Il contratto di locazione immobiliare ad uso non abitativo:

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Il contratto di locazione immobiliare ad uso non abitativo:
Il contratto di locazione immobiliare ad
uso non abitativo:
la
durata,
l’indennità
per
la
perdita
di
avviamento, il diritto di prelazione nell’acquisto
dell’immobile, gli oneri a carico delle parti, le
migliorie e le modifiche all’immobile, in corso di
contratto ed altre problematiche particolari.
LE CONCLUSIONI DELL’INDAGINE:
Dopo aver raccolto il materiale che i lettori hanno gentilmente inviato e sviluppato
ulteriori ricerche in proposito, possiamo chiudere la quarta indagine, aperta il 13/1 su
questo sito.
Il compito era quello di esaminare alcuni aspetti del contratto di locazione
immobiliare ad uso non abitativo, ed in particolare:
La sua durata ed il rifiuto di rinnovo alla prima scadenza
La cessione del contratto
La sub-locazione: problematiche particolari
L’indennità per la perdita di avviamento in favore del conduttore
Il diritto di prelazione
Gli oneri a carico di ciascuna delle parti
LE CONCLUSIONI
Inquadramento generale del contratto
Il contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo (o commerciale) è regolato
dalla legge 392/78 (articoli da 27 a 42) e non dalla successiva legge 431/98.
Per quanto non diversamente disposto dalla legge-base, si applicano le disposizioni
sulle locazioni stabilite dal Codice Civile (articoli da 1571 in poi).
Innanzitutto, va sgombrato il campo da un possibile equivoco circa la
natura del contratto di locazione ad uso commerciale:
non si tratta del contratto che regola tutto ciò che non è “destinazione abitativa” in
senso stretto, ma di quello che regola la locazione di immobili destinati
all’esercizio di un’attività economica.
E non si tratta solo di fabbricati: la legge è applicabile anche alla locazione di
aree nude e/o terreni, espressamente destinati alle attività previste dall’art.27 della
legge 392/78.
Emblematiche, al riguardo, due sentenze della Cassazione: la 2390 del 7/3/91 e la
6200 del 2/6/95.
Inoltre, consideriamo che il termine “urbani” non va preso in considerazione
letteralmente, in quanto la legge non si riferisce solo agli immobili compresi dentro
“all’urbe”, alla città, ma a tutti gli immobili destinati ad un uso commerciale
(artigianale, professionale, industriale, turistico ecc…ecc…) esclusi gli immobili
agricoli e/o posti al servizio del fondo agricolo.
Non è necessaria la forma scritta, in linea di massima, quando la durata del
contratto non supera i 9 anni; in caso contrario, o quando una delle parti è un Ente
Pubblico, occorre conferirgli la forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata
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(a pena di nullità).1
Attenzione: per durata s’intende il primo periodo stabilito dalle parti,
escludendo dal calcolo i periodi di tacito od automatico rinnovo !
I soggetti del contratto sono il locatore (colui che è proprietario o comunque in
possesso dei requisiti giuridici per dare in locazione l’immobile) ed il conduttore
(colui che godrà dell’immobile, pagando il canone).
I soggetti possono essere persone fisiche; molto spesso si tratta invece di persone
giuridiche o società di persone, per cui occorre individuarne anche i legali
rappresentanti, i quali devono dichiarare di essere in possesso dei poteri
necessari per sottoscrivere il contratto in nome e per conto dell’ente rappresentato.
È sempre opportuno effettuare una visura camerale sulla società e tenerla
inserita nel fascicolo del professionista oppure di ciascuna delle parti. L’importanza
della visura camerale, e comunque di verificare con ogni mezzo la rappresentanza
legale della società, è notevole; basti pensare che l’amministratore che ci propone
un contratto potrebbe essere decaduto dai suoi poteri prima di firmarlo; oppure
potrebbe appartenere ad una società il cui statuto prevede la firma congiunta,
pertanto solo la sua non basterà.
Per completare l’argomento, va ricordato che per regola generale, per le s.p.a. e per
le s.r.l. le limitazioni ai poteri di rappresentanza degli amministratori, anche se
iscritte al Registro Imprese, non hanno validità nei confronti dei terzi, salvo che
questi ultimi non abbiano agito con dolo.
Nelle società di persone, invece, ossia s.n.c. e s.a.s.,
le limitazioni iscritte
hanno efficacia.
Ciò significa che occorre essere un più cauti con queste ultime società che non con
le prime, in quanto i terzi sono un po’ meno garantiti.
In ogni caso, prudentemente, tutte le limitazioni ai poteri degli amministratori vanno
valutate attentamente ed in casi dubbi, occorre pretendere ulteriori documenti e
chiarimenti (copia statuto, verbali assemblee ecc…ecc…) incaricando un
professionista di fiducia per la stesura del contratto.
La durata ed il rifiuto di rinnovo alla prima scadenza
La durata del contratto di locazione non può essere inferiore a sei anni o a nove, per
certe attività. Non può in nessun caso esser superiore a 30 anni.
Per quanto riguarda la maggior parte dei casi, essa sarà pari a 6 anni nel minimo ed
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a 30 nel massimo.
Fanno eccezione alla regola suddetta, per quanto riguarda il minimo, le locazioni
transitorie e/o stagionali, che possono aver durata inferiore, e quelle ad uso
alberghiero, che invece hanno una durata minima di nove anni.
LE LOCAZIONI DI NATURA TRANSITORIA:
Cosa sono le locazioni di carattere transitorio:
la migliore definizione di transitorietà è quella della temporaneità cosciente e
volontaria. Nel senso che già fin dalla stipulazione del contratto il conduttore sa che
nell’immobile deve (o desidera) stare per un tempo inferiore alla durata minima che
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Art.1350 n.8 e 2657 c.c.
una durata superiore a 30 anni verrebbe automaticamente ridotta a tale periodo, in forza dell’art.1573 c.c..
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la legge gli offrirebbe.
Per fare un esempio, può essere transitoria la locazione di un immobile che il
conduttore deve occupare in attesa del restauro di quella che è la sua sede
abituale.
Ecco che in questo caso questa circostanza andrebbe inserita nel contesto
contrattuale, magari in questi termini, per tutelare il locatore:
<<Considerando le transitorie necessità del conduttore, che dichiara di
voler adibire l’immobile a sede occasionale, in attesa del completamento
delle opere di restauro in corso nella sua sede abituale di Via-------------------n-----, il contratto ha durata pari ad un anno.>>
E’ stato definito come transitorio anche l’uso del locale come deposito per la vendita
di stock occasionali di merce a prezzi particolarmente vantaggiosi.
Ovviamente la casistica è pressochè infinita e non è possibile fornire tutti gli esempi
possibili ma a mio avviso gli elementi ricorrenti nella transitorietà sono proprio quelli
della consapevolezza di essa nelle parti (temporaneità cosciente) e nella volontà del
conduttore di fare un uso transitorio dell’immobile locato (temporaneità volontaria), in
modo che la durata sia inferiore a quella minima.
LA DURATA SUPERIORE AL MINIMO LEGALE:
Tener presente che la pattuizione di una durata superiore al minimo non esclude
l’applicabilità della disciplina di legge (art.28) sul rinnovo alla prima scadenza
[Cassazione 24 novembre 2004 n. 22129].
In pratica, se nel contratto di locazione viene stabilita una durata iniziale di 12 anni,
ciò non vuol dire che alla prima scadenza il contratto non si rinnovi automaticamente
(e tacitamente) di altri 6 anni, salvo fondati motivi di rifiuto da parte del locatore; il
quale non può appellarsi al fatto che il contratto ha già avuto una durata pari al
famoso “sei più sei”, per riservarsi la facoltà di non rinnovarlo immotivatamente,
come invece potrebbe fare alla seconda scadenza ma non alla prima.
Va sottolineato inoltre che anche se la durata iniziale è superiore a sei anni
(poniamo otto) il rinnovo tacito alla prima scadenza fa sì che il contratto non si
prolunghi di altri otto anni ma solo di sei; salvo che le parti non abbiano
espressamente stabilito proprio questo.
LE LOCAZIONI STAGIONALI:
Sono di natura stagionale le attività che si possono svolgere solo in un determinato
periodo dell’anno; la definizione è molto generica e va calata nei vari contesti
particolari in cui occorre perfezionare la locazione.
Ad esempio: in materia di turismo e strutture ricettive l’Emilia Romagna ha stabilito
che “per apertura stagionale s’intende un periodo di apertura non inferiore a tre mesi
consecutivi e non superiore complessivamente a nove mesi nell'arco dell'anno solare.”
Quindi, occorrerà fare attenzione, caso per caso, alla particolare realtà in cui si
opera, onde evitare di scivolare in una situazione simile formalmente ma molto
diversa sostanzialmente che è quella della transitorietà. Anch’essa infatti potrebbe
essere di durata inferiore all’anno ma per tutt’altri motivi.
Mentre nella locazione di natura transitoria non vige l’obbligo di durata minima e –
men che meno- del rinnovo periodico, in quella stagionale manca la durata minima
ma il locatore deve mantenere l’immobile a disposizione del conduttore per almeno
sei stagioni consecutive (nove per il settore alberghiero). Unico onere a carico del
conduttore: spedire una raccomandata al locatore –prima del termine di ogni
stagione- in cui richiedere la continuazione della locazione anche per la prossima.
Ecco allora che occorrono due elementi essenziali:
a)
che la natura della locazione possa inquadrarsi pienamente in una
stagionalità ben definita da leggi o regolamenti nazionali o locali che ne
fissino i termini iniziali e finali;
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b)
che il conduttore eserciti la facoltà di richiedere, prima del termine di una
stagione, la continuazione per la stagione successiva.
In mancanza del primo elemento, si scivola nel diverso ambito della transitorietà
oppure in quello della normale annualità (a seconda dei casi); in mancanza del
secondo elemento, invece, il contratto si risolve per iniziativa del conduttore, tranne
nel caso in cui il comportamento del conduttore si limiti a non consegnare l’immobile
alla proprietà (al termine di una stagione) e questa accetti tacitamente la situazione.
In questo caso infatti possiamo parlare di accordo tacito per il rinnovo anche per la
stagione successiva (Cassazione 1/8/95 n.8388).
Nell’arco temporale delle varie stagioni (sei o nove) siamo in continuità di rapporto
anche se non di contratto; quindi il canone può variare solo per l’aggiornamento
Istat.
La sentenza della Cassazione 10/03/1988 n.2380, la quale stabilisce che la
locazione stagionale è una serie di rapporti distinti ma collegati, non fa altro che
confermare questo concetto di unitarietà del rapporto attraverso distinti contratti.
Tanto che – ad esempio- per quanto riguarda l’aggiornamento del canone, l’art.32
della legge ha stabilito che per le varie stagioni possa essere adeguato solo
attraverso l’indice Istat (al 75%).
LE LOCAZIONI ALBERGHIERE:
Prima di tutto: quando possiamo dirci di fronte ad un’attività
alberghiera ?
Quando l’attività consiste nell’ospitare i clienti in camere onde offrire loro alloggio e
vitto (quest’ultimo come servizio aggiuntivo). Non necessariamente l’albergo
dev’essere strutturato come unico immobile in cui debbano coesistere sia l’alloggio
che la ristorazione e gli altri servizi (piscina, tennis, bocce ecc….ecc….); ciò che
conta è l’elemento dinamico, molto più di quello strutturale.
Quindi, si ha attività alberghiera quando l’attività di alloggio coesiste con quella degli
altri servizi aggiuntivi, indipendentemente dalla struttura materiale dell’azienda e da
come siano organizzati logisticamente tutti i servizi.
Tant’è che sono considerate <<alberghiere>> anche le attività di pensione, locanda,
affittacamere (su questi ultimi, ho delle riserve, almeno per quanto riguarda il
territorio della Regione Emilia Romagna – vedere annotazione sulla legge regionale)
e di residence.
Questo è un primo quadro generale; tuttavia, è indispensabile approfondire
l’argomento studiando attentamente quanto stabiliscono le varie normative regionali,
in quanto in materia di Turismo sono le Regioni ad avere la competenza.
Queste premesse sono utili per evitare alle parti di errare nell’attribuirsi reciproche
obbligazioni, visto che se siamo di fronte ad un’attività alberghiera la durata minima
del contratto è fissata a nove anni, in caso contrario invece sarebbero sei. Quindi,
l’esatta qualificazione dell’attività svolta dal conduttore è fondamentale.
LA DURATA DEL CONTRATTO
Quella minima, abbiamo detto, è di nove anni; quella massima è di 30.
Ciò comporta, come prima conseguenza, che ogni rinnovo tacito prolunga di 9 anni il
contratto originario ed il rapporto tra le parti. Anche quando inizialmente questo sia
stato pattuito con durata superiore alla minima.
IL RIFIUTO DI RINNOVAZIONE ALLA PRIMA SCADENZA
Il locatore ha due possibilità di rifiutare il rinnovo dopo il primo periodo di durata
contrattuale:
Quando ha intenzione di ristrutturare l’immobile o migliorarlo per aumentare
la capacità ricettiva. In entrambi i casi deve rimanere ferma la destinazione
alberghiera; questi lavori devono essere parte di un programma comunale di
attuazione;
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Quando desidera esercitare nell’immobile la stessa attività del conduttore; in
questo caso occorre che l’esercizio alberghiero sia condotto esclusivamente da una
persona fisica (è vietato l’esercizio da parte di persone giuridiche o soc. di persone),
che può essere lo stesso proprietario o il coniuge o da parenti del proprietario fino al
2°grado in linea retta.
Non è possibile ricorrere ad altre motivazioni per rifiutare il rinnovo dopo i
primi anni di durata contrattuale.
I termini di preavviso sono di 18 mesi prima della scadenza contrattuale.
L’indennità che il locatore deve corrispondere al conduttore in entrambi i casi sopra
citati è pari a 21 mensilità dell’ultimo canone corrisposto.
LA CESSIONE DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE.
La cessione del contratto di locazione è il meccanismo che consente ad una delle
due parti in questione (locatore e conduttore) di sostituire a sé un terzo.
In pratica, il locatore potrebbe cedere il contratto ad un terzo ed in questo caso il suo
conduttore si troverebbe ad avere rapporti con una nuova persona.
Oppure potrebbe essere il conduttore a cedere il contratto ed in questo caso
sarebbe il locatore ad avere d’un tratto rapporti con una nuova persona.
La cessione da parte del locatore
L’ipotesi in cui sia il locatore a cedere il contratto è generalmente poco frequente e
normalmente coincide con la vendita dell’immobile a terzi (tralascio al momento la
problematica del diritto di prelazione del conduttore).
In questo caso, colui che acquista l’immobile subentra nel contratto di locazione
nell’identica posizione che aveva il locatore/cedente. Sempre che il contratto di
locazione abbia data certa anteriore alla vendita, prosegue nei confronti del nuovo
locatore senza alcuna interruzione o altra soluzione di continuità.
In altri termini, cambia solo la persona e tutto il resto rimane invariato.
Hanno lo stesso trattamento della vendita:
a)
il conferimento dell’immobile in società
b)
la permuta dello stesso
c)
la donazione
d)
il legato.
LA SUB-LOCAZIONE; ASPETTI PARTICOLARI.
Normalmente il contratto di locazione per fini non abitativi prevede la clausola della
trasferibilità limitata; nel senso che occorre sempre il preventivo consenso del
locatore per poter sub-locare, in tutto o in parte, l’immobile o per trasferire il contratto
ad un terzo.
Inoltre, quasi sempre si prevede che il conduttore possa recedere in qualsiasi
momento, purchè rispettando un termine di preavviso.
Le vicende contrattuali che possono interessare questo tipo di locazione sono anche
altre: ad esempio, la successione degli eredi del conduttore o del locatore o il
fallimento di una delle parti.
La
sub-locazione,
se
consentita,
permette
al
conduttore
di
ricoprire
contemporaneamente anche la veste di locatore, sia pure a titolo derivato, dato che
non è il proprietario.
In pratica, il conduttore cede a sua volta in locazione ad un altro (sub)conduttore
tutto od una parte dell’immobile condotto.
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Non esiste una disciplina civilistica della sub-locazione, essendo questa
nient’altro che una normale locazione, che però presuppone che la locazione
principale (da cui deriva) sia validamente esistente tra il proprietario ed il primo
conduttore.
E’ controverso che la sub-locazione –nel silenzio del contratto principale- possa
esistere senza il preventivo consenso del locatore.
In ogni caso è possibile superare anche un eventuale divieto espresso del contratto
principale, quando il conduttore cede o affitta l’azienda.
Vediamo perché.
Innanzitutto, l’art.36 della legge 392/78 consente espressamente questo tipo di
operazione; inoltre, l’art.2558 del Codice Civile prevede che tutti i contratti inerenti
l’azienda siano trasferiti al cessionario (la norma si applica però anche in caso di
affitto d’azienda, dove abbiamo un “affittuario” e non un cessionario) come “effetto
naturale” del contratto di cessione di azienda. Salvo patto contrario inserito nel
contratto stesso.
Come conseguenza di tutto ciò è appunto normale che in caso di trasferimento
d’azienda (per cessione o per affitto ma anche per usufrutto), nella particolare
ipotesi in cui l’immobile non sia di proprietà del cedente ma da questi condotto in
locazione, si possa instaurare tra il primo conduttore ed il suo cessionario un
contratto di (sub) locazione.
Salvo che il primo conduttore non preferisca cedere il contratto.
E questo anche nell’ipotesi estrema in cui nel contratto sia presente addirittura un
espresso divieto di sublocazione in generale e perfino nel caso in cui esista un
espresso divieto di sublocare l’immobile nel caso di trasferimento d’azienda.
Ovviamente, occorre che il conduttore/cedente l’azienda effettui tutti gli adempimenti
necessari a perfezionare il trasferimento della locazione al cessionario, e cioè:
-valido contratto di trasferimento d’azienda (con tutti i requisiti formali e sostanziali
dovuti), in cui sia previsto il non trasferimento del contratto di locazione;
-comunicazione ex art.36 legge 392/78 al locatore (con lettera raccomandata a.r.) in
cui siano contenuti tutti gli elementi informativi previsti dalla legge, cui si rimanda, tra
cui l’instaurarsi della sub-locazione.
Una volta pervenuta la comunicazione di cui sopra, per il locatore iniziano a
decorrere i termini per formulare la propria opposizione –per gravi motivi- nei
confronti della sub-locazione.
Ove questa non venga proposta o pur essendo proposta non venga accolta, si
determina tra il primo conduttore ed il suo cessionario una situazione derivata di sub
locazione, senza vincoli nei confronti del proprietario dell’immobile ma solo tra le due
parti in “contatto diretto”, ossia tra il sublocatore ed il subconduttore.
Di conseguenza, quando cessa la locazione cessa pure la sublocazione; se il
locatore dovesse vendere l’immobile, la prelazione spetterebbe al subconduttore (e
non al primo); l’indennità per la perdita d’avviamento continua invece ad essere
dovuta solo al primo conduttore, salvo suo obbligo nei confronti del suo
subconduttore.
Quando può essere utile cedere l’azienda ma non il contratto di locazione?
Può accadere che sia interesse del cessionario dell’azienda non subentrare nel
contratto principale di locazione, magari per trasferirsi in un altro immobile nel giro di
poco tempo.
L’interesse potrebbe essere elevato quando nel contratto di locazione principale non
fosse presente la possibilità per il conduttore di recedere anticipatamente dal
contratto. In quest’ultimo caso, infatti, un eventuale recesso sarebbe possibile solo
per gravi motivi, con il rischio che questi non vengano riconosciuti tali dall’Autorità
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Giudiziaria, in caso di opposizione del proprietario dell’immobile.
Può invece essere interesse del cedente l’azienda instaurare una sublocazione –
invece di cedere il contratto- quando si vuole evitare che l’indennità per la perdita di
avviamento vada a favore del sub-conduttore (che così diverrebbe invece un primo
conduttore). In questo caso è sufficiente prevedere nel contratto di sublocazione che
quest’ultimo non ha diritto all’indennità in nessun caso.
Va però segnalato che qualche sentenza prevede che invece tale indennità vada
sempre a favore del subconduttore (Cassazione sez.3 14-04-1986 n.2617 ) e
qualche altra sia a favore del primo che del subconduttore (Cassazione sez.3 23-061993 n.6935).
Inoltre, a mio avviso, la ratio della legge è quella di tutelare chi effettivamente
“esercita l’attività” e non chi risulti solo “legalmente” conduttore.
L’INDENNITA’ PER LA PERDITA DELL’AVVIAMENTO
Quando scatta l’obbligo (stabilito dall’art.34 della legge 392/78): ogni qualvolta la
locazione cessa per volontà del locatore.
Vanno perciò escluse dalle cause tutte quelle situazioni INDIPENDENTI dalla
volontà del locatore. Ma, attenzione, anche tutte quelle cause che dipendono da
inadempimento del conduttore, quali ad esempio, la morosità (che determina quindi
il diritto del locatore allo sfratto, senza indennità).
In sintesi, abbiamo questo quadro di riferimento, per inquadrare il diritto all’indennità:
CAUSE CHE DANNO DIRITTO
CAUSE CHE NON DANNO DIRITTO
Recesso o disdetta del locatore
Recesso del conduttore
Attività
del
conduttore
rientrante Disdetta del conduttore
nell’art.27 della legge 392/78
Morosità del conduttore
Fallimento del locatore
Altri inadempimenti del conduttore
(sublocazione vietata, mancato rispetto
di
altre
condizioni
contrattuali
essenziali) che diano diritto alla
risoluzione per inadempimento, in
favore del locatore.
Attività del conduttore non rientrante
nell’art.27 della legge 392/78
(ad esempio: attività professionali,
commercio all’ingrosso e attività di
natura transitoria)
Casi particolari:
l’indennità non è dovuta anche quando l’immobile locato è complementare o interno
ad un albergo o a villaggi turistici, stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di
servizio, ecc… Vedere in proposito la sentenza 27.01.97 n.810 della Cassazione.
Curiosità:
al momento della sottoscrizione del contratto il conduttore non può rinunciare
all’indennità, perché questo patto “a priori” sarebbe nullo. A meno che in cambio di
questa rinuncia il conduttore non ottenga vantaggi economici particolari, quali: la
riduzione del canone oppure altri vantaggi tangibilmente apprezzabili.
IL DIRITTO DI PRELAZIONE DEL CONDUTTORE
E’ disciplinato dall’art.38 della legge 392/78 e compete al conduttore quando il
locatore intende trasferire la proprietà dell’immobile.
Il rispetto delle formalità stabilite da questa norma è particolarmente importante,
onde evitare di invalidare l’intera vendita.
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ATTENZIONE: sono nulle le clausole che prevedono la risoluzione del contratto in
caso di alienazione dell’immobile locato ed altrettanto nulla è la rinuncia preventiva
al diritto di prelazione.
Qualche fonte ritiene possibile rinunciarvi solo quando il diritto viene ad esistere,
ossia al momento della vendita.
Quando non scatta il diritto in favore del conduttore:
a) se la vendita è indirizzata al coniuge del locatore, o a suoi parenti entro il 2°
grado;
b) se il locatore è un coerede che intende alienare la sua quota di eredità;
c) quando il conduttore esercita un’attività che non ha diritto all’indennità per la
perdita dell’avviamento;
d) quando il trasferimento non avviene per mezzo di una vendita (successione,
donazione, vendite forzate);
e) quando viene venduto in blocco l’immobile che contiene l’unità immobiliare
locata.
Casi controversi:
Per quanto riguarda il conferimento di immobile in società, la permuta, la
transazione ed altre ipotesi di trasferimento legale della proprietà, oggettivamente
diverse dalla compravendita in senso classico, assistiamo ad una divergenza tra
giurisprudenza e dottrina.
La prima ammette il diritto di prelazione solo nel caso della compravendita
“classica”; la seconda, invece, anche in tutte le altre ipotesi, purchè siano a titolo
oneroso.
GLI ONERI A CARICO DI CIASCUNA PARTE
Il canone rappresenta il corrispettivo della locazione. Dal punto di vista del locatore,
si tratta del compenso per l’inevitabile deterioramento dell’immobile dovuto all’uso,
nonché per l’investimento effettuato in termini di capitale e per l’impossibilità di
servirsene per un certo periodo di tempo.
Dal punto di vista del conduttore, si tratta dell’onere per poter disporre di un
immobile per un dato tempo senza dover investire il capitale necessario per
acquistarlo.
Nel fissare il canone di locazione richiesto vanno tenute in considerazione le spese
che incideranno durante il contratto; le previsioni generali della legge 392/78
determinano questo quadro di ripartizione tra le due parti:
Onere
A carico di
Straordinaria manutenzione, in genere
Ordinaria manutenzione, in genere
Spese condominiali per pulizia
Consumi di energia elettrica, condizionamento ,
acqua, riscaldamento
Svuotamento pozzi neri
Spese di funzionamento e ordinaria manutenzione
ascensore
Spese condominiali per servizi comuni
Spese condominiali per il portiere
Locatore
Conduttore
Conduttore
Conduttore
Conduttore
Conduttore
Conduttore
Conduttore ma
al 90%
Quanto alla possibilità di regolare la ripartizione delle spese in modo diverso da
quanto sopra prospettato ed applicare perciò il patto contrario, va segnalato che
non è possibile aggravare la condizione del conduttore, imputandogli
quote maggiori delle spese previste sopra; mentre è possibile il contrario, ossia
attribuirgli una partecipazione minore alle spese.
Per quanto riguarda le manutenzioni, ordinarie e straordinarie, il divieto deriva
direttamente dall’art.1576 del codice civile. Per quanto riguarda le altre voci indicate
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nella tabella, dalla combinazione tra art.9, 41 e 79 della legge 392/78.
Tuttavia, esistono altri oneri gravanti sull’immobile che devono essere regolati in
quanto strettamente dipendenti dal suo utilizzo; ad esempio, le spese per:
1. smaltimento rifiuti solidi urbani
2. la volturazione dei contatori
3. tassa passi carrai
4. il compenso all’amministratore condominiale
ed altro.
In questo caso non esiste una disposizione di legge che venga in soccorso delle
parti per aiutarle a redigere il contratto, per cui occorre “contrattare” in merito.
Normalmente, la spesa inerente alla tassa per i rifiuti solidi urbani è posta a carico
del conduttore, in quanto legata strettamente alla produzione dei rifiuti, che un locale
vuoto certamente non avrebbe. Per cui sembra equo porla a carico di chi quei rifiuti
produce.
La volturazione dei contatori a favore della parte conduttrice è indispensabile per
ottenere che le utenze vengano documentate ed addebitate direttamente a suo
nome. Questo evita pericolose e confuse commistioni tra i consumi della parte
locatrice e quelli del conduttore. Oltre a questo, è indispensabile per un corretto
adempimento fiscale di contabilizzazione delle spese, da parte del conduttore, che
in questo caso è un soggetto con partita I.V.A.. Come tipo di spesa, rientra nel
concetto di oneri dovuti all’uso della cosa e pertanto può essere ragionevolmente
posta a carico del conduttore. Nulla vieta però un patto contrario, sia che ponga
l’onere per intero a carico della proprietà, sia che stabilisca che venga equamente
diviso tra conduttore e locatore.
La tassa sui passi carrai (o carrabili) è un tributo che colpisce il passaggio privato
sulle aree pubbliche (per semplificare) –ove esistente- e non la proprietà del passo
carraio. Conseguentemente, si può assimilare ad un onere derivante dall’utilizzo
dell’immobile e delle sue pertinenze, nonché dei suoi diritti (come quello di
passaggio sulle aree pubbliche, appunto). In virtù di questo ragionamento, lo si può
mettere a carico del conduttore, anche se nulla vieta un patto diverso.
Il compenso all’amministratore condominiale va invece normalmente posto a carico
della parte locatrice, dato che l’amministrazione riguarda il condominio dei
proprietari e la gestione dei loro interessi; tuttavia, a ben guardare, si scopre che in
realtà il compito principale dell’amministratore condominiale è quello di ripartire
correttamente tra i condomini le spese comuni di gestione dei servizi (pulizia,
ascensore, riscaldamento, sfalcio erba, infissi negli androni, portiere ecc…ecc…),
per cui alla fin fine l’interesse maggiormente tutelato è proprio quello di chi “occupa”
l’immobile.
Perciò non riterrei irragionevole attribuire al conduttore una partecipazione del 50%
per la spesa sostenuta a questo titolo.
Dopo aver attentamente considerato l’incidenza delle spese a carico di ciascuna
delle parti, si potrà fissare il canone di locazione. Ciascuna parte, a quel punto, potrà
valutarne meglio la congruità e la convenienza.
A questo punto occorre prendere in considerazione anche la necessità di mantenere
costante nel tempo il valore del canone di locazione; stiamo parlando
dell’aggiornamento Istat sulla base del costo della vita verificatosi annualmente. In
alternativa all’aggiornamento istat il canone potrebbe essere “prefissato” come
importo unico per tutta la durata della locazione e con pagamento per rate annuali
crescenti.
Ad esempio: un canone per i sei anni di locazione pari a 60.000 euro, pagabili il
primo anno per 8.000, il secondo anno per 8.500, il terzo per 9.500, il quarto per
10.500, il quinto per 11.500 ed il sesto per 12.000.
Bisogna tener presente alcuni “paletti” fissati dalla giurisprudenza sul tema:
è nulla la clausola che prevede un automatico aggiornamento del canone,
senza che sia necessaria un’espressa richiesta del locatore;
è nulla la richiesta di aumento in misura superiore al 75% della variazione
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Istat;
la richiesta di aumento Istat può essere formulata verbalmente o per fatti
concludenti;
l’aggiornamento va richiesto anno per anno, senza diritto al riconoscimento di
arretrati (Cassazione 07/02/2005 n.2417).
Per quanto riguarda il divieto di apportare modifiche di qualsiasi entità, spesso esiste
il problema degli adattamenti al locale richiesti dalle pubbliche autorità (quasi
sempre gli uffici sanitari), senza i quali non si può più esercitare l’attività per cui è
stato preso in locazione il negozio.
E spesso queste opere sono richieste dopo la consegna del locale, magari dopo
anni di pacifica locazione.
Il conduttore ritiene allora che sia il proprietario a dover sostenere le spese
necessarie ma va precisato che queste obbligazioni non gli fanno carico.
O almeno il codice civile – art.1575 e 1576 – non le prevede come oneri “di legge” a
suo carico. Nulla vieta però che le parti prevedano contrattualmente la loro
regolamentazione, anzi, è altamente consigliabile farlo, specie quando abbiamo a
che fare con attività sottoposte a licenze, concessioni ed autorizzazioni.
Esempio:
L’immobile si concede esclusivamente per uso negozio, con divieto assoluto di mutarne la
destinazione urbanistica e di apportarvi modifiche di qualsiasi entità, salvo preventivo consenso
scritto del locatore.
La parte conduttrice si obbliga ad eseguire a proprie spese gli eventuali lavori di adattamento
del locale che dovessero essere in futuro necessari per consentire la prosecuzione della sua
attività in modo conforme a regolamenti e normative locali, provinciali, regionali o nazionali.
Tali adattamenti dovranno comunque essere effettuati a regola d’arte e nel rispetto delle norme
in materia, nonché previo ottenimento delle necessarie autorizzazioni.
Al termine della locazione tali adattamenti resteranno acquisiti alla locatrice, senza alcun diritto
di rimborso o indennizzo in favore della conduttrice, dato che di ciò si è già tenuto conto nella
determinazione del canone.
Una clausola del genere potrebbe essere eccessivamente penalizzante per il
conduttore, specie in presenza di locali di notevoli dimensioni e di attività di
ristorazione e pubblici esercizi, le quali sono sottoposte a stretti adempimenti
igienico-sanitari che spesso impongono notevoli modifiche ad immobili talvolta molto
vecchi, con soffitti bassi o con servizi igienici eccessivamente ridotti.
Ecco allora che talvolta le due parti si accordano per un indennizzo finale in favore
del conduttore, quando le opere sono di notevole entità, sia fisicamente che
economicamente.
Esempio:
L’immobile si concede esclusivamente per uso negozio, con divieto assoluto di mutarne la
destinazione urbanistica e di apportarvi modifiche di qualsiasi entità, salvo preventivo consenso
scritto del locatore.
La parte conduttrice si obbliga ad eseguire a proprie spese gli eventuali lavori di adattamento
del locale che dovessero essere in futuro necessari per consentire la prosecuzione della sua
attività in modo conforme a regolamenti e normative locali, provinciali, regionali o nazionali.
Tali adattamenti dovranno comunque essere effettuati a regola d’arte e nel rispetto delle norme
in materia, nonché previo ottenimento delle necessarie autorizzazioni.
Qualora le opere eseguite vengano conservate dalla locatrice, che si riserva comunque il diritto
di richiederne l’eliminazione alla conduttrice, questa si obbliga ad indennizzare la controparte
con il pagamento di una somma che non potrà essere inferiore all’importo più basso tra le spese
effettivamente sostenute -e documentate- e l’incremento di valore dell’immobile.
Per determinare questi parametri le parti si affideranno ad un professionista (oppure ad un
Ingegnere, Architetto, Geometra) di comune fiducia al cui parere professionale si
uniformeranno.
Per il conduttore questa clausola rappresenta almeno una possibilità concreta di
recuperare notevoli investimenti; d’altra parte, per il proprietario, non c’è obbligo ma
solo facoltà di indennizzare il conduttore. Quindi l’impegno non rappresenta un
sacrificio ineludibile e può invece costituire un incentivo da offrire al conduttore, in
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modo da garantire una stabilità del contratto di locazione nel tempo.
Fine.
Data febbraio 2006
Roberto Mazzanti ([email protected])
Ragioniere Commercialista
Tel.0533-381252 – Fax 0533-382296
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