repubblica italiana la corte suprema di cassazione sentenza

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repubblica italiana la corte suprema di cassazione sentenza
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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
- TERZA SEZIONE PENALE
Composta dai Sigg.ri Magistrati
Sent. n. sez. 21
Dott. Claudia Squassoni
- Presidente -
UP — 8/01/2014
Dott. Luca Ramacci
- Consigliere -
R.G.N. 16261/2013
Dott. Santi Gazzara
- Consigliere -
Dott. Alessio Scarcella
- Consigliere Rel.-
Dott. Alessandro Maria Andronio
- Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SIMEONE PIETRO, n. 25/06/1949 a CISTERNINO
GALIULO ANGELO, n. 6/01/1953 a FASANO
AMATI MARTINO LUCIANO, n. 13/12/1931 a CISTERNINO
avverso la sentenza del tribunale di BRINDISI in data 21/11/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Cons. Dott. Nicola Lettieri, che ha concluso per l'inammissibilità del
ricorso;
udite le conclusioni dell'Avv.
•,
RITENUTO IN FATTO
1. SIMEONE PIETRO, GALIULO ANGELO e AMATI MARTINO LUCIANO hanno
proposto tempestivo ricorso avverso la sentenza del tribunale di BRINDISI in
data 21/11/2012, depositata in data 15/02/2013, con cui, i medesimi imputati
sono stati dichiarati colpevoli del reato di cui agli artt. 110 c.p., 11, comma 3,
lett. f), con riferimento all'art. 30, comma 1, della legge n. 394/1991, per avere
introdotto, senza autorizzazione, nella Riserva Naturale Regionale "Saline di
Punta della Contessa", armi e munizioni sa caccia; in Brindisi, accertato in data
20/09/2009; con la sentenza impugnata, gli stessi sono stati condannati alla
pena di 500 euro di ammenda ciascuno (pena sospesa per il solo GALIULO), oltre
al pagamento delle spese processuali.
2. Ricorrono avverso la predetta sentenza tutti gli imputati, a mezzo di unico
difensore - procuratore speciale cassazionista, deducendo due motivi di ricorso,
di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art.
173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deducono, con un primo motivo, la violazione (art. 606, lett. b) ed e),
c.p.p.) dell'art. 1, comma 3, della legge regionale 23/12/2002, n. 28, per
erronea applicazione di norme penali o di altre norme giuridiche, di cui si deve
tener conto nell'applicazione della legge penale e per manifesta illogicità della
motivazione; in sintesi, si dolgono i ricorrenti per aver il giudice di merito
ritenuto configurabile il reato de quo in contrasto con quanto stabilito nella L.R.
istitutiva del Parco Naturale "Salina di Punta della Contessa" nonché alla luce dei
rilievi fotografici prodotti nel corso del processo, che escluderebbero l'esistenza
delle tabelle delimitanti l'area interessata, laddove, diversamente, l'area in cui i
ricorrenti erano stati controllati dalla PG al momento dell'accertamento non
risultava (né allo stato risulterebbe) "tabellata"; ciò escluderebbe la
configurabilità dell'ipotizzato reato, in quanto la L.R. richiamata (n. 28/2002)
all'art. 1, comma 2, stabilisce che i confini dell'area del predetto Parco Naturale
devono essere resi visibili mediante tabellazione da eseguirsi a cura
dell'Amministrazione provinciale che, a tutt'oggi, non vi avrebbe provveduto;
conclusivamente, dunque, trattandosi di parco regionale e non di parco
nazionale, il reato in esame sarebbe configurabile solo in caso di avvenuta
perimetrazione e tabellazione della zona, donde il giudice avrebbe dovuto
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riqualificare giuridicamente il fatto ai sensi dell'art. 30, comma 1, lett. d), della
legge n. 157/1992, ed assolvere i ricorrenti per difetto dell'elemento psicologico.
2.2. Deducono, con un secondo motivo, la violazione della legge processuale
(art. 606, lett. c) ed e), c.p.p.) in relazione all'art. 192 c.p.p.) per erronea
applicazione di norme processuali penali in relazione ai fatti contestati ed alle
prove raccolte e il vizio di manifesta illogicità della motivazione; in sintesi, si
dolgono i ricorrenti per aver il giudice utilizzato, al fine di giungere a sentenza di
condanna, elementi privi di univocità, qualificandoli come indizi per pervenire, in
base al suo libero convincimento, all'affermazione della colpevolezza dei
ricorrenti; non vi sarebbe, in particolare, traccia nella decisione dell'attività di
indagine idonea a provare il reato addebitato, risultando dagli atti solo che gli
agenti di PG intervenuti rinvennero tra i sedili anteriori e posteriori dell'auto su
cui viaggiavano i ricorrenti un fucile da caccia semi riposto nella custodia, nonché
altri due fucili nel vano bagagli, sicché non vi sarebbe prova che i fucili fossero
pronti per l'impiego, donde non sarebbe punibile il semplice transito o
attraversamento del parco con armi scariche e conservate (nella custodia o nel
portabagagli dell'auto); difetterebbero, inoltre, i riscontri rispetto agli elementi
indiziari assunti, con conseguente violazione dell'art. 192 c.p.p. che
determinerebbero, inoltre il vizio d'illogicità manifesta della motivazione in
quanto ha ritenuto sussistere il reato de quo nella condotta consistente nel
trasportare i fucili scarichi nel portabagagli o all'interno dell'auto, in difetto di
prova del loro impiego, come invece escluso da altre decisioni di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
4. Procedendo ad esaminare nell'ordine logico - sistematico il primo motivo di
ricorso, al fine di rilevarne la manifesta infondatezza, è sufficiente richiamare
quanto esposto nell'impugnata sentenza che ha puntualmente dato atto
dell'esistenza della perimetrazione dell'area all'epoca del fatto, precisandosi che
la prova difensiva (fotografie), non avendo data certa, non era idonea a porre in
dubbio quanto affermato dai verbalizzanti.
Le asserzioni contenute in ricorso, quindi, tendenti a smentire quanto affermato
dagli agenti accertatori, non superano il dato fattuale, emerso dalle dichiarazioni
dei verbalizzanti in udienza che, alla data dell'accertamento, ribadirono che le
"tabelle" delimitanti l'area del Parco erano esistenti, pur ammettendo, mostrando
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così onestà intellettuale - che, per ciò solo, rendeva maggiormente attendibili le
loro dichiarazioni - che non infrequenti erano stati i casi di rimozione dolosa delle
tabelle. Quanto sostenuto dalla difesa, pertanto, alla luce delle dichiarazioni die
verbalizzanti, ponendosi come una ricostruzione alternativa del fatto, finisce per
chiedere a questa Corte una rivalutazione nel merito della vicenda, inibita in
questa sede di legittimità, qualificandosi la censura difensiva come mera
espressione di dissenso sulle risultanze della valutazione degli elementi probatori
da parte dei giudici di merito.
Quanto sopra è sufficiente, ad avviso di questo Collegio, al fine di ritenere
fondato il ricorso, in quanto vi è prova che la tabellazione, all'epoca dei fatti,
fosse esistente, con conseguente configurabilità del reato contestato. In tal
giudizio, non può parimenti condividersi quanto sostenuto dal giudice in
sentenza, secondo cui l'assenza di tabellazione dell'area non inciderebbe sulla
configurabilità dell'illecito.
Quanto erroneamente affermato in sentenza, infatti, si pone in contrasto con
quanto reiteratamente affermato da questa Corte in tema di aree protette,
essendosi già precisato in relazione ad analoghe fattispecie, che ai fini della
configurabilità dell'illecito di cui all'art. 30, legge n. 394/1991, l'efficacia e la
operatività della istituzione di una riserva naturale regionale (come nel caso di
specie), con la conseguente sua sottrazione all'esercizio venatorio, non è
sufficiente la emanazione del decreto regionale e la sua pubblicazione sulla
Gazzetta Regionale, ma è necessaria la delimitazione della zona con le previste
tabellazioni, atteso che ai sensi dell'art. 1, comma terzo, della legge Regione
Puglia 23 dicembre 2002, n. 28 l'individuazione delle zone sottratte all'esercizio
venatorio è condizionata, diversamente da quanto previsto in via generale dalla
legge 11 febbraio 1992 n. 157, dalla visibilità dei confini dell'area mediante
tabellazione (v., in particolare: Sez. 3, n. 33286 del 21/04/2005 - dep.
13/09/2005, Sgarlata ed altro, Rv. 232177; Sez. 3, n. 1989 del 10/12/2009 dep. 18/01/2010, Netti, Rv. 246012); la normativa in deroga, prevista dall'art.
10 della L. 6 dicembre 1991, n. 394 per i parchi nazionali, è, infatti, inapplicabile
ai parchi regionali ove la relativa legge istitutiva preveda un obbligo di
tabellazione o perimetrazione dell'area.
Nel caso in esame, tuttavia, come già chiarito, l'esistenza delle tabelle all'epoca
dell'accertamento, comprova la sussistenza dell'illecito, determinando la
manifesta infondatezza del ricorso.
5. Manifestamente infondato è, parimenti, il secondo motivo.
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L'esame della decisione impugnata, infatti, esclude che la stessa sia inficiata dal
prospettato vizio motivazionale, atteso che la sentenza ha puntualmente
motivato sulle ragioni per le quali sia sanzionabile, all'interno dei parchi
regionali, anche il mero trasporto di armi, atteso che — come reiteratamente
affermato da questa stessa Sezione - la previsione dell'art.11 della L. n. 394 del
1991, che vieta l' introduzione di armi all'interno delle aree naturali protette, non
è stata abrogata o derogata dall'art. 21 lett. g) della L. n. 157 del 1992, che
vieta il trasporto di armi da sparo per uso venatorio che non siano scariche e in
custodia all'interno dei centri abitati e delle altre zone dove è vietata l'attività
venatoria, essendo tale secondo divieto compatibile con il primo e comunque non
regolante l'intera materia da quello disciplinato (v., tra le tante: Sez. 3, n. 35393
del 21/05/2008 - dep. 16/09/2008, Pregnolato e altro, Rv. 240787).
Palesemente infondato è poi quanto ancora dedotto nel secondo motivo di
ricorso, con cui si sostiene apoditticamente che la predetta legge n. 394 del
1991, art. 11, comma 3, lett. f) vieterebbe l'introduzione di armi nel territorio
protetto solo quando sia finalizzata all'impiego, segnatamente venatorio, sicché
non potrebbe essere punito ai sensi dell'art. 30, comma 1, della citata legge il
semplice transito a attraversamento del territorio protetto con armi scariche e
conservate nell'apposita custodia.
Nessun criterio logico o teleologico può giustificare una simile interpretazione,
che sarebbe in patente contrasto col tenore letterale della disposizione e ne
ridurrebbe abusivamente la portata normativa. Ai fini della configurabilità della
contravvenzione al divieto d'introduzione di armi in area protetta, è invero
sufficiente la constatata presenza del privato, senza la prescritta autorizzazione,
all'interno dell'area e in possesso di arma e munizioni, a prescindere dalla
flagranza dell'attività venatoria o dell'atteggiamento di caccia, costituendo il
relativo divieto lo strumento prescelto dal legislatore per la radicale salvaguardia
della fauna protetta (v., ex multis: Sez. 1, n. 2919 del 14/02/2000 - dep.
09/03/2000, Nocentini, Rv. 215508).
Sussiste quindi il reato contestato, essendo pacifico che i tre imputati, il giorno
20 settembre 2009, furono sorpresi all'interno del territorio del Parco Naturale
Regionale "Saline di Punta della Contessa", mentre trasportavano tre fucili, di cui
due scarichi e custoditi nel vano bagagli, ed uno, semi riposto nella custodia,
rinvenuto all'interno dell'abitacolo dell'autovettura tra i sedili anteriori e
posteriori.
Non ha, infine, spessore argomentativo la dedotta violazione dell'art. 192 cod.
proc. pen. con cui si pretende di censurare autonomamente la sentenza
impugnata (oltre che per la violazione dell'art. 606, lett. e), c.p.p., come visto
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manifestamente infondata) anche ai sensi dell'art. 606, lett. c), cod. proc. pen.,
atteso che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il motivo
in cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione
agli artt. 125 e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per censurare
l'omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile,
in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il
complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze
connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma primo,
lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui
all'art. 606, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di
dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez.
6, n. 45249 del 08/11/2012 - dep. 20/11/2012, Cimini e altri, Rv. 254274).
7. Il ricorso dev'essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma
dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrenti al pagamento delle
spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a
favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che
si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00) ciascuno.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1'8 gennaio 2014
Il Presidente
Claudia Squassoni
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