Scarica l`estratto di lettura

Transcript

Scarica l`estratto di lettura
René de Ceccatty
Amicizia e passione
Giacomo Leopardi a Napoli
A cura di Piero Gelli
Archinto
3
Amicizia e passione
5
«Post equitem sedet atra cura.»
Orazio
«L’amitié-passion, voilà le remède
que vous cherchez.»
Paul Verlaine
7
Capitolo 1
Le sorelle di tutti e due si chiamavano Paolina. Che confusione si annunciava! E posso immaginare che quando,
morente, Giacomo sentì Antonio mormorargli all’orecchio il nome di Paolina, un caos di ricordi sia nato nell’animo annebbiato.
I nomi erano stati, per il gruppetto familiare organizzato intorno alla coppia di Giacomo Leopardi e di
Antonio Ranieri, la fonte d’una sorta di disordine dei
sentimenti. Non è stata la sola causa dell’anarchia degli
affetti a interessarmi da quando ho letto l’opera di
Leopardi e voluto capirne la vita. Capire è dire troppo.
Paolina Ranieri era accanto a suo fratello Antonio,
quando Giacomo, davanti a loro, agonizzava. Siamo a
Napoli, all’inizio dell’estate 1837. Il colera, che si era
manifestato nel luglio del 1835 a Livorno e si era diffuso a poco a poco a Napoli, dopo aver incrudelito in
Toscana, stava per devastare la città. C’era stata una prima ondata, tra l’ottobre 1836 e il marzo 1837. Poi una
recrudescenza tra aprile e ottobre 1837. L’epidemia fece
il quattro per cento di vittime su una popolazione di trecentosessantamila abitanti: il che significa circa quindi9
cimila morti, quasi tutti ovviamente dei quartieri popolari. Le navi sospette erano tenute in quarantena, lontano, in rada, ma segretamente qualche marinaio raggiungeva a nuoto il porto, aggravando la situazione. Non tutti i malati morivano: si somministravano grani di ipecacuana (per provocare il vomito e la tosse), camomilla,
menta, acetato di ammonio. Si pulivano le mani con dello spirito canforato. Non sempre con successo, secondo
Antonio Ranieri.
Quando Giacomo morì, la prima idea dell’amico Antonio fu quella di evitargli la fossa comune, dove erano
ammucchiati i cadaveri, lontano dalla popolazione dei
vivi. Lo fece seppellire nella chiesa di San Vitale, di là
dalla grotta di Pozzuoli. Non lontano dalla tomba di
Virgilio. L’idea seguente fu quella di avvertire la famiglia
di Giacomo che il poeta non era morto a causa dell’epidemia, ma, secondo i medici, per via di un idropericardio (presenza di un liquido sieroso intorno al muscolo
del cuore, edema generalizzato). Ranieri ebbe in seguito
numerose altre idee grazie a cui il mito di Leopardi cominciò ad acquistare una qualche rilevanza in Italia e in
Europa. Cinquant’anni dopo, la statua era ben solida
sulla sua base. Le opere complete dello scrittore morto
a trentanove anni erano pubblicate grazie ad Antonio.
Ciascuno poteva valutare il genio.
Paolina Leopardi, invece, era lontana dalla coppia formata da suo fratello e da Antonio. Era rimasta nel pa10
lazzo di famiglia a Recanati, cittadina della provincia
delle Marche, ad est dell’Umbria, vicina al mare
Adriatico, sotto l’autorità pontificia. Quando la notizia
arrivò al padre, ufficialmente tramite una lettera
d’Antonio, la voce si era già sparsa. E nella campagna,
intorno alla dimora, si sapeva già che il giovane conte
Leopardi era morto a Napoli, tra le braccia di Antonio.
Lei scrisse subito alla sua migliore amica, la cantante
Marianna Brighenti. E, in un torrente di pianti e di grida di disperazione, descrisse la desolazione abbattutasi
su casa Leopardi. A Marianna, cui per prima, tempo addietro, aveva parlato dell’amicizia appassionata nata improvvisamente tra Ranieri e Giacomo, aveva confessato
il suo terrore. Terrore di che? Terrore che questo Ranieri
fosse l’uomo che qualche anno prima lei aveva amato e
che si era dileguato, come tutti gli altri. Brutta e di carnagione scura, brutta come tutti i membri della famiglia
Leopardi, Paolina era destinata a diventare una figura di
eterna zitella. Una specie di Eugénie Grandet, di
Catherine Sloper, l’eroina di Washington Square. In effetti, quando la cantante Marianna Brighenti le annunciò che Giacomo aveva incontrato un affascinante giovanotto, più giovane di lui di otto anni, Paolina ebbe la
convinzione irrazionale, imperiosa, inevitabile che questo Ranieri fosse il suo infedele fidanzato. Si rappresentò la tragedia: Ranieri che riappariva nella famiglia Leopardi non per riconciliarsi con la sorella, ma per sedur11
ne il fratello. Questa spaventosa immagine della fatalità
amorosa e familiare le oscurò la ragione giusto il tempo
necessario per scrivere una lettera angosciata che la sua
corrispondente non capì. Ora, Ranieri era il nome dell’amante fuggiasco (Ranieri Roccetti), sparito chissà dove, mentre questo Ranieri era il patronimico d’Antonio:
Antonio Ranieri Tinti.
Paolina Leopardi restò evidentemente una vergine.
Coronata di biancospino, «il fiore dei neonati», scriverà
all’amica cantante, non di giglio, il fiore delle giovani
spose. Morì come era nata, così si diceva in quegli anni.
Del resto è l’espressione che utilizza Antonio Ranieri per
riassumere la sessualità di Giacomo. «È morto come è
nato.» «Un angelo» ecc.
La sessualità: sarà questo, insieme alla bruttezza, il tema più importante mai espresso, per tutto ciò che concerne la relazione tra Antonio Ranieri e Giacomo Leopardi. Non espresso, perché la sessualità non era, quando accadevano i fatti che noi ora evochiamo, una nozione isolata, identificata, definita. Uno stesso termine non
riuniva l’identità psicologica, le pulsioni, l’orientamento
dei desideri. Il desiderio stesso non era definito dal suo
oggetto, ma solamente dal turbamento che poteva seminare nell’ordine della vita quotidiana, nella ragione, nella famiglia, nell’attività sociale. I sentimenti invece, quali che fossero i loro oggetti, erano abbondantemente definiti e commentati. Antonio Ranieri, parlando della ver12
ginità del suo amico, morto due settimane prima del suo
trentanovesimo compleanno, non trae alcuna conclusione sulla sua «sessualità». Il suo angelismo accresceva soltanto la «purezza» della sua reputazione di poeta sublime. Nessun attaccamento sconsiderato, nessuno scarto
di dissolutezza, non un gesto inutile, non un sospetto di
volgarità. Il suo corpo non era stato sporcato né da una
donna, né, a maggior ragione, da un uomo, questo era
chiaro.
Giacomo aveva scritto parecchie poesie d’amore. Ma
nessuno, finora, è riuscito a dare ai nomi che lui usa per
designare le sue «amate», un volto, una realtà storica.
Ben inteso, i biografi conoscevano le sue infatuazioni
sentimentali nei riguardi di donne di tutte le età, in diversi periodi della sua vita e fin dall’adolescenza. Ma
questo cervello mostruoso ha fatto un uso immediato di
queste furtive o ossessive passioni: ne ha fatto delle icone (Silvia, Nerina, Aspasia) che allontanano la riflessione dai loro modelli reali (Tersa Fattorini, la figlia del cocchiere di Leopardi, morta di tisi a ventun anni, Maria
Belardinelli, una giovane contadina morta anche lei giovane e Fanny Ronchivecchi Targioni Tozzetti, borghese
maritata, intellettuale, fiorentina) e confondono. Si caricano di eccessivi significati le lettere dove Leopardi confida la sua emozione davanti all’intellettuale che lo riceve amabilmente e manifesta una certa sensibilità alla lettura delle sue poesie (come la bolognese Teresa Carniani
13
Malvezzi, incontrata nel 1826 e di cui parla al fratello
Carlo, in una lettera del 30 maggio). Certo, lo scambio
intellettuale crea un’illusione d’intimità, ma per la verità
Leopardi presenta la cosa come una semplice illusione.
Si rallegra di riscoprirsi «capace d’illusioni stabili, malgrado la cognizione e l’assuefazione contraria così radicata». Teresa Carniani Malvezzi finì, in capo a quattro
mesi, per mettere un termine ai loro intimi colloqui, per
eccesso di noia.
14