Autorità: Cassazione civile sez. lav. Data: 09 giugno 2009 Numero

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Autorità: Cassazione civile sez. lav. Data: 09 giugno 2009 Numero
Autorità: Cassazione civile sez. lav.
Data: 09 giugno 2009
Numero: n. 13235
Parti: Talia e altro C. Ausl n. 11 Reggio Calabria
Fonti: Red. Giust. civ. Mass. 2009, 6
CLASSIFICAZIONE
SANITA' PUBBLICA Unità o Aziende Sanitarie Locali (U.S.L. o A.S.L.) personale convenzioni
TESTO
Sanità pubblica - unità o aziende sanitarie locali - Personale - convenzioni - Principio dell'
irripetibilità di somme retributive indebitamente ricevute in buona fede - Applicabilità al
personale medico convenzionato - Condizioni.
Il principio generale dell' irripetibilità delle somme indebitamente percepite in buona fede dai lavoratori
dipendenti a titolo di retribuzione è applicabile anche al medico convenzionato con la Ausl, sempre che la
ripetizione sia idonea a comprometterne in modo irreparabile le esigenze di vita in rapporto ai ricavi della
sua complessiva attività professionale, assumendo carattere subordinato - rispetto all'accertamento di
tale presupposto - l'indagine sul requisito, pure necessario, della buona fede dell'accipiens.
Autorità: Cassazione civile sez. lav.
Data: 09 giugno 2009
Numero: n. 13235
Parti: Talia e altro C. Ausl n. 11 Reggio Calabria
Fonti: Red. Giust. civ. Mass. 2009, 6
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile
ESTREMI
Autorità: Cassazione civile sez. lav.
Data: 09 giugno 2009
Numero: n. 13235
CLASSIFICAZIONE
SANITA' PUBBLICA Unità o Aziende Sanitarie Locali (U.S.L. o A.S.L.) personale convenzioni
Sanità pubblica - unità o aziende sanitarie locali - Personale - convenzioni - Medici
convenzionati con il S.s.n. - l. n. 241 del 1990 - Applicabilità - Esclusione - Fondamento Procedimento avviato dall'amministrazione per il recupero di crediti indebitamente erogati ai
sanitari - Obbligo di comunicazione ai sensi dell'art. 7 della citata l. n. 241 - Esclusione. Sanità
pubblica - unità o aziende sanitarie locali - Personale - convenzioni - Principio dell'irripetibilità
di somme retributive indebitamente ricevute in buona fede - Applicabilità al personale medico
convenzionato - Condizioni. Sanità pubblica - unità o aziende sanitarie locali - Personale convenzioni - Art. 28 dell'accordo nazionale dei medici convenzionati della medicina generale
approvato con d.P.R. 28 settembre 1990 n. 314 - Revoca della scelta del medico per morte
dell'assistito - Efficacia - Dal giorno del decesso - Conseguenza - Cessazione del diritto dei
sanitari al compenso - Decorrenza - Dall'evento - Comunicazione da parte dell'azienda
sanitaria - Rilevanza - Esclusione - Fondamento.
INTESTAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA
Michele
- Presidente
Dott. MONACI
Stefano
- rel. Consigliere Dott. DI NUBILA Vincenzo
- Consigliere Dott. CURCURUTO Filippo
- Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.R.,
C.S.,
O.S., elettivamente
domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio degli
avvocati SPINOSO ANTONINO e NAPOLITANI SIMONA, rappresentati e
difesi dall'avvocato POLIMENI DOMENICO giusta delega a margine del
ricorso;
- ricorrenti contro
AZIENDA U.S.L. n. (OMISSIS);
- intimata avverso la sentenza n. 514/2004 della CORTE D'APPELLO di REGGIO
CALABRIA, depositata il 21/12/2004 R.G.N. 430/02;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del
25/03/2009 dal Consigliere Dott. MONACI Stefano;
udito l'Avvocato POLIMENI DOMENICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con separati ricorsi i dottori T.R., C.S. e O.S. hanno convenuto in giudizio la ASL n. (OMISSIS)
chiedendone la condanna al pagamento di somme che asserivano indebitamente trattenute, con gli
interessi legali e la rivalutazione.
I ricorrenti esponevano di essere medici di medicina generale convenzionati con la ASL n. (OMISSIS), e
che nei mesi di gennaio e febbraio del 1999, e in alcuni mesi del 2000, la ASL aveva trattenuto loro,
senza preavviso, delle somme pagate per errore.
Secondo i ricorrenti, le trattenute erano illegittime sia perchè non erano state precedute da una apposita
comunicazione, sia perchè era compito dell'azienda revocare la scelta del sanitario per morte dell'assistito
e darne comunicazione al sanitario stesso, sia, infine, perchè era compito dell'azienda aggiornare
mensilmente gli elenchi di ciascun sanitario. Sostenevano che, se la azienda avesse operato
tempestivamente, avrebbero potuto acquisire altre scelte.
Costituitosi il contraddittorio, e riunite le tre controversie, il giudice di primo grado respingeva le
domande, e questa decisione veniva confermata dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria che, con
sentenza n. 514/04, in data 3 - 27 dicembre 2004, rigettava gli appelli dei medici interessati.
Avverso questa sentenza, che non risulta notificata, i tre medici hanno proposto congiuntamente ricorso
per cassazione, con tre motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 20 dicembre 2005.
L'intimata USL n. (OMISSIS) non ha presentato difese in questa fase.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nel primo motivo di impugnazione i ricorrenti denunziano la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7
e segg. nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia.
Sostengono che l'azienda sanitaria avrebbe dovuto comunicare ai sanitari l'avvio del procedimento di
recupero crediti ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7. Gli interessati avevano diritto di sapere a
che titolo le somme dovevano essere trattenute, i criteri analitici di calcolo e di quantificazione delle
somme da trattenere, e i tempi e le modalità di trattenuta delle somme.
La mancata osservanza delle procedure prescritte rendeva nulle ed illegittime le trattenute effettuate
dalla ASL. L'illegittimità delle trattenute derivava anche dalla mancata acquisizione, al momento della
liquidazione dei compensi ai sanitari, da parte della ASL, della documentazione giustificativa, vale a dire
dei tabulati che contenevano gli elenchi aggiornati degli assistiti.
2. Nel secondo motivo di impugnazione, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell'art.
2033 c.c. nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia.
Criticano la sentenza impugnata per avere ritenuto che fossero applicabili le disposizioni dell'art. 2033
c.c. in materia di indebito oggettivo.
La sentenza, inoltre, sarebbe viziata da insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui aveva
escluso l'applicabilità al caso di specie del principio di irripetibilità delle somme percepite in buona fede.
3. Nel terzo motivo di ricorso i tre sanitari denunziano la violazione dell'art. 28 della convenzione
nazionale per i medici di medicina generale recepita con il D.P.R. n. 314 del 1990 e con il D.P.R. n. 484
del 1996, nonchè la violazione dell'art. 1362 c.c. e segg..
La norma della convenzione stabiliva, al punto 2, che la revoca della scelta per morte dell'assistito avesse
effetto dal giorno del decesso, e che l'azienda era tenuta a comunicare al medico interessato la revoca
entro un anno dall'evento. Invece non aveva provveduto a farlo.
Secondo i ricorrenti, ne sarebbe derivata una responsabilità della ASL e, di conseguenza, l'illegittimità
delle trattenute effettuate.
I ricorrenti rilevano, inoltre, che nel conguaglio negativo era stata richiesta la restituzione di circa L.
7.000 per ogni quota quando al sanitario era corrisposta una somma di circa L. 2.000, e sottolineano
anche che la circostanza non era stata contestata, e perciò doveva ritenersi sussistente.
Contestano, infine, la sufficienza della motivazione con cui si era sostenuta la legittimità di questo
conteggio.
La sentenza si era riportata ad una prassi contabile consolidata, ma i ricorrenti non avevano mai avuto
conoscenza di essa, nè - a loro parere - ne era stata dimostrata, o documentata, l'esistenza.
4. Il ricorso non è fondato, e non può trovare accoglimento. E' infondato, innanzi tutto, il primo motivo di
impugnazione. Secondo, infatti, la giurisprudenza di questa Corte, pienamente fatta propria dal Collegio
che ne condivide le motivazioni, "le norme della L. n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo
riguardano i procedimenti strumentali alla emanazione da parte della P.A. di provvedimenti autoritativi
destinati ad incidere sulle situazioni giuridiche soggettive dei destinatari dei medesimi, caratterizzati dalla
situazione di preminenza dell'organo che li adotta, e non sono perciò applicabili agli atti concernenti il
rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, i quali sono adottati nell'esercizio dei
poteri propri dei datore di lavoro privato, connotati dal potere di supremazia gerarchica, ma privi
dell'efficacia autoritativa propria dei provvedimento amministrativo. Pertanto, all'atto di destituzione
dall'impiego adottato all'esito del procedimento disciplinare ed a seguito di sentenza penale di condanna
per un reato commesso in servizio, non è applicabile l'obbligo della motivazione stabilito dalla L. n. 241
del 1990, essendo sufficiente che nel medesimo sia indicato l'illecito disciplinare che ha giustificato la
risoluzione del rapporto di lavoro, costituendo inoltre l'atto di conformazione al lodo arbitrale di cui al
D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, comma 7 un atto dovuto che non richiede alcuna motivazione." (Cass.
civ., 16 marzo 2003, n. 7704; nello stesso senso, 2 aprile 2004, n.6570; 18 febbraio 2005, n. 33602; 22
febbraio 2006, n. 3880). Di conseguenza i profili di censura prospettati dal ricorrente, e che si riportano
ad alcuni adempimenti richiesti dalla stessa legge all'amministrazione per i provvedimenti autoritativi
adottati nei confronti del personale nei rapporti di pubblico impiego non sono fondati, perchè i ricorrenti,
invece, sono legati all'azienda da un rapporto di parasubordinazione di carattere privatistico: come
rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte, "I rapporti tra i medici convenzionati esterni e le unità
sanitarie locali, disciplinati dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 e dagli accordi collettivi nazionali
stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità
istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, corrispondono a rapporti
libero - professionali "parasubordinati" che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando
l'ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all'infuori di quello di
sorveglianza, nè potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle
posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo." (Cass. civ.,
S.U., 21 ottobre 2005, n. 20344; nello stesso senso, S.U., 4 agosto 1995, n. 8547, e recentemente, 8
aprile 2008, n. 9142).
Di conseguenza, è esclusa l'applicazione della normativa contenuta nella L. n. 241 del 1990.
5. Anche il secondo motivo di impugnazione è infondato. Va rilevato, innanzi tutto, che non risulta affatto
- neppure dalle affermazioni dei ricorrenti - che nel giudizio di merito questi ultimi abbiano contestato
nella sua materialità il presupposto di fatto delle trattenute da parte dell'azienda sanitaria, vale a dire la
percezione di compensi non dovuti per prestazioni assistenziali che i sanitari non avevano svolto, e non
potevano aver svolto, proprio perchè gli assistiti cui si riferivano erano deceduti.
Di conseguenza la Corte d'Appello non era tenuta ad una motivazione specifica su questo punto.
In ogni caso, in questa fase i ricorrenti non contestano la circostanza.
Contestano, piuttosto, che in diritto si rientri nell'ambito dell'indebito oggettivo.
La censura, perè, è del tutto generica, anche perchè, riferendosi ad una problematica di diritto, avrebbe
richiesto, per logica e completezza, l'indicazione della diversa fattispecie giuridica in cui avrebbe dovuto
essere inquadrato il comportamento dell'azienda, e delle conseguenze che, in ipotesi, ne sarebbero
derivate sul piano giuridico.
In ogni caso, del resto, la sentenza d'appello ha motivato in maniera adeguata e convincente su questo
punto dell'inquadramento giuridico della fattispecie materiale, sul fatto, cioè, che si era trattato di un
indebito oggettivo.
6. Con un diverso profilo di censura, i ricorrenti lamentano anche, sempre nel secondo motivo di
impugnazione, che la sentenza sarebbe viziata per insufficienza di motivazione nella parte in cui aveva
escluso l'applicabilità al caso di specie del principio di irripetibilità delle somme ricevute in buona fede.
In realtà, nel dettaglio le critiche dei ricorrenti investono il punto dell'applicabilità anche al loro caso, quali
riceventi in buona fede, del principio di diritto che essi stessi hanno invocato.
Le loro censure, però, sono infondate perchè, se è vero che "il principio della irripetibilità delle somme
indebitamente percepite in buona fede dai pubblici dipendenti a titolo di retribuzione è applicabile anche
al medico convenzionato con la USL" (Cass. civ., 24 dicembre 1999, n. 14528), è anche vero che lo è
solamente ed in quanto la ripetizione sia tale da compromettere in modo irreparabile le esigenze di vita
del medico interessato.
Ed infatti lo stesso precedente giurisprudenziale già citato, prosegue specificando che l'irripetibilità è
applicabile "sempre che la ripetizione sia idonea a compromettere in modo irreparabile le esigenze di vita
in rapporto ai ricavi dell'attività professionale" (stessa sentenza n. 14528/1999). Nel caso di specie, però,
la Corte d'Appello di Reggio Calabria ha motivato in maniera approfondita, partendo da un esame di
dettaglio delle circostanze che poi sviluppa con un ragionamento completo e convincente, sulle ragioni
per cui in concreto quelle trattenute non potevano incidere in maniera significativa sulle esigenze di vita
dei tre sanitari.
Le critiche dei ricorrenti si risolvono, perciò, in una inammissibile contestazione di una valutazione di fatto
da parte del giudice di merito.
7. E' infondato, infine, anche il terzo motivo di impugnazione. Con un primo profilo di censura i ricorrenti
lamentano che l'amministrazione non avrebbe provveduto tempestivamente, come era tenuta, a
comunicare loro l'avvenuto decesso degli assistiti:
Vale innanzi tutto, anche a questo proposito, l'argomentazione, già svolta a proposito dell'inapplicabilità
della L. n. 241 del 1990: dato che quello con i medici convenzionati non è un rapporto di pubblico
impiego, ma un rapporto parasubordinato regolato dai principi propri del diritto privato, e perciò - come
ha giustamente osservato la sentenza impugnata a pag. 5 della motivazione - a prescindere da ogni vizio
formale degli atti, è sempre onere delle parti dimostrare in giudizio i fondamenti in fatto ed in diritto delle
proprie richieste.
Invece, come si è già rilevato, gli interessati non hanno contestato in linea di fatto che gli assistiti fossero
deceduti, e perciò di non avere svolto le prestazioni assistenziali che si riferivano a questi ultimi. In ogni
caso, la censura non è fondata.
Il testo della norma invocata, vale a dire dell'art. 28 della convenzione nazionale, riportato a pag. 26 del
ricorso, stabilisce che "la revoca da operarsi da parte dell'assistito ha effetto dal giorno dei decesso" e che
"l'azienda è tenuta a comunicare la revoca al medico interessato entro un anno dall'eventoo.
Il testo, per la verità, si limita ad affermare che questo tipo di revoca ha effetto dal giorno del decesso
dell'assistito, ma non che nel caso in cui l'azienda non adempia tempestivamente all'obbligo di
comunicazione a suo carico ne derivi l'effetto dell'inefficacia dell'evento, vale a dire del decesso
dell'assistito, con conseguente protrazione degli obblighi a carico dell'azienda stessa fino a quando non
abbia provveduto a comunicare l'evento ai sanitari interessati. In realtà l'analisi del testo non permette
questa interpretazione, ed anzi contiene argomenti in senso del tutto opposto, se si considera che per la
comunicazione è fissato un termine ampio, di un anno, e che perciò, anche quando l'azienda provveda
alla comunicazione tempestivamente, appunto entro l'anno, può rimanere comunque un termine non
breve, appunto fino ad un anno, tra la cessazione della prestazioni assistenziali per avvenuto decesso
dell'assistito e la comunicazione formale di essa.
In questo caso non sussisterebbe inadempimento da parte dell'azienda e quest'ultima - anche secondo la
logica dell'argomentazione dei ricorrenti - potrebbe richiedere la restituzione di eventuali compensi
erogati ai sanitari per le prestazioni che avrebbero dovuto erogare, appunto entro l'anno, ad assistibili
che, in realtà, erano già deceduti. Questa conseguenza dimostra, però, che la cessazione del diritto dei
sanitari convenzionati ai compensi per le loro attività a favore degli assistiti, e dell'obbligo delle aziende
sanitarie di erogare loro questi compensi, è collegata all'evento morte degli assistiti, e non alla
comunicazione formale di esso da parte dell'azienda sanitaria al singolo sanitario interessato.
8. Gli interessati lamentano, infine, che la sentenza non avrebbe motivato adeguatamente, riportandosi
semplicemente ad una pretesa prassi contabile consolidata, sul fatto che la trattenuta effettuata per ogni
quota relativa ad una prestazione assistenziale non effettuata superava il compenso che era stato
corrisposto per la medesima quota. La censura è infondata.
In realtà, la motivazione sul punto è coerente e completa: la sentenza spiega, infatti, in dettaglio, che i
medici ricorrenti avevano superato il massimale delle 1500 scelte da parte di assistiti.
Di conseguenza percepivano un compenso ridotto per l'assistenza erogata agli assistiti che superavano il
massimale, e questa era la ragione della differenza di calcolo tra le quote erogate e quelle trattenute.
Soprattutto, come sottolinea a pag. 8 la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria, le
contestazioni su questo punto erano tardive, e perciò inammissibili, perchè negli atti introduttivi al
giudizio di primo grado le censure all'operato dell'azienda erano assolutamente generiche.
9. Il ricorso, perciè, è infondato e non può che essere rigettato. Dato che la parte intimata non ha
presentato difese in questa fase, la Corte non deve provvedere sulle spese del grado.
P.Q.M.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso Nulla perle spese.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2009
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