2 luglio 2016 - Osservatorio di Politica Internazionale

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2 luglio 2016 - Osservatorio di Politica Internazionale
N°17, 26 GIUGNO-2 LUGLIO 2016
ISSN: 2284-1024
I
www.bloglobal.net
Weekly Report
Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)
© BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 3 luglio 2016
ISSN: 2284-1024
A cura di:
Matteo Anastasi
Eleonora Bacchi
Davide Borsani
Marta Cioci
Giuseppe Dentice
Danilo Giordano
Antonella Roberta La Fortezza
Fabio Rondini
Maria Serra
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Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°17/2016 (26 giugno-2 luglio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016,
www.bloglobal.net
Photo Credits: Maya Alleruzzo/AP; AP; Reuters/Osman Orsal; Agoramagazine.it; Getty Images.
FOCUS
REGNO UNITO-UNIONE EUROPEA ↴
Mentre i mercati internazionali sembrano aver almeno momentaneamente
assorbito i primi contraccolpi della Brexit, grazie anche alle rassicurazioni della
Bank of England circa il varo di nuove misure a sostegno dell’economia nazionale e
della sterlina (in particolare una prossima modifica dei tassi di interesse e l’immissione di nuova liquidità), il risultato del referendum britannico del 23 giugno ha innescato le prime significative conseguenze sia sul piano interno al Regno Unito sia su
quello europeo.
Dal primo punto di vista, il voto referendario ha innanzitutto prodotto un terremoto
all’interno del fronte laburista: pur sfiduciato dalla maggioranza dei deputati laburisti (172 voti contro 40) con l’accusa di non aver adeguatamente sostenuto la
campagna a favore del Remain, e nonostante le dimissioni in massa dei Ministri del
cosiddetto “governo ombra”, Jeremy Corbyn ha dichiarato di non volersi dimettere finché avrà il consenso della base laburista. La sfida alla leadership Labour sembra poter essere ora lanciata da Anna Eagle, ex Ministro ombra per le attività produttive, o da Tom Watson, vice dello stesso Corbyn.
Dal lato conservatore le dimissioni di David Cameron hanno scavato un solco profondo
all’interno del partito: con il rifiuto dell’ex sindaco di Londra Boris Jonhson, che ha
condotto una forte campagna a favore del Leave, di assumere la guida del partito e,
dunque, di Primo Ministro per condurre le trattative con l’Unione Europea, la corsa
per la leadership dei Tories si restringe al Ministro della Giustizia Michael Gove,
alleato dello stesso Johnson durante la campagna elettorale, e al Ministro dell’Interno
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Theresa May, sostenitrice del Remain. Non sembra infatti possibile che gli altri candidati – il Ministro del Lavoro Stephen Crabb, l’ex Ministro della Difesa Liam Fox, il
Ministro dell’Energia Andrea Leadsom – possano avere il peso e il consenso necessario da parte degli iscritti al partito in questione che entro il 9 settembre saranno
chiamati a scegliere il loro leader sulla base della lista di nominativi che i deputati
dovranno stilare nei prossimi giorni. Le posizioni di Gove e May, che ambiscono a
trarre vantaggio in primo luogo dall’esperienza e dal proprio background politico in
termini di impegno sui temi europei, sembrano attualmente convergenti sia su ciò
che riguarda l’attivazione delle procedure di recesso dall’UE (non prima del 2017 e
non prima che siano state condotte adeguate negoziazioni) sia su ciò che attiene alla
stabilità interna britannica (entrambi puntano – evidentemente per arginare una possibile perdita di voti dei Tories – a non ricorrere ad elezioni anticipate prima del 2020)
sia, infine, sul tema dell’immigrazione – che dal punto di vista di entrambi dovrà
essere sottoposta ad un maggior controllo. Non sembra ancora ad ogni modo
esclusa la candidatura del Ministro dell’Economia, George Osborne, impegnato attualmente a rassicurare i mercati e proteso a dilatare i tempi di attivazione
dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona relativo al recesso.
Su questo punto le Istituzioni comunitarie – Commissione europea e Consiglio –
hanno richiesto che il Regno Unito proceda il più velocemente possibile e
hanno escluso qualsiasi tipo di negoziazione informale prima della trasmissione ufficiale della richiesta di fuoriuscita dall’Unione Europea. Dello stesso avviso anche il
Parlamento, che in una Risoluzione votata a larga maggioranza (395 si, 200 no e 71
astenuti) ha chiesto un’implementazione rapida e coerente della procedura di revoca
della membership. Nonostante la coesione in merito, il Consiglio europeo del 2829 giugno ha comunque evidenziato alcuni aspetti: innanzitutto nessuna Istituzione ha definito i tempi certi di tale processo, né in termini di richiesta di applicazione dell’articolo 50 né di durata dell’iter di recesso; secondariamente non è chiaro
chi condurrà le trattative con il Regno Unito, ossia se tale compito sarà affidato alla
Commissione o al Consiglio; in terzo luogo quest’ultimo, essendo un organo di Stati,
sembra maggiormente propenso a garantire una maggior flessibilità ai britannici al
contrario della Commissione, rigidamente posizionata su un recesso il più rapido possibile. Una sottile diversità di attitudine riscontrata nella diversa posizione assunta
sulla visita a Bruxelles del Primo Ministro scozzese, Nicola Sturgeon – intenzionata a procedere verso uno sganciamento da Londra a favore della permanenza
nell’UE –, che il Presidente del Consiglio Donald Tusk non ha inteso incontrare, ufficialmente per non interferire in questioni riguardanti la politica interna britannica.
In attesa che quindi si meglio definisca il quadro politico britannico, il prossimo appuntamento europeo, sebbene informale, per discutere della Brexit è stato fissato
dallo stesso Tusk per il 16 settembre a Bratislava, che dal 1° luglio detiene per la
prima volta dal suo ingresso nell’UE (2004) il semestre di presidenza.
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BREVI
BANGLADESH, 1-2 LUGLIO ↴
Un commando di uomini armati ha assaltato l’Holey
Artisan
Bakery,
diplomatico
della
un
bar-ristorante
capitale
Dacca,
nel
quartiere
uccidendo
20
persone (9 italiani, 7 giapponesi, un americano e tre
bengalesi). I terroristi sono entrati nella struttura
aprendo il
fuoco sulla folla e, secondo quanto
dichiarato dai sopravvissuti, selezionando le vittime sulla base del credo religioso. I
sette assalitori, tutti di nazionalità bengalese e appartenenti a ceti medio-alti della
società nazionale, sono rimasti uccisi nel blitz delle forze locali di polizia che ha
portato comunque alla liberazione di 13 ostaggi (di cui 4 stranieri). Come dichiarato
nella nota stampa emessa dalla propria agenza online, Amaq, lo Stato Islamico (IS)
si è attribuito la paternità dell’attentato, localmente condotto da un gruppo non
organizzato dell’IS nel Paese asiatico. Come nel caso di precedenti attentati (Parigi,
Bruxelles, Istanbul e, se venisse in qualche modo confermato, anche Orlando), la
cellula in questione ha colpito un posto affollato e dall’alto valore simbolico,
confermando così lo shift ideologico e metodologico da parte dello Stato Islamico,
che sembra sempre più mirare a massimizzare nel più ampio modo possibile il
numero delle vittime attraverso la distruzione di obiettivi internazionali. Essendo
target vulnerabili e facili da colpire, in termini di accesso e di successo operativo,
questi obiettivi hanno non di meno un valore mediatico molto rilevante, in quanto
esempi concreti di quotidianità (luoghi di aggregazione e/o svago). Ciò che emerge
con più rilevanza dall’attentato a Dacca è che in un certo senso l’IS e il suo network
si stiano qaedizzando, ossia che stiano abbandonando o quantomeno mutando la
dimensione proto-statuale che hanno perseguito in Siria e Iraq – anche in virtù delle
perdite umane e territoriali gravose subite nell’arco dell’ultimo anno –, tornando
invece a vestire i panni del movimento radicale ed emulando una strategia più
internazionalista e affine ad al-Qaeda, basata cioè sull’attuazione di attacchi in tutto
il mondo. È all’interno di tale nuova dimensione che può esser dunque letto l’attentato
in Bangaldesh, Paese caratterizzato da profonde storture socio-economiche e perciò
terreno fertile per il radicamento dell’estremismo islamista. Da oltre un decennio,
infatti, la svolta più o meno annunciata in termini di laicità da parte del governo ha
favorito l’attecchimento – tollerato anche per evitare l’acuirsi di nuove tensioni sociali
– di gruppi di preghiera, di scuole coraniche, di madrase e di centri di cultura stranieri
(per lo più del Golfo) che hanno indirettamente favorito un radicamento di una visione
wahhabita e salafita dell’Islam. Un potenziale focolaio che si è confermato fecondo
negli ultimi due anni, ossia dall’ascesa di IS, facendo dello stesso Bangladesh uno dei
terreni di scontro principali anche della lotta intra-jiahdista tra al-Qaeda e il Califfato.
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ITALIA, 28 GIUGNO ↴
Con 179 voti l’Italia è stata eletta dall’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite come membro non
permanente del Consiglio di Sicurezza per il 2017. I 10
seggi spettanti ai membri non permanenti sono
ripartiti su base geografica e per i due posti spettanti
all’Europa occidentale erano in lizza tre Paesi: Italia,
Olanda e Svezia – quest’ultima eletta al primo turno. Come concordato con l’Aja al
termine di una lunga trattativa infine approvata dall’Assemblea e scaturita
dall’impossibilità di raggiungere dopo 5 round di votazione i 128 voti necessari
all’elezione, Roma condividerà il proprio mandato con l’Olanda. L’intesa prevede che
l’Italia presiderà il seggio nel 2017, mentre l’Olanda nell’anno successivo. Il Ministro
degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e il suo omologo olandese Bert Koeders hanno
espresso soddisfazione per il risultato raggiunto, dichiarando che l’accordo
rappresenta un segnale di unità in un momento difficile per l’Europa. Unità che non
si registra, invece, nei rapporti tra Italia e Germania sui temi relativi al salvataggio
delle banche. Le tensioni, emerse nel corso del Consiglio europeo, riguardano i
tentativi dell’Italia di proteggere gli investitori privati da eventuali perdite dovute
all’applicazione del piano di ricapitalizzazione degli istituti di credito. L’alternativa al
“bail in”, il divieto di ricorrere a fondi pubblici in caso di dissesto da parte dell’istituto
creditizio e alla distribuzione delle perdite bancarie sugli investitori, hanno scatenato
il botta e risposta tra la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Premier Matteo Renzi.
«Non possiamo cambiare le regole ogni due anni» il commento della Cancelliera al
quale ha riposto il Presidente del Consiglio «Non vogliamo cambiarle (…) L’ultima che
non ha rispettato le regole è stata la Germania nel 2003 e il governo di Berlusconi
glielo consentì».
SIRIA-IRAQ, 30 GIUGNO – 2 LUGLIO ↴
Prosegue l’avanzata delle truppe governative e dei
rispettivi alleati in Iraq e in Siria. Il 30 giugno un’azione
congiunta
dell’aviazione
americana
e
dell’esercito
iracheno ha portato all’uccisione di 250 jihadisti che
tentavano di
fuggire da Falluja riparando verso
l’entroterra dell’Anbar o verso il confine con la Siria. Le
ultime sacche di resistenza dei miliziani dello Stato
Islamico (IS) si concentrano nella zona a ovest del ponte di Tofaha. Non si arresta,
dunque, l’avanzata lealista, con l’aiuto dei Pasdaran iraniani e di milizie sciite locali,
nel nord dell’Iraq che ha come obiettivo finale la riconquista di Mosul. Una missione
fino a pochi mesi fa ritenuta poco plausibile dalle stesse autorità locali e statunitensi,
ma che dopo il continuo sgretolamento del fronte di resistenza degli insorti potrebbe
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effettivamente avverarsi entro la fine dell’anno, così come promesso dallo stesso
Premier Haider al-Abadi. In Siria, intanto, si continua a combattere nella provincia di
Aleppo e nei territori nei dintorni di Damasco. L’ultimo imponente raid dell’esercito di
Bashar al-Assad si è verificato il 2 luglio presso la cittadina, in mano ai ribelli islamisti,
di Jayrud, a sessanta chilometri dalla capitale. Il bombardamento, che ha provocato
la morte di venti persone, ha costituito la risposta dell’esercito all’uccisione di un
pilota catturato e ucciso a Jayrud, dopo essersi lanciato dal suo veicolo in fiamme.
Sebbene diventi sempre più consistente l’arretramento di IS, costretto nell’ultimo
anno ad abbandonare il 45% dei territori iracheni e il 20% di quelli siriani
precedentemente controllati, il gruppo guidato dal sedicente califfo al-Baghdadi
continua nella propria strategia del terrore, conducendo piccole azioni di guerriglia
e/o attachi terroristici nel territorio siro-iracheno. Ne sono un esempio concreto gli
attentati avvenuti a Baghdad il 3 luglio, in cui sono morte 131 persone, mentre 200
sarebbero i feriti. Luoghi degli attentati sono stati ancora una volta i luoghi affollati,
nella fattispecie un centro commerciale a Karada, un quartiere sciita della capitale.
Questo atto di terrorismo rappresenta il più grave attentato dell’IS nel 2016.
SPAGNA, 26 GIUGNO ↴
A sei mesi dalle ultime elezioni parlamentari che, non
garantendo una maggioranza assoluta ad alcun partito
– e nonostante i tentativi di mediazione da parte anche
del Re Filippo VI – avevano decretato una situazione di
sostanziale
ingovernabilità,
la
Spagna
è
tornata
nuovamente alle urne. Anche lo spoglio del 26 giugno
ha consegnato la vittoria al Partido Popular (PP) del Premier uscente Mariano Rajoy,
che ha ottenuto il 33% dei voti (137 seggi), mentre al secondo posto si è posizionato
il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) guidato da Pedro Sanchez con il 22,7%
dei voti (85 seggi). Malgrado i sondaggi iniziali la dessero come seconda forza
parlamentare, è andata poco oltre il 21% dei voti (72 seggi, solo 2 in più rispetto al
voto del 20 dicembre) la lista Unidos-Podemos, la coalizione nata dall’unione del
movimento politico creato da Pablo Iglesias con Izquierda Unita. Non ha ottenuto il
successo sperato neanche l’altro movimento politico, il centrista Ciudadanos guidato
da Albert Rivera, che si è fermato a quota 13% (32 seggi). I partiti nazionalisti e
regionalisti baschi e catalani hanno avuto una leggera flessione con Esquerra
Republica da Catalunya (ERC) che ha mantenuto i 9 seggi, mentre gli indipendentisti
di Convergencia Democratica de Catalunya, il Partido Nacionalista Vasco e gli
indipendentisti baschi di EH Bildu hanno tutti diminuito i loro consensi ottenendo,
rispettivamente, 8, 5 e 2 seggi. Il risultato delle elezioni sembra dunque prospettare
una situazione di stallo del tutto analoga a quella creatasi all’indomani del voto del
20 dicembre. Nell’annunciare la vittoria, Mariano Rajoy ha rivendicato il diritto del
suo partito a governare, richiamando gli altri leader a mostrare quel senso di
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responsabilità necessario a non rendere vano, nuovamente, il voto. Gli scenari più
probabili sono: 1. un governo di minoranza del PP grazie all’astensione dei socialisti;
2. una grande coalizione con popolari e socialisti al governo con l’appoggio di
Ciudadanos. Più difficile sembra essere un’alleanza di sinistra a guida PSOE-Podemos,
che dovrebbe allargarsi ai nazionalisti baschi e catalani per ottenere il superamento
della soglia di 176 seggi necessari a governare.
RISULTATI ELETTORALI A CONFRONTO (DICEMBRE 2015 - GIUGNO 2016) – FONTE: EL PAIS
TURCHIA-TERRORISMO, 28 GIUGNO ↴
Un commando di 7 persone (6 uomini e una donna, di
cui però solo tre gli operativi nello scalo) è entrato in
azione tra l’area parcheggio, i varchi dell’area arrivi e
il piano delle partenze dell’aeroporto internazionale
Atatürk di Istanbul, aprendo il fuoco sulla folla e
facendosi,
infine,
esplodere.
Secondo
il
bilancio
ufficiale che si aggiorna di ora in ora a causa dei numerosi feriti (239, di cui circa una
sessantina in gravi condizioni), sono 43 le vittime accertate. Nonostante l’attentato
non sia stato ancora rivendicato, le autorità turche ritengono che la matrice sia
riconducibile allo Stato Islamico (IS), attivo in Turchia attraverso piccole cellule di
soggetti radicalizzati turchi e stranieri, ma soprattutto di foreign fighters di ritorno
dal teatro di crisi siriano. A conferma del sempre più probabile coinvolgimento dell’IS
negli attacchi di Istanbul vi sarebbero il modus operandi (piccoli gruppi di 3-4 persone
operative e suicide) – che ricorda molto da vicino la strategia attuata dagli assalitori
all’eroporto di Bruxelles-Zaventeem – e il valore simbolico del target da colpire (un
obiettivo internazionale e altamente affollato, benchè non fosse un orario di punta
per le partenze o gli arrivi). Le indagini e i successivi arresti – circa una ventina –
condotti dagli inquirenti turchi su tutto il territorio nazionale (le principali operazioni
sono state condotte tra Istanbul, Bursa, Ankara e Smirne) hanno svelato l’esistenza
di una cellula ben radicata e composta pressochè da musulmani russofoni
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(daghestani, uzbeki e kirghizi), al comando di Akhmed Chatayev, un mujahideen
ceceno reduce dalla seconda guerra cecena della fine degli anni Novanta. Sospettato
di essere la mente degli attacchi in questione, Chatayaev – detto “il monco” a causa
della sua menomazione (perse un braccio in guerra) – è un importante leader
jihadista che fin dai primi anni Duemila aveva tenuto importanti contatti con i vertici
qaedisti in Afghanistan e in Iraq (tra cui si vocifera lo stesso Abu Musab al-Zarqawi),
tanto da fornire armi e guerriglieri alla loro causa jihadista nei teatri di crisi
mediorientali.
Con
l’ascesa
dell’IS,
Chatayev
sarebbe
passato
anche
per
opportunismo dalla parte di al-Baghdadi, comandando un gruppo di poco meno di
duecento affiliati attivi nella gola di Pankisi, valle orientale della Georgia al confine
con la Russia, già zona di radicalizzazione e sempre più importante snodo della lotta
radicale islamista nel Caucaso. L’attacco di Istanbul rappresenta l’ultimo di una
sequela di attentati che dalla seconda metà del 2015 hanno colpito con una certa
frequenza e incidenza la Turchia (provocando oltre 250 vittime), oggetto anche del
terrorismo di matrice curda.
PRINCIPALI ATTACCHI IN TURCHIA DAL GIUGNO 2015 - FONTE: AFP
TURCHIA-ISRAELE-RUSSIA, 27 GIUGNO ↴
Nel quadro di progressiva normalizzazione dei rapporti
promossa negli ultimi anni dagli Stati Uniti, nonché di
recente dalla Russia, lo scorso 27 giugno Turchia e
Israele hanno firmato un accordo di riconciliazione, in
base al quale Tel Aviv si impegna a fornire 20 milioni
di dollari come compensazione per l’incidente della
Mavi
Marmara-Freedom
Flotilla
(maggio
2010),
mentre Ankara a promuovere una legge che impedirà le rivendicazioni legali per le
vittime dell’incidente navale in questione. Sebbene le due parti mantengano posizioni
divergenti per quanto riguarda il blocco di Gaza e il ruolo di Hamas nella leadership
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politica dell’area, Tel Aviv si è dichiarata favorevole a non ostacolare gli aiuti turchi
diretti ai gazawi attraverso il porto di Ashdod, mentre Ankara a limitare l’appoggio
politico all’organizzazione islamista nella Striscia. In un contesto di ricomposizione
del sistema di alleanze regionali, la normalizzazione delle relazioni turco-israeliane è
favorita anche dall’opportunità di approfondire relazioni economico-energetiche –
Israele si prospetta infatti come un fornitore alternativo alla Russia – nonché dalla
volontà della Turchia di ricucire gli strappi con il vicinato mediorientale e di riacquisire
un ruolo centrale all’interno delle mutevoli dinamiche regionali. È anche in
quest’ottica che può essere letto il riavvicinamento con la Russia all’indomani
dell’invio di una lettera di scuse ufficiali da parte del Presidente turco Recep Tayyip
Erdoğan all’omologo Vladimir Putin per l’abbattimento del velivolo da combattimento
SU-24 avvenuto nel novembre 2015. In seguito alla concessione di permessi di lavoro
ai dipendenti di imprese turche che operano in Russia e alla rimozione dell’obbligo di
visti per i turisti russi in Turchia, Mosca potrebbe inoltre considerare di rimuovere le
sanzioni imposte ad Ankara e di ripristinare il progetto del “Turkish Stream”. Nella
prospettiva turca, il processo di distensione con il Cremlino trova oltretutto
fondamento nella volontà di impedire una convergenza della posizione russa con le
istanze curde, anche in sede di Nazioni Unite. Tutto ciò dovrebbe preludere ad un
probabile incontro tra Erdoğan e Putin in vista del Vertice del G20 ad Hangzhou in
Cina il prossimo settembre. Se il riavvicinamento con Israele e Russia non sembra
poter essere collegato all’attentato all’aeroporto Atatürk di Istanbul del 28 giugno,
presumibilmente riconducibile allo Stato Islamico, è pur vero che ciò può
rappresentare un’importante svolta nella politica estera finora condotta dal governo
turco.
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ALTRE DAL MONDO
AFGHANISTAN, 30 GIUGNO ↴
Un convoglio di due autobus di cadetti della polizia afghana è stato attaccato nella
periferia di Kabul sulla strada del ritorno da Wardak, dove i giovani avevano trascorso
un periodo di addestramento. Un attentatore suicida si sarebbe fatto esplodere al
passaggio del primo mezzo, mentre la seconda esplosione sarebbe avvenuta per la
detonazione di un’autobomba lanciatasi contro l’altro bus. Sono almeno 30 i morti e
più di 50 i feriti. L’attacco è stato rivendicato dai talebani, i quali sembrano preferire
quale target la polizia rispetto all’esercito, dati i veicoli non corazzati e la dotazione
di armi più leggere rispetto alla prima. Nel corso dell’ultimo periodo, soprattutto in
seguito all’uccisione del leader Mullah Akhtar Mansour, il 25 maggio scorso, sono
aumentati gli attacchi da parte dei talebani contro le forze armate afghane.
ALGERIA, 30 GIUGNO ↴
Un terrorista ha aperto il fuoco contro un distaccamento dell’esercito algerino nella
provincia di Jijel, nell’est del Paese, dove è in atto un’operazione militare nella località
di Bouhalouane, situata nei pressi di Bordj Tahar. Secondo quanto ricostruito da una
nota del Ministero della Difesa algerino, il terrorista, Mohamed Said, noto con il nome
di battaglia di Saad, avrebbe sparato contro i militari per evitare la cattura. Nello
scontro a fuoco è rimasta coinvolta anche la famiglia di Said: la moglie e il figlio sono
stati feriti mentre le tre figlie femmine sono ancora in custodia presso le autorità al
fine di convincere il terrorista alla resa. Le operazioni per l’arresto di Said sono
tutt’ora in corso.
AUSTRIA, 1° LUGLIO ↴
La Corte Costituzionale ha stabilito che il ballottaggio delle elezioni presidenziali, tenutosi il 24 maggio e vinte da Alexander Van der Bellen (candidato indipendente ma
imparentato con la lista dei Verdi) su Norbert Hofer (candidato del partito di estrema
destra FPÖ) per poco più di trentamila voti, dovranno tenersi nuovamente. La Corte
ha infatti riscontrato irregolarità nello spoglio dei voti. «La sentenza», hanno affermato i giudici, «deve rafforzare il nostro Stato di diritto e la nostra democrazia».
BOSNIA ERZEGOVINA, 30 GIUGNO ↴
A un giorno dalla scadenza ultima fissata per legge e a distanza di 3 anni dal suo
svolgimento, sono stati pubblicati i risultati del censimento in Bosnia Erzegovina. Secondo l’operazione in questione, richiesta dall’Unione Europea come condizione per
inoltrare la domanda di adesione (di fatto presentata lo scorso 15 febbraio 2016), la
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popolazione sarebbe composta per il 50,11% da bosgnacchi-musulmani – in incremento rispetto al 43% registrato nell’ultimo censimento del 1991 –, per il 30,78%
da serbi, e per il 15,43% da croati. Restringendo il campo alle due entità federali,
risulta che la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH) è composta per il 74% da
bosniaci, per il 22,4% da croati e per il 3,6% da serbi; nella Repubblica Srpska (RS),
i serbi risultano essere l’81,5% contro il 13,9 dei bosniaci. Il cambiamento demografico del Paese, che tuttavia restituisce un quadro di progressiva omogeneizzazione
etnica all’interno delle due Federazioni, trova rilievo all’interno della polemica tra
l’Agenzia Statistica nazionale e l’istituto di statistica della RS, quest’ultimo già in disaccordo con la prima circa le metodologie utilizzate: le autorità della RS contestano
infatti la decisione di considerare nel conteggio i residenti bosniaci non permanenti,
ossia coloro che erano assenti nei 12 mesi precedenti o successivi al censo. Il mancato raggiungimento di un’intesa su questo punto complica secondo Milorad Dodik,
Presidente della RS, la situazione politica bosniaca, di fatto già resa complessa dall’architettura costituzionale fuoriuscita dagli accordi di Dayton del 1995 che, legittimando
le divisioni etniche, pregiudica ancora oggi il regolare svolgimento dei processi decisionali.
CAMERUN, 29 GIUGNO-1° LUGLIO ↴
Nella notte tra il 29 e il 30 giugno, alla rottura del digiuno durante il mese sacro del
Ramadan, un kamikaze appartenente a Boko Haram si è fatto esplodere in una moschea a Djakana, località alla frontiera con la Nigeria. Secondo fonti di sicurezza locali
hanno perso la vita 11 persone. La maggior delle vittime dell’esplosione erano membri del comitato di vigilanza incaricato di contrastare i terroristi e di proteggere le
forze di sicurezza in caso di infiltrazioni jihadiste. Da quando è stata avviata la massiccia operazione militare condotta da vari Stati della regione contro il gruppo jihadista, quest’ultimo ha intensificato la sua campagna di guerriglia prendendo di mira la
popolazione civile. Solo in Camerun, Boko Haram ha ucciso più di 480 civili da
quando, nel luglio dell’anno scorso, il gruppo terroristico filo-islamico ha aumentato i
propri attacchi.
LIBANO, 27 GIUGNO ↴
Il piccolo villaggio a maggioranza cristiana di al-Qaa, nella zona nord orientale del
Libano, a pochi chilometri dal confine siriano, è stato scosso da un doppio attentato
suicida. All’alba del 25 giugno, quattro attentatori si sono fatti esplodere causando 5
morti e 16 feriti; in serata, mentre il villaggio preparava i funerali delle vittime, altri
quattro attentatori si sono fatti esplodere davanti alla chiesa greco-melkita. Non vi è
ancora stata alcuna rivendicazione degli attentati. Ciononostante e per quanto le indagini non abbiano ancora dato alcuna certezza, gli attentatori sembrerebbero essere
profughi siriani; non a caso, le forze di polizia libanesi hanno effettuato, nei giorni
immediatamente successivi, una serie di perquisizioni nei campi profughi arrestando
centinaia di persone di nazionalità siriana, sebbene per semplice irregolarità nei documenti.
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LIBIA, 27 GIUGNO ↴
Il generale Khalifa Haftar, capo delle milizie libiche facenti riferimento al governo di
Tobruk, è giunto a Mosca dove ha incontrato il Ministro della Difesa, Sergej Shoigou,
il Segretario del Consiglio di Sicurezza, Nikolai Petroshav e il Ministro degli Esteri,
Sergej Lavrov. Il tema principale dei colloqui con i vertici russi è stato quello di una
possibile collaborazione tra Tobruk e Mosca e soprattutto una presunta fornitura di
armi da parte di Mosca di cui dovrebbero beneficiare le milizie di Haftar; quest’ultima
eventualità dovrebbe, del resto, fare i conti con l’embargo sulle armi, deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, attualmente in vigore sul territorio libico.
SOMALIA, 30 GIUGNO ↴
Almeno 18 persone hanno perso la vita in seguito all’esplosione di una bomba nella
città somala di Lafoole, a 40 km a ovest della capitale Mogadiscio. L'ordigno, che era
stato piazzato sul ciglio della strada, è stato azionato a distanza e ha colpito un minibus di passaggio, uccidendo tutti i passeggeri. Tuttavia si pensa che l'obiettivo reale
sarebbe dovuto essere un convoglio governativo non molto distante dal luogo dell’accaduto. Finora, nessun gruppo ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Simili
operazioni sono però riconducibili al modus operandi di al-Shabaab, gruppo jihadista
affiliato ad al-Qaeda ed attivo nella regione del Corno d’Africa dal 2006. Una spirale
di violenze che continua a prendere di mira obiettivi civili e militari nella zona della
capitale. Sebbene l’azione congiunta dell’esercito somalo e della missione dell’Unione
Africana AMISOM abbia permesso alle autorità di Mogadiscio di riconquistare buona
parte dei principali centri del Paese, i jihadisti restano ancora fortemente radicati nel
sud e nei territori rurali.
YEMEN, 27 GIUGNO ↴
Una serie di attentati ha causato la morte di 42 persone e il ferimento di 37 nella
città costiera di Mukalla, capitale della provincia yemenita di Hadramawt. Le quattro
esplosioni sono avvenute al calare del sole quando soldati e civili si accingevano a
rompere il digiuno giornaliero con il pasto serale del Ramadan (Iftar). Secondo quanto
riportato da agenzie di stampa internazionali, la prima esplosione è avvenuta nella
parte occidentale della città per mano di un attentatore suicida che, dotato di una
cintura esplosiva, si è fatto esplodere in un punto di ristoro per soldati che stavano
appunto preparandosi per l’Iftar, mentre le altre tre esplosioni sono avvenute nel
centro di Mukalla per la detonazione di un’autobomba e di ordigni rudimentali (IED)
contro campi dell’esercito e dell’intelligence yemenita. Gli attacchi sono stati rivendicati dall’IS sebbene la zona fosse stata riconquistata a discapito di al-Qaeda nell’aprile
scorso da parte delle forze governative e della coalizione a guida saudita.
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ANALISI E COMMENTI
TROLLING E ASTROTURFING COME STRUMENTI DI GUERRA INFORMATIVA DELLA RUSSIA
ALESSANDRO PANDOLFI ↴
Come è stato rilevato fin dagli esordi della rivoluzione digitale, i nuovi media possono
facilitare un vasto insieme di attività, incluse quelle di propaganda, influenza, deception e guerra informativa. Il concetto statunitense di information operations (IO) include in larga parte l’information warfare (IW, concetto simile e tuttora impiegato da
numerosi Stati), ovvero l’impiego delle informazioni ai fini del perseguimento degli
interessi nazionali e, in particolare, la lotta per la superiorità nel dominio informativo.
La riflessione in merito all’impatto delle nuove tecnologie sulle attività di IO/IW ha
riscontrato come le possibilità di manipolazione informativa e psicologica siano destinate a crescere parallelamente al perfezionamento e alla diffusione dei media interattivi. In questo contesto, Internet rientra a pieno titolo nel panorama degli strumenti di propaganda e disinformazione, prefigurando enormi possibilità che meritano
un’attenzione ben maggiore di quella che vi è stata finora dedicata (…) SEGUE >>>
UE E KAZAKISTAN: NUOVA PAGINA DELLA STRATEGIA EUROPEA PER L’ASIA CENTRALE
LUTTINE ILENIA BUIONI ↴
Come anticipato il 30 marzo scorso in occasione dell’incontro a Bruxelles tra il Presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev e il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, dal 1 maggio 2016 è entrata in vigore, a titolo provvisorio,
la parte economica dell’Accordo Rafforzato di Partenariato e di Cooperazione (EPCA)
tra l’Unione Europea e la Repubblica del Kazakistan. Sottoscritto ad Astana il 21 dicembre 2015 alla presenza dell’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la
Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, l’accordo è stato ratificato dal Parlamento
di Astana a marzo, sebbene sia destinato a diventare pienamente operativo solo a
seguito della ratifica dei 28 Stati membri dell’UE e del Parlamento europeo. Il nuovo
documento rappresenta l’evoluzione dell’originario Accordo di Partenariato e Cooperazione (PCA), in vigore dal 1999, ed è indicativo della volontà di entrambe le parti
di consolidare la partnership politica e specialmente la cooperazione economica a
seguito dell’adesione ufficiale del Kazakistan (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net
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