08 candelori - Richard e Piggle

Transcript

08 candelori - Richard e Piggle
Focus
Attaccamento e Psicoanalisi
Introduzione
CARLA CANDELORI
Abbiamo pensato di dedicare un focus della nostra rivista a un tema
complesso che da numerosi anni attraversa, con alterne vicende, sia il territorio psicoanalitico che quello dell’infant research e della psicopatologia
dello sviluppo. Il nostro contributo intende solo proporre alcuni stimoli,
orientati volutamente in direzioni tra loro molto diverse, proprio per fornire
alcune esemplificazioni dei numerosi possibili approcci al tema, augurandoci che in seguito ognuno di essi possa essere ripreso e singolarmente sviluppato e altri nuovi presentati e discussi.
Com’è a tutti noto, la teoria dell’attaccamento è storicamente collegata
al nome di John Bowlby. È tuttavia meno noto, o perlomeno lasciato un po’
in ombra, il fatto che Bowlby provenisse dal mondo psicoanalitico, all’interno del quale svolse il suo training e in cui ricoprì anche importanti cariche istituzionali. Figlio di un famoso chirurgo londinese, iniziò a ventidue
anni gli studi medici, divenne psichiatra e intraprese la formazione presso
la British Society di Psicoanalisi. Fu in analisi con la kleiniana Joan Riviere:
nella Tavistock Gazette del 1991 leggiamo come spesso i due entrassero in
conflitto a causa dell’atteggiamento estremamente critico di Bowlby. Le
supervisioni furono effettuate con Ella Sharpe (sostenitrice di Anna Freud)
e con Melanie Klein. Con quest’ultima si trovò a discutere il caso di un bambino di tre anni e anche nel corso di questa esperienza sorsero diversi problemi, dal momento che Bowlby rimproverava alla Klein di non prestare sufficiente attenzione al ruolo esercitato dall’ambiente sullo sviluppo della
psicopatologia. Bowlby fece parte della Società Psicoanalitica inglese per
molti decenni, divenne segretario del training, fu vicepresidente e istituì
numerosi Comitati all’interno della Società stessa. Tuttavia i suoi lavori
scientifici, in questo contesto, furono per lo più accolti con perplessità e, a
volte, con aperta ostilità. In quegli stessi anni iniziò a lavorare, a livello istituzionale, presso le Child Guidance Clinic con bambini problematici e, dopo
Richard e Piggle, 14, 3, 2006
C. Candelori: Attaccamento e Psicoanalisi 259
la seconda guerra mondiale, ricevette l’incarico di sviluppare presso la Tavistock Clinic il dipartimento infantile. Ciò gli consentì anche di istituire,
insieme con Esther Bick, il training per la psicoterapia infantile.
Gli anni cinquanta segnarono una tappa importante per la produzione
scientifica di Bowlby: fu edito il suo rapporto, commissionato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sulla salute mentale dei bambini abbandonati (1951) e iniziarono a essere pubblicati i suoi primi articoli riguardanti
il legame del bambino con la figura materna e gli effetti della separazione
(1952, 1956, 1958). Fu così che cominciarono a porsi le basi per quella che si
sarebbe configurata come la “teoria dell’attaccamento”.
Ci siamo riferiti alla formazione psicoanalitica di Bowlby, ma non si può
prescindere dal considerare il ruolo di una serie di altre esperienze che lo
influenzarono profondamente: il contatto con le difficili realtà familiari dei
bambini e degli adolescenti problematici, la collaborazione con Hinde e,
soprattutto, la scoperta dell’etologia. Egli fu molto colpito dalla lettura de
“L’anello di Re Salomone” di Lorenz (1949) e, in particolare, dalla descrizione del comportamento delle piccole oche che seguono la madre (o un suo
surrogato), mostrando una sorta di stato d’angoscia se separate da lei. Così
come si mostrò vivamente interessato alle ricerche di Harlow (1958) sulle
piccole scimmie rhesus, separate dalla loro madre e allevate ricorrendo a
strutture di “madri-fantoccio”. Sia nel caso di Lorenz che in quello di Harlow veniva dimostrato, secondo Bowlby, che il nutrimento non costituiva la
base del legame, permettendo di ipotizzare un sistema di attaccamento primario che si discostava dalla teoria pulsionale di Freud. La ricerca di vicinanza alla madre (o ad un suo sostituto), l’effetto “base sicura” (espressione
utilizzata per la prima volta da Mary Ainsworth per indicare quel legame
tra madre e bambino che consente a quest’ultimo di esplorare e di trovare in
lei conforto nei momenti ansiogeni;1982) e la protesta per la separazione
costituiscono per Bowlby le tre caratteristiche basilari delle relazioni d’attaccamento.
Sarebbe troppo lungo addentrarsi in tutti i numerosi e articolati aspetti
che connotano la teoria dell’attaccamento bowlbiana. Un concetto, tuttavia,
ci sembra imprescindibile, quello di modello operativo interno (internal
working model), che Bowlby esportò dal noto testo di Kenneth Craik, The
Nature of Explanation (1943), intendendo con esso una sorta di mappa rappresentazionale costruita nell’ambito delle esperienze affettive significative, che permette di orientarsi e di fare predizioni riguardanti sé e il mondo
esterno.
È proprio facendo riferimento ai modelli operativi interni che molti
studi e ricerche si sono potuti sviluppare, apportando nuovi contributi all’interno di tale cornice teorica.
Occorre innanzitutto fare riferimento al lavoro pionieristico di Mary
Ainsworth, collaboratrice di Bowlby, agli inizi, che mise a punto una specifica procedura di laboratorio, la Strange Situation (1978), in cui genitore e
Richard e Piggle, 14, 3, 2006
260 C. Candelori: Attaccamento e Psicoanalisi
bambino (a circa un anno d’età) si trovano ad affrontare, in un ambiente per
entrambi nuovo, brevi momenti di separazione e riunione. Tenendo conto
delle specifiche reazioni dei bambini, la Ainsworth sostenne che era possibile
identificare tre tipologie di attaccamento: 1) Sicuro (Secure; B ); il bambino,
prima che il genitore si allontani, esplora la stanza e i giochi con interesse.
Sente la mancanza del genitore, dopo la separazione, e spesso piange, però,
una volta ristabilito il contatto, si rassicura e torna a giocare; 2) Evitante
(Avoidant; A ); il bambino non piange alla separazione dal genitore e tende
ad ignorarlo al suo ritorno, la sua reazione appare anaffettiva. È sempre
piuttosto concentrato sui giochi o sull’ambiente; 3) Resistente o Ambivalente
(Resistant or Ambivalent; C); il bambino all’inizio esplora poco ed è piuttosto teso. È molto preso dal genitore, protesta alla separazione e non riesce a
calmarsi nel corso della riunione, continuando a concentrarsi sul genitore.
A queste categorie in seguito se ne aggiunse un’altra (Main, 1990), relativa all’attaccamento Disorganizzato/Disorientato (Disorganized/Disoriented; D). Il bambino in alcuni momenti manifesta comportamenti disorganizzati e/o disorientati, come ad esempio una sorta di trance o di
congelamento (freezing) o movimenti bizzarri e improvvisi, facendo ipotizzare un momentaneo crollo delle strategie comportamentali. Questa categoria può coesistere con una delle tre principali.
L’altro importante strumento che occorre prendere in considerazione è
l’Adult Attachment Interview (A.A.I.), un’intervista semistrutturata messa
inizialmente a punto da Mary Main e collaboratori (1984) per valutare i
modelli operativi genitoriali. Con essa lo “stato della mente” relativo all’attaccamento può essere riferito a quattro specifiche categorie (in analogia a
quelle riscontrabili nella Strange Situation): sicuro/autonomo, distanziante,
preoccupato, irrisolto/disorganizzato (si parlerà più ampiamente dell’A.A.I.
in uno dei lavori presentati).
Facendo riferimento a questi due strumenti, è stato portato avanti un
numero davvero considerevole di studi e ricerche, volti a esplorare meglio le
caratteristiche dei modelli d’attaccamento, la loro continuità/discontinuità e
la possibile trasmissione intergenerazionale. E in relazione a questi e a tanti
altri temi che in anni recenti si sono sviluppati, ha trovato fertile terreno per
il dibattito culturale e scientifico proprio quell’area tematica riguardante il
rapporto tra psicoanalisi e attaccamento. Qui le posizioni si sono molto
diversificate. Una parte del mondo psicoanalitico, così come accadeva
quando Bowlby ne faceva parte, ha continuato a mostrarsi critico, sostenendo l’inconciliabilità della teoria freudiana dell’Inconscio con il metodo
osservativo e sperimentale (tra questi Green, 1996, e Woff, 1996). Altri
hanno individuato possibili punti di contatto. Ad esempio Seligman (1993)
si richiama proprio a Freud, ricordando la sua interpretazione del famoso
“gioco del rocchetto” (1920), sottolineandone la caratteristica di esperienza
osservativa, relativamente alla quale, proprio partendo da una situazione
comportamentale, furono effettuate delle inferenze riguardanti il funzionaRichard e Piggle, 14, 3, 2006
C. Candelori: Attaccamento e Psicoanalisi 261
mento mentale di un bambino piccolo (si potrebbe anche aggiungere che
Freud esortò sempre i suoi colleghi a effettuare osservazioni sui bambini).
Ma è soprattutto intorno al tema dell’attaccamento “disorganizzato” che
sono state prodotte approfondite riflessioni che hanno in parte riavvicinato
la clinica alla teoria dell’attaccamento.
Sono probabilmente noti al lettore gli studi di Giovanni Liotti (1992)
sull’attaccamento e i disturbi funzionali dello stato di coscienza, in cui si ipotizza che l’esperienza precoce di sé-con-l’altro dei bambini con attaccamento
disorganizzato possa predisporre a tale patologia, tenendo anche conto degli
eventi traumatici non elaborati, come i lutti, nella storia personale delle loro
figure di attaccamento. Diana Diamond, in un recente articolo dal titolo
“L’attaccamento disorganizzato: l’incontro tra la teoria dell’attaccamento e
la Psicoanalisi” (2004), si muove, in parte, sullo stesso terreno. Nel suo
lavoro descrive come molti bambini piccoli con attaccamento disorganizzato
presentino più tardi, intorno ai sei anni d’età, fantasie catastrofiche di morti
violente, annichilimento e distruzione. Ciò, afferma, ha stimolato nei ricercatori un rinnovato interesse per i costrutti psicoanalitici di fantasia, rappresentazione e processi di internalizzazione: la Diamond, al fine di avvicinare il vertice psicoanalitico alla teoria dell’attaccamento, opera alcuni
confronti, prendendo in considerazione la teoria di Freud sul trauma e l’angoscia traumatica e la teoria kleiniana dell’identificazione proiettiva e delle
posizioni schizoparanoide e depressiva. Come valutare il suo tentativo? Ci
sembrerebbe complessivamente apprezzabile, tranne un particolare rilevante: i suoi riferimenti alla psicoanalisi sono talora piuttosto imprecisi,
come si può vedere, ad esempio, quando accosta la posizione depressiva kleiniana alla categoria d’attaccamento “irrisolto”.
Anche Fonagy prende in considerazione il modello kleiniano, nel suo
volume del 2001 (che ha per titolo il tema del nostro focus), in cui viene effettuata una rassegna delle principali scuole di psicoanalisi al fine di sottolineare eventuali punti di contatto o di differenza con la teoria dell’attaccamento. Pur essendo indubbiamente debitori a Fonagy per il suo costante e
lucido sforzo di trovare possibili convergenze, nella distinzione delle basi
epistemologiche, degli obiettivi e dei metodi d’indagine, occorre dire che sentiamo talora il peso di alcune forzature che riguardano la rilettura delle
diverse teorie psicoanalitiche. Ad esempio, per restare nell’ambito kleiniano, scissione, negazione e riparazione maniacale sono riferite rispettivamente, in maniera un po’ troppo meccanica (anche se suggestiva), alla categoria distanziante, all’incapacità a ricordare e all’idealizzazione,
riscontrabili nell’ambito della codifica dell’Adult Attachment Interview.
Pensiamo che uno dei meriti principali di Fonagy sta stato quello di aver
fatto riferimento all’area della conoscenza metacognitiva (Main, 1991), per
sviluppare la sua teorizzazione riguardante la cosiddetta “funzione riflessiva”, intesa come la capacità di interpretare il proprio e l’altrui comportamento come prodotti di stati mentali quali intenzioni, credenze, pensieri ed
Richard e Piggle, 14, 3, 2006
262 C. Candelori: Attaccamento e Psicoanalisi
emozioni. In questo quadro sarebbe proprio la relazione d’attaccamento
bambino-caregiver a costituire la matrice di sviluppo della funzione riflessiva (soprattutto attraverso il rispecchiamento degli stati emotivi infantili).
Ciò, in linea con quanto già sottolineato dalla Main, permette di estendere
l’attenzione dalle strategie comportamentali regolatrici dell’attaccamento al
livello dei processi rappresentazionali connessi alle esperienze affettive,
avvicinandoci maggiormente, in tal modo, alle linee portanti del paradigma
psicoanalitico e stabilendo, al contempo, un certo distanziamento dagli
assunti bowlbiani.
Una valorizzazione di Bowlby (e in particolare del suo contributo sul
lutto), è, d’altra parte, effettuata dalla Lyons-Ruth che, in quanto psicoanalista e ricercatrice, “ha lavorato”, come afferma Fonagy (2001,p.131) “sui due
versanti dell’abisso, tanto sullo strato tettonico della psicoanalisi quanto su
quello della teoria dell’attaccamento”. La Lyons-Ruth (1999), oltre ad aver
esplorato approfonditamente la natura, le cause e le conseguenze dell’attaccamento disorganizzato nell’infanzia, ha proposto un proprio modello, quello
della diatesi (o predisposizione) relazionale, aggiornando la teorizzazione
bowlbiana sul lutto e ricollegandosi al contributo di Freud sul lutto e la
melanconia. Rilevante ci sembra, soprattutto, il fatto che la Lyons-Ruth, non
fermandosi al mero dato comportamentale, ci fornisca specifiche ipotesi
riguardanti le esperienze emozionali disorganizzanti.
Il suo contributo, insieme a quello di molti altri che, per ragioni di spazio, non ci è possibile segnalare, ha promosso un buon avanzamento di questa interessante e articolata area di studio a cui il focus della nostra rivista
è dedicato.
Come inizialmente accennavamo, abbiamo scelto di presentare un
“assaggio” di filoni di studio e ricerca tra loro diversi (e con la consapevolezza
che alcuni di essi potranno sembrare piuttosto lontani dal lettino analitico
o dalla stanza di gioco per la psicoterapia dei bambini…).
Il primo lavoro della nostra rassegna, di Francesca Ortu e Riccardo Williams, autori con Chiara Pazzagli, di una recente e aggiornata pubblicazione
sull’attaccamento (2005), ha la funzione di mostrare lo “stato dell’arte”,
anche geografico, relativo al nostro argomento.
Il saggio di Tomas Geyskens, studioso e psicoanalista belga, è a carattere teorico e storico: introdotto dall’utile nota della nostra collega Silva
Oliva, si colloca in un’area pre-bowlbiana, presentando alcuni aspetti della
teorizzazione dello psicoanalista ungherese Imre Hermann. Questi, nell’analisi delle “patologie dell’attaccamento” (depressione, ninfomania, tossicomania) individuò una fantasia originaria relativa alla “rottura forzata della
relazione madre-bambino”, descrivendo tre posizioni ad essa correlate
(aggrappamento, ricerca, spinta alla separazione) che rimandano ai successivi sviluppi bowlbiani.
Il terzo contributo è tratto da uno dei due numeri che la rivista Psychoanalytic Inquiry ha dedicato, nel 1999, a “La ricerca sull’attaccamento e
Richard e Piggle, 14, 3, 2006
C. Candelori: Attaccamento e Psicoanalisi 263
la Psicoanalisi”. L’autrice è una psicoterapeuta, Alicia Lieberman, che si colloca nella cornice degli interventi di psicoterapia genitore-bambino ispirati
al lavoro pionieristico di Selma Fraiberg. Viene da lei presentata un’ interessante situazione clinica, riguardante la relazione di una giovane madre
con la propria figlia di tredici mesi, in cui è posto in primo piano il ruolo delle
“attribuzioni materne” negative (da lei intese come la manifestazione cognitivamente organizzata dell’identificazione proiettiva). La Lieberman sottolinea la necessità di includere all’interno della nozione di modello operativo
interno non solo il riferimento alle regole e alle aspettative relative al
legame di attaccamento, ma anche alla sessualità e all’aggressività, intese
come forze motivazionali primarie.
Il quarto lavoro, infine, che è nostro, in collaborazione con Antonio
Ciocca, si propone di affrontare un possibile confronto tra ambito di ricerca
e ambito clinico, effettuando una riflessione sul tema e fornendo un breve
esempio relativo all’esperienza psicoterapeutica.
Ci auguriamo che questi iniziali stimoli, volti ad esplorare questa interessante e articolata area di studio e di ricerca, possano promuovere riflessioni e ulteriori contributi di pensiero da parte dei nostri lettori.
Bibliografia
Ainsworth M D S, Blehar M C, Waters E, Wall S (1978). Patterns of Attachment: A Psychological Study of the Strange Situation. Hillsdale, NJ. : Erlbaum.
Ainsworth M D S (1982). Attachment: retrospect and prospect. In: Parkes C M, Stevenson-Hinde J (edited by), The place of Attachment in Human Behaviour. London:
Tavistock.
Bowlby J (1951). Cure materne e igiene mentale del fanciullo. Trad. it., Firenze: Giunti Barbera,
1957.
Bowlby J, Robertson J, Rosenbluth D (1952). A two-year-old goes to hospital. The Psychoanalytic Study of the Child, VII: 82-94.
Bowlby J, Ainsworth M, Boston M, Rosenbluth D (1956). The effects of mother-child separation: a follow-up study. British Journal of Medical Psychology, XXIX: 211-247.
Bowlby J (1958). The nature of the child’s tie to his mother. International Journal of PsychoAnalysis, 39: 350-373.
Bowlby J (1991). The role of the psychotherapist’s personal resources in the therapeutic situation. Tavistock Gazette (autumn).
Craik K (1943). The nature of Explanation. Cambridge: Cambridge University Press.
Diamond D (2004). Attachment disorganization. The Reunion of Attachment Theory and Psychoanalysis. Psychoanalytic Psychology, 2: 276-299.
Fonagy P (2001). Psicoanalisi e teoria dell’attaccamento. Trad. it., Milano: Cortina, 2002.
Freud S (1920). Al di là del principio di piacere. OSF: 9. Torino: Boringhieri, 1977.
Green A (1996). Quale ricerca per la psicoanalisi? Trad. it., Richard e Piggle, 3: 291-295, 1997.
Harlow H F (1958). The nature of love. American Psychologist, 13: 673-685.
Liotti G (1992). Disorganizzazione dell’attaccamento e predisposizione allo sviluppo di disturbi
funzionali della coscienza. In: Ammaniti M, Stern D N (a cura di) Attaccamento e Psicoanalisi. Bari: Laterza, 1992.
Lorenz K (1949). L’anello di re Salomone. Trad. it., Milano: Adelphi, 1967.
Richard e Piggle, 14, 3, 2006
264 C. Candelori: Attaccamento e Psicoanalisi
Lyons-Ruth K, Bronfman E, Atwood G ( 1999). A relational diathesis model of hostile-helpless
states of mind. Expressions in mother-infant interaction. In: Salomon J, George C (edited
by), Attachment disorganization. New York: Guilford Press.
Main M, Goldwyn R (1984). Adult Attachment Scoring and Classification System, Manoscritto
non pubblicato. Berkeley: University of California.
Main M (1990). Procedures for identifying infants as disorganized/disoriented during the Ainsworth Strange Situation. In: Greenberg M, Cicchetti D, Cummings E M (edited by), Attachment during the Preschool Years: Theory, Research and Intervention. Chicago: University of Chicago Press, 121-160.
Main M (1991). Conoscenza metacognitiva, monitoraggio metacognitivo e modello di attaccamento unitario (coerente) vs modello di attaccamento multiplo (incoerente): dati e indicazioni per la futura ricerca. In: P Harris, Stevenson-Hinde J, Parkes C (a cura di ) L’Attaccamento nel ciclo della vita. Trad. it.: Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1995.
Main M, Goldwyn R (1998). Interview-based adult attachment classifications: related to infantmother and infant-father attachment. Manoscritto non pubblicato. Berkeley: University
of California.
Ortu F, Pazzagli C, Williams R (2005). La psicologia contemporanea e la teoria dell’attaccamento. Roma: Carocci.
Seligman S (1993). Infant observation and psychoanalytic theory. Psychoanalytic Quarterly,
LXII: 274-278.
Wolff P H (1996). L’irrilevanza delle osservazioni infantili per la psicoanalisi. Trad. it. In: Bonaminio V, Fabozzi P, Quale ricerca per la psicoanalisi?. Trad. it.. Milano: Franco Angeli,
2002.
Carla Candelori, psicoterapeuta, membro didatta dell’Associazione Italiana di Psicoterapia
Psicoanalitica Infantile (AIPPI), docente di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Psicologia
dell’Università “G. D’Annunzio” (Chieti).
Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence:
Via Vincenzo Picardi, 4
00197 Roma
[email protected]
Richard e Piggle, 14, 3, 2006