Diapositiva 1 - e-Learning

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Diapositiva 1 - e-Learning
II. Le scelte organizzative delle
imprese nel contesto internazionale
Obiettivo
Analisi degli effetti delle scelte
strategiche sulla organizzazione delle
imprese che operano in un contesto
globalizzato.
2
3
Da dove vengono le diverse componenti?
Boeing 787 (Head 2007)
Boeing 787: la rete produttiva (Head 2007)
Titanium forgings
(Russia)
Landing gear
(Messier, France)
Wings
(MHI, Japan)
Boeing Final
Assembly
Boeing
Everett, WA
Tail fins
(Boeing, Frederickson, WA)
Flaps
(Boeing Australia)
Horiz. Stabil.
(Alenia, Italy)
Fuselage
(Spirit AS, Kansas)
Esempi di centralizzazione (Head 2007)
• Centralizzazione domestica:
– Boeing aerei commerciali assemblaggio in U.S.
(prevalentemente a Seattle)
– Airbus aerei commerciali assemblaggio in EU (prevalentemente
a Toulouse)
• Centralizzazione all’estero:
– Mattel: bambole Barbie (2 impianti in China +1 in Malaysia +1
in Indonesia.)
– Matsushita (dal 2010 anasonic): TV (Malaysia)
Nestle, the Replicator (Head 2007)
254,000 dipendenti in 508 impianti in 85 paesi
(2002 Management Report)
Area
Sales Factories
Employees
Americas
40%
41%
Europe
(Switz.)
40%
41%
(1.6%) (1.8%)
34%
(2.6%)
Asia, Africa
& Oceania
20%
25%
32%
27%
Le scelte delle imprese nel contesto
internazionale. 1
Obiettivo: comprendere, con l’aiuto dei contributi analitici
dell’Organizzazione Industriale, il legame tra
organizzazione interna dell’impresa e scelte
strategiche, condotte nel contesto internazionale.
Questi contributi ci consentiranno anche di interpretare
alcune regolarità empiriche che caratterizzano gli
scambi.
La comprensione delle decisioni, assunte a livello “micro”,
è rilevante, a livello “macro”, per capire come funziona
il sistema economico a livello aggregato.
8
Le scelte delle imprese nel contesto
internazionale. 2
Il problema “organizzativo” che affrontiamo e che viene
normalmente escluso dall’analisi, si occupa delle decisioni di
“come realizzare un prodotto” ovvero:
- dove localizzare le diverse fasi del processo produttivo;
- quali soggetti e quale capitale occupare;
- se produrre i beni all’interno dell’impresa o fare outsourcing di
alcune componenti.
I contributi analitici che consideriamo non comprendono gli studi
multiproduct.
9
Le scelte delle imprese nel contesto
internazionale. 3
Cercheremo di rispondere ad alcune domande:
- Quali imprese servono il mercato estero?
- Come lo servono:
- esportazioni o FDI?
- Come organizzano la produzione:
- integrazione o outsourcing?
- Come viene fatta l’eventuale integrazione:
- nel paese d’origine o con FDI?
10
Le scelte delle imprese nel contesto
internazionale. 4
I dati sugli scambi internazionali sono numerosi e disponibili. Così come
sono numerose le ricerche empiriche che portano a rilevare alcuni tratti
significativi.
• Il volume degli scambi internazionali, come quota sull'output
complessivo, è quadruplicato negli ultimi 40 anni;
•
Le multinazionali (MNE) hanno un ruolo crescente negli scambi: sono il
30% delle esportazioni e il 40% delle importazioni dei paesi sviluppati.
•
Gli scambi avvengono prevalentemente tra:
paesi che hanno dimensioni simili (40% tra paesi Ue e tra UE e
USA);
all’interno degli stessi settori industriali.
- la maggior parte degli scambi relativo a beni manufatti (solo il 20% circa è relativo
ai servizi gli scambi di materie prime hanno un peso limitato);
•
I prodotti che hanno una domanda più elevata in un paese
tendono a essere maggiormente esportati.
11
Le scelte delle imprese nel contesto
internazionale. 5
Struttura regionale delle esportazioni manufatturiere, per grandi regioni,
2005.
Origin\destination
North America Europe
Japan
World
North America
824
238
88
1478
Europe
398
3201
77
4372
Japan
152
94
0
595
World
2093
4398
515
10159
Source: World Trade Organization (2006, Table III.3 and Table III.70), in billions of U.S.dollars.
12
Le teorie del commercio internazionale. 1
I modelli tradizionali, che cercano di spiegare le ragioni
dell’esistenza del commercio tra paesi, sono ricondotti a
Ricardo e a Hecksher-Ohlin.
I due schemi vengono sviluppati nel XIX e nel XX secolo e
sono strettamente collegati al contesto della loro epoca.
Il primo (Ricardo) spiega i flussi internazionali sulla base delle
differenze di produttività del lavoro tra i diversi paesi.
Il secondo (H-O) fa riferimento alle differenze nelle dotazioni dei
fattori produttivi, ovvero alla diversa disponibilità delle
risorse del paese come L, T e K.
13
Le teorie del commercio internazionale. 2
Il modello di Ricardo, ipotizza un solo fattore (lavoro),
l’assenza di mobilità dei fattori tra paesi e mercati
concorrenziali.
Lo schema, considerando le produttività relative come fonte
di vantaggi comparati, prevede la direzione dei flussi di
scambio ma non la loro dimensione.
Inoltre, lo schema non è abbastanza generale per analizzare
il caso di molti paesi e molti settori, a meno di immaginare
che ogni paesi produca un bene a un costo comparato
inferiore agli altri.
14
Le teorie del commercio internazionale. 3
Il modello di H-O generalizza quello di Ricardo con l’introduzione
di più fattori ma mantiene le ipotesi di immobilità
internazionale dei fattori e di concorrenza perfetta.
Lo scambio tra paesi, che porta alle specializzazioni produttive,
avviene quando c’è diversità nel costo dei fattori (legata alla
loro dotazione o abbondanza relativa) e nell’intensità
fattoriale.
I due schemi sono stati utilizzati per interpretare problemi come i
vantaggi degli scambi, i conflitti di interesse tra i diversi gruppi,
l’apertura dei mercati e il loro rilievo per la crescita economica,
il ruolo delle politiche commerciali.
15
New Trade Theory.1
I contributi recenti, introducendo le scelte organizzative all’interno
dei modelli del commercio internazionale, mostrano come le
previsioni di quei modelli possono essere significativamente
modificate.
Ad esempio, ripartendo la “catena del valore” di un’impresa su
più paesi si modificano gli effetti previsti dall’integrazione
commerciale sulla remunerazione relativa dei fattori, sia nelle
economie sviluppate che in quelle meno sviluppate.
I modelli tradizionali concentravano l’attenzione sugli scambi tra
settori e ponevano poca attenzione al ruolo della domanda
Le analisi più recenti sottolineano, inoltre, che le forze che
strutturano la domanda interna strutturano anche il commercio
internazionale.
16
New Trade Theory. 2
Si abbandona l’ipotesi della concorrenza perfetta e si considerano:
- rendimenti di scala crescenti esterni o interni a seconda che si
consideri l’intera industria o la singola impresa;
- eterogeneità delle imprese.
Prima affronteremo il problema delle imprese eterogenee e
successivamente quello della loro struttura:
integrazione o outsourcing.
Saranno possibili quattro forme organizzative:
Integrazione all’interno
Outsourcing all’interno
Integrazione all’estero (FDI)
Outsourcing all’estero
17
Modello di Melitz. 1
Il modello di Melitz (2003), fondamentale per tutta la letteratura
successiva (cfr. Ottaviano, 2008), porta alla conclusione che:
solo poche imprese, le più grandi e più produttive,
esportano.
Gli esiti del modello dipendono dall’interazione tra i diversi livelli di
produttività delle imprese e i costi fissi per l’esportazione (es.
costi di distribuzione e servizio all’estero che crescono con il
numero dei paesi in cui si esporta).
Il modello non consente di spiegare l’outsourcing. In questo caso
occorrono ipotesi sulla specificità di alcuni fattori oggetto di
contrattazione incompleta
N.B.: La formulazione del modello è quella presentata da Helpman (2006)
in: ”Trade, FDI, and the Organization of Firms” su Journal of Economic
Literature vol. 44, n.3. (sul sito web del corso).
18
Modello di Melitz. 2
Consideriamo un’industria in cui operano n imprese che realizzano
un bene differenziato.
La funzione di domanda dell’impresa j è:
x j  Ap j

Dove x è la quantità; p è il prezzo; A è il livello della domanda,
considerato endogeno per l’industria ma esogeno per l’impresa e

1
1
1  0
è l’elasticità della domanda che è costante con
da cui
ɛ>1
NB.: La funzione di domanda deriva da una funzione di utilità

U    x j 
 j 1

n
1

che presenta elasticità di sostituzione costante (CES - Constant Elasticity of
Substitution).
19
Modello di Melitz. 3
La produzione, indipendentemente dalla scala, richiede l’impiego di
un ammontare fisso di risorse: f D .
L’impresa conoscerà la sua produttività solo dopo essere entrata sul
mercato e avere sostenuto i costi fissi (evidenza empirica).
La funzione di costo comprende pertanto due componenti:
costi variabili e costi fissi.
I costi fissi sono legati all’ammontare delle risorse impiegate f D .
Dato il costo unitario delle risorse c, i costi fissi sono: c f D
I costi variabili unitari sono:
produttività θj dell’impresa.
c/θj
e dipendono dal livello di
N.B.: Quando l’impresa entra nell’industria non sa se avrà successo.
20
Modello di Melitz. 4
L’impresa fissa il prezzo che massimizza il suo profitto:
c
 j  p j x j  x j  cf D
j
Sostituendo a xj la sua espressione otteniamo:
c
c

1

Ap j  cf D  Ap j  Ap j  cf D
j
j
Dalla FOC si ottiene:
c
 j
c
A1    p j  
A   p j  1
 A1    p1j 1 
A   p j  1  0 da cui:
j
p j
j
 j  p j Ap j  
p

j
p j  1

c 
 

 1

  p j p j
 j  1  
e infine il prezzo di equilibrio:
1

c 

 1
 j  1 1

1

pˆ j 






c 1
j 
21
Modello di Melitz. 5
che sostituito nella funzione di profitto, ricavata in precedenza, porta a:
 j  Apˆ 1j 
c
Apˆ j 
j
 c 1

 cf D  A
  
 j 
1
c  c 1 
 A
 j   j  

 cf D
Dopo qualche passaggio:



 c 1   c 1  c 
 c 1   c  c 
 c 1   c1    








 
  cf D
ˆ
 j  A
   cf D  A
 cf D  A











  j     j    j 
  j     j 
  j     j 
c
ˆ j  A 
 

 1

  
 j
 c  1
 
    j


1

1
c
 
1     cf D 
A
  1     cf D
1

j
 

Per semplificare la rappresentazione grafica, poniamo:
c
A 
 
1
1     B
e poiché
1
 1j 
  j 1
il profitto diventa:
22
Modello di Melitz. 6
Il profitto diventa:
  1 
 1
(a) ˆ j   B  cf D
cf D
B
se πj ≥0 allora
Ciò significa che l’impresa deve fare profitti per restare sul mercato,
che i profitti sono in funzione della produttività e che le imprese con
produttività più elevata fanno profitti più alti.
πj
ˆ j    1 B  cf D  B  cf D
B
-cfD
 D    1
cf
 D
B
Θ = θ ɛ-1
23
Modello di Melitz. 7
Le imprese con livelli di produttività inferiori a ΘD non producono
perché i costi fissi non sono coperti e πj < 0 .
Conoscendo la funzione di distribuzione della produttività G(Θ) è
possibile individuare la quota delle imprese che servono il
mercato interno come quota delle imprese con produttività:
Θ > ΘD .
NB.:
La quota delle imprese attive cresce al decrescere dei costi fissi
(cfD) e al crescere di B (che tiene conto di grandezze come la
domanda aggregata del sistema)
24
Modello di Melitz. 8
ESPORTAZIONI
Supponiamo ora che le imprese possano servire il mercato estero nel
paese ( l ) dove la domanda dell’impresa j è:


xj  A pj
Vale a dire che l’elasticità della domanda è la medesima ma può
cambiare il livello di della domanda (A) legata al livello del reddito.
La funzione di costo deve avere:
- una componente relativa ai costi fissi aggiuntivi per servire il
mercato estero: c f X (costi fissi di esportazione)
- una componente che tiene conto del costo unitario variabile
aggiuntivo (es.: trasporti, assicurazioni, differenze linguistiche e
legali ….):
c per τ > 1
j
25
Modello di Melitz. 9
L’ipotesi di Melitz, oltre a quella dei costi aggiuntivi per l’esportazione, è
che solamente le imprese attive sul mercato interno (Θ > ΘD) possono
servire i mercati esteri facendo profitti aggiuntivi espressi da:
1
1

  c 
ˆ
A   1     cf X
X j 
1
j
 
che tiene conto dei costi e dei livelli di domanda diversi.
Ponendo:
c
A  
 
1
1     B 
e
1

1
j
  j 1  
si ottiene un’espressione del profitto analoga a quella relativa al mercato
interno:
1  1 
ˆ
 j B  cf X
X  j 
Le imprese sono attive sul mercato estero solo se
cf
 j 1  1 X 
 B
X
ˆ j  0 ovvero se:
26
Modello di Melitz. 10
Ricordando che, come in precedenza, ciò che conta è la produttività e
non l’identità dell’impresa, possiamo riscrivere il profitto:
(cfr. Helpman, p.594) e riportarla in grafico.
ˆ    1 B   cf
X
x
L’inclinazione della funzione:
ˆ X
1



B
 X
Ipotizzando, per semplicità che A  A
ovvero che i livelli di domanda dei due paesi siano uguali, allora anche

B  B
Poiché τ > 1 e ɛ > 1
possiamo confrontare l’inclinazione delle due
funzioni:  1 B  B
Ciò significa che l’inclinazione della funzione dell’impresa che esporta è
minore di quella che produce per l’interno.
27
Modello di Melitz. 11
cf D  cf X
̂ D  B  cf D
πj
ˆ X   1 B   cf X
D
- cfD = - cfX
B
X 
 1 B 
cf X
 1 B
Θ = θ ɛ-1
28
Modello di Melitz. 12
Per individuare la quota delle imprese che esportano, possiamo ipotizzare
che i costi fissi per l’esportazione siano positivi e uguali ( f D = f X >0 ).
In questo caso l’intercetta delle due funzioni viene a coincidere.
Dalla figura precedente rileviamo allora che le imprese con:
Θ < ΘD presentano una bassa produttività e chiudono;
Θ > Θx fanno profitti sia sul mercato interno che esportando;
ΘX > Θ > ΘD fanno profitti solo fornendo il mercato interno.
Le imprese più produttive sono quelle che esportano.
Inoltre, poiché una produttività più alta porta a minori costi marginali, la
riduzione dei prezzi che ne consegue consente alle imprese più
produttive di vendere di più sul mercato interno e all’estero: le imprese
che esportano sono anche le più grandi.
Questi due tratti rilevanti trovano riscontro nella realtà.
29
Modello di Melitz. 13
In generale, la quota delle imprese che esportano dipende dalla
posizione di ΘX sull’asse delle ascisse. Più a destra si colloca ΘX ,
più elevato deve essere il livello di produttività delle imprese che
esportano (e minore sarà la loro quota sul totale delle imprese).
̂ j  B  cf D
πj
ˆ X   1 B   cf X
 1 B 
B
-cfD
D
X 
cf X
 1 B 
Θ = θ ɛ-1
- cfX
30
Modello di Melitz. 14
Poiché ΘX dipende direttamente dai costi fissi e variabili e
inversamente dalla dimensione della domanda del mercato di
esportazione, il numero delle imprese che esportano presenta
una correlazione diretta con la dimensione del mercato estero e
inversa con il livello dei costi di esportazione.
In particolare, l’aumento del numero delle imprese è legato alla
diminuzione dei costi τ (ruolo delle liberalizzazioni tariffarie e
slittamento a sinistra di ΘX ).
Il modello si presta ad estensioni.
Ad esempio considerando più paesi con dimensioni della domanda
diverse. In questo caso si rileva una correlazione diretta tra le
dimensioni dei mercati di esportazione e il numero delle imprese
che esportano.
31
Modello di Melitz. 15
Conclusioni.
Le imprese che esportano sono quelle più produttive (sono imprese
eterogenee in base all’ipotesi della diversa produttività).
Anche i paesi dove si esporta sono eterogenei (ad esempio presentano
livelli di domanda diversi).
Se
l’analisi viene condotta tenendo conto dell’incompletezza
contrattuale, il sistema di protezione legale degli scambi assume un
ruolo rilevante.
In particolare possiamo distinguere i beni in:
- beni che richiedono input per i quali esistono mercati sviluppati;
- beni taylor-made per i quali i mercati non esistono.
Il ruolo della protezione legale è importante soprattutto nei confronti
di questi ultimi.
NB.: il modello ci fa capire che l’apertura al commercio internazionale
favorisce la produttività media, legata alla riallocazione delle risorse
tra le imprese, ma questa riallocazione dipende dalle caratteristiche
del mercato del lavoro.
32
Esportare o investire all’estero.
Le imprese possono servire il mercato estero anche investendo
direttamente nei paesi di esportazione. L’impresa diventa in
questo caso una multinazionale (MNE - Multinational Entreprise).
Il modello di Melitz può essere esteso per analizzare il caso dei FDI
(Foreign Direct Investment).
L’analisi è condotta con riferimento ai FDI orizzontali, ovvero quando
le sussidiarie forniscono il mercato locale del paese ospitante. Si
hanno FDI verticali quando le sussidiarie creano valore aggiunto
per prodotti che non sono necessariamente destinati al paese
ospitante.
33
Source: WTO, Trade statistics; UNCTAD, World Investment Report
34
Mondo: flussi di investimenti diretti esteri per aree
di destinazione, 1980–2009
(valori in miliardi USD)
35
FDI: USA, UK e Giappone
1914 - 2009
La quota della Cina sui FDI mondiali è passata dal 1% in 1991 al 6% circa nel
2009.
36
Foreign Direct Investment.1
Supponiamo che un’impresa voglia fornire un mercato estero tramite FDI.
I profitti da FDI dell’impresa sono, in analogia al caso precedente, dati da:

c

 
x j  cf I
I j  pj xj 
j
Da questa espressione si ottengono i prezzi di equilibrio:
Il profitto si può riscrivere:

I j 
1
 1j 

c
A 




1
1     cf I
Posto, come in precedenza:
Se



 c 
BI  A  
 
1
I
p 

j
c 1
j 
 pˆ j
 j    1 BI  cf I
1   

l’impresa sarà attiva sul mercato estero mediante FDI.

I j 0
Ciò significa che:
 j 1 
cf I
BI
37
Foreign Direct Investment.2
Confronto tra Export e FDI
Il confronto è tra i profitti. Solo se:


l’impresa diventa MNE.



X
j I
j
Ovvero:

1  1 
1





B

cf



B
 cf X
X
j
j
X

 1 




B

cf


B
I
j
j
I
I
I  cf I
Non possiamo ordinare in modo univoco le due grandezze perché
esiste un trade-off tra concentrazione (tutti gli impianti nello stesso
paese) e vicinanza ( tra mercato domestico ed estero).
38
Foreign Direct Investment.3
In termini economici ciò significa che occorre confrontare le perdite di
economie di scala che si determinano in seguito alla duplicazione
degli impianti all’estero (come scelta di FDI) espresse dalla
relazione: f X < f I e i minori costi variabili di trasporto in caso di
FDI:

c  c
Le indicazioni che emergono e che potrebbero essere oggetto di analisi
empirica:
- Il rapporto tra il fatturato prodotto all’interno e destinato
all’esportazione e il fatturato prodotto all’estero dalle affiliate è più
elevato nelle industrie con costi fissi e/o variabili (iceberg costs) più
elevati;
-
Il rapporto diminuisce al crescere della dimensione del mercato da
servire e della sua domanda.
39
Foreign Direct Investment. 4
Quali imprese decidono di servire il mercato estero mediante FDI?
Confrontiamo le diverse funzioni di profitto, considerate finora, e
introduciamo alcune ipotesi semplificatrici:
 B - B  BI
paesi;



e
c  c
f I    1 f x  f D
ovvero il livello della domanda è lo stesso nei diversi
esistono economie di scala.
Ne consegue che, solo le imprese più produttive scelgono di servire il
mercato estero tramite FDI e vale la relazione:
 D   X   I
40
Foreign Direct Investment. 5
Quali imprese decidono di servire il mercato estero mediante FDI?
πj
 I
ˆ D
ˆ X
- cfD
- cfX
- cfI
D
 1 B 
B
 X
 I
B I
Θ = θ ɛ-1
41
Foreign Direct Investment.6
Considerazioni:
- Le imprese con produttività più bassa, che si collocano alla sinistra di
 D (ovvero Θ < ΘD ), fanno perdite e lasciano il settore.
- Le imprese con produttività: ΘD < Θ < ΘX servono solo il mercato
interno.
- Le imprese con produttività: ΘX < Θ < ΘI esportano e servono il
mercato interno.
- Le imprese con produttività: Θ > ΘI investono in FDI e servono il
mercato interno.
Se ne deduce che le MNE hanno una produttività più elevata delle
imprese che esportano. Queste, a loro volta, hanno una produttività
maggiore delle imprese che servono solo il mercato interno.
42
Foreign Direct Investment.7
L’analisi empirica consente di cogliere altri tratti rilevanti:
- Le MNE più produttive dispongono di un numero elevato di affiliate in
diversi paesi.
- I paesi con reddito più elevato sono più attraenti per le MNE sia perché
presentano costi più bassi per FDI, sia perché presentano una
domanda più elevata.
Nella realtà le imprese perseguono delle strategie complesse di
integrazione che comportano la scelta di FDI sia orizzontali che
verticali. Questa consiste nel frammentare la produzione distribuendo le
diverse fasi del processo tra i paesi ospitanti e il paese d’origine (H Home).
Ad esempio le sussidiarie importano prodotti intermedi da H e vendono
i prodotti finiti nel paese ospitante, ma possono anche esportare
prodotti finiti in H o in altri paesi sia alle loro affiliate che ad altre
imprese.
43
Strategie di integrazione. 1
Consideriamo un modello semplificato, che unisce le caratteristiche del modello di
Melitz (eterogeneità delle imprese) i e due tipi di FDI, che consente di analizzare
le scelte compiute dalle imprese per servire il mercato.
Introduciamo alcune ipotesi:
 3 paesi: 2 al Nord e 1 al Sud; la funzione di domanda dell’impresa
j-esima del paese i è la consueta:
x ij  Ai ( p j  ) i dove A1N  AS e A2 N  AS

Nei paesi del Nord vi sono n imprese che producono beni differenziati. Ogni
impresa ha una funzione di produzione (concava e con rendimenti di scala
costanti) :
dove
i
y j   j F m, a 



m è il bene intermedio
a è l’assemblaggio
L’elasticità di sostituzione tra m e a è inferiore a 1.
Ogni merce può dunque essere prodotta con diverse combinazioni di
assemblaggio e prodotti intermedi
44
Strategie di integrazione. 2
Entrambi sono prodotti con un input più costoso al Nord (es. lavoro)
cN  cS per cui è più vantaggioso localizzare l’attività al Sud in
assenza di altri costi.
Semplifichiamo ulteriormente l’analisi ipotizzando che:
• non ci sono costi fissi di entrata (fD);
• non ci sono costi fissi di esportazione (fX);
• τ=1 i costi iceberg sono nulli.
Tuttavia per comprendere le scelte di localizzazione è ragionevole
pensare che un’impresa che localizza entrambe le attività al Nord non
sostiene costi, mentre sostiene il costo g se localizza la produzione e
il costo f se localizza l’assemblaggio in un altro paese.
Considerando il suo livello di produttività , l’impresa può seguire quattro
possibili strategie, corrispondenti alle aree illustrate nella figura che
segue.
45
Strategie di integrazione. 3
Supponendo di mantenere fisso il costo ( f ) di assemblaggio e
consideriamo lo spazio dove si collocano le imprese dato dalle
produttività sulle ascisse
    1
e dai costi di produrre all’estero ( g ) sulle ordinate:
g
H, S
H, H
A
S, S
C
S, H
Θ
46
Strategie di integrazione. 4
Consideriamo alcune scelte delle imprese in presenza di livelli diversi
di ( g ):
Livelli bassi:
• le imprese meno produttive (A) svolgono entrambe le attività in H,
non fanno FDI;
• le imprese con livelli intermedi di Θ come (C ) scelgono di
produrre a Sud e di assemblare in H con parziale FDI;
• le imprese con Θ elevato decidono di svolgere entrambe le attività
al Sud.
Ciò significa che le imprese meno produttive svolgono tutte le attività
in H ed esportano il prodotto al Sud o nell’altro paese al Nord,
mentre quelle più produttive fanno FDI totale e il prodotto finale
viene esportato nei 2 paesi al Nord.
IL Sud fa da piattaforma per esportare nel resto del mondo.
47
Strategie di integrazione. 5
Livelli intermedi.
Vi sono solo due strategie ottimali:
• Le imprese con bassa Θ svolgono tutte le attività in H;
• Le imprese con alta Θ svolgono tutte le attività al Sud.
Livelli elevati.
Vi sono ancora tre strategie:
• Le imprese con bassa Θ svolgono tutte le attività in H;
• Le imprese con alta Θ svolgono tutte le attività al Sud;
• Le imprese con Θ intermedia producono in H e assemblano al Sud
dove (f ) è rimasto costante.
La figura mostra anche che per una data distribuzione di Θ la quota
delle imprese che fanno tutto in H cresce con l’aumentare dei costi
(g) mentre il numero delle imprese che fanno tutto al Sud diminuisce
con il diminuire di (g) .
Offshoring e outsourcing. 1
Si
cercherà ora di analizzare congiuntamente le scelte
organizzative delle imprese (in/out) con quelle relative alla
localizzazione (offshore/inshore).
Si
tratta
di
affrontare
l’analisi
delle
scelte
di
internalizzare/esternalizzare nel contesto dell’analisi dei FDI.
In precedenza avevamo considerato la possibilità che le imprese
producessero beni intermedi, li assemblassero e vendessero i
prodotti finiti in H o all’estero. Non si era considerata la
possibilità che i beni intermedi potessero essere acquistati
anche da imprese non affiliate oltre a quelle affiliate.
Si tratta di una decisione rilevante ai fini della definizione della
forma organizzativa e investe sia la scelta di produrre beni
intermedi che di assemblarli in H o all’estero.
49
Offshoring e outsourcing. 2
Queste scelte sono rilevanti per comprendere l’andamento delle
esportazioni e dei FDI caratterizzato da due fatti:
– Un aumento del flusso di beni e servizi intermedi dalle
imprese non affiliate, in H o all’estero, in seguito
all’introduzione di nuove tecnologie: CAD (Computer Aided - Design) e CAM (Computer – Aided _
Manufacturing). Ciò, in presenza di mutamenti istituzionali
del mercato del lavoro, ha favorito lo sviluppo
dell’outsourcing (acquisto di input o servizi da un’impresa
non affiliata).
– Un aumento dell’acquisizione di input da paesi esteri sia
con l’outsourcing che tramite le imprese affiliate (FDI).
50
Offshoring e outsourcing. 3
Le scelte sono tra:
(A) integrarsi o non integrarsi
(B) all’estero o in H.
Ci sono quattro alternative possibili:
Home (Onshore)
Offshore
Outsourcing
Integration
Dove si colloca un’impresa?
51
Offshoring e outsourcing. 4
Dove si colloca un’impresa?
I modelli interpretativi sono diversi:
a. Analisi basata sull’approccio dei costi di transazione, per
definire i confini dell’impresa;
b. Analisi
sulla
base
di
incentivi
manageriali
all’internalizzazione;
c. Analisi basata sull’approccio dei diritti di proprietà che si
fonda sulla teoria dei contratti incompleti.
Consideriamo quest’ultimo modello seguendo i contributi di
Helpman, Grossman e Antràs che sembrano cogliere meglio
alcuni fatti stilizzati.
52
Offshoring e outsourcing. 5
In particolare questo modello aiuta a comprendere perché:
1. La frazione di scambio intrafirm sullo scambio totale è correlato
positivamente con l’intensità fattoriale, rapporto capitale/lavoro
(K/L) delle diverse industrie negli USA e il K/L dei paesi da cui
gli USA importano.
2. Le differenze nei sistemi legali tra i diversi paesi generano dei
vantaggi comparati che influenzano i pattern of trade.
3. Data l’ipotesi di livelli di produttività diversi tra imprese dello
stesso settore, prevalgano forme alternative di organizzazione
della produzione internazionale in funzione delle caratteristiche
settoriali e dei modelli di scambio.
Il
trade-off di base è
dell’internalizzazione.
relativo
ai
costi
e
ai
benefici
53
Offshoring e outsourcing. 6
Supponiamo che un prodotto, che può essere realizzato
internamente o scambiato, abbia le caratteristiche taylor-made
e non standard.
Ciò significa che le caratteristiche di questo prodotto, quando è
oggetto di scambio, sono così complesse da non poter essere
definite per via contrattuale ed è possibile definire il prezzo solo
dopo che è stato realizzato il prodotto.
Di conseguenza il contratto sulla base del quale viene definito
lo scambio, non potendo specificare i requisiti, non può essere
vincolato al giudizio di un tribunale (no enforceable in a court of
law.)
N.B.: Nella realtà questo tipo di beni genera un surplus più elevato
e ciò è rilevante ai fini dell’analisi dell’efficienza.
54
Offshoring e outsourcing. 7
Seguendo Helpman, immaginiamo che un soggetto (F) possiede
la tecnologia e le conoscenze per produrre un bene intermedio
(head-quarter services - h) che solo lui può fornire.
Per produrre il bene finale occorrono 2 beni intermedi:
 (h) ;
 (m) che può essere prodotto da un soggetto (S) che opera fuori
dall’impresa.
Il costo per produrre il bene intermedio m è (c). Si tratta di un
sunk cost e non viene considerato rilevante al momento
dell’accordo, ma è rilevante al momento della decisione di
produrre il bene intermedio.
55
Offshoring e outsourcing. 8
I° caso:
Il produttore F non raggiunge un accordo con S, di conseguenza
non utilizza l’input intermedio taylor-made bensì un bene
intermedio standard che ottiene da un produttore di beni
intermedi standard e realizza un profitto pari a :
πo ≥ 0 [outside option di F]
In assenza di accordo S vende il prodotto intermedio e ottiene:
σ o > 0 [outside option di S]
che sarà tanto più basso tanto più specializzato è il prodotto
intermedio (vicino alle esigenze di F).
Se nessuno, oltre a F, può usarlo allora:
σo= 0.
56
Offshoring e outsourcing. 9
II° caso:
Se F e S raggiungono un accordo sul prezzo del bene intermedio
taylor-made. F fa un profitto pari a:
π1 > πo
Poiché c è un sunk cost, allora S cercherà di ottenere una parte
del surplus che si genera dall’accordo.
Immaginiamo di modellare un gioco a 2 stadi.
- Nel primo stadio, F decide se produrre il bene intermedio e se
non lo fa quali caratteristiche richiedere al fornitore S.
- Nel secondo stadio, S fornisce il prodotto e si contratta sul
pagamento.
57
Offshoring e outsourcing. 10
Risolviamo il gioco partendo dal secondo stadio, ovvero dalla
contrattazione finale sapendo che, in base all’ipotesi di Nash
bargaining solution, i soggetti hanno, rispettivamente, un
potere negoziale β [F] e 1-β [S] dove   0,1
Se F e S dispongono di informazioni complete, riescono anche
a trovare un accordo vantaggioso per entrambi.
Posto PS il prezzo pagato al fornitore, il payoff per F è: π1 – PS
e il payoff per S è: PS.
I due payoff sono il risultato dell’esercizio del potere
negoziale che ha portato i due contraenti a ripartirsi il surplus
totale che è pari a:
1   0   0  0
Ovvero π1 al netto delle outside options dei due contraenti.
58
Offshoring e outsourcing. 11
Possiamo riscrivere il payoff di F come:
 1  PS  0   1   0   0 
e il payoff di S:
PS  0(1   ) 1   0   0 
Naturalmente S deve avere prodotto l’input intermedio e ciò avviene
se: PS ≥ c
N.B.: L’integrazione verticale è più probabile (quindi meno probabile
che S fornisca il bene t-m) tanto più è:
 elevato il valore di β, che corrisponde ad un potere negoziale maggiore da parte
di F, tale da indurre S a non fornire beni t-m;
 elevata specificità del bene intermedio (σ0 piccolo). Anche in questo caso S è
indotto a non fornire il bene intermedio t-m;
 ampia la scelta delle alternative possibili (π0 è elevato).
59
Offshoring e outsourcing. 12
La scelta tra outsourcing e integrazione è influenzata in modo
significativo dagli incentivi che F vuole lasciare a S e che
sono legati all’intensità fattoriale contrattuale (Helpman p.609).
Non si tratta della quantità di fattori richiesta per ottenere
un prodotto (come nella definizione di intensità fattoriale),
ma della quantità di fattore intermedio che è sotto il
controllo finale e diretto di F.
Ciò significa che, in quest’ultimo caso, F avrà meno
problemi di agenzia rispetto al caso di fornitura da parte di
S.
N.B.: Le due intensità fattoriale sono correlate.
60
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 1
Consideriamo un’industria con prodotti differenziati. La funzione di
domanda della singola impresa è:
x j  Ap

j
da cui
1
pj   
 A
1

1
xj

con
 
1
1
1
La funzione di produzione dell’impresa è una Cobb-Douglas, dove entrano
due fattori che sono prodotti con il lavoro:
hj = head-quarters services, realizzati solo dall’impresa j;
mj = prodotto intermedio che può essere realizzato da un fornitore
all’interno o all’esterno dell’impresa j.
 hj
x j   j 





 mj 


1  
1
dove 0 < η < 1 è l’intensità fattoriale.
Ovvero, al crescere di η cresce l’impiego di hj nella produzione.
N.B.: L’internalizzazione è relativa solo al fattore m.
61
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 2
La funzione dei ricavi è:
1
Rj  p j xj   
 A
1 / 
1
x j 1 /  x j   
 A
1 / 
x
 1

j
1
 
 A
 1 
x j  A1  x j
Sostituendo in Rj l’espressione della funzione di produzione si ottiene:
  hj
1 
 j 
Rj  A
  




 mj 


1  
1




La ripartizione di Rj avviene, come abbiamo detto in precedenza, in
modo contrattuale ed è condizionata dal potere delle due parti
contraenti:
β per il produttore F e (1- β) per il fornitore del bene intermedio.
62
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 3
Outsourcing. In questo caso le outside options delle due parti sono pari
a zero perché i beni intermedi sono taylor-made a un livello tale da
non avere alternative sul mercato. Una parte (F) riceverà la frazione
β, e l’altra la frazione (1- β) , del ricavo totale Rj.
Integrazione. In questo caso S è un dipendente di F, quest’ultimo
possiede entrambi i beni intermedi. Possiamo supporre che S non
sia molto cooperativo e, alla fine, F riesce a produrre una quota
inferiore di produzione (δ) della produzione che avrebbe ottenuto nel
caso precedente.

1 

ˆ
R
(
h
m
)

A

x


R j (h j m j )
La outside option di F è:
j
j
j
j
La outside option di S è uguale a zero.
 
63
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 4
Come conseguenza della contrattazione finale, F può ricevere una
frazione βV del ricavo totale Rj e S riceve la frazione restante 1-βV.
In dettaglio:
    1     R j   V R j


1   1    R j


 1  V Rj
Dove βv può essere riscritto come:
 v      1   
Che rappresentano le quote in cui viene ripartito il ricavo totale Rj
N.B.: I parametri β e βV sono esogeni, ne consegue che non
necessariamente consentono di massimizzare i profitti.
64
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 5
Un modo per capire quale sarà l’organizzazione (outsourcing o
integrazione) scelta da F è quello di individuare la ripartizione del
ricavo totale Rj che egli considera ottimale (β*) perché corrisponde
alla massimizzazione dei suoi profitti.
Poiché sia h che m sono indispensabili per la produzione, il valore di β
sarà compreso nell’intervallo:
0< β<1
Non può essere 0 perché F non avrebbe incentivo a fornire h , e non può
essere 1 perché S non fornirebbe m.
N.B.: La quota dei ricavi di ciascuna delle due parti è funzione crescente
dell’intensità del suo fattore. Nel caso di h, è misurata da η:
β*=0 per η=0 e β*=1 per η=1 ;
è concava per valori bassi e convessa per valori alti di η.
65
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 6
La figura illustra la distribuzione delle quote dei ricavi nel caso di
outsourcing (β) e di integrazione (βV).
1
β*(η)
βV
β
ηM
Out
ηH
IV
1
η
66
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 7
Quando la produzione è intensiva nella componente mj (ovvero η è
basso; es. ηM ), β si trova sopra le quote ottimali: β > β* e βV > β* .
Inoltre poiché βV > β è preferibile l’outsourcing all’integrazione.
Quando la produzione è intensiva nella componente hj (ovvero η è
alto; es. ηH ), β si trova sotto le quote ottimali: β < β* e βV < β* .
Inoltre poiché βV > β è preferibile l’integrazione all’outsourcing.
Le frecce mostrano la direzione dei profitti. Vale a dire che i profitti
aumentano quando la quota di F si muove verso β*
In conclusione, considerando esclusivamente gli incentivi, il produttore
F preferisce l’outsourcing nelle industrie con mj intensivo e
l’integrazione nelle industrie con hj intensivo.
Tuttavia la decisione finale deve tener conto alla diversità dei costi
legati ai diversi modi di organizzare la produzione.
67
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 8
Ampliamo il modello per includere anche la localizzazione
organizzativa prevista dallo schema iniziale.
L’ipotesi ulteriore è quella di considerare livelli di produttività diversi tra
le imprese all’interno di industrie diverse (Global Sourcing, Antràs
e Helpman 2004).
Come nel modello proposto da Melitz, un impresa entra nell’industria
senza conoscere il suo livello di produttività θ . Solo dopo essere
entrata e avere conosciuto la sua produttività, l’impresa può
decidere la sua forma organizzativa.
Il modello che consideriamo ora comprende pertanto sia la diversa
intensità fattoriale che i diversi livelli di produttività nell’industria in
cui operano.
Ciò consentirà di individuare i possibili equilibri relativi alle quattro
forme organizzative che abbiamo richiamato.
68
Contratti incompleti e scelte delle imprese*. 9
Consideriamo due paesi: Nord e Sud con livelli salariali diversi: wN > ws
- il lavoro è l’unico input primario;
- il bene h è prodotto solo a N dove si trovano i produttori finali;
- il bene intermedio m può essere prodotto a N o a S con la stessa
tecnologia (input di lavoro), da cui consegue che m è meno costoso
a S (costo variabile) .
Inoltre, ipotizziamo che:
- i costi fissi di outsourcing o di integrazione sono diversi tra loro e
variano tra N e S:
fS  fS  fN  fN
V
S
f
dove V
f OS
-
O
V
O
è il costo di integrazione a S (FDI)
è il costo di fare outsourcing a S
tutti i costi sono espressi intermini di lavoro del N.
69
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.10
Caso m-intensive
Nel caso ipotizzato, con settori con m-intensive, è preferibile fare
outsourcing a integrare perché outsourcing presenta:
•
costi fissi minori;
•
costi variabili inferiori (perché nelle industrie dove m è
intensivo si ha η basso e quindi maggiori incentivi ai
fornitori di beni intermedi).
Quando l’outsourcing è preferibile all’integrazione nei settori con
m-intensive, occorre individuare il trade-off tra outsourcing
domestico e all’estero. Il trade-off avviene con riferimento ai
costi variabili al Sud, dove sono più bassi, e i costi fissi più
bassi al Nord. Infatti: f OS  f ON
70
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.11
La scelta dell’impresa dipende dal suo livello di produttività
 OS = profitti dell’impresa che fa outsourcing a S
 N = profitti dell’impresa che fa outsourcing a N
O
π
 f
 OS
N
O
    1
M
D
 ON
 f OS
Uscita
Outsourcing
aN
Outsourcing a S
71
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.12
Nella figura precedente, i profitti dell’impresa che fa outsourcing a S o a
N sono funzioni crescenti della produttività, come nel modello di
Melitz.
La funzione di profitto nel caso di fare outsourcing a N è meno inclinata
rispetto a quella di fare outsourcing a S, perché i costi variabili sono
più alti a N mentre l’intercetta (che dipende dai costi fissi) è minore.
Possiamo osservare i diversi tipi di organizzazione:
- le imprese con produttività Θ < ΘD escono dal settore;
- le imprese con produttività Θ > ΘM importano bene intermedio da
imprese non affiliate a S;
- le imprese con produttività ΘD < Θ < ΘM importano bene intermedio
da imprese non affiliate a N.
In definitiva, solo le imprese con alta produttività fanno outsourcing
all’estero.
72
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.13
Caso h-intensive
In questo caso l’analisi degli incentivi porta a preferire
l’integrazione all’outsourcing. Tuttavia la scelta di integrare
comporta costi fissi più elevati dell’outsourcing.
Consideriamo inizialmente solo il problema della scelta tra
integrazione e outsourcing a N, escludendo quello della
localizzazione tra N e S.
Le funzioni di profitto che confrontiamo sono pertanto quelle
dei profitti da integrazione  VN e da outsourcing  ON a N.
73
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.14
 VN = profitti dell’impresa che fa integrazione a N
 ON = profitti dell’impresa che fa outsourcing a N
π
 f
 vN
N
O
D
 ON
    1
M
 f VN
Uscita
Outsourcing
Integrazione
74
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.15
Si tratta, come in precedenza, di funzioni crescenti nella produttività. La
 VN è più inclinata della  ON perché l’integrazione nei settori
h-intensive fornisce più incentivi e ha un’intercetta più elevata:
perché è più costoso fare integrazione a N.
fVN  f ON
Anche in questo caso, possiamo osservare i diversi tipi di
organizzazione:
- le imprese con produttività Θ < ΘD escono dal settore;
- le imprese con produttività Θ > ΘM fanno integrazione;
- le imprese con produttività ΘD < Θ < ΘM fanno outsourcing.
In definitiva, proprio perché è più costoso fare integrazione a N:
solo le imprese con produttività più elevata fanno integrazione.
75
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.16
Possiamo ora combinare l’analisi della scelta tra integrazione e
outsourcing al N con quella della localizzazione tra N e S.
Ricordando che la scelta di offshoring a S presenta dei vantaggi in
termini di costi variabili, che sono più bassi a S che a N, e degli
svantaggi in termini di costi fissi, che sono più elevati a S, possiamo
costruire lo schema seguente:
π
uscita
Outs
N
Integrazione
N
Outsourcing S
Integrazione a S (FDI)
    1
76
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.17
Come leggere lo schema:
Le imprese meno produttive escono dal settore.
Al crescere del livello di produttività delle imprese, osserviamo che le
imprese più produttive producono il bene intermedio al S ovvero
fanno FDI.
Le imprese che stanno nel segmento centrale, al crescere della
produttività, fanno:
- outsourcing a N, le meno produttive del gruppo ;
- integrazione a N, quelle che stanno in posizione intermedia;
- outsourcing a S le più produttive.
77
Contratti incompleti e scelte delle imprese*.18
Alcuni risultati:
- offshoring diminuisce con il crescere dell’intensità fattoriale di h ,
ovvero per valori di η elevati;
- una più elevata dispersione della produttività porta ad un aumento
di offshoring. In particolare, nei settori:
- m-intensive vi è maggiore outsourcing a S;
- h-intensive vi è maggiore integrazione e outsourcing a S.
- l’aumento dei vantaggi competitivi a S, che può essere il risultato
del declino dei salari relativi a S o di una minore protezione a N,
aumenta l’offshoring in tutti i settori.
Inoltre, nei settori h-intensive l’outsourcing all’estero dei prodotti
intermedi cresce proporzionalmente di più dell’acquisto degli stessi
prodotti dalle filiali estere.
78
Conclusioni
Le teorie recenti studiano i comportamenti legati all’organizzazione e
alla localizzazione delle imprese e forniscono nuove spiegazioni
alla struttura del commercio internazionale e dei FDI tra le
industrie e al loro interno.
Ad esempio consentono di analizzare nuove fonti di vantaggi
comprati come il grado di eterogeneità all’interno dell’industria e la
qualità delle istituzioni contraenti.
L’eterogeneità che viene intesa come la differenza nella produttività
delle imprese e delle industrie e come differenza nelle forma
organizzative.
Nell’ambito di queste teorie gli scambi e i FDI vengono determinati
congiuntamente alle strutture organizzative come outsourcing e
integrazione.
79
Fatti stilizzati. 1 (Ottaviano 2008)
La performance di un paese sul piano internazionale dipende da un
piccolo numero di imprese in grado di competere con le altre. Per
riprendere il legame tra “micro” e “macro” rileviamo che le
indicazioni di politica economica che emergono sono pertanto quelle
di favorire l’aumento del numero delle imprese piuttosto che un
aumento dell’attività delle imprese già presenti.
Poiché le imprese che esportano sono anche quelle più grandi, il
suggerimento è quello di favorire sia la crescita dimensionale che
quella della produttività piuttosto che incoraggiare le esportazioni e i
FDI.
L’analisi di Ottaviano coglie alcuni fatti stilizzati che caratterizzano il
commercio internazionale di alcuni paesi europei.
N.B.: per alcuni paesi i dati coprono tutte le imprese, in altri casi (Fr,UK,G,U,It) si hanno
solo dei campioni.
80
Fatti stilizzati. 2 (Ottaviano 2008)
FATTO 1: Ristretto n° di imprese esportatrici
(Tab.1 p.224) – campione esaustivo:
1% copre il 45% delle esportazioni aggregate;
5% copre il 70% “
“
10% copre il 80% “
“
FATTO 2: Solo alcune imprese esportano una quota ampia di
fatturato
5% esporta il 90% del fatturato e copre il 10% delle exp. totali.
25% esporta il 50% del fatturato e copre il 70% delle “
“
81
Fatti stilizzati. 3 (Ottaviano 2008)
Poiché poche imprese esportano una quota molto elevata, se ne
deduce che sono grandi imprese.
Finora abbiamo un riscontro del modello analitico.
Aggiungiamo ora un altro fatto, relativo ad un aspetto non
considerato nell’analisi precedente (il caso multiproduct e
mutimercato).
FATTO 3: Le imprese esportatrici esportano molti prodotti su
molti mercati.
Le imprese che esportano più di 10 prodotti in più di 10 mercati
coprono il 70% delle esportazioni.
NB.: Le imprese grandi con molta varietà di prodotti sono capaci di
affrontare la concorrenza internazionale.
82
Fatti stilizzati. 4 (Ottaviano 2008)
Considerando come indicatore di θ la produttività del lavoro, l’analisi
condotta sui dati del Belgio, offre un riscontro interessante ai
risultati teorici (cfr Fig. 4, p.234).
La distinzione tra imprese: domestiche; esportatrici; esportatrici e
FDI; mostra livelli di produttività crescenti.
A questo si aggiunge un altro fatto stilizzato (ancora oggetto di
analisi perché vale per alcuni paesi):
le imprese che esportano, dopo l’entrata sui mercati esteri
diventano più produttive, probabilmente perché si muovono più
rapidamente lungo la traiettoria della performance.
83
Fatti stilizzati. 5 (Ottaviano 2008)
Le determinanti delle esportazioni e degli FDI.
Per questa analisi viene considerata l’ “equazione gravitazionale”
che usa la dimensione economica di un paese e le diverse
barriere agli scambi per spiegare E e FDI.
I dati mostrano che i commerci internazionali sono influenzati:
positivamente dalla dimensione dei diversi paesi;
negativamente dalle barriere che aumentano con il crescere
della distanza tra i paesi.
Ciò giustifica la definizione di equazione gravitazionale in analogia
alla legge di Newton sulla gravitazione universale.
84
Fatti stilizzati. 6 (Ottaviano 2008)
In particolare, la dimensione e la distanza tra paesi influenzano:
- il numero delle imprese esportatrici (margine estensivo - ME);
- le esportazioni medie per impresa (margine intensivo - MI)
Si possono considerare separatamente ME e MI come due componenti
delle esportazioni.
In generale si osserva che le nazioni più grandi esercitano una
maggiore attrazione.
Più in dettaglio si osserva che le forze gravitazionali influenzano
maggiormente il ME.
La riduzione del n° delle imprese è legato alla maggiore distanza.
FATTO 7: L’effetto principale della dimensione di un paese è
legato all’aumento del n° delle imprese esportatrici.
85
Fatti stilizzati. 7 (Ottaviano 2008)
Nel caso dei FDI, il modello gravitazionale consente la
scomposizione tra ME e MI per capire come le forze
gravitazionali influenzano le vendite delle multinazionali
attraverso le loro filiali.
Anche in questo caso il ME (n° affiliate) sembra essere più
determinante di MI (vendite medie per affiliata).
FATTO 12: L’attività delle multinazionali si manifesta
soprattutto attraverso il n° delle affiliate.
L’attrazione dei paesi più grandi o più vicini a quelli del paese
d’origine dei FDI determina un aumento del numero delle
affiliate piuttosto che del volume delle vendite medie per
affiliata.
86
Note
Spiegazione diseguaglianza p. 40:
f I    1 f x  f D
cf x
cf D
;


D
B
 1 B 
 D
X 
X
cf x
cf D

B
 1 B 
posto
B  B
semplifica ndo
fX

1
 fD
ovvero  1 f X  f D
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