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II. Le scelte organizzative delle imprese nel contesto internazionale Obiettivo Analisi degli effetti delle scelte strategiche sulla organizzazione delle imprese che operano in un contesto globalizzato. 2 3 Da dove vengono le diverse componenti? Boeing 787 (Head 2007) Boeing 787: la rete produttiva (Head 2007) Titanium forgings (Russia) Landing gear (Messier, France) Wings (MHI, Japan) Boeing Final Assembly Boeing Everett, WA Tail fins (Boeing, Frederickson, WA) Flaps (Boeing Australia) Horiz. Stabil. (Alenia, Italy) Fuselage (Spirit AS, Kansas) Esempi di centralizzazione (Head 2007) • Centralizzazione domestica: – Boeing aerei commerciali assemblaggio in U.S. (prevalentemente a Seattle) – Airbus aerei commerciali assemblaggio in EU (prevalentemente a Toulouse) • Centralizzazione all’estero: – Mattel: bambole Barbie (2 impianti in China +1 in Malaysia +1 in Indonesia.) – Matsushita (dal 2010 anasonic): TV (Malaysia) Nestle, the Replicator (Head 2007) 254,000 dipendenti in 508 impianti in 85 paesi (2002 Management Report) Area Sales Factories Employees Americas 40% 41% Europe (Switz.) 40% 41% (1.6%) (1.8%) 34% (2.6%) Asia, Africa & Oceania 20% 25% 32% 27% Le scelte delle imprese nel contesto internazionale. 1 Obiettivo: comprendere, con l’aiuto dei contributi analitici dell’Organizzazione Industriale, il legame tra organizzazione interna dell’impresa e scelte strategiche, condotte nel contesto internazionale. Questi contributi ci consentiranno anche di interpretare alcune regolarità empiriche che caratterizzano gli scambi. La comprensione delle decisioni, assunte a livello “micro”, è rilevante, a livello “macro”, per capire come funziona il sistema economico a livello aggregato. 8 Le scelte delle imprese nel contesto internazionale. 2 Il problema “organizzativo” che affrontiamo e che viene normalmente escluso dall’analisi, si occupa delle decisioni di “come realizzare un prodotto” ovvero: - dove localizzare le diverse fasi del processo produttivo; - quali soggetti e quale capitale occupare; - se produrre i beni all’interno dell’impresa o fare outsourcing di alcune componenti. I contributi analitici che consideriamo non comprendono gli studi multiproduct. 9 Le scelte delle imprese nel contesto internazionale. 3 Cercheremo di rispondere ad alcune domande: - Quali imprese servono il mercato estero? - Come lo servono: - esportazioni o FDI? - Come organizzano la produzione: - integrazione o outsourcing? - Come viene fatta l’eventuale integrazione: - nel paese d’origine o con FDI? 10 Le scelte delle imprese nel contesto internazionale. 4 I dati sugli scambi internazionali sono numerosi e disponibili. Così come sono numerose le ricerche empiriche che portano a rilevare alcuni tratti significativi. • Il volume degli scambi internazionali, come quota sull'output complessivo, è quadruplicato negli ultimi 40 anni; • Le multinazionali (MNE) hanno un ruolo crescente negli scambi: sono il 30% delle esportazioni e il 40% delle importazioni dei paesi sviluppati. • Gli scambi avvengono prevalentemente tra: paesi che hanno dimensioni simili (40% tra paesi Ue e tra UE e USA); all’interno degli stessi settori industriali. - la maggior parte degli scambi relativo a beni manufatti (solo il 20% circa è relativo ai servizi gli scambi di materie prime hanno un peso limitato); • I prodotti che hanno una domanda più elevata in un paese tendono a essere maggiormente esportati. 11 Le scelte delle imprese nel contesto internazionale. 5 Struttura regionale delle esportazioni manufatturiere, per grandi regioni, 2005. Origin\destination North America Europe Japan World North America 824 238 88 1478 Europe 398 3201 77 4372 Japan 152 94 0 595 World 2093 4398 515 10159 Source: World Trade Organization (2006, Table III.3 and Table III.70), in billions of U.S.dollars. 12 Le teorie del commercio internazionale. 1 I modelli tradizionali, che cercano di spiegare le ragioni dell’esistenza del commercio tra paesi, sono ricondotti a Ricardo e a Hecksher-Ohlin. I due schemi vengono sviluppati nel XIX e nel XX secolo e sono strettamente collegati al contesto della loro epoca. Il primo (Ricardo) spiega i flussi internazionali sulla base delle differenze di produttività del lavoro tra i diversi paesi. Il secondo (H-O) fa riferimento alle differenze nelle dotazioni dei fattori produttivi, ovvero alla diversa disponibilità delle risorse del paese come L, T e K. 13 Le teorie del commercio internazionale. 2 Il modello di Ricardo, ipotizza un solo fattore (lavoro), l’assenza di mobilità dei fattori tra paesi e mercati concorrenziali. Lo schema, considerando le produttività relative come fonte di vantaggi comparati, prevede la direzione dei flussi di scambio ma non la loro dimensione. Inoltre, lo schema non è abbastanza generale per analizzare il caso di molti paesi e molti settori, a meno di immaginare che ogni paesi produca un bene a un costo comparato inferiore agli altri. 14 Le teorie del commercio internazionale. 3 Il modello di H-O generalizza quello di Ricardo con l’introduzione di più fattori ma mantiene le ipotesi di immobilità internazionale dei fattori e di concorrenza perfetta. Lo scambio tra paesi, che porta alle specializzazioni produttive, avviene quando c’è diversità nel costo dei fattori (legata alla loro dotazione o abbondanza relativa) e nell’intensità fattoriale. I due schemi sono stati utilizzati per interpretare problemi come i vantaggi degli scambi, i conflitti di interesse tra i diversi gruppi, l’apertura dei mercati e il loro rilievo per la crescita economica, il ruolo delle politiche commerciali. 15 New Trade Theory.1 I contributi recenti, introducendo le scelte organizzative all’interno dei modelli del commercio internazionale, mostrano come le previsioni di quei modelli possono essere significativamente modificate. Ad esempio, ripartendo la “catena del valore” di un’impresa su più paesi si modificano gli effetti previsti dall’integrazione commerciale sulla remunerazione relativa dei fattori, sia nelle economie sviluppate che in quelle meno sviluppate. I modelli tradizionali concentravano l’attenzione sugli scambi tra settori e ponevano poca attenzione al ruolo della domanda Le analisi più recenti sottolineano, inoltre, che le forze che strutturano la domanda interna strutturano anche il commercio internazionale. 16 New Trade Theory. 2 Si abbandona l’ipotesi della concorrenza perfetta e si considerano: - rendimenti di scala crescenti esterni o interni a seconda che si consideri l’intera industria o la singola impresa; - eterogeneità delle imprese. Prima affronteremo il problema delle imprese eterogenee e successivamente quello della loro struttura: integrazione o outsourcing. Saranno possibili quattro forme organizzative: Integrazione all’interno Outsourcing all’interno Integrazione all’estero (FDI) Outsourcing all’estero 17 Modello di Melitz. 1 Il modello di Melitz (2003), fondamentale per tutta la letteratura successiva (cfr. Ottaviano, 2008), porta alla conclusione che: solo poche imprese, le più grandi e più produttive, esportano. Gli esiti del modello dipendono dall’interazione tra i diversi livelli di produttività delle imprese e i costi fissi per l’esportazione (es. costi di distribuzione e servizio all’estero che crescono con il numero dei paesi in cui si esporta). Il modello non consente di spiegare l’outsourcing. In questo caso occorrono ipotesi sulla specificità di alcuni fattori oggetto di contrattazione incompleta N.B.: La formulazione del modello è quella presentata da Helpman (2006) in: ”Trade, FDI, and the Organization of Firms” su Journal of Economic Literature vol. 44, n.3. (sul sito web del corso). 18 Modello di Melitz. 2 Consideriamo un’industria in cui operano n imprese che realizzano un bene differenziato. La funzione di domanda dell’impresa j è: x j Ap j Dove x è la quantità; p è il prezzo; A è il livello della domanda, considerato endogeno per l’industria ma esogeno per l’impresa e 1 1 1 0 è l’elasticità della domanda che è costante con da cui ɛ>1 NB.: La funzione di domanda deriva da una funzione di utilità U x j j 1 n 1 che presenta elasticità di sostituzione costante (CES - Constant Elasticity of Substitution). 19 Modello di Melitz. 3 La produzione, indipendentemente dalla scala, richiede l’impiego di un ammontare fisso di risorse: f D . L’impresa conoscerà la sua produttività solo dopo essere entrata sul mercato e avere sostenuto i costi fissi (evidenza empirica). La funzione di costo comprende pertanto due componenti: costi variabili e costi fissi. I costi fissi sono legati all’ammontare delle risorse impiegate f D . Dato il costo unitario delle risorse c, i costi fissi sono: c f D I costi variabili unitari sono: produttività θj dell’impresa. c/θj e dipendono dal livello di N.B.: Quando l’impresa entra nell’industria non sa se avrà successo. 20 Modello di Melitz. 4 L’impresa fissa il prezzo che massimizza il suo profitto: c j p j x j x j cf D j Sostituendo a xj la sua espressione otteniamo: c c 1 Ap j cf D Ap j Ap j cf D j j Dalla FOC si ottiene: c j c A1 p j A p j 1 A1 p1j 1 A p j 1 0 da cui: j p j j j p j Ap j p j p j 1 c 1 p j p j j 1 e infine il prezzo di equilibrio: 1 c 1 j 1 1 1 pˆ j c 1 j 21 Modello di Melitz. 5 che sostituito nella funzione di profitto, ricavata in precedenza, porta a: j Apˆ 1j c Apˆ j j c 1 cf D A j 1 c c 1 A j j cf D Dopo qualche passaggio: c 1 c 1 c c 1 c c c 1 c1 cf D ˆ j A cf D A cf D A j j j j j j j c ˆ j A 1 j c 1 j 1 1 c 1 cf D A 1 cf D 1 j Per semplificare la rappresentazione grafica, poniamo: c A 1 1 B e poiché 1 1j j 1 il profitto diventa: 22 Modello di Melitz. 6 Il profitto diventa: 1 1 (a) ˆ j B cf D cf D B se πj ≥0 allora Ciò significa che l’impresa deve fare profitti per restare sul mercato, che i profitti sono in funzione della produttività e che le imprese con produttività più elevata fanno profitti più alti. πj ˆ j 1 B cf D B cf D B -cfD D 1 cf D B Θ = θ ɛ-1 23 Modello di Melitz. 7 Le imprese con livelli di produttività inferiori a ΘD non producono perché i costi fissi non sono coperti e πj < 0 . Conoscendo la funzione di distribuzione della produttività G(Θ) è possibile individuare la quota delle imprese che servono il mercato interno come quota delle imprese con produttività: Θ > ΘD . NB.: La quota delle imprese attive cresce al decrescere dei costi fissi (cfD) e al crescere di B (che tiene conto di grandezze come la domanda aggregata del sistema) 24 Modello di Melitz. 8 ESPORTAZIONI Supponiamo ora che le imprese possano servire il mercato estero nel paese ( l ) dove la domanda dell’impresa j è: xj A pj Vale a dire che l’elasticità della domanda è la medesima ma può cambiare il livello di della domanda (A) legata al livello del reddito. La funzione di costo deve avere: - una componente relativa ai costi fissi aggiuntivi per servire il mercato estero: c f X (costi fissi di esportazione) - una componente che tiene conto del costo unitario variabile aggiuntivo (es.: trasporti, assicurazioni, differenze linguistiche e legali ….): c per τ > 1 j 25 Modello di Melitz. 9 L’ipotesi di Melitz, oltre a quella dei costi aggiuntivi per l’esportazione, è che solamente le imprese attive sul mercato interno (Θ > ΘD) possono servire i mercati esteri facendo profitti aggiuntivi espressi da: 1 1 c ˆ A 1 cf X X j 1 j che tiene conto dei costi e dei livelli di domanda diversi. Ponendo: c A 1 1 B e 1 1 j j 1 si ottiene un’espressione del profitto analoga a quella relativa al mercato interno: 1 1 ˆ j B cf X X j Le imprese sono attive sul mercato estero solo se cf j 1 1 X B X ˆ j 0 ovvero se: 26 Modello di Melitz. 10 Ricordando che, come in precedenza, ciò che conta è la produttività e non l’identità dell’impresa, possiamo riscrivere il profitto: (cfr. Helpman, p.594) e riportarla in grafico. ˆ 1 B cf X x L’inclinazione della funzione: ˆ X 1 B X Ipotizzando, per semplicità che A A ovvero che i livelli di domanda dei due paesi siano uguali, allora anche B B Poiché τ > 1 e ɛ > 1 possiamo confrontare l’inclinazione delle due funzioni: 1 B B Ciò significa che l’inclinazione della funzione dell’impresa che esporta è minore di quella che produce per l’interno. 27 Modello di Melitz. 11 cf D cf X ̂ D B cf D πj ˆ X 1 B cf X D - cfD = - cfX B X 1 B cf X 1 B Θ = θ ɛ-1 28 Modello di Melitz. 12 Per individuare la quota delle imprese che esportano, possiamo ipotizzare che i costi fissi per l’esportazione siano positivi e uguali ( f D = f X >0 ). In questo caso l’intercetta delle due funzioni viene a coincidere. Dalla figura precedente rileviamo allora che le imprese con: Θ < ΘD presentano una bassa produttività e chiudono; Θ > Θx fanno profitti sia sul mercato interno che esportando; ΘX > Θ > ΘD fanno profitti solo fornendo il mercato interno. Le imprese più produttive sono quelle che esportano. Inoltre, poiché una produttività più alta porta a minori costi marginali, la riduzione dei prezzi che ne consegue consente alle imprese più produttive di vendere di più sul mercato interno e all’estero: le imprese che esportano sono anche le più grandi. Questi due tratti rilevanti trovano riscontro nella realtà. 29 Modello di Melitz. 13 In generale, la quota delle imprese che esportano dipende dalla posizione di ΘX sull’asse delle ascisse. Più a destra si colloca ΘX , più elevato deve essere il livello di produttività delle imprese che esportano (e minore sarà la loro quota sul totale delle imprese). ̂ j B cf D πj ˆ X 1 B cf X 1 B B -cfD D X cf X 1 B Θ = θ ɛ-1 - cfX 30 Modello di Melitz. 14 Poiché ΘX dipende direttamente dai costi fissi e variabili e inversamente dalla dimensione della domanda del mercato di esportazione, il numero delle imprese che esportano presenta una correlazione diretta con la dimensione del mercato estero e inversa con il livello dei costi di esportazione. In particolare, l’aumento del numero delle imprese è legato alla diminuzione dei costi τ (ruolo delle liberalizzazioni tariffarie e slittamento a sinistra di ΘX ). Il modello si presta ad estensioni. Ad esempio considerando più paesi con dimensioni della domanda diverse. In questo caso si rileva una correlazione diretta tra le dimensioni dei mercati di esportazione e il numero delle imprese che esportano. 31 Modello di Melitz. 15 Conclusioni. Le imprese che esportano sono quelle più produttive (sono imprese eterogenee in base all’ipotesi della diversa produttività). Anche i paesi dove si esporta sono eterogenei (ad esempio presentano livelli di domanda diversi). Se l’analisi viene condotta tenendo conto dell’incompletezza contrattuale, il sistema di protezione legale degli scambi assume un ruolo rilevante. In particolare possiamo distinguere i beni in: - beni che richiedono input per i quali esistono mercati sviluppati; - beni taylor-made per i quali i mercati non esistono. Il ruolo della protezione legale è importante soprattutto nei confronti di questi ultimi. NB.: il modello ci fa capire che l’apertura al commercio internazionale favorisce la produttività media, legata alla riallocazione delle risorse tra le imprese, ma questa riallocazione dipende dalle caratteristiche del mercato del lavoro. 32 Esportare o investire all’estero. Le imprese possono servire il mercato estero anche investendo direttamente nei paesi di esportazione. L’impresa diventa in questo caso una multinazionale (MNE - Multinational Entreprise). Il modello di Melitz può essere esteso per analizzare il caso dei FDI (Foreign Direct Investment). L’analisi è condotta con riferimento ai FDI orizzontali, ovvero quando le sussidiarie forniscono il mercato locale del paese ospitante. Si hanno FDI verticali quando le sussidiarie creano valore aggiunto per prodotti che non sono necessariamente destinati al paese ospitante. 33 Source: WTO, Trade statistics; UNCTAD, World Investment Report 34 Mondo: flussi di investimenti diretti esteri per aree di destinazione, 1980–2009 (valori in miliardi USD) 35 FDI: USA, UK e Giappone 1914 - 2009 La quota della Cina sui FDI mondiali è passata dal 1% in 1991 al 6% circa nel 2009. 36 Foreign Direct Investment.1 Supponiamo che un’impresa voglia fornire un mercato estero tramite FDI. I profitti da FDI dell’impresa sono, in analogia al caso precedente, dati da: c x j cf I I j pj xj j Da questa espressione si ottengono i prezzi di equilibrio: Il profitto si può riscrivere: I j 1 1j c A 1 1 cf I Posto, come in precedenza: Se c BI A 1 I p j c 1 j pˆ j j 1 BI cf I 1 l’impresa sarà attiva sul mercato estero mediante FDI. I j 0 Ciò significa che: j 1 cf I BI 37 Foreign Direct Investment.2 Confronto tra Export e FDI Il confronto è tra i profitti. Solo se: l’impresa diventa MNE. X j I j Ovvero: 1 1 1 B cf B cf X X j j X 1 B cf B I j j I I I cf I Non possiamo ordinare in modo univoco le due grandezze perché esiste un trade-off tra concentrazione (tutti gli impianti nello stesso paese) e vicinanza ( tra mercato domestico ed estero). 38 Foreign Direct Investment.3 In termini economici ciò significa che occorre confrontare le perdite di economie di scala che si determinano in seguito alla duplicazione degli impianti all’estero (come scelta di FDI) espresse dalla relazione: f X < f I e i minori costi variabili di trasporto in caso di FDI: c c Le indicazioni che emergono e che potrebbero essere oggetto di analisi empirica: - Il rapporto tra il fatturato prodotto all’interno e destinato all’esportazione e il fatturato prodotto all’estero dalle affiliate è più elevato nelle industrie con costi fissi e/o variabili (iceberg costs) più elevati; - Il rapporto diminuisce al crescere della dimensione del mercato da servire e della sua domanda. 39 Foreign Direct Investment. 4 Quali imprese decidono di servire il mercato estero mediante FDI? Confrontiamo le diverse funzioni di profitto, considerate finora, e introduciamo alcune ipotesi semplificatrici: B - B BI paesi; e c c f I 1 f x f D ovvero il livello della domanda è lo stesso nei diversi esistono economie di scala. Ne consegue che, solo le imprese più produttive scelgono di servire il mercato estero tramite FDI e vale la relazione: D X I 40 Foreign Direct Investment. 5 Quali imprese decidono di servire il mercato estero mediante FDI? πj I ˆ D ˆ X - cfD - cfX - cfI D 1 B B X I B I Θ = θ ɛ-1 41 Foreign Direct Investment.6 Considerazioni: - Le imprese con produttività più bassa, che si collocano alla sinistra di D (ovvero Θ < ΘD ), fanno perdite e lasciano il settore. - Le imprese con produttività: ΘD < Θ < ΘX servono solo il mercato interno. - Le imprese con produttività: ΘX < Θ < ΘI esportano e servono il mercato interno. - Le imprese con produttività: Θ > ΘI investono in FDI e servono il mercato interno. Se ne deduce che le MNE hanno una produttività più elevata delle imprese che esportano. Queste, a loro volta, hanno una produttività maggiore delle imprese che servono solo il mercato interno. 42 Foreign Direct Investment.7 L’analisi empirica consente di cogliere altri tratti rilevanti: - Le MNE più produttive dispongono di un numero elevato di affiliate in diversi paesi. - I paesi con reddito più elevato sono più attraenti per le MNE sia perché presentano costi più bassi per FDI, sia perché presentano una domanda più elevata. Nella realtà le imprese perseguono delle strategie complesse di integrazione che comportano la scelta di FDI sia orizzontali che verticali. Questa consiste nel frammentare la produzione distribuendo le diverse fasi del processo tra i paesi ospitanti e il paese d’origine (H Home). Ad esempio le sussidiarie importano prodotti intermedi da H e vendono i prodotti finiti nel paese ospitante, ma possono anche esportare prodotti finiti in H o in altri paesi sia alle loro affiliate che ad altre imprese. 43 Strategie di integrazione. 1 Consideriamo un modello semplificato, che unisce le caratteristiche del modello di Melitz (eterogeneità delle imprese) i e due tipi di FDI, che consente di analizzare le scelte compiute dalle imprese per servire il mercato. Introduciamo alcune ipotesi: 3 paesi: 2 al Nord e 1 al Sud; la funzione di domanda dell’impresa j-esima del paese i è la consueta: x ij Ai ( p j ) i dove A1N AS e A2 N AS Nei paesi del Nord vi sono n imprese che producono beni differenziati. Ogni impresa ha una funzione di produzione (concava e con rendimenti di scala costanti) : dove i y j j F m, a m è il bene intermedio a è l’assemblaggio L’elasticità di sostituzione tra m e a è inferiore a 1. Ogni merce può dunque essere prodotta con diverse combinazioni di assemblaggio e prodotti intermedi 44 Strategie di integrazione. 2 Entrambi sono prodotti con un input più costoso al Nord (es. lavoro) cN cS per cui è più vantaggioso localizzare l’attività al Sud in assenza di altri costi. Semplifichiamo ulteriormente l’analisi ipotizzando che: • non ci sono costi fissi di entrata (fD); • non ci sono costi fissi di esportazione (fX); • τ=1 i costi iceberg sono nulli. Tuttavia per comprendere le scelte di localizzazione è ragionevole pensare che un’impresa che localizza entrambe le attività al Nord non sostiene costi, mentre sostiene il costo g se localizza la produzione e il costo f se localizza l’assemblaggio in un altro paese. Considerando il suo livello di produttività , l’impresa può seguire quattro possibili strategie, corrispondenti alle aree illustrate nella figura che segue. 45 Strategie di integrazione. 3 Supponendo di mantenere fisso il costo ( f ) di assemblaggio e consideriamo lo spazio dove si collocano le imprese dato dalle produttività sulle ascisse 1 e dai costi di produrre all’estero ( g ) sulle ordinate: g H, S H, H A S, S C S, H Θ 46 Strategie di integrazione. 4 Consideriamo alcune scelte delle imprese in presenza di livelli diversi di ( g ): Livelli bassi: • le imprese meno produttive (A) svolgono entrambe le attività in H, non fanno FDI; • le imprese con livelli intermedi di Θ come (C ) scelgono di produrre a Sud e di assemblare in H con parziale FDI; • le imprese con Θ elevato decidono di svolgere entrambe le attività al Sud. Ciò significa che le imprese meno produttive svolgono tutte le attività in H ed esportano il prodotto al Sud o nell’altro paese al Nord, mentre quelle più produttive fanno FDI totale e il prodotto finale viene esportato nei 2 paesi al Nord. IL Sud fa da piattaforma per esportare nel resto del mondo. 47 Strategie di integrazione. 5 Livelli intermedi. Vi sono solo due strategie ottimali: • Le imprese con bassa Θ svolgono tutte le attività in H; • Le imprese con alta Θ svolgono tutte le attività al Sud. Livelli elevati. Vi sono ancora tre strategie: • Le imprese con bassa Θ svolgono tutte le attività in H; • Le imprese con alta Θ svolgono tutte le attività al Sud; • Le imprese con Θ intermedia producono in H e assemblano al Sud dove (f ) è rimasto costante. La figura mostra anche che per una data distribuzione di Θ la quota delle imprese che fanno tutto in H cresce con l’aumentare dei costi (g) mentre il numero delle imprese che fanno tutto al Sud diminuisce con il diminuire di (g) . Offshoring e outsourcing. 1 Si cercherà ora di analizzare congiuntamente le scelte organizzative delle imprese (in/out) con quelle relative alla localizzazione (offshore/inshore). Si tratta di affrontare l’analisi delle scelte di internalizzare/esternalizzare nel contesto dell’analisi dei FDI. In precedenza avevamo considerato la possibilità che le imprese producessero beni intermedi, li assemblassero e vendessero i prodotti finiti in H o all’estero. Non si era considerata la possibilità che i beni intermedi potessero essere acquistati anche da imprese non affiliate oltre a quelle affiliate. Si tratta di una decisione rilevante ai fini della definizione della forma organizzativa e investe sia la scelta di produrre beni intermedi che di assemblarli in H o all’estero. 49 Offshoring e outsourcing. 2 Queste scelte sono rilevanti per comprendere l’andamento delle esportazioni e dei FDI caratterizzato da due fatti: – Un aumento del flusso di beni e servizi intermedi dalle imprese non affiliate, in H o all’estero, in seguito all’introduzione di nuove tecnologie: CAD (Computer Aided - Design) e CAM (Computer – Aided _ Manufacturing). Ciò, in presenza di mutamenti istituzionali del mercato del lavoro, ha favorito lo sviluppo dell’outsourcing (acquisto di input o servizi da un’impresa non affiliata). – Un aumento dell’acquisizione di input da paesi esteri sia con l’outsourcing che tramite le imprese affiliate (FDI). 50 Offshoring e outsourcing. 3 Le scelte sono tra: (A) integrarsi o non integrarsi (B) all’estero o in H. Ci sono quattro alternative possibili: Home (Onshore) Offshore Outsourcing Integration Dove si colloca un’impresa? 51 Offshoring e outsourcing. 4 Dove si colloca un’impresa? I modelli interpretativi sono diversi: a. Analisi basata sull’approccio dei costi di transazione, per definire i confini dell’impresa; b. Analisi sulla base di incentivi manageriali all’internalizzazione; c. Analisi basata sull’approccio dei diritti di proprietà che si fonda sulla teoria dei contratti incompleti. Consideriamo quest’ultimo modello seguendo i contributi di Helpman, Grossman e Antràs che sembrano cogliere meglio alcuni fatti stilizzati. 52 Offshoring e outsourcing. 5 In particolare questo modello aiuta a comprendere perché: 1. La frazione di scambio intrafirm sullo scambio totale è correlato positivamente con l’intensità fattoriale, rapporto capitale/lavoro (K/L) delle diverse industrie negli USA e il K/L dei paesi da cui gli USA importano. 2. Le differenze nei sistemi legali tra i diversi paesi generano dei vantaggi comparati che influenzano i pattern of trade. 3. Data l’ipotesi di livelli di produttività diversi tra imprese dello stesso settore, prevalgano forme alternative di organizzazione della produzione internazionale in funzione delle caratteristiche settoriali e dei modelli di scambio. Il trade-off di base è dell’internalizzazione. relativo ai costi e ai benefici 53 Offshoring e outsourcing. 6 Supponiamo che un prodotto, che può essere realizzato internamente o scambiato, abbia le caratteristiche taylor-made e non standard. Ciò significa che le caratteristiche di questo prodotto, quando è oggetto di scambio, sono così complesse da non poter essere definite per via contrattuale ed è possibile definire il prezzo solo dopo che è stato realizzato il prodotto. Di conseguenza il contratto sulla base del quale viene definito lo scambio, non potendo specificare i requisiti, non può essere vincolato al giudizio di un tribunale (no enforceable in a court of law.) N.B.: Nella realtà questo tipo di beni genera un surplus più elevato e ciò è rilevante ai fini dell’analisi dell’efficienza. 54 Offshoring e outsourcing. 7 Seguendo Helpman, immaginiamo che un soggetto (F) possiede la tecnologia e le conoscenze per produrre un bene intermedio (head-quarter services - h) che solo lui può fornire. Per produrre il bene finale occorrono 2 beni intermedi: (h) ; (m) che può essere prodotto da un soggetto (S) che opera fuori dall’impresa. Il costo per produrre il bene intermedio m è (c). Si tratta di un sunk cost e non viene considerato rilevante al momento dell’accordo, ma è rilevante al momento della decisione di produrre il bene intermedio. 55 Offshoring e outsourcing. 8 I° caso: Il produttore F non raggiunge un accordo con S, di conseguenza non utilizza l’input intermedio taylor-made bensì un bene intermedio standard che ottiene da un produttore di beni intermedi standard e realizza un profitto pari a : πo ≥ 0 [outside option di F] In assenza di accordo S vende il prodotto intermedio e ottiene: σ o > 0 [outside option di S] che sarà tanto più basso tanto più specializzato è il prodotto intermedio (vicino alle esigenze di F). Se nessuno, oltre a F, può usarlo allora: σo= 0. 56 Offshoring e outsourcing. 9 II° caso: Se F e S raggiungono un accordo sul prezzo del bene intermedio taylor-made. F fa un profitto pari a: π1 > πo Poiché c è un sunk cost, allora S cercherà di ottenere una parte del surplus che si genera dall’accordo. Immaginiamo di modellare un gioco a 2 stadi. - Nel primo stadio, F decide se produrre il bene intermedio e se non lo fa quali caratteristiche richiedere al fornitore S. - Nel secondo stadio, S fornisce il prodotto e si contratta sul pagamento. 57 Offshoring e outsourcing. 10 Risolviamo il gioco partendo dal secondo stadio, ovvero dalla contrattazione finale sapendo che, in base all’ipotesi di Nash bargaining solution, i soggetti hanno, rispettivamente, un potere negoziale β [F] e 1-β [S] dove 0,1 Se F e S dispongono di informazioni complete, riescono anche a trovare un accordo vantaggioso per entrambi. Posto PS il prezzo pagato al fornitore, il payoff per F è: π1 – PS e il payoff per S è: PS. I due payoff sono il risultato dell’esercizio del potere negoziale che ha portato i due contraenti a ripartirsi il surplus totale che è pari a: 1 0 0 0 Ovvero π1 al netto delle outside options dei due contraenti. 58 Offshoring e outsourcing. 11 Possiamo riscrivere il payoff di F come: 1 PS 0 1 0 0 e il payoff di S: PS 0(1 ) 1 0 0 Naturalmente S deve avere prodotto l’input intermedio e ciò avviene se: PS ≥ c N.B.: L’integrazione verticale è più probabile (quindi meno probabile che S fornisca il bene t-m) tanto più è: elevato il valore di β, che corrisponde ad un potere negoziale maggiore da parte di F, tale da indurre S a non fornire beni t-m; elevata specificità del bene intermedio (σ0 piccolo). Anche in questo caso S è indotto a non fornire il bene intermedio t-m; ampia la scelta delle alternative possibili (π0 è elevato). 59 Offshoring e outsourcing. 12 La scelta tra outsourcing e integrazione è influenzata in modo significativo dagli incentivi che F vuole lasciare a S e che sono legati all’intensità fattoriale contrattuale (Helpman p.609). Non si tratta della quantità di fattori richiesta per ottenere un prodotto (come nella definizione di intensità fattoriale), ma della quantità di fattore intermedio che è sotto il controllo finale e diretto di F. Ciò significa che, in quest’ultimo caso, F avrà meno problemi di agenzia rispetto al caso di fornitura da parte di S. N.B.: Le due intensità fattoriale sono correlate. 60 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 1 Consideriamo un’industria con prodotti differenziati. La funzione di domanda della singola impresa è: x j Ap j da cui 1 pj A 1 1 xj con 1 1 1 La funzione di produzione dell’impresa è una Cobb-Douglas, dove entrano due fattori che sono prodotti con il lavoro: hj = head-quarters services, realizzati solo dall’impresa j; mj = prodotto intermedio che può essere realizzato da un fornitore all’interno o all’esterno dell’impresa j. hj x j j mj 1 1 dove 0 < η < 1 è l’intensità fattoriale. Ovvero, al crescere di η cresce l’impiego di hj nella produzione. N.B.: L’internalizzazione è relativa solo al fattore m. 61 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 2 La funzione dei ricavi è: 1 Rj p j xj A 1 / 1 x j 1 / x j A 1 / x 1 j 1 A 1 x j A1 x j Sostituendo in Rj l’espressione della funzione di produzione si ottiene: hj 1 j Rj A mj 1 1 La ripartizione di Rj avviene, come abbiamo detto in precedenza, in modo contrattuale ed è condizionata dal potere delle due parti contraenti: β per il produttore F e (1- β) per il fornitore del bene intermedio. 62 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 3 Outsourcing. In questo caso le outside options delle due parti sono pari a zero perché i beni intermedi sono taylor-made a un livello tale da non avere alternative sul mercato. Una parte (F) riceverà la frazione β, e l’altra la frazione (1- β) , del ricavo totale Rj. Integrazione. In questo caso S è un dipendente di F, quest’ultimo possiede entrambi i beni intermedi. Possiamo supporre che S non sia molto cooperativo e, alla fine, F riesce a produrre una quota inferiore di produzione (δ) della produzione che avrebbe ottenuto nel caso precedente. 1 ˆ R ( h m ) A x R j (h j m j ) La outside option di F è: j j j j La outside option di S è uguale a zero. 63 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 4 Come conseguenza della contrattazione finale, F può ricevere una frazione βV del ricavo totale Rj e S riceve la frazione restante 1-βV. In dettaglio: 1 R j V R j 1 1 R j 1 V Rj Dove βv può essere riscritto come: v 1 Che rappresentano le quote in cui viene ripartito il ricavo totale Rj N.B.: I parametri β e βV sono esogeni, ne consegue che non necessariamente consentono di massimizzare i profitti. 64 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 5 Un modo per capire quale sarà l’organizzazione (outsourcing o integrazione) scelta da F è quello di individuare la ripartizione del ricavo totale Rj che egli considera ottimale (β*) perché corrisponde alla massimizzazione dei suoi profitti. Poiché sia h che m sono indispensabili per la produzione, il valore di β sarà compreso nell’intervallo: 0< β<1 Non può essere 0 perché F non avrebbe incentivo a fornire h , e non può essere 1 perché S non fornirebbe m. N.B.: La quota dei ricavi di ciascuna delle due parti è funzione crescente dell’intensità del suo fattore. Nel caso di h, è misurata da η: β*=0 per η=0 e β*=1 per η=1 ; è concava per valori bassi e convessa per valori alti di η. 65 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 6 La figura illustra la distribuzione delle quote dei ricavi nel caso di outsourcing (β) e di integrazione (βV). 1 β*(η) βV β ηM Out ηH IV 1 η 66 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 7 Quando la produzione è intensiva nella componente mj (ovvero η è basso; es. ηM ), β si trova sopra le quote ottimali: β > β* e βV > β* . Inoltre poiché βV > β è preferibile l’outsourcing all’integrazione. Quando la produzione è intensiva nella componente hj (ovvero η è alto; es. ηH ), β si trova sotto le quote ottimali: β < β* e βV < β* . Inoltre poiché βV > β è preferibile l’integrazione all’outsourcing. Le frecce mostrano la direzione dei profitti. Vale a dire che i profitti aumentano quando la quota di F si muove verso β* In conclusione, considerando esclusivamente gli incentivi, il produttore F preferisce l’outsourcing nelle industrie con mj intensivo e l’integrazione nelle industrie con hj intensivo. Tuttavia la decisione finale deve tener conto alla diversità dei costi legati ai diversi modi di organizzare la produzione. 67 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 8 Ampliamo il modello per includere anche la localizzazione organizzativa prevista dallo schema iniziale. L’ipotesi ulteriore è quella di considerare livelli di produttività diversi tra le imprese all’interno di industrie diverse (Global Sourcing, Antràs e Helpman 2004). Come nel modello proposto da Melitz, un impresa entra nell’industria senza conoscere il suo livello di produttività θ . Solo dopo essere entrata e avere conosciuto la sua produttività, l’impresa può decidere la sua forma organizzativa. Il modello che consideriamo ora comprende pertanto sia la diversa intensità fattoriale che i diversi livelli di produttività nell’industria in cui operano. Ciò consentirà di individuare i possibili equilibri relativi alle quattro forme organizzative che abbiamo richiamato. 68 Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 9 Consideriamo due paesi: Nord e Sud con livelli salariali diversi: wN > ws - il lavoro è l’unico input primario; - il bene h è prodotto solo a N dove si trovano i produttori finali; - il bene intermedio m può essere prodotto a N o a S con la stessa tecnologia (input di lavoro), da cui consegue che m è meno costoso a S (costo variabile) . Inoltre, ipotizziamo che: - i costi fissi di outsourcing o di integrazione sono diversi tra loro e variano tra N e S: fS fS fN fN V S f dove V f OS - O V O è il costo di integrazione a S (FDI) è il costo di fare outsourcing a S tutti i costi sono espressi intermini di lavoro del N. 69 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.10 Caso m-intensive Nel caso ipotizzato, con settori con m-intensive, è preferibile fare outsourcing a integrare perché outsourcing presenta: • costi fissi minori; • costi variabili inferiori (perché nelle industrie dove m è intensivo si ha η basso e quindi maggiori incentivi ai fornitori di beni intermedi). Quando l’outsourcing è preferibile all’integrazione nei settori con m-intensive, occorre individuare il trade-off tra outsourcing domestico e all’estero. Il trade-off avviene con riferimento ai costi variabili al Sud, dove sono più bassi, e i costi fissi più bassi al Nord. Infatti: f OS f ON 70 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.11 La scelta dell’impresa dipende dal suo livello di produttività OS = profitti dell’impresa che fa outsourcing a S N = profitti dell’impresa che fa outsourcing a N O π f OS N O 1 M D ON f OS Uscita Outsourcing aN Outsourcing a S 71 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.12 Nella figura precedente, i profitti dell’impresa che fa outsourcing a S o a N sono funzioni crescenti della produttività, come nel modello di Melitz. La funzione di profitto nel caso di fare outsourcing a N è meno inclinata rispetto a quella di fare outsourcing a S, perché i costi variabili sono più alti a N mentre l’intercetta (che dipende dai costi fissi) è minore. Possiamo osservare i diversi tipi di organizzazione: - le imprese con produttività Θ < ΘD escono dal settore; - le imprese con produttività Θ > ΘM importano bene intermedio da imprese non affiliate a S; - le imprese con produttività ΘD < Θ < ΘM importano bene intermedio da imprese non affiliate a N. In definitiva, solo le imprese con alta produttività fanno outsourcing all’estero. 72 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.13 Caso h-intensive In questo caso l’analisi degli incentivi porta a preferire l’integrazione all’outsourcing. Tuttavia la scelta di integrare comporta costi fissi più elevati dell’outsourcing. Consideriamo inizialmente solo il problema della scelta tra integrazione e outsourcing a N, escludendo quello della localizzazione tra N e S. Le funzioni di profitto che confrontiamo sono pertanto quelle dei profitti da integrazione VN e da outsourcing ON a N. 73 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.14 VN = profitti dell’impresa che fa integrazione a N ON = profitti dell’impresa che fa outsourcing a N π f vN N O D ON 1 M f VN Uscita Outsourcing Integrazione 74 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.15 Si tratta, come in precedenza, di funzioni crescenti nella produttività. La VN è più inclinata della ON perché l’integrazione nei settori h-intensive fornisce più incentivi e ha un’intercetta più elevata: perché è più costoso fare integrazione a N. fVN f ON Anche in questo caso, possiamo osservare i diversi tipi di organizzazione: - le imprese con produttività Θ < ΘD escono dal settore; - le imprese con produttività Θ > ΘM fanno integrazione; - le imprese con produttività ΘD < Θ < ΘM fanno outsourcing. In definitiva, proprio perché è più costoso fare integrazione a N: solo le imprese con produttività più elevata fanno integrazione. 75 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.16 Possiamo ora combinare l’analisi della scelta tra integrazione e outsourcing al N con quella della localizzazione tra N e S. Ricordando che la scelta di offshoring a S presenta dei vantaggi in termini di costi variabili, che sono più bassi a S che a N, e degli svantaggi in termini di costi fissi, che sono più elevati a S, possiamo costruire lo schema seguente: π uscita Outs N Integrazione N Outsourcing S Integrazione a S (FDI) 1 76 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.17 Come leggere lo schema: Le imprese meno produttive escono dal settore. Al crescere del livello di produttività delle imprese, osserviamo che le imprese più produttive producono il bene intermedio al S ovvero fanno FDI. Le imprese che stanno nel segmento centrale, al crescere della produttività, fanno: - outsourcing a N, le meno produttive del gruppo ; - integrazione a N, quelle che stanno in posizione intermedia; - outsourcing a S le più produttive. 77 Contratti incompleti e scelte delle imprese*.18 Alcuni risultati: - offshoring diminuisce con il crescere dell’intensità fattoriale di h , ovvero per valori di η elevati; - una più elevata dispersione della produttività porta ad un aumento di offshoring. In particolare, nei settori: - m-intensive vi è maggiore outsourcing a S; - h-intensive vi è maggiore integrazione e outsourcing a S. - l’aumento dei vantaggi competitivi a S, che può essere il risultato del declino dei salari relativi a S o di una minore protezione a N, aumenta l’offshoring in tutti i settori. Inoltre, nei settori h-intensive l’outsourcing all’estero dei prodotti intermedi cresce proporzionalmente di più dell’acquisto degli stessi prodotti dalle filiali estere. 78 Conclusioni Le teorie recenti studiano i comportamenti legati all’organizzazione e alla localizzazione delle imprese e forniscono nuove spiegazioni alla struttura del commercio internazionale e dei FDI tra le industrie e al loro interno. Ad esempio consentono di analizzare nuove fonti di vantaggi comprati come il grado di eterogeneità all’interno dell’industria e la qualità delle istituzioni contraenti. L’eterogeneità che viene intesa come la differenza nella produttività delle imprese e delle industrie e come differenza nelle forma organizzative. Nell’ambito di queste teorie gli scambi e i FDI vengono determinati congiuntamente alle strutture organizzative come outsourcing e integrazione. 79 Fatti stilizzati. 1 (Ottaviano 2008) La performance di un paese sul piano internazionale dipende da un piccolo numero di imprese in grado di competere con le altre. Per riprendere il legame tra “micro” e “macro” rileviamo che le indicazioni di politica economica che emergono sono pertanto quelle di favorire l’aumento del numero delle imprese piuttosto che un aumento dell’attività delle imprese già presenti. Poiché le imprese che esportano sono anche quelle più grandi, il suggerimento è quello di favorire sia la crescita dimensionale che quella della produttività piuttosto che incoraggiare le esportazioni e i FDI. L’analisi di Ottaviano coglie alcuni fatti stilizzati che caratterizzano il commercio internazionale di alcuni paesi europei. N.B.: per alcuni paesi i dati coprono tutte le imprese, in altri casi (Fr,UK,G,U,It) si hanno solo dei campioni. 80 Fatti stilizzati. 2 (Ottaviano 2008) FATTO 1: Ristretto n° di imprese esportatrici (Tab.1 p.224) – campione esaustivo: 1% copre il 45% delle esportazioni aggregate; 5% copre il 70% “ “ 10% copre il 80% “ “ FATTO 2: Solo alcune imprese esportano una quota ampia di fatturato 5% esporta il 90% del fatturato e copre il 10% delle exp. totali. 25% esporta il 50% del fatturato e copre il 70% delle “ “ 81 Fatti stilizzati. 3 (Ottaviano 2008) Poiché poche imprese esportano una quota molto elevata, se ne deduce che sono grandi imprese. Finora abbiamo un riscontro del modello analitico. Aggiungiamo ora un altro fatto, relativo ad un aspetto non considerato nell’analisi precedente (il caso multiproduct e mutimercato). FATTO 3: Le imprese esportatrici esportano molti prodotti su molti mercati. Le imprese che esportano più di 10 prodotti in più di 10 mercati coprono il 70% delle esportazioni. NB.: Le imprese grandi con molta varietà di prodotti sono capaci di affrontare la concorrenza internazionale. 82 Fatti stilizzati. 4 (Ottaviano 2008) Considerando come indicatore di θ la produttività del lavoro, l’analisi condotta sui dati del Belgio, offre un riscontro interessante ai risultati teorici (cfr Fig. 4, p.234). La distinzione tra imprese: domestiche; esportatrici; esportatrici e FDI; mostra livelli di produttività crescenti. A questo si aggiunge un altro fatto stilizzato (ancora oggetto di analisi perché vale per alcuni paesi): le imprese che esportano, dopo l’entrata sui mercati esteri diventano più produttive, probabilmente perché si muovono più rapidamente lungo la traiettoria della performance. 83 Fatti stilizzati. 5 (Ottaviano 2008) Le determinanti delle esportazioni e degli FDI. Per questa analisi viene considerata l’ “equazione gravitazionale” che usa la dimensione economica di un paese e le diverse barriere agli scambi per spiegare E e FDI. I dati mostrano che i commerci internazionali sono influenzati: positivamente dalla dimensione dei diversi paesi; negativamente dalle barriere che aumentano con il crescere della distanza tra i paesi. Ciò giustifica la definizione di equazione gravitazionale in analogia alla legge di Newton sulla gravitazione universale. 84 Fatti stilizzati. 6 (Ottaviano 2008) In particolare, la dimensione e la distanza tra paesi influenzano: - il numero delle imprese esportatrici (margine estensivo - ME); - le esportazioni medie per impresa (margine intensivo - MI) Si possono considerare separatamente ME e MI come due componenti delle esportazioni. In generale si osserva che le nazioni più grandi esercitano una maggiore attrazione. Più in dettaglio si osserva che le forze gravitazionali influenzano maggiormente il ME. La riduzione del n° delle imprese è legato alla maggiore distanza. FATTO 7: L’effetto principale della dimensione di un paese è legato all’aumento del n° delle imprese esportatrici. 85 Fatti stilizzati. 7 (Ottaviano 2008) Nel caso dei FDI, il modello gravitazionale consente la scomposizione tra ME e MI per capire come le forze gravitazionali influenzano le vendite delle multinazionali attraverso le loro filiali. Anche in questo caso il ME (n° affiliate) sembra essere più determinante di MI (vendite medie per affiliata). FATTO 12: L’attività delle multinazionali si manifesta soprattutto attraverso il n° delle affiliate. L’attrazione dei paesi più grandi o più vicini a quelli del paese d’origine dei FDI determina un aumento del numero delle affiliate piuttosto che del volume delle vendite medie per affiliata. 86 Note Spiegazione diseguaglianza p. 40: f I 1 f x f D cf x cf D ; D B 1 B D X X cf x cf D B 1 B posto B B semplifica ndo fX 1 fD ovvero 1 f X f D 87