Azione - Settimanale di Migros Ticino Psiche e mondo virtuale

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Azione - Settimanale di Migros Ticino Psiche e mondo virtuale
Natacha Vellut ha studiato gli Hikikomori
Dove e quando
Internet: virtualizzazione della psiche? La psicoanalisi nell’era digitale. Sabato, 15 ottobre 2016.
LAC, Lugano, dalle 9.00 alle 16.00. Iscrizioni: Segretariato APPsi c/o Dott. Marco Celoria, Via
Massagno 20, 6900 Lugano
Psiche e mondo virtuale
Intervista alla psicanalista francese Natacha Vellut, relatrice sabato prossimo a
Lugano durante il convegno dell’Accademia di Psicoterapia Psicanalitica della
Svizzera italiana
/ 10.10.2016
di Alessandro Zanoli
La psicanalisi non è soltanto uno strumento terapeutico ma, da sempre, anche una disciplina che
studia e cerca di interpretare i fenomeni sociali. In questo senso il convegno che si terrà al LAC di
Lugano il prossimo 15 ottobre, promosso dall’Accademia di Psicoterapia Psicanalitica della Svizzera
italiana, si propone di indagare un ambito della nostra vita quotidiana che suscita in tutti noi
domande e anche preoccupazioni. L’irruzione delle tecnologie informatiche nei nostri modelli
comunicativi e comportamentali sta producendo infatti una nuova realtà che ci assorbe, condiziona,
ma con la quale dobbiamo misurarci e imparare a interagire. A Lugano prenderanno la parola quindi
tre psicanalisti che hanno messo sotto osservazione questo nuovo mondo digitale e che, alla luce
della loro esperienza clinica, ne proporranno alcune chiavi di lettura in termini psicologici. Abbiamo
chiesto a una delle relatrici della giornata, Natacha Vellut, psicologa, psicanalista, ricercatrice al
Centre de Recherche Médecine, Sciences, Santé, Santé Mentale, Société dell’UniversitàParis
Descartes, di aiutarci a delineare il quadro in cui la psicanalisi può affrontare la riflessione sulla
«società virtuale». La sua esperienza clinica, in particolare, l’ha portata a studiare il caso dei giovani
adolescenti giapponesi che vivono in simbiosi con la rete, gli ormai famosi Hikikomori (vedi anche
«Azione 39» del 26 settembre scorso).
Signora Vellut, secondo lei che cosa direbbe Freud se avesse potuto conoscere questa cosa
tremenda che è Internet?
Beh, non vorrei parlare al suo posto e poi non sono nemmeno convinta che sia così tremenda...
Internet ci mette a contatto con una realtà legata al sapere, alla conoscenza, molto interessante, se
vista dal punto di vista psicanalitico. Internet permette di acquisire un sapere senza bisogno di
passare per un «mediatore altro», senza avere un maestro, senza la nozione di autorità. Là dentro
c’è un sapere che è disponibile e noi non siamo obbligati ad essere in una relazione di dipendenza
con altri per raggiungerlo. Ecco, questo penso che avrebbe messo Freud un po’ in difficoltà...
Internet tocca realmente diversi aspetti della nostra vita e della nostra psicologia
profonda?
Sì, tant’è che molti studiosi parlano di una sorta di rivoluzione antropologica, anche rispetto al modo
di vedere il futuro che ha diffuso. Secondo me è molto importante dire che Internet modifica la
nostra relazione con lo spazio, con la temporalità e nella relazione con gli altri. Questi sono aspetti
che hanno certamente un rapporto con la visione psicanalitica.
L’uso della rete però non è necessariamente negativo: non tutti ci si perdono. Internet può
essere magari anche terapeutico?
L’uso di Internet può essere di vario tipo: può essere funzionale, servire a passare il tempo. Ma può
essere anche utilitario: può servire a un apprendimento; oppure può essere anche politico. C’è tutto
un filone di siti di questo tipo, che usano Internet come luogo di espressione libertaria. Occorre dire
poi che ci sono anche spazi dove si può passare del tempo in una forma di terapia. Al di là della
tecnica classica è possibile anche usare Internet come strumento di relazione, tra paziente e
terapeuta. Come si userebbero dei disegni per un bambino, dei giochi con un adolescente: può
essere proprio uno strumento di mediazione e di gioco, in questo senso, che permette di rendere più
morbida la relazione terapeutica. Penso che per noi psicoterapeuti possa rivelarsi non tanto una
rivoluzione nella tecnica terapeutica, ma proprio uno strumento.
Le novità tecnologiche suscitano sempre preoccupazione: ricorda i Tamagotchi? Molti
psicologi si erano allarmati per quella moda che simulava una vita virtuale. Poi tutto è
caduto nel dimenticatoio...
Ecco: una cosa di cui parlerò sicuramente durante l’incontro sarà la questione del mondo virtuale.
Una parola estremamente alla moda, estremamente utilizzata, ma è problematica, secondo me.
Accettarla implica di dividere il mondo in due settori, quello reale e quello virtuale, due mondi
diversi. Se cominciamo così siamo fuori strada. Prendiamo per esempio un romanzo: cosa è reale e
cosa è virtuale lì dentro? Questa abitudine a creare due mondi separati non ha senso: quando si è su
Internet si è a contatto con la realtà. Evidentemente non si tratta di un rapporto personale con
qualcuno, ma non per questo non è un rapporto reale. Senza considerare poi che definire cosa sia la
realtà è una questione tutt’altro che facile, visto che ognuno di noi vive in un suo mondo, a contatto
magari con i proprio fantasmi.
L’impressione che si ha della rete è che stimoli una discreta dipendenza e ciò preoccupa.
Ma che cosa cerchiamo in Internet?
Gli studi che ho condotto sul tema degli Hikikomori hanno demistificato molte preoccupazioni. Ero
affiancata da specialisti che osservavano altri ambiti del rapporto con Internet e si occupavano in
particolare dell’uso di Facebook. Abbiamo scoperto che il social network non è un sostituto ma un
potenziamento delle relazioni. Gli Hikikomori, che si isolano dai loro pari, dalle persone della loro
età, vivono su Internet, ma evitano le reti sociali. Perché per loro è troppo complicato relazionare.
Ma chi sono esattamente gli Hikikomori?
Sono ragazzi che interrompono tutte le relazioni sociali, più o meno alla stessa età. Smettono di
frequentare la scuola, hanno relazioni d’amicizia solo legate ad attività sportive. Mantengono minimi
contatti in famiglia e si muovono soltanto dove c’è Internet. Per loro diventano dunque
problematiche tutte le questioni legate alla ricerca di un lavoro, di un inserimento sociale.
Un tempo gli psicanalisti chiedevano informazioni sui sogni dei loro pazienti, oggi
chiedono loro che siti visitano?
Certo che sì. Io ho imparato moltissime cose da una Hikikomori che ho seguito. Quando mi parlava,
lei metteva in gioco veramente molto poco di sé, ma molto del suo sito preferito di fantascienza, dei
suoi personaggi, del perché non voleva che un personaggio morisse, perché un personaggio doveva
innamorarsi di un altro personaggio... E con queste informazioni diceva in realtà tanto di sé. Era
davvero bloccata nella sua capacità di esprimersi. La sua situazione durava già da dieci anni.Era una
giovane donna molto timida, molto inibita, molto grave e però si sbloccava parlando di questo sito su
cui aveva investito in modo massiccio.
Freud tendeva a ricercare nella mitologia classica i modelli di comportamento psicologico:
i nuovi psicanalisti dovranno occuparsi meno di mitologia e più di fantascienza?
Ho letto di recente un articolo di studiosi greci: hanno osservato la situazione dei videogiochi in
Francia e hanno osservato che si sta diffondendo un modello di eroe virtuale molto diverso dall’eroe
romantico. Questo è curioso perché l’eroe romantico suscitava nei giovani in passato
un’identificazione secondaria. L’eroe virtuale si comporta invece in un altro modo. È quasi in
opposizione a quello: provoca un’identificazione molto più immediata, spontanea. Non è il cavaliere
che incarna la grandezza, i valori della legge: l’eroe virtuale semplicemente distrugge tutti i nemici,
senza altro scopo che la rivalità. Nelle sue imprese è difficile leggere un compito simbolico, un ruolo
drammatico con cui si possa solidarizzare.