
Così anche il “Collodjacmelevittirime”, risalente all’autunno del 1990, proposto dal
volume del quale si sta parlando è nient’altro un “Jacovitti per procura”.
Non ci credete? Io posseggo l’intervista video girata a Forte dei Marmi il 20 Agosto
1993!! Il video di Bellacci, Pierre , Gori e Sani che armati di videocamera
immortalarono Jacovitti in bicicletta.
In questo ambito Jacovitti confessa ingenuamente ogni cosa.
Va beh, pazienza , si deve pur campare.
Ma per evitare di portare avanti ipotesi campate in aria e dichiarazioni che mi
potrebbero portare in galera, mi sono deciso ad incontrare Jacovitti per conoscere alla
fonte come sono andate in realtà le cose..
L’occasione si presenterà di nuovo oggi, qui a Parigi dove Jac invitato dal disegnatore
Georges Wolinsky sta esponendo numerose sue tavole originali nell’ambito di una
mostra ospitata in un teatro della riva sinistra, in pieno quartiere latino,
Soppeso il volume in questione e devo convenire che vale molto di più dei 20 euro che
costa, non fosse altro per la ristampa delle storie a bellissimi colori “Bobby Cianuro” e
“Pasqualino Rififi” tratte dal “Travaso del 1957/59 e fino ad ora mai ristampate.
Poi la “chicca”; il Sandocan ritrovato, tre tavole di una storia probabilmente mai
continuata della quale apparve solo una sintesi di una pagina pubblicata su “Il Corriere
dei Piccoli”in data 4 Agosto 1977. L’anno prima il Nostro aveva disegnato il famoso
“Salgarone”, apparso quasi postumo alla fine del 1997 a cura del romano Edgardo
Colabelli, opera questa che sta fra il fumetto e l’illustrazione e che presumibilmente
ebbe come coda l’incompiuto Sandocan. Una vera novità,
Ed altre novità ce ne sono proprio oggi in arrivo mentre
scocca or ora mezzodì ed io mi trovo sull’autobus della linea numero 84 diretto al
mercatino di rue Levis dove alla Brasserie della piazzetta omonima Jacovitti mi aspetta
per rilasciarmi la sospirata intervista.
Inizia a piovere, un temporale improvviso con vento e polvere nell’aria
L’acqua scorre sulla strada in discesa, specialmente ai lati, tanto che trabocca in parte
sul marciapiede.
Mi rifugio nel primo Bistrot che trovo.
Seduti ad un tavolo chi vedo?? Ciavola, Gallinoni e Pazzi con davanti scodelle fumanti
di zuppa di cipolle e un magnum Veuve Clicquot,
Ecco mi hanno visto !! Agitano le mani: ehi Tomaso, vieni qui, c’è posto, camerieregridano ad alta voce- un altro coperto.
Arriva Vito Mastrorocco in persona con una zuppiera di trippa fumante e un
bottiglione coperto di goccioline semigelate che appoggia orgogliosamente sul tavolo:
ecco qui per te caro vecchio amico del Vitt, questo è un Primat, contiene ben 27 litri di
champagne, nel caso tu non lo sapessi!!
“Ma, ma”, balbetto,”non saprei, mi sembra esagerato”.
Sogghigna felice Vito: la bottiglia più grande fa lo champagne più buono! Io, da parte di
nonna materna, sono un Drapier (antica stirpe di viticultori) e nei miei vigneti
dell’Aube, dalle parti di Troyes, pratico ancora la presa di spuma, il remuatage e la
sboccatura.
Io mi schernisco: ma, champagne così a quest’ora, non sono avvezzo, non vorrei che
mi potesse dare alla testa.
Ciavola sorride: allora dovrai mangiare anche qualcosa, che so, la trippa alla normanna,
è la specialità della casa.
Gallinoni assente e scorgendo il volume che ho appoggiato sul tavolo dice: ah, è il
volume di Stampa Alternativa curato dal nostro Cadoni, tu che ne pensi Pazzi?
L’interpellato che sta scolando una coppa di nettare ben gelato prende tempo e dopo
aver schioccato la lingua mugugna qualcosa di inintelligibile. Capisco solo Peppino il
Paladino e “sito internet” .
Il dolente problema del sito internet degli “Amici del Vittorioso”….. Per quanto invece
riguarda la storia di Peppino il Paladino c’è in effetti ogni ragione per mugugnare visto
in quale modo è stata ristampata, tanto da suscitare più di una reazione, una fra tutte
quella della stessa figlia del grande Lisca di Pesce ,che detiene il copyright dell’opera
omnia del celebre padre.
Facendo una recensione non è obbligatorio incensare a tutti i costi e se c’è qualcosa
che non quadra non bisogna avere peli sulla lingua.
Quindi, cara Stampa Alternativa, per la qualità della riproduzione della storia qui in
questione, bollino rosso!
Mi siedo sospirando : amici miei, okay, però non posso restare tanto, c’è Jacovitti che
mi aspetta, avrei dovuto incontrarlo proprio da queste parti, ma pare che sia di nuovo
in rue Suger, io ci sono già stato ieri, quindi non so se tornarci o meno.
“Ma ieri che cosa è successo, che ti ha detto Jac??”Risuonano all’unisono le tre voci.
“MMMH, dico inghiottendo cucchiaiate di trippa, avete tempo da perdere? Si, bene,
ora ve lo racconto per filo e per segno :
Ah, che bello scarabocchiare, recito con enfasi ad alta voce!
Come? Perché lo faccio? Perché mi diverto.
“Ma un disegno più preciso e pulito?” la voce echeggia disturbante.
Jacovitti mi scruta corrrrrrrucciato.
“Maestro” sussurro, “c’è qualche erre di troppo”
Ride Lisca di pesce: sta giocando a briscola con Georges Wolinsky e in questo preciso
momento sta estraendo dalla manica il suo sesto asso. Wolinsky per non vedere si è
tolto gli occhiali e volgendosi verso di me ammicca: dai Tomaso, fai presto, hai finito
con quello straccio, il pavimento è pulito?
Ecco come sono finito: dovevo”sgommare” qualche tavola dei due concentrati
giocatori invece - quei bellimbusti- hanno deciso altrimenti!! Se non fosse che Dubout
ha promesso di lasciarmi squadrare le sue tavole e forse pure di farmi colorare gli
sfondi delle sue illustrazioni del romanzo di Marcel Pagnol,”La gloir de mon père”
edito da Pastorelli, non sarei qui in rue Suger .
Colorare….insomma, usare solo il giallo ( l’azzurro? No, troppe possibili variabili di
tono).
Apro la finestra del minuscolo appartamento e mi sporgo per vedere meglio la folla
che sotto di me gremisce la piazza di St.André des Arts. Sono tutti fans di Jacovitti che
attendono la quotidiana gratuita distribuzione delle tavole originali del Maestro: davanti
a tutti un imberbe Luca Raffaelli, non vedo Andrea Sani, strano molto strano
Probabilmente il futuro arguto filosofo fiorentino sarà ancora al Bistrot a consumare la
solita pentolaccia di ribollita in compagnia del prof . Michel Pierre.
“Maestro”dico con tono reverente rivolgendomi a Jacovitti,” ma che accadde in realtà
alla fine del lontano 1959?
“Tomaso” sospira Jac,”qui si tratta di parlar di soldi, lo sai, non si campa di sola aria!
Alla fine del 1959 la direzione del “Giorno” mi propose un contratto in esclusiva con
uno stipendio fisso di 700.000
( settecentomila ) lire più un tanto ogni tavola, però
non avrei più dovuto collaborare con nessun altro.
Così dovetti lasciare perdere le tavole per “Il Piccolo Missionario”, la collaborazione
con “Il Travaso”e quella con “Il Corriere dello Spazio”.
Qualche mese prima c’era stato un poco di attrito con Maner Lualdi per la “Storia
dell’aviazione”, scritta da lui stesso e illustrata non ricordo più da chi, che era già partita
da alcuni mesi in vista della prossima fine del “Vola Hop”.
Una cosa che non mi aveva garbato punto, tanto che saltai un mese nella consegna di
una tavola.
Poi Lualdi era partito per uno dei suoi viaggi di esplorazione in aereo e non ebbi più
modo di contattarlo; ne parlarono tutti i giornali di quel viaggio che era stato
sponsorizzato dalla Fiat:
L’aereo utilizzato era per l’appunto un Fiat monorotore G.49: mi pare che si trattasse
di attraversare l’Atlantico e poi l’America da est ad ovest e poi giù fino al Perù e la
Terra del fuoco per un totale di 60.000 chilometri.
Quando poi tornò in Italia, un paio di mesi dopo, io ormai lavoravo a tutto ritmo per il
“Giorno dei ragazzi” e per altri supplementi del quotidiano milanese che allora era
diretto- mi pare- da un tal Baldacci.
Quindi al “Vola Hop” non ci pensò più nessuno”
Io osservo attentamente Jacovitti; ma allora la fantomatica nona puntata di questa storia
non fu mai disegnata??
“Mi pare proprio di no”
Io sono allibito.”Ma l’anno scorso tu mi dicesti che fra te e Maner Lualdi erano nate
divergenze di tipo politico, perché avevi sbertucciato gli aviatori dell’Ala Fascista, quelli
che nel 1935/36 in Etiopia avevano sganciato bombe all’iprite( un gas vescicante) e
mitragliato la popolazione in fuga dopo la battaglia del lago Ascianti! Ci furono migliaia
di civili uccisi, donne , vecchi e bambini, un massacro vergognoso, una notizia che il
fascismo fece di tutto perché non divenisse di dominio pubblico e che di fatto rimase
sommersa fino agli anni sessanta, quando il giornalista Angelo del Boca ( poi docente
di storia contemporanea all’Università di Torino) iniziò a pubblicare reportages
sull’argomento e tirò fuori tutta la verità nei servizi giornalistici e in ben due libri (
Feltrinelli editore) che fecero scandalo”
Jacovitti si toglie gli occhiali e si gratta la testa: Lualdi non aveva gradito il fatto che
avessi disegnato le azioni belliche dell’aviazione durante la prima guerra mondiale
denunciando che questo uso dell’arma aerea contraddiceva lo spirito che animava i
pionieri del volo, che era improntato a ben altri ideali .Poi consultando delle riviste
inglesi sull’aviazione scoprii la loro versione sul comportamento dell’Ala Fascista nella
guerra d’Etiopia e ne rimasi molto turbato.
Io nel 1936 avevo tredici anni e avevo realmente creduto che quella guerra fosse stata
fatta per portare la civiltà in un paese considerato selvaggio, ma non potevo sapere che
in realtà si era trattato di una ingiustificabile aggressione ad un paese sovrano composto
da una popolazione in maggioranza cristiana, riunita in tribù ed armata
prevalentemente di lance e pochi fucili.
Io avrei voluto continuare il “Vola Hop per denunciare tutto questo, ma il contratto
con il “Giorno …..”
“Mah, allora”, faccio io,”la causa dell’incompiutezza del “Vola Hop” è in pratica da
addebitarsi solo a questo contratto ??”
“Si, in pratica accadde proprio questo.” Jac sospira e si rimette gli occhiali, ”Mia moglie
fu molto felice che io avessi avuto quello stipendio fisso, una sicurezza per tutta la
famiglia”.
Ma e “Il Vittorioso”?? Con l’AVE hai pure continuato a collaborare: storie a fumetti, il
Diario Vitt , le copertine per il Vittorioso Poi i cartoni animati per la Televisione,
Pecor Bill per l’industria Lanerossi di Vicenza: come mai??
“Ahh, si, si, per “Il Vittorioso”fecero una eccezione, potevo fare una sola storia a
fumetti all’anno, così come per alcune storielle che avevo preparato per un giornaletto
che si chiamava “Allegria. Pecor Bill in realtà l’avevo disegnato tempo prima e il
contratto con Lanerossi era già stato stipulato da oltre un anno”.
Sono perplesso, la cosa non mi convince del tutto, Però è pur vero che dal 1960 su “Il
Vittorioso” iniziarono ad essere ristampate vecchie storie a fumetti del Nostro e che
apparve a puntate solo un nuovo lavoro, “Pippo e il Cirilimpacco”.
Il quale, è pur vero, a volte si confonde con date e nomi, ma su questo fatto specifico
mi sembra sincero e privo di dubbi
“Il 1960”, riprende Jac,” fu un anno strano, avevo acquistato con i primi stipendi una
automobile nuova-la prima era stata una”topolino”usata con la quale al sabato e alla
domenica andavamo al mare; poi nel 1964 comperai anche la casa a Forte dei Marmi
consigliato da mio cognato architetto. Comunque il 1960 me lo ricordo bene, l’anno
delle olimpiadi a Roma , del film di Fellini “La dolce vita”, poi mi ricordo di un altro
film stranissimo, francese , con una bambina che a Parigi scappava di casa….”
“Zazie nel metrò” faccio io, “un film del regista Louis Malle tratto dall’omonimo
romanzo di Raymond Queneau”.
Jacovitti mi guarda sorpreso.”Si, si, mi pare proprio quello, c’era pure Philippe Noiret
giovanissimo e anche Vittorio Caprioli in una parte un poco strana, anzi se ben ricordo
interpretava più personaggi contemporaneamente ma tutto il film era piuttosto
bislacco; io poi lessi anche il libro- a quel tempo ci vedevo ancora bene e leggevo
moltissimo, un poco di tutto e alla fine finivo per conoscere di tante cose un po’, non
come Umberto Eco che è un tuttologo. ”.
“Ehm, ehm” intervengo io per evitare che Jac inizi a parlare a ruota libera uscendo dal
seminato,” si, Raymond Queneau, l’autore di Zazie nel metrò era a quel tempo uno
scrittore elitario e con quel romanzo nel 1959 riscosse un successo incredibile( mai
ripetutosi), ma il film di Malle fu un fiasco colossale, a parte il primo mese di
proiezione nelle sale parigine)e , tanto che dopo uscì dal circuito e scomparve
nell’oblio. Ora, dopo decenni, è uscita sul mercato una copia ottimamente restaurata
alla quale sono stati ridati i vivaci toni del tecnicolor.
Il film rivisto oggi a distanza di più lustri che fa pensare”
Jacovitti mi guarda interessato: una versione restaurata?? Ma come l’hai avuta??
“Beh, me l’ha procurata mio cognato che è un accanito cinefilo, pensa, ha una
filmoteca che contiene più di quattromila pezzi!!”
Cade il silenzio sugli astanti, tutti restiamo per un po’ cogitabondi.
Caprioli?? penso io, ah si l’attore, da non confondersi con il quasi omonimo Franco.
Jacovitti intuisce al volo: Fulvia Caprioli ti ha strigliato per le domande che ti sei ed hai
posto a proposito del disegnatore in questione??
“Ma” bisbiglio,” sai per quella faccenda dello stile del disegno che nel 1958 passò
inopinatamente dal puntinato al tratteggio…”
Jac si fa serio: e beh, l’AVE esportava da decenni le nostre tavole di fumetti all’estero
senza pagarci una lira e perdipiù quando dalla Francia arrivò la richiesta di tavole dal
disegno meno elaborato e senza le sottigliezze che il grande Caprioli metteva in opera
con infinita pazienza, qualcuno della direzione e/o dell’amministrazione ebbe la
sfrontatezza di intimare a Caprioli di usare solo il tratteggio; poveretto, doveva pur
campare e dovette sottostare a quella richiesta”.
Wolinsky che ha ascoltato tutto in silenzio prende la parola: che ingiustizia, vittima
della miopia culturale di qualche testa di legno. Mah, erano tempi grami.
Sospira il disegnatore francese( direttore anche del mensile “Charlie”)e con tono
accorato prosegue: invece con questo romanzo di Zazie , demistificante, beffardo e
surreale, Queneau ebbe proprio in quegli stessi anni un grandissimo successo: il solo
best seller di tutta la sua vita di scrittore .
Le stesse cose che ho appena detto io, penso.
“Il romanzo in questione ha avuto di recente una edizione illustratissima, hai
presente??”
“No”faccio io,” mi pare che –come al solito- in Italia non sia mai arrivata. Ne avevo
sentito parlare da Jean-Paul Rappaneau”, il dialogista del film in questione, nell’ambito
di un breve video allegato alla nuova versione del film stesso”.
Guardo Jacovitti che sta maneggiando il mazzo di carte: una domanda mi prude sulle
labbra.
“Ma come mai poi passasti nel 1968 alla Rizzoli, se al “Giorno” ti pagavano così
bene?”
“Ahh” fa Jacovitti,” nel 1968 il “Giorno” era in crisi, problemi non solo economici,così
accettai lo stipendio della concorrenza e iniziai le storie per “Il Corriere dei Piccoli” e
le tavole per la “Domenica del Corriere”.
Lascio Jacovitti pensoso e Wolinsky che mi guarda con espressione indecifrabile.
Decido di andarmene .
Georges e Lisca di pesce hanno ripreso a giocare a carte e non si accorgono nemmeno
che me ne vado.
Sospiro, ho finito di raccontare.
Renato Ciavola non ha resistito e dorme beatamente con un vago sorriso sulle labbra.
Gallinoni è uscito per un imprescindibile impegno ( un rendez-vous con una vecchia
fiamma?) , Pazzi e giù nelle cantine con Vito per assaggiare la famosa annata 1981 di
un “secco”dell’Alvernia”.
Ho deciso di non ritornare in rue Suger e attacco il terzo piatto di trippa annaffiato dal
Veuve Clicquot generosamente offerto (spero) dagli Amici del Vitt..
A voi cari lettori l’ingrato ma stimolante (me lo auguro) compito di separare il grano
dal loglio.
Postfazione
Con Zazie nel metrò
Il freddo vento di tramontana non mi dà tregua.
Il metrò, non resta altro da fare che immergersi di nuovo
nelle viscere della terra: il mostro, ormai tutto
automatizzato, corre velocemente nel sottosuolo e ormai
dovrei essere quasi arrivato.
Mah, non mi raccapezzo più, ma dove mi trovo?
Guardo il grafico che schematicamente mi presenta il
percorso di andata e ritorno di questo treno: perbacco,
mi dice che inopinatamente sono sulla linea 12 e non
sulla 6 come credevo!
Dunque, facciamo mente locale: scenderò fra due
fermate a “Pasteur”, poi vedrò il da farsi.
Una ragazzina seduta di fronte a me mi guarda
sorridendo, ha in mano un paio di albi a fumetti di grande formato .
Riesco a sbirciare: accipicchia uno è l’edizione francese di “Pippo nel castello di
Rococò”, l’altro l’introvabile “Cucu” a colori del 1943.
“Sei Prospero?” mi chiede la bimba con voce speranzosa: la osservo bene, avrà più o
meno dieci/dodici anni, occhi e capelli scuri con la frangetta, maglione rosso e blue
jeans, ai suoi piedi sta accoccolato un bel gattone tutto nero con una
macchia bianca sotto il collo.
“No, mi spiace non sono Prospero, ma tu che fai, viaggi sola sulla metropolitana, di chi
è quel bel micio”
Sospira rassegnata la ragazzina: eppure mi sembrava….io mi chiamo Zazie e vivo nel
Metrò e il gatto si chiama Gris-gris ed è di Chloe, una mia seconda cugina: l’ho trovato
in casa nascosto dietro il frigo, mentre quella mezza scema lo sta cercando per tutto il
quartiere della Bastiglia.
“ Ma che stai dicendo, stai mescolando il grano con il loglio! Zazie nel metrò è un
romanzo di Raymond Queneau scritto nel 1959, un grottesco/surreale che sarebbe
piaciuto – e forse piacque – al grande Jacovitti, un disegnatore che non penso tu possa
conoscere .
Se ne fece anche un film, 50 anni fa, un divertissement del regista Louis Malle con
interprete principale una bimba di nome Chaterine Demongeot”.
“ Chaterine la vacca! (mon cul! nella versione originale francese) non sono io quella”,
esclama corrucciata la presunta Zazie.
Mi guarda seriamente e dice: ti piacerebbe avere anche tu 12 anni , non invecchiare
mai e passare tutto il tempo nel metrò’?”
Io sto allo scherzo: già, ma che vita sarebbe sempre chiusi qui sotto notte e giorno,
mese dopo mese. Una cosa da incubo.
“No, no,” fa Zazie, “il metrò esce anche all’aperto, corre in alto e si può vedere tutta la
città, ci si può fermare in superficie e girare all’interno delle stazioni; ci sono ristoranti,
negozi , librerie, bagni pubblici e persino sale cinematografiche, non è poi così male.
Io ieri, a proposito di film, ho visto”Ognuno cerca il suo gatto”, molto carino, con
quella rimbambita di mia cugina Chloé, che fa la parte dell’oca giuliva!
Devo anche incontrare mio zio Gabriel, un vero arcangelo,
che di mestiere fa la ballerina gitana, poi insieme dovremo
andare dal un altro zio che ha una bella casa su dalle parti di
Porte des Lilas; non so se lo conosci, si chiama Cédric
Klapisch, di professione regista, lavora nel cinema! Hai
capito?”
Io sono preoccupato per il discorso un poco sboccato e
sconclusionato della bambina. ”Ma come ti chiami
veramente, su dimmi la verità”.
“Sono Zazie e questa è la prima volta che viaggio con il
metrò”.
Io penso che l’unica cosa sensata da fare sia cercare un
controllore, qualcuno che lavori qui sotto , oppure un
poliziotto e consegnarli la bambina che – secondo me- si è
smarrita.
Accidenti , mi sono distratto e ho saltato la fermata “Pasteur”, che fare adesso?
Zazie mi guarda e comprende: ti sei sperduto, hai sbagliato treno, dove devi andare??
Sai, c’è anche un altro mio zio, Noiret, che lavora di notte nei cabarets, potremmo
andare da lui che vive a Montmartre, dalle parti del Mercato delle pulci, lui conosce
bene Parigi!”
Penso che la faccenda si stia ingarbugliando.
“Guarda Zazie, scendiamo alla prossima fermata e poi chiederemo aiuto a qualche
addetto ai lavori”. Il treno si arresta e io scendo velocemente: accipicchia sono a
Jussieu, sulla linea 7!
Mi guardo intorno, Zazie non c’è. È rimasta sul metrò che ormai è scomparso nella
galleria. Che faccio?
Non mi resta che salire in superficie
La ragazzina mi ha lasciato una grossa busta nella quale, io presumo, siano contenuti
gli albi da me precedentemente intravisti.
”La devi consegnare a Jacovitti- che io conosco benissimo- che è vivo e vegeto”, mi ha
detto con un sorriso innocente, “io posso mandarti in qualsiasi luogo e in qualsiasi
tempo”, ha aggiunto seriamente.
Una situazione metafisica, surreale, un sogno ad occhi aperti, una questione di farfalle
e di filosofi ( o viceversa)??
Tomaso Prospero Turchi