City making - Codice Edizioni
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City making - Codice Edizioni
ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 Pagina ii Charles Landry City making L’arte di fare la città Traduzione di Giuliana Olivero Edizione italiana a cura di Marco Rainò ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 Pagina iv Indice XIII XXI Prefazione all’edizione italiana (di Franco La Cecla) Dalla città generica alla città specifica (di Marco Rainò) Capitolo I 3 Charles Landry City making L’arte di fare la città Progetto grafico: studiofluo srl Impaginazione: adfarmandchicas Redazione: Alessandra Papa Coordinamento produttivo: Enrico Casadei Charles Landry The Art of City Making Copyright © Charles Landry, 2006 First published by Earthscan in the UK and USA in 2006 All rights reserved © 2009 Codice edizioni, Torino Tutti i diritti sono riservati ISBN 978-88-7578-136-1 3 9 10 12 15 16 18 18 19 20 20 21 22 24 24 28 28 30 31 32 35 35 39 43 Ouverture Premessa City making e responsabilità Arte e scienza Spinte divergenti Senza soluzioni preconfezionate Un umanesimo laico Trasformare lo spirito del tempo Migliorare le scelte, la politica e il potere Contestare il paradigma L’ancoraggio etico Le verità di chi? Sull’essere ideali Condensati chiari e secchi Avere lo Zeitgeist dalla propria parte La dimensione urbana è ovunque Percezioni Percezioni geografiche Percezioni drastiche Una veduta dall’alto Un viaggio immaginario Identità e differenza I sobborghi suburbani e le loro malinconie Nostalgia del passato? Peculiarità locali ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 Pagina vi Capitolo 2 47 Il paesaggio sensoriale delle città 54 55 57 59 61 72 80 Un paesaggio per ogni senso L’automobile e i sensi Trasportati in un paesaggio sensoriale del passato Inadeguatezze linguistiche Il paesaggio sonoro Il paesaggio olfattivo L’aspetto visivo della città 132 133 135 137 142 Fantasticare prima di ottenere Correre e rallentare Trendspotting o trainspotting? Il repertorio delle cose da acquistare Vivere meglio la notte 144 146 150 155 161 La geografia dell’insipidezza L’avanzata del centro commerciale La morte della diversità L’amaro rovescio della convenienza Capannonopoli Capitolo 3 91 Squilibri e scompensi Capitolo 4 163 Repertori e resistenze Repertori urbani 91 92 93 94 96 98 101 103 La belva che tutto s’ingoia La logistica di una tazza di tè La doccia e lo sciaquone A tavola La spazzatura Trasporti Materiali: cemento, asfalto e acciaio L’impronta ecologica 163 163 165 170 173 103 107 Logistica urbana Risonanze urbane 108 110 114 115 117 118 119 120 121 123 La geografia della miseria 175 175 179 182 185 188 196 Prendere a prestito il paesaggio 197 Limiti al turismo 201 201 205 Rituali urbani 126 128 130 La geografia del desiderio La fine della civiltà è alle porte? Il crimine organizzato e la legge della paura Traffico di esseri umani e sfruttamento sessuale I costi umani del cambiamento Miseria schiacciante e infanzia rubata Inquinamento estremo Prigioni e confini Il turismo e le sue tare Ricchezza culturale nella povertà La lezione di Katha Desideri ordinari Desideri gonfiati 174 212 Dal Prado a Prada Iconicità urbana Crisi di significato e di esperienza Alla conquista dell’ultima frontiera: il dilagare della pubblicità, e oltre Una gratificazione irraggiungibile La città come articolo di moda Capacità di attrazione e risonanza delle città Forme del potere di attrazione Città sotto le luci della ribalta Luoghi in vendita Ottenere il massimo dalle risorse Esperienze ricche di senso Un’appendice: resistenze urbane ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 Pagina viii Capitolo 5 215 Il complicato e il complesso 215 218 219 224 227 230 230 234 236 238 Le forze del cambiamento: decifrare la complessità 241 243 245 249 250 252 253 255 256 258 Allineare le mentalità dei professionisti Uno schema concettuale Linee di frattura Terreni di scontro Paradossi Rischio e creatività Lo scenario del rischio Una direzione nella consapevolezza del rischio Rischio e professioni urbane Le forze trainanti del cambiamento Abbattere i compartimenti stagni Connessioni globali e settori specialistici Stereotipi e professioni Il pianificatore Il perito (surveyor) L’ingegnere L’architetto L’imprenditore immobiliare E molte altre... L’economista (258); Il responsabile di progetto (259); L’operatore del sociale (259); Il promotore di processi di sviluppo delle comunità (259); Il promotore culturale (260); Il dipendente della pubblica amministrazione (260); 261 Equilibrare le competenze 262 262 264 266 267 269 270 274 Aprire le mentalità e le professioni 277 278 Punti ciechi nel city making La Gestalt professionale Flussi e attitudini mentali Le distorsioni del riduzionismo Professioni e identità La cultura della prestazione Espandere i confini Intuizioni e scambi Le emozioni 281 283 289 293 302 305 307 La psicologia ambientale L’alfabetismo culturale Il pensiero artistico La diversità Una pianificazione che guarda al contesto Verso un programma comune Il nuovo generalista Capitolo 6 309 La città come opera d’arte vivente 310 311 312 315 Ridestare l’incanto Ricostituire il proprio terreno di gioco Rivalutare la creatività Ridare valore alle risorse nascoste: una ricognizione della creatività e degli ostacoli Riassegnare i valori connettendo le risorse Riciclare e rinverdire Riconquistare centralità Ricontemplare le infrastrutture soft e hard Ridefinire la competitività Ricalcolare il valore: l’asfalto come moneta Riequilibrare l’assegnazione dei punteggi: le complessità del capitale Riguadagnare fiducia e consapevolezza di sé Rinnovare le capacità di leadership Riallineare le regole per realizzare le idee Ribattezzare la politica di gestione dei rischi Riconcepire la città Reimmaginare la pianificazione Rifare la mappa della città Ridelineare i ruoli urbani Riaffermare i principi dello sviluppo edilizio Riavvicinare esperienze lontane: il Nuovo Urbanesimo e Le Corbusier Rimodellare i comportamenti Riconsiderare la città che impara Riaccendere la passione per l’apprendimento Rivalorizzare e reinvestire nel talento di casa propria Ristabilire la salute attraverso l’ambiente costruito 318 320 322 325 330 332 333 336 337 339 342 342 346 349 350 353 354 358 361 363 366 370 ES_LANDRY 29-09-2009 372 373 376 381 384 386 388 10:19 Pagina x Ribaltare il declino Rimisurare le proprie risorse Ripresentare e riposizionare Riraccontare la storia Tirare le fila Che cos’è un’idea creativa? Un’ultima appendice: riconsiderare il gergo Capitolo 7 391 La creatività e la città 391 391 394 398 406 408 409 410 413 416 420 420 428 Città creative per il mondo 437 438 443 448 448 449 450 454 454 455 Etica e creatività Creatività civica Dubai è creativa? Imitazioni dell’approccio di Dubai Singapore è creativa? Contesto storico Il progetto Renaissance City Dalla retorica alla realtà I dilemmi di Singapore Barcellona e Bilbao sono creative? Barcellona Bilbao Dalla strategia all’implementazione: una traiettoria storica (429); Indirizzare la visione: Metropoli-30 (431); Dalle infrastrutture civiche al cambiamento dei valori culturali (432); Dal pensare al fare (434); Impatti a più largo raggio (434); L’effetto Guggenheim (435) Creatività e risorse L’agopuntura urbana e la creatività di Curitiba E ci sono molti altri… Gestire la fragilità Ecologia creativa Il rash creativo Un’idea o un movimento Le componenti della creatività Creatività e resilienza Paura della creatività 456 456 457 457 458 459 460 460 461 463 465 465 466 467 469 470 471 472 473 473 474 475 475 476 478 479 480 480 481 482 482 483 484 489 489 490 492 La spinta della competitività Creatività e settore quinario Qualità della vita, competitività e creatività Creare condizioni aperte Il milieu creativo Creatività di massa Democrazia e creatività “Hard” e “soft” La diversità come motore della creatività La creatività è determinata dalla cultura e dal contesto Sviluppo immobiliare creativo Creatività individuale e creatività urbana La creatività e il passato Istituzioni culturali, ancoraggio e creatività Arte e scienza, e la creatività delle città L’idea di città creativa è onnicomprensiva Creatività, autorialità e distintività locale Nemici della città creativa La creatività è positiva? Creatività definita 495 499 Epilogo Ringraziamenti Dove sono i luoghi creativi? Creatività suburbana? Creatività onnicomprensiva Scoppi di creatività Flussi e riflussi Potere e creatività Lontano dai riflettori Qualità dei luoghi creativi Creatività flessibile Indicatori di creatività Creative commons e open source E ora dove andiamo? Possibili primi passi Una sottile capacità di giudizio Urgenza e creatività Generare una crisi delle aspirazioni Dieci idee per avviare un processo di città creativa ES_LANDRY 29-09-2009 501 517 525 10:19 Pagina xii Note Prefazione all’edizione italiana Bibliografia Indice analitico di Franco La Cecla Box 95 136 145 148 152 441 453 Un pranzo che arriva da lontano Trendspotting Originale: che non si richiama a nulla di simile; strano, stravagante Ricreare il passato per il futuro L’identità delle città Agopuntura urbana e capitale sociale Sincronismi e origini di un’idea Per spiegare la relazione che oggi intercorre tra chi si occupa professionalmente di città – architetti, urbanisti, amministratori, politici, ma spesso anche storici e studiosi – e la realtà effettiva di una città con i suoi palazzi, le sue strade, le sue piazze e le sue folle, sarebbe utile guardarsi un video dell’artista catalano Jordi Colomer, tra quelli esposti recentemente alla mostra After Architecture al Centro Santa Monica di Barcellona. Nel video Ixatacalpa un elicottero sorvola un immenso quartiere di case popolari alla periferia di Città del Messico. Le case unifamiliari a due piani tutte uguali, tutte rispondenti a un minimalismo vernacolare, scatolette con una facciata che accenna a un Messico western visto in televisione, sono una distesa infinita che dà la sensazione di un’assoluta artificialità; sembrano case di cartone per un’ossessione da autocad. Soprattutto non si afferra la scala, e si fa fatica a prendere sul serio, ad accettare che in questo posto vivano persone in carne e ossa. E invece, quando l’elicottero si abbassa, si vedono due ragazze che portano un pupazzo di quelli che servono alle feste delle piñatas, un cosmonauta per far giocare i bambini che cercano a occhi bendati di far cadere dal pupazzo colpito una manciata di dolci, monete, coriandoli. La dimensione reale delle persone contrasta con l’assoluta astrattezza del quartiere. Questa è un po’ la cifra dell’urbanistica e dell’architettura contemporanea: uno scollamento sempre più forte tra la realtà e i modellini che su di essa vengono applicati. Sia il Guggenheim di Frank Gehry a Bilbao, siano i progetti per l’Expo milanese, si ha l’impressione che grattacieli, musei, ponti, piazze, siano nient’altro che la posa di modellini sulla realtà. È un’architettura dell’inconsistenza, un’architettura che rifiuta di confrontarsi con i sensi, con la terza dimensione, con l’uso e la vita reale, quella terra “terra”, marciapiede “marciapiede”. Per questo è sempre interessante chi, come Charles Landry, tenta un’operazione di sintesi, cercando di raccontare come e di che cosa sono fatte le città oggi. Le città sono l’orizzonte prevalente di ES_LANDRY 29-09-2009 XIV 10:19 Pagina xiv City making questo periodo di storia dell’umanità, il paesaggio dove vive il 50% della popolazione mondiale, dei luoghi a volte spietati, terribili, a volte miracolosamente vivi, attivi, capaci di accoglienza anche in condizioni estreme. Sono i luoghi degli opposti: bidonvilles immense e quartieri di lusso, autostrade veloci e intasamenti interminabili. Luoghi dei servizi ma anche luoghi dei pericoli, dell’inquinamento, delle rapine. Leggendo il libro di Landry vengono in mente altre operazioni che hanno costruito la disciplina delle città, libri magnifici come La città nella storia e La cultura delle città di Lewis Mumford, o come L’idea di città di Joseph Rykwert. Questi libri ci hanno insegnato che c’è una dimensione narrativa, che le città contengono milioni di storie e una dimensione simbolica; le città sono l’immaginario di milioni di persone. La cultura delle città comincia come una specie di manuale per conoscere una città, parla delle operazioni che chiunque può fare, dal passeggiare senza meta al visitare la morgue, gli obitori, al passare ore a un angolo a osservare; poi continua trascinando il lettore verso le città come avventura, le città come immagine effettiva di un dato momento di una data società, ma anche luogo dove si forma l’utopia, i sogni di un futuro. Rykwert molti anni dopo inaugura un approccio diverso: quando si chiede di cosa è fatta una città, la risposta è che la città ha la nostra stessa stoffa, ma nel senso trasmesso da Shakespeare: «Siamo della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni». Inscindibile in una città l’immagine che chi ci vive ne ha, nonché l’effetto che questa immagine ha sulla città stessa. Una città è una sovrapposizione di paesaggi materiali e di paesaggi immaginari. In mezzo ci sono le magnifiche osservazioni di quell’opera immensa che è la Parigi, capitale del XIX secolo di Walter Benjamin, qualcuno che ha sentito il polso delle folle e degli individui, che ha letto i passages parigini nella loro dimensione politica, erotica, sociale, letteraria e per tutti questi motivi urbanistica. Benjamin ci ha insegnato come nessun altro la complessità di letture di cui una città è costituita, e ha restituito al nostro sguardo la vera nascita delle folle metropolitane. Recentemente un libro su cui si sono formate le generazioni di architetti e urbanisti che oggi hanno tra i 50 e i 60 anni è proprio una ripresa di Benjamin, quell’All That Is Solid Melts Into the Air (pubblicato in Italia con il titolo L’esperienza della modernità) di Marshall Berman che ha raccolto l’aspetto narrativo di città come Berlino, Parigi, New York e San Pietroburgo alla luce di una frase di Karl Marx riferita al compito della borghesia dopo la Rivoluzione industriale: Prefazione all’edizione italiana XV trasformare ogni cosa solida e materiale in aria. Profezia straordinaria se si pensa al salto delle reti e dell’informatica. Il libro di Charles Landry che avete tra le mani si situa in questa tradizione di lettura “sistemica” della realtà urbana, una lettura che si pone di fronte alla complessità del soggetto rispondendovi con dovizia di pagine e di comparazioni tra diverse realtà urbane. Il “sistema” usato da Landry è però un po’ diverso. Diciamo che già nel titolo si vuole porre come un manuale di intervento pratico, un manuale appunto per “fare la città”. Ovviamente in questa definizione c’è una forma di provocazione. Appunto perché le città raramente si “fanno”, anche se l’esperienza delle città di fondazione non è estranea alla nostra contemporaneità: Brasilia, Chandigarh e più recentemente Dubai o Astana, la capitale del Kazakistan; città nate da una decisione ben precisa, fosse essa di natura rappresentativa (“fare una capitale nuova” per una nazione) oppure di natura più immobiliare (creare una città resort dove concentrare gli investimenti per il tempo libero del jet set internazionale, come nel caso di Dubai). Però Landry non si riferisce, se non di striscio, a questo tipo di città, ma alle città in generale. “Fare la città” per lui significa che bisogna assumere un atteggiamento pragmatico nei confronti delle realtà urbane. Sono realtà su cui è possibile intervenire per mutare le cose, per assicurare a questi grandi complessi umani una maggiore efficienza, una capacità di funzionamento e di efficacia economica maggiore. “Fare la città” significa qualcosa che non è lontano da “fare design”, “fare turismo”, “fare mercato”. ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 Pagina xx Dalla città generica alla città specifica di Marco Rainò La visualizzazione su un planisfero delle informazioni relative alla densità demografica dei luoghi restituisce l’immagine di un paesaggio globale dominato dalla presenza di nodi urbani e conurbazioni: le città, punti nevralgici di confluenze importanti, si manifestano – ovunque e in modo sempre più evidente – in configurazioni tangibili e consistenti, non solo fisicamente ma anche nella loro capacità espressiva. Parlare di città significa infatti, oggi, parlare di una modalità, di un sentire, di un “mondo”: l’immagine del luogo urbano ha acquisito centralità e possibilità tali da risultare sovrapponibile a quella generica del macrosistema ambientale del pianeta in cui viviamo. Ma se non è il mondo, certo la città contemporanea è un mondo, capace di crescere, moltiplicarsi, sezionarsi in frammenti che sono oggetti di clonazioni successive e inarrestabili e, soprattutto nel caso delle città globali, di esercitare un potere di attrazione immenso nei confronti di intere comunità di migranti, protagoniste di un urbanesimo continuo che non conosce sosta. Il 23 maggio del 2007, per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione del mondo è più urbana che rurale1: lo switch, simbolico ma significativo, si inserisce nel quadro di una transizione demografica che, secondo molte previsioni, porterà entro il 2050 il 75% della popolazione mondiale ad abitare nelle città, «in megalopoli di svariati milioni di abitanti e in regioni a intensa urbanizzazione che si estenderanno oltre i confini degli stati e dei continenti»2. Il processo di massiccia urbanizzazione in atto, accompagnato dal formarsi di estese aree metropolitane e dalla «costituzione di geografie “intercit1 Notizia riferita alle previsioni demografiche di una ricerca coordinata in maniera congiunta da North Carolina State University e University of Georgia, di cui si dà notizia su www.sciencedaily.com. 2 Richard Burdett e Miguel Kanai, La costruzione della città in un’era di trasformazione urbana globale, in Città, Architettura e società, catalogo della X Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, Marsilio, Venezia 2006. ES_LANDRY 29-09-2009 XXII 10:19 Pagina xxii City making tà”, sta offrendo infrastrutture fondamentali per una nuova economia politica globale, nuovi spazi culturali e nuovi tipi di politica» 3. Il nuovo, la trasformazione, l’innovazione: la città è viva, respira, perché «non si sviluppa secondo le regole stereometriche appartenenti al mondo dei cristalli, ma secondo le regole degli organismi viventi, che sono la flessibilità, l’adattabilità, lo sfruttamento ottimale delle risorse disponibili, la mutevolezza»4. L’attitudine a mutare è insomma un tratto distintivo, un carattere specifico: «La città non è soltanto oggetto di percezione (e forse di godimento) per milioni di persone profondamente diverse per carattere e categoria sociale, ma è anche il prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura. Benché nei suoi grandi lineamenti essa possa mantenersi stabile per qualche tempo, nei dettagli essa cambia senza posa. I controlli a cui la sua crescita e la sua forza sono suscettibili sono soltanto parziali. Non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi»5, ognuna delle quali lascia tracce che si depositano per stratificazioni successive, e che connotano uno spazio che assume configurazioni di volta in volta più cariche di complessità. Lo spazio metropolitano «o meglio, gli spazi metropolitani – perché c’è un numero infinito di spazi che si muovono in collisione l’uno contro l’altro»6 – sono il prodotto di un confronto intenso tra forze che spesso risultano di segno contrario, tra specificità e genericità che si confrontano lungo un fronte di relazione caratterizzato da reciproca e altalenante attrazione e repulsione. In questo quadro, ricercare elementi utili a una possibile definizione aggiornata del termine “città” apre a una ricca offerta di paradigmi disponibili e adottabili. Una selezione drastica, e certamente parziale, è quella di orientare la scelta verso un’immagine che sintetizzi la contrapposizione dialettica tra le figure stilizzate, al tempo stesso classiche e contemporanee, del binomio città materiale/città immateriale: da una parte troviamo la fisicità pura e concreta, dall’altra l’immagine di una sostanza connettiva che si manifesta, ad esempio, nell’impalpabilità del flusso umano. Semplificando ancora e radicalmente potremmo dire: la città che ha forma e la città che ha sostanza. È il dialogo tra queste due parti, il loro tentativo di corrispondersi, di 3 Saskia Sassen, Perché le città sono importanti, in Città, Architettura e società, catalogo della X Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, Marsilio, Venezia 2006. 4 Paolo Desideri, La città di latta, Costa & Nolan, Genova 1997. 5 Kevin Lynch, L’immagine della città, Marsilio, Venezia 1964. 6 Massimo Ilardi, Negli spazi vuoti della metropoli, Bollati Boringhieri, Torino 1999. Dalla città generica alla città specifica XXIII cercare una risultante sintetica che abbia i caratteri dell’amalgama tra componenti macroscopiche e interstiziali, che produce l’ambiente sul quale lavorare per “fare la città”. La città materiale La città materiale, localizzabile nel dominio del concreto e del tangibile, è l’orizzonte dato dal contrappunto di costruito (positivo) e di vuoto (negativo), vicendevolmente complementari e concatenati in una successione priva di soluzioni di continuità che si concretizza in una fisicità geometrica generatrice di spazio. Nel panorama dell’eminentemente fisico che caratterizza la geografia dell’urbano, l’alternanza di assenze e presenze nella continuità spaziale è determinante, e il vuoto risulta «uno strumento di misura, una zona interstiziale tra massa e materia edilizia che svolge una funzione di equilibrio dinamico tra forze in tensione che si attraggono o respingono»7. Questo coagulo di fabbricati sul tessuto urbano è paragonabile a un’architettura extralarge, di scala enorme, o a «un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corso di lunghi periodi di tempo»8; sono queste le materialità “fisse” protagoniste del paesaggio del nostro quotidiano, il soggetto privilegiato del lavoro di chi disegna il territorio tentando di curarne gli aspetti formali, disponendo le “zolle costruite” secondo una reciprocità di posizione che identifica aree, zone, regioni. L’aspetto fisico della città, la sua forma, deve essere normato, regolamentato; deve cioè essere oggetto di una pianificazione spaziale organizzata, intesa come strumento tecnico di applicazione sul campo della disciplina urbanistica. Il progetto che disegna e definisce i profili della città, votato a ordinare forme sul territorio e indissolubilmente dipendente dal disegno politico di pianificazione socioeconomica, produce risultati sempre perfettibili e mai definitivi, dovendo rispondere con la fissità dell’organizzazione del costruito a esigenze in continuo divenire, alle urgenze e ai bisogni cangianti in tempo reale delle comunità. Proprio questa necessità di mobilità spinge il progettista della “città materiale” all’adozione di modelli di riferimento condivisibili 7 8 Massimo Ilardi, cit. Kevin Lynch, cit. ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 XXIV Pagina xxiv City making Dalla città generica alla città specifica XXV che contengano gli anticorpi a una precoce obsolescenza di disegno e sappiano interpretare, per mezzo di una visione definibile come strategica, le dinamiche d’uso dei suoli in relazione agli interessi della società, esprimendo nel contempo un’idea estetica. Dopo la trattatistica classica sull’architettura, le teorie sulle sistemazioni urbane si sono susseguite incessantemente nella messa a punto e nella proposta di modelli: si va dal Quattrocento di Leon Battista Alberti all’Ottocento di Camillo Sitte, dal De Re Aedificatoria a L’arte di costruire le città9, fino al Novecento, con una prima fase dedicata ai modelli “eroici” del modernismo e una seconda contrassegnata da una lettura “riflessiva” che analizza criticamente la precedente e licenzia visioni “aperte” e sistemi strutturati in maniera complessa. La letteratura tematica dedicata all’amministrazione formale del patrimonio edificato ed edificabile nel contesto urbano ha espresso una moltitudine di ipotesi, con linguaggi distinti e formulazioni anche antitetiche. È una storia fatta di teorie che generano modelli, attraverso i quali, in definitiva, è anche possibile dare conto dello spirito e del pensiero del proprio tempo. La città immateriale, quindi, è un sistema di comunicazioni «costituito dall’insieme delle interazioni cui danno luogo i soggetti sociali che agiscono nello scenario urbano, sia svolgendo attività organizzate nel quadro di sottoinsiemi funzionali, sia esercitando quelle pratiche sociali che si è soliti attribuire alla sfera della “vita quotidiana”. Tali interazioni possono essere formali o informali; orientate ad uno scopo preciso o ad una molteplicità di scopi relativamente definiti e, ancora, possono richiedere un contatto face to face, oppure essere mediate da uno strumento per la comunicazione a distanza»11. La mappa delle interazioni registra densità eccezionali nelle città, dove maggiori sono le possibilità di incontro e confronto; qui si è formato un clima favorevole allo sviluppo dei rapporti tra gli individui, congeniale ad alimentare quella palette di sentimenti, tradizioni e valori che si traducono nei tratti descrittivi generali e nel profilo di una società. In definitiva, ciò che completa le fisicità della città è un sistema di relazioni sociali: al corpo corrisponde un’anima. Anche se «l’anima della città resta incredibilmente astratta»12. La città immateriale La città risultante La città immateriale è invece data dal movimento, dal flusso, dalle traiettorie percorse dagli individui per spostarsi tra le solidità della città edificata. È una città trasparente, fatta dalle vite delle persone che abitano quei territori, e dalle tracce impalpabili lasciate negli ambienti. L’immaterialità di cui sono fatte le città – escludendo la virtualità tecnologica dei flussi di dati e di quelli relativi alle comunicazioni – è connessa quindi alla presenza dell’uomo, alla circolazione di una massa di atomi sociali in cui «i singoli soggetti sono immersi in una moltitudine di relazioni poliedriche e rapidamente mutevoli; essi possono essere rappresentati come “nodi” di circuiti comunicativi attraversati da messaggi di natura eterogenea»10. Questi individui, nella loro veste di “nodi”, identificano una geografia fatta di isole di trasmissione e ricezione, di arcipelaghi in connessione e reciproca interdipendenza: è un paesaggio di corrispondenze, di associazioni, di mutue dipendenze. Città materiale e città immateriale quindi, sono le due porzioni divisibili ma virtualmente calzanti che abbiamo arbitrariamente identificato nel tentativo di fornire una descrizione sintetica, anche se parziale, del luogo urbano elementare. Questa semplificazione, certo non esclusiva e senza pretese di porsi come alternativa privilegiata rispetto ad altre, ci aiuta a visualizzare gli addendi base di una combinazione: è la loro integrazione, corrispondenza e sovrapposizione che fornisce l’ambiente complesso, stratificato, relazionale e multidimensionale che chiamiamo città. Quella tra materialità e immaterialità è un’integrazione bilanciata: il costruito acquisisce il respiro vitale di chi lo abita, lo percorre e lo utilizza, e gli individui trovano le loro dimore, le infrastrutture, gli spazi a proprio servizio. Definita questa piattaforma comune, ogni città matura una fisionomia distinta e originale miscelando gli 9 11 12 Qui è riportato il titolo dell’edizione italiana dell’opera di Camillo Sitte. Il titolo originale è Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen. 10 Alfredo Mela, Società e spazio: alternative al postmoderno, Franco Angeli, Milano 1990. Alfredo Mela, La città come sistema di comunicazioni sociali, Franco Angeli, Milano 1990. Rem Koolhaas, Il lavoro nelle città, in Città, Architettura e società, catalogo della X Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, Marsilio, Venezia 2006. ES_LANDRY 29-09-2009 XXVI 10:19 Pagina xxvi City making addendi di cui abbiamo parlato, ma raggiunge un carattere unico in ragione dell’intervento in questa “miscela” di altri fattori determinanti, quali ad esempio l’ambiente naturale, la posizione geografica e la connotazione culturale (che in parte sono propri del dato immateriale, ma ricordiamoci che stiamo operando una proiezione con un certo grado di astrazione e una semplificazione estrema). È proprio in questo passaggio, in cui alla combinazione degli addendi base si aggiungono gli altri, che si compie la transizione tra la città generica e quella specifica; è in questo lasso che i caratteri propri di una realtà urbana si specializzano e l’identità si determina; è in questo segmento della genesi di un luogo che si manifestano le distinzioni, le eccentricità, le irregolarità che ne connotano l’unicità, la singolarità; è sempre in questa frazione che può intervenire l’articolato pensiero di Landry dedicato al fare la città sotto forma di azioni mirate e processi organizzati a promuoverne il cambiamento e la rivitalizzazione significativa. Il city making postulato da Landry non punta direttamente alla città materiale, e agisce in maniera mediata su quella che abbiamo definito immateriale, ma cerca l’impatto positivo e determinante sulla loro combinazione, mettendo in campo principi forti e politiche ad alto tasso di creatività con il fine manifesto di migliorare la qualità ambientale dei centri di vita metropolitana e, di conseguenza, garantire migliori condizioni di vita ai suoi abitanti. È questo l’obiettivo finale, ambizioso e complesso, che non può essere realizzato ricorrendo al solo strumento della pianificazione territoriale, mentre deve necessariamente contemplare l’uso della cultura come agente prioritario nel processo di riaffermazione delle città: la cultura della conoscenza, la cultura dell’immaginazione, la cultura dell’invenzione, la cultura in genere ma sempre esercitata in forma creativa. Il termine “creatività”, oggi usato sino all’abuso in riferimento ad ogni espressione del progettare con estro – non importa se con risultati di valore o meno – acquista con Landry una profondità diversa perché collegato a un’aspirazione etica. Il concetto di creatività civica, ad esempio, esprime la «capacità immaginativa di risolvere problemi applicata a obiettivi volti al bene collettivo»: ad ogni singola azione esercitata sulla città in sostanza, bisogna far corrispondere una reazione che rechi beneficio diffuso, che possa essere a favore di tutti. Lavorare per accedere a nuove e migliori soglie di qualità del vivere per i cittadini presuppone uno slittamento di mentalità verso un modulo che, oltre agli interessi dei Dalla città generica alla città specifica XXVII singoli, favorisca quelli delle comunità, riconsiderando l’equilibrio tra desideri individuali e bisogni della società: un modo di praticare che risulta più sostenibile di altri perché capitalizza energie, ottimizza le risorse e chiama alla condivisione. Non solo fare la città quindi, ma fare delle città dei luoghi di solidarietà in cui si ricerca il coinvolgimento diretto delle persone e ci si esprime in forma partecipata. La città risultante, quella che il city maker visualizza e vorrebbe realizzare, è un luogo inclusivo, che riesce a fare del dialogo tra individui (linguistico ma non solo) la chiave d’accesso a un’emotività capace di decodificare lo stimolante panorama sensoriale delle metropoli e garantire un clima altamente favorevole ad ogni forma di relazione. È questo, in sostanza, il tratto più convincente del teorema landryano: fare la città attraverso il cittadino, trasmettendo a questo la consapevolezza del suo ruolo e indirizzandolo, grazie a mediazioni di carattere culturale, a divenire un attore più sensibile e attivo. Fare la città è l’espressione di una politica che tutti possono (e dovrebbero) affermare: perché attraverso l’esercizio di un’inventiva estroversa che riconosciamo nel fare creativo, ogni individuo può realmente concorrere ad arricchire la città immateriale e aspirare a una città materiale migliore. ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 Pagina xxviii City making ES_LANDRY 29-09-2009 10:19 Pagina 2 Capitolo 1 Ouverture Premessa Lungi dall’essere una formula, il city making, un “fare la città” che non si limiti a una mera pianificazione, è un’arte complessa. Non esistono ricette semplicistiche, regole prefissate da applicare meccanicamente che possano garantire il successo in tutte le circostanze. Ci sono però alcuni principi forti che possono sostenere un buon city making nel trovare la propria via verso una riuscita attuazione: - L’argomentazione portante di questo libro verte sull’idea che una città non dovrebbe cercare di essere la più creativa del mondo (o stato o regione), bensì dovrebbe sforzarsi di essere la migliore e più ricca di immaginazione per il mondo1. Questo semplice slittamento di preposizione – da un “di” a un “per” – ha implicazioni cruciali in merito alle dinamiche operative urbane. Conferisce al city making un fondamento etico. Contribuisce a far sì che le città divengano luoghi di solidarietà, in cui le relazioni poste in essere dall’individuo, dal gruppo e da chi viene da fuori nei confronti della città stessa e del pianeta si trovino più adeguatamente allineate. Così concepite, le città potranno esprimere al tempo stesso passione e compassione. - Seguire il carattere delle culture locali e le loro peculiarità, rimanendo però aperti alle influenze esterne. Bilanciare locale e globale. - Coinvolgere nelle decisioni le persone che saranno destinatarie delle azioni. È sorprendente come la gente comune sia in grado di far accadere cose straordinarie, se solo le viene data la possibilità. - Imparare da ciò che gli altri hanno fatto bene, ma non copiarlo passivamente. Le città che si basano principalmente sulle cosiddette “buone prassi”, anziché trainare, vanno al seguito, e non si assumono i rischi necessari per proiettarsi in avanti. - Incoraggiare i progetti che aggiungano valore dal punto di vista ES_LANDRY 29-09-2009 4 10:19 Pagina 4 City making economico ma, allo stesso tempo, rafforzare i valori etici. Ciò presuppone di riconsiderare l’equilibrio tra desideri individuali e bisogni collettivi e planetari tipici del XXI secolo. Troppo spesso il valore viene riduttivamente definito in termini di calcolo finanziario. Così si pecca di semplicismo. La new economy richiede che l’azione sia guidata da un fondamento di valori etici. Questo implicherà che i comportamenti dovranno cambiare, se si vogliono raggiungere obiettivi come quello di arrestare lo sfruttamento dell’ambiente. Combinare l’elemento sociale e ambientale con la contabilità economica aiuta a individuare i progetti in questo senso più adeguati. Il movimento per il commercio equo e solidale ne costituisce un esempio. - In presenza di alcuni prerequisiti essenziali, cioè saper pensare, pianificare e agire con immaginazione, qualunque luogo può sfruttare al meglio le proprie potenzialità. La capacità immaginativa delle persone, unita ad altre qualità come la tenacia e il coraggio, è la nostra risorsa più grande. - Favorire la creatività civica quale ethos della città. La creatività civica è una capacità immaginativa di risolvere problemi applicata a obiettivi volti al bene collettivo. Presuppone da parte del settore pubblico un maggiore spirito imprenditoriale, pur entro i limiti istituzionali, e da parte del settore privato una maggiore consapevolezza delle proprie responsabilità verso la collettività. Ouverture - - Quelli che seguono sono alcuni dei temi che si incontreranno nel volume: - Il nostro orizzonte sensoriale si sta riducendo proprio nel momento in cui dovrebbe espandersi. La manipolazione sensoriale ci sta allontanando dalle nostre città, facendoci perdere la capacità di conoscerle a livello viscerale. Abbiamo dimenticato come si percepiscono gli odori della città, come se ne ascoltano i rumori, non sappiamo più cogliere i messaggi che il suo aspetto esteriore ci invia né renderci conto dei materiali di cui è fatta. Per contro, esiste un sovraccarico di informazioni e di input sensoriali finalizzato a rendere la città un’esperienza spettacolare. - I cosiddetti “professionisti urbani”2 discutono di città in termini aridi, svuotati e ricorrendo al gergo tecnico, come se la città fosse qualcosa di inanimato, distaccato, quando invece è un’esperienza sensoriale, emozionale, viva. Per un verso, è un po’ come suc- - 5 cede con i propri parenti: non ci si può mai sottrarre davvero. Soprattutto, la città è qualcosa in più di una configurazione hardware, di un puro insieme di unità fisiche. Quando mai un piano urbano strategico inizia con parole come “bellezza”, “amore”, “felicità” o “emozione”, rispetto invece a “circonvallazione”, “esito territoriale” o “struttura di piano”? Per capire la città e coglierne il potenziale è necessario affrontare cinque importanti punti: dobbiamo pensare in modo diverso – in un modo più fluido – al fine di cogliere le connessioni fra le cose; dobbiamo percepire la città come un’esperienza sensoriale più complessiva, così da comprendere i suoi effetti sugli individui; dobbiamo sentire la città come un’esperienza emotiva; dobbiamo capire le città dal punto di vista culturale, una conoscenza delle strutture culturali che caratterizzano una civiltà è lo strumento che ci aiuterà a comprendere meglio le dinamiche delle città stesse; dobbiamo riconoscere il lato artistico di ciascuno di noi, che può condurci a un differente livello di esperienza. Una comprensione della cultura, rispetto all’economia o alla sociologia, è uno strumento di gran lunga più adeguato con cui descrivere il mondo, poiché è in grado di spiegare i cambiamenti e le loro cause ed effetti, e non assume come scontata alcuna ideologia, istituzione o pratica, né le considera qualcosa di immutabile. La cultura è connessa ai comportamenti umani, ragione per cui un’analisi culturale può essere espressa in termini che ci suonano familiari e avvincenti. È un buon mezzo attraverso il quale produrre narrazioni che concernono il mondo. Le città hanno bisogno di storie o di narrative culturali relative a se stesse, sia per ancorare sia per sospingere in avanti la propria identità, oltre che galvanizzare i propri cittadini. Queste storie consentono agli individui di dedicare sforzi non solo più ampi, ma più nobili. Una città che descrive se stessa come la “città delle chiese”, ad esempio, induce nei cittadini modelli comportamentali diversi da una che si proietta in termini di “città delle seconde opportunità” (alcuni critici sottolineano tuttavia come queste narrative culturali siano complesse da valutare. Torneremo su questa disputa in seguito). La logica interna di un mercato senza limitazioni palesa una ristretta storia di ambizione e nessuna etica né moralità. Non si preoccupa del “buon vivere”, dell’amalgama sociale, del rispetto per l’ambiente. È fondamentale far sì che il sistema mercato si ES_LANDRY 29-09-2009 6 10:19 Pagina 6 City making metta al servizio del quadro generale: attraverso incentivi, regolamentazioni, o quant’altro, così da renderci tutti più responsabili. - Come un velo, il sistema mercato avvolge le nostre coscienze nel far gonfiare desideri e consumi. La logica di mercato tende a frammentare i gruppi in unità e nicchie di consumatori e, così facendo, a spezzare la solidarietà sociale. Ma quest’ultima è indispensabile se si vogliono affrontare con successo problematiche urbane controverse come la cosiddetta “sorveglianza naturale”, cioè quel tipo di controllo volontario che i cittadini possono attuare vicendevolmente nelle zone critiche. Per aiutare a decifrare la complessità, si offre una cornice concettuale che ha come focus principale una stima delle incognite e delle linee di frattura più profonde a cui le generazioni future dovranno trovare risposte, come le tecnologie informatiche e l’invecchiamento della popolazione; i terreni di scontro e le quotidiane controversie per stabilire le priorità; e paradossi come l’insorgere simultaneo di una cultura avversa al rischio e di una pressione all’essere creativi e al rompere le regole. Questi che seguono sono alcuni dei principali punti affrontati nel libro. La dinamica complessiva del sistema che governa il city making è molto meno razionale di quanto tenda ad apparire: non guarda ai flussi generali, alle connessioni o alle interrelazioni, e l’impatto delle ricadute non viene considerato, né preventivato. Il city making non è il lavoro di singole categorie: i professionisti urbani e i politici possono credere di esserne i titolari, ma ne sono responsabili solo per una parte; a causa di questa frammentazione e delle normative di diverse professioni e aree di interesse in conflitto fra loro, non possiamo più costruire le città che amiamo: le esigenze attuali, specialmente quelle relative all’ingegneria del traffico, ce lo impediscono. E, non ultimo, i sei miliardi di abitanti del pianeta sono troppi, se non interviene un cambiamento radicale negli stili di vita. City making propone che si seguano queste indicazioni: - Ridefinire l’ambito della creatività, puntando molto di più a dare libero sfogo a quella massa di creatività ordinaria, della vita di tutti i giorni, che giace dormiente in moltissimi di noi. I punti da focalizzare dovrebbero essere, allo stesso tempo, la creatività sociale e le altre forme in cui essa si può manifestare. Questo significherebbe non dare più per scontato che questa facoltà sia ap- Ouverture 7 pannaggio esclusivo delle industrie che operano in settori creativi e dei media. Diversamente, la creatività corre il rischio di essere risucchiata dalla moda. - Riconoscere il pensiero artistico come fattore utile nel trovare soluzioni immaginative, smuovendo e coinvolgendo le persone. Tutte le professioni urbane dovrebbero prendere in considerazione l’idea che si debba pensare come artisti, pianificare come generali e agire come impresari teatrali. - Ripensare le nostre figure celebri, e che cosa un eroe o un’eroina urbana dovrebbe essere. Potrebbe essere un invisibile pianificatore, una persona che opera nel mondo degli affari, un lavoratore sociale o un artista. - Rendersi conto che esiste una grossa opportunità per il ritorno di una città-stato intesa nel senso della polis greca, e per fare diventare le città delle entità guidate dai valori in una misura molto più elevata rispetto a quanto gli stati-nazione potranno mai essere. Ciò implica una rinegoziazione dei rapporti di potere con i governi centrali. Nella sua versione migliore, un buon city making porta ai massimi compimenti della cultura umana. Una rapida occhiata al globo terrestre rivela i nomi di città antiche e recenti. Sono nomi che fanno simultaneamente risuonare in noi la presenza fisica di quelle città, le loro attività, le loro culture, i loro abitanti, le loro idee: Il Cairo, Esfahan, Delhi, Roma, Costantinopoli, Canton/Gúangzhõu, Kyoto, New York, San Francisco, Shanghai, Vancouver o, in una scala minore, Berna, Firenze, Benares/Varanasi, Shibam. Le nostre città migliori sono i manufatti più elaborati e sofisticati che gli esseri umani abbiano concepito, modellato e realizzato. Le peggiori sono da dimenticare, dannose, distruttive, addirittura infernali. Per troppo tempo abbiamo creduto che il fare la città implicasse soltanto l’arte dell’architettura e della pianificazione di uso del suolo. A poco a poco, sono entrate a far parte del panteon anche le arti dell’ingegneria, della topografia, della valutazione, dello sviluppo immobiliare e della gestione del progetto. Oggi sappiamo che l’arte del city making coinvolge tutte le arti, poiché, da sole, quelle fisiche non bastano a fare una città o un luogo. Perché ciò accada, occorre che vengano sviluppate tutte: l’arte di comprendere le necessità, le urgenze e i desideri delle persone; l’arte di generare prosperità e di piegare le dinamiche del mercato e dell’economia ai bisogni della ES_LANDRY 29-09-2009 8 10:19 Pagina 8 City making città; l’arte della circolazione e del movimento della città; l’arte del progetto urbano; l’arte del potere commerciale per generare influenze creative, così che la forza delle persone possa liberarsi. E l’elenco potrebbe continuare. Non dimentichiamo, infatti, la partecipazione, il benessere, gli stimoli ispiratori e i momenti di celebrazione della comunità. Cosa più importante di tutte, poi, un buon city making richiede l’arte di aggiungere contemporaneamente valore e valori a tutto ciò che si intraprende. Insieme, i modi di pensare, le competenze e i valori inglobati in queste arti contribuiscono a creare un luogo da quello che è semplicemente uno spazio. La città è un tutto interconnesso. Non può essere vista come una mera somma di elementi, anche se ciascuno di essi è importante per i propri meriti. Quando prendiamo in considerazione una delle parti costituenti non dobbiamo ignorare le sue relazioni con il resto. L’edificio comunica con gli altri edifici che gli stanno accanto e con la strada, e a sua volta la strada contribuisce a modellare il quartiere. In tutto quanto è infusa la presenza della gente che popola la città: le persone plasmano l’elemento materiale, ne definiscono l’uso e creano le sensazioni che suscita. La città è costituita da un hardware e da un software. L’hardware è come la struttura ossea, lo scheletro, mentre il software è come il sistema nervoso e le sue sinapsi: l’uno non può esistere senza l’altro. La città è un’entità dalle mille sfaccettature. È una struttura economica: un’economia; è una comunità di individui, una società; è un ambiente progettato, un manufatto; è un ambiente naturale, un ecosistema. Ed è l’insieme di questi quattro elementi – economia, società, manufatto ed ecosistema – governato da una serie di regole contrattate: una polis. Tuttavia, il suo motore interno, la forza che la anima, è la sua cultura. La cultura – tutte quelle cose cioè che riteniamo importanti, credenze e consuetudini – conferisce alla città il suo tratto peculiare: il sapore, il tono, la patina. L’arte del city making tocca tutte queste dimensioni. Concerne le scelte, e dunque la politica, e dunque il ruolo del potere. E le nostre città riflettono le dinamiche di potere che hanno dato loro forma. City making è un libro piuttosto lungo, ma ritmi differenti percorrono le sue pagine, e confido quindi che risulterà facile da leggere a spizzichi e bocconi, a razioni che potranno essere diluite nel tempo. Ad esempio, il Capitolo 2 (Il paesaggio sensoriale delle città) è contraddistinto da una certa atmosfera con passaggi che tendono forse al lirismo, mentre la prima parte del Capitolo 3, intitolata La belva Ouverture 9 che tutto s’ingoia, si basa sui fatti, e i paragrafi dedicati alla geografia della miseria e del desiderio hanno un tono più esasperato. La seconda parte del volume cerca di riunire tutti questi aspetti, di chiarire e semplificare, nonché aiutare il lettore a gettare luce sulle questioni più rilevanti e complesse che interessano le città. Poi, nell’avvicinarsi alla conclusione, il Capitolo 6 (La città come opera d’arte vivente) è una sorta di scatola degli attrezzi, contenente idee con cui spingersi in avanti. E il Capitolo 7 (La creatività e la città) invita il lettore a giudicare da sé quali luoghi siano veramente inventivi e perché.