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Questo documento è un riassunto con qualche
Capitolo 12
G.J. Borjas – Labor Economics, 5a edizione
NB - Questo documento è un riassunto con qualche commento, non si tratta di una traduzione ma di
dispense utili alla comprensione del libro non ancora pubblicato in italiano
Retribuzione e incentivi
Chiamateli come vi pare, ciò che fa lavorare di più la gente sono gli incentivi.
Nikita Khrushchev
Nella gran parte di questo libro abbiamo studiato la natura dei contratti di impiego nei così detti
“spot labor markets”. In ogni periodo le imprese decidono quanti lavoratori impiegare dato il livello
dei salari, i lavoratori decidono quante ore lavorare e, l’interazione fra lavoratori e imprese,
determina il salario e il livello di occupazione d’equilibrio. Una volta che il mercato ha determinato
il salario d’equilibrio, i lavoratori e le imprese prendono le rispettive decisioni riguardo a offerta e
domanda di lavoro. In questo mercato del lavoro “spot” il salario è pari al valore del prodotto
marginale del fattore lavoro.
Il capitolo analizza in maggior dettaglio la natura del contratto di impiego fra lavoratore e impresa.
La semplice struttura di funzionamento del mercato del lavoro spot non tiene conto del fatto che la
natura del contratto di lavoro influenza sia la produttività della forza-lavoro che i profitti delle
imprese. La struttura del contratto è rilevante in quanto spesso i datori di lavoro non consono quale
sia la reale produttività dei propri lavoratori e i lavoratori preferirebbero ricevere un salario elevato
esercitando il minor impegno possibile.
Alcune imprese ad esempio potrebbero decidere di offrire un pagamento a cottimo mentre altre
stipulano contratti che prevedono un pagamento orario. Siccome lo stipendio a cottimo dipende
strettamente dalla quantità prodotta, l’impiegata o l’impiegato tenderanno a “lavorare con impegno
per il denaro”. Al contrario un pagamento orario è del tutto indipendente dall’impegno profuso per
cui il lavoratore vorrà lavorare prendendosela comoda. Se è difficile per il datore di lavoro
controllare le attività svolte dal lavoratore, l’impiegato pagato un fisso orario potrà passare le
giornate inoperosamente, navigando su internet, facendo telefonate private o leggendo riviste
durante l’orario di lavoro.
In pratica pagamento a cottimo e salario orario rappresentano solo la punta dell’iceberg di un
insieme molto ampio di possibili meccanismi di incentivo utilizzati nel mercato del lavoro. Il datore
di lavoro considererà il pagamento basato su incentivi, ovvero uno schema di retribuzione pensato
per indurre un maggior livello di impegno da parte del lavoratore, come un ulteriore strumento per
aumentare i suoi profitti. Questo capitolo analizza le varie forme di retribuzione basata su incentivi
diffusi nel mercato del lavoro e come la struttura degli schemi di retribuzione influenzino sia la
produttività del lavoratore che i profitti dell’impresa.
Pagamento a cottimo e pagamento orario
Il modo più immediato per mostrare come siano collegati gli schemi di retribuzione con gli
incentivi ad impegnarsi per i lavoratori consiste nel confrontare due degli schemi di pagamento più
utilizzati: salario orario e salario a cottimo. Il pagamento a cottimo consiste nel pagare il lavoratore
in funzione di una qualche misura di quanto è prodotto. Gli operai meccano-tessile, ad esempio,
possono essere retribuiti in funzione di quanti paia di pantaloni confezionano. Gli agenti di
commercio ricevono una commissione sulla base delle vendite. I raccoglitori di pomodori in
Campania sono pagati un tanto a cassetta.
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Al contrario, molte imprese pagano stipendi orari, le retribuzioni in questo caso dipendono
esclusvamente dalla quantità di tempo passata sul posto di lavoro. Certamente, nel lungo periodo, i
datori di lavoro potranno concedere promozioni a chi ha mostrato una maggiore produttività e
magari non rinnovare il contratto ai lavoratori che hanno mostrato un minore impegno, ma per il
momento non consideriamo questa eventualità. Per noi il pagamento orario è da considerarsi
esclusivamente funzione del tempo trascorso sul posto di lavoro.
Negli Stati Uniti c’è una grande variabilità nell’utilizzo di questi due tipi di contratto, a seconda del
settore produttivo. Nell’industria chimica-dolciaria, ad esempio, il 90% dei lavoratori sono pagati a
orario, così come accade nel settore metallurgico. Diversamente, il 75% dei lavoratori impiegati
nella fabbricazione di scarpe da ginnastica e magliette da uomo sono pagati a cottimo.
Quale schema di pagamento dovrebbero adottare le imprese?
I lavoratori sono molto differenti in termini di produttività, questo dipende sia dalla loro abilità sia
dall’impegno con cui lavorano. Consideriamo un’impresa che deve decidere quale dei due schemi
di pagamento utilizzare. Se l’impresa sceglie di pagare a cottimo allora il salario di ogni lavoratore
deve essere esattamente pari al suo prodotto marginale. Infatti se lo schema di pagamento
prevedesse un salario inferiore al prodotto marginale, il lavoratore non avrebbe difficoltà a trovare
un’altra impresa che gli offrirebbe un salario maggiore, e lascerebbe l’impiego. D’altra parte, se è
vero che i lavoratori possono avere una percezione abbastanza precisa di quanto producono, è
probabile che i datori di lavoro siano molto più incerti riguardo alla produttività dei propri
impiegati. In altre parole, l’impresa generalmente non è certa di poter misurare correttamente la
produttività dei sui dipendenti e non può aspettarsi che questi riportino sinceramente la loro
produttività se interrogati. Se l’impresa desidera pagare un lavoratore a cottimo, dovrà monitorarla
costantemente. Queste risorse potrebbero essere utilizzate diversamente dall’impresa, magari
investendo diversamente nel proprio processo produttivo. Di conseguenza, l’impresa che decidesse
di adottare uno schema di pagamento a cottimo, incorrerebbe necessariamente in dei “costi di
monitoraggio”. Questi costi naturalmente variano da impresa a impresa, a seconda di quanto facile
sia controllare i risultati del processo produttivo, per alcune imprese questi costi possono risultare
decisamente alti. In alternativa l’impresa può decidere di pagare uno stipendio orario, ad esempio
1000 euro al mese, il che consentirebbe, almeno nel breve periodo, di non dover sostenere costi di
monitoraggio.
Sappiamo che le imprese che operano in un mercato competitivo scelgono lo schema che
massimizza i profitti. Indipendentemente dal tipo di costi che devono essere sostenuti (e anche
indipendentemente da chi li sostiene, se le imprese o i lavoratori, ricevendo un salario più basso), le
imprese con costi di monitoraggio più elevati non potranno offrire contratti a cottimo. Il salario che
queste imprese sono disposte a pagare risente infatti di questi costi e nessun lavoratore sarà disposto
a accettare un salario più basso di quello che possono ottenere altrove, queste imprese pagheranno
“un tanto l’ora” e rinunceranno a un controllo continuo della produttività. Al contrario, imprese con
costi di monitoraggio particolarmente bassi opteranno per contratti a cottimo. Non è quindi un caso
che le imprese agricole campane paghino un tanto a cassetta di pomodoro e che le i lavoratori
dell’industria meccano-tessile siano frequentemente pagati per ogni indumento prodotto, mentre i
professori di scuola o i programmatori siano pagati un fisso orario.
Quanto impegno profondono i lavoratori?
Un lavoratore pagato a cottimo può decidere quanto produrre. Assumiamo che egli scelga il livello
di impegno (o di prodotto) che massimizza la sua utilità. Tanto più produce, tanto più alto sarà il
suo stipendio e quindi tanto maggiore la sua utilità. Allo stesso tempo, un livello di impegno elevato
implica fatica, e quindi comporta una disutilità. Il lavoratore preferirebbe leggere il giornale, fare
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due chiacchere o fare telefonate private invece che passare il tempo a programmare linee e linee di
codici per il computer.
La figura sotto mostra la scelta riguardo a quanto impegnarsi si un lavoratore pagato a cottimo. Il
lavoratore è pagato a un tasso costante r euro per ogni unità di prodotto. Detto in altri termini, il
ricavo marginale derivante dal produrre un’unità aggiuntiva è r (MR). Ogni unità aggiuntiva
prodotta, d’altra parte implica fatica aggiuntiva, fatica che aumenta all’aumentare delle unità
prodotte. Se al momento stiro 30 camicie al giorno, stirarne 31 non implicherà uno sforzo
aggiuntivo enorme, d’altra parte se ne stiro già 800, può essere che aumentare ulteriormente il
numero mi causi molto stress. Per questo motivo la curva del costo marginale è crescente (MC).
Un lavoratore che massimizza la propria utilità produrrà quindi fino al punto in cui la sua utilità
marginale è pari al ricavo marginale (q*).
Figura 1
euro
MC
MR = r
q*
Q
Come si è detto, i lavoratori si differenziano per abilità, per i lavoratori più abili è meno faticoso
produrre, per questo, se vogliamo rappresentare lavoratori con abilità differente, probabilmente non
sbagliamo a rappresentare la loro curva di costo marginale traslata verso il basso. Dato un certo
livello prodotto, aumentare di un unità la produzione è meno stressante per loro di quanto non lo sia
per lavoratori meno abili. Ciò non toglie che anche per loro il costo sia crescente e che oltre un
certo livello di impegno la fatica superi il pagamento. La figura (2) rappresenta l’andamento del
costo marginale per i due tipi di lavoratori e i due punti di equilibrio (ovvero la quantità di unità che
decidono di produrre)
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Figura 2
euro
MC
MCA
MR = r
qA
q*
Q
Quanto deciderà di lavorare un lavoratore pagato un salario orario? Assumiamo che ci sia un livello
minimo di produttività q^ che è immediatamente visibile all’impresa, ad esempio se l’impiegato ad
uno sportello tiene aperta la sua postazione e risponde alle telefonate che riceve. Il lavoratore sa che
se non produce almeno q^ verrà licenziato, d’altro canto sa anche che difficilmente l’impresa potrà
controllare con maggior precisione la sua produttività. In questo caso, egli produrrà q^ e non di
più1. Certo anche l’impresa sa che il lavoratore si limiterà a produrre q^ se è pagato un fisso orario,
per cui pagherà un salario pari a q^"r . Se per semplicità assumiamo che il livello di fatica implicito
nel produrre q^ sia zero, allora l’utilità di un lavoratore a stipendio orario è dato da q^"r .
Come si associano lavoratori e imprese
!
2
La figura (3) mostra la relazione fra utilità e abilità di un lavoratore!
. Se si fa impiegare da
un’impresa che paga una retribuzione oraria, la sua utilità è paria al pagamento q^"r . Si noti che
questo livello è indipendente dal tipo di lavoratore, sia che sia abile sia che non lo sia, il pagamento
è lo stesso e la fatica è zero. Diversamente, se lo schema di pagamento si basa sulla produzione,
l’utilità cambia a seconda del tipo di lavoratore.
!
1
Certo è possibile che egli abbia delle convinzioni morali che gli impongono di lavorare almeno q”>q^, in
linea di principio questa eventualità può essere presa in considerazione dalla nostra rappresentazione del
costo marginale, infatti, il costo di lavorare non comprende solo la fatica e lo stress ma può essere
rappresentato dalla somma di fattori negativi (fatica, stress, limitazione della libertà personale) e fattori
positivi (realizzazione personale, sentir si star “compiendo il proprio dovere”…). Semplicemente in questo
caso stiamo assumendo che questa somma è negativa (i lati negativi superano i postivi) e che questo bilancio
peggiora all’aumentare dell’impegno (ed è per questo che raramente si lavora gratis!) e che, infine il
peggioramento aggiuntivo di ogni unità di prodotto aumenta al crescere del livello di prodotto (MC è
inclinata positivamente).
2
Attenzione, questa volta sulle ascisse si trova l’abilità e sulle ordinate l’utilità.
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Figura 3
Lavoro a cottimo
Abilità
q^"r
Lavoratore
M
Lavoratore B
!
Lavoratore A
Abilità
Per lavoratori abili (A) produrre molto è relativamente poco costoso, per cui con un pagamento a
cottimo raggiungono un livello di utilità elevato (a destra nella figura 3), al contrario lavoratori con
bassa abilità (B), ottengono un livello di utilità basso se lavorano per un impresa che paga a
cottimo3.
La figura 3 mostra che i lavoratori non sono indifferenti al tipo di contratto che viene loro proposto,
in particolare, è possibile individuare un livello di abilità al di sopra del quale i lavoratori
preferiscono un contratto a provvigione. Questo punto è l’intersezione fra l’utilità derivante dallo
stipendio orario q^"r e l’utilità derivante dallo schema alternativo. Per lavoratori con abilità M, è
indifferente lavorare in uno o nell’altro schema, per lavoratori più abili di M (M<A) sarà preferibile
scegliere un contratto a provvigione, per lavoratori meno abili (B<M) sarà preferibile un pagamento
fisso orario. Secondo questo schema, inoltre, i lavoratori più abili, lavorando a cottimo con ritmi di
lavoro !
più serrati, finiscono per guadagnare di più, al contrario lavoratori impiegati con contratti a
tempo, lavorano con meno impegno e ottengono salari inferiori.
Le implicazione pratiche provenienti da questo modello sembrano essere confermate dall’evidenza
empirica. Nell’industria delle scarpe in US, i lavoratori pagati per unità prodotta, guadagnano il
13% in più rispetto a quelli pagati all’ora. Nel settore dei vestiti da uomo e da bambino la differenza
è del 15% e fra i meccanici di automobili la differenza è addirittura del 20%.
Come si è visto, questo effetto è spiegato sia dal fatto che i lavoratori a cottimo sono anche i più
abili (in media), sia dal fatto che essendo pagato per unità prodotta, finiscono per impegnarsi di più.
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Si noti che, anche se lo schema mette sullo stesso piano le utilità di A e B questo non implica che noi siamo
in grado di dire se A raggiunge un livello di utilità maggiore di B ma solo confrontare l’utilità di A nei due
schemi di retribuzione.
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Come già discusso nello studio del tasso di rendimento dell’istruzione, essendo l’abilità
difficilmente misurabile, è difficile distinguere fra le due componenti4.
Svantaggi degli schemi di pagamento a cottimo
La nostra analisi ha mostrato l’esistenza di molti vantaggi provenienti dall’utilizzare contratti a
prestazione. Si attraggono i migliori lavoratori, si paga loro esattamente la loro produttività, si
aumentano i profitti e si evitano fenomeni di discriminazione e nepotismo. Viene quindi spontaneo
chiedersi perché questo tipo di retribuzione non sia più diffuso. La risposta più immediata è che
l’utilizzo di un pagamento a provvigione è di difficile applicazione nel momento in cui il prodotto
deriva da un lavoro di un gruppo di persone invece che dal lavoro di un singolo individuo. Se è vero
che si potrebbero immaginare schemi di incentivi che premino la maggiore produzione anche di
gruppi di lavoratori, è anche vero che una valutazione di gruppo può spingere alcuni lavoratori a
comportamenti opportunistici, distruggendo la funzione di incentivo di un pagamento a cottimo.
Un altro punto cruciale deriva dal fatto che generalmente il valore di una produzione non deriva
esclusivamente dalla quantità prodotta ma anche dalla qualità di ciò che viene prodotto. Siccome
produrre un unità di qualità è generalmente più faticoso che non produrre un’unità di qualità bassa, i
lavoratori che vengono pagati per quantità potrebbero finire con il sostituire quantità per qualità,
deteriorando la qualità del prodotto. Certo, le imprese potrebbero cercare di monitorare
congiuntamente qualità e quantità prodotta, ma questo non è sempre facile, e in ogni caso ha
l’effetto di aumentare il costo del monitoraggio.
Un'altra questione importante riguarda le preferenze dei lavoratori. Quando il prodotto del proprio
lavoro non dipende esclusivamente dall’impegno profuso, è possibile che un lavoratore, pur
impegnandosi molto, abbia periodi in cui il suo reddito è basso, si pensi ad esempio a una giornata
di brutto tempo per un vendemmiatore. In generale le persone non sono neutrali al rischio,
preferiscono essere sicuri di ricevere una cifra, magari un po’ più bassa, con certezza, che essere
incerti di ricevere una cifra, che anche sia in media un po’ più alta. Questo può spiegare perché
molti lavoratori preferiscono un salario fisso e molte imprese finiscono per adottare questo tipo di
retribuzione.
L’ultimo effetto potenzialmente perverso del pagamento in funzione della produzione si chiama
“ratcher effect”. Considerate un lavoratore che è pagato un tanto per unità prodotta e che riesce a
produrre molto in un certo periodo di tempo perché si impegna moltissimo. L’impresa, osservando
un cosi alto livello di produzione potrebbe cominciare a considerare la mansione affidata al
lavoratore come “troppo facile” rispetto al pagamento stabilito. Dopo tutto se un lavoratore riesce a
produrre così tanto in un certo periodo di tempo, probabilmente il pagamento per unità pattuito è
troppo elevato e dovrebbe essere abbassato. L’effetto ratcher è perverso perché spinge i lavoratori a
on impegnarsi oltre un certo livello, in modo da non indurre le imprese a diminuire il pagamento
per unità (l’opposto di quanto desiderato dall’impresa).
Bonus, premi e dividendi
Molte imprese non pagano stipendi a cottimo ma pagano dei premi, ovvero pagano uno stipendio
superiore o inferiore al pattuito, a seconda dei risultati sia individuali che dell’impresa nel suo
insieme. Negli US, ad esempio, il 94% dei dirigenti delle imprese nel settore manifatturiero
ricevono bonus e premi di produttività. Alcuni di questi premi non hanno nulla a che fare con la
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Una verifica empirica di questi effetti (auto selezione e maggior impegno) si trova in Lazear P. E. (2000)
“Performance Pay and Productivity”, American Economic Review, 90. Che potete scaricare tramite JSTOR
dai computer dell’Università.
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produttività del singolo lavoratore ma sono invece funzione della prestazione dell’impresa sul
mercato del lavoro, in questo senso si possono considerare dei dividenti più che dei premi di
produttività. Alcuni studi empirici hanno mostrato come questi premi abbiano un effetto sulla
produttività dei lavoratori che sono da una parte incentivati a agire “nell’interesse dell’impresa” e
inoltre possono percepire il premio come un comportamento equo da parte dell’impresa,
sviluppando una maggior senso d’appartenenza. Come già detto, anche i premi legati alla
prestazione di un gruppo implicano degli effetti indesiderati come ad esempio fenomeni di freeriding.
Competizione interna all’impresa
In alcuni casi le imprese non pagano né in funzione della produttività né in funzione del tempo
speso sul posto del lavoro. Un altro schema molto utilizzato è quello basato sulla performance
relativa dei lavoratori. In questi schemi di retribuzione i lavoratori sono classificati dal più
produttivo al meno produttivo e le retribuzioni sono determinate dalla posizione in classifica.
Un esempio è quello dei premi sportivi. Nella tabella sotto sono riportati i premi per gli arrivi di
tappa del Giro d’Italia 2006.
La differenza fra il secondo e il primo classificato è del 100%, eppure la differenza fra la
produttività del primo e del secondo è probabilmente minima. La sesta tappa è vinta da Robbie
McEwen, dopo 231 km di corsa, 5 ore 24 minuti e 13 secondi, con un vantaggio di meno di un
secondo su Pollack.
Questo tipo di pagamento non riguarda esclusivamente lo sport. Un’indagine su 200 imprese di
grande dimensione negli US ha mostrato come, in media, la promozione da vice-president a
amministratore delegato, implica un aumento di retribuzione del 142%, che è difficilmente
spiegabile con la produttività dei lavoratori in questione o con le differenti responsabilità. È utile
considerare tutti i vice-presindents in un’impresa statunitense come lavoratori impiegati in una
competizione interna per ottenere il posto di amministratore delegato. Ma come mai alcune imprese
utilizzano questo metodo retributivo? È vero che distinguere chi sia il migliore fra alcuni lavoratori
è più semplice che non quantificare la loro singola produttività, ma questa considerazione non
sembra essere sufficiente a spiegare l’utilizzo di uno schema retributivo di questo tipo. La
giustificazione dell’utilizzo di competizione interna all’impresa per determinare classifiche e
stipendi è invece più direttamente legata all’effetto che questo schema retributivo ha sull’impegno
dei lavoratori.
Quanto impegno induce la retribuzione basata sulla competizione interna?
Per mostrare quale sia l’effetto di uno schema retributivo basato su una competizione fra lavoratori
consideriamo la situazione di due lavoratori, Franco e Chiara. La loro impresa comunica loro che
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chi dei due mostrerà un maggior rendimento sul lavoro riceverà un premio di ammontare notevole
di Z1 euro mentre l’altro riceverà un premio molto minore, pari a Z2 euro. Ovviamente i due sanno
che maggior impegno metteranno nel lavoro più alta sarà la loro probabilità di ricevere il premio.
La figura 4 rappresenta come Franco decide quanto impegno profondere nel lavoro sulla base del
costo marginale e del ricavo marginale che si attende. Il costo marginale di impegnarsi dipende dal
livello di impegno ed è crescente, se Franco lavora già duramente risulterà molto faticoso
aumentare ulteriormente il suo impegno. Il ricavo marginale dipende invece dalla differenza fra il
primo e il secondo premio Z1 – Z2 . Se la differenza è poca, non conviene impegnarsi molto, in
fondo non fa molta differenza arrivare primi o secondi. Se invece la differenza è notevole, allora
può avere senso giocarsi fino in fondo il tutto per tutto.
Si noti che nella figura 4 ora sono rappresentate sulle ascisse la quantità di impegno, che implica un
costo marginale crescente (per questo il costo marginale è rappresentato come una curva inclinata
positivamente), sulle ordinate si trova il ricavo atteso,ovvero la differenza fra il primo e il secondo
premio.
MC
Z1 – Z*2
Z1 – Z2
Impegno
Quando la differenza fra i due premi è relativamente bassa Franco decide di non impegnarsi molto,
mentre quando il premio è elevato, allora vale la pensa impegnarsi a fondo. Poniamo che Franco e
Chiara abbiano lo stesso livello d’utilità (le due curve di costo marginale sono identiche). In questo
caso i due lavoratori adotteranno la stessa strategia, in caso di premi elevato, si impegneranno
molto. Dato che non c’è differenza fra le produttività dei due, il premio spetterà alla fine a uno dei
due, magari sulla base di un pizzico di fortuna ma entrambi dedicano il massimo sforzo al lavoro.
Questo schema di pagamento sembra molto funzionale. Ma non è immune da problemi. Se i due
lavoratori si accordano per dividersi il premio possono diventano indifferenti a chi vince la
competizione e gli incentivi creati dallo schema sono annullati. All’opposto, può accadere che la
competizione interna sia troppo alta e che i lavoratori comincino a mettere in pratica strategie di
danneggiamento reciproco invece che di leale sfida.
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Come si è capito dalla presentazione di questi schemi la costruzione di contratti a incentivo è uno
strumento molto potente per aumentare la produttività ma interagire con li incentivi non è facile,
non esiste una ricetta unica per tutte le situazioni.
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