Ricoeur oltre Freud. L`etica verso un`estetica

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Ricoeur oltre Freud. L`etica verso un`estetica
Ricoeur oltre Freud. L’etica verso un’estetica*
Nota di Vinicio Busacchi
 Recensioni Filosofiche (2007)
Q
uella contenuta in questo libro è decisamente una lettura attenta e matura del
parcours ricœuriano, dal debutto – con il monumentale progetto della
Philosophie de la Volonté – alla grande sintesi del 1990, Soi-même comme un
autre. L’autore non manca di prendere in considerazione i contributi successivi del
filosofo, in particolare La memoria, la storia e l’oblio (su cui costruisce un’analisi
del «perdono») e Percorsi del riconoscimento (che considera nelle conclusioni), ma
il suo riattraversamento dal punto di vista etico della filosofia di Paul Ricœur trova
nel saggio del ’90 un momento culminante. Di fatto esso costituisce il secondo dei
due poli su cui si organizza la lettura dell’autore. Se il primo, facendo perno sul
momento riflessivo freudiano (il cui fulcro è rappresentato dal celebre
Dell’interpretazione. Saggio su Freud del 1965) riesce a legare gli esiti
dell’empirica della volontà – e di una poetica mancata – a quelli linguistici, e non
solo linguistici, de La metafora viva (1975), il secondo trova nella nozione di
identità narrativa – da Ricœur sviluppata negli studi centrali di Sé come un altro – il
fulcro intorno a cui legare la teoria narrativa messa a punto dal filosofo francese
negli anni Ottanta (e contenuta nella trilogia di Tempo e racconto), alla
«fenomenologia ermeneutica del sé» e al discorso etico. All’interno di questo
quadro, la figura e l’opera di Sigmund Freud si configura come il più importante
termine dialogico e dialettico della riflessione ricœuriana. Non solo perché «il
confronto con Freud e la psicoanalisi» consente – secondo Cucci – «di impostare il
discorso etico come caratterizzato anzitutto dal desiderio, e precisamente dal
desiderio di una vita riuscita, mettendo in discussione una morale basata unicamente
sul dovere» (p. 237). Ma perché – diversamente, ad esempio, dal confronto con
Aristotele, Kant e Rawls, interlocutori espliciti nel momento della costruzione della
«piccola etica», e che pure concorrono alla costituzione della proposta etica del
filosofo – l’“ombra lunga” di Freud e della psicoanalisi si stende da un polo all’altro
del parcours, definendosi come vero nodo riflessivo, elemento tensionale,
addirittura motore.
Ora, se il «tema dell’etica» ricopre in Ricœur una posizione privilegiata – poiché
secondo l’autore «il suo modo stesso di fare filosofia» è «essenzialmente “pratico”»
*
Cucci, Giovanni, Ricoeur oltre Freud. L’etica verso un’estetica. Assisi, Cittadella, 2007, pp. 431.
Laureato in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dopo l’ingresso nella
Compagnia di Gesù, G. Cucci ha compiuto gli studi di teologia a Napoli presso la Facoltà S. Luigi e
successivamente la licenza in psicologia presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha anche
conseguito il dottorato in filosofia. Insegna Etica presso lo studentato della Compagnia di Gesù a
Padova ed è professore incaricato di filosofia e psicologia presso l’Università Gregoriana. Per le
Edizioni AdP ha pubblicato La forza della debolezza. Aspetti psicologici della vita spirituale
(2007).
(p. 19) –, e se il quadro delineato sopra costituisce un’ipotesi di lettura sostenibile,
ne consegue che, nel pensiero del filosofo francese, Freud e la psicoanalisi rivestono
un ruolo più importate di quello occupato da Husserl e la fenomenologia, da Nabert
e la filosofia riflessiva, da Jaspers e l’esistenzialismo ecc. Si può sostenere questa
tesi? Per rispondere al quesito – ma anzitutto per porre in termini più chiari e definiti
la questione – è necessario considerare più ampiamente il cammino filosofico di
Paul Ricœur, le problematiche che esso pone, le tematiche che sviluppa, dando
spazio alla ricca e articolata proposta di Giovanni Cucci.
L’unità del discorso ricoeuriano
All’apertura del suo lavoro, così l’autore riassume la personalità di Paul Ricœur e la
sua opera: «Lettore infaticabile, esploratore curioso, sembra aver percorso nel corso
della sua indagine gli ambiti più importati del sapere, dalla filosofia alla poetica,
dall’ermeneutica alla letteratura, alla storia, all’esegesi biblica, alla teologia, alla
simbolica, alla psicoanalisi, senza tralasciare la biologia, la neurologia, il diritto,
l’economia, la sociologia, la politica, la semiotica, la linguistica. In questo
lunghissimo e articolato cammino non ha comunque perduto il gusto e la freschezza
intellettuale dei suoi primi scritti; il grande sapere conseguito, insieme ai
riconoscimenti pubblici, anche se talvolta tardivi, non gli hanno tolto la semplicità e
l’umiltà che l’hanno sempre caratterizzato come un autore “alla mano”, pronto a
dialogare con chiunque» (p. 17).
Siamo decisamente di fronte a un “caso” eccezionale nella storia della filosofia, non
solo per la straordinaria erudizione e competenza, e per l’eredità culturale –
immensa – lasciata all’umanità, e la smisurata produzione – oltre che la straordinaria
esperienza umana –, ma sopratutto per il carattere multidirezionale e multidiscipliare
della filosofica di Paul Ricœur. Questi è, nel senso più pieno del termine, un
pensatore interdisciplinare che – come già notava S.H. Clark agli inizi degli anni
Novanta (Clark, p. 1) – ha saputo portare contributi di notevole rilievo e originalità
in varie aree del pensiero: fenomenologia, ermeneutica, letteratura, poesia,
storiografia, critica letteraria, teologia... e tutte le altre discipline elencate da Cucci;
a cui, ancora, possiamo aggiungere l’etica, l’epistemologia, la storia della filosofia,
l’architettura. Una navigazione per il vasto mare della cultura [occidentale,
precisiamo noi] che come rileva Cucci – riprendendo Volpi (2005) – rinuncia «al
sistema» per «abbracciare la complessa realtà dell’uomo odierno»1 (Cucci, p. 18).
Ora, questa rinuncia al sistema, unita alla ricchezza tematica, alla vastità di interessi,
di ambiti e di percorsi, solleva questioni e dubbi circa la solidità del discorso
ricoeurano. Questa «lunga via» – come lui stesso l’ha chiamata – è un cammino
riflessivo che ha la consistenza di una filosofia o è semplicemente una
interpretazione libera e rapsodica della storia della filosofia e della storia dei saperi,
sospesa tra analisi critica e creazione artistica? Ha la forma di un’itinérance du sens
1
«Ricœur – scrive Cucci – ha voluto esplorare con pazienza e rigore i luoghi dello “scacco”, come la
sofferenza, il male, la colpa, la violenza, l’ingiustizia, investigati nelle loro diverse modalità
(mitologiche, simboliche, letterarie, artistiche, filosofiche, psicoanalitiche), senza con questo cedere
alla tentazione di una risposta sbrigativa e rassicurante. Egli ha percorso con coraggio la “via lunga”
della riflessione, cercando con pazienza di interpretare i segni offerti al suo percorso, allo scopo
anzitutto di conoscere e capire i suoi numerosi interlocutori, cercando di non escludere nessuno, di
capire gli argomenti di ciascuno e di non pronunciare sentenze a buon mercato» (pp. 18-19).
– per riprendere il titolo di un libro di Jean Greisch dedicato a Ricœur – o è piuttosto
un’erranza del senso? E qual è il suo esito: un approdo nel senso o un naufragio? È
più filosofie cucite assieme? È una sola filosofia ma dalle forti tendenze
“schizofreniche”?
Sappiamo che Ricœur stesso fu tormentato dal dubbio circa la consistenza del
proprio discorso e che si domandava se andasse costruendo «false finestre»
(Bertolotti, p. 214). Tuttavia, dopo la grande sintesi filosofica di Sé come un altro e
il lavoro interpretativo e di ricostruzione compiuto nel corso degli anni (in
particolare a partire dagli anni Ottanta) da numerosi studiosi, si è andata delineando
sempre più chiaramente la solidità e validità dell’edificio ricœuriano. Pur con limiti
e difficoltà, certo: il limite di una sintesi sempre aperta, ovvero di una filosofia
aperta a più sintesi, la difficoltà di individuare un percorso tematico-riflessivo
comprensivo di tutti gli altri; e ancora, la difficoltà, o meglio il rischio, di appiattire
su una sola dimensione – quella di volta in volta individuata come centrale
(l’ermeneutica, l’antropologia filosofica, l’etica) – una costruzione
pluridimensionale.
Il filosofo si era dichiarato in diverse occasioni più colpito, forse anche più dei suoi
lettori, dalla diversità dei temi affrontati nel suo itinerario che dall’unità – anche solo
tematica – del suo discorso. «Ciascun libro, in effetti, era nato da un problema
determinato: la volontà, l’inconscio, la metafora, il racconto» (Ricoeur, in Jervolino
2003, p. 131). Anche se ogni testo si legava all’altro per una sorta di residuo
tematico/problematico lasciato al termine di ogni lavoro, e ripreso in ogni nuovo
progetto, a ogni nuova tappa (cfr. Ricœur, in Jervolino, 1993², IX). Ma in Sé come
un altro Ricœur si spinge oltre. Come lettore di se stesso costruisce e offre una
chiave di lettura per il suo uditore, mostrando e dimostrando che la sua proposta può
essere chiaramente inquadrata filosoficamente.
Dicevamo che diversi autori hanno tentato di individuare l’elemento di unificazione.
La proposta di Cucci si inquadra precisamente in questo contesto, beneficiando dello
sforzo di sintesi compiuto da M. Chiodi – con la sua interpretazione di Ricœur in
chiave di filosofia della libertà – , da Thommaset – che vede nella proposta del
filosofo una lettura poetica della morale –, da Jervolino – la cui lettura, cara allo
stesso Ricœur, è focalizzata sulla filosofia dell’uomo –, da Bertuletti – «l’etica in
tesione tra fenomenologia e ontologia» (p. 71) –, da Turoldo – con la sua sensibilità
epistemologica. Sono questi gli autori che Cucci passa in rassegna nel primo
capitolo del suo libro. Una scelta rischiosa – come non manca di riconoscere egli
stesso (p. 27) – e ristretta, perché sceglie di confrontarsi con studiosi che hanno
approfondito la concezione etica di Ricœur. Ma coerente con quella convinzione che
abbiamo ricordato in apertura, di una preminenza della tematica etica, perché una
«filosofia essenzialmente “pratica”». L’esito di questa rassegna storiografica è per
Cucci sostanzialmente doppio: da una parte «si nota una convergenza comune
nell’indicare la caratteristica essenzialmente pratica della filosofia di Ricœur» (p.
84) – sia in senso contenutistico che metodologico – rispetto alla quale il versante
teoretico e ontologico sembra meno battuto; dall’altra emergono nel confronto
storiografico chiare differenze interpretative che «possono forse anche rendere conto
della difficoltà obiettiva di inquadrare la filosofia di Ricœur in un disegno preciso,
da qui il carattere sfuggente del suo pensiero e le differenti possibilità di lettura»
(pp. 86-87). La riflessione di Ricœur sembra «volutamente aperta, con sempre nuovi
imprevedibili sbocchi teoretici, e dunque volutamente incompiuta, in sospeso anche
per chiunque cerchi di reperire un ipotetico “filo di Arianna” che fornisce una chiave
di lettura complessiva dei suoi scritti» (p. 87).
L’autore è dunque ben consapevole del limite del proprio tentativo. D’altra parte
mostra la necessità di lavorare a un’interpretazione complessiva del pensiero di
Ricœur, spingendosi al di là del piano contenutistico, ovvero al di là della ricerca di
una semplice unità tematica, per arrivare a sondare il discorso ricœuriano in quanto
tale, ovvero in quanto procedimento metodologico. È qui che l’edificio di Ricœur
sembra mostrare qualche crepa. Anche se, come vedremo, forse la lettura interessata
all’etica di Cucci non gli ha permesso di percorrere pienamente questo cammino di
verifica. (Il piano privilegiato, a tal proposito, sembra quello della filosofia del
linguaggio – intesa nel senso più ampio). Tuttavia, un’analisi completa sulla
consistenza metodologica ed epistemologica del discorso ricœuriano resta ancora da
fare. Non basta infatti liquidare la questione con la tesi che la filosofia di Ricœur è
«un’ermeneutica in atto, un dialogo ininterrotto con gli autori e le opere che
caratterizza praticamente ogni suo scritto», che «egli sa intrattenere con essi uno
scambio vivo, concreto, puntuale, in cui è difficile talvolta riconoscere dove finisca
l’autore e dove cominci Ricœur», e che «in tutto questo egli può essere a buon
diritto ritenuto un filosofo vivente della mediazione» (p. 85; il riferimento è qui alla
tesi di K.W. Vanhoozer). Non basta perché il problema metodologico non ruota e
non si esaurisce sulla questione «che cosa fa?» o «che cosa media?» ma su «come lo
fa?» e su «come media?».
Ricoeur e Freud
A tal proposito, appare un terreno di studio privilegiato il saggio De
l’interpretazione – autentica vetta culturale – dove il filosofo tenta di ricomporre una
«guerra di ermeneutiche» diametralmente opposte, mettendo in relazione
l’archeologia freudiana con la teleologia hegeliana. L’analisi di Cucci – che si
sviluppa in due ampi capitoli e compie la prima parte del libro – è qui serrata,
radicale e senza facili concessioni. La posizione stessa di questo conflitto appare a
lui problematica: necessita di una chiarificazione, di una giustificazione. «Ci si
chiede [...] in forza di cosa l’ermeneutica di Ricœur possa ricomporre due
ermeneutiche tra loro così distinte in temi di morale e di religione: in quale modo le
due prospettive potrebbero essere accostate senza in una qualche maniera
propendere per l’una o per l’altra? Dove potrebbe trovare una sua collocazione il
tertium quid in grado di mediare tra necessità pulsionale e libertà artistica? Ricœur
non sembra dedicare molto spazio alle condizioni di possibilità proprie della
mediazione ermeneutica, almeno negli scritti sulla psicoanalisi, egli conduce le sue
analisi come se si trattasse di argomenti in certo modo paralleli, tra loro contrari ma
non certo contraddittori, convinto che un discorso non escluda l’altro» (p. 162).
Sappiamo che la soluzione di mediazione fu da Ricœur individuata nel simbolo,
nella sua capacità di contenere una spinta regressiva, un rimando all’archeologico, al
passato, all’inconscio, e una spinta progressiva, ovvero un rinvio all’innovazione
semantica, alla creazione, all’avanzamento dello spirito. Qui si inserisce la proposta
originale di Cucci. Ma qui si inizia anche a intravedere che l’analisi del metodo
ricœuriano necessita di essere condotta a un altro livello, quello di una filosofia del
linguaggio. Siamo a un punto importante, in qualche modo decisivo, del percorso
ricœuriano, perché questa ricomposizione delle ermeneutiche non è solo rilevante
nel quadro della Dialectique: l’ermeneutica diventa, infatti, a partire dagli anni
Sessanta, una svolta metodologica e sostanziale nella filosofia ricœuriana, che da
quel momento in poi si configurerà come un pensiero disposto nella linea della
philosophie réflexive, dimorante nelle movenze della fenomenologia husserliana,
della quale vuole essere una variante ermeneutica (Ricœur 1986, p. 24). Per non
parlare di quanto è in gioco sul piano tematico: la sua intera visione dell’uomo.
Approfondendo lo studio de La metafora viva – dove Ricœur analizza a vari livelli il
fenomeno dell’innovazione semantica – Cucci coglie che «mito, metafora, aforisma,
sono tutte proprietà del linguaggio che mostrano le cose in un equilibrio precario,
sfuggente, che dice e non dice, ma piuttosto interpella e stimola l’immaginazione,
suscitando il gusto del bello ma anche dell’enigma, perché lascia intravedere più di
quanto non dica espressamente, suggestiona con immagini, sogni, emozioni,
rifuggendo il rigore concettuale, più preciso ma anche immobile, freddo, spento» (p.
195). In tutti questi processi, osserva, è decisamente in gioco il fenomeno
dell’immaginazione. Ebbene, secondo lui «l’immaginazione, nell’impianto teoretico
di Ricœur, più che una forma approssimata di percezione dell’oggetto è uno sguardo
inedito sulla realtà, una finestra che apre a possibilità impensate di azione, e porta a
una superiore unità» (p. 193). La costruzione della sua riflessione, il suo processo
filosofico sarebbe analogo al processo in atto nella costruzione della metafora. La
metafora, infatti, in quanto capace di attuare un processo di creazione di nuovi
significati e di nuove comprensioni, sintetizzandoli in figure e quadri, possiede una
chiara caratteristica di interdisciplinarietà. In particolare, «nella metafora
speculazione e poesia si intersecano strettamente» (p. 192). «La metafora diventa
[...] una potente immagine del dialogo speculativo come stile filosofico di Ricœur,
uomo della mediazione» (p. 210). «è a questo punto – aggiunge Cucci – che si
mostra la potenza della metafora nel senso di Ricœur, capace di riprendere queste
due prospettive e di accostarle in modo “impertinente” mediante l’immagine di
cammino della coscienza che fornisce loro una complementarietà trasformatrice. La
metafora è infatti in grado di avvicinare mondi semantici estremamente differenti
proprio perché, analogamente al discorso simbolico, non ha come scopo di
“spiegare” gli elementi in questione, riconducendoli al loro contesto originario da
cui hanno preso le mosse, ma di “descriverli”: due finalità diverse che mostrano due
diverse modalità del pensiero interpretante» (p. 203).
Naturalmente tutto ciò non è sufficiente, come l’autore stesso nota, ritornando sullo
specifico della tematica del De l’interpretazione, per sedare le tensioni tra Hegel e
Freud all’interno della sintesi operata nella sezione Dialectique.2 Ma, al di là di
questo discorso, la lettura in chiave metodologica della metafora resta interessante
per comprendere e approfondire la metodologia ricœuriana. Tuttavia, Cucci si ferma
qui – l’interesse che lo anima è fondamentalmente un altro – e in fondo ha già
trovato quanto cercava per portare su basi sostenibili la sua tesi di un Ricœur
sostanzialmente «pratico», la cui etica è orientata esteticamente. Ecco, infatti, come
egli, offrendo l’interpretazione di chiusura della «dialettica» della psicoanalisi, ri2
Precisa infatti Cucci: «L’innovazione metaforica operata da Ricœur può trovare un’adeguata
applicazione al rapporto tra la filosofia di Hegel e la psicoanalisi di Freud a patto che l’inconscio
possa essere concepito in continuità con la coscienza» (p. 212). E questo per citare solo una delle
questioni problematiche sottoposte al vaglio dall’autore – che si avvale in questa sezione delle
osservazioni interessanti di Buzzoni, il quale trova i diversi punti fragili nella ‘filosofia della
psicoanalisi’ costruita da Ricoeur.
posiziona la sua analisi facendo valere gli esiti dello studio sulla metafora in Ricœur
ed aprendo interamente il campo al discorso etico: «Poetica ed ermeneutica lavorano
dunque insieme ma anche mantengono la distinzione dei rispettivi campi di
indagine: per questo è possibile supporre che le pagine “dialettiche” del Saggio su
Freud costituiscono sopratutto un progetto di tipo utopico sul futuro del sapere
filosofico e psicoanalitico, e mostrano il desiderio dell’autore di un incontro più
stretto tra le due ermeneutiche a proposito del sapere etico, senza riduzioni a buon
mercato. Un desiderio, questo, che Ricœur ha comunque saputo concretizzare in
maniera felice nelle opere successive» (p. 234).
Sul punto di vista etico e sulla presenza di Freud
Entriamo così nel vivo della lettura di Cucci e della sua proposta. L’autore affronta
direttamente il testo di Soi-même comme un autre, non facendo mistero della
rilevanza di Freud nella costruzione della proposta etica – a cui abbiamo già
accennato, ma su cui ora ritorniamo con più attenzione: «Abbiamo visto [...] come il
confronto con la psicoanalisi abbia portato all’acquisizione di alcuni elementi
fondamentali per la riflessione etica del nostro autore. Anzitutto l’importanza del
desiderio, contro una visione morale improntata unicamente al divieto o al dovere,
mettendosi in conflitto con la vita stessa del soggetto, un conflitto espresso in modo
non consapevole mediante nevrosi e malesseri psichici. In secondo luogo si è
evidenziata l’importanza dell’interpretazione di alcuni campi del sapere, come i
sogni, i miti, i simboli, la narrazione, e il ruolo proprio dei sentimenti; tutto ciò
risulta forse un po’ dimenticato dalla riflessione filosofica moderna ma è
estremamente importante per il mondo vitale del soggetto e per le motivazioni del
suo agire» (p. 235).
Questo della centralità di Freud nel pensiero di Ricœur è senza dubbio uno dei meriti
più grandi dell’interpretazione di Cucci. Anche se non facile da sostenere. Per due
ragioni: una prima esterna al testo, una seconda legata al taglio tematico offerto
dall’autore in quanto, se da una parte proprio questo taglio ha permesso di
individuare la rilevanza della lezione psicoanalitica sul desiderio in Ricœur,
dall’altra ha impedito di individuare la presenza e la rilevanza di Freud nel lavoro di
messa a punto dell’epistemologia ricœuriana maturata a partire dagli anni Settanta
(se non anche prima). Va comunque detto che, su questo punto, l’autore non avrebbe
certo potuto beneficiare del lavoro di una critica acuta. È questa la ragione esterna di
cui si diceva. La storiografia resta, infatti, su questo punto sostanzialmente ferma
all’idea – non completamente falsa, ma sicuramente parziale e, in qualche modo,
arretrata – che il confronto con Freud e la psicoanalisi abbia rappresentato una tappa
determinata e finita del parcours ricœuriano: la tappa ermeneutica degli anni
Sessanta, in cui il pensiero filosofico di Ricœur si è «lasciato istruire» e orientare
dalla scuola psicoanalitica, sviluppandosi e maturando in essa, per poi proseguire
per la sua strada, incontrando lo strutturalismo, la filosofia analitica ecc., e, a
eccezione di qualche sporadico ritorno, dimenticandosi di Freud.
Ma le cose non stanno affatto in questo modo. Si pensi all’importanza del concetto
di «passività» nella Sémantique de l’action (1977), che si riallaccia al tema della
corporalità e dell’involontario messa in luce ne Le volontaire et l’involontaire
(1950) e ripresa nella «summa» del ’90. Si consideri la teoria epistemologica
dell’«arco ermeneutico» – su cui ci concentreremo ora – che inizia a profilarsi già
nella Sémantique e proprio grazie alla riflessione sullo status dell’epistemologia
della psicoanalisi. Si pensi alla stessa idea di «identità narrativa», cuore della
concezione antropologica più matura del filosofo, che trova nelle (difficili)
conclusioni generali di Tempo e racconto la sua origine, in un contesto problematico
in cui l’idea socratica di «vita sottoposta ad esame» è affiancata e messa in tensione
con l’idea freudiana di psico-analisi, ovvero di vita sottoposta a smascheramento.
Impossibile non riconoscere una corrispondenza e una profonda relazione tra lo
sviluppo di questa concezione narrativa della soggettività e la crescente attenzione
per la pratica terapeutica della psicoanalisi, e per il fenomeno della narrazione
terapeutica – interesse maturato dal filosofo francese proprio nel corso degli anni
Ottanta (come è testimoniato da diversi saggi)3, e in stridente dissonanza con la
filosofia della psicoanalisi elaborata nell’Essai sur Freud. Ma il dialogo con Freud si
spinge oltre il saggio del ’90: lo si trova nell’idea di «sfida etica» della traduzione, lo
si trova in La memoria, la storia, l’oblio (2000), quando Ricœur approfondisce il
tema della relazione tra «lavoro di memoria» e «lavoro di lutto», e anche in
Parcours de la reconnaissance (2003), poiché è proprio con la psicoanalisi che egli
comprende che la prima domanda di riconoscimento avviene a livello di desiderio,
che il desiderio umano è domanda di riconoscimento. Ricœur resta sino alla fine con
“il grande viennese”: il suo ultimo fragment, scritto pochi giorni prima della morte è
uno schizzo intitolato Résurrection, dove un solo nome compare: Freud (Ricœur
2007, p. 134).
Ma soffermiamoci brevemente sulla teoria epistemologica dell’«arco ermeneutico»,
vero nodo tematico capace di dimostrare la centralità di Freud in tutto il pensiero di
Ricœur (ed evidentemente non solo a livello tematico). Ebbene, punto di partenza è
ancora il desiderio, considerato nella Semantica dell’azione al crocevia tra il naturale
ed il culturale, ovvero – come già nel De l’interpretazione – tra la forza e il senso.
Nel saggio del ’65, su questo fatto della congiunzione di senso e forza nel desiderio,
veniva individuato il nodo problematico della doppia epistemologia freudiana. Egli
parlava allora di “fragilità” e di “problematicità” dell’epistemologia freudiana,
mentre adesso, proprio su questa doppiezza costitutiva del desiderio, e proprio
guardando all’esempio del freudismo, abbozza una teoria epistemologica di sintesi
tra dimensione comprensiva e dimensione esplicativa. Un’epistemologia dal doppio
registro, che Ricœur cerca per primo di mettere in atto, di attuare nella propria
filosofia, coniando la celebre espressione (che è insieme programmatica, ovvero
contenutistica, ed epistemologica): «Spiegare di più per comprendere meglio». È a
questo livello che deve essere saggiata la consistenza del procedimento
metodologico ricœuriano.
A questo punto possiamo provare a rispondere alla questione sollevata in
precedenza: Freud e la psicoanalisi rivestono un ruolo più importate di quello
occupato da Husserl e la fenomenologia, da Nabert e la filosofia riflessiva, da
Jaspers e l’esistenzialismo? Difficile rispondere, perché l’edificio filosofico di
Ricœur non è su un solo livello e dunque questi filosofi non possono essere posti
sullo stesso piano. Tuttavia, sul piano metodologico ed epistemologico si può
chiaramente mostrare che la rilevanza di Freud e la psicoanalisi è paragonabile a
3
Si veda, ad esempio, P. Ricœur, The Self in Psychoanalysis and in Phenomenological Philosophy,
in «Psychoanalitic Inquiry», 1986, n. 3., pp. 437-458; tr. it. di D. Iannotta, Il “Self” secondo la
psicoanalisi e la filosofia fenomenologica, in «Metaxù», 1986, n. 2, pp. 7-30. Nonché La componente
narrativa della psicanalisi, tr. it. di D. Iannotta, in «Metaxù», 5, 1988.
quella di Husserl e la fenomenologia. Paragonabile, sì, ma non superiore. Freud non
è più rilevante di Husserl. Lo dimostra il fatto che uno dei luoghi fondamentali della
tensione dialettica della coppia esplicazione/comprensione si trova proprio nelle
pagine de Le conflit des interprétations (1969) dedicate all’ultima fenomenologia di
Husserl, dove Ricoœur riflette sull’articolazione della critica di Husserl
all’oggettivismo nella problematica della Lebenswelt. Questa rappresenta «uno
strato dell’esperienza anteriore al rapporto soggetto-oggetto» (Ricœur, 1969, p. 22).
Ma il discorso è complesso, e occorre fermarsi per ritornare alla lettura di Cucci.
L’etica e il tragico
L’autore analizza il saggio del 1990 focalizzando l’attenzione sulla proposta etica.
Ciò che emerge anzitutto, come più volte si è ricordato, è il ruolo fondamentale del
desiderio. In secondo luogo, «il tema della sovrabbondanza di senso presente nel
testo e nelle azioni» (p. 289). Si tratta di una proposta etica costruita in dialogo con
Aristotele, Kant, Rawls. L’autore si sofferma sopratutto su quest’ultimo, mostrando
la particolare fertilità del confronto: «La complessa e attenta lettura che Ricoeur ha
dato della proposta di Rawls [...] potrebbe evidenziare tre elementi essenziali del
carattere sociale della concezione etica di Ricœur» (pp. 290-291): 1. «la necessità
dell’etica per la riflessione politica e istituzionale, contro ogni tentativo di
separazione dualista» (p. 291); 2. «la circolarità a proposito della rilevazione dei
valori» (p. 294; Ricœur «si è sempre rifiutato di sostenere una loro fondazione
ultima, senza con questo rinunciare al rigore e alla specificità proprie del discorso
filosofico»); 3. «il ruolo di cerniera che la Regola d’Oro riveste in questo complesso
e articolato confronto tra ambiti, problematiche e culture differenti» (p. 296). A
proposito di quest’ultima, Cucci scrive: «La regola d’Oro offre una perla di
saggezza in grado di riunire in sé periodi, tradizioni e culture differenti, senza
rinchiudersi in essa, ma anche senza rimanere nello schema vuoto e formale del
secondo imperativo kantiano». Ma è proprio attorno a questa perla che si raccolgono
una serie di interrogativi lasciati aperti dalla riflessione ricœuriana: «La proposta di
Ricœur, pur geniale e suggestiva, lascia anche interrogativi irrisolti a proposito del
doppio canale che la Regola d’Oro dovrebbe rivestire dal punto di vista biblico e
politico-filosofico. Si tratta di una problematica simile a quanto Rawls riscontrava
circa la relazione tra la giustizia e le convinzioni che stanno a monte dei vari
contraenti, o a quanto osservava Max Weber a proposito del legame tra giustizia,
convinzione e responsabilità, temi comunque presenti nella riflessione di Ricœur in
campo di etica sociale» (p. 302). E aggiunge: «Sul tema della convinzione sembra
notarsi una certa oscillazione in Ricœur, tanto più rilevante in quanto presente nella
medesima opera; all’inizio di Sé come un altro egli si ripropone infatti di metterla tra
parentesi, salvo poi nel corso del libro riconoscerne lo statuto imprescindibile [...]
per un equilibrio riflessivo proprio di un’etica dell’argomentazione. Come possono
stare insieme queste due concezioni di fondo?» (p. 303).
Ancora crepe nell’edificio, insomma. In più punti Cucci mostra la sua perplessità o
rileva l’incertezza di Ricœur o, anche, la contraddittorietà di certe sue asserzioni
rispetto ad altre o di certe sue prese di posizione, rispetto a posizioni passate. A tal
proposito, è emblematica la dichiarazione di «agnosticismo» fatta in apertura al
saggio del ’90 – interpretata in vario modo da diversi studiosi – e ripresa più volte
dall’autore. Altrettanto interessante (e problematica) è la questione “ontologica”
legata all’ultimo studio di Soi-même comme un autre. Il tema dell’ontologia è
sviluppato da Cucci in relazione al tema della tragedia nell’ultimo capitolo del libro,
forse il più appassionato. Il merito più rilevante di questo capitolo è certamente la
messa in evidenza del recupero riflessivo del tragico nella filosofia ricœuriana, la
sua presenza costante e sostanziale sin dai tempi giovanili delle riflessioni aux
frontières de la philosophie. La tragedia è da Ricœur intesa nel saggio del ’90 come
situazione etica per eccellenza: «Il sapere tragico presenta (...) una grande
importanza per la filosofia, riportando alla luce elementi da essa forse un po’
dimenticati nel corso dell’epoca moderna, a causa di una prospettiva troppo
marcatamente razionalista; in particolare possiamo segnalare come l’esclusione del
tema dei sentimenti e delle passioni, insieme allo smarrimento della ricchezza del
simbolo, abbia portato anche all’eclisse del desiderio e a una visione della vita
improntata sopratutto all’utilitarismo e a una “sana mediocrità” tiepida, attenta a
non farsi coinvolgere troppo per non soffrire. La saggezza tragica invita invece
l’uomo a riappropriarsi di un patrimonio troppo a lungo taciuto, o valutato
negativamente» (p. 329).
È in questo quadro che si inserisce l’analisi ricœuriana della tragedia dell’Antigone.
Una riflessione che diventa un’acquisizione filosofica, un’immagine del tragicoetico umano opposta all’immagine dell’Edipo re letto e acquisito da Freud. Per
Ricœur, contrariamente a Freud, è proprio la tragedia di Antigone, piuttosto che di
Edipo, a rendere il dilemma etico fondamentale della nostra coscienza. Ecco perché
Cucci titola il suo libro Ricœur oltre Freud.
Bibliografia
G. Bertolotti [a cura di], S. Natoli, C. Sini, G. Vattimo, V. Vitiello, Ermeneutica, Milano, Raffaello
Cortina Editore, 2003.
M. Buzzoni, Paul Ricœur. Persona e ontologia, Roma, Edizioni Studium, 1998.
S. H. Clark, Paul Ricœur, Routledge, London and New York 1990.
D. Jervolino, Il cogito e l'ermeneutica. La questione del soggetto in Ricoeur, prefazione di P.
Ricoeur, presentazione di Th. F. Geraets, Marietti, Genova 1993².
D. Jervolino, Introduzione a Ricœur, Morcelliana, Brescia 2003.
P. Ricœur, Il conflitto delle interpretazioni, trad. it. di R. Balzarotti, F. Borutti, G. Colombo, Jaca
Book, Milano 1977; orig., P. R., Le conflit des interprétations. Essais d’herméneutique, Seuil, Paris,
1969, 1987.
P. Ricœur, Du texte à l’action. Essai d’herméneutique. II., Pars, Seuil, coll. «Esprit», 1986; trad. it.,
P. R., Dal testo all’azione. Saggi di ermeneutica, G. Grampa, Jaca Book, Milano 1984.
P. Ricœur, Il mio cammino filosofico [testo della Lectio magistralis tenuta all’Università di
Barcellona il 24 aprile 2001], in. D. Jervolino, Introduzione a Ricœur, cit., pp. 123-147.
P. Ricœur, Vivant jusqu’à la mort. Suivi de Fragments, Seuil Paris, 2007.
F. Volpi, Addio a Ricœur filosofo del dialogo, “La Repubblica”, 22 maggio 2005.
Indice del volume
Prefazione, di Paul Gilbert sj
Introduzione
Capitolo primo: La riflessione etica in Ricoeur. Rassegna di alcuni studi
Capitolo secondo: Il confronto con Freud
Capitolo terzo: Alla radice del dialogo ermeneutico. La teoria della metafora
Capitolo quarto: Il soggetto etico tra il sé, l’altro e l’istituzione
Capitolo quinto: L’etica come saggezza pratica in situazione. Il tragico e l’ontologia
Conclusioni - Bibliografia