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Tutti su Internet,
Tutto su Internet.
L’Agenda Digitale per la crescita
8 Ottobre 2014
a cura di
Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè
Scuola di Direzione Aziendale - Università Bocconi
SOMMARIO
1 internet: da infrastruttura a istituzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.1 l’architettura tecnologica per un’internet istituzionale. come la tv. . . . . . . . . . . . . 4
1.2 liberare le frequenze per liberare l’italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.3 applicare un modello di successo: lo “switch-off” analogico/digitale . . . . . . . . . . . . 6
2
a diritto universale corrisponde dovere universale:
internet, elemento di cittadinanza
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
3 obiettivo: tutti su internet, tutto su internet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
3.1 un tutor digitale per ogni cittadino “analogico” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
3.2 le aree da aggredire grazie alla presenza del tutor digitale. . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
4
“sharing economy”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
4.1 supportare la rivoluzione del lavoro e della cittadinanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
4.2 innovare le filiere produttive e favorire nuovi modelli di consumo. . . . . . . . . . . . . 17
4.3 innovare gli ecosistemi territoriali per favorire lo sviluppo delle pmi . . . . . . . . . . 18
4.4 realizzare una rete di trasporti intelligente (its) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
4.5 innovare il sistema finanziario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
4.6 realizzare la pubblica amministrazione digitale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
5
internet come nuova europa, laboratorio di diritto pubblico internazionale.
agenda digitale e
3
. . . . . 23
1 INTERNET: DA INFRASTRUTTURA A ISTITUZIONE
Internet è la continuazione della politica economica con altri mezzi. Essa deve quindi diventare nuova istituzione, sistema operativo sociale tanto quanto lo sono stati il diritto pubblico
e il diritto privato, strumento efficace di politica economica inclusiva e abilitante alla crescita
competitiva, leva per la tutela del potere di acquisto delle famiglie.
Parleremo dunque non solo dell’Internet dei diritti, dove tutti invocano un’improbabile autonomia individuale assoluta ma pochi sembrano disposti a un impegno collettivo per avere una libertà sotto la tutela della legge. O dell’Internet delle connessioni fisiche, dove tutto
sembra dover essere ridotto alla misura dei megabit e dove continuare a lamentarsi del gap
infrastrutturale del Paese come scusa per non affrontare il gap culturale e organizzativo che ci
separa da una società pienamente abilitata dai processi digitali. Parleremo, dunque e invece,
dell’Internet dei doveri, oltre il web del trastullo, dell’opportunismo e dell’illegalità, verso
un’infrastruttura tecnologica che diventa istituzione sociale e di mercato.
Con l’obiettivo di far diventare Internet una vera istituzione sociale e di mercato, l’Agenda
Digitale per la crescita deve quindi proporre:
a) un modello di architettura tecnologica
b) un modello di servizi pubblici e scambi di mercato.
1.1 L’ARCHITETTURA TECNOLOGICA PER UN’INTERNET ISTITUZIONALE.
COME LA TV.
In quasi tutte le versioni di Agenda Digitale circolate finora si ritrova un “appello a colmare il
gap” con gli standard delle nazioni più avanzate. Imitare gli altri, e per di più in ritardo, non è
tuttavia una strategia adeguata alle sfide del Paese. Avendo perso dieci anni, l’Italia deve saltare una generazione tecnologica e organizzativa, e avere il coraggio di fare scelte differenzianti
rispetto alle altre nazioni, e compatibili con i vincoli strutturali delle finanze pubbliche.
Quale architettura tecnologica è più adatta a supportare l’evoluzione in senso istituzionale di
Internet e, di conseguenza, favorire lo sviluppo di un più dinamico modello economico? La
risposta è simile a quanto è stato fatto per far diventare media istituzionali prima la radio e
poi la TV: un servizio universale di accesso wireless con l’uso delle risorse frequenziali più
efficienti (quindi delle basse frequenze), dove la priorità istituzionale non è la banda “larga”
ma la banda “garantita e sicura”. Alcuni megabit in modalità wireless, con livelli di servizio
minimi garantiti per tutti, ma davvero nessuno escluso, cittadini, imprese, istituzioni e “cose”,
sono sufficienti per la gran parte delle applicazioni ICT ad alto impatto sulla produttività e sul
risparmio di costi. L’accesso in fibra dovrà ovviamente rappresentare la naturale evoluzione,
ma per ora ha una logica economica limitata alle concentrazioni urbane, amministrative o
economiche, come i distretti industriali. Il singolo cittadino che vuole 100 megabit per vedere
l’ultima serie TV in HD, li chieda a un operatore a sua scelta e paghi i costi di infrastrutturazione, come già oggi pagherebbe l’ultimo tratto di allacciamento del gas di città. Oppure usi
il satellite, e viva felice. Il broadcasting satellitare, per l’intrattenimento, è una tecnologia più
che efficace allo scopo. L’uso opportuno di radiofrequenze terrestri, invece, ha priorità decisamente più elevate per il benessere dei cittadini e la produttività dell’economia nazionale,
4
come ha chiaramente evidenziato il pur poco ambizioso Rapporto Lamy della Commissione
Europea.
Dei diversi fattori architetturali fondamentali, quali:
• Velocità
• Latenza e qualità (near-real-time)
• Ubiquità e copertura territoriale
• Always on / permanenza di segnale
• Sicurezza, nel senso di maggiore protezione dagli attacchi informatici
i più importanti ai fini della produttività economica sono gli ultimi quattro, non il primo. Per i
veri “clienti” della banda larga - che sono i processi economici delle organizzazioni pubbliche e
private - cambia di volta in volta il mix critico di fattori architetturali. A essere interessato alla
velocità è prima di tutto l’intrattenimento video, mentre la telemedicina richiede bassa latenza e
l’infomobilità necessita di copertura territoriale e permanenza di segnale; per tutti i servizi basati su masse critiche e su economie di densità risulta essenziale la copertura, prima ancora che la
velocità, così come le applicazioni finanziarie e quelle militari sono primariamente interessate
all’ultimo fattore. Per le applicazioni ICT ad alto valore aggiunto la velocità è dunque il fattore
proporzionalmente meno rilevante dei cinque.
Quindi ci serve banda buona, prima che larga; banda universale, come diritto ma anche come
dovere; banda sicura e protetta, e non il far west dell’illegalità, della delazione anonima, della
pirateria, dell’hackeraggio. L’alta velocità d’accesso potrà e dovrà arrivare nel tempo, ma non
costituisce la priorità più urgente dell’Agenda Digitale per la crescita, e non certo a scapito
della copertura, della qualità del servizio e della sicurezza.
1.2 LIBERARE LE FREQUENZE PER LIBERARE L’ITALIA
La proposta infrastrutturale è quindi molto semplice e non richiede investimenti pubblici
significativi. L’Agenda Digitale per la crescita, anticipando le linee guida del Rapporto Lamy,
deve prevedere nel più breve tempo possibile la liberazione delle radiofrequenze ad alta capacità tuttora destinate ad altri usi (es. DVB-T) e l’assegnazione agli operatori sulla base di
un beauty contest di progetti d’investimenti per impegni di copertura del servizio dati e infrastrutture di backhauling in fibra per tutte le (vecchie e nuove) BTS d’Italia, al fine di garantire
una transizione rapida verso 4G/5G. L’assegnazione delle frequenze deve prevedere canoni
a basso costo, in linea con quanto attualmente applicato alle TV. L’idea che lo Stato debba
tassare in anticipo gli operatori applicando elevati importi minimi d’asta per l’assegnazione
delle frequenze è un ingiustificato e assurdo ostacolo agli investimenti e allo sviluppo, e ha
rappresentato in passato un gravissimo errore di politica economica. Il progetto di liberazione
delle frequenze deve peraltro avere costo zero per lo Stato, pur richiedendo agli operatori una
frazione dei capitali richiesti dai (peraltro necessari) progetti di FTTX, dei quali costituisce
efficace complemento, e indirizza in maniera pragmatica e rapida il problema dell’accesso in
banda larga e del superamento del digital divide infrastrutturale, specie quello in mobilità,
oltre ad abilitare i servizi della Internet of Things. Il mercato italiano ha chiaramente dimostrato di preferire le forme di accesso in mobilità che, tra l’altro, garantiscono migliori livelli
di autenticazione e maggiori potenzialità in termini di servizi a valore aggiunto.
5
1.3 APPLICARE UN MODELLO DI SUCCESSO: LO “SWITCH-OFF”
ANALOGICO/DIGITALE
Internet per le imprese tradizionali e le istituzioni pubbliche finora è stata, a parte pochissime
eccezioni, causa di costi aggiuntivi e non sostitutivi, e fonte di ricavi sostitutivi e non
aggiuntivi.
Sul fronte dei costi, per esempio, le imprese hanno investito per 15 anni in siti web istituzionali o in piattaforme di e-commerce, ma non hanno potuto smettere di sostenere i costi della
distribuzione tradizionale. La pubblica amministrazione ha speso una montagna di soldi pubblici nell’e-government, e le banche nell’e-banking, ma senza poter significativamente ristrutturare i costi di gestione delle proprie reti fisiche.
Sul fronte delle entrate, inoltre, ben pochi si sono rivelati i ricavi effettivamente differenziali,
rispetto a quelli in “conflitto di canale”, che di fatto cannibalizzavano le vendite tradizionali.
Si tratta di un fenomeno caratteristico delle migrazioni tra diversi standard di processi economici. Finché resiste una domanda che rimane ancorata allo standard precedente (in questo
caso i processi non basati su Internet), l’offerta è costretta a fronteggiare una doppia struttura
di costi e un’incerta distribuzione dei ricavi. Si può accelerare l’uscita da questa inefficiente
situazione economica e raggiungere una massa critica in grado di generare valore solo mettendo “fuori corso” la vecchia moneta dei processi tradizionali e forzando la domanda a effettuare la transizione al nuovo, con un processo di switch off simile a quanto sperimentato con
la TV digitale terrestre. È quindi necessario intervenire sul lato della domanda.
La vera innovazione non rende digitali i vecchi processi. Li rende inutili.
L’Agenda Digitale non serve per rendere i tradizionali processi di scambio documentale più
efficienti. Serve a renderli inutili. Inutili perché superati da un nuovo modello di scambi informativi, e non semplicemente tramite la sostituzione di un formulario cartaceo con la sua
versione elettronica. Altrimenti l’Agenda Digitale si riduce a essere una versione PDF dei vecchi moduli da compilare. L’Agenda Digitale non deve puntare a smaterializzare la carta, ma a
far materializzare nuovi processi organizzativi e finanziari più coerenti con l’attuale contesto
economico.
Obiettivo dell’Agenda Digitale deve essere la costruzione di un moderno “cloud di sistema”,
che diventi istituzione economica, non solo infrastruttura tecnologica. In questo contributo
si ipotizzerà quindi che, in logica supplente alla carenza di progettualità pubblica, debbano
essere le imprese private, insieme alle banche, a muoversi autonomamente, nel loro stesso
interesse, per dotarsi di un’Agenda Digitale dell’economia nazionale, che sia laboratorio di
innovazione organizzativa, crocevia di scambi informativi, piattaforma di relazioni di business. Puntare alla creazione di un “cloud di sistema” per gli scambi informativi tra banche e
imprese, quindi, è rifondare le basi per una nuova Unità Economica d’Italia.
Anche il pubblico dovrà fare la sua parte per l‘Agenda Digitale, ma in logica di servizio all’economia, e non di mera trasformazione in formato elettronico degli attuali processi della
Pubblica Amministrazione.
Un’altra cosa importante da chiedere allo Stato, oggi, non è solo nel merito degli interventi previsti, ma nel fatto che s’includano per legge negli impegni ineludibili di Governo e Parlamento
l’aggiornamento annuale dell’Agenda Digitale e il suo allineamento con le politiche europee,
come allegato fondamentale alla legge di bilancio. Questo perchè l’Agenda Digitale non è una
concessione alla moda tecnologica del momento, ma un impegno permanente nei processi di
governo della cosa pubblica e una condizione essenziale di funzionamento dell’economia.
6
L’Agenda Digitale pubblica: nuovi modelli di servizio, non vecchi moduli in formato
elettronico.
La mera “smaterializzazione” dei documenti cartacei non è innovazione, ma conservazione
camuffata e inefficiente. Le vecchie stesure dell’Agenda Digitale si erano configurate come
una specie di “versione scannerizzata” di molte attività cartacee e analogiche della PA. Non ne
cambiavano il flusso e la logica, e quindi non sfruttavano il potenziale di efficienza introdotto
dall’ICT. L’assunto dal quale si è mossi finora è che il digitale è un nuovo “formato”, non un
nuovo modello di processi. Quindi ci si è limitati a prescrivere una (addizionale) versione digitale delle stesse attività analogiche già oggi previste. Ancor più gravemente, non è stato tuttora
previsto un chiaro principio di sostituzione, uno “switch-off” come quello imposto con la transizione dalla TV analogica al DTT. Il digitale invece non solo deve essere il “default”, ovvero
l’opzione base, di ogni attività della Pubblica Amministrazione, ma in molti casi può essere
anche l’unica opzione prevista come standard, lasciando a specifico titolo oneroso il tradizionale processo analogico. Invece sono i processi analogici, e i loro strenui difensori, ad avere
l’onere della prova. Chi non usa Internet emette “CO2 organizzativo”, generando esternalità
negative, e quindi avvelena tutta l’economia con la propria inefficienza. Peraltro il principio
“digital by default” è già recepito da molte best practices internazionali, oltre che citato in
ordini del giorno approvati in modo bipartisan nelle competenti Commissioni Parlamentari.
È auspicabile che nelle prossime versioni dell’Agenda Digitale esso non venga più ignorato.
In un’Agenda Digitale che viene redatta per la prima volta nel momento più acuto della crisi
fiscale dello Stato, serve l’esposizione di un semplice principio: l’ICT è la più importante leva,
potenzialmente a costo zero, oggi disponibile a un Governo per l’aumento della produttività
del lavoro e del capitale, siano essi pubblici o privati. L’adozione - se necessario forzosa - di
processi digitali sostitutivi di quelli analogici è la maggiore “esternalità positiva” che possa
essere oggi creata dalle leggi. E non richiede necessariamente tanto costosi quanto improbabili investimenti pubblici, ma solo una lucida consapevolezza del potere immenso della regolamentazione nel garantire il raggiungimento di masse critiche di domanda e/o l’adozione di
criteri di standardizzazione e interoperabilità, tali da attirare investimenti privati.
Lo Stato deve creare le condizioni sul lato della domanda, rendendo contendibili e sostituibili
tramite nuovi processi digitali centinaia di miliardi/anno di spesa pubblica: per la scuola, per
il welfare e per i trasferimenti, per la sanità e per il lavoro. Solo così si faranno rapidamente
avanti le imprese, siano esse start-up o grandi aziende internazionali, nel fare investimenti
e portare innovazione. E con esse lavoro e crescita sostenibile, non drogata da nuovo debito
pubblico.
L’Agenzia per l’Italia Digitale ha il compito di aumentare in modo misurabile la produttività
totale dei fattori utilizzati nella spesa pubblica, ridisegnando i relativi processi e se opportuno
sostituendo le risorse impiegate, ivi inclusi tutti i livelli di personale. Il tema della “produttività totale dei fattori”, tuttavia, non è mai stato finora considerato centrale nelle scelte sulle
politiche ICT. L’odierna priorità di un’Agenda Digitale, invece, è proprio sostituire lavori poco
efficienti con processi innovativi ad alta produttività. Senza questa logica, l’Agenda Digitale rischia di essere una lista di costi aggiuntivi, senza generare significativi costi cessanti. E questo
vale anche per strutture e personale attualmente allocato. Con l’avvento del digitale, quindi,
una gran parte della Pubblica Amministrazione non va resa più efficiente. Va di fatto sostituita
e liberata dallo svolgimento di altri compiti, rimpiazzandola con processi digitali standardizzati. È questa la vera, strutturale “spending review” che un Governo responsabile deve impegnarsi a fare. Il vero problema di oggi non è razionalizzare i 5 miliardi di spesa pubblica in
ICT, bensì ripensare in modalità digitale tutti i 1.500 miliardi di PIL.
7
2A DIRITTO UNIVERSALE CORRISPONDE
DOVERE UNIVERSALE: INTERNET,
ELEMENTO DI CITTADINANZA
A un diritto legittimamente invocato, come quello della libertà, deve corrispondere un dovere
civico ed economico, per assicurare che sussistano le condizioni pratiche per l’esercizio sostanziale di tale diritto.
Oggi possiamo empiricamente dimostrare che chi non usa Internet produce esternalità negative e quindi genera illegittimamente un costo sociale, che è quello di gestire tale “eccezione”
con tecnologie e processi tradizionali, duplicando i relativi costi. Chi si ostina a non usare Internet per l’e-government, l’infomobilità, la telesanità, l’e-learning e le smart grids, impone alla
collettività oneri impropri di manutenzione di infrastrutture logistiche obsolete ed ingiustificabili, con elevati e ormai insostenibili costi sociali, che vanno a sottrarre risorse alla ricerca e
allo sviluppo. Una volta garantita la copertura universale, costoro non devono poter continuare a farlo opportunisticamente, essendo addirittura pietiti da qualche politico in chiaro conflitto d’interessi. Intanto che l’infrastruttura di Internet cresce verso l’accesso universale, chi
ancora non sa si faccia parte diligente per imparare, e semmai chieda aiuto da tutti gli altri, e
dallo stesso Stato se necessario. Ma non può essere legittimato a fare da zavorra alla Nazione.
Sarebbe come aver accettato che qualcuno, per evitarsi l’oggettiva scomodità di comprarsi il
decoder, avesse costretto tutte il sistema televisivo nazionale a trasmettere ancora in analogico
per gli anni a venire, bloccando l’uso delle frequenze per altri scopi.
Internet è quindi, analogamente a quanto accade nel caso di un’istituzione, un consorzio
obbligatorio della domanda, un dovere civico e quindi potenzialmente un obbligo di cittadinanza.
Chi non vuole adeguarsi sia libero di farlo, ma deve essere pronto a farsi carico dei costi sociali
della propria scelta. Ciò può avvenire con diverse forme, a partire da una chiara differenziazione del costo dei servizi pubblici - scuola, sanità, trasporti, ecc. - fino ad arrivare ad asimmetrie fiscali penalizzanti.
Tale processo ha illustri precedenti nei rapporti con le imprese: il Ministero delle Finanze ha
già di fatto imposto uno standard digitale forzoso per i processi di dichiarazione fiscale e tributaria, e in ciò si è qualificato come all’avanguardia in Europa.
Chi vuole servizi dallo Stato si attrezzi con le nuove condizioni culturali di cittadinanza. Se gli
mancheranno i pochi euro che costerà tra non molto un tablet o uno smartphone, potrà venire
aiutato con risorse pubbliche o con il favore fiscale concesso a piani di sussidio di operatori
privati: sarà l’investimento pubblico con il miglior ritorno possibile. Se non saprà come usare
un touch screen glielo spiegheremo in televisione, dalla mattina alla sera, novelli Alberto Manzi della sintassi digitale. Se questo è nuovo analfabetismo, impedimento alla crescita nazionale, allora è legittima l’azione affermativa della mano pubblica. Poiché la scuola è un obbligo
legale, in quanto impegno di cittadinanza ad adeguarsi agli standard minimi di convivenza,
non si vede perché non lo debba essere la formazione di base all’utilizzo della nuova “lingua
franca” della nazione e del mondo, che è appunto Internet. La Repubblica Italiana ha un contratto di servizio con la RAI: lo usi per i fini ai quali è stata ispirata la costituzione stessa del
servizio radiotelevisivo sessant’anni fa: la creazione di una coscienza nazionale comune tramite standard di linguaggio e di comunicazione. Allora fu con radio e TV, oggi è con Internet.
8
Per creare le opportune condizioni economiche e giuridiche sul lato della domanda, l’accesso a
Internet deve tuttavia richiedere un’autenticazione certa dell’attore, sia esso individuo o organizzazione. Il biglietto di ingresso in questa Internet istituzionale, insieme servizio universale
e condizione di cittadinanza, dovrebbe quindi essere basato su criteri di strong authentication, come già sperimentato con successo nel campo della telefonia mobile, che prevede l’uso
di una SIM registrata ed identificabile. Ciò non solo non ha finora rappresentato un ostacolo
alla diffusione, ma al contrario ha creato le condizioni di un mercato dinamico e innovativo.
Non si tratta di una novità assoluta, peraltro: già oggi il tasso di crescita maggiore dei nuovi
accessi ad Internet avviene tramite operatori mobili, che per concederlo lo associano a una
SIM. Semmai è pensabile introdurre un modello di accesso dove la SIM sia di proprietà del
cliente finale, e non dell’operatore che la concede, velocizzando quindi i processi di migrazione e portabilità. Un’Internet istituzionale basata su accesso tramite SIM può facilitare l’affermarsi di modelli economici più articolati, come ad esempio il revenue sharing tra content
provider e utenti e la retrocessione di valore all’utente, come già oggi avviene con gli operatori
di telefonia mobile che propongono piani tariffari con la cosiddetta autoricarica, ovvero la
parziale retrocessione al cliente delle tariffe di terminazione.
L’anonimato dell’accesso, falsamente propagandato come condizione irrinunciabile per la libertà di espressione, è in realtà solo un fragile simulacro, potendo come noto essere soggetto
ad azioni di investigazione da parte dei poteri dello Stato o di intercettazione più o meno legale da parte di attori tecnologici senza troppi scrupoli. In compenso l’anonimato costituisce
un ostacolo grave per gli investimenti privati, specialmente da parte di aziende con forte brand
equity e come tali esposte ad un elevato rischio reputazionale a causa dell’impossibilità pratica
di proteggersi dai rischi di diffamazione perpetrata da anonimi detrattori, quando non direttamente da concorrenti sleali.
Questa Internet ad accesso autenticato deve affiancarsi e non sostituirsi all’attuale web ad
accesso libero e anonimo, che può continuare ad esistere come luogo della sperimentazione,
di libertà espressiva e di sostanziale anonimato economico. Wall Street e Las Vegas sono entrambi modelli di mercato legittimi, ma è certamente il primo a rappresentare una base relativamente migliore per lo sviluppo economico.
9
3OBIETTIVO: TUTTI SU INTERNET,
TUTTO SU INTERNET
Se concepiamo Internet come diritto/dovere universale di cittadinanza, l’Italia deve puntare a
una “Internet of Everything and Everybody”.
Per superare il “digital divide” di tipo culturale non possiamo aspettare l’adozione naturale
della popolazione tuttora non inclusa nei processi di innovazione tecnologica, perché essa non
sta avvenendo con il passo necessario a favorire lo sviluppo economico del Paese, specie se in
comparazione con le nazioni più avanzate. La crescita della penetrazione di Internet in Italia,
al contrario, si è sostanzialmente fermata tra le fasce di popolazione più anziane.
Lo si evince sia dai dati storici degli ultimi 15 anni, sia dalle tabelle comparative con i principali Paesi.
36,812,682
ltaly Internet Users
Internet Users in ltaly
ltaly
Year
(July 1)
Internet
Users**
User
New Users
Growth
Country
Population
Population
Change
Penetration
Country’s
Country’s
(% of Pop.
Share of World Share of World
with Internet)
Population
Internet Users
Global
Rank
2014*
36,593,969
2%
857,489
61,070,224
0.13%
59.92%
0.84%
1.25%
16
2013*
35,736,480
1%
423,416
60,990,277
0.17%
58.59%
0.85%
1.32%
16
2012
35,313,064
2%
818,812
60,884,593
0.26%
58.00%
0.86%
1.40%
14
2011
34,494,251
6%
2,013,032
60,729,316
0.36%
56.80%
0.87%
1.51%
11
2010
32,481,219
10%
3,075,640
60,508,978
0.48%
53.68%
0.87%
1.59%
11
2009
29,405,579
10%
2,743,767
60,220,314
0.58%
48.83%
0.88%
1.66%
11
2008
26,661,812
10%
2,397,675
59,873,820
0.65%
44.53%
0.89%
1.70%
10
2007
24,264,137
8%
1,820,302
59,485,505
0.69%
40.79%
0.89%
1.77%
10
2006
22,443,835
9%
1,908,686
59,078,271
0.69%
37.99%
0.90%
1.93%
10
2005
20,535,149
6%
1,167,176
58,671,855
0.69%
35.00%
0.90%
2.00%
11
2004
19,367,973
15%
2,563,100
58,267,068
0.69%
33.24%
0.91%
2.13%
10
2003
16,804,873
4%
681,467
57,868,021
0.64%
29.04%
0.91%
2.16%
10
2002
16,123,407
4%
552,292
57,501,450
0.53%
28.04%
0.92%
2.43%
10
2001
15,571,114
18%
2,401,132
57,200,233
0.38%
27.22%
0.92%
3.11%
8
2000
13,169,982
61%
4,992,587
56,986,085
0.20%
23.11%
0.93%
3.19%
7
* estimate
** Internet User = individual who can access the Internet at home, via any device type and connection. More details.
Source: Internet Live Stats (www.lnternetLiveStats.com)
Elaboration of data by lnternational Telecommunication Union (ITU), World Bank, and United Nations Population Division.
10
Internet Users by Country (2014)
Rank
Country
Internet
Users
1 Year
Growth
%
1 Year
User
Growth
1Yr
Total Country
Population
Population
Change (%)
Penetration Country’s
Country’s
(% of
share of
share of World
Pop. with
World
lnternet
Users
Internet) Population
1 China
641,601,070
4% 24,021,070 1,393,783,836
0.59%
46.03%
19.24%
21.97%
2 United States
279,834,232
7% 17,754,869
322,583,006
0.79%
86.75%
4.45%
9.58%
3 India
243,198,922
14% 29,859,598 1,267,401,849
1.22%
19.19%
17.50%
8.33%
4 Japan
109,252,912
8%
7,668,535
126,999,808
-0.11%
86.03%
1.75%
3.74%
5 Brazil
107,822,831
7%
6,884,333
202,033,670
0.83%
53.37%
2.79%
3.69%
6 Russia
84,437,793
10%
7,494,536
142,467,651
-0.26%
59.27%
1.97%
2.89%
7 Germany
71,727,551
2%
1,525,829
82,652,256
-0.09%
86.78%
1.14%
2.46%
8 Nigeria
67,101,452
16%
9,365,590
178,516,904
2.82%
37.59%
2.46%
2.30%
9 United Kingdom
57,075,826
3%
1,574,653
63,489,234
0.56%
89.90%
0.88%
1.95%
10 France
55,429,382
3%
1,521,369
64,641,279
0.54%
85.75%
0.89%
1.90%
11 Mexico
50,923,060
7%
3,423,153
123,799,215
1.20%
41.13%
1.71%
1.74%
12 South Korea
45,314,248
8%
3,440,213
49,512,026
0.51%
91.52%
0.68%
1.55%
13 Indonesia
42,258,824
9%
3,468,057
252,812,245
1.18%
16.72%
3.49%
1.45%
14 Egypt
40,311,562
10%
3,748,271
83,386,739
1.62%
48.34%
1.15%
1.38%
15 Viet Nam
39,772,424
9%
3,180,007
92,547,959
0.95%
42.97%
1.28%
1.36%
16 Philippines
39,470,845
10%
3,435,654
100,096,496
1.73%
39.43%
1.38%
1.35%
17 ltaly
36,593,969
2%
857,489
61,070,224
0.13%
59.92%
0.84%
1.25%
18 Turkey
35,358,888
3%
1,195,610
75,837,020
1.21%
46.62%
1.05%
1.21%
19 Spain
35,010,273
3%
876,986
47,066,402
0.30%
74.38%
0.65%
1.20%
20 Canada
33,000,381
7%
2,150,061
35,524,732
0.98%
92.89%
0.49%
1.13%
21 Poland
25,666,238
2%
571,136
38,220,543
0.01%
67.15%
0.53%
0.88%
22 Colombia
25,660,725
7%
1,739,108
48,929,706
1.26%
52.44%
0.68%
0.88%
23 Argentina
24,973,660
7%
1,600,722
41,803,125
0.86%
59.74%
0.58%
0.86%
24 South Africa
24,909,854
14%
3,022,362
53,139,528
0.69%
46.88%
0.73%
0.85%
25 Iran
22,200,708
9%
1,850,445
78,470,222
1.32%
28.29%
1.08%
0.76%
È importante capire che cosa non ha funzionato e non funzionerà in futuro per colmare questo gap strutturale:
• Incentivi
• Detrazioni d’imposta
• Campagne informative
• Formazione facoltativa
11
In sintesi: non funziona, in Italia, il digitale come opzione soggettiva, invece che come standard istituzionale ed economico. È necessario cambiare approccio, adottando il principio del
“Digital by default”. Chi intende, consapevolmente e intenzionalmente e nonostante tutti i
supporti e le sollecitazioni, rimanere ancorato ai processi analogici, sappia che deve sostenerne i costi sociali in termini di esternalità negative imposte al Paese.
Per fare questo è necessario invertire l’attuale dinamica dei prezzi relativi tra processi analogici e processi digitali. Oggi chi vuole usare il digitale paga in termini di costi aggiuntivi e asset
complementari; invece chi usa l’analogico gode di vantaggi economici e sussidi incrociati perversi. Non si vuole qui suggerire un approccio che pretenda di vincolare la libertà individuale
con provvedimenti proibizionisti e distorsivi (come invece è avvenuto imponendo il limite
di 1000 euro sui pagamenti in contante), bensì invertire il sistema di incentivi economici e
sociali tra analogico e digitale. Deve avviarsi una chiara e determinatissima aggressione organizzativa e fiscale alle prassi analogiche, tramite una sistematica delegittimazione associata
a un riequilibrio degli attuali incentivi economici distorti. Tutto quello che è analogico va penalizzato: fiscalmente, organizzativamente, culturalmente, aumentando il prezzo relativo dei
servizi analogici rispetto a quelli digitali.
Usando le prassi che hanno dimostrato di funzionare, come lo Switch-off del DVB-T o il change-over di standard nei rapporti tra cittadino e PA (es. F24 nell’ambito fiscale), lo Stato deve
fare un uso mirato del proprio monopolio della coercizione legittima, adottando il ruolo di
“market-maker” tramite la creazione forzosa di flussi di domanda che a loro volta generano
le condizioni per il business case d’investimento da parte degli operatori e del mondo delle
imprese.
3.1 UN TUTOR DIGITALE PER OGNI CITTADINO “ANALOGICO”
Per accompagnare tutti gli italiani, anche quelli che non hanno mai sfiorato lo schermo di un
tablet o di uno smartphone, su Internet, si propone l’istituzione di un Tutor digitale per tutti i
cittadini analogici. Questa figura avrà incentivi a convertire digitalmente gli esclusi, sia per il
welfare/salute sia per la spesa privata/e-commerce. Potrà essere retribuito tramite una retrocessione di parte del risparmio derivante dall’adozione dei processi digitali, sia da parte della
PA sia da parte delle imprese private. Si tratta di applicare i principi organizzativi della sharing
economy ai rapporti digitali tra cittadini e PA/imprese.
Tramite questo nuovo “Servizio civile digitale”, i giovani accompagnano i loro concittadini
“analogici” e le imprese su Internet. I Tutor digitali potranno venire selezionati tra giovani
disoccupati e laureati fino a 29 anni, tra coloro che sappiano supportare l’alfabetizzazione
digitale di un adulto. Anche le imprese devono certificarsi in termini di alfabetizzazione digitale come condizione per l’iscrizione alla Camera di Commercio. Chi non si certifica, non può
portare costi in deduzione fiscale. E per certificarsi come “azienda digitale” non basta certo
avere la PAC.
Andranno ovviamente previste esenzioni per categorie specifiche di cittadini disabili o in condizioni disagiate, ma va contemplato l’obbligo di identificare almeno un parente o un tutore
che subentri nella gestione digitale dei processi dei cittadini esentati. L’obbligo di certificazione scatta sopra i 16 anni.
Le condizioni per la “Cittadinanza Digitale” (una specie di ECDL di primissimo livello) possono essere, ad esempio, le seguenti:
• Disporre di un account digitale compatibile con gli standard ufficiali nazionali;
12
•
Saper eseguire un set di operazioni di base (autenticazione, certificazione,
compilazione di un form, incasso, pagamento, ecc.);
• Avere associato al proprio account tutti i conti correnti bancari e/o postali attivi;
• Per le imprese, tutti i dipendenti e collaboratori devono saper emettere e ricevere
certificazioni digitali (bolle, fatture, ricevute, etc.).
Vanno ovviamente previsti opportuni processi di verifica e autenticazione al fine di prevenzione frodi.
3.2 LE AREE DA AGGREDIRE GRAZIE ALLA PRESENZA DEL TUTOR DIGITALE
L’istituzione della figura del Tutor disaccoppia l’adozione dei processi “digital by default” dal
problema dell’adozione universale e quindi evita alla radice l’obiezione in merito al rischio di
esclusione di quote di cittadini.
Con queste nuove condizioni, si possono delineare specifiche priorità.
• La prima area da aggredire è la moneta e il sistema dei pagamenti, con le relative
implicazioni di incentivi fiscali;
•
La seconda è quella della spesa pubblica, specie per trasferimenti, pensioni,
educazione, sanità e welfare;
• La terza è quella dei modelli organizzativi della PA e delle aziende private.
Moneta e sistemi di pagamento
Va previsto che i percettori di trasferimenti statali (dipendenti pubblici, pensionati, titolari di
assistenza pubblica, etc.) devono dotarsi di conto corrente elettronico standardizzato a livello
nazionale (Il “Conto Personale”), al quale sono associati sistemi di pagamento elettronici convenzionati con gli standard di mercato ma che prevede una commissione (sufficientemente
elevata) per il prelievo in contanti. Tale commissione si applica anche a tutti i bonifici e/o prelievi che non siano legati a documentazioni giustificative in formato digitale nativo (fatture,
scontrini, ricevute, voucher, etc.), inclusi i trasferimenti tra privati su conti esterni rispetto al
Conto Personale. In sostanza, con questo provvedimento l’uso di fondi statali per trasferimenti
e stipendi per l’economia sommersa viene radicalmente disincentivato all’origine. Chi invece
usa moneta elettronica, non ha nessuna penalizzazione. Si può pensare anche a un bonus
fiscale tramite la retrocessione ai cittadini delle commissioni applicate ai prelievi in contanti.
Tale provvedimento deve prevedere un analogo sistema di chiari e forti disincentivi anche sul
fronte delle attività private. Per esempio, le imprese private che pagano in contanti e/o senza ricevuta elettronica dovranno avere una deducibilità dei relativi costi significativamente
ridotta. Inoltre l’IVA per i pagamenti senza ricevuta elettronica va resa progressivamente indeducibile, allo scopo di favorire la rapida transizione al digitale. Se ciò non dovesse bastare
è ipotizzabile che, nella fase di migrazione, l’IVA applicata a tutti i beni e servizi che vengono venduti senza una fatturazione/scontrino elettronico e/o pagati senza moneta elettronica
venga progressivamente maggiorata, mentre quella per ricevute/pagamenti elettronici venga
simmetricamente ridotta.
Turismo internazionale e rimborsi IVA
Il turista internazionale deve poter usufruire di un immediato rimborso dell’IVA sui prodotti
acquistati in Italia, purchè utilizzi un’apposita procedura digitale, come, per esempio, una
App resa disponibile dal Governo tramite API standard utilizzabili anche da applicazioni di
13
terze parti. Le richieste di rimborsi IVA effettuati in modalità analogiche vanno invece soggette a commissioni maggiorate da stabilire. Questo filone di interventi serve a rendere più
competitive le merci italiane rispetto ai turisti internazionali, semplificando le procedure e
rendendo contendibile il mercato dei rimborsi IVA.
Personal POS
Ciascun cittadino dovrà avere un Conto Personale virtuale con funzioni di Personal POS, corrispondente biunivocamente al suo codice fiscale e/o all’anagrafe unificata definita dall’AGID e
gestito in convenzione con tutte le terze parti, bancarie e no, che vogliano partecipare al servizio. Devono venire messe a disposizione da parte del Governo delle speciali API per garantire
che i device elettronici dotati di SIM certificata siano abilitati a diventare POS personali per
ricevere ed effettuare pagamenti. Una app in versione base va messa a disposizione gratuitamente per tutti i cittadini e viene preinstallata in tutti i device dotati di una SIM di proprietà di
operatori con licenza nazionale. App di terze parti potranno usare le API ufficiali per svolgere i
medesimi servizi entro funzionalità applicative libere. Il personal POS consente di accumulare
bonus e voucher e ha anche lo scopo di fare da wallet per garantire la disponibilità di liquidità
di piccolo importo da scambiare tra cittadini. Ogni addebito e accredito su tale Conto richiede
tuttavia una transazione elettronica certificata.
Voucher di welfare (scolastici, socio-sanitari, buoni pasto, etc.)
Tutte le famiglie ricevono sul Conto Personale gli eventuali voucher che, laddove previsto, vengono consegnati al servizio prescelto, sia esso un asilo nido, una scuola, un centro assistenza,
o una struttura sanitaria. Il modello dei voucher digitali serve a consentire la sperimentazione
di forme di sussidio alla domanda (e non solo, come oggi, di pagamento diretto dell’offerta)
per i servizi del welfare e dell’assistenza. Per i modelli di voucher già diffusi, come ad esempio
il buono-pasto e altre “monete di scopo”, i maggiori livelli di favore fiscale che costituiscono
una delle leve più efficaci per aumentare la domanda nazionale, vanno indirizzati alla progressiva conversione digitale di tutti gli strumenti usati nell’ecosistema, allo scopo di garantire la
piena trasparenza e misurabilità dei processi.
Tassa sui documenti analogici nei rapporti con la PA
Allo scopo di disincentivare l’uso di documentazione cartacea, una speciale “marca da bollo prodigitale” va prevista obbligatoriamente su ogni foglio di carta usato nei rapporti con la PA, pena
l’invalidità dell’atto. Ciò deve essere previsto sia per i documenti in ingresso, sia per quelli in uscita, così da allineare gli incentivi della burocrazia pubblica, che dovrà quindi attingere a propri
budget per pagare il costo aggiuntivo. Vanno progressivamente eliminate tutte le agevolazioni
fiscali o tariffarie per le comunicazioni cartacee inviate dalla PA o da qualsiasi ente privato. L’Agenda Digitale deve mandare un messaggio chiaro: chi si ostina a usare mezzi analogici, si prepari
a pagare molto di più di oggi, sia esso privato o burocrazia pubblica.
Censimento digitale annuale da parte di ISTAT
L’obiettivo è di avere una fotografia molto più aggiornata della società italiana rispetto alla
peridicità decennale attuale, con enormi vantaggi in termini di analisi e simulazione dell’efficacia delle politiche economiche e fiscali.
Ogni cittadino deve compilare un form digitale per garantire l’aggiornamento delle informa-
14
zioni statistiche nazionali. Se preferisce, può richiedere quello analogico agli uffici postali, ma
in quel caso paga 100€ di spese. La compilazione è obbligatoria. Va prevista un’anagrafe immobiliare univoca, con obbligo di associazione tra utenze di servizi e codice univoco. L’invio
di bollette cartacee e l’eventuale pagamento analogico sono assoggettati alle penalizzazioni
fiscali sopra indicate (limite di deducibilità, IVA maggiorata, etc.)
Bilanci digitali delle imprese
È necessario, sia nei rapporti con la PA sia in quelli con gli intermediari finanziari, elevare la
qualità degli scambi informativi digitali tra imprese e sistema camerale. L’Agenda Digitale deve
prevedere che, secondo un calendario di adozione progressiva, le imprese, a partire da quelle
sopra una certa soglia di fatturato/valore aggiunto, che vogliono dedurre costi di produzione
debbano presentare un bilancio semestrale e annuale in formato digitale nativo (quindi non
in copia digitale di un originale documento cartaceo) tramite API compatibili con gli standard
camerali. Il deposito di bilanci cartacei e/o di bilanci non riconciliati con gli standard camerali
comporta inoltre il pagamento di commissioni proporzionali al fatturato/valore aggiunto.
Interventi per limitare l’arbitraggio fiscale infraeuropeo
Allo scopo di limitare l’opportunismo fiscale delle imprese che operano su Internet sfruttando
la disomogenea fiscalità infraeuropea, la deducibilità fiscale delle spese per comunicazione e
pubblicità va progressivamente limitata o resa indeducibile per importi superiori a una certa
soglia di proporzione del fatturato, nel caso di acquisti di servizi di comunicazione e pubblicità effettuati presso aziende che non abbiano aderito a codici di autoregolamentazione che
recepiscano le linee guida dell’OCSE sulla fiscalità nei servizi internet.
15
4 AGENDA DIGITALE E “SHARING ECONOMY”
L’Agenda Digitale deve confrontarsi non con vecchi modelli di infrastrutturazione pubblica
monopolistica, ma con i nuovi paradigmi della cosiddetta “sharing economy”, descritta come
“economia a coordinamento distribuito degli asset”.
I primi soggetti chiamati al principio della condivisione degli asset sono le aziende pubbliche e
private che hanno già uno stock significativo di investimenti tecnologici, spesso sottoutilizzati.
Esse possono mettere a disposizione del Sistema Paese le loro competenze e gli approcci utilizzati all’interno delle proprie organizzazioni nel promuovere la trasformazione dei processi
di business e di servizio su piattaforme digitali, generando “esternalità positive” con i processi
ICT che essi gestiscono, come tipicamente accade quando le ricadute di una tecnologia offrono benefici per un gruppo esteso di soggetti interessati e per la società in generale.
Uno degli obiettivi fondamentali è che le tecnologie ICT abilitino per ciascun individuo una
migliore e più efficiente integrazione di lavoro, famiglia e cittadinanza. In particolare, riuscire
a organizzare modalità di “lavoro distribuito”, potrà accelerare il necessario coinvolgimento
dei giovani e delle donne, soprattutto nel mercato dei servizi dove maggiore è l’opportunità di
recupero di competitività del Paese.
Vengono qui esposte una serie di proposte di dettaglio discusse con un team di Chief Information Officers di grandi organizzazioni pubbliche e private, illustrate in occasione di workshop
tenutisi negli scorsi mesi.
4.1 SUPPORTARE LA RIVOLUZIONE DEL LAVORO E DELLA CITTADINANZA
A Il lancio di forme di “cloud ibrido” (privato/pubblico) di tipo collaborativo, che
favoriscano la massima interoperabilità dei processi tra le filiere di imprese,
il mondo delle professioni e le istituzioni. Su tale architettura tecnologica, si
possono supportare l’applicazione delle direttive su Open Data delle Istituzioni, così da
massimizzare l’efficacia e gli effetti di rete per il loro utilizzo.
B Una delle applicazioni possibili, ad esempio, è nel campo dell’infomobilità: mettendo
su Open Data alcune evidenze dei processi di logistica e di commuting del proprio
personale, si può supportare la nascita di nuovi modelli di infomobilità e di trasporti
pubblici/privati, nonché favorire il coordinamento a minor impatto ambientale delle
attuali supply chain private.
C Le direttive su Open Data possono essere estese anche per l’istruzione e la gestione della
conoscenza: un “apprendistato telematico”, per la condivisione di ciò che chi lavora
in azienda sa e ciò che chi sta fuori ha ancora bisogno di imparare. Per esempio,
i lavoratori avviati al pensionamento e con l’insieme appropriato di competenze
professionali, possono essere formati e preparati a svolgere volontariamente e in remoto
le attività socialmente rilevanti attualmente gestite da dipendenti pubblici o da terzi,
con un contributo diretto alla riduzione della spesa pubblica.
D La sperimentazione - specie per il mercato dei servizi - di forme di “lavoro distribuito”
(crowdsourcing) non limitato all’informatica, ma esteso a processi professionali meno
16
specializzati e più inclusivi, e supportato da un’adeguata strumentazione contrattuale
nel quadro della riforma del mercato del lavoro. L’obiettivo è, oltre a incidere sul costo
sociale del pendolarismo, quello di abilitare un segmento più ampio di cittadini
a partecipare ai processi economici. Una parte di questo programma dovrà essere
esplicitamente mirato a coinvolgere professionalità femminili, studiando forme di
lavoro e di coordinamento più compatibili con eventuali impegni familiari, così da
ridurre in proporzione la necessità di un sostegno di welfare. Un possibile esempio
è quello di favorire in azienda l’adozione diffusa di modelli di “unified personal
communication” utilizzabili sia a scopi professionali sia a finalità personali e familiari.
E L’avvio di innovativi programmi di “e-health” per i dipendenti, applicati come
strumenti di prevenzione per le risorse umane delle imprese, che così nel tempo
diventeranno soggetti maggiormente educati e sensibilizzati all’uso di tecnologie per
la gestione della salute che in futuro saranno proposte dal welfare pubblico, in logica
interoperabile con il welfare aziendale. In quest’ambito le potenzialità, in termini di
prevenzione, sono elevatissime se si considera, ad esempio, l’applicazione di logiche di
intelligence (analytics e big data) alla “governance della salute”. Check-up e screening
aziendale, con soluzioni di self-check-up da rendere disponibili, possono estendersi su
un piano territoriale in stretto coordinamento con le ASL attribuendo al management
aziendale pubblico e privato (e/o nuove figure professionali da creare) la funzione di
responsabile di obiettivi-salute per la popolazione del territorio, sempre di concerto con
le direttive della ASL, nel quale opera l’azienda. Definendo precisi obiettivi di efficienza
e di risparmio sui budget comunali anche attraverso un preciso piano di prevenzione
che dall’azienda passa alla dimensione territoriale e sociale.
F Il coordinamento dei programmi di “procurement” aziendale con i fabbisogni
d’acquisto domestici, attraverso la condivisione di “gruppi di acquisto on-line”
aziendali e familiari, che condividano le economie di scala e i costi delle transazioni
(per esempio in processi di acquisto di elettronica di consumo o di servizi bancari,
assicurativi, tecnologici, ecc.). Questo può essere accompagnato dalla diffusione
dell’uso di “expense management cards”, da rendere condivise e interoperabili sia
per gli acquisti aziendali sia per le spese personali, così da costituire per i merchant
un’importante massa critica di transazioni, in particolare attraverso i canali di ecommerce, e ridurre i costi. Queste stesse modalità di acquisto si possono estendere dai
prodotti e servizi tipici dell’attività della singola azienda, anche all’ambito dei consumi
familiari. Esistono per esempio migliaia di aziende con approvvigionamenti di beni
di consumo e/o alimentari che potrebbero coordinare un approvvigionamento per il
territorio nel quale l’azienda opera, attivando modalità di e-commerce (acquisto on line
di prodotti) in stretta sinergia con le modalità di procurement aziendali.
4.2 INNOVARE LE FILIERE PRODUTTIVE E FAVORIRE NUOVI MODELLI DI CONSUMO
Sommovimenti profondi stanno trasformando il mondo dell’industria e della distribuzione,
mettendo in discussione punti di forza e prospettive considerate fino a ieri punti fermi. Il valore dei marchi commerciali di grandi e affermate industrie verso i propri consumatori, così
come la tradizionale intimità tra clienti e retailer vengono messe in discussione da fenomeni
nuovi. Le grandi reti sociali, o l’emergere di nuovi soggetti in grado di “scavalcare” l’interazione fisica con i consumatori (si pensi ad Amazon o eBay) hanno come denominatore comune
l’impiego innovativo di tecnologie informatiche e soprattutto la loro diffusione su quote sem-
17
pre più ampie di consumatori. Tramite questi strumenti nuovi soggetti cercano nuovi spazi,
disintermediano operatori tradizionali e penetrano mercati nazionali grazie ad una presenza
virtuale. Industria e distribuzione sono oggi costrette, soprattutto in Italia, a rivolgersi agli
stessi strumenti, ripensando ed aggiornando i tradizionali modi di vedere ed impiegare la tecnologia per sopravvivere ed assicurarsi una prospettiva di futuro.
In questo scenario le proposte dell’Agenda Digitale per la crescita sono le seguenti:
A Aumentare l’interoperabilità dei sistemi informativi tra aziende coinvolte nella
medesima filiera e verso le aziende clienti; incentivare tutte le forme di EDI sia
tra privati che verso la Pubblica Amministrazione; dematerializzare e digitalizzare
i processi legati ai cicli attivo e passivo e al rapporto con la PA; i benefici sono ovvi,
correlati al minor costo e alla maggior velocità dei processi e quindi ad un recupero di
produttività di tutto il sistema;
B Accelerare l’implementazione del paradigma Bring Your Own Device, nell’interesse
di tutti gli attori/stakeholder coinvolti nell’ecosistema aziendale (dipendenti,
collaboratori esterni, clienti, fornitori, agenti, ecc.) per eliminare le “barriere
architettoniche” di accesso ai processi digitalizzati dell’azienda e aumentare il grado di
collaboratività dei processi stessi. Inoltre e ancor più, il settore industria e distribuzione
può avere un ruolo importante nel processo di alfabetizzazione informatica del
Paese favorendo l’accesso conveniente a risorse informatiche destinate ad un
utilizzo promiscuo (personale ed aziendale) da parte dei propri dipendenti (e
delle loro famiglie). Vanno quindi promosse politiche e standard tecnologici aperti al
mondo consumer sia per la connettività/accessibilità (Internet) che nell’ambito degli
strumenti informatici individuali;
C Pianificare l’installazione obbligatoria di punti di accesso WiFi liberi e gratuiti
nei pubblici esercizi e in tutte le istituzioni aperte al pubblico. Per gli esercenti, i
servizi WiFi vanno offerti a tutti i clienti non solo a beneficio di questi ultimi, ma anche
per una conseguente miglior interazione tra il punto vendita (e il brand) e i clienti stessi
in un’ottica di multi/omni canalità; Vanno eventualmente favorite con crediti d’imposta,
anche allo scopo di limitare potenziali effetti di spiazzamento degli operatori di TLC, le
installazioni di coperture wifi con prestazioni di offloading di traffico mobile. Eventuali
ulteriori investimenti pubblici da finanziare con i maggiori proventi fiscali derivanti
dalla tassa sui processi analogici e sull’uso del contante possono essere costituiti dalla
creazione di siti per nuove BTS con backhauling in fibra, prioritariamente a copertura
delle aree a fallimento di mercato, ma poi anche per le aree a maggiore densità, con
eventuale finanziamento di apparecchiature radio attive in modalità multifrequenza,
con opzione put/call sull’operatore vincitore della gara e obbligo di servizio wholesale.
4.3 INNOVARE GLI ECOSISTEMI TERRITORIALI PER FAVORIRE LO SVILUPPO
DELLE PMI
Le aziende oggi sono sempre più inserite e condizionate nella loro capacità di crescita nel
contesto del Sistema Paese: le proprie possibilità di sviluppo passano dalla capacità di individuare nuovi paradigmi e/o modelli di business grazie anche al contributo dell’ICT ma anche
dal contesto in cui operano in termini di servizi tecnologici fruibili nel proprio territorio. Se
questi sono adeguati e/o innovativi, ciò rappresenta un punto di forza per lo sviluppo del busi-
18
ness, al contrario, un contesto scarsamente digitalizzato potrebbe fortemente influenzarne in
senso negativo la crescita. Le PMI, le reti d’impresa, i distretti industriali, per esempio, devono
poter essere sostenuti dall’impegno delle istituzioni in termini di abbattimento del “digital divide” (larga banda, e-government, ecc..). Così come è indispensabile sviluppare ove necessario
nuovi standard di comunicazione e “hub informativi” che una volta messi a disposizione, possono agevolare l’interpolarità tra le imprese pubbliche e private, il singolo cittadino e più in
generale tutto il “Sistema Paese”.
Le iniziative che si ritiene possano costituire un booster per il successo delle aziende italiane
sono le seguenti:
A Realizzare una collaborazione strutturata fra le Università (Politecnici, Facoltà
Scientifiche ed Economiche), con la creazione di consorzi e società miste per favorire
lo sviluppo dell’innovazione tecnologica e la crescita della ricerca applicata in Italia nei
sistemi locali e distrettuali, e nel Paese;
B Creare Basi Dati di filiera In logica Open Data, nelle quali far confluire informazioni
non solo relative a innovazioni tecnologiche settoriali e territoriali ma anche di
opportunità di business sul mercato internazionale di riferimento, informazioni da
generare attraverso le attività ICE o Comunitarie, favorendo la creazione di ATI di PMI;
C Sviluppare pratiche di cloud coshared fra settore pubblico e PMI, per favorire la
diffusione di nuove tecnologie.
4.4 REALIZZARE UNA RETE DI TRASPORTI INTELLIGENTE (ITS)
L’introduzione dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS), cioè l’impiego di innovative tecnologie elettroniche e informatiche applicate ai veicoli e alle infrastrutture del trasporto, può
utilmente integrare i flussi di traffico e proporre soluzioni sostenibili per ottimizzare l’utilizzo
delle reti stradali, ferroviarie, aeree, marittime, fluviali e cittadine.
Gli Intelligent Trasportation Systems (ITS) si affiancano ad altri sistemi applicativi di gestione
per cui è possibile la realizzazione di piattaforme integrate di city logistica e la diffusione di
questi strumenti può innovare sensibilmente il sistema della logistica e dei trasporti nel nostro
Paese.
Va infatti considerato che i principali studi internazionali di evoluzione demografica, economica e sociale evidenziano a livello mondiale una tendenza ormai consolidata a un’urbanizzazione spinta. È uno dei “megatrend” strutturali nello sviluppo del pianeta, ed è in atto ormai
da parecchi anni, con un’accelerazione nella costituzione di grandi agglomerati urbani. Questi
“centri” hanno un grande valore economico in termini di produzione di ricchezza e di innovazione. Servirà quindi saper supportare questa tendenza con un’efficiente rete interconnessa di
trasporti, per favorire, secondo nuove basi dimensionali, gli spostamenti di persone e merci.
Gli ITS sono quindi il “sistema nervoso” di collegamento (stradale, ferroviario, fluviale, marino, sotterraneo) che tiene in vita e fa crescere questi hub produttivi, centrali nell’evoluzione
del pianeta e del genere umano.
Nell’Agenda Digitale per la crescita devono essere incluse le seguenti proposte:
A Contribuire alla realizzazione di una rete di trasporti intelligente attraverso un uso
diffuso di sistemi ITS (Intelligent Transportation Systems) al fine di integrare i flussi di
19
traffico fra i vari modi di trasporto e proporre soluzioni sostenibili per ottimizzare
l’utilizzo delle infrastrutture stradali, ferroviarie, aeree, marittime, fluviali e cittadine
per favorire una razionalizzazione degli spostamenti per la consegna delle merci;
B Realizzare piattaforme integrate di city logistics, per ottimizzare i processi
logistici urbani, migliorando sicurezza e qualità dei servizi di movimentazione merci e
contenendone le ricadute negative in termini di congestione, inquinamento, difficoltà
di approvvigionamento, incertezza dei tempi di consegna, scarso coefficiente di carico
veicoli in circolazione, soste irregolari ed abusivismo.
4.5 INNOVARE IL SISTEMA FINANZIARIO
Le aziende del settore finanziario si trovano al centro della crisi economica che sta imponendo
un ripensamento dei modelli di business del passato. Una delle evidenze che sta emergendo
con grande forza dalla situazione che interessa l’economia nel suo complesso è che i modelli
attuati finora non sono più sostenibili dal punto di vista economico, in un mondo che, quando
la crisi sarà terminata, risulterà profondamente trasformato. Il modello basato quasi esclusivamente sul funding, per quanto riguarda soprattutto le banche, e sulla presenza commerciale attraverso una rete fisica, che ha portato le banche italiane ad avere un numero di filiali
per abitante tra i più alti d’Europa, dovrà necessariamente evolvere verso un nuovo modello
caratterizzato da un’offerta innovativa di servizi a valore aggiunto e da un maggior peso dei
canali digitali e in cui l’IT dovrà essere non solo il fattore abilitante, ma anche avere un ruolo
propositivo.
Le proposte sono le seguenti:
A Semplificare il quadro regolamentare rimuovendo vincoli normativi che ostacolano
la dematerializzazione completa dei processi (per esempio firma sui contratti)
e definendo delle linee guida comuni chiare nell’interpretazione e adozione delle
normative.
B Sviluppare il modello di banca come hub di una filiera di servizi a valore aggiunto
a supporto delle PMI sia per lo sviluppo dei rapporti commerciali a livello
internazionale, sia per facilitare l’ingresso sul mercato dell’economia digitale,
sfruttando le nuove tecnologie cloud.
C Favorire la standardizzazione dell’accesso ai servizi on-line in modo da garantire
la piena interoperabilità, partendo da strumenti già presenti come la carta d’identità
digitale/carta nazionale dei servizi che dovranno convergere su unico strumento in
grado di garantire l’autenticazione sicura degli utenti.
D Contribuire a creare una maggiore fiducia relativamente all’utilizzo di strumenti
di pagamento elettronici sulla rete, che consenta di abbattere le barriere culturali
che oggi risultano essere uno dei principali fattori di freno al pieno sviluppo
dell’economia digitale e aumentare la confidenza dei cittadini nell’utilizzo dei canali
digitali, favorendo in tal modo lo sviluppo dell’e-Commerce, il cui utilizzo è ancora
limitato nel nostro Paese.
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4.6 REALIZZARE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DIGITALE
Il contributo della Pubblica Amministrazione risulta fondamentale nell’innovazione di processi interni e nella realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale attraverso le seguenti azioni:
- Sviluppare piani e progetti volti a innovare congiuntamente tecnologie, processi
e competenze sia interni all’ente cui appartengono che tra enti e mondo esterno;
- Definire le modalità operative di attuazione dell’Agenda Digitale;
- Condividere le problematiche legate alla produzione di una normativa agile e
chiara che ne supporti la realizzazione;
- Innovare le modalità di gara, principale strumento di relazione tra domanda e
sistema dell’offerta, in collaborazione con la Direzione Acquisti.
In questo contesto, le proposte sono le seguenti:
A Razionalizzare e ottimizzare le infrastrutture e i servizi ICT della PA centrale e
locale partendo dalla conoscenza dei sistemi attuali e individuando un percorso di
condivisione degli asset, con la contestuale creazione di una Direzione Generale
delle Infrastrutture Informatiche e di telecomunicazioni (ICT), nell’ambito
dell’Agenzia per l’Italia Digitale a cui affidare il governo del consolidamento e
della razionalizzazione.
Nell’attuale scenario la PA locale, pur svolgendo analoghe funzioni orizzontali a livello
regionale, provinciale e comunale si è dotata generalmente di infrastrutture e sistemi
ICT dimensionate e progettate per operare in modo autonomo (stand-alone). Mentre la
PA centrale, che opera con funzioni verticali, in linea con i propri mandati, dispone di
infrastrutture condivise di base previste dal CAD (ad esempio reti di telecomunicazione
per trasmissione dati) che rappresentano un inizio concreto del processo di
ottimizzazione e di eliminazione delle duplicazioni ma che deve essere completato sia
con l’aggiunta di nuovi asset da condividere, sia traguardando una complementarietà
ed integrazione con le PA territoriali in un unico disegno organico della Pubblica
Amministrazione.
B Ottimizzare la spesa ICT con un disegno integrato ed organico della PA ed
incrementare l’efficienza e gli obiettivi che si possono perseguire:
- Eliminando duplicazioni dei centri di elaborazione (cloud, data center condivisi etc);
- Individuando su base nazionale un numero limitato e selezionato (ad esempio
correlati alle dimensione dell’amministrazione) di software applicativi per le principali
funzioni/servizi sia della Pat sia della Pac che sia di riferimento. La gestione dei tributi
locali, le anagrafi, i sistemi contabili, la gestione elettronica documentale, i sistemi
cartografici, sono esempi di piattaforme di software applicativi che gran parte delle PA
adottano in modo autonomo e non coordinato, alternando casi di successo a clamorosi
disservizi;
- Condividendo gli stessi servizi ICT a supporto (messaggistica, Call Center, piattaforme
per i portali, fleet-management, mobile government, sistemi di pagamento, uso delle
licenze software, etc),
- Censendo e mettendo a fattor comune, anche con team per progetto, le risorse umane
della PA che dispongono di skill adeguati per governare il complesso sistema ICT della
PA. Un sistema ICT di una grande amministrazione ha una complessità paragonabile
ai maggiori sistemi privati nazionali ma la governance spesso è frazionata e la
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modalità di selezione del management non risponde ai criteri che comunemente si
adottano nel settore privato;
- Adottando un programma accelerato di turnover degli addetti ICT. Nella Pac si
contano oltre 21.000 dipendenti con un’età media di 50 anni (se si esclude la Difesa
e l’Arma dei Carabinieri - 38 anni - che dispongono di circa 10.000 addetti con un
proprio processo di selezione). La generazione degli anni 1950/60 ha una formazione
di base antecedente all’avvento del digitale nell’ICT. Non vi sono dati per la Pat, ma lo
scenario non è molto diverso;
- Creando centri di formazione per gli addetti all’ICT della PA. Le strutture di
riferimento nazionali del recente passato, ad esempio delle “aziende a partecipazione
statale”, non sono state sostituite da nuovi centri di formazione e tale primaria attività
è oggi delegata a brevi cicli di formazione su progetti specifici.
C Promuovere il processo di dematerializzazione attraverso un monitoraggio
trasparente degli effettivi progressi delle amministrazioni effettuato da
una supervisione nazionale qualificata. Ad esempio nel 2009 (ultimo dato
disponibile) circa 177 milioni di documenti sono stati protocollati dalla Pac con una
percentuale di circa il 40% archiviata elettronicamente. Nella Pat vi sono esempi di
dematerializzazione circoscritte ad alcune aree geografiche. Nel secondo millennio,
l’Amministrazione non può basare la propria attività su archivi cartacei.
D Effettuare gare il più possibile centralizzate, nella modalità di accordi quadro
aperti alla possibile adesione di tutte le PA per tutte le tipologie di servizi ICT
a supporto. Le gare vanno progettate e condotte da personale con qualifiche e skill
adeguati. È opportuno seguire gli standard della Comunità Europea che prevede un
albo di professionisti ICT al quale attingere per le Commissioni di aggiudicazione. Le
ridotte risorse di personale ICT con skill adeguati nella PA possono condizionare la
qualità tecnica di una gara.
E Pubblicare sui portali della PA da parte di ogni amministrazione una relazione
annuale dedicata al settore ICT che illustri i servizi, censisca gli asset e delinei il
perimetro di spesa annuale. Il formato della relazione dovrebbe essere predefinito per
consentire una semplice elaborazione dei dati a livello nazionale e l’individuazione di
Best Practice/Best of Breed.
F Avviare dei servizi Open Data in ogni amministrazione con standard di riferimento
definiti (chi è responsabile del dato pubblicato, con quale frequenza si aggiorna ecc) per
favorire lo sviluppo di Apps e di applicazioni da parte di aziende e di privati cittadini
con forme di incentivazione e di promozione.
G Integrare in un’unica Carta del Cittadino la Carta d’identità Digitale, Carta
Nazionale dei servizi, Tessera Sanitaria, Codice Fiscale, con dati locali essenziali per
l’identificazione e l’accesso ai servizi della PA, compresi i servizi delle public utilities e
delle società in house.
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5INTERNET COME NUOVA EUROPA,
LABORATORIO DI DIRITTO PUBBLICO
INTERNAZIONALE
L’Europa è il luogo perfetto per la nascita di questa nuova Internet istituzionale. Ha la tradizione di gestione della complessità, ed è stata la sede di una delle più grandi innovazioni
tecnologica mondiale del secolo scorso, che è stata la telefonia mobile su standard GSM. È dal
secondo dopoguerra la nave scuola mondiale della condivisione della sovranità da parte degli
Stati, il nuovo laboratorio di diritto pubblico internazionale multilaterale. L’Agenda Digitale è
una formidabile opportunità per consentire che quel processo non si areni sulle secche di un
disegno disfunzionale delle istituzioni europee. Se non riusciamo più a esportare infrastrutture tecnologiche, almeno continuiamo a esportare nuove istituzioni giuridiche, come l’Europa
ha fatto per secoli, questa volta basate sull’uso innovativo delle tecnologie digitali. Senza questo nuovo diritto pubblico, oggi abilitato dalla tecnologia, non c’è mercato e non c’è economia
moderna, ma solo sopraffazioni e rendite monopolistiche, e la prospettiva di una stagnazione
secolare.
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e Comunicazione
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