IAAD`s DESIGN MAP Creative scale 1:800.000

Transcript

IAAD`s DESIGN MAP Creative scale 1:800.000
IAAD’s DESIGN MAP
Creative scale 1:800.000
D’S T
EN T BO
SY
I AA
AL
STEM
Transportation
Industrial
Interior and furniture
Communication and graphic
O S T I NG
IAAD
IAAD è una scuola di design. Ce ne sono anche altre,
perché dovrei scegliere proprio questa?
Per molti motivi, principalmente perché più che sulle chiacchiere e i
lustrini IAAD investe sulla qualità della didattica, sul valore umano e
professionale dei docenti e sulla fattiva collaborazione con aziende,
associazioni e amministrazioni pubbliche.
Il fatto che IAAD sia una realtà privata significa che
c’è maggiore indulgenza nei confronti degli studenti?
Se indulgenza significa dare voti più alti, chiudere un occhio o promuovere scansafatiche, maleducati e lecchini immeritevoli, la risposta è
no. Se invece indulgenza significa saper capire e aspettare i tempi di
maturazione necessari a ogni individuo per esprimere le proprie potenzialità, allora la risposta è sì. Ma a questo riguardo l’essere una realtà privata non ha particolare rilevanza.
Allora è una scuola di design severa?
Il giusto. Diciamo che fa di tutto perché gli studenti non sprechino il
proprio tempo e i propri soldi.
Cerca di responsabilizzare gli studenti e instradarli verso un futuro da
giovani professionisti preparati.
E comunque, dì la verità, se non fosse una scuola severa (che poi vuol
dire seria) a te in fondo non piacerebbe.
Che tipo è lo studente IAAD?
Uno curioso, che sa tutto di tutto o perlomeno ci prova, che va al cinema, rifiuta la quinta birra, gli piace ‘sapere come si fa’ e quando serve
sta su la notte a studiare con la musica in cuffia. In breve: una testa
matta operosa e metodica. Non esiste? Guardati allo specchio...
Lo studente IAAD è anche una persona educata. Non servile o adulatrice: educata. Se non lo è, lo diventa.
Design è una parola un po’ vaga. Di cosa parliamo
quando parliamo di design?
Molti ti diranno che il design è nell’aria, che ci siamo immersi dentro,
che si respira come un balsamo rigenerante. Ti diranno che il design è
bellezza, poesia e libertà. Qualcuno ti dirà che il design è arte sottratta
al libero gioco e applicata alla vita quotidiana, qualcun altro ti dirà persino che, sotto sotto, il design è il sedimento finissimo della grande
rivoluzione pop.
Tutte cose suggestive, interessanti, magari anche vere. Però a noi interessa di più un altro aspetto, ci teniamo a dirti un’altra cosa. Ti diciamo
che la nostra, volenti o nolenti, è una società di mercato e che il mercato è la grande arena in cui tutti ci agitiamo e ci guadagniamo da vivere.
Solo che il mercato, per funzionare bene, per essere profittevole, deve
essere differenziato, deve proporre prodotti e servizi diversi tra loro.
Se i prodotti e i servizi sono tutti uguali, lo sai che succede? Succede
che gli acquirenti scelgono il prodotto o il servizio che costa di meno,
che le aziende fanno a gara per chi offre il prezzo più basso e così facendo ottengono pochi utili, che quindi ci sono meno posti di lavoro
disponibili, l’economia non gira e invece ci gira a tutti qualcos’altro.
Questo, in soldoni, è il marketing.
Fin qui ci siamo. La cosa che ci riguarda da vicino è che per svolgere
questa indispensabile opera di differenziazione dei prodotti e servizi
disponibili sul mercato abbiamo a disposizione sostanzialmente tre
leve: l’innovazione (research & development), il design e l’advertising/comunicazione. O crei un prodotto o servizio diverso (research &
development), o lo rendi
più funzionale, originale
e bello degli altri (design)
o ci monti intorno una
spettacolare campagna
promozionale (adv/comunicazione). O magari, se sei proprio fortissimo, usi tutte e tre le leve
insieme.
Ecco cos’è il design: una
leva di marketing che
crea e migliora prodotti
e servizi, fa girare l’economia e consente a un
sacco di gente di vivere bene. Facciamo parte del gioco: progettiamo per
vendere! E hai notato una cosa? Delle tre leve di cui abbiamo parlato ben
due, il design e la comunicazione/pubblicità, le insegniamo noi allo IAAD. È
un onere, è un onore.
Può iscriversi chiunque?
È necessario che tu possieda almeno un diploma di scuola superiore:
classico, scientifico, artistico, tecnologico, professionale, persino musicale e coreutico. Quello che vuoi, basta che sia... superiore.
Poi devi sostenere un colloquio motivazionale; niente di terribile, non
pensare alla solita sfilata di arcigni commissari dal naso adunco pronti
a prenderti in castagna e scartarti se hai le mani sudate. È una chiacchierata (se non puoi venire in sede puoi scrivere o parlare via Skype)
che serve a valutare la congruenza delle tue aspirazioni con il corso di
studi prescelto. Se ad esempio ci racconti che ambisci ad andare sulla
luna, noi cortesemente ti indirizziamo alla NASA. Se invece vuoi fare,
per dire, l’interior designer, allora ok, se ne può parlare perché sei nel
posto giusto.
Quando ci si può iscrivere?
I colloqui iniziano nel mese di gennaio, e le iscrizioni sono aperte da
gennaio a settembre. E ricorda che i corsi sono a numero chiuso, quindi,
se ti interessa, vieni a chiarirti le idee, così poi hai il tempo per decidere.
Sono previste borse di studio o agevolazioni in base
al reddito?
Certo. IAAD offre agli studenti meritevoli e/o in condizioni economiche difficili la possibilità di contribuire alla valorizzazione delle classi con il loro
talento. Per maggiori informazioni, consulta il nostro sito www.iaad.it per
essere aggiornato sulle possibilità attive momento per momento.
Istituzionalmente possiamo dirti che ogni anno, a gennaio e tramite
concorso pubblicato sul sito, IAAD mette in palio borse di studio per la
frequenza dei Bachelor. È inoltre possibile presentare domanda per
l’assegnazione di Borse di Studio direttamente a EDISU Piemonte (Ente
Regionale per il Diritto allo Studio Universitario del Piemonte) e poiché
questa possibilità, a livello quantitativo, varia anno per anno, ti suggeriamo di contattarci preventivamente per avere maggiori dettagli in merito.
Cos’è un Bachelor e che titolo rilascia IAAD?
ll bachelor è, nel sistema universitario anglosassone, il titolo accademico rilasciato dalle università a seguito di un corso di studi della convenzionale durata di tre anni ed il conseguimento di almeno 180 ECTS.
Il titolo corrisponde alla laurea triennale italiana secondo quanto previsto dal processo di Bologna. In particolare, il titolo di studio IAAD è un
Diploma Accademico di I livello (180 CFA) ed è riconosciuto da EABHES
– European Accreditation Board of Higher Education Schools. In pratica è
una laurea italiana che è anche in linea con il sistema europeo.
E cosa sono i crediti formativi?
Il sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti è un
sistema basato sul carico di lavoro richiesto a ciascuno studente per
raggiungere gli obiettivi di un corso di studio, espressi in termini di
esiti del processo di apprendimento e di competenze da acquisire. I
crediti appartenenti a questo sistema europeo si chiamano ECTS. Per
concludere un Bachelor sono necessari 180 crediti ECTS.
Com’è l’ambiente allo IAAD?
Hai presente ‘Saranno Famosi’? Ok, tutta un’altra cosa. Qualcuno vorrebbe iscriversi pensando che la creatività consista nel ballare sui tavoli
e imbrattare i muri con impiastri materici di dubbia provenienza. Se la
pensi così anche tu, lascia perdere. IAAD non forma artisti, né chiede
agli studenti di esibirsi
in performance selvagge. Magari possiedi un
autentico talento artistico e lo IAAD può aiutarti
a prenderne coscienza,
ma lo IAAD non si pone
l’obiettivo di fare di te un
novello Jeff Koons. Se poi
lo sei, tanto meglio, ma a
noi interessa formare dei
professionisti, capaci di
portare contributi creativi
alla società civile.
Torino non è Copacabana.
Vero. Se vuoi frequentare una scuola di samba o specializzarti nel
beach volley, Rio è decisamente meglio. Se ti interessa il design, invece, Torino può essere un’ottima scelta.
Ecco alcuni buoni motivi per studiare design a Torino, in ordine di importanza:
è la capitale mondiale del design automobilistico e uno dei
centri d’eccellenza del design industriale a livello nazionale e internazionale.
grande pubblicità italiana è nata, si è sviluppata e continua a proliferare a Torino.
alla tanto discussa Fiat, Torino è stata la prima città industriale
d’Italia e oggi può permettersi di essere la prima città autenticamente post-industriale del nostro Paese. Del resto, come si fa a essere
post-industriali se prima non si è stati industriali?
sia la città più innovativa d’Italia non è un mistero per nessuno;
per i cultori della tecnologia d’avanguardia Torino è, letteralmente,
uno scrigno di tesori.
ultimi vent’anni il capoluogo piemontese si è ritagliato un ruolo
di primo piano nel panorama nazionale e internazionale dell’arte contemporanea. Qualche nome? Galleria di Arte Moderna e Contemporanea (GAM), Museo di Rivoli, Fondazione Sandretto, Artissima...
fa si pensava a Torino come alla ‘città della Fiat’ nel senso
peggiore dell’espressione, e chi non la conosceva se la immaginava
grigia, tetra, fuligginosa. Oggi quest’identificazione totale con l’industria metalmeccanica è tramontata e la gente si è accorta che Torino
è una città bellissima. Per via dei suoi portici, delle piazze-salotto,
delle dimore reali e delle innumerevoli architetture barocche, se ne
parla addirittura come di un ‘museo a cielo aperto’.
alla vita culturale, notoriamente vivace, Torino si distingue
anche per l’intensità della vita notturna. Le arcate in riva al Po, i cosiddetti ‘Murazzi’, sono ormai celebri in tutta Europa. Lo sapevi che
Torino è la città italiana con il maggior numero di locali notturni?
A questo punto se trovi di meglio vai pure, hai la nostra benedizione!
Per venire allo IAAD bisogna per forza esser bravi a
disegnare?
Non è detto. Naturalmente saper già disegnare aiuta, ma i nostri programmi cominciano da zero, quindi puoi imparare con noi. Magari
all’inizio farai un po’ di fatica, ma col tempo imparerai. Molti dei nostri
migliori studenti arrivano da scuole superiori come il liceo scientifico
(altri naturalmente dai licei artistici e dagli istituti d’arte) e hanno
un’infarinatura di disegno tecnico più qualche nozione di disegno a
mano libera. Qui riprendono in mano tutto con un taglio diverso, un
taglio da designer e non più da studenti delle superiori.
E i docenti come sono?
Gente da cui guardarsi... La cosa più rimarchevole è che sono tutti
degli stimati professionisti: colti, appassionati, aggiornati, concreti e
soprattutto incontentabili. Aggiungi poi che ai docenti ordinari si affiancano i visiting professor coinvolti per sessioni speciali, seminari,
workshop, conferenze ed eventi.
Ok, ma alla fine dei tre anni mi ritrovo in mano un
pezzo di carta...
Certo. Ma il pezzo
di carta da solo
non basta, non farti
fregare dall’amico
che studia legge,
medicina, ingegneria
o simili e ti sfotte
perché pensa che
lui troverà subito
lavoro e invece tu,
che notoriamente
ti occupi di ‘teatrini’, alla fine dovrai
emigrare o aprire
una import-export.
In verità è quasi
vero il contrario: nella società ‘industriale’ le professioni borghesi godevano effettivamente di un certo vantaggio, ma nella società contemporanea, non a caso definita ‘post-moderna’ o ‘post-industriale’, le
professioni creative svolgono un ruolo decisivo.
A un anno dal conseguimento del Diploma Accademico di I livello (laurea triennale), il 98% dei diplomati IAAD trova la propria collocazione nel
mondo del lavoro. Grazie a una rete di relazioni con i settori di riferimento, IAAD dispone di un database di aziende, regolarmente aggiornato,
che si rivolgono all’Istituto per la selezione di giovani risorse da inserire
nelle proprie strutture. Non ci credi? Chiedi a qualche ex-allievo.
Come lo dico ai miei?
In effetti il grande guru Jacques Séguéla ha intitolato uno dei suoi libri
‘Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario... lei mi crede pianista in un bordello’. Come a dire che agli occhi della borghesia perbene
persino postriboli e lupanari sono luoghi più dignitosi delle agenzie di
pubblicità o degli studi di design. Ci auguriamo tu viva in una famiglia
di larghe vedute che tiene in gran conto le professioni creative e non
vede l’ora di annoverare tra i propri membri niente di meno che un industrial designer o un social media manager. Se invece non ti è andata
così liscia e i tuoi genitori preferirebbero fare di te un commercialista, ti
consigliamo di puntare su queste poche ma incisive argomentazioni:
vita è già abbastanza
per svolgere un lavoro che non corrisponde alle proprie inclinazioni. Ciascuno di noi dovrebbe scegliersi come professione un’attività che gli riesce alla grande, in cui ‘va
in discesa’, altrimenti rischia di trascorrere gran parte della propria
esistenza in uno stato di insoddisfazione. E che colpa ne hai tu se
vai in discesa progettando scooter o inventando slogan pubblicitari
piuttosto che calcolando aliquote iva?
siamo più nella società fordistico-tayloristica dominata da
tecnocrati e depositari dei saperi codificati. Oggi, nella cosiddetta
‘knowledge society’, vince chi sa gestire le relazioni sociali, muoversi con agilità tra le diverse competenze e, soprattutto, vendere.
pochi mesi dalla
del triennio la stragrande maggioranza
degli studenti IAAD trova un lavoro decentemente remunerato. Avvocati e commercialisti, costretti a estenuanti anni di tirocinio, possono dire lo stesso?
IAAD è una scuola di design seria che rilascia un titolo di studio
universitario, non tollera i perdigiorno e si preoccupa di insegnare ai
propri studenti anche l’abc dello stare al mondo. Onestamente, non
ci sembra si possa dire altrettanto di tutti gli istituti e atenei italiani.
Perché IAAD insiste tanto nel definirsi una scuola di
design europea?
Perché, lo si voglia o no, oggi l’Europa è la nostra casa. Solo che, come
nella canzone di Vinicius De Moraes (‘Era una casa tanto carina...’),
questa nostra casa europea è ancora senza soffitto, senza cucina,
senza tetto né pavimento. Tutti ci diciamo europei, ma poi non si capisce bene cosa voglia dire. La verità è che, per l’appunto, si tratta di una
casa nuova, contemporanea, ancora tutta da costruire.
IAAD ha deciso di contribuire all’edificazione della grande casa europea legandosi a un’importante scuola francese, l’Écoles de Condé, con
sedi a Parigi, Nizza, Lione, Nancy e Bordeaux.
È un notevole passo in avanti, un’avventura. È, soprattutto, il primo
polo europeo del design.
Una specie di matrimonio. Cosa porta in dote IAAD e
cosa Écoles de Condé?
IAAD il design italiano, il primo nel mondo. Écoles de Condé una comprovata capacità manageriale e l’attenzione per l’arte, la comunicazione e la moda.
Gli dai la tua benedizione?
E va bene, magari mi interessa. Ma ora, in concreto,
che posso fare?
Se pensi di avere delle buone carte, puoi ‘venire a vedere’.
Dai un colpo di telefono allo 011.548868 (o scrivi a [email protected]) e
chiedi di parlare con qualcuno dell’Ufficio Orientamento. I ragazzi di
questo ufficio sono bravissimi a rispondere anche alle domande cui
non avevi pensato. Sul piatto ci sono la tua creatività e il tuo prossimo
successo professionale.
Vedi un po’...
TRANSPORTATION
A Transportation si insegna design automobilistico?
Certo e non solo. Se così fosse parleremmo di Car Design, mentre qui
il discorso si allarga anche a moto, scooter, camion, biciclette, treni,
elicotteri... Ci interessa tutto ciò che è in grado di trasportare la gente
e le merci da un luogo a un altro, naturalmente con un focus sull’auto.
Se a questo aggiungi l’attenzione per i nuovi sistemi di mobilità e per la
sostenibilità ambientale, allora hai centrato il punto.
Che c’entra la mobilità sostenibile?
Progettare un veicolo non significa unicamente dare alla luce l’ennesima bomba turbocompressa dai consumi esagerati. Il nostro obiettivo non è solo quello di formare designer dalla matita felice, ma anche
quello di trasmettere ai futuri progettisti l’importanza del mercato e
della società che lo esprime, concetti con i quali è meglio imparare
a fare i conti sin da subito. Non si progetta nel vuoto: bisogna tenere
in considerazione le innovazioni tecnologiche, i cambiamenti sociali,
le esigenze di marketing, i vincoli di budget e la necessità di tutelare
l’ambiente.
Inoltre, si tratta di permettere alle persone di continuare a spostarsi
da un luogo all’altro in modo efficiente, magari anche divertendosi, ma
limitando il più possibile l’impatto ambientale ed economico che
ne deriva. Stiamo parlando di inquinamento
atmosferico e acustico, di traffico, di parcheggi e di incidenti
stradali. Di esperienze
quotidiane delle quali
faremmo volentieri a
meno e di nuove soluzioni di trasporto più
comode, utili e meno
invasive per l’ambiente in cui viviamo tutti.
A Transportation si studia tutto questo?
Esatto, e occorre una precisazione. La specializzazione in Transportation
apre, in realtà, due possibili qualificazioni: ‘Transportation design Auto, moto e scooter’ e ‘Design della mobilità sostenibile e dei mezzi
di trasporto’.
La base è comune, mentre le due specializzazioni approfondiscono
aspetti differenti e complementari: ci sono un tot di crediti dedicati
all’una o all’altra strada. Va detto, che mentre gli studenti di Transportation si concentrano maggiormente sul veicolo di per se stesso, quelli di
Mobilità Sostenibile si occupano molto anche di infrastrutture, di reti,
del sistema che sta ‘intorno’ al veicolo.
Il corso nel suo complesso si articola in modo da offrirti tutto ciò che ti
serve per diventare un Professionista con la P maiuscola.
Si ‘parte’ (a Transportation si parte, non si comincia) con Storia e critica
del design per poi passare a discipline come Teoria della percezione,
Psicologia della forma, Basic design, Scienze e tecnologie dei materiali,
Tecniche di rappresentazione, Design del sistema prodotto... E poi, ovviamente, Disegno a mano libera e Software di ausilio alla progettazione come Photoshop per la rappresentazione grafica 2D, Alias e Rhino
per la rappresentazione grafica 3D e per le matematiche.
Sin da bambino passo ore e ore a disegnare
automobili e motociclette, i miei mi danno del
‘fissato’. Mi devo preoccupare?
Tutt’altro! Quasi tutti i transportation designer sono un po’ maniacali,
bisogna ammetterlo. Chissà perché, se uno progetta case, lampade
o spremiagrumi di solito è un ‘appassionato intellettuale’, mentre se
progetta automobili è un ‘invasato’ che sta alzato la notte a disegnare
macchine da sogno e quando va a dormire se le sogna per davvero.
Non sappiamo perché i mezzi di trasporto inducano in alcuni questa
sacra mania, forse dipende dalla sensazione di potenza, dallo status
sociale collegati alle auto e alle motociclette... Quel che conta è il risultato: tutta questa passione serve a progettare nuovi veicoli più belli e
funzionali? Bene! Naturalmente esistono anche bravissimi transportation designer che di notte sognano le pecorelle e di giorno preferiscono usare la gomma piuttosto che ‘sgommare’ per le strade del mondo.
Benissimo anche così. Ogni professionista ha la sua personalità.
Oltre alla passione, quali altre qualità sono ritenute
indispensabili?
Per esempio educazione e rispetto. Lo IAAD è un microcosmo, una comunità, magari più frizzante e animata di altre, ma pur sempre regolata dalle norme della convivenza civile. Cafoni e maleducati non vanno
lontano. E se tu adesso pensi “sì, vabbè, il solito pipponcino...”, ti sbagli di grosso. La buona educazione serve a una sola cosa: a tenere la
barbarie alla porta. E ricorda che un designer non è mai un barbaro, al
contrario si distingue prima di tutto per il suo livello di civiltà.
Detto questo, a un transportation designer serve avere una mente
aperta, uno sguardo vigile e attento sul futuro, sulle nuove tecnologie,
sui materiali e le energie alternative, in modo da potere anticipare i
trend e i bisogni del mercato. Un designer è per forza di cose un avanguardista, un precursore. I designer sono obbligati ad andare al cuore
delle cose.
E poi, last but not least, serve l’immaginazione 3D...
L’immaginazione 3D?
Hai presente i fumetti della Marvel con tutti quei superpoteri? Beh,
in fondo anche il transportation designer ha un suo superpotere. Che
non serve a salire camminando sui grattacieli o a sradicare pali della
luce. Serve a creare oggetti tridimensionali in movimento dotati di forti
valenze estetiche. Si tratta della capacità di ‘vedere’ i volumi nella propria mente sin dall’inizio, di ‘sentire’ le proporzioni di un oggetto nello
spazio prima ancora che venga eseguito un rendering o realizzato un
modello. Può sembrare banale, ma poche persone sono dotate di questa facoltà sin dalla nascita: Giorgetto Giugiaro, per intenderci, è una di
queste – e per fortuna è anche un importante riferimento per i nostri
studenti. La buona notizia è che, entro certi limiti, questo superpotere
si acquisisce e si perfeziona a suon di studio, applicazione, pratica ed
esperienza.
Matematiche???
Calma, non lasciarti andare a inutili allarmismi. Comprendiamo che l’idea della matematica possa evocarti scenari desolanti. Qui nessuno si
aspetta di veder entrare in aula il novello Eulero o un grande esperto di
calcolo infinitesimale. In Transportation le matematiche corrispondono
alla creazione di veicoli in 3D con appositi programmi come Rhino o
Alias. Comunque stai sereno, tutti i corsi partono da zero e si va avanti
tutti insieme, avendo cura di non lasciare nessuno troppo indietro.
Sì, ma a me non piacciono le matematiche, mi piace
disegnare, costruire i modelli...
Non ti preoccupare, anche se il virtuale è un aspetto importante per
i professionisti del Transportation design, il saper fare con le mani è
tenuto in grande considerazione. Se davvero ti piace costruire i modelli
da noi trovi pane per i tuoi denti. Magari è un po’ più complicato di ciò
che hai fatto a casa fino adesso, ma niente di insormontabile.
Il lavoro in modelleria è uno degli aspetti qualificanti del Transportation
design.
La scuola ha sede a Torino, quindi immagino si
facciano molte visite, sopralluoghi...
In effetti lo IAAD ha sede a Torino, che è la capitale mondiale dell’automotive design e uno dei poli d’eccellenza dell’industria automobilistica
internazionale. La grande produzione italiana di Fiat, Lancia, Alfa Romeo e Ferrari, il design di Giugiaro, Pininfarina, Bertone, l’innovazione
automobilistica del Centro Ricerche Fiat, le tecnologie robotiche di Dea,
Comau e Rambaudi, l’innovazione di Oxygen (mobilità elettrica alternativa), per non parlare dell’enorme indotto che serve non solo la Fiat,
ma quasi tutte le maggiori industrie automobilistiche d’Europa e del
mondo.
Non desta sorpresa che un milieu di questo tipo offra grandissime opportunità, non solo per visite e sopralluoghi, ma anche e soprattutto
per vere e proprie collaborazioni che tengono impegnati gli studenti
durante l’intero triennio.
Bisogna inoltre sottolineare che IAAD ha attivato proficue partnership
anche con aziende non direttamente presenti sul territorio torinese/
piemontese, come Renault, Yamaha, Ducati, Volkswagen, Piaggio, Honda, Mercedes... Le occasioni per cimentarsi a fianco dei maggiori esperti internazionali da noi non mancano.
Tieni anche presente che il dipartimento IAAD di ‘Architettura della carrozzeria’, nato nel 1978, è stato il primo nel suo genere in Italia e, pur
vantando numerosi tentativi di imitazione, resta a tutt’oggi ineguagliato. Se pensi che ci stiamo auto-incensando chiedi pure a qualcuno ‘del
mestiere’. Se ci smentiscono, offriamo da bere.
INDUSTRIAL
Il design ‘industriale’ si chiama così perché è meno
‘artistico’ di altri tipi di design?
Quando si parla di ‘industria’ viene subito da pensare alle catene di
montaggio, alle tute sporche di grasso, alle ciminiere sbuffeggianti,
e allora magari ci si convince che questa branca del design sia meno
creativa di altre.
Niente di più sbagliato: la mitica penna biro Bic Cristal, la lettera 32
dell’Olivetti, la calcolatrice et22 di Dieter Rams, lo spremiagrumi di
Philippe Starck ti sembrano ‘poco creativi’?
Le leggi di mercato esistono e bisogna imparare a tenerne conto o si
corre il rischio di disperdere le proprie energie in progetti che non vedranno mai la luce del sole. Per industrial designer si intende un professionista in grado di realizzare progetti innovativi tenendo conto di tutte
le esigenze dell’utilizzatore finale e di tutte le prerogative dei sistemi
produttivi. Clienti incontentabili, ingegneri prevenuti, marketing manager visionari, amministratori delegati sospettosi: l’industrial designer
deve saper dialogare con tutti, mettere d’accordo tutti quanti. Come la
chiami questa, non la chiami ‘creatività’?
Ma come si fa a relazionarsi con persone e
professionisti tanto diversi?
Serve un metodo, un sistema, altrimenti ci si perde. Si può anche decidere di avversare il metodo, di rifiutarlo (come consiglia Feyerabend,
l’autore di Contro il Metodo), ma prima bisogna almeno conoscerne
uno! Il nostro si ispira a quello dell’Art College di Pasadena, forse la
scuola di design più famosa del mondo.
In cosa consiste questo metodo?
Il nostro metodo prevede la graduale assimilazione di quattro diversi
skill (vuol dire ‘capacità’, se non sai bene l’inglese non ti preoccupare,
allo IAAD ti insegniamo anche quello): il disegno, l’utilizzo dei software,
la modellazione e il displaying (presentazione) finale del prodotto.
Si comincia col prendere in mano la matita
e imparare a gestire
il tratto e la prospettiva. Poi bisogna saper
comporre gli elementi
sul foglio, posizionare
l’oggetto nella pagina,
disporre luci e ombre,
riprodurre la tridimensionalità.
Naturalmente bisogna
anche imparare a gestire il tutto con i software, nel nostro caso soprattutto Photoshop,
Illustrator e Rhino.
In seguito si passa alla descrizione verbale del prodotto: fase cruciale
da non sottovalutare, perché molti ‘nodi’ progettuali vengono al pettine
proprio attraverso la verbalizzazione. Tra l’altro, una buona descrizione
verbale implica quasi sempre il confronto con soluzioni già adottate nel
passato e quindi un’approfondita conoscenza della storia del design.
Che, ovviamente, ci premuriamo di fornirti.
Il passo successivo è quello della modellazione (o prototipazione).
Come puoi immaginare, è il momento della verità: l’industrial designer
crea oggetti tridimensionali di cui né il disegno né la verbalizzazione
possono restituire l’autentica manifestazione spaziale. Ecco perché
nessuno può fare a meno dei modelli.
Infine bisogna mettere tutto insieme e generare un format di presentazione che da un lato renda giustizia al progetto e dall’altro consenta al
committente di capirlo e valutarlo in ogni sua sfaccettatura.
Tutto qui. Lo scopo di questo percorso è quello di metterti in grado di
affrontare con serenità problematiche progettuali sempre diverse e
più complesse.
Il disegno è fondamentale?
Ti ci vedi a discutere con un ingegnere strafottente - il quale peraltro è
convinto che tu sia un dandy con la testa tra le nuvole o uno schizoide
privo di senso pratico - senza potergli mostrare nero su bianco di cosa
stai parlando? Foglio e matita sono i tuoi primi alleati: forse non lo sai,
ma Philippe Starck ha disegnato il suo spremiagrumi a tavola, su una
tovaglietta.
Detto questo, guai a ridurre un industrial designer al mero disegno o
alle facoltà estetiche. Se sapesse solo disegnare bene sarebbe un illustratore: ottimo professionista che però, per l’appunto, fa un altro mestiere. L’industrial designer deve essere curioso, attento, colto, sempre
disposto a mettersi in gioco e sperimentare. Un mix cui vanno aggiunti
la voglia di lavorare sodo, un po’ di sana competitività e uno spirito da
giramondo sempre in cerca delle novità più stimolanti.
Competitività? Allo IAAD c’è un ambiente competitivo?
Non siamo nel deserto o nella giungla, non ci sono animali feroci o nemici col mitra spianato. Semplicemente, qui sono tutti come te: hanno
voglia di esprimere la creatività che gli esplode dentro, di diventare
qualcuno, di emergere e farsi notare. Niente sabotaggi, furti notturni
o plastici che prendono fuoco per autocombustione. Solo sana rivalità
che induce tutti quanti a lavorare sodo e dare sempre il meglio. E poi,
guarda che senza un po’ di competizione ti annoieresti.
La competizione non crea problemi quando si lavora
in gruppo?
Non sarai mica uno che se la prende solo perché qualcuno ha osato
far meglio di te? Bisogna smettere di pensare che lavoro di squadra e
competizione si escludano a vicenda. Si lavora insieme, si collabora,
ci si dà una mano e nel contempo ognuno cerca di far meglio degli
altri, di offrire un contributo superiore. Che male c’è? I team migliori
sono una sapiente miscela di rispetto, collaborazione e antagonismo.
Se manca la solidarietà non si va da nessuna parte perché è difficile
mettere i talenti a fattor comune; se manca la competizione il gruppo
ha spesso la tendenza a ‘sedersi’, ad auto-inibirsi pensando che vada
sempre tutto bene, che ogni membro del team sia un genio inimitabile,
che ogni idea sia meravigliosa. Purtroppo non sempre amore universale e creatività vanno a braccetto.
Su che tipo di progetti si lavora?
Si comincia da oggetti molto semplici. Uno dei primi compiti, ad esempio, consiste nel progettare una seduta in cartone realizzata solo tramite incastri, senza ausilio di colla o altri materiali. Deve essere in scala 1
a 1 e funzionante, nel senso che durante la presentazione gli studenti
devono sedercisi sopra dimostrando che regga. Mai un eventuale fallimento progettuale viene vissuto così direttamente ‘sulla propria pelle’!
È un modo facile ed efficace per aiutarti a pensare in 3D, per ‘toccare con mano’ e capire
dove hai sbagliato. E se
poi cadi, pazienza! Qui
si impara a rialzarsi,
scrollarsi la polvere di
dosso e ripartire consapevoli degli errori
commessi per non ripeterli in futuro.
Altri progetti?
Man mano che il tempo passa i progetti si
fanno più complessi
e articolati: utensili,
abiti, elettrodomestici,
imbarcazioni, può capitarti letteralmente di tutto. All’ultimo anno, poi, si lavora in strettissima
collaborazione con le aziende che sponsorizzano i progetti e che svolgono il duplice ruolo di committenti e di tutor esterni all’istituto. Prima
capisci cosa significa avere un cliente, meglio è. Tra l’altro capita spesso che, una volta usciti dallo IAAD, gli allievi vengano assunti proprio
dall’azienda con cui hanno sviluppato il progetto di tesi.
Appunto: che garanzie ci sono di trovare lavoro?
Garanzie non ce ne sono. Mai. Tuttavia il settore del design industriale è talmente vasto da offrire delle opportunità a chiunque dimostri di
essere un valido professionista. C’è chi è più abile con il computer, chi
con il disegno, chi con la presentazione e la comunicazione, chi con la
gestione del gruppo di lavoro. Individuare il proprio specifico talento,
sfruttarlo, capire su cosa si deve puntare e su cosa no è fondamentale.
Se sai questo, sai già molto.
Aggiungi che allo IAAD ti è stata fornita una preparazione non solo teorica, ma anche tecnica e pratica, che ti è stato insegnato a lavorare
con le mani, che hai imparato a costruire e presentare al meglio il tuo
portfolio.
Tieni anche presente che in questo lavoro la disponibilità a viaggiare fa
la differenza: non limitarti a cercare un impiego vicino casa. Guarda oltre, il mondo è grande, ricco, misterioso e per esplorarlo vale la pena di
rinunciare alle tagliatelle di mammà (anche se...) . E se poi sei davvero
bravo, se ne accorgeranno tutti e tu inizierai con stage interessanti per
passare oltre.
Quindi uscito dallo IAAD posso entrare direttamente
nel mondo del design industriale?
Nel mondo del design ci entri già il primo giorno di lezione. Il resto viene
di conseguenza: stage, progetti con le aziende...
INTERIOR
Cosa si intende esattamente per ‘Interior &
Furniture Design’?
In sostanza si tratta di progettare spazi e oggetti di uso comune all’interno di ambienti prevalentemente chiusi. Tutto gira intorno al desiderio di rendere la vita delle persone non solo gradevole esteticamente
- anzi, a dire il vero, quello è un problema secondario - ma anche più
comoda, funzionale. In una parola: migliore.
Quindi l’estetica è secondaria? Ho sempre pensato
che per un designer forma e bellezza fossero tutto.
Sai come si dice: la convinzione è la peggiore delle pazzie. Dimentica
l’immagine del creativo tutto stravaganze. La prima cosa da mettersi in
testa è che un prodotto bello a vedersi ma poco, o per nulla, funzionale
normalmente perde ogni attrattiva: la parola che deve risuonarti sempre in testa è ‘usabilità’. Il lavoro del designer è quello di dar vita a un
progetto intorno a uno scopo e non viceversa. Il designer inconsapevole prima progetta e solo in seguito si pone il problema della funzione e
dell’usabilità: certo, quando il prodotto è fatto e finito, in qualche modo
si riesce sempre a farne qualcosa, a renderlo utilizzabile. Che fatica,
però... Il designer consapevole, l’autentico professionista, segue la
strada opposta: prima definisce il livello di usabilità funzionale e poi
si dedica alla progettazione vera e propria senza dimenticare, naturalmente, l’aspetto estetico.
Se parliamo di materie, di discipline vere e proprie,
cosa si studia?
Historia Magistra Vitae: è un concetto vecchiotto ma sempre attuale. Si
parte dal passato per capire il presente e anticipare le idee del futuro:
la storia della progettazione e dell’architettura sono fondamentali per
capire come si sono evoluti i concetti di spazio e di progetto. Pensa
a quanto sono cambiate, per esempio, le sale congressi, a com’erano
negli anni ’40 e come sono oggi: prima erano strutture rigide, statiche,
non c’erano spazi dedicati agli sponsor, non si faceva progettazione
acustica; oggi sono ambienti più duttili, multifunzionali, si lavora sull’acustica e su molte altre
esigenze.
Poi si passa a corsi più
specifici come Metodologia della progettazione, Design degli oggetti
d’arredo, Home design,
Exhibit design, Design dei
processi sostenibili... Inoltre, siccome ogni progetto dev’essere anzitutto a
misura d’uomo, non può
mancare l’ergonomia. IAAD fa riferimento alle Metodologie Ergonomiche definite dall’Ergo Lab, il laboratorio nazionale con sede a Udine.
Si tratta di 12 metodi ergonomici a disposizione del progettista, che si
riassumono poi in tre gradi di giudizio: usabilità, efficienza, efficacia.
Oltre ad Ergonomia nel corso dei tre anni si studiano tante altre cose:
Tecnologie dei materiali, Tecniche di rappresentazione, Strategie di comunicazione del prodotto...
L’obiettivo del corso qual è?
L’interior designer, più di chiunque altro, deve tenere a mente che il suo
lavoro parte da un qualcosa - un presupposto, una precondizione - che
esiste già nella mente del cliente. Non si parte mai dal foglio bianco,
si parte dalla mentalità, dalle abitudini, dai bisogni e, dai desideri del
cliente. Il designer deve essere in grado di coniugare la forma e il gusto
estetico all’esperienza d’uso, a ciò che oggi chiamiamo ‘user experience’. È un equilibrista che si destreggia tra creatività e razionalità, tra il
suo estro poetico e le normative da rispettare. In questa sintesi risiede
il nostro obiettivo.
Perché dovrei venire a studiare Interior Design
proprio allo IAAD?
Perché hai voglia di costruire la tua vita professionale su solide basi. Il
nostro punto di forza è l’ampiezza dello sguardo: il primo passo consiste nello ‘svecchiare’ la concezione di Interior design, che non deve
banalmente ridursi al mero Home o Furniture design: qui ci muoviamo
attraverso molteplici ambiti a volte molto diversi tra loro, come il design dei giardini o dell’illuminazione (Garden e Light design) oppure la
progettazione dei luoghi di lavoro, dei negozi e delle aree espositive.
La visione dev’essere il più possibile ampia e trasversale, il bagaglio
di conoscenze molto vasto, perché in questo lavoro tutto serve e nulla
può essere lasciato al caso.
Si fa principalmente teoria o ci si sporca anche un
po’ le mani?
Riempirti la testa di teorie senza darti l’opportunità di metterle in pratica sarebbe sciocco per due ovvie ragioni. Primo: perché sperimentare
è il modo migliore per capire e la strada più veloce per imparare. Secondo: perché se si trattasse di stare seduti e prendere appunti saremmo
uguali a tutti gli altri, ed è esattamente ciò che vogliamo evitare. Come
te, anche noi desideriamo distinguerci.
Oltre a laboratori che aiutano a sviluppare manualità e sensibilità per
i materiali (può sembrare banale ma a volte saper scegliere, ad esempio, il plexiglas al posto del legno può salvare un progetto) si fanno anche simulazioni, modellazioni, proiezioni, uscite didattiche.
Simulazioni, modelli... questo sì che mi piace.
Frena, non ti eccitare: quando parliamo di simulazioni intendiamo tecniche, metodologie che ti aiutano a calarti nei panni del cliente, capire i
suoi reali bisogni e soddisfarli al meglio.
Per quanto riguarda i modelli, anche qui scordati le riproduzioni in scala
dei galeoni o dei bombardieri della seconda guerra mondiale. Non siamo al kinderheim. Si tratta di veri e propri plastici che danno l’idea di
come concretamente si dispiegherà il progetto. I clienti capiscono più
da un prototipo 3D, anche se piccolo, piuttosto che da decine di rendering sofisticatissimi (che alla fine una volta stampati diventano bidimensionali perdendo molto fascino e comprensibilità). Toccare con
mano ha sempre il suo perché.
Si lavora di più in gruppo o individualmente?
Un po’ e un po’. Comunque, intendiamoci, se per lavoro di gruppo pensi
a un modo per sgobbare di meno, divertirti e fare casino, non è questo
il caso. Lavorare insieme è molto più difficile di quel che si pensi. Prova
a immaginare: quattro o cinque esaltati come te, con la stessa voglia di
spaccare il mondo e di far valere il proprio punto di vista. Vedi dov’è la
sfida? In questi momenti si impara a riconoscere e sfruttare sia i propri
punti di forza che quelli dei propri colleghi, mettendo il tutto a disposizione del cliente. Si impara a mediare e dialogare lasciando da parte le
ego-menate e concentrandosi sull’unico vero obiettivo: soddisfare la
committenza.
Lavorare individualmente, d’altra parte, permette ai docenti di capire
se il programma ti è chiaro e la tua progettualità sta maturando nel
modo giusto.
Come faccio a essere sicuro di avere le carte in
regola?
Qualche indizio c’è. Innanzitutto il fatto che tu, in questo esatto momento, stia leggendo queste righe; che l’altro giorno, seduto a tavola,
abbia detto ai tuoi che vorresti frequentare Interior design allo IAAD invece di un corso ‘trasversale’ ad architettura o un master in Feng Shui
a Singapore; che alla fine ti senta più attratto da strutture formative
vivaci ed esigenti che da certi allettanti ‘parcheggi’ accademici. Tutto
questo dimostra che sei uno cui piace andare al punto. Uno dei nostri.
Per il resto le qualità di un bravo studente sono le stesse che contraddistinguono un bravo interior designer: versatilità, propositività e
indipendenza. Se ti piace leggere, curiosare, approfondire, se ti sei sorpreso più di una volta a immaginare come rimettere a nuovo camera
tua e, chiudendo gli occhi, riuscivi a vedere il tutto come in un filmato
3D, quasi potessi toccarlo allungando la mano... sei il nostro uomo, o la
nostra donna!
Mi preoccupa un po’ il ‘disegno’.
Se a Interior entrassero solo dei novelli Giotto, le aule sarebbero semi-deserte. Chi vuole fare questo mestiere dovrebbe avere idea di
come si tiene una matita in mano, ma soprattutto essere disposto ad
imparare - disegno tecnico, architettonico e sketching, che sono materie del primo anno - questo sì. Il disegno è uno strumento di comunicazione che serve per farsi capire dagli altri. Poi potrai consolarti con i
programmi 2D e 3D che ti daranno una grossa mano.
Al massimo posso sopperire con le tecnologie, lì me
la cavo.
Hai appena segnato un punto! Nessuno si aspetta che tu sia il wizard di
Autocad o Revit (due dei programmi che imparerai a usare qui), ma se
non ci metti tre giorni a capire come si apre un file è meglio.
Alla fine dei tre anni, devo continuare a studiare o
posso cominciare a lavorare?
Discussa la tesi, salutati professori e compagni... sei libero! Interior
è stato concepito per trasmetterti tutto ciò che ti serve per prenderti delle soddisfazioni nel mondo del lavoro. Anche perché, parliamoci
chiaro, è vero che studiare quel che ci piace non pesa più di tanto, ma
si tratta pur sempre di lezioni tostarelle, nottate sul computer, esami
ansiogeni... Poi, se vorrai, potrai approfondire tematiche specialistiche
con i master. Il mercato è competitivo e un’iper specializzazione non
guasta mai. A te la scelta.
Perché un cliente dovrebbe scegliere me invece di
uno che esce da architettura con la specialistica e
magari anche un master?
Quando ti tufferai nel mare del lavoro, ti renderai conto di saper già nuotare: gli anni passati a confrontarti con progetti, modelli e clienti di ogni
tipo ti hanno temprato, hanno fatto di te un giovane professionista. Rispetto a chi ha studiato solo sui libri, tu hai un grande vantaggio, che
risponde al nome di ‘esperienza sul campo’. Nessuno vuol perdere tempo dietro al nuovo assunto per insegnargli cose che dovrebbe sapere
già. Di solito negli studi di design si adopera il ‘metodo filippino’: vieni
buttato in acqua e, se sai nuotare, tanto meglio, altrimenti arrivederci.
Ecco la tua marcia in più: non sei il solito studente post-universitario,
spaventato e ansioso; sei un giovane designer preparato e come tale
hai le tue esperienze, i tuoi lavori da presentare e, soprattutto, sai cosa
vuol dire lavorare sotto pressione. Ti buttassero pure dentro alla Fossa
delle Marianne. Tu hai studiato allo IAAD e nuoti alla grande, hai persino
un certo stile.
COMMUNICATION & GRAPHIC
Questo è il dipartimento che forma i pubblicitari?
E la creatività?
Giusto, anche se in realtà bisogna distinguere: da una parte c’è la pubblicità in senso stretto, l’advertising, per intenderci quello delle grandi campagne, degli spot televisivi, eccetera. Dall’altra parte c’è tutto
quello che riguarda la cosiddetta ‘comunicazione’, che oggi spazia
dall’immagine coordinata al web semantico, dal packaging ai servizi
giornalistici, dalla sceneggiatura di documentari alle mobile application. Naturalmente i confini sono tutt’altro che netti e precisi, tuttavia
esistono ed è giusto tenerli in considerazione: sta di fatto che le agenzie di pubblicità e le società di comunicazione sono realtà abbastanza
diverse, a volte neppure parenti. IAAD, comunque, forma sia i pubblicitari sia i professionisti della comunicazione.
Ci arriviamo, però prima dobbiamo spiegarti una cosa. Noi di IAAD non
siamo dei romantici. I romantici credono che la creatività sia appannaggio del genio, un essere straordinario che crea in perfetta solitudine attingendo direttamente alle sorgenti del divino o dell’inconscio.
Per i romantici genio non si diventa, si è per nascita, e tutti coloro che
geni non sono, restano confinati al rango di volgari imitatori.
Imitatori di chi? Ma del genio, naturalmente.
Secondo noi questa visione romantica è non solo sbagliata, ma addirittura velenosa. Noi pensiamo che un po’ di talento e una buona predisposizione all’origine aiutino, ma che poi creativi si diventi, che quasi
chiunque lo possa diventare. Tra l’altro, se così non fosse IAAD che ci
starebbe a fare? La verità è che la tanto decantata fantasia (o ‘immaginazione creativa’) in fin dei conti non è altro che capacità associativa:
il creativo dà vita ad associazioni tra parole, suoni, immagini e grafemi
più coraggiose, più selvagge di quelle prodotte abitualmente da chi creativo non è. Gianni Rodari li chiamava ‘binomi fantastici’.
Ci pagano per questo, per produrre binomi fantastici, per fare associazioni sorprendenti che agli altri non vengono. E la buona notizia è che
la capacità associativa si può sviluppare, è come un muscolo che si
allena in palestra.
Ecco, IAAD è una palestra per lo sviluppo dei muscoli associativi e gli attrezzi si chiamano benchmarking, mind mapping, brainstorming, card
sorting... Sei pronto per il mind-fitness?
In cosa consiste la formazione di un pubblicitario/
comunicatore?
Questo tipo di formazione deve tener conto di molti aspetti. Andiamo
con ordine, innanzitutto serve curiosità, serve cultura: se non sei un
cinéphile, se non vai alle mostre d’arte contemporanea, se non ti interessano i cosiddetti ‘nuovi linguaggi’ puoi anche cimentarti con la
comunicazione, ma di certo è tutto più difficile. I docenti a lezione fanno del proprio meglio, cercano di passarti conoscenze e strumenti, ma
arrivano fino a un certo punto: se poi nel tempo libero non vai a vederti
una mostra neanche a morire, loro non possono farci niente. It’s up to
you, tocca anche a te crearti una cultura personale di settore.
Nuovi linguaggi? In che senso?
A lezione ti insegniamo la storia della pubblicità, ti sveliamo i fondamenti psicologici della persuasione, ti raccontiamo i rudimenti della
storia della fotografia e del video-making, ma non basta. Il pubblicitario
ha la tendenza ad auto-ghettizzarsi, a rannicchiarsi dentro al suo ambiente come in un nido caldo e ovattato: parla sempre dei ‘guru’ della
pubblicità, degli spot premiati a Cannes, di quella roba lì. Così facendo,
in realtà, finisce per togliere ossigeno alla sua creatività. Al contrario,
un buon pubblicitario dovrebbe interessarsi soprattutto a quanto di
nuovo e sorprendente vada affiorando nel consorzio umano; molti di
questi ‘nuovi linguaggi’ si manifestano nell’ambito dell’arte contemporanea (le cosiddette ‘avanguardie’), cui bisogna quindi dedicare particolare attenzione. Condizione necessaria, ma non sufficiente: le antenne del creativo devono saper cogliere ogni minima vibrazione ovunque
si manifesti, dal barbiere, allo stadio, alla Filarmonica o sulla strada.
Allo IAAD non possiamo darti la pappa fatta, ovvero fornirti ogni giorno la mappa dei nuovi linguaggi, che peraltro mutano costantemente.
Quel che possiamo fare è allenarti a stare in ascolto e anzi metterci in
ascolto insieme a te, ogni giorno, con infinita pazienza. I risultati sono
sorprendenti.
Sembra che questo corso formi dei superuomini.
Niente superuomini, solo bravi pescatori. In fondo, cos’altro è un creativo se non un appassionato pescatore alla costante ricerca del suo
mitico pesce dalle squame d’oro? Il pescatore avveduto innanzitutto
studia con attenzione la preda, in particolare le sue abitudini, perché
per mettere in trappola qualcuno bisogna conoscerne le abitudini.
Di che si nutre il nostro caro pesciolone? In che angolo del lago si rifugia per mangiare? Dove va a dormire? Dove amoreggia, e come?
L’arte dell’agguato inizia sempre e comunque con l’appostamento. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana il pescatore studia con pazienza la sua preda, finché a un tratto capisce di essersi sincronizzato.
È una sensazione, una convinzione interiore: lui e il pesce sono diventati una cosa sola e a volte egli ha addirittura l’impressione di sapere un
attimo prima quel che il pesce farà, dove andrà, come si comporterà.
Ecco il momento giusto per tendere le trappole, posizionare le esche e
portare a termine l’agguato. Comunque vada a finire, e di solito finisce
bene, questo pescatore si è meritato la nostra stima e il nostro rispetto.
La stima e il rispetto che si devono a un autentico creativo.
Oltre alla cultura e a questa sensibilità per i ‘nuovi
linguaggi’, che altro serve?
Servono anche delle conoscenze tecniche, quelle che oggi chiamiamo
all’anglosassone ‘technicalities’. Tanto per cominciare, bisogna padroneggiare, anzi spadroneggiare i software, soprattutto la suite Adobe.
Potrà non piacere, ma oggi Photoshop, Illustrator e InDesign (dobbiamo contare anche After Effects, Premiere e Dreamweaver?) la fanno
da padroni. C’è anche dell’altro, e si va nello specialistico: Maya per la
modellazione 3D, Avid o Final Cut per la post-produzione video, Joomla
o Word Press per i cms.
Sulla conoscenza dei software allo IAAD non ammettiamo deroghe: ti
chiudiamo in laboratorio finché non sei in grado di usare questi strumenti anche in stato di sonnambulismo.
Tra le technicalities che riteniamo assolutamente irrinunciabili annoveriamo anche la tipo-grafia, ovvero la conoscenza dei caratteri tipografici e i fondamenti della loro progettazione. Se pensi che non sia un
tema importante puoi andarti a leggere la storia di Cyrus Highsmiths,
il designer che si chiese se un contemporaneo avrebbe potuto vivere
senza tutti gli oggetti caratterizzati dalla presenza del font Helvetica.
La risposta, manco a dirlo, fu negativa.
Lo stesso dicasi per i colori, che come sapevano i cinesi, sapeva Goethe,
e ci auguriamo sappia anche tu, influiscono moltissimo sulla psiche e
in particolare sull’inconscio delle persone. Chi sceglie la giusta ‘palette’
cromatica è già a metà dell’opera, forse anche più in là.
In ambito digitale, infine, anche SEO (Search Engine Optimization) e
SMO (Social Media Optimization) sono ormai conoscenze tecniche indispensabili. E IAAD, naturalmente, ha predisposto un corso ad hoc.
Se ho capito bene quando provetto pescatore esco
dallo IAAD posso andare a fare l’art director o il
copywriter.
Anche, e poi, oltre a quelli che hai citato tu, ci sono l’illustratore, il visualizer, il packaging designer, il fotografo, il web designer, l’app designer,
lo sceneggiatore, il fashion designer, l’event manager, lo scenografo, il
video maker, il type designer, il logo designer, l’account, il consulente
marketing, il public relation manager, l’animation designer... C’è un bel
po’ di scelta, non ti pare?
MEMBRO DELLE PRINCIPALI ASSOCIAZIONI DI DESIGN
PRINCIPALI COLLABORAZIONI CON IMPRESE PUBBLICHE
E PRIVATE, ISTITUZIONI E ASSOCIAZIONI
7
6
5
4
3
2
1
IAAD’S design
brave new world
A
A
W
E
Control is out,
out of control is in
E
LEGENDA: IAAD HEADQUARTERS: A>3-4-5> / B>3-4-5 TRANSPORTATION: A>1-2 / B>1-2 / C>1-2 INDUSTRIAL: D>1-2-3 / E>1-2-3 INTERIOR AND FURNITURE: D>4-5-6-7 / E>4-5-6-7 COMMUNICATION AND GRAPHIC: A>6-7 / B>6-7 / C>6-7
7
E
6
D
5
D
4
C
3
C
2
B
1
B