SEZIONE ARTICOLI DI SERVIZIO SOCIALE

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SEZIONE ARTICOLI DI SERVIZIO SOCIALE
Hikikomori: ribelli silenziosi (di Francesca Sacco)
Hikikomori è un neologismo giapponese coniato da Tamaki Saito all’inizio degli anni ’80.1 È la contrazione
di shakaiteki hikikomori e, deriva dalle parole
hiku “tirare”“indietreggiare” e komoru “ritirarsi”
“nascondersi”, letteralmente dunque “stare in disparte, isolarsi”, “ritirarsi dalla società”. Il termine è utilizzato
per indicare la tendenza di alcuni giovani ad auto recludersi, scegliendo un volontario isolamento dalla vita
sociale. Lo stato del Giappone ha avviato una richiesta ufficiale prima all’Onu poi una domanda formale
all’Oms affinché la sindrome hikikomori venga rubricata come “potenziale piaga sociale che può annichilire
intere nazioni”.
È considerato un disturbo di impatto sociale nato in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta (oggi si
contano circa 1 milione di casi) ed estesosi nell’ ultimo decennio o poco più negli Stati Uniti, in Corea e in
diversi paesi del nord Europa tra cui l’Italia.
Il Governo Giapponese, data la rilevanza sociale del problema, ha individuato alcuni criteri diagnostici che
identificano lo stato di hikikomori:
- hikikomori non è una malattia, piuttosto è più corretto parlare di sindrome sociale e/o culturale,
- il ritiro completo dalla società deve perdurare per più di sei mesi,
- presenza di rifiuto scolastico e/o lavorativo,
- al momento di insorgenza di hikikomori i soggetti in esame non sono identificati come depressi o
schizofrenici,
- tra i soggetti con ritiro o perdita di interesse per la scuola o il lavoro sono esclusi i soggetti che
continuano a mantenere relazioni sociali.
Inoltre in base alle caratteristiche demografiche degli hikikomori sono stati riconosciuti differenti elementi di
rischio:
1. sesso: si registra un maggior numero di hikikomori uomini rispetto alle donne (per quest’ultime il
periodo di reclusione è limitato).
2. fratria: la maggior parte sono primogeniti maschi. È il primogenito difatti che ha l’obbligo di
sostenere il buon nome della famiglia riuscendo a pieno nello studio e nel lavoro.
3. età: il target colpito è soprattutto quello giovanile (14 e 27 anni). Generalmente la prima
manifestazione del disagio avviene al primo anno delle scuole medie inferiori.
4. classe sociale: tale malessere colpisce maggiormente il ceto sociale medio-alto in cui spesso
ambedue i genitori sono laureati.
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Saito è specializzato in psichiatria adolescenziale ed è considerato il massimo esperto mondiale nello studio del
fenomeno hikikomori. Le prime manifestazioni in Giappone di questa forma di ritiro sociale sono state descritte
comunque nel 1978 da Y. Kasahara, definendole tajkyaku shinkeishou cioè reatreat neurosis, facendo riferimento a quei
soggetti che lasciavano la scuola o il lavoro per lunghi periodi e in cui non sussistevano casi di schizofrenia, ritardo
mentale o altre patologie psichiatriche rilevanti. Hiroshi Inamura definiva tali comportamenti come fobie scolastiche e
lavorative (adolescent setback symptom), ritenendo tale fenomeno una malattia nazionale tipicamente giapponese.
5. ijimè: forma di bullismo nipponica. Costituisce fattore predisponente allo sviluppo di hikikomori
l’essere stati oggetto di bullismo nel corso degli anni scolastici.
Tamaki Saito definisce tale fenomeno come una sorta di sindrome depressiva, le persone che ne sono affette si
rintanano senza un’evidente ragione nelle loro camerette senza vedere nessuno per mesi e anni, in alcuni casi
anche per tutta la vita, rifiutando categoricamente ogni relazione con il mondo esterno. L’hikikomori cessa di
avere bisogni pratici, non si prende cura di sé, del suo corpo. Svanisce ogni forma di interesse verso l’amore e
l’esistenza in generale. Negli adolescenti si manifesta con un’accentuata repulsione ed ostilità per ogni tipo di
attività sociale (uscite di gruppo con gli amici, familiari, astio nel praticare sport di gruppo, ritiro dalle attività
lavorative, nonché attraverso una forte fobia scolare non dovuta necessariamente agli insegnanti incontrati o ai
voti presi, ma alle inevitabili relazioni che andando a scuola si innescherebbero con altri coetanei e, dunque
alla paura di sentirsi inadatti, incapaci, rifiutati da quest’ultimi). L’ hikikomoro relega i contatti con gli altri al
mondo virtuale dei social network; le uniche attività a destare interesse in loro difatti sono il navigare su
internet, la lettura dei famosi fumetti manga, la scrittura, la pittura e la creatività. Sono perciò persone colte,
intelligenti, fortemente creativi, ma introversi. Tale autoreclusione è un problema che sta cominciando ad
avere un impatto serio anche sull’economia del paese. Riducendosi la forza lavoro difatti si determina un
salasso dell’economia stessa.
La ragione della loro autoreclusione è frutto di considerevoli pressioni sociali e fattori personali di varia
natura. Decisivo è il divario tra quello che si è e quello che la società impone. Molti avvertono difatti il peso
delle aspettative impostegli dalla società nipponica in cui l’ autorealizzazione e il successo personale sono
obiettivo determinante per il riconoscimento sociale. Il Giappone inoltre è il paese dove vige una forte severità
del sistema scolastico, una forte spinta verso l' omologazione.
Inoltre un’altra ragione la si trova nel morboso rapporto madre-figlio che caratterizza le famiglie giapponesi.
Nell’Impero del Sol Levante le madri sono iperprotettive, esse generano figli insicuri e deboli, tanto che questi
(condizionati anche dall’assenza frequente dei propri padri) si sentono al sicuro solo all’ interno della propria
casa, come sostenuto dal dottor Takahiro Kato che assieme al dottor Saito è uno dei pochi esperti hikikomori
in Giappone.
Proprio Saito ribadisce come nei paesi in cui i rapporti familiari sono importanti (come accade proprio in
Giappone) anche se il figlio si emargina dipenderà sempre e comunque dai suoi genitori. In tali paesi sussiste
difatti il problema dell'"amae" (dipendenza parentale).2 E in un paese come quello nipponico dove il giudizio
degli altri è fondamentale, un ragazzo hikikomori diviene motivo di vergogna per il genitore per questo
subisce continui rimproveri, da qui, il tormento vissuto dal ragazzo che si auto convince di essere sbagliato e si
isola sempre di più.3 Saito prosegue sostenendo che “in Giappone non c'è un dogma religioso, la gente non ha
un credo, noi crediamo agli occhi degli altri, ci preoccupiamo di come ci vedono. Siamo molto sensibili al
giudizio altrui e ci fa male essere disprezzati”.
L’ isolamento nell’Hikikomoro può essere parziale o totale. Alcuni escono dalla propria stanza durante i pasti
o per l’acquisto dei beni primari. Altri invece invertono totalmente il ritmo sonno veglia: riposano il giorno e
vivono la notte, ciò per poter frequentare il resto della casa nelle ore notturne quando tutti dormono. In
quest’ultimo caso l’Hikikomori non esce dalla sua camera né per l'igiene quotidiana né per alimentarsi,
invitando i propri coinquilini a lasciargli il pasto davanti alla porta della propria stanza.
L’Hikikomori non è più comunque una mera questione giapponese. Come accennato nella prima parte di
questo articolo, tale fenomeno sta prendendo piede anche in Italia, seppur con ritmi molto lenti. È nel 2007 che
sono stati diagnosticati i primi casi nel nostro paese.
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Nel libro Anatomia della dipendenza pubblicato dallo psicoanalista giapponese Takeo Doi nel 1971, il concetto di amae
è descritto come un bisogno esclusivamente giapponese. Tale termine è il sostantivo del verbo ameru che significa
“dipendere da e presumere benevolenza dall’altro”. Si fa riferimento difatti alle relazioni interpersonali che
caratterizzano la società giapponese, soprattutto quelle di dipendenza tra madre e figlio, dalle quali ci si aspetta un certo
grado di soddisfazione emotiva.
3
Il dottor Saito suggerisce di accettare la condizione del ragazzo e di farlo vivere tranquillamente in casa. Solo così è
possibile auspicare ad un miglioramento del rapporto genitore-figlio, in tale clima difatti l’hikikomori si sente libero di
comunicare al genitore i propri problemi e il proprio malessere. E' da qui che può decidersi ad andare in terapia o
ricorrere a un ricovero. Se invece si innesta un rapporto di conflitto e scontro perdura l’ostilità tra genitori e figli ed è
impossibile trovare una soluzione.
Le modalità di diffusione del fenomeno sono comunque diverse rispetto a quelle giapponesi. I reclusi italiani
non vivono un isolamento totale ma acconsentono di trascorrere qualche ora con i propri familiari (durante i
pasti generalmente) e con qualche amico. Gli hikikomori italiani registrano un record di isolamento max di trequattro anni, quelli nipponici 15 e più. Inoltre a differenza dell’Italia in Giappone tale fenomeno è vissuto
come condizione da nascondere mentre nella nostra penisola ciò non accade, sono sempre più frequenti difatti
i genitori che denunciano situazioni di indifferenza e disinteresse verso ogni attività e che consegnano i propri
figli alle cure di professionisti del settore. Sostanziali sono anche le differenze che spingono i ragazzi
nipponici ad emarginarsi rispetto a quelli italiani, i primi “scappano da norme troppo rigide, dall’incapacità
di gestire la propria rabbia, i nostri ragazzi fuggono invece dall' incapacità di gestire relazioni di gruppo”.
Dallo studio condotto dal prof. Aguglia E. è emerso come l’isolamento autoindotto nel tempo provoca diverse
sequele psichiche quali antropofobia (ovvero la paura degli altri scolari, dei soggetti anziani quella di viaggiare
in autobus o di prendere il treno etc.), depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, agorafobia, paranoia
nonché apatia e comportamento regressivo.4 Il disturbo comporta negli anni, se non si interviene
opportunamente la perdita di anni scolastici e del lavoro (le società giapponesi del resto sono molto riluttanti
ad assumere persone il cui curriculum denota lunghi periodi di disoccupazione). Si finisce col perdere
l’autonomia e l’indipendenza. Più l’adolescente si abbandonerà a questo genere di vita, più sarà difficile per
lui uscirne. E’ controproducente però assumere una posizione estremamente dura al problema: entrare nella
camera dell’hikikomori con la forza e obbligarlo ad uscire, con metodi buoni o meno, il più delle volte causa
risposte violente da parte del malato. Difficilissimo è stabilire un contatto con loro. È fondamentale parlare
con i genitori, con i parenti, con la cerchia di amici più stretti e ciò avviene solitamente attraverso l’intervento
di un giovane psicoterapeuta che fa da mediatore tra i genitori e il figlio. Il primo passo da compiere dunque è
ristabilire le relazioni all’interno della famiglia. Il terapeuta deve attivarsi per riuscire a trovare il modo per
entrare in contatto con questi ragazzi che, appunto, non vogliono nessuna vicinanza e, spesso l’unico modo per
farlo è attuando una terapia tele psichiatrica. Tale cura è riuscita ad affermarsi grazie al progresso tecnologico,
attraverso internet, chat e webcam. È la chiave vincente per abbattere il muro di isolamento in cui gli
hikikomori riversano in quanto tale procedura è in linea con il loro stile di vita da reclusi, in tal modo il
medico, ha la possibilità di erogare le prime cure del trattamento del disturbo anche a distanza. Una volta
stabilito il contatto si cerca di persuadere il giovane ad uscire dalla stanza. Superato questo primo passo, il
recupero procede poi presso strutture specializzate attraverso cure farmacologiche e terapie di gruppo.5
Non esiste tuttavia ad oggi una strategia terapeutica univoca per il trattamento dei soggetti hikikomori, né è
possibile rinvenire studi clinici sulla terapia di tali pazienti. L’approccio adottato comporta una combinazione
di psicoterapia e di psicofarmacologia. Nel corso della terapia, che va da pochi mesi a svariati anni, tale
disturbo verrà trattato o come un disturbo mentale e saranno previste diverse sedute di psicoterapia nonché
l’assunzione di psicofarmaci (molto usati sono gli anti depressivi), o come problema di socializzazione, qui si
stabilirà un contatto con i soggetti colpiti e si punterà sulla necessità di migliorare la loro capacità di
interazione.6 Molto in voga per la cura di tale disturbo sono la psicoterapia sistemico-familiare e la
psicoterapia cognitivo-comportamentale. In Giappone sono nate svariate organizzazioni no-profit, tra cui
ricordiamo la New Start e la FSW (Free Space Wood), che si occupano principalmente di aspetti di tipo
riabilitativo finalizzati al reinserimento sociale e lavorativo. 7
4
Assieme a quelle già citate ricordiamo altre sintomatologie psicopatologiche associate all’hikikomori: agorafobia,
sindrome di Asperger, disordine da deficit dell’attenzione, disordine dello spettro autistico, disturbo di personalità
evitante, sindrome da avanzamento di fase nel sonno, depressione, disturbo depressivo persistente (distimia), disturbo
post traumatico da stress, disturbo schizoide della personalità , mutismo selettivo, timidezza, ansia o fobia sociale.
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In tutte le prefetture giapponesi sono presenti centri per la salute mentale e l'assistenza sociale che si occupano anche
di hikikomori. Ciascun cittadino nipponico in riferimento ad una legge vigente dal 1961, deve essere coperto da
un'assicurazione sulla salute che possa assicurare al cittadino stesso l’opportunità di essere curato a prescindere dal
reddito.
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I gruppi di auto-sostegno (gruppi di auto mutuo aiuto) intesi come “complesso sistema di dinamiche relazionali ed
affettive che costituiscono la rete su cui si costruisce la vita del gruppo nei suoi aspetti anche operativi” sono luoghi
ideali in cui gli hikikomori possono confrontarsi tra di loro. Si crea una sorta di open membership club un luogo sicuro,
qui l’hikikomoro socializzando con persone che vivono il suo stesso problema, può sviluppare le proprie doti personali e
imparare attraverso il confronto con gli altri a modificare i propri atteggiamenti errati e ritrovare fiducia per se stessi.
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La New Start ha come primario obiettivo quello di aiutare i giovani con difficoltà di comunicazione e integrazione nella
società. Si pone come fine quello di potenziare la loro capacità di interazione e di indipendenza dalla famiglia,
assegnando loro piccoli incarichi o lavori e organizzando con soggiorni in una sede all'estero. Proponendosi come una
sorta di estensione della famiglia, la New Start prevede anche la figura della cosiddetta "sorella (o fratello) in prestito",
E anche se la comunità scientifica storce il naso dinnanzi l’efficacia di tali interventi poiché non basati su
procedure terapeutiche validate, dall’altra parte i difensori di queste organizzazioni offrono soluzioni veloci a
quelle famiglie che vivendo con un hikikomoro in casa altrimenti sarebbero sole e stigmatizzate nell’
affrontare tale disagio.
In conclusione possiamo affermare che pur non essendoci ancora una terapia unanimemente riconosciuta ed
affermata, emerge ciò nonostante la possibilità per un hikikomoro di riprendere in mano la propria vita ed
andare incontro ad una reintroduzione graduale nella società che molto spesso porta alla guarigione completa.
Dott.ssa Francesca Sacco
Assistente Sociale Specialista
Settembre 2015
che nei casi di particolare chiusura del giovane cerca di stabilire un contatto con lui e di convincerlo a uscire dalla sua
stanza
e
a
prendere
parte
al
programma).