LA RACCOLTA DELLE LUMACHE A CIRELLA

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LA RACCOLTA DELLE LUMACHE A CIRELLA
LA RACCOLTA DELLE LUMACHE A CIRELLA
-Racconto di Giuseppe AprileAd inverno inoltrato le lumache non ci sono più. O si va per raccoglierle il primo giorno di pioggia
intensa dopo la calda estate, o si perde il piacere della raccolta e di mangiarle. Si perdono perché
escono dal letargo in una volta o, al massimo, in due a seconda di quanto la terra è stata
ammollata dalla pioggia. Potrebbe anche esserci una terza mattinata utile per la raccolta, ma solo
se nelle prime due la pioggia è caduta leggermente. Le lumache stanno dentro la terra per tutto
l’anno ed escono tutte in due giorni; se ti perdi il piacere di raccoglierle, non te le ritrovi più.
Quest’anno mi sono tenuto informato del mio paese, da dove manco da venti anni; da quando mi
sono trasferito con la mia famiglia a Reggio Calabria e vivo nel ricordo delle cose che facevo in esso
da giovanissimo. Totò mi aveva informato e si tenne pronto per venire con noi approfittando della
mia auto e godendo della mia compagnia. Da Reggio a S. Ilario è solamente poco più di un’ora di
viaggio. Nulla se penso al piacere di ripetere il rito della raccolta delle lumache. Un rito che si
celebra da secoli e che vede interessati tutti i paesani ed in tutti i luoghi delle zone argillose,
biancastre e poco erbose perché mantengono i segni dell’aratura che il contadino aveva fatto, a
fine stagione, per dissodare l’erba sulla e farne le balle di fieno da conservare per l’intero inverno
degli animali, o per semplice pulizia della terra in modo che venisse sottratta alla certa invasione di
altra erba selvatica rifiutata da ogni tipo di animale ma che spuntava e cresceva enormemente
facendo perdere anche quella utile per conservarsi come fieno e che comprendeva due o tre tipi di
erba buona e conservabile in balle o in manne come fieno che serviva sia per gli asini, sia per i buoi
che per capre e pecore. Ci spiegava massaro Micantoni: “Non che gli animali si accontentino di
questo. Mangiano il fieno maggiormente, ma guai se non gli date anche periodiche dosi di cibo
prediletto, che noi contadini paragoniamo con la carne, i pesci e la frutta degli uomini.Gli animali
vanno trattati come gli esseri umani. E come per l’uomo c’è la pasta, la polenta e lo verdura che
sarebbero serviti come primo, per gli animali dovete dare anche quello che si potrebbe
considerare una specie di loro secondo, dopo il primo di erba e fieno, e che consiste in biada che
può essere di fave, di resti di farina cernuta mischiata con i piselli duri, o l’avena.” –Vedete che gli
animali vogliono trattati per bene, meglio di noi stessi; e capiscono più di quanto alcuni di noi
pensano- concludeva. Ad inizio d’inverno, anzi, in pieno autunno, quando difficilmente la terra si
sottrae alle prime forti piogge, devi avere immesso nella capanna tutto il mangiare per gli animali
perché si conservi all’asciutto e, comunque, fuori dalla portata dell’acqua piovana. Una volta,
prima che mi trasferissi a Reggio, nel perdurare della mia vita da scapolo e comunque da ragazzo
giovane, non ci sfuggivano le prime piogge. Un po’ perché stavamo attenti e molto perché
eravamo tutti interessati e ci informavamo l’un con l’altro, in prima mattina, quando ancora non
era sorta l’alba e tutto era assorto nel buio delle prime giornate cattive. Alcuni avevano il sonno
più lento degli altri, e sentivano il primo sbattere sui vetri della propria casa, l’acqua che cadeva
dal cielo. C’erano addirittura quelli che si dicevano specialisti nel sentire la pioggia anche se cadeva
leggermente. Non avevano bisogno del diluviare per rendersi conto che fuori l’acqua spazzava le
ultime rimanenze del buon tempo dell’estate oramai al tramonto. Io ricordo che, essendo distante
dall’abitato del paese una quindicina di chilometri Cirella, il paese che vantava terreno davvero
adatto per le lumache e non essendoci allora le auto di cui ora abbondiamo, tante mattine dovevo
faticare per riparare le ruote della bicicletta che era l’unico mezzo per raggiungere la terra delle
lumache. E mi mettevo, nel buio della mattinata ancora avvolta nelle tenebre, per riparare la
camera d’aria della mia vecchia bici e poter partire; qualche volta non ce la ho fatta a prima
mattina, mi arrivò la luce del giorno sulla groppa e, diventato più facile lavorare, potetti iniziare il
viaggio con ritardo assai rilevante. E la raccolta è stata misera, sia pure sempre avvincente. Una
volta era successo che io andavo verso quella terra e tantissimi facevano ritorno. E dovevo
spiegare il perché del mio ritardo. “Vai che ancora trovi” mi dicevano alcuni che sapevano quanto,
in tarda mattinata e magari con lo spuntare del primo sole, le lumache si sarebbero ritirate
nuovamente dentro la terra. Da una parte c’era che i più avevano raccolto perché avevano girato
tutti i pezzi di terra dove sapevano di trovarne, dall’altra che il mio arrivo il ritardo impoveriva la
mia raccolta. Ma mi godevo ugualmente la mattinata avendo l’idea che il raccoglierle, tra quella
terra umida, che spesso faceva fango, insieme a tanti altri amici, mi rendeva felice, gioioso. E
dicevo spesso, come tanti altri, che la raccolta piaceva addirittura di più rispetto al mangiarle. Non
erra proprio così perché le lumache, fatte con il sugo di pomodoro e condite con olio d’oliva buono
e romatizzate sopratutto con buon peperoncino, erano una delizia. Ma si diceva così perché era il
modo per sottolineare che avevano ragione i tanti che fermavano il loro massimo piacere al rito
della raccolta. Cecè, il bravo Cecè che era molto attaccato alle cose della vita di paese, diceva
addirittura che lui amava la raccolta delle lumache anche se queste non gli piacevano da morire;
anzi, non gli piacevano spesso affatto e mangiava pochissime a casa, quando sua madre le faceva
friggere in padella. Lui mangiava il meno di tutti in famiglia anche se era il solo a raccoglierle.
Diceva che per lui la soddisfazione era solo nella raccolta, che per lui tutto si poteva fermare alla
raccolta. Poi, diceva “Sapevo che era peccato e non lo facevo, ma per mia volontà non ci avrei
pensato due volte per rimetterle libere nella terra a proseguire la loro vita e, magari, trovarceli più
abbondanti nella stagione successiva”. Prima ancora, quando solo la gente di montagna, della
lontana Ciminà oltre che di Cirella, quando venti chilometri erano sentiti più lunghi, in mancanza di
mezzi perché si raggiungessero, sapeva di esse che venivano raccolte e portate per la vendita ai
paesi di marina come cibi assolutamente prelibati. Quest’anno feci anche una eccezione. Non solo
mi sono divertito con Totò a raccoglierle in abbondanza, ma lungo la strada di ritorno per Reggio
Calabria, senza badare al prezzo abbastanza elevato con cui le vendevano, mi feci riempire
abbondantemente le buste che avevo e sono tornato a casa con una decina di chili di lumache.
Molte le abbiamo conservate nel congelatore. Penso che le lumache, ben fatte con brodo di
pomodoro fresco dentro cui ci mischiavano peperoncini piccanti, prezzemolo e cipolla,
costituiscano uno dei piatti più prelibati di tutte le generazioni di contadini del paese e la loro
raccolta, funzionale ad un pasto abbondante sulla tavola imbandita anche con fiaschi di buon
vino, era una delle feste più sentite e antiche dei villaggi di campagna e dei paesi rurali. Io non
dimenticherò mai la gioia del giorno in cui, tutti a tavola, sedevamo per gustare le lumache fatte
solitamente in due podi; quello più comune e di maggiore abbondanza che era costituito dalla loro
frittura con un ottimo brodo piccante e quello che era molto più semplice e sbrigativo, ma non
meno gustoso, che vedeva le lumache fritte solo con puro olio d’oliva e così consumate. Mio padre
e mia madre erano molto legati alla tradizione anche perché era piacevole l’andare a raccoglierle
ed erano ricordi dei propri avi che avevano avuto lo stesso appassionato modello di
comportamento come rituale proveniente da lontani tempi e da tante generazioni del più lontano
passato. Non c’era persona, nel paese, che non partecipasse a tanto piacevole rito. Grandi e
piccoli, senza alcuna differenza di età, sembravano essere diventati della stessa età. Tutti, allo
stesso modo, per la raccolta e il consumo a tavola condividendo un piacere che era tutto
famigliare e per l’intero paese. Come per tutte le altre cose poteva anche esserci qualcuno che
godeva di meno, ma per tutti indistintamente comunque era una gioia infinita attendere e godersi
questo rito antico e nuovo nello stesso tempo. Nessuno ha mai pensato che si sarebbe arrivati al
giorno in cui la raccolta delle lumache sarebbe stata un ricordo. Per molti contadini, addirittura,
costituiva gioia raccontare come e dove avevano trovato più lumache. E c’era chi era più abile a
raccoglierle, chi era più esperto e chi lo faceva con più spigliatezza perchè più profondo
conoscitore del terreno e dei punti dove avrebbe trovato di più. Si sapeva che la zona più umida
avrebbe offerto più abbondanza. E lì c’erano lumache singole e pariglie, cioè una o più coppie.
Della zona di Cirella nessuno sapeva l’esistenza fino a quando non venne una famiglia, quella del
collocatore comunale che si chiamava Rocco Bova, ad abitare in paese proveniente da tale centro,
vicino al paese denominato Cimino. La caratteristica di questa zona era che dalla sua conoscenza
venne una nuova idea delle lumache. Si raccoglievano a chili, si riempivano buste intere che
pesavano a volte anche dieci chili.Nei tempi passati, quando la vita era più raccolta nel luogo di
nascita e il passare tra una zona e l’altra era un fatto più raro, le lumache si raccoglievano e si
mangiavano in minore abbondanza. La scoperta della zona di Cirella, dovuta appunto al
collocatore ed alla sua famiglia, fece fare un grande balzo avanti alla festa perché, da allora in poi,
le lumache non sono state più una cosa da assaggiare magari da ghiotti solamente, ma divennero
una grande abbondanza che consentiva un pranzo o una cena assai esaustiva dei poteri di
ricezione anche per le pancette più capienti. Sulla terra dove si raccoglievano le lumache era, per
tutta la mattinata, un vociare di amici e conoscenti che ad ogni vista di quel ben di dio, gridava e
vantava di aver trovato. E diceva.”Ecco una! Anzi, due, tre una coppia” E molti si spostavano verso
quelli che gridando di gioia mostravano che nella loro zona c’era più abbondanza. Era un muoversi
di qua e di là alla ricerca dei punti di maggiore presenza e per una raccolta che fosse la più
abbondante possibile. Incontrandosi, poi, verso la fine, ognuno mostrava all’altro il suo raccolto
mostrando la busta indicando fin dove era stata riempita. “Io ho raccolto tre chili” diceva Ciccio
che sempre si sentiva in ottima forma e ben disposto alla raccolta. “Ed io sono arrivato a quattro
chili” rispondeva Franco. Qualcuno non aveva avuto un buon successo. Non era stato fortunato,
come si diceva. Perché non conosceva bene il terreno o perché era meno svelto degli altri o perché
era lento come per tutte le altre cose della sua vita. Ma il minimo importante per una
soddisfacente mangiata lo ricavavano tutti. Quelli che avevano di meno, avevano comunque
abbondanti per soddisfare l’intera famiglia. Nessuno rimaneva senza. C’era un ragazzo che è
rimasto nella storia paesana per la sua immensa abilità di raccogliere lumache. E se le vendeva
portandosele e disponendole in una vasca di creta al ciglio della strada nazionale, dove il traffico
sarebbe stato abbondante e passava gente di paesi di marina che, si sapeva, erano meno esperti di
quella dei paesi di collina e di montagna, maggiormente caratteristici non solo per le lumache, ma
anche per le altre abbondanze che trovavano in terra collinare e montana come i funghi, l’origano,
gli asparagi, le fragole, i tartufi. Uno, forse il più noto, era Mimmarello u Giara che correva
velocemente, si arrampicava sulle rocce delle colline, saliva sugli alberi qualunque fosse la loro
altezza e qualunque difficoltà presentassero. Mimmarello sembrava uno fatto per la campagna,
per le zolle di terra, per fare in contadino, per una vita più da animale che da uomo. Aveva, come
dicevano tutti, una grande vocazione naturale per la terra e la sua vita. Per questo, forse, era noto
e conosciuto e per questo in ogni sua attività campagnola, sembrava invincibile.
Giuseppe Aprile