DOVE VAI, PASTORE? CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PASSI SULLE

Transcript

DOVE VAI, PASTORE? CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PASSI SULLE
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2006)
DOVE VAI, PASTORE? CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PASSI SULLE
TRACCE DEL GREGGE
di Marzia Verona
INTRODUZIONE
La transumanza è un momento di forte attrazione per qualsiasi pubblico che abbia occasione di assistervi: suscita nell’osservatore un richiamo verso un mondo sconosciuto, che immagina diverso da quello artificiale e caotico in cui si trova, sognando di potersi unire al pastore ed
alle sue bestie per poterlo seguire in un cammino libero, respirando aria pura e vivendo giornate dai ritmi più naturali. La realtà è tuttavia differente, oggi più che mai il transito degli
animali è soggetto a limitazioni, ma il gregge che passa continua ad avere un fascino irresistibile (fig. 7).
Il titolo della ricerca, che coincide con quello dell’opera di prossima pubblicazione, è una
duplice domanda: da un lato è l’interrogativo che si pone chiunque veda passare un gregge in
transumanza, e che rivolgerà spesso al pastore, ma, nel contempo, è anche una riflessione sul
futuro della pastorizia nomade. In entrambi i casi, non si può dare una risposta. Il pastore tende a non rivelare mai la propria meta, per tutelarsi contro chi potrebbe avere interesse a precederlo o chi vorrebbe costringerlo a cambiare destinazione. Il futuro invece è incerto, tra il
progresso che assorbe e trasforma il territorio, lasciando sempre meno spazio alla pastorizia
nomade, e leggi e divieti atti a limitare la fruibilità delle poche risorse ancora disponibili, rendendo sempre più complessa un’attività tra le più antiche che esistano.
Questa ricerca si occupa dei pastori che praticano il pascolo vagante in Piemonte, quantificabili in 35 greggi con oltre 40.000 capi monticati in alpeggio nelle vallate delle province piemontesi. Venti di questi sono oggetto delle interviste raccolte nella seconda parte dell’opera.
È una realtà poco conosciuta, per quello che riguarda il Piemonte, tanto che spesso viene ricordata solo per quanto concerne il passato, mentre è ancora ben presente, con persone delle
più diverse età ad occuparsene, coadiuvati da garzoni ed aiutanti. Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento del numero dei capi nelle greggi e, contemporaneamente, alla
ripresa degli spostamenti a piedi, senza più l’utilizzo di autotreni, essenzialmente per motivi
economici. Il costo è ingente, inoltre, pascolando lungo la via, si risparmiano le risorse in pianura, essenziali per il superamento dell’inverno.
Una delle problematiche più evidenti è proprio quella dello spostamento lungo le vie di
comunicazione, che va ad intralciare altre attività ed il normale transito di auto, bus e camion. Quello che in Italia è un momento difficile, caratterizzato da scontri, discussioni ed anche sanzioni, altrove è vissuto come un momento di grande attrazione turistica. Ne sono un
esempio le Feste della Transumanza che si tengono annualmente in Francia.
I pastori rivendicano una visibilità ed un rispetto che forse non hanno mai avuto, etichettati come zingari e ladri (ladri d’erba, s’intende). Non si parla mai di loro, se non negativamente, ed il loro nomadismo è visto con sospetto dagli stanziali, siano essi appartenenti al mondo
rurale che ad altre classi della società.
2
VERONA
La seconda parte dell’opera è composta dalle interviste realizzate con i diversi
pastori, ma soprattutto vede lo scorrere delle stagioni
in compagnia di alcuni di
loro, dal primo incontro con
questa realtà fino ad addentrarsi alla scoperta di un
mondo difficile, complesso,
talvolta spietato, in cui i
protagonisti sono gli uomini
ed i loro animali, con i quali
il rapporto d’amore è fortissimo, una passione che è il
vero motore di quest’attiviFig. 1 - Alpe Tour, Val Cenischia, agosto 2005
tà. In prima persona l’Autrice narrerà la discesa dall’alpeggio, il lungo inverno nella pianura, tra le colline astigiane e
nelle stoppie incolte del mais e delle risaie, in attesa della prima erba primaverile, il pascolo
lungo i corsi d’acqua e nei pioppeti, fino alla tosatura ed al momento di risalire le valli verso
le montagne, in una continua transumanza fatta di centinaia di migliaia di passi. Problemi
antichi e recenti vanno a rendere più difficile quest’attività: le nuove esigenze del progresso, i
cambiamenti climatici, la siccità, il ritorno del lupo nelle vallate piemontesi, l’esistenza di
alcune greggi ‘abusive’ che, in pianura, hanno sovvertito leggi ed accordi non scritti tra i contadini ed i pastori, facendo sì che anche chi lavorava in modo serio e rispettoso venisse messo
al bando e pagasse per colpe non sue.
MATERIALE
E METODI
La ricerca nasce in modo casuale, per interesse personale dell’Autrice: durante il
«Censimento delle strutture d’alpe» per conto della Regione Piemonte, scopre il ‘pascolo vagante’ e le persone che ancora lo praticano. Inizia pertanto a seguire alcuni di questi pastori
e, parallelamente, si documenta sulle origini storiche dell’allevamento ovino transumante in
Piemonte e nella confinante Francia. Per meglio comprendere la realtà del pascolo vagante,
compie una ricerca sulle normative che lo regolano dal punto di vista sanitario, ma anche per
quello che concerne la movimentazione delle greggi e l’utilizzo delle risorse foraggiere nei
diversi periodi dell’anno. Viene inoltre dimostrata la validità del pascolamento razionale come
forma di gestione del territorio, sia per quanto riguarda l’area di alpeggio che le fasce di media montagna e collina, attraversate durante la transumanza qualora questa avvenga ancora a
piedi.
Si esamina inoltre il tema del ritorno del lupo, dal momento che la ricomparsa di questo
predatore in molte delle valli alpine piemontesi ha radicalmente mutato il sistema di conduzione delle greggi, richiedendo una costante presenza del pastore, utilizzo di recinzioni elettrificate ed impiego di cani da difesa opportunamente addestrati.
Nello stesso tempo lo studio procede sul campo, attraverso le interviste con la maggior
3
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2006)
parte dei pastori che ancora praticano il pascolo vagante salendo in alpeggio nelle valli delle
province di Torino e Cuneo. Due di essi vengono seguiti costantemente per oltre un anno: il
primo si sposta a piedi sia in salita che in discesa dall’alpeggio con circa 700-800 animali, ma
nella stagione invernale affitta anche una cascina in cui ricoverare le fattrici con gli agnelli,
pertanto sfrutta un’area limitata di pascoli nella pianura pinerolese e ricorre anche a foraggio
secco. Il secondo ha un gregge di dimensioni molto maggiori (oltre 1.500 unità), con il quale si
sposta fin nell’area astigiana ed alessandrina, ricorrendo al trasporto via camion nella stagione
tardo-primaverile per tornare in alpeggio. Questo secondo gregge non ha un’area fissa di pascolamento invernale, ma si sposta continuamente a seconda delle esigenze.
L’incontro con gli altri pastori avviene in diversi momenti dell’anno, privilegiando in alcuni
casi le fasi più significative del lavoro (transumanza, tosatura, ecc.) o dando maggior spazio
alla storia personale (come nasce l’amore per questa vita, la passione per gli animali, le vicende del passato, aneddoti, la famiglia)(fig.1).
Quasi mai si tratta di vere interviste, ma piuttosto di dialoghi dove le testimonianze vengono riportate integralmente nell’inquadramento spontaneo colto dall’Autrice al momento dell’incontro con i diversi personaggi. Il mondo dei pastori viene presentato così dalla voce dei
protagonisti, ma, nello stesso tempo, reso più accessibile al pubblico attraverso le immagini,
le descrizioni e le impressioni suscitate nell’Autrice che, poco alla volta, da osservatrice esterna si trova ad essere sempre più coinvolta nelle dinamiche del lavoro quotidiano e delle problematiche che questa vita comporta.
BREVE
STORIA DELLA PASTORIZIA NOMADE
Il pascolo vagante è una realtà dalle origini remote ed antichissime. L’attualità dell’allevamento ovino transumante è una tematica che viene raramente trattata, ma che riveste grande
importanza dal punto di vista sociale, culturale, ambientale in tutto il bacino del Mediterraneo. Ben più di una pratica di allevamento ordinaria, la transumanza è una cultura. Prima di parlare della situazione attuale in Piemonte, si è dato spazio alle origini di questo fenomeno ed
alle sue caratteristiche in
un’area di grandi tradizioni
come la Francia. D’altra
parte, è a questa Nazione
che si sono rivolti molti degli emigranti che, dalle vallate alpine piemontesi, sono
andati a cercare fortuna nel
secolo scorso. Alcuni di questi andavano Oltralpe a lavorare proprio come pastori, e
conducevano le greggi in
alpeggio fino alle terre d’origine, nelle vallate cuneesi.
La pastorizia è una pratica antica di 11.000 anni: gli
Fig. 2 — Candia Lomellina, novembre 2005
uomini hanno inventato l’a-
4
VERONA
gricoltura e l’allevamento
ad oriente del bacino del
Mediterraneo. La consuetudine di portare pecore e
capre dove l’erba è più nutriente (in pianura d’inverno, d’estate in montagna)
ha la sua origine in quei
tempi lontani. Per lungo
tempo, la pecora è stata
una risorsa molto importante per l’uomo, a cui forniva
alimenti, lana e pelli. Con la
parola ‘transumanza’, si
evoca abitualmente un siFig. 3 — Die, dipartimento della Drôme, giugno 2005
stema di allevamento estensivo, caratterizzato soprattutto dallo spostamento ciclico degli animali e degli uomini in funzione della stagione e del
clima. Nella storia, l’allevamento transumante ha avuto un grande sviluppo ed un’importanza
economico-sociale rimarchevole, richiedendo anche leggi per un suo corretto funzionamento.
Nell’area mediterranea, la transumanza è un fenomeno ricorrente, ancora praticato oggigiorno, pur anche con modalità differenti e talvolta in forma ridotta rispetto al passato.
IL
PASCOLO VAGANTE IN
PIEMONTE
NEL
XXI
SECOLO
Forse è soltanto in questi ultimi anni che il fenomeno del ‘pascolo vagante’ ha iniziato a
far parlare di sé, anche perché si è modificato nelle modalità di attuazione. Le greggi sono
aumentate nelle dimensioni, pur essendo diminuite nel numero. L’urbanizzazione e lo sviluppo
delle opere di viabilità ha ridotto gli spazi a disposizione, portando così sempre più spesso la
civiltà dei pastori a scontrarsi con quella dal ritmo frenetico del XXI secolo (fig.8).
Recentemente, del pascolo vagante e della transumanza spesso si è parlato in occasioni
negative, anche attraverso articoli dove le notizie sono state riportate in modo parziale, facendo risaltare alcuni aspetti piuttosto che altri. Manca una corretta informazione su questa
realtà, di cui oggi si discute erroneamente come di un fenomeno nuovo:
C’era una volta la transumanza, quella delle greggi che in autunno scendevano dai monti in pianura. Oggi, però, anche la tradizionale arte della pastorizia conosce nuove frontiere: il ‘pascolo
vagante’.1
Se parlare di ‛pastore errante’ evoca alla mente la poesia di Leopardi e …
[...] la vita del pastore. Sorge in sul primo albore; muove la greggia oltre pel campo, e vede greggi, fontane ed erbe; poi stanco si riposa in su la sera: altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che
vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? […].
5
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2006)
Il ‘pascolo vagantÈ è una voce giuridica, regolata da precise norme in merito fin dal 1954
(D.P.R. 320/54). La transumanza ed il nomadismo sono sempre esistiti, anche in Piemonte. Il
fenomeno è stato segnato dal progresso, si è evoluto e, nello stesso tempo, ha avuto contatti
con la società tecnologica in continua espansione. Non sempre ciò è avvenuto in modo pacifico: cosa succede quando mille pecore sono costrette ad attraversare una strada trafficata? Un
tempo questa non esisteva e le greggi sono sempre transitate in quel luogo senza arrecare danno, ma oggigiorno la sosta di dieci minuti rappresenta un costo per tutta la società. Come
comportarsi quando, tra un pascolo e l’altro, vi è una trafficata linea ferroviaria? Tranquilli
villaggi si trasformano in aree turistiche dove gli animali sono, a torto, considerati un fastidio
anziché una risorsa: perché si è costretti ad aggirarli anziché attraversarli camminando con
orgoglio alla testa del gregge, come accade in Francia durante le feste della transumanza?
(foto 3).
C’è poi anche chi infrange la legge, ed allora i colpevoli devono pagare, ma è necessario
evitare le generalizzazioni e cercare di conoscere a fondo questo mondo, prima di giudicare.
Qualche volta allora ci si potrà anche soffermare a riflettere sull’assurdità di alcune norme:
come fa il pastore ad andare a far vidimare i documenti necessari allo spostamento prima ancora di aver deciso dove e quando spostarsi? Quante persone sarebbero necessarie per trasferire un gregge, dal momento che i conduttori «sono, altresì, tenuti a frazionare e separare i
gruppi di animali superiori al numero di cinquanta ad opportuni intervalli al fine di assicurare
la regolarità della circolazione»? 2
I comportamenti scorretti (danneggiamenti di fondi privati, animali morti abbandonati,
ecc.) che portano all’emanazione di ordinanze comunali che vietano il passaggio e/o la sosta
delle greggi sono deplorati dagli stessi pastori, in quanto le restrizioni imposte colpiscono tutta
la categoria e non soltanto quei ‘colleghi’ che hanno agito illegalmente. Nello stesso tempo,
come già detto, appaiono quantomeno anacronistiche quelle norme che imporrebbero al pastore di comunicare l’ingresso in un territorio 15 giorni prima che ciò avvenga, i divieti di pascolo in certe aree di parco o riserva, le modalità con cui dovrebbe avvenire lo spostamento
degli animali lungo le strade. L’attività del pascolo vagante è strettamente vincolata da due
fattori primari, che sono anche le uniche leggi che il conduttore degli animali non infrangerà
mai: il bisogno inderogabile di trovare il sostentamento per i propri animali ed i tempi imposti
dalle condizioni climatiche ed atmosferiche. Tutte le altre norme e leggi create dall’uomo
sono secondarie, possono essere disattese ogniqualvolta lo impongano le condizioni precedentemente esposte.
PASCOLO, TERRITORIO
E PAESAGGIO
Dal punto di vista tecnico e scientifico, è provata quale sia la grande importanza del pascolamento ovicaprino in un territorio in precario equilibrio, fino a diventare una risorsa fondamentale per aree potenzialmente a rischio a causa dell’abbandono e dello spopolamento.
Quelli che vengono comunemente definiti ambienti «naturali» ed incontaminati, spesso
sono frutto del lavoro umano, che si è perpetuato per secoli, soprattutto attraverso l’agricoltura e la zootecnia. Lo svolgersi delle attività tradizionali teneva conto dei cicli naturali e cercava di utilizzare l’ambiente in modo ottimale, traendone i prodotti di cui l’uomo necessitava
ma, nello stesso tempo, garantendone la continuità e la salvaguardia. Escludere la presenza
umana dall’ambiente, in questo caso, non significa conservarlo, bensì indirizzarlo verso un
6
VERONA
progressivo declino. Il paesaggio è la forma che un
ambiente assume sommando
un insieme di elementi naturali e/o costruiti dall’uomo, nel tentativo di amalgamarli e farli coesistere. Un
paesaggio è formato da boschi, montagne, prati, laghi,
fiumi, cioè dalle conformazioni naturali che il terreno
assume, ma anche da popolazioni, villaggi, dalle comunità sociali e dalle economie
locali che concorrono a caratterizzarlo ed identificarFig. 4 — Novalesa, Val Cenischia, giugno 2005
lo. Il paesaggio è il prodotto
di elementi naturali statici e
al contempo animati da una lenta e continua evoluzione, con flussi dinamici che ne provocano
continui cambiamenti e trasformazioni. Esso è, prima di tutto, risorsa economica e l’agricoltura, più di ogni legge, è lo strumento migliore per governarlo. Parlando di agricoltura, si fa riferimento a quella ecocompatibile, all’agricoltura ‘artigianalÈ, che per secoli ha fatto delle sue
conoscenze l’arte di custodire il paesaggio. Questo ha subito, di conseguenza, le trasformazioni che lo hanno portato a cambiare il suo aspetto nel corso degli anni. Numerosi studi hanno
dimostrato come la vegetazione stessa della montagna sia completamente stravolta oggi rispetto a cent’anni fa. Ad esempio, l’abbandono del pascolo ovicaprino ha trasformato il pascolo alberato in bosco e molti alpeggi, a causa del non utilizzo, da pascoli sono stati trasformati
in arbusteto a ontano verde. Un pascolamento razionale, sia nella realtà d’alpeggio d’alta
montagna che in altre aree cosiddette ‘marginali’, può rappresentare un ottimo strumento di
gestione e conservazione del paesaggio, svolgendo un’azione positiva che va a sommarsi con la
valenza paesaggistica e turistica che, al stesso tempo, tali risorse possiedono.
Negli ultimi anni alcuni fenomeni hanno portato ad una parziale trasformazione nell’esercizio della pastorizia: il ritorno del lupo ha costretto i guardiani delle greggi ad organizzare diversamente il proprio lavoro, richiedendo una loro presenza costante insieme agli animali e la
chiusura degli stessi in recinzioni elettrificate durante il periodo di riposo notturno. Tale predatore è stato attirato anche da una presenza ingente di ovicaprini domestici a disposizione,
ben più facili da cacciare rispetto alla fauna selvatica (di cui ha però anche regolato l’espansione, in quanto predatore naturale).
Se si confrontano i dati numerici relativi all’entità dei capi monticati in alpeggio, si nota
come il numero complessivo sia sicuramente diminuito, per stabilizzarsi in questi ultimi anni,
ma è fortemente aumentata la composizione di ogni singolo gregge, soprattutto per quelli che
praticano il pascolo vagante. Ciò è dovuto alla combinazione di una serie di fattori: una situazione economica di generale crisi, in cui un ridotto numero di capi non è più sufficiente al
sostentamento di un’azienda da carne, i contributi concessi agli allevatori in funzione del numero di animali e delle superfici di alpeggio utilizzate, ma anche una situazione climatica mutata rispetto al passato, che consente di mantenere l’intero gregge all’aperto anche durante
7
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2006)
la stagione invernale, senza dover ricorrere a stalle e cascine (fig. 6).
DUE
ANNI AL SEGUITO DI
20 PASTORI
E DELLE LORO GREGGI IN
PIEMONTE
Questa, in sintesi, è la realtà in cui va ad inserirsi il pascolo vagante agli inizi del XXI secolo. Pastori, figure fuori dal tempo, ma anche personaggi moderni. Dai 20 capitoli dedicati ad
altrettanti greggi ed ai loro guardiani, emerge lo spaccato di un mondo sospeso tra la volontà
di rivendicare la sua esistenza e la necessità di passare inosservati, al fine di non suscitare
critiche, malumori ed incorrere addirittura in denunce o sanzioni. Vengono riportate le testimonianze dirette dei protagonisti, che narrano la loro storia, aneddoti del passato, riflessioni
sul destino di tale attività, ma è sempre presente anche la visione dell’Autrice, che non si
limita ad intervistare, ma osserva, accompagna, fotografa e si presta anche a dare una mano
in situazioni d’emergenza.
C’è chi capisce l’importanza dei mezzi di comunicazione, chi prova ad immaginare un futuro ed un’evoluzione per la propria attività e chi invece la vede avviata al tramonto, mancando
un ricambio generazionale.
Nel nostro caso è tutta la famiglia che continua, i figli fanno questo lavoro ed è la nostra salvezza.
I garzoni possono essere più o meno bravi, ma comunque le bestie non sono le loro, non è la stessa
cosa.
Anziani che rimpiangono i tempi andati, giovani che lottano per iniziare: per tutti, vale il
tema della passione, la vera motivazione che permette loro di portare avanti questa vita. È la
passione che fa parlare in prima persona: il pastore è il suo gregge, per cui chiunque dirà sempre «abbiamo mangiato l’erba, abbiamo pascolato».
Tutti parlano di sé e del proprio lavoro con grande orgoglio. C’è chi vanta origini antiche
ed accampa pertanto una superiorità perlomeno simbolica nei confronti di altri. «Siamo pastori da generazioni, nella nostra famiglia». Oppure chi parla con malcelata soddisfazione di come abbia ottenuto i risultati attuali.
Ho iniziato con poche bestie, ed adesso ne ho 1.500.
Due volte ho dovuto abbattere tutto il gregge a causa
della brucellosi, ma ne sono
sempre venuto fuori con le
mie forze. Già i miei avevano un po’ di animali, ma
era un’altra cosa. Da ragazzo ho fatto il garzone, sono
andato anche al pascolo
delle vacche, ma con le
feje (le pecore) è un lavoro
diverso, dà più soddisfazioFig. 5 — Vallone della Rho, Bardonecchia, luglio 2006
8
ne anche se è difficile.
VERONA
Dalle testimonianze dirette emergono i singoli
personaggi, le loro storie di
vita, le ragioni delle loro
scelte, i legami tra
‘colleghi’ in bilico tra solidarietà, unione e conflittualità.
Tra di noi siamo amici, con
qualcuno di più, con altri di
meno, ma solo quando siamo ad almeno cento chilometri di distanza e non
corriamo il rischio di rubarci
Fig. 6 — Verrua Savoia, dicembre 2005
l’erba a vicenda.
Questo è il fattore primario che fa sì che la categoria sia quasi sconosciuta e priva di rappresentanti a livello decisionale.
Tra di noi c’è troppa gelosia, siamo impegnati a guardarci uno con l’altro e non riusciamo a metterci d’accordo su niente, pur di non fare uno il favore all’altro. E così non contiamo nulla. Sia per
la questione del lupo, che per i problemi che ci sono in pianura, dove la vita sta diventando sempre più difficile ed ogni comune decide in modo diverso. Hai le firme dei proprietari che ti lasciano pascolare i loro terreni, ma il Comune non ti dà il permesso di entrare.
Qualche volta, è preferita la strada del silenzio. «Meglio non far vedere dove vai, dove
passi, preferisco che non sappiano niente di me, che non se ne accorgano nemmeno! Se io non
do fastidio a nessuno, nessuno verrà a dare fastidio a me.» Il pastore sa di essere una figura
guardata con sospetto, soprattutto in ambito rurale.
Una volta i contadini chiamavano il pastore per mangiare l’erba e per concimare, era uno scambio, adesso vogliono soldi. Non riesci più a cavartela solo con un agnello, un pezzo di toma. Siamo
nomadi, siamo come gli zingari, dormiamo nella roulotte, passiamo, andiamo, ci fermiamo, di noi
non si fidano. Ci vedono con tante bestie, allora credono che siamo ricchi, ma non è così. Si cerca
di sopravvivere, non è un lavoro da diventar signori.
Talvolta la diffidenza è giustificata, perché i ‘ladri d’erba’entrano in azione non appena
sanno di non essere osservati. «Una volta i pastori li chiamavano i gratta, perché si cercava
sempre di rubare l’erba, un po’ qua, un po’ là. Magari anche di notte, e poi si scappava via».
C’è però un codice di comportamento non scritto, tra coloro i quali svolgono la propria attività
coscienziosamente.
Il vero pastore cerca di non fare danni. Magari mangia l’erba senza permesso, ma se fa dei danni,
li paga. Altrimenti l’anno dopo lì non ti lasceranno più passare! Invece, se ti sei comportato bene,
potrai continuare a venire nelle stesse zone, stagione dopo stagione. Sono quasi vent’anni che noi
9
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2006)
giriamo da queste parti.
Il gregge in transumanza
risveglia l’attenzione dell’osservatore, ma è un attimo
fugace, una curiosità passeggera, uno scambio talvolta troppo breve perché vi
sia una reale comunicazione.
Ci chiedono sempre dove
andiamo, quasi non credono
alle nostre risposte. Molte
Fig. 7 — Val Chisone, novembre 2005
volte poi non c’è tempo per
rispondere, hai mille cose a
cui pensare. Va bene quan-
do sei fermo vicino ad una strada, allora puoi chiacchierare con chi si ferma, ma anche lì… Devi
fare attenzione alle macchine che passano a tutta velocità, che qualche agnello non salti in là. La
gente chiede e si stupisce, sembra quasi incredibile che noi siamo veri. E poi tutti ci invidiano,
pare che la nostra sia una vita facile ed affascinante.
È il senso di libertà che evoca la transumanza, il veder passare il gregge, oppure osservarlo
in montagna in una bella giornata di sole.
Succede sempre. Dicono che noi pastori siamo fortunati, che facciamo una bella vita. Ma loro, i
turisti, ci vedono in montagna nei giorni di sole, quando tutto sembra una meraviglia. Quando
piove, di gente ne passa poca. E quei pochi che passano, lo sai cosa dicono? Povere bestie! E il
pastore? Fermo per ore sotto l’ombrello, con il vento, l’erba bagnata, il freddo? Non sanno com’è
la realtà (fig. 5).
Una realtà che consiste soprattutto in lunghi mesi di spostamenti tra pianura e collina, a
seconda delle zone che vengono utilizzate nel resto della stagione. Si cerca di sfruttare l’alpeggio più a lungo possibile, salendo in montagna non appena ciò è consentito e rimanendo
sino alla fine della stagione, quando le risorse pascolive sono esaurite o è il maltempo e la
neve a costringere alla discesa. Si sfruttano strade secondarie dove è possibile, le principali
dove non esistono alternative, causando temporanei disagi alla circolazione.
Abbiamo ripreso a poco a poco ad andare a piedi, soprattutto in autunno. In primavera è più difficile, tutta la campagna è seminata, non sai dove passare. Invece, a fine stagione, scendi poco per
volta lungo la valle, poi nella pianura, fino ad arrivare giù nell’astigiano, dove andavo già prima.
Ho iniziato a farlo quando ho visto che i camion mi costavano sempre di più e, soprattutto, non
riuscivo a far bastare l’erba giù per tutto l’inverno. Invece così vado avanti poco per volta, magari
ci metto anche più di un mese ad arrivare dalle mie parti, è un bel risparmio!
In questo modo, si sfruttano anche quelle zone marginali di media montagna e fondovalle
10
VERONA
dove più forte è stato l’abbandono e lo spopolamento.
Qui talvolta il gregge è accolto positivamente proprio
per il ruolo di manutentore
dell’ambiente e del paesaggio. Ma è nel periodo successivo che avviene lo scontro tra la pastorizia ed i
molteplici aspetti della civiltà contemporanea. Nel
mondo rurale, sono mutate
le coltivazioni ed i ritmi di
utilizzo dei terreni. «In questa zona del Canavese va
ancora bene che mettono
Fig. 8 — Volpiano, dicembre 2005
tanto mais, così per un lungo periodo noi giriamo nelle
stoppie». Diversa è la situazione in alcune aree del Monferrato, tradizionale meta dei pastori transumanti: «Qui stanno
lavorando tutti gli incolti, mettono delle piante, pioppi, noccioli». La pianura viene sfruttata
più intensamente:
I primi anni che passavo di qui era tutto mais e prati, adesso invece arano subito e seminano altre
cose. Dove mi fermavo più di una settimana, dieci giorni, adesso riesco a malapena a fare una
sosta prima di ripartire (fig. 2).
L’inverno è un continuo spostamento tra stoppie (del mais e del riso), incolti e prati appositamente affittati, con tutto il gregge al seguito. In qualche caso, si ricorre ad una struttura
dove ricoverare fattrici ed agnelli, altrimenti questi vengono trasportati a dorso degli asini, in
appositi basti, o su carri di vario tipo, al seguito dei mezzi motorizzati. È una transumanza
infinita, giorno dopo giorno, lontani dalle grandi rotte di traffico per settimane, oppure tra
colline e piccoli borghi, con il mare di schiene bianche che si allunga in un fiume infinito, per
poi ridistribuirsi nel pascolo successivo. Sono mesi in cui la neve, il freddo intenso, la siccità
prolungata possono rappresentare un problema sempre maggiore, fino al caso estremo di dover ‘fermarÈ il gregge per un periodo più o meno lungo, alimentandolo ricorrendo a fieno ed
insilati. «Se non ci fossero gennaio e febbraio, chiunque sarebbe buono a fare il pecoraio!»
Quando viene il disgelo e le prime piogge, finalmente torna ad esserci foraggio a sufficienza.
«C’è erba, ma il terreno viene molle; ci sono delle volte che, se non fai attenzione, le bestie
rimangono piantate nel fango e si pestano una con l’altra.» Sembra dunque che non esista un
momento veramente facile, nel corso di tutto l’anno. Comunque, con l’arrivo della primavera,
finiscono le ristrettezze ed il periodo più critico può ormai dirsi superato, fatti salvi i divieti
imposti nelle aree di parco o riserva o su tutto il territorio di alcuni comuni. «In primavera
però i prati sono poi destinati al fieno, i campi sono seminati. Si gira lungo i fiumi, sotto i
pioppeti, finché viene l’ora di salire di nuovo in montagna.» La situazione è ben più complessa
di quella che potrebbe apparire ad un osservatore esterno, dal momento che lo scontro con i
11
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2006)
parchi assume una rilevanza non indifferente.
Dicono che roviniamo le piante, i nidi, spaventiamo gli animali. Ci mandano via e, se non lo facciamo, arrivano i verbali. Però spesso, appena fuori dai cartelli del parco, ci sono i cacciatori… E
l’immondizia? In certi posti trovi di tutto: lavatrici, frigoriferi, e poi lo chiamano parco! I nidi li
fanno sugli alberi, nelle canne, e lì le pecore non vanno. Invece, dove sono passate le pecore,
dopo vedi tantissimi uccelli, perché trovano più roba da mangiare.
Questa è una controversia di difficile soluzione, che vede le aree protette ed i conduttori
di greggi schierati su fronti opposti, con scarsa volontà di dialogo.
Quando non sono i guardaparco, i problemi li abbiamo con i cercatori di tartufi o con i cacciatori. Insomma, quasi nessuno ha piacere che passi il gregge! Sono rimasti in pochi anche i contadini che vengono a portarti il caffè caldo o una bottiglia di vino. Una volta era diverso […].
La salita in alpeggio (fig. 4) è vista come il momento di massima gioia.
Quando vedi le prime farfalle, ti viene già voglia di partire. Giù di qua inizia a far caldo, ci sono le
zanzare, inizi a sognare quei mesi su con l’aria fresca, il sole, le pecore tutte belle allargate sul
pendio, l’erba buona.
Anche i mesi estivi sono però costellati di imprevisti ed incidenti: la difficoltà nell’affittare
un alpeggio, la siccità prolungata, le cavallette che devastano i pascoli, gli attacchi del lupo,
in un continuo succedersi di piccoli e grandi eventi che vengono narrati talvolta con rabbia,
talvolta con rassegnazione. Gli eventi naturali fanno parte del mestiere, sono ricorrenti, inevitabili, accettati. Diverso invece l’approccio nei confronti della burocrazia e dei controlli:
Quando abbiamo scaricato questa primavera, hanno preteso di contarle tutte. Però, invece di
mettersi uno per camion, stavano in gruppo davanti a ciascuno, così le ultime bestie sono rimaste
tre ore rinchiuse, sotto il sole. Avremmo potuto metterci molto meno tempo ed era meglio per
tutti.
Talvolta manca ogni forma di dialogo tra il pastore e le istituzioni.
«Qui hanno fatto gli abbeveratoi nuovi, ne hanno posizionati diversi, sui pascoli. Solo che non vanno
bene per le pecore: sono alti, gli agnelloni cadono dentro e, se non sei lì subito a tirarli fuori, annegano. Servirebbero delle vasche molto più basse e lunghe, con l’acqua corrente. Potevano chiedere la
mia opinione, prima di farli… Non avrò studiato, ma faccio questo mestiere da sempre».
Figure apparentemente sole, ma mai solitarie. «Non sono solo qui, ci sono le mie bestie, le
guardi tutto il giorno e non ti annoi mai.» Il pastore ha spesso una cerchia di amici e di appassionati, gente che un tempo aveva anch’essa degli animali, o che ancora alleva qualche capo
che viene dato ‘in guardia’ per il periodo di alpeggio.
Vengono su a trovarmi, specialmente alla domenica. Portano su da mangiare, la miscela per la
moto, mi tengono un po’ compagnia. Qualche volta ci mettiamo lì a contrattare, scambiamo
12
VERONA
gli animali uno con l’altro, è tutta gente che ha proprio la passione delle pecore.
Il telefono permette inoltre di mantenere i contatti con la famiglia o con altri pastori.
Sono arrivato su in cresta ed ho subito guardato dall’altra parte della valle con il binocolo. Ho
visto il gregge di mio fratello ancora nel recinto ed allora gli ho telefonato. «Sono le undici, com’è
che non le hai ancora aperte?» Eh, si è arrabbiato!
Appoggiato al proprio bastone dal manico ricurvo, solo apparentemente schivo e riservato,
il guardiano degli animali è solitamente felice di scambiare informazioni e notizie con il visitatore, anche se casuale ed inatteso. «Tu che hai girato un po’ da tutti… dov’è che ci sono le
montagne 3 più belle? E le bestie?».
Un fenomeno relativamente recente sta fortemente condizionando la pratica della pastorizia nomade nelle campagne e nelle colline dove le greggi si trovano a svernare. Tutti gli intervistati hanno lamentato la presenza di cosiddette ‘greggi abusivÈ, cioè gruppi di animali di
proprietà di commercianti di bestiame, che hanno iniziato a praticare il pascolo vagante senza
rispettare né le leggi né le consuetudini. Si tratta di gruppi di animali condotti da garzoni extracomunitari, temporaneamente al pascolo all’aperto prima di essere rivenduti o trasferiti
altrove.
Hanno rovinato tutto. Non guardano né confini né coltivazioni, così i comuni dove siamo sempre
andati hanno iniziato a mettere i cartelli di divieto. Per colpa di uno, ci rimettiamo tutti, anche
quelli che si sono sempre comportati correttamente.
Ciò che contraddistingue tutte le testimonianze raccolte, oltre alla passione per gli animali
e per questa vita, è l’orgoglio dei protagonisti, il desiderio di dare un’immagine positiva di sé
e del proprio mestiere, troppo a lungo dimenticato o disprezzato «perché una volta, su di un
vocabolario, alla voce pastore diceva: persona rozza ed ignorante. Magari andremo comunque
tutti a perdere, noi ed il nostro lavoro, ma non deve più essere così».
CONCLUSIONI
Non c’è una vera risposta alla domanda iniziale. Il pastore anziano afferma che non c’è
futuro per lui, ma lo diceva già suo padre, con le stesse parole e le stesse motivazioni trenta
anni fa. In alcuni casi manca il ricambio generazionale, in altri vi sono dei giovani che iniziano
quest’attività, con coraggio e determinazione. Questo studio non può e non vuole fornire delle
risposte o delle soluzioni, ma si limita ad offrire una fotografia di una realtà che lotta per sopravvivere. Il mondo si evolve intorno ad essa, ma solo aspetti marginali del progresso riescono a sfiorarla. Qualche comodità in più, fuoristrada e roulotte al posto degli asini, recinzioni
elettrificate leggere e facili da trasportare, telefoni cellulari. Ma niente più di questo, perché
altrimenti le pecore hanno fame d’erba 365 giorni l’anno, con qualsiasi condizione atmosferica. Ed il pastore deve provvedere a loro senza guardare il calendario, le festività, gli intoppi
burocratici, anteponendo il loro benessere a qualsiasi necessità personale. In nome di una
grande passione...
13
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2006)
«perché altrimenti andresti a fare altro. Ma cosa? A volte ti viene da pensare di piantar lì, di venderle
tutte. Ma dopo, cosa vai a fare? Ci sono dei pastori che l’hanno fatto, hanno venduto tutto il gregge,
ma dopo… Non ce l’hanno fatta a sopravvivere, la tua vita è questa».
Lo scopo di questo lavoro è far conoscere il mondo del pascolo vagante, dare una dignità ai
suoi protagonisti, parlare di loro affinché i loro problemi si facciano più concreti, più reali, e
forse si provi a trovare una soluzione. Il fenomeno esiste e merita di essere considerato, sicuramente non deve essere dimenticato. La sua scomparsa sarebbe una gravissima perdita: umana e sociale innanzitutto, ma anche ambientale, com’è stato detto a proposito del ruolo svolto
nella manutenzione del paesaggio. Talvolta si cercano emozioni, immagini e personaggi con
viaggi dal sapore esotico in terre lontane e si ha un moto di nervosa impazienza di fronte ad
un gregge che attraversa la strada che stiamo percorrendo, costringendoci ad una sosta. La
ricerca e le immagini che verranno pubblicate vogliono far sì che si diventi maggiormente consapevoli di una realtà poco conosciuta.
Le fotografie sono dell’autrice
NOTE
1. 27 ottobre 2004 «La Stampa» di Torino , pagine provinciali.
2.Codice della Strada. DL n.285/92 art. 184-6.
3. Il termine dialettale montagna fa riferimento all’alpe, al territorio di alpeggio.
RIASSUNTO
Uno studio di quasi due anni sulla realtà del pascolo vagante nelle province di Torino e Cuneo:
dopo un’analisi storica e tecnica del fenomeno, che comprende le origini della pastorizia nomade,
una breve panoramica su tale realtà in Piemonte, le normative vigenti sul «pascolo vagante»,
l’utilità della pastorizia nella manutenzione del territorio e del paesaggio, si passa alle
testimonianze dirette. Vengono intervistati 20 pastori, alcuni dei quali accompagnati per un anno
intero nei vari momenti della vita e del lavoro.
ABSTRACT
WHERE ARE YOU GOING, SHEPHERD? HUNDREDS OF THOUSANDS STEPS ON FLOCK’S TRACK. A
two-year research on the «wandering pasturage» in Turin and Cuneo districts: after an historical
and technical analysis about this phenomenon, including the origins of nomadic sheep-breeding, a
brief overview on this reality in Piedmont, the current regulations on «wandering pasturage», the
utility of sheep-breeding in territory and landscape maintenance, follow direct oral testimonies.
Twenty shepherds were interviewed, some of them followed by the Author during a whole year in
the various moments of the every-day life and work.
14
VERONA
BIBLIOGRAFIA
A.A.V.V., 2002. Transhumance. Relique du passé ou pratique d’avenir. État des lieux d’un
savoir-faire méditerranéen en devenir, Cheminements, Le Coudray—Macouard, Bron (Fr).
AIME M., ALLOVIO S., VIAZZO P.P., 2001. Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia, Meltemi, Roma.
BATTAGLINI L., 2003. «Ruolo territoriale e potenzialità produttive dell’allevamento ovi-caprino
nell’arco alpino occidentale» in: Atti del Convegno Nazionale «Parliamo di … allevamenti alternativi e valorizzazione del territorio», Cuneo (Italy), 25 settembre 2003, pp.1726.
BORGIA M., 2003. Il ritorno del lupo nelle valli torinesi, Luna Nuova Editrice, Avigliana (To).
BORNARD A., COZIC P., 1998. Milieux pâturés d’altitude. II – Intérêts multiples de ces milieux
gérés par le pâturage domestique, in: «Fourrages», 153, 1998, 81-95.
CUGNO D., 2002. Variazioni gestionali e misure di protezione degli ovini in alpeggio a fronte
delle predazioni da canidi in Valle Stura di Demonte (Cn), «Large Animals Review», 1.
FRANCARDI P.,TERRENO G., PASTORINI F.M., 1958. I Pascoli nei Comuni montani del Piemonte, Camera di Commercio, Industria ed Agricoltura, Torino.
LEBAUDY G., ALBERA D., 2001. La Routo, Associazione Culturale Primalpe, Cuneo.
MOYAL M., 1952. Sheep trek in the French Alps in: «The National Geographic Magazine, Washington DC», 4, 1952, 545-564.
PASTORINI F.M., SALSOTTO A., BIGNAMI G.M., 1980. Alpicoltura in Piemonte. Indagini e ricerche
sull’attività pastorale e ricensimento dei pascoli montani, Camera di Commercio, Industria ed Agricoltura, Torino.
15