Genealogia dell`attaccamento

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Genealogia dell`attaccamento
Genealogia dell’attaccamento
FRANCESCO GAZZILLO
Se definiamo la psicoanalisi sulla base
dell’adesione alle teorie tradizionali,
e non sulla base dei fenomeni che cerca di spiegare,
allora le mie idee non sono psicoanalitiche,
e nessuna nuova idea potrà mai esserlo – per definizione.
John Bowlby, 1986
Il mio obiettivo è stato ed è
dare un fondamento scientifico alla psicoanalisi
John Bowlby, 1990
Lo scopo di questo articolo è costruire un percorso narrativo che illustri le
vicissitudini biografiche e culturali che hanno influenzato John Bowlby
nell’elaborazione della teoria dell’attaccamento. Parleremo prevalentemente degli anni
che vanno dalla nascita di Bowlby, nel 1907, agli anni sessanta del secolo scorso,
quando i lineamenti essenziali della sua teoria si erano chiaramente delineati.
Come sostenuto in un precedente lavoro (Gazzillo, Silvestri, 2008, 9-11), le teorie
dei grandi psicologi sono spesso il frutto non solo delle loro esperienze cliniche,
culturali e di ricerca, ma anche dei loro percorsi di vita, che li hanno resi
particolarmente sensibili a certe problematiche e attenti a certe dinamiche psichiche e
relazionali (Atwood, Stolorow, 1993). È stato così per la scoperta fatta da Freud del
complesso edipico (vedi le lettere di Freud a Fliess), per la concettualizzazione
kleiniana della posizione depressiva (Grosskurt, 1986) e per le descrizioni fatte da
Masud Khan delle personalità schizoidi e perverse, solo per fare qualche esempio. Ed è
probabile che anche l’attenzione con cui Bowlby ha studiato le influenze patogene di
fattori come separazioni e perdite precoci e l’assenza di figure di attaccamento stabili e
sensibili nel corso dell’infanzia sia stata influenzata dalle vicissitudini dei suoi primi
anni di vita (Holmes 1993; van der Horst, 2011).
Sapere in che modo il pensiero di un autore è influenzato dalle sue vicissitudini
biografiche e culturali può aiutare a comprenderlo più a fondo, ma è chiaro che non dice
nulla rispetto alla solidità scientifica delle sue conclusioni. Queste ultime possono
essere valutate solo sulla base dei programmi di ricerca che riescono a stimolare e delle
verifiche o confutazioni empiriche che ricevono nel corso degli anni. E la teoria
dell’attaccamento è forse il paradigma evolutivo che negli ultimi trent’anni anni ha
generato il numero maggiore di ricerche, come testimonia il poderoso Handbook of
Attachment (Cassidy, Shaver, 2008).
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L’infanzia di John Bowlby
Edward John Mostyn Bowlby nasce il 26 febbraio del 1907. Sua madre ha
quarant’anni, il padre cinquantadue. Erano fidanzati da circa un anno.
La madre, May Mostyn, è la figlia maggiore del reverendo Hugh Mostyn,
altolocato curato di campagna nel Huntingdonshire. Donna semplice e attiva – così la
ricorda il figlio – nutre una profonda reverenza nei confronti di suo padre, che diventerà
per tutti il «nonnino» e lo considera il modello di ogni comportamento accettabile. La
nonna materna di Bowlby, invece, è una figura profondamente svalutata dalla figlia, che
la descrive come una donna in grado solo di mettere al mondo bambini e stare ai
fornelli. È assai probabile che in questo risentimento giochino un ruolo di rilievo
sentimenti di gelosia per i nove fratelli e sorelle che le sarebbero nati nel corso degli
anni. Sembra che queste difficoltà con la propria madre contribuiscano a fare della
madre di John un genitore tutto sommato poco affettuoso, tranne con uno dei figli,
Tony, cosa che alimenta le gelosie di John e la competizione tra i due fratelli. Quando la
famiglia Bowlby è a Londra, la mamma, cosa comune tra le famiglie altolocate
dell’Impero Britannico, delega la cura dei bimbi alle tate, andandoli a trovare in camera
dopo colazione e poi ricevendoli tra le cinque e le sei del pomeriggio per leggergli
qualcosa mentre sorseggiano il tè, una volta puliti e sistemati. Aveva giurato che non
avrebbe mai sposato un uomo di città, e difatti sceglie come marito Sir Anthony
Bowlby, con il quale condivide l’amore per la vita all’aria aperta, la natura, la pesca e la
caccia, passioni che anche il figlio John erediterà. A Pasqua i bambini vengono mandati
in vacanza a Margat con le bambinaie, mentre la signora Bowlby e suo marito vanno a
pesca in Scozia. A luglio la mamma porta i bambini nella New Forest, mentre per tutto
agosto e metà settembre la famiglia Bowlby si trasferisce al completo ad Ayrshire, in
Scozia, viaggiando in treno in un vagone privato. Durante le vacanze, la mamma di
Bowlby insegna ai figli a riconoscere fiori, uccelli e farfalle, a pescare, cavalcare e
andare a caccia. Suo padre aveva fatto lo stesso con lei, e sia John sia il fratello Tony
diventeranno appassionati naturalisti.
Il padre di Bowlby, Sir Anthony Alfred Bowlby, grande chirurgo inglese, aveva
operato una delle figlie della regina Vittoria e, dopo aver prestato servizio per re
Edoardo VII e re Giorgio V, era diventato cavaliere. Nel 1920 sarebbe diventato anche
baronetto e presidente del Royal College of Surgeons. Suo padre, Thomas Bowlby, era
stato corrispondente estero del Times ed era stato ucciso a Pechino nel 1861 durante la
guerra dell’oppio. Il figlio, che allora aveva sei anni, da quel momento in poi si era
preso cura della madre, che non si sarebbe mai risposata, e aveva iniziato a cercare
moglie solo a 40 anni, dopo la sua morte. Sir Anthony Bowlby è una figura piuttosto
lontana e incute nei figli soggezione e timore reverenziale; a ognuno di loro affibbia dei
soprannomi di animali: quelli di John erano «Jack lo sciacallo», «Baubau» e
«Ammiraglio Sir Arriccianaso Sapientone». Le lunghe e lente passeggiate domenicali
attraverso Hyde Park, per andare in chiesa, sono il momento in cui impartisce ai figli
lezioni di vita. L’amore per la natura, la dedizione nei confronti dei pazienti e un modo
di fare aristocratico sono eredità certe che Mary e Thomas lasceranno al figlio John.
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Oltre ai genitori, le figure di riferimento dell’infanzia di Bowlby sono, secondo la
tradizione delle classi britanniche più agiate, le governanti e le tate. Nanny Friend – che
vive con la famiglia Bowlby da quando la sorella maggiore di John, Winnie, ha un
mese, fino alla morte della signora Bowlby – «era molto intelligente, aveva fatto ottime
letture, sapeva tenere una disciplina rigorosa, ammorbidendo un fermo regime educativo
con la sua capacità di incantare i piccoli con favole che lei stessa inventava, o leggendo
Dickens» (Holmes, 1993, 16). La tata preferita di John è una certa Minnie, che i genitori
mandano via quando il piccolo ha solo quattro anni. Per Bowlby è un’esperienza
analoga alla «morte di una madre», tema che sarà al centro dei suoi interessi scientifici.
John è il quarto di sei figli: le prime due sorelle, Winnie e Marion, diverranno due
musiciste di talento e non si sposeranno mai, anche perché i loro promessi sposi
moriranno nel corso della prima guerra mondiale; Tony, il preferito della madre,
maggiore di John di tredici mesi, sarà per tutta la via grande amico e rivale di Bowlby,
quello che «la passava sempre liscia». Il fratello minore, Jim, fin da piccolo debole,
malato e un po’ «ritardato», avrebbe fatto per un certo periodo l’imprenditore agricolo,
ma senza successo, e non si sarebbe mai sposato. Tony e John lo prendono in giro, ma si
preoccupano molto per lui, e quando una volta Tony rompe un quadro fatto da Jim con
dei fiori secchi, John lo prende a pugni. I figli di Bowlby raccontano che uno dei
rimbrotti che più spesso il padre rivolgeva loro era: «Non fare il prepotente con me, non
fare il prepotente». L’ultima sorella, Evelyn, condividerà con John l’interesse per la
psicoanalisi e sposerà l’economista Henry Phelps Brown, grande amico del fratello; la
loro figlia, Juliet Hopkins, è una terapeuta infantile della Tavistock. La competitività
con i pari che caratterizza i rapporti con il fratello Tony e la sensibilità verso i problemi
dei bambini disagiati come il fratello Jim segneranno la personalità del futuro analista.
Bowlby dice che la sua era «una famiglia abbastanza semplice, unita, non
completamente ma abbastanza, una famiglia di professionisti che conduceva una vita
piuttosto tradizionale, naturalmente con le bambinaie» (Hunter, 1994 127). Un tipo di
vita, dirà in privato, che lo aveva «ferito, ma non danneggiato a sufficienza» (van
Dijken, 1998, 11).
Lo scoppio della Grande e Guerra e gli anni del collegio
Durante la prima guerra mondiale Bowlby non vede quasi mai il padre, impegnato
come consulente medico dell’esercito britannico in Francia e nel 1917, a dieci anni,
viene spedito in collegio con il fratello Tony. La motivazione ufficiale di questa
decisione è che vi potevano essere incursioni aree, ma John non condividerà mai la
decisione dei genitori, peraltro piuttosto normale nell’educazione di un gentiluomo
inglese – basti pensare che il piccolo Bion, a soli otto anni, dalla nativa India venne
mandato a studiare da solo in Inghilterra (Bion, 1982). A dieci anni Bowlby aveva
quindi già appreso cosa volesse dire perdere una figura di attaccamento e vivere per
lunghi periodi lontano dai genitori prima e dall’intera famiglia poi. È difficile sfuggire
all’impressione che tutto questo abbia influenzato i suoi interessi scientifici.
Alla fine del conflitto John va a Dartmouth per iniziare la carriera di cadetto. Lì
apprende la disciplina e il senso dell’organizzazione che lo avrebbero caratterizzato per
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tutta la vita, sente parlare per la prima volta della psicoanalisi e decide di voler
intraprendere una carriera che «avrebbe potuto migliorare la comunità nel suo
complesso» (van der Horst, 2011, 7). Non sopporta però gli orizzonti chiusi e la rigidità
della marina, così come mal sopporterà quelli della British Psychoanalytical Society; e
soffre di mal di mare, ragion per cui, a differenza del fratello Tony, decide di seguire le
orme paterne e si iscrive alla facoltà di Medicina. Nel 1925, a diciotto anni, entra al
Trinity College di Cambridge.
Gli anni dell’università
Nel corso degli anni accademici, gli interessi di Bowlby si orientano verso la
psicologia, disciplina che a Cambridge viene studiata con metodi empirici che danno
grande importanza all’osservazione e agli esperimenti condotti in situazioni naturali
(van der Horst, 2011, 9). Ciò che lo lascia insoddisfatto è l’eccessiva importanza data a
temi come il quoziente intellettivo e gli studi sui comportamenti di animali tenuti in
cattività. Proprio nel corso degli anni universitari, nel 1928, Bowlby legge per la prima
volta Introduzione alla psicoanalisi di Freud, «uno degli undici libri più importanti che
abbia mai letto». Non è chiaro se all’interesse per la psicoanalisi lo avesse portato il suo
tutor in scienze naturali, Lord Edgar D. Adrian o la lettura di Instinct and the
Unconscious di W.H.R. Rivers. Bowlby aveva ventun anni.
Sempre in quel periodo, tramite il fratello Tony che studiava a Oxford, John
Bowlby conosce Evan Durbin (futuro economista e politologo, oltre che esponente del
governo Attlee) e Henry Phelps Brown (futuro economista e marito della sorella
Evelyn), entrambi sostenitori della psicoanalisi ma profondamente insoddisfatti dal suo
scarso rigore empirico. È grazie alla loro influenza che, tra il 1926 e il 1927, Bowlby
mette in discussione le idee conservatrici del padre e abbraccia il socialismo britannico1.
John e Evan diventano grandi amici: dal 1929 al 1939 condivideranno un appartamento
e saranno l’uno il testimone di nozze dell’altro. Evan incita Bowlby a non pensarsi
come un clinico ma come un accademico: aperto, critico e rigoroso nel vagliare la
solidità empirica di qualsiasi ipotesi. Dopo aver vinto numerosi premi, Bowlby si laurea
con il massimo dei voti in scienze mediche precliniche e psicologia. Sicurezza in se
stesso, indipendenza di giudizio, cultura, generosità e un certo distacco lo caratterizzano
sin da allora. Trovando noiosi gli studi medici, decide tra l’altro di aprire un Bogey’s
Bar frequentato dagli amici e famoso per i suoi panini. Terminata l’università, Bowlby
lavora per un anno come volontario in una succursale della Summerhill di A.S. Neill2, la
Priority Gate, una scuola all’avanguardia per ragazzi disadattati ampiamente influenzata
dalla teoria di Freud, che in questo contesto diventa realmente «viva» ai suoi occhi.
Decide quindi di occuparsi di psichiatria infantile, facilitato anche dal fatto che, per
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Nel 1946, su invito di Durbin, Bowlby partecipa a una conferenza su «I problemi psicologici e
sociologici del socialismo moderno» con un contributo intolato «Psychology and Democracy». L’idea di
fondo, frutto di una sintesi tra la teoria del campo di Kurt Lewin e le sue idee sullo sviluppo del bambino,
è che per consolidare la democrazia sia necessario favorire relazioni sane tra genitori e figli. Sono esse, a
suo parere, a permettere lo sviluppo di altruismo e autonomia, le basi della democrazia (Mayew, 2006).
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Educatore progressista analizzato da Wilhelm Reich.
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usare la sua espressione, il padre è «fortunatamente morto». Non avrebbe condiviso
quella scelta.
A Summerhill Bowlby apprende che è possibile comunicare con i ragazzi
«disturbati» e aiutarli. Uno di questi ragazzi – dirà anni dopo – si attacca a lui come una
delle papere di Lorenz, mentre un altro attira la sua attenzione per il motivo opposto: è
profondamente ritirato ed era stato cacciato dalla scuola pubblica per furti ripetuti. Tutti
dicono che la sua tendenza al furto, alimentata da profonde difficoltà a stabilire relazioni
intime e da una grande insensibilità alle lodi e alla vergogna, sia dovuta al fatto che il
piccolo, figlio illegittimo, non ha mai avuto una figura materna di riferimento. Dunque,
pensa Bowlby, la deprivazione materna può causare grandi danni alle capacità
relazionali dei bambini e alimentare tendenze antisociali. John lavora anche in un’altra
di queste scuole per ragazzi difficili orientate in senso analitico, Bedales, e per tutta la
vita continuerà a sostenere il ruolo fondamentale svolto per la sua formazione
dall’esperienza fatta in questi istituti: lì la realtà delle influenze negative dell’ambiente
precoce sullo sviluppo psicologico è il pane quotidiano.
È uno dei membri dello staff di Priority Gate, John Alford, che lo indirizza
all’Institute della British Society per iniziare il training analitico. Bowlby sceglie la
psicoanalisi poiché è la disciplina psicologica che sostiene in modo più chiaro quella
che già allora è la sua convinzione fondamentale: le basi della salute e della patologia
psichica di bambini e adulti vengono gettate nei primi anni di vita e, per crescere sani, i
bambini hanno bisogno di poter contare sulla presenza e la disponibilità di una figura di
riferimento stabile che li faccia sentire al sicuro e dia loro conforto quando ne hanno
bisogno.
La formazione analitica
Nel 1929, il ventiduenne John Bowlby inizia la sua analisi didattica con Joan
Riviere, analista brillante ma donna dal carattere difficile, collega e grande amica di
Melanie Klein, paziente prima di Jones e poi di Freud (di cui traduce le opere), analista
di Donald Winnicott e Susan Isaacs e supervisore, tra gli altri, di Hanna Segal e Herbert
Rosenfeld. Il supervisore con cui Bowlby lavora meglio è Ella Freeman Sharpe,
seconda analista di Masud Khan, mentre il suo supervisore nel trattamento analitico dei
bambini è Melanie Klein. L’analisi con la Riviere dura sette anni, alla frequenza di
cinque sedute a settimana, e viene interrotta su invito della moglie Ursula che non
voleva che il marito continuasse a «spendere così i suoi soldi» (comunicazione
personale di Bretherton a van der Horst – 28 Aprile 2009).
Sia con la Riviere sia con la Klein le maggiori frizioni sono dovute alla diversa
importanza attribuita alla realtà esterna e a quella interna. Anche a più di cinquant’anni
di distanza, quando raccontava dello scarso interesse della Klein per le problematiche
psichiche della madre della piccola paziente che portava in supervisione da lei, Bowlby
continuava ad arrabbiarsi. Nel 1990 dirà a Virginia Hunter (1994, 126) che fu proprio
lavorando con la Klein che aveva deciso che uno degli obiettivi della sua carriera
sarebbe stato dimostrare quanto sia sbagliato non tener conto della realtà esterna quando
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si studia lo sviluppo psichico normale e patologico: «questo diventerà lo scopo della
mia vita: dimostrare che questa donna sbaglia».
Sempre su incitamento di Alford, Bowlby avvia poi la sua carriera di medico
lavorando al Maudsley Hospital come assistente di Aubrey Lewis, studioso molto
critico rispetto alla psicoanalisi. Nel 1933 consegue il titolo di MD e su suggerimento di
Evan Durby si iscrive al corso per PhD dello University College di Londra sotto la
supervisione formale di Sir Cyril Burt. Ma il vero supervisore in questo corso, che
Bowlby non porterà mai a termine, sarà la grande educatrice Susan Isaacs, altra futura
esponente del pensiero kleiniano. Burt, che negli anni a venire sarà accusato di frode
scientifica per i suoi studi sull’ereditarietà del QI, è fondatore e membro ordinario della
British Pychoanalytical Society e fa parte del Council della Tavistock Clinic. Negli anni
in cui Bowlby studia con lui, Burt giunge alla conclusione che le cause della
delinquenza giovanile vadano ricercate in eventi avversi dell’infanzia e sostiene che la
separazione del bambino delinquente dai propri genitori debba essere realizzata solo
come extrema ratio terapeutica in quanto potenzialmente molto dannosa. Due
convinzioni che anche Bowlby conserverà per tutta la vita (Tondo, 2010).
Dal 1934 al 1938, Bowlby lavora part-time all’Institute for the Scietific Treatment
of the Delinquency (ISTD), i cui membri appartengono alla British Society o alla
Tavistock, e studia le cause e i possibili metodi per prevenire la delinquenza giovanile.
Nel 1936 inizia a lavorare, sempre part-time, anche alla London Child Guidance Clinic,
istituzione di origine statunitense importata nel Regno Unito da Burt. Anche il lavoro di
queste istituzioni si basa sul presupposto che i problemi psicologici e comportamentali
dei bambini siano causati da relazioni disturbate con i genitori che a loro volta
affondano le radici nei problemi delle famiglie d’origine dei genitori stessi. Anni dopo,
Bowlby dirà di aver appreso più dagli assistenti sociali che lavoravano alla Child
Guidance Clinic che non da molti suoi colleghi psichiatri e psicoanalisti. È proprio in
questa clinica che vede per la prima volta due ragazzi con «personalità psicopatiche»
che avevano sofferto di un’importante esperienza di separazione nell’infanzia (erano
stati mandati in ospedale per diversi mesi e i genitori non li erano mai andati a trovare).
Bowlby è sempre più convinto che questa sia la causa del loro sviluppo emotivo
anormale.
Nel 1938 scrive, con Evan Durbin, Personal Aggressiveness and War (Durbin,
Bowlby, 1939), una rassegna di studi al crocevia tra antropologia, psicologia e scienze
naturali. La tesi principale è che la guerra sia un’espressione gruppale della naturale
aggressività umana e che per promuovere la pace è necessario favorire il sano sviluppo
psicologico delle persone. In esso, un ruolo fondamentale è giocato da relazioni madrebambino stabili e amorevoli. È la prima avventura di Bowlby in un lavoro di tipo similaccademico in cui modelli come quello psicoanalitico e quello marxista vengono
utilizzati in modo critico e con spirito scientifico.
Nel 1939, per diventare membro ordinario della British Society, presenta un
lavoro su The Influence of early environment in the development of neuroses and
neurotic character che viene pubblicato dall’International Journal of Psycho-Analysis
nel 1940, quando Bowlby ha trentatre anni. Il tema centrale del saggio è il ruolo
dell’ambiente reale precoce nello sviluppo della patologia psichica e Bowlby sostiene la
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necessità dell’osservazione diretta del comportamento per lo sviluppo delle teorie
analitiche. Sempre nel 1940 lavora con la Isaacs per il comune di Londra
all’elaborazione dei piani di evacuazione dei bambini. Nel frattempo, nel 1937, l’anno
in cui finisce l’analisi, durante una vacanza di caccia in Irlanda, John conosce la futura
moglie: Ursula Longstaff, una donna dieci anni più giovane di lui e un po’ diffidente, la
cui madre era stata abbandonata dal marito, famoso alpinista. John e Ursula si sposano
nel 1938 e questa è la prima e unica relazione stabile e di lunga durata di Bowlby con
una donna. Quelle precedenti erano più volte terminate in modo «drammatico»: una
volta era stato scoperto a letto con una sorella della sua fidanzata! Bowlby rimarrà
legato alla moglie fino alla sua morte e avranno quattro figli: Mary (1939), Richard
(1941), che diventerà baronetto come il nonno, Pia (1945) e Robert (1948). Come il
padre, sarà un genitore un po’ distante, spesso assente a causa della guerra o perché
impegnato per lavoro. «Ma papà è un contrabbandiere?» – chiedevano i piccoli alla
madre – «Torna sempre a casa dopo che si è fatto buio e non parla mai del suo lavoro!»
Sempre come il padre, alternerà lunghi periodi di lavoro con periodi altrettanto lunghi di
vacanze, trascorsi spesso nell’isola scozzese di Skye, dove compra una seconda casa. Le
sue attività preferite erano la caccia e la pesca, fare lunghe passeggiate, andare in barca
e fare bird-watching. Sembra che Bowlby sia stato piuttosto deluso dalle difficoltà
accademiche dei figli, cui aveva contribuito anche la loro dislessia, disturbo al tempo
poco noto. Come nonno sarà invece assai più tollerante, divertente e affettuoso. La
famiglia Bowlby condividerà per anni con i Durbin una casa a York Terrace (il paese
dove Ernest Jones, Adrian Stokes e Karen Stephen avevano lo studio), e poi una casa ad
Hampstead con i coniugi Sutherland e la giovane Marta Harris, una delle maggiori
terapeute e infant observer kleiniane, futura moglie e collaboratrice di Donald Meltzer
nonché madre di Mag Harris Williams. Nonostante i conflitti teorici, Bowlby manterrà
rapporti personali cordiali con molti colleghi della British Society.
Lo studio su quarantaquattro ladri minorenni e il report per l’Organizzazione
Mondiale
della Sanità
Fra il 1936 e il 1940, cioè verso la fine del training analitico3, Bowlby decide di
centrare la sua carriera sullo studio prospettico delle conseguenze psichiche degli eventi
reali dell’infanzia, in funzione critica e correttiva rispetto all’importanza che gli analisti
attribuivano alla fantasia. Data la difficoltà nel reperire strumenti di registrazione che
permettessero di fare ricerca su abusi, offese, maltrattamenti fisici e verbali ecc.,
Bowlby sceglie di indagare le conseguenze di eventi facilmente rilevabili: le separazioni
e la perdita dei genitori. Tra il 1944 e il 1962 è molto attivo nella British Society di cui
sarà segretario del training, vicepresidente e responsabile amministrativo sotto la
presidenza di Winnicott (1956-1961)4. È lui a istituire e dirigere il comitato per la
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Bowlby diventa psicoanalista nel 1937 e si qualifica come membro ordinario della British Society nel
1939.
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Nonostante alcuni disaccordi teorici e caratteri molto diversi, Winnicott e Bowlby si stimano a vicenda
e, per usare le parole di Bowlby, «suonano la stessa musica» rispetto all’importanza della relazione reale
precoce tra madre e bambino per lo sviluppo psichico.
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ricerca e a dare vita a vari altri comitati, come quello per le relazioni pubbliche, quello
per garantire una copertura assicurativa ai membri non medici e quello per il
curriculum, teso a evitare i casi di formazioni interminabili. Sempre nel 1944 pubblica
Fourty-four juvenile thieves: their characters and home-life (1944, 1946), uno studio
che aveva terminato prima dello scoppio della seconda guerra mondiale ma che ora
rivede alla luce delle nuove conoscenze metodologiche apprese da Trist e Sutherland
mentre prestava servizio nell’esercito. Paragonando con tecniche statistiche i dati
relativi allo sviluppo di quarantaquattro ragazzi minorenni che avevano compiuto furti
con quelli sullo sviluppo di quarantaquattro ragazzi della stessa età che non ne avevano
mai commessi, Bowlby dimostra che nelle storie dei primi è possibile identificare un
numero superiore di separazioni, soprattutto nei casi dei cosiddetti «ladri anaffettivi».
Sutherland e Trist sostengono che è il suo stesso distacco emotivo a renderlo così
sensibile ai problemi dei «ladri anaffettivi» (Holmes, 1993, 34-35).
Nel corso della seconda guerra mondiale, Bowlby presta servizio nell’esercito
britannico presso l’ufficio per la selezione degli ufficiali e stringe amicizia con Ronald
Hargreaves, il suo Command Psychiatrist. Hargreaves è favorevolmente colpito dai
lavori di Bowlby, in particolare quello sui 44 ladri minorenni, e quando alla fine della
guerra viene chiamato a dirigere la Sezione sulla Salute Mentale dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) gli chiede di stilare un report sulle conseguenze delle
separazioni precoci. Dopo la seconda guerra mondiale, con i milioni di morti e di
sfollati, quello dei bambini orfani e senza casa e delle conseguenze comportamentali
delle separazioni e delle perdite precoci sono diventati problemi di grande importanza
teorica e pratica. L’ipotesi di partenza di Bowlby è che «le separazioni precoci dai
genitori siano patogene». Il report, che verrà pubblicato con il titolo Maternal Care and
Mental Health nel 1951 e sotto forma di monografia nel 1952, si basa su un’attenta
analisi della letteratura relativa a quattro grandi ambiti di ricerca (vedi anche van der
Horst, 2011):
1) in primo luogo, i problemi dei bambini evacuati durante la guerra – tema a cui
si dedicano anche Clare Britton e Donald Winnicott (1984), il quale elabora le sue
ipotesi sulla tendenza antisociale come risposta alla deprivazione e segno di speranza
proprio a partire dalle osservazioni fatte sui bambini sfollati.
2) il comportamento dei bambini allevati nelle war nursery, come quella gestita
da Dorothy Burlingam e Anna Freud (1942, 1944), il futuro Anna Freud Center. Le
descrizioni del comportamento di questi bambini fatte da Anna Freud e Burlingham
saranno citate spesso da Bowlby che dissentiva dalle loro teorie ma si diceva in accordo
con Anna Freud su tutte le questioni pratiche relative all’educazione dei bambini.
3) le reazioni dei bambini ai ricoveri in assenza dei genitori; vale la pena ricordare
che quando, nel gennaio del 1940, The Lancet pubblica l’editoriale in cui viene
annunciata la decisione del Ayr County Hospital di vietare per motivi di ordine e igiene
le visite dei genitori ai bambini ricoverati, Bowly è uno dei primi a protestare con una
lettera al direttore.
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4) la sindrome da ospedalismo – tema su cui gli studi di Herry Bakwin (1942),
William Goldfarb (1943, 1947) e soprattutto René Spitz e Khaterine Wolf (1946, 1949)
ricoprono un posto di primissimo piano. La scoperta della sindrome che Spitz ha
chiamato «ospedalismo» o «depressione anaclitica», illustrandola in numerosi scritti e
nel celebre film Grief: A Peril in Infancy, è una pietra miliare nella psicologia evolutiva.
Per scrivere il suo report, Bowlby, oltre a studiare la letteratura sul tema, viaggia
in Europa (Francia, Olanda e Svezia) e negli Stati Uniti per discutere con i maggiori
professionisti del settore: Madame Roudinesco (nota anche come Jenny Abry) – una
psichiatra infantile che si sta specializzando in psicoanalisi e studia un gruppo di
bambini di strada allevati nella sua nursery residenziale; Geneviève Appel, che Bowlby
avrebbe voluto invitare alla Tavistock e, ovviamente, Spitz e Goldfarb, che lo colpisce
per modestia, sensibilità e intelligenza. Le recensioni di Lancet e del British Medical
Journal alla monografia di Bowlby sono ottime; Winnicott, invece, pur sostenendo tesi
simili a quelle di Bowlby, critica la mancanza di una teoria adeguata a spiegare perché
quel tipo di deprivazione avesse quegli effetti sui bambini. E coglie nel segno: la
mancanza di una cornice teorica adeguata è uno dei limiti maggiori che lo stesso
Bowlby attribuisce a questo lavoro e negli anni a venire cercherà proprio di
comprendere quali siano le caratteristiche del legame madre-bambino che rendono così
traumatica la sua rottura. Ma facciamo un passo indietro.
Il lavoro alla Tavistock e la collaborazione con James Robertson
Nel 1946, alla fine della guerra, a Bowlby viene offerto il posto di direttore del
Dipartimento per i bambini – che lui subito ribattezza Dipartimento per bambini e
genitori – della Tavistock Clinic, istituzione di cui non aveva mai fatto parte in
precedenza. Per la verità, alla fine della guerra la Tavistock diventa il «college
invisibile» degli psicoanalisti che avevano prestato servizio nell’esercito e, nonostante i
pregiudizi di Jones, si configura come centro clinico, di ricerca e di training di grande
prestigio5. Bowlby, vice del suo amico e direttore Jock Sutherland, riorganizza la
clinica. Insieme con Esther Bick dà vita al training di psicoterapia infantile, introduce le
terapie familiari e avvia numerosi progetti di ricerca sulle conseguenze di separazioni
più lunghe di sei mesi in bambini di meno di cinque anni. Per non sentirsi «estraneo nel
suo stesso dipartimento», in gran parte kleiniano, Bowlby apre anche un piccolo
laboratorio di ricerca. Un terzo della settimana lo trascorre visitando pazienti e famiglie
e facendo supervisioni e seminari clinici in una clinica per bambini. Il resto del suo
tempo lo dedica alla ricerca. Energia, efficienza, determinazione e senso pratico fanno
di lui un ottimo organizzatore, bravissimo nel reclutare fondi e capace di circondarsi di
collaboratori di valore che contribuiranno allo sviluppo della teoria dell’attaccamento,
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Jones non era convinto della solidità delle convinzioni analitiche dei membri della Tavistock, e Bowlby
aveva deciso di formarsi alla British Society perché la Tavistock gli era stata descritta come un’istituzione
«amatoriale».
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primi tra tutti Rudolf Shaffer, Cristoph Heinicke6, Mary Ainsworth, Colin Murray
Parkes e James Robertson.
Robertson è un ragazzo di origini operaie di poco più di trent’anni che durante la
guerra, assieme alla moglie Joyce, ha prestato servizio come obiettore di coscienza alla
Hampstead Wartime Nursery di Anna Freud. È lì che, pur affidandogli quale compito
principale la manutenzione delle caldaie, la figlia di Freud gli insegna la tecnica di
osservazione sistematica del comportamento infantile, competenza che gli vale il nuovo
impiego alla Tavistock. Robertson era cresciuto a Rutherglen, vicino Glasgow, in una
famiglia scozzese dedita e affettuosa; dai quattordici ai ventotto anni aveva lavorato
come operaio di un’industria metallurgica di Glasgow per aiutare economicamente la
famiglia, frequentando corsi universitari serali e studiando di notte. Convertitosi alla
religione quacchera nel 1939, studia per un anno al Fircroft College for Higher
Education of Working Men. Nel 1947 si laurea come assistente sociale (di orientamento
psichiatrico) alla London School of Economics e poi diventa psicoanalista
annafreudiano e regista cinematografico. «James Robertson era dunque un self-made
man che proveniva da una famiglia operaia povera, aveva completato la sua istruzione
poco prima dei quarant’anni… era grato ad Anna Freud per avergli dato l’opportunità e
gli stimoli necessari a svilupparsi dal punto di vista accademico. Al tempo stesso, non
sorprende che si sentisse a disagio nell’affettato mondo medico britannico degli anni
cinquanta e sessanta» (Van der Horst, 2011, 59).
Alle scrupolose osservazioni di Robertson, discusse con Bowlby, dobbiamo
l’individuazione delle tre fasi di protesta, disperazione e distacco che caratterizzano la
reazione del bambino alla separazione dalle figure di attaccamento; sempre a lui
dobbiamo i film: A two year-old goes to the hospital (1952), Going to hospital with
mother (1958) e Young children in brief separation (1971). Con le sue riprese,
Robertson vuole dimostrare ai pediatri e ai medici che l’ospedalizzazione di un bambino
in assenza di un genitore ha effetti negativi profondi sulla sua vita emotiva e che questi
effetti possono essere drasticamente ridotti se i piccoli ricevono le cure attente di un
sostituto materno disponibile e sollecito. La collaborazione tra Bowlby e Robertson non
sarà però priva di difficoltà; con il passare del tempo, Robertson inizia ad accusare
Bowlby di appropriarsi delle sue idee senza riconoscerne la paternità e dal punto di vista
teorico si mantiene fedele all’ipotesi freudiana secondo cui non sarebbe possibile
parlare di elaborazione del lutto nei bambini di età inferiore ai due anni, che ancora non
hanno acquisito la costanza dell’oggetto libidico. D’altra parte, se il mondo dei medici e
dei pediatri in prima battuta critica la validità e la rappresentatività delle scene filmate e
descritte da Bowlby e Robertson, gli analisti criticano principalmente l’idea di Bowlby
secondo cui il processo di elaborazione del lutto sarebbe sostanzialmente identico
dall’infanzia all’età adulta, la rinuncia ai concetti della metapsicologia freudiana e
l’eccessiva aderenza al dato comportamentale e quantificabile. Tra questi critici, oltre ad
Anna Freud, Donald Winnicott, Max Schur e René Spitz, vi è anche Robertson. I
kleiniani saranno i suoi oppositori più duri, mentre Anna Freud si dirà dispiaciuta del
6
Heinicke (1956) si dedicherà soprattutto allo studio degli effetti delle separazioni brevi e noterà una
certa proporzionalità tra durata della separazione e intensità delle reazioni dei bambini.
10
fatto che la causa della psicoanalisi classica non potesse contare sul contributo di un
uomo dello spessore di Bowlby.
La scoperta dell’etologia e l’incontro con Robert Hinde
L’estate del 1951 rappresenta una svolta nella storia intellettuale, e per certi versi
anche personale, di Bowlby che, pubblicato il report per l’Organizzazione Mondiale
della Sanità, è alla ricerca di una cornice teorica che gli permetta di concettualizzare in
modo più accurato la natura del legame tra i bambini e i loro caregiver e i processi che
determinano il carattere doloroso e patogeno delle sue interruzioni. Lo psicologo
Norman Hotoph, amico di Tony Bowlby e di Evan Durbin, consiglia a John il lavoro di
Konrad Lorenz The companion in the bird’s world, che diventerà un altro degli undici
libri fondamentali per il suo sviluppo intellettuale. Poco dopo, anche il celebre biologo
evoluzionista Julian Huxley, amico della famiglia di Ursula Bowlby, gli conferma la
solidità scientifica degli studi etologici e gli regala una copia del manoscritto de
L’anello di re Salomone, un libro che Lorenz sta per pubblicare.
Huxley, peraltro, conosce bene Lorenz, e di lì a poco le famiglie Bowlby e Lorenz
stringono un solido rapporto di amicizia. John invita il grande etologo, futuro premio
Nobel assieme a Karl von Frisch e Niko Tinbergen, alle quattro conferenze sullo
sviluppo psicobiologico del bambino organizzate a Londra e Ginevra tra il 1953 e il
1956 da Ronald Heargreaves per l’OMS; tra i partecipanti a questi incontri vi sono
Erick Erickson, Julian Huxley, René Zazzo, Bärbel Inhelder, Margaret Mead, e Jean
Piaget, che pure influenzerà lo sviluppo della teoria dell’attaccamento. John va a trovare
l’amico Konrad a Altenberg nel 1954 e Lorenz ricambia con almeno due visite alla
Tavistock Clinic. Meno intimo è invece il rapporto tra Bowlby e Tinbergen, il cui libro
The Study of Instinct, pubblicato nel 1951, influenza in modo decisivo la formulazione
della teoria dell’attaccamento; anche se Tinbergen si interesserà solo piuttosto tardi
all’etologia umana, in almeno due occasioni chiederà aiuto a Bowlby per i suoi
problemi depressivi e per i problemi simil-autistici di uno dei suoi figli e di un suo
nipote. Ma a stringere il legame umano e scientifico più solido con Bowlby è Robert
Hinde, ex dottorando di Tinbergen, che assumerà per John un ruolo simile a quello
giocato in passato da Evan Durbin e Eric Trist. I due, per la verità, si conoscono per
caso: nel 1953 Lorenz aveva parlato a Bowlby di un giovane etologo britannico di
grande talento che aveva ascoltato nel 1952 al Max Plank Institute di Buldern: Robert
Hinde, appunto. John e Robert si incontrano per la prima volta un anno dopo, nel
febbraio del 1954, durante un meeting scientifico su etologia e psichiatria organizzato a
Londra dalla Royal Medico-Psychological Association. Bowlby è tanto colpito
dall’esperienza dimostrata da Hinde che decide di invitarlo a unirsi agli incontri di
ricerca che ogni settimana si tengono alla Tavistock. A questi incontri partecipano
esperti di discipline e orientamento teorico diverso che hanno in comune solo l’interesse
per lo studio scientifico dello sviluppo infantile: «psicoanalisti di due scuole (uno dei
due, ovviamente, era Bowlby), un teorico dell’apprendimento seguace di Hull (Tony
Ambrose), un teorico dell’apprendimento skinneriano, un piagetiano, a volte un
antipsichiatra (Ronald Laing), un assistente sociale psichiatrico (James Robertson) e…
11
un etologo (Hinde)». Così Hinde descrive queste riunioni di ricerca in cui si discuteva
dei casi delle madri e dei bambini osservati da Robertson e degli scritti di Bowlby. Il
vero collante degli incontri era «il notevole ecclettismo, il dinamismo intellettuale e
l’entusiasmo giudizioso di Bowlby» (Hinde, 1991, 155). Dopo aver partecipato per due
anni a questi incontri, Hinde passerà dallo studio degli uccelli a quello delle interazioni
madre-bambino nelle scimmie e «fonderà» una colonia di scimmie rhesus. Sia lui sia
Bowlby restano affascinati dai lavori dello psicologo americano Harry Harlow che a sua
volta verrà profondamene influenzato dalle ricerche di Bowlby.
Dal 1959 al 1965 Bowlby organizza i cosiddetti CIBA Symposia7, incontri
biennali a cui partecipa un gruppo ristretto di studiosi internazionali di diverse
discipline interessati allo studio dello sviluppo precoce dei piccoli animali e umani, tra i
quali Harry Harlow, Mary Ainsworth e il giovane Lou Sander. Hinde è uno degli ospiti
fissi. Come era accaduto in passato con Henry Phelps Brown e Evan Durbin8, Bowlby
trova in Hinde un ottimo amico e un critico attento delle sue idee e della sua adesione
alla psicoanalisi, di cui stigmatizza la mancanza di fondamento empirico e la debolezza
teorica. A questi limiti Bowlby vuole cercare di porre rimedio.
Le fondamenta etologiche della teoria dell’attaccamento
Lo studio approfondito dell’etologia e le discussioni con Lorenz e Hinde
forniscono a Bowlby gli strumenti concettuali necessari a elaborare una struttura teorica
alternativa a quella della psicoanalisi freudiana per spiegare il legame dei bambini con i
loro caregiver. Al concetto di pulsioni parziali o istinti9, Bowlby sostituisce quello di
sistemi comportamentali ambientalmente stabili che si sviluppano più o meno allo
stesso modo in tutti i membri di una stessa specie che crescono nel loro ambiente di
adattamento evolutivo (concetto elaborato da Hinde e Bowlby). L’esistenza di questi
sistemi comportamentali in tutti i membri di una specie permette di supporre che, nel
corso dell’evoluzione di quella specie, la loro funzione, cioè la conseguenza probabile
della loro attivazione, si sia rivelata utile alla conservazione e riproduzione della specie
stessa. Ogni sistema comportamentale è attivato e disattivato da specifici stimoli, interni
(livelli ormonali, organizzazione e azione autonoma del sistema nervoso centrale,
rappresentazioni mentali ecc.) o ambientali, che sono quindi la causa della loro azione.
Nel corso dell’ontogenesi, infine, questi sistemi possono organizzarsi e formare sistemi
di controllo del comportamento più ampi e complessi, ma ambientalmente labili. Come
per Freud (1905), nel corso dello sviluppo le pulsioni parziali si organizzano sotto il
primato di quelle genitali.
7
Il nome di questi Simposia deriva dal nome, CIBA appunto, della compagnia svizzera (oggi Novartis)
che li finanziava.
8 Evan Durbin era morto nel 1948, affogato nel mare della Cornovaglia, a Strangles Beach, mentre
cercava di salvare una delle sue figlie. Secondo la moglie di Bowlby, questa è la perdita più terribile che il
marito abbia mai sopportato e influenzerà le sue ipotesi sul lutto. Facendo leva sulle sue grandi capacità
organizzative, Bowlby coordina uno sforzo di tutti i parlamentari legati a Durbin affinché fosse garantito
un vitalizio che permettesse ai figli dell’amico di portare a termine gli studi.
9
Bowlby conserverà il concetto di comportamento istintivo, ma rinuncerà a quello di istinto.
12
L’attaccamento10 del bambino alla madre può essere quindi inteso come l’esito
della coordinazione corretta secondo lo scopo, cioè regolata per mezzo di sistemi di
feedback, di più sistemi comportamentali ambientalmente stabili, come l’aggrapparsi,
l’inseguire, il piangere, il succhiare e il sorridere. Questi sistemi si attivano quando il
bambino è a disagio (ha sonno, ha fame, è solo, ha freddo, ha paura ecc.) e la loro
funzione è la conquista e il mantenimento della prossimità con un adulto familiare; la
percezione di questa prossimità disattiva i sistemi in questione. Essi si sarebbero
conservati nel corso dell’evoluzione della specie perché la prossimità fisica di una
figura più forte e più saggia assicura al piccolo la protezione dai predatori e
dall’aggressività di altri esseri umani. L’organizzazione gerarchica dei sistemi
comportamentali connessi all’attaccamento e il loro progressivo dirigersi verso una
persona preferita, o monotropismo, sono fenomeni che occupano i primi cinque anni di
vita del piccolo, con un periodo sensibile collocato grosso modo nella seconda metà del
primo anno di vita e uno di stabilizzazione tra i 18 e i 36 mesi (Bowlby, 1958). In età
successive è comunque possibile una modifica anche sostanziale del comportamento di
attaccamento in conseguenza dell’esperienza. Le caratteristiche della relazione di
attaccamento/ accudimento tra il bambino e la madre vengono quindi codificate in
modelli operativi interni di sé e dell’altro che orientano l’attenzione e il
comportamento. Questi modelli possono essere improntati alla sicurezza o a varie forme
di insicurezza a seconda delle caratteristiche reali della relazione madre-bambino. Dal
punto di vista affettivo, la disponibilità delle propria figura di attaccamento fa sentire al
sicuro, la sua riconquista provoca gioia, la separazione da essa provoca angoscia e
rabbia e la sua perdita impone l’elaborazione di un lutto. L’angoscia scatenata dalla
separazione da una figura di attaccamento è quindi per Bowlby una reazione primaria
non riconducibile ad altro che all’impossibilità di portare a termine i programmi dei
sistemi comportamentali connessi all’attaccamento attivati dalla percezione dell’assenza
della madre. È evoluzionisticamente sensato, infatti, che si provi angoscia e rabbia
quando non si percepisce la facile accessibilità della propria figura di attaccamento
poiché l’angoscia si collega a una serie di comportamenti che favoriscono il
ricongiungimento con questa figura e la rabbia è diretta contro chi viene percepito come
causa della mancanza del caregiver o contro il caregiver stesso, che in questo modo è
scoraggiato dall’allontanarsi ancora (Bowlby, 1960a). La presenza di separazioni troppo
numerose e/o prolungate, minacce ripetute di punire il bambino sottraendogli la propria
presenza o il proprio amore e fenomeni di inversione di ruolo (in cui al piccolo viene
chiesto di fungere da figura di attaccamento dei genitori) sono tutti fattori che
complicano la gestione dei sentimenti di angoscia e rabbia scatenati dalla separazione
stessa. La perdita di una figura di attaccamento infine, come accennato, impone al
bambino piccolo il compito di elaborare un lutto vero e proprio. Ciò è particolarmente
evidente nella terza e quarta fase di reazione a una separazione, quelle che Bowlby
rinomina disorganizzazione e disperazione (disperazione) e riorganizzazione (distacco).
Il bambino deve infatti modificare la propria visione di sé, del mondo e dei propri
10
Oltre a quello di attaccamento, Bowlby (1988, 5) prenderà in considerazione come sistemi di controllo
o motivazionali quello dell’accudimento, dell’esplorazione, della sessualità e della nutrizione.
13
obiettivi11 tenendo conto dell’assenza di una figura fondamentale. Bowlby sottolinea
inoltre che non sono l’ambivalenza del piccolo, una sua ipotetica fissazione alla fase
orale dello sviluppo psicosessuale o il suo narcisismo i fattori che favoriscono lo
sviluppo di un lutto patologico, bensì l’attivazione di difese che impediscono il normale
decorso del lutto stesso. Difese connesse a difficoltà relazionali dei caregiver (Bowlby,
1960b).
Bowlby si serve quindi della teoria dei sistemi, dell’etologia e della psicologia
cognitiva per riformulare le idee psicoanalitiche: i fenomeni legati ai conflitti sono
concettualizzati come esito dell’attivazione simultanea di sistemi comportamentali
incompatibili; i meccanismi di difesa sono riformulati per mezzo di concetti cognitivi
come quelli di esclusione selettiva degli stimoli che attivano o inibiscono un sistema
comportamentale, disattivazione di un sistema o sua segregazione, ridirezionamento di
un comportamento istintivo, collocazione erronea di una persona perduta ecc. I concetti
di meccanismi innati di rilascio e pattern di azione fissi sono di Lorenz e già abbiamo
accennato a come i fenomeni di imprinting avessero attirato l’attenzione di Bowlby
verso il legame dei piccoli con gli adulti. L’idea che per spiegare etologicamente un
comportamento istintivo sia necessario chiarire i quattro perché della sua causa,
funzione, ontogenesi e evoluzione è di Tinbergen, così come è dello studioso olandese
l’ipotesi che l’attivazione di questo tipo di comportamenti dipenda da condizioni interne
all’organismo e da stimoli esterni. Il concetto di comportamenti ambientalmente stabili
o labili è di Bowlby e Hinde, così come quello di ambiente di adattamento evolutivo.
Sono invece gli studi di Piaget (1936, 1937) a fornire a Bowlby gli strumenti necessari a
concettualizzare le precondizioni cognitive per lo sviluppo e la stabilizzazione di una
relazione di attaccamento; in particolare, il fatto che prima degli otto mesi sia assai
improbabile che un essere umano concepisca la madre come un altro essere umano
intero e che prima dei diciotto conservi stabilmente in memoria le rappresentazioni di
lei. Bowlby troverà infine nella teoria dei sistemi di controllo il quadro più ampio in cui
inserire i concetti dell’etologia e della psicologia cui era ricorso per spiegare fenomeni
prettamente dinamici sulla cui importanza Freud prima e Melanie Klein poi avevano
attirato l’attenzione del mondo psicoanalitico.
L’experimentum crucis: gli studi di Harlow sulle scimmie rhesus
Una prova sperimentale fondamentale della correttezza delle sue idee sulla genesi
e la natura del legame di attaccamento tra piccoli e madri Bowlby la trova negli studi di
Harry Harlow sulle scimmie rhesus. Come tutti sanno, Harlow aveva infatti dimostrato
che una piccola scimmia cresciuta in cattività preferisce passare il proprio tempo
aggrappata a una madre di stoffa morbida e calda che non le somministra latte piuttosto
che a una madre di filo di ferro che però la può «allattare». Ciò implica che la
soddisfazione delle pulsioni orali non è il fattore primario alla base del legame di
attaccamento, come invece sosteneva Anna Freud e i teorici dell’apprendimento del
tempo. Dopo aver conseguito un PhD in psicologia ad Harvard ed essere diventato
professore all’università di Madison, Harlow si era dedicato allo studio delle capacità di
11
Bowlby rinominerà le prime due fasi stordimento (diniego) e ricerca e struggimento (protesta).
14
memoria e apprendimento delle scimmie e aveva iniziato a condurre ricerche
sperimentali longitudinali sullo sviluppo delle loro motivazioni e risposte emotive. Nel
corso di una conferenza di etologi europei e psicologi sperimentali e comparativi
americani tenutasi a Palo Alto nel 1957, Harlow aveva detto a Hinde del suo interesse
per le ipotesi di Bowlby sulla relazione madre-bambino e, al ritorno in Inghilterra,
Hinde aveva riportato il fatto a John. Harlow ha bisogno di una buona teoria che guidi e
spieghi i suoi esperimenti, mentre Bowlby è in cerca di una prova inconfutabile della
correttezza delle sue idee. Il primo contatto diretto tra Bowlby e Harlow è una lettera del
primo datata 8 agosto 1957; poi iniziano a scriversi e a citare l’uno i lavori dell’altro. Si
incontrano infine a Madison tra l’aprile e il giugno del 1958; tra il 1959 e il 1963 si
rivedono in occasione dei primi tre CIBA Symposia.
È da uno scritto di Harlow (Harlow e Zimmermann, 1958) che Bowlby (1960a)
prende in prestito il termine «porto sicuro» (haven of safety) per descrivere il ruolo
svolto dalla figura di attaccamento come rifugio del piccolo e la notazione
dell’incompatibilità tra l’attivazione del sistema di attaccamento e quella del sistema
esplorativo – temi che saranno approfonditi da Mary Salter Ainsworth, la figura più
importante della teoria dell’attaccamento dopo Bowlby.
Il contributo di Mary Ainsworth alla costruzione della teoria dell’attaccamento
Dopo aver conseguito un master degree in psicologia con Sperrin Chant nel 1936
discutendo una tesi sperimentale sugli atteggiamenti degli individui di fronte alla
guerra, Mary Salter Ainsworth inizia a tenere dei corsi universitari e post-universatari a
Toronto con William Emet Blatz, che aveva sviluppato una «teoria della sicurezza».
Secondo questo modello, la sicurezza è «lo stato della mente che accompagna la
disponibilità ad accettare le conseguenze delle proprie azioni senza alcun tipo di
equivoco. Il sentimento che accompagna questo stato può essere chiamato serenità. La
sicurezza è l’obiettivo di base di tutti gli esseri umani» (van der Horst, 2011, 133-134),
può essere considerata la definizione operativa del concetto di salute mentale e si basa
sull’esperienza di una relazione precoce amorevole e stabile con i propri genitori. In
condizioni ottimali, continua Blatz, i bambini passano da una sicurezza dipendente
immatura dai caregiver a una sicurezza dipendente matura da un partner; in casi meno
che ottimali, invece, sviluppano una sicurezza indipendente che non dà spazio
sufficiente alle relazioni intime o una pseudo-sicurezza basata su «agenti sostitutivi»
(ovvero meccanismi di difesa come il diniego, l’intolleranza per i punti di vista altrui, la
tendenza ad accusare gli altri per i propri difetti ecc.).
È proprio agli insegnamenti di Blatz che la Salter fa risalire il concetto della
relazione precoce con la famiglia come base sicura da cui un bambino può partire per
esplorare il mondo e a cui ha bisogno di tornare periodicamente. La sua tesi di dottorato
si basa su una ricerca sperimentale sulla dipendenza sicura immatura dalla propria
famiglia come precondizione per lo sviluppo di interessi e capacità nelle successive età
della vita. Alla fine della seconda guerra mondiale, Mary Salter, in qualità di maggiore
dei Canadian Women’s Army Corps, ritorna all’Università di Toronto come Assistant
Professor di psicologia e insegna, tra le altre materie, valutazione clinica. Inizia a
15
collaborare con Bruno Klopfer, con il quale scrive un manuale per la valutazione del
Rorschach, mentre assieme al futuro marito, Leonard Ainsworth, continua a lavorare
con Blatz; ma quando, nel 1950, Leonard vince un dottorato alla City University of
London, la moglie lo segue nel Regno Unito. Poiché la Ainsworth aveva bisogno di un
lavoro, un’amica le segnala un annuncio della Tavistock relativo a un posto di
ricercatore in psicologia esperto di tecniche proiettive per uno studio sugli effetti delle
separazioni precoci dalle madri. È così che Mary Ainsworth inizia a lavorare con
Bowlby e Robertson, da cui apprende la teoria etologica come cornice esplicativa dei
fenomeni dell’attaccamento e le tecniche di osservazione naturalistica delle interazioni
madre-bambino.
Quando il marito termina il dottorato, nel 1954, la famiglia Ainsworth lascia
Londra e si trasferisce in Uganda, a Kampala, dove Mary inizia a studiare in che modo
le diverse caratteristiche delle cure materne influenzino lo sviluppo dell’attaccamento
dei bambini Ganda. Ed è proprio analizzando i dati raccolti in Uganda che la Ainsworth
(2006) si convincerà definitivamente del fatto che le ipotesi etologiche di Bowlby sullo
sviluppo dell’attaccamento permettono di spiegare i dati che sta raccogliendo meglio di
quanto non facciano i concetti e le ipotesi psicoanalitiche e che la diponibilità fisica
della madre e la sua sensibilità, accettazione e cooperatività giochino un ruolo
fondamentale nello sviluppo dell’attaccamento. Nel 1955, terminata l’esperienza in
Uganda, la Ainsworth inizia a insegnare alla John Hopkins University, ma gli impegni
lavorativi e le difficoltà coniugali le impediscono di lavorare all’analisi sistematica dei
dati raccolti in Uganda. I rapporti con Bowlby si diradano; i due si rivedono cinque anni
dopo a Baltimora, la città in cui gli Ainsworth risiedono, durante un viaggio di Bowlby
negli Stati Uniti. Si rivedranno solo dopo altri cinque anni, nel 1965, ma manterranno
un rapporto epistolare e scambi scientifici costanti, stupiti dalle profonde convergenze
delle ipotesi che vanno sviluppando. Anche gli scambi intellettuali con James Robertson
rimarranno stabili. Nel frattempo, la Ainsworth ha divorziato dal marito e, su
suggerimento di Joseph Lichtenberg, ha iniziato un’analisi per i problemi depressivi
scatenati dalla fine del proprio matrimonio. Donna ironica e passionale, molto attenta
alle esigenze di privacy e autonomia altrui, facile a sentimenti rabbia, ma capace di
autocontrollo, Mary Ainsworth resterà sempre una convinta sostenitrice dell’utilità
terapeutica e conoscitiva della psicoanalisi e della centralità del complesso edipico nello
sviluppo umano.
Come accennato, la Ainsworth partecipa ai CIBA Symposia ed è al primo di essi
che presenta i dati della sua ricerca sui bambini Ganda, sottolineando il ruolo di
molteplici sistemi comportamentali nello sviluppo dell’attaccamento, la funzione della
madre come «base sicura» e la possibilità di differenziare bambini con attaccamento
sicuro, bambini con attaccamento insicuro e bambini non ancora attaccati. Il suo lavoro
è molto apprezzato e solleva numerosi dibattiti sul concetto di sicurezza, dibattiti che
vedono coinvolti in modo particolare Harlow, che pure aveva utilizzato la metafora
delle madri rhesus come «porto sicuro»12, e Hinde impegnato dalla costruzione della sua
12
Per la verità, Harlow utilizzava il termine safety, che la Ainsworth, seguendo Blatz, differenzia da
quello di security, preferendo il secondo. Il primo è più simile all’italiano «salvezza», il secondo a
«sicurezza».
16
colonia di scimmie. Negli anni sessanta e settanta, la Ainsworth lavora al Progetto
Baltimora, una replica dello studio sui Ganda con bambini bianchi della classe media
americana ed elabora la Strange Situation Procedure (SSP), una procedura di
osservazione sperimentale che permette di studiare i comportamenti di attaccamento e
esplorazione dei bambini e le loro reazioni in presenza e in assenza della madre e/o di
un estraneo, in reazione a brevi separazioni e momenti di ricongiungimento con la
madre e in momenti di solitudine. Il progetto Baltimora si basa proprio sui dati raccolti
con questa procedura, oltre che sull’osservazione sistematica delle interazioni madrebambino a casa. La SSP è tutt’ora la procedura di elezione per l’individuazione dei
pattern di attaccamento dei bambini: sicuri, insicuri-resistenti, insicuri-evitanti e
disorganizzati. I vari modelli di attaccamento insicuro, peraltro, secondo la Ainsworth
non vanno letti come tipologie di legame diverse da quello sicuro, bensì come esito
dell’attivazione di processi difensivi specifici in presenza di relazioni bambinocaregiver non ottimali; una prospettiva a cui Bowlby in un primo momento si oppone
perché è scettico rispetto all’idea che i bambini di un anno abbiamo una vita mentale
così complessa da poter già utilizzare meccanismi di difesa. Una posizione, questa,
forse dettata dal suo antikleinismo, ma su cui successivamente si ricrederà.
È sempre nel contesto del progetto Baltimora che la Ainsworth consolida poi le
sue idee sull’importanza della variabile relativa alla sensibilità materna per lo sviluppo
di un attaccamento sicuro dei figli. Il modo in cui intende questa variabile risente
dell’influenza della psicoanalisi sul suo pensiero: non si tratta infatti del semplice calore
del genitore ma della sua capacità di interpretare accuratamente i segnali del piccolo.
Questa variabile, inoltre, sarebbe funzione della consapevolezza che la madre ha di sé,
della sua capacità empatica e della sua libertà da eccessive influenze distorcenti
connesse ai propri meccanismi di difesa.
Attaccamento e Perdita: la sistematizzazione
Pur continuando a svolgere attività clinica alla Tavistock, nel 1963 Bowlby
diventa membro part-time del Medical Research Council e dal 1964 al 1979 si dedica
alla scrittura della sua opera principale, Attaccamento e perdita. I suoi tre volumi –
Attaccamento, Separazione: angoscia e rabbia e Perdita: tristezza e depressione –
vedranno la luce rispettivamente nel 1969, 1973 e 1980. Ognuno di essi è un
ampliamento, un approfondimento e una sistematizzazione delle idee che aveva esposto
al mondo analitico in tre lavori della fine degli anni cinquanta: The nature of the child’s
tie to his mother (Bowlby, 1958), Separation anxiety (Bowlby, 1960a) e Grief and
mourning in infancy and early childhood (Bowlby, 1960b). Per chi è avvezzo alla
letteratura psicoanalitica, confrontarsi con le circa 1200 pagine di Attaccamento e
perdita è un’esperienza al tempo stesso affascinante e estraniante. Pochissimi sono i
resoconti di casi clinici di pazienti in analisi, mai utilizzati come prova delle ipotesi
avanzate13. Bowlby non pensa di essere un grande clinico, si descrive come una persona
poco intuitiva e soprattutto sostiene che la terapia non è un’impresa scientifica ma
l’applicazione «artistica» di ipotesi scientifiche ai problemi specifici dei singoli
13
Vedi, ad esempio, Bowlby, Figlio, Young, 1986 e Bowlby, 1988, 19-35.
17
pazienti. Il confronto con le ipotesi psicoanalitiche – soprattutto di Freud, ma anche di
Melanie Klein, Anna Freud, degli Indipendenti (il gruppo in cui Bowlby si riconosce fin
dalla sua fondazione14) e di vari analisti ungheresi e statunitensi – è costante e
sistematico ma neppure le loro ipotesi sono il punto di partenza delle sue
argomentazioni. I dati su cui Bowlby basa le sue teorie e che illustra in modo dettagliato
al lettore, sono quelli delle ricerche osservative e sperimentali, longitudinali e
trasversali, su bambini, adulti e animali, condotte prevalentemente, ma non
esclusivamente, dai collaboratori della Tavistock e dagli amici e colleghi etologi.
Bowlby sostiene infatti che la psicoanalisi, come tutte le altre scienze, non va definita
sulla base dell’adesione a un insieme di ipotesi di qualche grande caposcuola, bensì
sulla base dell’ambito dei fenomeni che intende indagare. E va solidamente radicata
nella ricerca empirica.
Come si forma il legame che il piccolo stabilisce con i suoi caregiver? In che
modo gli esseri umani reagiscono alla rottura dei loro legami di attaccamento? Quali
sono le conseguenze a breve e lungo termine di separazioni e perdite? Quali sono le
manifestazioni tipiche dell’angoscia, della rabbia e della depressione? Cosa scatena
questi sentimenti? Perché alcune persone sviluppano tendenze antisociali, malattie
depressive, fobie scolastiche, agorafobie e fobie specifiche mentre altre crescono sane e
sviluppano una buona fiducia in se stesse e negli altri? Ecco alcune delle domande a cui
Bowlby cerca di rispondere per mezzo del metodo scientifico, della teoria dei sistemi,
dell’etologia, dei concetti di Piaget e successivamente delle scoperte della psicologia
cognitiva, in particolare di Erdelye (1974) e Tulving (1972).
In un’intervista del 1986 rilasciata a Figlio e Young (Bowlby, Figlio, Young,
1986), Bowlby sostiene che il suo approccio può essere descritto come una sintesi del
pensiero degli Indipendenti britannici e del metodo scientifico e che chi pensa che le
radici della patologia psichica vadano ricercate nell’infanzia e in processi psichici
inconsci sta di fatto pensando in modo psicoanalitico. Successivamente, in un intervista
concessa a Tondo (1990), Bowlby sosterrà che lo scopo di tutta la sua vita è stato dare
una base scientifica alla psicoanalisi. Dunque, anche se è tutt’ora dibattuta
l’appartenenza della teoria dell’attaccamento all’ambito del pensiero evoluzionista e la
sua compatibilità con la psicoanalisi, Bowlby si considera uno psicoanalista fino alla
fine della sua vita (van der Horst, 2011, 201).
Nel primo volume di Attaccamento e perdita troviamo una dettagliata esposizione
dei concetti centrali dell’etologia del comportamento istintivo e la descrizione del
comportamento di attaccamento e della sua evoluzione ontogenetica nell’uomo e in
varie specie animali. Degno di nota è il fatto che Bowlby abbandoni l’idea freudiana che
la patologia sia l’esito di una regressione a punti di fissazione infantili a favore di un
modello secondo cui fattori genetici e ambientali possono dar vita a molteplici percorsi
di sviluppo tra loro diversi, a volte compatibili con la salute e altre no.
Il secondo volume della trilogia tratta delle reazioni di bambini e animali alla
separazione dalla loro figura di attaccamento e dei fattori che scatenano sentimenti di
paura nei piccoli di varie specie; del ruolo della valutazione cognitiva e dei meccanismi
di difesa nella gestione dei sentimenti di angoscia e paura; di come varie psicopatologie
14
Vedi anche la prefazione scritta da Bowlby al libro di Suttie (Bowlby, 1988).
18
infantili sembrino affondare le loro radici in attaccamenti bambino-caregiver ansiosi e
del ruolo patogeno di fenomeni come le inversioni di ruolo e le minacce di suicidio,
morte, abbandono e separazione usate dai genitori per «educare» i figli. Vi sono inoltre
esposti vari dati di ricerca a favore dell’ipotesi della continuità dei modelli di
attaccamento nel corso della vita e del ruolo dell’attaccamento sicuro come fattore di
protezione nello sviluppo psichico.
Il terzo volume di Attaccamento e perdita, infine, affronta il tema del lutto negli
animali, nei bambini e negli adulti descrivendone due principali varianti patologiche (il
lutto cronico o l’assenza di lutto); vengono inoltre indagate le condizioni che
influenzano il processo di lutto, il ruolo degli attaccamenti ansiosi-ambivalenti, della
tendenza compulsiva a prendersi cura degli altri e dell’iper-indipendenza nello sviluppo
di lutti patologici e quello dell’interazione tra separazioni e perdite infantili e eventi di
vita avversi in età adulta nello sviluppo di patologie depressive. È sempre in questo
volume che viene poi trattata in modo dettagliato la possibilità di riformulare in senso
cognitivo15 i processi, le credenze e le attività difensive e l’ipotesi che l’essere umano
sia costituito da più Sé. Ancora una volta, Bowlby sottolinea l’importanza di elementi
reali come le perdite precoci nell’infanzia, il ruolo svolto nell’elaborazione dei lutti
infantili dalla qualità della relazione con la persona perduta, dalla presenza o
dall’assenza di figure di attaccamento che sostengono il soggetto nell’elaborazione del
lutto e dalla chiarezza delle spiegazioni sulla morte fornite ai bambini.
Lo studio delle reazioni degli animali alle separazioni e alle perdite e il ricorso ai
dati di ricerche condotte su ampi campioni di soggetti clinici e non clinici, adulti e
bambini, portano Bowlby a depatologizzare fenomeni come la paura del buio o la
sensazione, tipica di molte persone in lutto, che la persona perduta in realtà sia ancora
viva e possa fare ritorno da un momento all’altro; o ancora la rabbia che si associa allo
struggimento per la perdita di una persona cara e che spesso è diretta proprio contro la
persona perduta o contro quanti cercano di consolare il soggetto in lutto e i conflitti
associati a questo insieme di sentimenti di amore e odio, ricerca degli altri e rifiuto; o
ancora il desiderio dei bambini piccoli di dormire con i genitori e di stare sempre
«attaccati» a loro e il bisogno, che rimane tale per tutta la vita, di poter contare su
persone fidate da cui ricevere conforto nei momenti difficili. «Dalla culla alla tomba»,
come amava ripetere.
I tre volumi di Attaccamento e perdita sono un grande successo editoriale (nel
1986 il primo volume aveva venduto 100.000 copie, il secondo 75.000 e il terzo 45.000)
e impongono il nome di Bowlby e la teoria dell’attaccamento all’attenzione di tutta la
comunità scientifica. Nel 1972 Bowlby va in pensione dal National Health Service e dal
Medical Research Council (ma resta alla Tavistock) e inizia a vivere parte dell’anno a
Londra e parte a Skye. Nel 1980 è Freud Memorial Professor all’ University College di
15
Solo per fare un esempio, alcuni fenomeni connessi ai processi di lutto, che in ambito analitico vengono
spiegati per mezzo dei concetti di spostamento, proiezione e identificazione, vengono ridescritti da
Bowlby con il termine di collocazione erronea. E così, se una donna sostituisce l’amore per il figlio
perduto con quello per un animale, non si tratterebbe dell’esito di uno spostamento o di un’identificazione
proiettiva nell’animale del figlio in quanto oggetto interno, ma di una «collocazione erronea» della
persona perduta nell’animale. E gli autorimproveri di una persona depressa possono essere il frutto della
collocazione erronea della persona perduta in se stessi, non di un’identificazione con essa.
19
Londra e le sue lezioni, assieme a varie conferenze tenute in diverse parti del mondo,
vengono raccolte in due volumi: Costruzione e rottura dei legami affettivi (Bowlby,
1979) che può essere considerato una sintesi divulgativa delle sue teorie (segnaliamo in
modo particolare il capitolo VII); Una base sicura (Bowlby, 1988), volume in cui sono
elaborate in modo più ampio le ricadute cliniche della teoria dell’attaccamento. In
questo libro il lettore può trovare un’esposizione sintetica dello sviluppo della teoria
dell’attaccamento (capitolo II), una spiegazione chiara delle idee di Bowlby sul rapporto
tra psicoanalisi, metodo scientifico e pratica terapeutica (capitoli III e IV) e una
rassegna dei primi dati sulla continuità dei pattern di attaccamento tra genitori e figli e
nel corso della vita. Sempre in questo volume troviamo i primi raccordi tra la teoria
dell’attaccamento e le scoperte degli infant researchers (Stern, 1985), come anche i
primi accenni alle ricerche condotte da Mary Main (2010), l’allieva della Ainsworth
interessata alla linguistica di Chomsky che ha costruito la Adult Attachment Interview
(AAI). Sono proprio gli studi condotti con la AAI ad attirare l’attenzione sulle relazioni
tra processi narrativi e rappresentazionali e i diversi modelli di attaccamento, aprendo il
campo da una parte allo studio delle capacità di monitoraggio metacognitivo e dall’altra
a quello della cosiddetta sicurezza guadagnata, cioè quella delle persone che da adulte
mostrano stati della mente sicuri rispetto all’attaccamento nonostante abbiano avuto
esperienze infantili tutt’altro che ottimali. Un ultimo concetto importante di derivazione
etologica introdotto dalla Main nella teoria dell’attaccamento è quello di strategia
condizionale: gli attaccamenti insicuri sarebbero cioè leggibili come il miglior
adattamento possibile che un bambino riesce a sviluppare nella relazione con un
caregiver che non sa svolgere al meglio la sua funzione di base sicura. Segnaliamo
infine altri due capitoli del libro Una base sicura (Bowlby, 1988): Sul sapere ciò che si
suppone non si debba sapere e Attaccamento, comunicazione e processo terapeutico. In
essi e nella supervisione a Virginia Hunter (1994, 137-149), pubblicata nel libro
Psicoanalisti in azione, abbiamo la possibilità di vedere in vivo il pensiero e la
sensibilità clinica di Bowlby. Ancora una volta, il padre della teoria dell’attaccamento
sottolinea come in certi casi l’amnesia infantile sia la conseguenza di un tentativo
operato dal bambino di cancellare il ricordo di eventi che metterebbero in discussione la
bontà dei suoi genitori. Ma altrettanto spesso per Bowlby questo oblio è la conseguenza
di pressioni esercitate dai genitori affinché il bambino non presti fede a quanto ha visto
e sentito, e lo dimentichi: «Questo non è mai successo! », «Tu non sei arrabbiato con
me», «Io non ti ho mai detto questo». Bowlby sostiene poi che la teoria
dell’attaccamento, pur compatibile con diversi approcci clinici, può fornire alcuni
principi guida alla psicoterapia: il clinico deve diventare una «base sicura» per i pazienti
confortandoli nei momenti di difficoltà e accompagnandoli nell’esplorazione del modo
in cui si mettono in relazione alle persone che amano, delle aspettative che hanno
rispetto a sé e agli altri e delle tendenze inconsce che manifestano quando scelgono una
persona con cui costruire una relazione di attaccamento o quando fanno fallire queste
relazioni. Il clinico deve inoltre incoraggiare il paziente a esplorare la relazione che crea
con lui nel corso della terapia e il modo in cui le sue attuali percezioni, aspettative,
sentimenti e azioni, inclusa quella con il clinico, sono influenzate da quanto ha vissuto e
da quanto gli è stato detto in passato dai genitori e dalle altre figure di riferimento.
20
Infine, deve aiutare il paziente a distinguere la realtà dalla fantasia e il presente dal
passato, ovvero «rendere il paziente capace di riconoscere che le sue immagini
(modelli) di sé e degli altri, derivate da passate esperienze dolorose o da messaggi
distorti provenienti da un genitore, ma troppo spesso in letteratura etichettate come
“fantasie”, possono essere o possono non essere appropriate al suo presente e futuro»
(ibid., 134).
La fine e gli eredi
Negli ultimi dieci anni della sua vita, Bowlby (1990) compie il suo ultimo viaggio
intellettuale, questa volta con l’aiuto della moglie, e scrive la psicobiografia Charles
Darwin, pubblicata poco prima della sua morte. In questo saggio, i problemi psichici del
grande naturalista vengono letti alla luce delle vicissitudini di un’infanzia segnata dalla
malattia e dalla morte della madre. Con quest’opera, Bowlby sembra rispondere alla
stessa necessità psichica di tre suoi illustri predecessori: Freud aveva dedicato a Mosè la
sua ultima opera; Jones aveva riservato i suoi ultimi anni di vita alla scrittura della
biografia di Freud; Winnicott aveva riservato il suo ultimo saggio alla figura di Mosè e
al ruolo del padre nell’integrazione psichica del bambino. Bowlby sceglie Darwin che,
con Freud, era stato un punto di riferimento costante della sua vita scientifica. Come se,
prima di morire, dovesse fare i conti per un’ultima volta con i propri padri intellettuali.
Muore a 83 anni, il 2 settembre del 1990, a Skye, per un ictus. Tutta la famiglia era
riunita lì, come ogni anno, per il gran ballo. Viene seppellito a Trumpman, nella
penisola del Waternish, in un cimitero sul fianco della collina con vista sui picchi di
Waternish e la penisola di Ardomore. Il funerale è nello stile tradizionale del luogo.
Sulla sua pietra tombale si legge: «Being a pilgrim».
Bowlby, aveva ricevuto il titolo di Dottore di ricerca ad honorem dalle università
di Cambridge e Leicester, era membro onorario della Royal Society of Medicine e del
College of Psychiatrists, era membro della British Academy e aveva ricevuto una
medaglia come scienziato emerito dall’American Psychological Association.
Psicoanalista con la passione dell’etologia e del metodo sperimentale, grande
sostenitore dell’utilità delle terapie familiari nella cura dei bambini, scienziato dalle
salde convinzioni, dal grande rigore metodologico e dalla notevole apertura mentale,
John Bowlby aveva una sensibilità simile a quella degli psichiatri sociali britannici e il
suo approccio alla patologia infantile può essere considerato una developmental
psychopathology ante litteram (Dazzi, comunicazione personale). Profondamente
interessato alle ricadute cliniche e preventive delle sue scoperte, si è opposto per tutta la
vita all’idea che la psicoanalisi diventasse una disciplina ermeneutica, sostenendo in
ogni modo la necessità di offrirle un fondamento scientifico che le permettesse di
superare la Babele di scuole, modelli e teorie che la caratterizzano dagli anni settanta in
poi. Nessuna terapia poteva essere per lui un’impresa scientifica, ma le teorie
psicoanalitiche dovevano essere tali. Per tutta la vita, Bowlby ha cercato di dimostrare
empiricamente la correttezza di alcune ipotesi di fondo: una relazione stabile di
attaccamento sicuro con i caregiver è fondamentale per la salute mentale mentre
possiamo attribuire una valenza patogena a separazioni e perdite precoci e a tutto ciò
21
che incrina il senso di sicurezza che il piccolo deriva da buone relazioni con i caregiver.
Bowlby ha costruito la sua teoria per spiegare i risultati delle ricerche sul legame
bambino-caregiver, le separazioni e le perdite precoci e per ancorare la psicoanalisi al
sapere scientifico della biologia evoluzionista.
Sarebbe davvero impossibile anche solo accennare a tutte le evoluzioni e
applicazioni della teoria dell’attaccamento – dagli studi sulla continuità dei modelli di
attaccamento dall’infanzia all’età adulta a quelli sulla relazione tra attaccamento e
psicopatologia, attaccamento e strategie di regolazione delle emozioni, attaccamento e
relazioni di coppia e attaccamento e psicoterapia, fino ai recenti studi sulle basi
neuroscientifiche dell’attaccamento (Cassidy, Shaver, 2008). I lavori di Mary Main e
Karen Lyons-Ruth (1999, 2008) sulle cause e le evoluzioni degli attaccamenti evitanti e
disorganizzati dalla prima infanzia alla prima età adulta, quelli di Gianni Liotti (Liotti,
Farina, 2011) sugli sviluppi dissociativi degli attaccamenti disorganizzati associati a
esperienze traumatiche e quelli di Peter Fonagy e collaboratori su attaccamento,
funzione riflessiva e patologia borderline (Fonagy, Target, 2001; Fonagy, 2001) sono di
grande interesse per chiunque si occupi di psicoanalisi (Dazzi, Zavattini, in stampa).
Questi studi permettono infatti di comprendere in modo più accurato ed empiricamente
fondato come caregiver che si relazionano ai bambini in modo spaventato e
spaventante, delineandosi come fonti di protezione e al tempo stesso causa di paura,
facilitino relazioni precoci connotate da una paura senza soluzione e sentimenti di
impotenza e ostilità, che rendono impossibile ai bambini il compito di sviluppare
strategie relazionali organizzate, rappresentazioni coerenti di sé e degli altri e una buona
capacità di comprendere il comportamento proprio e altrui in termini di stati
intenzionali. Questi attaccamenti disorganizzati si assocerebbero quindi a deficit di
mentalizzazione e spiccate tendenze dissociative in età scolare evolverebbero in
strategie relazionali controllanti, di tipo accuditivo o ostile. Nella lettura che ne dà
Liotti, dato che l’attivazione del sistema di attaccamento determina in queste persone
profonde angosce di annientamento, il loro comportamento finirebbe per essere
controllato in modo più o meno rigido dai sistemi motivazionali dell’accudimento, del
rango e forse anche della sessualità e il loro funzionamento psichico si organizzerebbe
in senso dissociativo. Ogni psicoanalista riconoscerà facilmente in molti dei quadri
clinici delineati in questi studi la fenomenologia delle organizzazioni patologiche
(Gazzillo, in stampa), la cui eziologia e patogenesi può essere chiarita in modo più
preciso ed empiricamente fondato dalle ricerche sull’attaccamento.
SINTESI
L’autore racconta i principali episodi della vita di John Bowlby, dall’infanzia agli anni
della formazione medica e psicoanalitica, fino alla direzione del dipartimento per bambini e
genitori della Tavistock Clinic di Londra e alle collaborazioni con James Robertson, Robert
Hinde e Mary Ainsworth. La biografia di Bowlby viene illustrata in costante riferimento e
dialogo con lo sviluppo dei suoi studi e delle sue opere, in particolare: il report sulle
conseguenze della deprivazione materna, scritto nel 1951 per l’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS); le applicazioni della teoria etologica agli studi sul legame madre-bambino; la
trilogia Attaccamento e perdita, suo magnum opus. L’articolo si conclude con alcuni cenni alle
22
implicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, su cui Bowlby si è soffermato soprattutto
negli ultimi dieci anni della sua vita, e al lavoro dei suoi eredi, in particolare Mary Main.
PAROLE CHIAVE: Bowlby, attaccamento, separazione, perdita, lutto, sviluppo.
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