Aprile 2010 - VII Congrès de l`Association Mondiale de Psychanalyse

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Aprile 2010 - VII Congrès de l`Association Mondiale de Psychanalyse
Numero 8 – Avril 2010 – Association Mondiale de Psychanalyse
PAPERS
Bulletin Electronique du Comité d'Action de l'École-Une
Version 2009-2010
Sommario
Eric Laurent
Editoriale
Manuel Fernández Blanco
Discorso, sembiante e destino del sintomo
Patrick Montribot
Sesso, lettera e sembiante
Laure Naveau
Il velo del pudore, i sembianti e il reale
Philippe La Sagna
L’uomo e la donna, e la psicoanalisi
Leggendo il Seminario XVIII di Lacan
Vilma Coccoz
Finzioni e sembianti
Valérie Pera-Guillot
“ L’inquieto ” e i Nomi - del - Padre
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Editoriale
Il sacro del congresso e il suo silenzio
Eric Laurent
Dal momento in cui abbiamo aperto il congresso dell'AMP ai non -membri le domande non
hanno smesso di affluire. Abbiamo requisito tutte le sale disponibili del Palazzo dei Congressi.
L'insistenza di queste domande indica il rinnovato interesse per il congresso una volta che è stato
iscritto nella linea delle giornate dell'ECF. Il movimento è doppio, una nuova selezione di casi
clinici che concentra la classica giornata clinica in una mattina, e un invito a nuovi contributi per
il pomeriggio dello stesso Giorno delle Simultanee.
Il 14 gennaio nel numero 83 del Journal des Journées, abbiamo pubblicato la lista dei 33 casi
selezionati, ai quali se ne sono aggiunti altri 3 per arrivare a 36. D'altra parte l'invito ai contributi
è stato recepito. Il 17 febbraio abbiamo pubblicato, sempre nel Journal des Journées, la lista
delle 163 proposte di intervento che ci erano giunte.Tra questi testi circa un quarto saranno letti
durante il congresso, gli altri saranno pubblicati. Le iscrizioni sono state come un'onda che, dalla
fine delle vacanze australi (fine febbraio), che già prolungava la fine delle vacanze boreali (inizio
gennaio), stava per travolgere tutto col suo entusiasmo. Riprendo immediatamente la metafora
dell'onda per deplorare gli effetti deleteri del deterioramento climatico che ci è valso uno tsunami
in Cile e uno strano fenomeno in Francia che ha distrutto le nostre coste atlantiche. Diciamo
piuttosto che siamo stati presi in un ritmo trepidante sul tipo del"Sacro di primavera" di
Stravinsky, che si è imposto nel nostro campo.Questo tempo nuovo permette di rivelare che,
dopo la pubblicazione del volume Scilicet, siamo andati avanti. Abbiamo proceduto nel regime
della disgiunzione tra “ verità e reale”, che l'articolo di Pierre Malengreau, in Papers n.6, situa
come un tornante nella lettura di Lacan fatta da Jacques-Alain Miller.
Il sembiante sfida l'opposizione tra il vedere e il visto, tra l'oggetto e la sua rappresentazione. Per
spostare l'evidenza del fallo che manca al suo posto nel campo della visione Lacan sottolinea che
il soggetto può sognare di vedersi vedente. BÈenché non possa vedersi vedente, può sognarlo.
Lacan si riferisce al poema di Paul Valery, "La giovane Parca", che si vede vedente. Ella tenta
questa esperienza di una coscienza che potrebbe sognarsi cosciente di se stessa. Sartre pure
aveva sognato storie di coscienza tetica e non tetica di se stessa, tutto un garbuglio che sono i
labirinti del sogno sartriano.
Lacan oppone questo sogno della coscienza al mondo del sogno propriamente detto, e nota che
nel sogno, quale che sia la vivacità delle percezioni o anche a causa dell'intensità di queste o
della loro deformazione, si può dire a volte che il sognatore è in tutti i posti e anche notare che il
sognatore può dire nel sogno "non è che un sogno". Nei momenti di angoscia può sognare un
pochino di più, un breve istante, dicendosi "non è che un sogno", ma come nota Lacan, mai si
dice "malgrado tutto io sono la coscienza di questo sogno". "E' un sogno" non implica che"Io
sono la coscienza di questo sogno". Dal momento che il sognatore è in tutti i posti non può
enunciare un "io sono", perchè il sogno stesso è un "io sono, io sono il sogno". L'esperienza del
sogno, attraverso la sua articolazione tra visibile e invisibile, per via dell'impossibilità ad esserci
di questa coscienza, è vicina a ciò che si produce nell'incontro sessuale.
Lacan dirà più tardi che i ragazzi non avrebbero alcun rapporto con le ragazze se non avessero i
sogni a guidarli. E' un'ironia di Lacan nei confronti della posizione maschile che denuncia il
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mondo dei sembianti. Bisogna osare enunciare una tale proposizione all'epoca della cosiddetta
"liberazione sessuale", e ripeterla all'epoca dell'iper-modernità, in cui i ragazzini guardano i film
pornografici a dodici anni. Hanno tutte le informazioni. E ciononostante Lacan ha l'idea che
quale che sia la democratizzazione della pornografia e il fatto di mettere il corpo femminile in
tutte le fogge e posizioni a disposizione della popolazione, ciò non corrisponderebbe
all'esperienza della sessualità, se non ci fosse il sogno, il sogno della coscienza di vedersi, di
vedersi avendo un rapporto sessuale, la giovane parca pornografica. Il sogno, abolendo la
distanza tra la percezione e il sognatore, introduce un mondo in cui potrebbe avvicinarsi quello
che sarebbe l'incastro dei corpi. Nel sogno prende forma quello che è un modo di articolazione
tra "il godimento è invisibile" e il mondo della rappresentazione - immagine e significante.
Il termine di sembiante che Lacan propone è fatto per dirci che, laddove ogni filosofia della
rappresentazione incontra un' impasse, il "sembiante" è ciò che viene a nominare la forma
possibile del godimento. Designa un passaggio dall'invisibile a ciò che è in-forma, affinchè
questa non sia "la" forma del corpo.
Lacan si serve dello schema della pulsione per illustrare la distinzione di Freud tra il bordo, la
zona erogena e la pulsione, e la direzione del movimento pulsionale, per far valere il tragitto
pulsionale in cui il bordo raggiunge se stesso. Il tragitto della pulsione, quale che sia, ha un lato
surrealista come l'ombrello sul tavolo da dissezione, o altri elementi strani. Questo circuito
pulsionale passa per un certo numero di significanti che permettono al soggetto di ritrovare il suo
godimento. Questo circuito tuttavia non è l'oggetto orale esso stesso, che non è in alcuno dei
punti della linea, non è che il percorso, non è che la pulsazione che permette al bordo di
soddisfarsi da sè, alla bocca di soddisfarsi da sè e di liberare un in-forma che viene a marcare lo
scarto, il battito, il percorso tra il tempo necessario a che il soggetto si colpisca da solo e trovi il
suo godimento. Questo in-forma è da distinguersi dal corpo, da ciò che si vede nell'immagine. E'
questo misto di immaginario-simbolico articolato al godimento reale che si produce.
Lacan dirà in seguito, prendendo le tre consistenze di RSI, che l'oggetto a è all'incrocio delle tre le riconduce a un triangolo. L'oggetto (a), che è questo in-forma, è anche ciò che è contenuto tra
le consistenze RSI. Potete metterlo sotto forma di triangolo come sotto forma di nodi. Oggetto
bloccato al centro come questo in-forma stretto che viene prima di ogni forma possibile, a
marcare un sembiante. L'oggetto piccolo a è sembiante di godimento, è ciò a cui il mondo dei
sogni ci dà accesso, è ciò che a volte viene a rispondere al carattere artificiale dell'oggetto che
sfugge a ogni empatia, il fallo, che viene a marcare il suo posto, che è macchia, che non avrà
alcuna rappresentazione e tuttavia avrà su questo sfondo un in-forma del godimento che viene a
prendere il il posto di ciò che non può avere altra forma visibile se non il velo che viene a
coprire questa macchia.
Se pensavamo che i sembianti fossero dei significanti, se facevamo avevamo nel 2008
l'opposizione tra sembianti come lato significante e la Cosa-stessa dal lato oggetto piccolo a,
dobbiamo ora al contrario considerare che l'oggetto a è sembiante. L'oggetto a è il sembiante di
godimento che viene a contaminare i significanti. Tutto ciò che può essere dell'ordine dei
sembianti come significante padrone, i sembianti da rispettare, il ricordo delle cerimonie, tutto
ciò che Voltaire ha denunciato, tuitto ciò grazie a cui il mondo tiene, lo pensiamo
spontaneamente in termini di significanti o di oggetti, come lo scettro del giudice inglese che
indossa parrucca e toga e può allora mandare a morte un certo numero di persone. “Mi sono
rivestito dei sembianti che mi permettono di compiere un atto ordinariamente proibito, come
condannare qualcuno a morte”.
E' un aspetto superficiale del sembiante, il suo lato più profondo risiede nel fatto che l'oggetto
stesso, l'oggetto a, l'in-forma del godimento, è un sembiante. E non un sembiante d'essere. Esso
rovina tutte le prospettive dell'essere. L'oggetto piccolo a è un'esperienza che non ha
essenza.Colui che ne fa l'esperienza è un soggetto che, come nel sogno, è in ogni posto.
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L'impossibilità di marcare questo posto come coscienza del sogno fa del sognatore un soggetto
che è al posto di nessuno . E' il contrario della fissità del cerimoniale perverso, in cui il soggetto
tenta in tutti i modi di mantenersi coscienza di godimento, di mantenere uno scenario e di
realizzarlo avendolo scritto fino all'ultima riga, cercando di evitare di trovarsi nella zona di "più
nessuno".
Con il congresso, ci troveremo in una zona in cui interrogheremo l'esperienza di questa zona,
dopo l'esperienza della passe, passando per la clinica "in prima persona", fino alla clinica dei casi
paradigmatici di una esperienza singolare. Sarà il congresso del "Sacro del soggetto". Shhh!
(Silenzio)....
(traduzione di Luisella Brusa)
Discorso, sembiante e destino del sintomo
Manuel Fernández Blanco
I discorsi e il discorso del capitalista nel Seminario XVIII di Jacques Lacan.
Jacques-Alain Miller, nella sua conferenza a Comandatuba, pubblicata con il titolo di “Una
fantasia” (1), segnalava il discorso contemporaneo come il massimo concorrente della
psicoanalisi perché intronizza l’oggetto, senza il velo del sembiante potremmo aggiungere.
Se facciamo un percorso trasversale per il Seminario XVIII di Jacques Lacan, ci troviamo con
che fin dall’inizio Lacan afferma che “non c’è sembiante di discorso” (2), poiché “tutto ciò che è
discorso non può che spacciarsi per sembiante, e nel discorso non si edifica niente che non sia
alla base di quello che si chiama il significante” […] il significante è identico allo statuto del
sembiante” (3). Per questo, “il sembiante è identico allo statuto del sembiante, è il sembiante
nella natura”. (4)
In questo stesso seminario, Lacan afferma che “il nostro discorso, il nostro discorso scientifico,
non trova il reale se non in quanto esso dipende dalla funzione del sembiante” (5). Ai limiti del
discorso, in quanto esso si sforza di mantenere lo stesso sembiante” (6), abbiamo il passaggio
all’atto, come una delle caratteristiche più rilevanti della clinica attuale. Intanto che l’acting out
fa passare il sembiante sulla scena.
Se continuiamo la lettura di questo seminario, troviamo che Lacan ci dice quanto segue: “Ma ciò
che dobbiamo vedere è che dobbiamo far fronte a un sottosviluppo che diventerà sempre più
patente, sempre più esteso. Si tratta, insomma, di mettere alla prova se la chiave dei diversi
problemi che ci si presenteranno non consista nel porci al livello di questo effetto
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dell’articolazione capitalista che ho lasciato nell’ombra l’anno scorso, indicandovi solo la sua
radice nel discorso del padrone. Forse, quest’anno, potrò dirvene qualcosa di più” (7). E Lacan
aggiunge più avanti: è “Allora il plusgodere, come il plusvalore, può essere scovato unicamente
in un discorso sviluppato, il quale può, indiscutibilmente, essere definito come il discorso del
capitalista” (8). Lacan critica qui tutti coloro che assistono al seminario e dice: “Voi non siete
molto curiosi e poi, soprattutto, siete poco interventisti, così che, quando l’anno scorso vi ho
parlato del discorso del padrone, nessuno è venuto a stuzzicarmi per chiedermi in che modo
situare al suo interno il discorso del capitalista. Io, invece, me l’aspettavo da voi. Non chiedo che
di spiegarvelo. Soprattutto perché è davvero semplice. Basta un aggeggio piccolissimo che gira e
il vostro discorso del padrone si dimostra essere quel che c’è di più trasformabile nel discorso del
capitalista” (9).
Tuttavia Lacan in questo seminario non formalizza il discorso del capitalista, anche se si ci
ricorda la struttura del discorso del padrone per dirci che “caratterizzato dal fatto che uno dei sei
spigoli del tetraedro è rotto […] c’è sempre uno dei lati di ciò che fa cerchio che si rompe” (10).
Più in là Lacan afferma che il linguaggio permette soltanto un numero determinato di discorsi ed
aggiunge: “almeno per quanto riguarda tutti quelli che vi ho articolato specificamente l’anno
scorso, nessuno elimina la funzione del significante padrone” (11)
Nella decima lezione del seminario, Lacan parla de “i quattro termini di questi discorsi e il loro
scivolamento sempre sincopato. Due di essi fanno sempre una faglia beante” (12). “Tali discorsi,
che per la precisione ho chiamato il discorso del padrone, il discorso dell’universitario, il
discorso che ho qualificato come isterico e il discorso dell’analista hanno la proprietà di
ordinarsi sempre a partire dal sembiante” (13). Ma, due pagine più avanti, Lacan dirà che
“questo discorso, che in questo caso potremmo chiamare il discorso del capitalista in quanto
esso è una determinazione del discorso del padrone, vi trova piuttosto il suo complemento.
Lungi dall’andare male a motivo del riconoscimento come tale della funzione del plusvalore, il
discorso capitalista sembrerebbe sussistere non meno bene di prima, dato che un capitalismo
ripreso in un discorso del padrone è proprio quello che sembra caratterizzare le conseguenze
scaturite, sotto forma di una rivoluzione politica, dalla denuncia marxista di un certo discorso
del sembiante” (14).
La composizione tra il godimento e il sembiante si chiama castrazione (15). Ma la castrazione ha
un trattamento diverso nel discorso capitalista.
La specificità del discorso del capitalista
Lacan presentò la sua scrittura del Discorso del Capitalista nell’Università di Milano, il 12
maggio 1972, nella sua conferenza, intitolata “Del discorso psicoanalitico”. La prima questione
che ci propone è il suo stesso statuto di discorso poiché è circolare, il soggetto si riunisce con
l’oggetto e non vi è in gioco un’impotenza o un’impossibilità. Lacan aveva stabilito il concetto
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di discorso come opposto al moto perpetuo, implicando così una barriera nel suo circuito. Nel
discorso dell’analista, ad esempio, si producono i significanti dell’identificazione, ma non c’è un
ritorno all’inizio.
Il discorso del capitalista, al contrario del discorso del padrone (che è anche quello
dell’inconscio), si basa sul rifiuto della castrazione. Il discorso del capitalista mette da parte la
castrazione (come accade nella tossicomania o nell’anoressia: sintomi dell’epoca).
Se osserviamo come si configura il discorso del capitalista, in rapporto al discorso del padrone:
Il cambio delle lettere si produce nel lato sinistro (si invertono le due prime lettere). Se nel
discorso del padrone la verità del soggetto determina i significanti padrone, nel discorso del
capitalista il soggetto dirige le proprie identificazioni, poiché esiste un vettore discendente che
va dal soggetto, nel luogo di agente, al luogo della verità. Si tratta qui del soggetto che
determina la sua verità (trionfo del narcisismo e adorazione della propria personalità), dal
momento che non c’è altra verità se non la propria, né un senso migliore di un altro. La
circolarità del discorso, d’altro canto, senza la barriera dell’impotenza o dell’impossibilità,
consente al soggetto di unirsi all’oggetto. Tutto ciò suppone un movimento perpetuo del Superio
come imperativo di godimento.
Il discorso del padrone, che non implica un movimento perpetuo, permette una produzione e una
separazione dal più di godere, dal godimento supplementare, inquadra l’oggetto a in rapporto al
$. La parte inferiore del discorso del padrone, infatti, equivale alla formula del fantasma che
sostiene la realtà e incornicia il godimento. Tutto ciò comporta limitare il godimento nella
cornice del fantasma inconscio. Il discorso del padrone, per questo motivo, è civilizzatore,
poiché su una faglia stabilisce una barriera tra il soggetto e quel godimento supplementare.
L’oggetto a, nel discorso del padrone, non soddisfa il soggetto se non sostenendo la realtà nel
fantasma. Questo produce una soddisfazione del soggetto, ma soltanto a livello della realtà del
fantasma. Il limite al godimento che esso comporta, è stato tolto con l’emergenza del discorso
del capitalista. Lacan lo presentò semplicemente invertendo, come abbiamo detto, le due prime
lettere del discorso del padrone.
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La domanda riguardo a se il discorso capitalista è un discorso, la possiamo proporre prendendo
in considerazione che nel capitalismo si ristabilisce il circuito tra a e $, c’è una connessione fra
entrambi i termini, intanto che nel discorso del padrone vi è una frattura.
Ciò che ci mostra l’impasse crescente della civiltà attuale è che il più di godere non soltanto
sostiene la realtà nel fantasma, ma che è quasi al punto di sostenere la realtà in quanto tale, cosa
che si può vedere dappertutto: la realtà trasformata in fantasma. L’epoca della verità (termine
che ormai sembra antiquato) ha lasciato il suo posto al godimento. L’oggetto in gioco non si
affida al fantasma (che implica la castrazione e passa attraverso il godimento fallico), si presenta
nella realtà. Il capitalismo propone che l’oggetto della soddisfazione c’è, ma nella realtà, è un
oggetto che si può avere.
Le impasses crescenti della nostra civiltà derivano dal fatto che è stato toccato il discorso del
padrone e il più di godere non sostiene soltanto la realtà nel fantasma.
Il discorso del padrone è pre-postmoderno
Lacan, come abbiamo detto, ha presentato la sua scrittura del Discorso del Capitalista
all’Università di Milano, il 12 maggio 1972, nella sua conferenza dal titolo “Del discorso
psicoanalitico”. Il 12 maggio 2002 (trent’anni dopo), Jacques-Alain Miller si recò a Milano in
occasione della creazione della SLP. Miller improvvisò una conferenza sul tema delle giornate:
“Gli psicoanalisti nella città”. Tre giorni più tardi, nel suo corso a Parigi che si svolgeva con il
titolo “Il disincanto della psicoanalisi” proseguì le riflessioni iniziate a Milano, pubblicate con il
titolo “Intuizioni milanesi” (16).
Lacan annunciò, nel 1972, che il discorso del capitalista “va molto bene, non può andare meglio
ma, giustamente va troppo in fretta, si consuma, gira così bene che si consuma”. Trent’anni
dopo, J.-A. Miller ci dice che l’S1, il significante centrale dell’identificazione, che comanda il
discorso del padrone, è pre-postmoderno. È il discorso del padrone pre-postmoderno.
Miller spiega che Lacan, non appena aveva isolato il significante centrale, il significante
padrone, “lo pluralizzò, lo moltiplicò, facendo sentire nell’espressione S1 il valore di sciame, per
dire che non c’è n’è soltanto uno. Ce ne sono diversi e niente assicura, al contrario, che non
siano caotici, anche se lo sciame si sposta raggrupato. Si tratta di una costellazione di
significanti piuttosto che dell’unicità del discorso del padrone. E poi Lacan accennò, insieme a
7
questo matema del discorso del padrone, al matema del discorso capitalista, che è una sua
modifica, dove è il soggetto barrato colui che si installa nel luogo di questo S1.
Qui non si tratta tanto di una promozione dell’isteria, quanto della promozione del soggetto
senza un punto di riferimento” (17).
In qualche modo il soggetto contemporaneo sa che la verità è inerente al discorso. Questa
scoperta è l’ipermodernità (da qui il versante cinico del soggetto ipermoderno). Non c’è una
verità ultima. La verità è un luogo che varia e dove diversi elementi possono venire al posto
della verità. Allo stesso modo, ci sono tanti padri quanti S1. Qualsiasi significante capace di
allacciare senso e godimento compie quella funzione, per ciò siamo passati dal monoteismo del
Nome del Padre al politeismo della sua funzione.
Il soggetto attuale sa che non tutto il godimento passa alla contabilità, per questo motivo il
discorso del padrone è in crisi. Sa che la cifratura è infinita, perché il reale non è lì per essere
conosciuto come verità. Non tutto il godimento passa all’inconscio. Il soggetto sogna, quindi, di
poter comandare le sue determinazioni, i suoi S1.
L’aspirazione più radicale del soggetto ipermoderno è quella di poter decidere e scegliere tutto
senza limitazioni. L’aspirazione di abolire qualsiasi determinismo, compreso quello sessuale, è
una delle caratteristiche del soggetto attuale. Tutto ciò suppone un rifiuto di ogni classificazione.
Si tratta di un rifiuto radicale, nella linea della Teoria Queer, a essere incasellato in qualsiasi
categoria sessuale quale maschile, femminile, omossessuale, eterossessuale o transessuale, ma
anche in qualsiasi altro tipo di classificazione come quella razziale o ideologica. Questo rifiuto
va accompagnato dal desiderio del soggetto di autodesignarsi, al di fuori di qualsiasi definizione
stabilita.
Lacan, nella sua conferenza di Milano del 12 maggio 1972, comincia dicendo che c’è
confusione, ai nostri giorni, tra ciò che si pubblica (pubblication) e la spazzatura (poubelle).
Affermava, quasi quarant’anni fa, che ci fu un tempo in cui ciò che riguardava l’ambito pubblico
non era la stessa cosa di quello privato, e che, quando si passava dall’esposizione del privato al
pubblico, si sapeva che era uno svelamento, “però adesso –dice Lacan nel 1972- non si svela
niente, perché è tutto svelato”.
Lacan afferma che il discorso capitalista “è qualcosa di follemente astuto, ma destinato a
esplodere”. Il discorso, dirà Lacan in questa conferenza, “ha la funzione di legame sociale […] e
non ci sono trentasei possibilità, ce ne sono soltanto quattro”.
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Il padre è un sembiante, ma il soggetto attuale dice che è un sembiante, lo sa. Per questo ci
presenta dei sintomi muti, che non domandano senso. Non siamo nell’epoca della rimozione
freudiana. Siamo piuttosto nell’epoca della rimozione lacaniana. La rimozione freudiana si
orientava di più verso la rimozione del senso del sintomo, per questo motivo faceva coincidere
la cura con la liberazione del senso, in tanto che la rimozione per Lacan, sebbene all’inizio si
legasse di più, come in Freud, al senso (parola vuota-parola piena), si decanterà lungo il suo
insegnamento (senza mai negare il versante messaggio del sintomo –inconscio trasferale-) verso
il privilegiare la concezione del sintomo come mezzo di godimento (inconscio reale). Per questo
il sintomo lacaniano è più muto, vuole godere, piuttosto che dire.
Ma è necessario credere nel sintomo perché vi sia il sintomo. Per questo motivo nella clinica
attuale, in alcune occasioni, è necessario iniettare del senso nei soggetti che fanno economia di
inconscio, perché il transfert –condizione imprescindibile per ogni analisi- si renda possibile.
Perché, come ci ricorda Miller: “un sintomo prima del linguaggio non è un sintomo” (18).
Destino del sintomo
La politica del sintomo è il modo in cui il soggetto si vincola all’Altro, vale a dire, è il modo in
cui fa legame sociale. Diciamo, seguendo J.-A. Miller, che “il legame sociale è il sintomo” (19).
Il sintomo è il vincolo, non c’è altro vincolo del soggetto all’Altro che il suo sintomo. Il sintomo
lacaniano riunisce in se ciò che è eterotico e ciò che è autoerotico, quello che passa per l’Altro e
quello che non passa, cioè quello che, della soddisfazione autistica del godimento, non resta
consegnato nel vincolo.
Se Freud, quindi, definiva il sintomo come un compromesso tra la pulsione e la difesa, noi
possiamo definirlo come il compromesso tra ciò che dell’Altro si struttura come verità –il suo
involucro formale- e ciò che sfugge all’Altro.
Non siamo più nell’epoca vittoriana, per questo il sintomo è meno freudiano e più lacaniano. Il
sintomo acquisisce sempre di più lo statuto di un godimento senza conflitto, un godimento che
non deve rendere conto all’Ideale né nascondersi dinnanzi all’Altro della rimozione. Dire che è
senza conflitto suppone dire che la colpa è sempre più inesistente.
Dunque, come diceva Lacan già nel anno 1961, “Non siamo più soltanto nella condizione di
poter essere colpevoli tramite il debito simbolico […] la colpevolezza che ci resta, quella che
tocchiamo con mano nel nevrotico, è da scontare precisamente per il fatto che il Dio del destino
è morto” (20).
Questo, infatti, sembra che sia quello che domina nel nostro mondo, in tanto oggi, si cerca di
abitare una vita senza senso: “Adesso il destino non è più niente”, ci avverte Lacan, opposto a
quanto accadeva prima, quando gli dei del destino permettevano la possibilità di rimandare
all’Altro il peso del senza senso in una vita, nel tentativo di dare senso –questo gli dei lo
avrebbero voluto.
Oggi, al contrario, osserviamo che il senso non è più un’interrogazione, una interrogazione
necessaria. Si può vivere nel senza senso. Gli analisti, per questo motivo, troviamo che quello
che chiamiamo la rettifica soggettiva, potrebbe essere qualcosa che andrebbe cambiato, in alcuni
casi, per una appropriazione soggettiva, per permettere, non il senza senso del sintomo ma il
senza senso come sintomo. In alcune occasioni, può essere necessario sostituire l’andare contro
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il senso per il suo contrario, per iniettare del senso. Iniettare del senso non passa se non per
iniettare il transfert, e tutto ciò per riuscire a produrre non il senza senso come sintomo, ma la
vita come sintomo. Se non creiamo quella distanza, quella separazione, i soggetti resteranno
sempre di più consegnati al godimento, senza l’ausilio del sintomo come conflitto. Questo
implica dire che forse siamo chiamati a produrre il sintomo freudiano, vale a dire, ad introdurre
un po’ di conflitto in un soggetto, qualcosa di contraddittorio.
Diciamo, per concludere, che forse gli analisti ci vediamo adoperati a sostenere come politica
del sintomo, non altro se non quella della sua creazione, quella di un sintomo, perché, in
memoria di Freud, quel sintomo possa servire come legatura di godimento e vincolo all’Altro.
Se il destino non è nulla, come dice Lacan, allora resta soltanto la contingenza. Ma non si tratta
di reclamare il destino come fa la metafisica, che vuole sia già tutto scritto all’origine.
Segnaliamo invece che se le legature della storia non assistono il soggetto, allora il soggetto non
potrà usare le contingenze, non avrà un “saper-fare” con queste contingenze, perché non saprà
in quali discontinuità della sua vita si iscrivono. Lo sguardo al passato che comporta l’esperienza
analitica non è quello dello storico che cerca stabilire il filo della continuità e del senso.
Ristoricizzare una vita è trovare e riscrivere le discontinuità, che altro non sono se non gli
inciampi del soggetto quando incontra la faglia e l’inconsistenza dell’Altro. In realtà c’è soltanto
una discontinuità, quella del trauma, tutte le altre sono una ripetizione.
Allora, per quei soggetti che vanno dallo psicoanalista a parlare del suo destino –vale a dire, per
quei soggetti che si domandano per il senso di ciò che succede loro-, l’analista dirige la cura per
fare dell’opacità del destino, sintomo, cioè, supposizione di sapere che viene ad illuminare
l’oscurità della lettera-destino. E per tutti gli altri che non sono assistiti dal destino, cioè, coloro
per cui la vita non comporta nessuna interrogazione, la domanda che ci si pone agli analisti,
ricordando che Lacan parlava della truffa analitica per la disgiunzione tra senso e reale, è una
domanda per la prassi possibile per i soggetti per i quali il senso sembra assente. Domanda che
altro non è se non la sua conseguenza: come fare per iniettare del senso che faccia sintomo?,
poiché il sintomo è il luogo dove qualcosa del senso raggiunge il reale.
(traduzione di Biancamaria Lenzi)
Riferimenti bibliografici.
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Jacques-Alain Miller. “Una fantasia”, Conferenza tenuta al IV Congresso dell’AMP a Comandatuba,
Bahía (Brasile) 2004, in La Psicoanalisi n. 38. Roma: Astrolabio, 2005, p- 17-34.
Jacques Lacan. “Il seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante 1971”. Torino:
Einaudi, 2010, p. 9.
Ibid, p. 9
Ibid, p. 10
Ibid, p. 22
Ibid, p. 26
Ibid, p. 31
Ibid, p. 42
Ibid, p. 43
Ibid, p. 93
Ibid, p. 127
Ibid, p. 153
Ibid, p. 153
Ibid, p. 155
Ibid, p. 156
10
16. Jacques-Alain Miller. “Intuiciones Milanesas I y II”, Cuadernos de Psicoanálisis, 29.
17. Jacques-Alain Miller, “Intuiciones Milanesas I y II”, p. 41.
18. Jacques-Alain Miller ed Eric Laurent “ L’Autre qui n’existe pas et ses Comitès d’ethique”. Corso tenuto al
Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII nell’anno accademico 1996-1997 (inedito).
19. Jacques-Alain Miller. “Il matema della nebbia” in “La conversazione di Arcachon. Casi rari, gli
inclassificabili della clinica” di IRMA. Roma: Astrolabio, 1999, p. 156
20. Jacques Lacan. “Il seminario. Libro VIII. Il transfert 1960-1961. Torino: Einaudi, 2010, p. 332
Sesso, lettera e sembiante
Patrick Monribot
Nel marzo ’71, nella sesta lezione del Seminario XVIII dedicato ai sembianti, Lacan ritorna
nuovamente sulla lettera rubata, un racconto di Edgar Allan Poe pubblicato a metà del XIX
secolo. Lacan aveva già abbondantemente commentato questo testo sedici anni prima nel 1955
nel Seminario II sull’Io, così come l’anno seguente nel Seminario su “La lettera rubata”. Perché
riprende questo racconto nel ’71? Nel suo approccio logico alle impasse radicali del sessuale, si
tratta di mettere in tensione i due operatori della sessualità: la lettera ed il sembiante.
La lettera di Edgar Poe
Per nostra memoria, riassumiamo il racconto di Poe. All’insaputa di suo marito, la Regina riceve
una lettera di cui ignoriamo il contenuto – come tutti i protagonisti della storia. Poco importa
l’accesso al senso: è sufficiente sapere che la lettera è compromettente, poiché essa circola nel
Palazzo senza che il Re ne sia informato. La Regina ha rotto il patto protocollare di fedeltà che
unisce la coppia reale. La suddetta lettera viene successivamente rubata da un indelicato ministro
che intende assumere una posizione di potere. La Regina conosce perfettamente l’identità del suo
volere e teme che informi il Re. Essa è vittima di una forma di ricatto, anche se il ministro non
chieda nulla di particolare e si guardi bene dallo svelare la lettera. La suspense si prolunga. La
polizia sollecitata si rivela incapace di recuperare il prezioso oggetto malgrado una perquisizione
approfondita della casa del ladro che si diverte a tenere in scacco il Prefetto. Il ministro è un
giocatore. Solamente Dupin, un detective privato, riesce finalmente a trovare la lettera lì dove la
polizia ha fatto fiasco. Il segreto del successo di Dupin è il seguente: la lettera non è nascosta in
qualche sofisticato nascondiglio come la polizia si ostinava a pensare. E’ lì dal ministro alla
vista di tutti, ma è stata semplicemente camuffata. Il ministro aveva calcolato che la polizia non
avrebbe fatto un tale calcolo a causa di un accecante dogmatismo professionale. Però aveva
dimenticato che uno spirito più aperto come quello di Dupin avrebbe potuto sventare il suo
disegno. Dupin si rivela più forte al gioco dell’intersoggettività. Egli riesce a recuperare la lettera
all’insaputa del ministro che si ritrova così nella posizione del ladro derubato. Lo stesso Dupin
sottrae la lettera non senza rimpiazzarla con una lettera somigliante ma falsa al fine di illudere il
ministro il quale scoprirà l’inganno più tardi.
11
Intanto che la lettera vera ritorna tra le mani della Regina, il ministro fregato scoprirà
tardivamente la lettera falsa nella quale Dupin ha lasciato una firma sotto la forma di un oracolo
tragico. Dupin si rallegra del tiro giocato: si vendica così di una vecchia umiliazione che il
ministro gli aveva una volta inflitto. La vendetta è un piatto che si mangia freddo e tutto è bene
che finisca bene per la Regina.
Negli anni ’50, Lacan vedeva nella lettera rubata una metafora delle avventure del significante
nel soggetto. Dal momento che il soggetto è attraversato dal significante diventa differente. E’
ciò che succede nel racconto di Poe a tutti coloro che vengono in possesso della lettera: si
trasformano. Lacan ne fornisce numerosi esempi nella sua lettura del racconto. E’ il Lacan
strutturalista che promuove il soggetto come effetto del significante e della sua circolazione.
Nel 1971, la lettera opera sempre una trasformazione in colui che la detiene: Lacan dice che ha
un effetto di femminilizzazione, ciò necessita una precisazione. Per giungere ad una tale
conclusione Lacan deve supporre un cambiamento del valore allegorico della lettera del racconto
di Poe: essa cessa di essere una lettera e diviene un sembiante, questo fatto ha un’altra portata.
La lettera ed il fallo
La lettera materializza in effetti il sembiante per eccellenza: il Fallo. Certo, il Fallo conserva
come in precedenza la dimensione significante, ma perché adesso occupa la funzione di un
sembiante? Il sembiante è un simbolo particolare: ha la proprietà di venire al posto del reale,
grazie ad un effetto di agganciamento dell’immaginario. Esso fa splendere il reale inaccessibile
un po’ come in “un’illusione ottica” (trompe-l’œil) ma, in effetti, si oppone al reale. Questo è
l’effetto principale del sembiante. Più esattamente, è a causa del sembiante che il reale ci è
inaccessibile. Prova ne è che quando il sembiante non opera il reale irrompe nell’esperienza
soggettiva come un maremoto – ne è testimone l’esperienza psicotica.
In Un discours qui ne serait pas du semblant, il Fallo obbedisce a questa logica del sembiante.
Da un lato designa la sola soddisfazione erotica possibile tra i partner. Dall’altro lato viene al
posto del godimento reale, quello che esisterebbe se il rapporto dell’essere parlante con l’altro
sesso fosse possibile – ma non è così. Il Fallo fa obiezione al godimento dell’Altro sesso.
Perché è così? Nell’ordine della sessuazione la posizione maschile come la posizione femminile
non dipendono né dall’affermazione significante del genere – diciamo dallo stato civile – né dal
destino accordato dalla genetica o dall’anatomia. Le posizioni sessuali dipendono unicamente dal
modo in cui l’essere parlante si posiziona in rapporto al significante fallico che Freud assimilava
ad una funzione: la castrazione, correlativa dell’Edipo. Così la sessuazione è determinata a
partire da un simbolo, da uno solo, che vale come sembiante perché divide l’umanità in “due
metà”, secondo l’espressione di Lacan. Questa posizione varia con il sesso. Dal lato maschile, il
godimento dipende interamente dalla soddisfazione fallica. Dal lato femminile si ha una dualità.
Da una parte, in quanto soggetto del significante, una donna è alle prese, come nell’uomo, con la
soddisfazione fallica. In fondo, Freud non diceva cosa diversa affermando che non c’è che una
sola libido, di essenza fallica, che si sia uomo o donna. Inoltre, la libido freudiana non mette in
rapporto il soggetto con l’altro sesso ma con un oggetto pulsionale. Non permette la scrittura di
un rapporto. D’altra parte, un intero versante dell’essere femminile sfugge alla logica maschile
del soggetto e si confronta con un supplemento di godimento: il godimento Altro. In effetti,
l’esperienza femminile ci insegna la presenza enigmatica di un’esperienza corporale al di là del
Fallo. Una sola certezza: essa non è complementare al godimento fallico. In altre parole, il
godimento femminile non si può inscrivere in un rapporto col godimento fallico. Insomma, il
rapporto tra i sessi non si può scrivere.
Per tutte queste ragioni Lacan ha parlato di “una commedia dei sessi” in cui lo scenario è
prodotto da un gioco di sembianti. Nel racconto di Poe, il legame tra il Re e la Regina è dettato
12
da un protocollo, cioè da un codice di sembianti. Per commedia s’intende che i partner entrano in
relazione attraverso un fantasma, condito a sua volta dal godimento fallico di ciascuno.
Quest’ultimo concerne il rapporto del soggetto al proprio corpo, niente di più. La relazione tra i
sessi è così ridotta alla coesistenza di due godimenti fallici “autistici”. In questo, il passaggio
obbligato attraverso il Fallo permette certamente un legame tra i partner, ma questo sembiante
organizzatore fa ostacolo a quello che sarebbe il godimento di ciascuno con l’altro sesso. In un
certo modo, la sesta lezione del Libro XVIII getta le basi delle formule della sessuazione che
giungeranno a maturazione due anni più tardi, nel 1973.
Queste formule non scrivono il rapporto sessuale ma l’impossibilità di scrivere tale rapporto. E’
una scrittura dell’impossibile scrittura. Per riassumere: la ripartizione dei sessi si organizza a
partire da un sembiante unico che non permette di scrivere un rapporto tra essi se non attraverso
un legame fantasmatico. Non c’è dunque da stupirsi se la soddisfazione derivante dagli scambi
sessuali sia essa stessa un sembiante. Dire che l’unico godimento permesso è quello fallico non
invalida la qualità dell’esperienza erotica. Essere nel sembiante non significa “fare sembiante”,
né “fare come se”. L’autenticità del vissuto passa sempre dal sembiante.
Diversi anni prima, nel seminario sul transfert – Libro VIII – Lacan già evocava la funzione del
Fallo come sembiante, senza qualificarlo come tale. Affronta la questione dell’amore mitologico
tra Eros e Psiche che incarna l’anima. Questa storia è attribuita nel secondo secolo ad Apuleio ne
L’asino d’oro. L’armonia è perfetta tra i due amanti, diciamo che il rapporto sessuale esiste nel
reame degli Dei. Questo rimane tale fin tanto che Psiche non cerca di umanizzarsi, ossia ciò che
a questo punto la fa godere. Tale è la condizione imposta dall’amante divino. Per mantenere la
sua felicità assoluta, Psiche non deve interrogarsi e accontentarsi delle visite notturne di Eros
che, nell’oscurità della notte, dimora invisibile agli occhi della sua amata. Ahimè! Influenzato in
modo nefasto dalle proprie sorelle, contaminato dalla parola, sopraffatto dal dubbio proprio
all’impatto del significante, Psiche decide per la sua più grande infelicità di trasgredire il patto.
Un quadro italiano realizzato da Vasari nel sedicesimo secolo Psiche sorprende amore
rappresenta la scena. Psiche, con la lampada in mano, si china sul corpo di Eros addormentato.
Cosa vuole scoprire? Lo sguardo della giovane donna è orientato in direzione dell’apparato
genitale del suo amante ma noi ignoriamo quello che vede perché il pittore ha piazzato nel primo
piano della tela un bouquet di fiori. Lo spettatore non può dunque vedere ciò che vede Psiche tra
le gambe del dio. Lacan ne deduce che Psiche non s’accorge nient’altro che di una discordanza
deludente tra ciò che sperava e ciò che trova. Che lei osservi un semplice pene o un posto vuoto,
poco importa! Ciò che lei vede non sarà mai il fallo nascosto e misconosciuto che la faceva tanto
godere. In un certo modo Psiche constata un buco nel corpo di Eros, nel senso che il fallo cercato
non è visibile: è un simbolo di natura significante, cioè qualcosa di irrappresentabile in modo
realistico nella pittura. Lacan considera che il bouquet è una soluzione elegante per rappresentare
ciò che non si può in alcun modo rappresentare – giacché non c’è nulla da vedere. In effetti, il
bouquet è una creazione manierista nello stile delle composizioni di Arcimboldi che, a partire dai
fiori o dai frutti, rappresenta un viso senza che realmente si abbia un viso, poiché non si tratta
che di un assemblaggio di vegetali. Nello stesso modo i fiori materializzano il sembiante fallico
che altrimenti non sarebbe visibile: allo stesso tempo mostra e maschera un impossibile da
rappresentare. Il pudore lacaniano consiste nel velare non la presenza oscena di un pene ma
un’assenza radicale sull’immagine: il fallo non specularizzabile. In modo che il velo diventi esso
stesso sembiante di una presenza invisibile. Viene al posto di ciò che non c’è.
Psiche è sconvolta dalla delusione al punto di risvegliare il bel Eros il quale non le perdonerà tale
oltraggio: abbandonerà la sua amata. Nello stesso momento in cui il Fallo viene rivelato come
sembiante, Psiche diviene un’anima in pena, ossia un soggetto diviso, confrontato oramai ad un
rapporto sessuale impossibile. Per lei la felicità degli Dei è finita!
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Questa storia prefigura la funzione logica del sembiante come organizzatore dell’incontro
sessuale tra gli esseri viventi. Però, tutti gli esseri viventi non si equivalgono. Negli animali la
relazione è codificata da dei segnali che funzionano come dei sembianti immaginari. Lacan non
dice che i sembianti sono dappertutto nella natura? Ma i segnali del mondo animale sono fissi,
questo giustifica l’approccio etologico alla copulazione. Niente di tutto questo negli esseri umani
nei quali la situazione si complica a causa del linguaggio e della parola. Noi sappiamo dopo il
Seminario V ed il testo contemporaneo su “La significazione del fallo” che il fallo è una
macchina che produce una profusione di significazioni a partire dal significante. Le
significazioni che si generano, estremamente variabili, si oppongono alla garanzia assoluta dei
segnali propri del mondo animale: negli esseri umani le deviazioni sono possibili. L’universo
della significazione squalifica la validità di una sessualità umana basata su comportamenti
affidabili e programmati.
L’etologia umana non ha alcuna pertinenza sulla questione sessuale a causa del sembiante fallico
e dei suoi effetti. Tale è l’incidenza del sembiante nel cuore della sessualità che esso ci condanna
alla commedia dei sessi con i suoi fallimenti, i suoi errori, i suoi scivoloni ma anche le sue
felicità e le sue gioie.
La lettera e la femminilità
Lacan afferma che la lettera ha un effetto femminilizzante. Nel racconto di Poe ogni volta che un
personaggio si appropria della lettera presenta una modificazione inedita del comportamento nel
quale Lacan reperisce un tratto di femminilizzazione. Rimarchiamo che il Re è l’unico
personaggio a non detenere mai la famosa lettera. Per tale motivo è l’unico a non essere
femminilizzato; rimane in una posizione definitiva di soggetto maschile ed è ciò, precisa Lacan,
che gli permette di dormire tranquillo.
Riassumendo, la lettura del racconto di Lacan mette in rilievo una dualità della lettera.
Da un lato materializza il sembiante fallico che rappresenta il godimento maschile insito nel
legame sessuale.
Dall’altro lato, la lettera si allontana dal sembiante fallico perché rappresenta la parte non fallica
del godimento specifico della femminilità. Un godimento che non fa legame sessuale e si prova
nella solitudine irriducibile dell’essere femminile. Su questo versante la lettera femminilizza.
Come intendere ciò?
Grazie a questa dualità, Lacan fa della lettera una frontiera: quella che separa l’universo fallico
dei sembianti dal reale di un godimento Altro situato al di là della frontiera.
Vi si può vedere annunciarsi la funzione della lettera come avente valore di un “littorale” che
delimita due versanti: il territorio fallico da un lato ed il “continente nero” della femminilità
dall’altro lato. Tra il godimento maschile ed il supplemento del godimento femminile la lettera
traccia un’interfaccia ed organizza dei legami, senza tuttavia scrivere il quoziente del rapporto
sessuale. La lettera viene a sostituirsi al rapporto sessuale definitivamente impossibile.
A causa del fatto stesso di essere un bordo la lettera femminilizza, introduce l’essere parlante ad
un al di là della parola: nella circostanza alla categoria logica del “non-tutto” femminile. Essa decompleta il monopolio dell’impero fallico.
Sul piano clinico Lacan fa equivalere questa lettera al sintomo di fine cura. Il sintomo è ai
confini dell’universo dei sembianti al quale è legato per il suo valore significante. Ma quando
vacillano i sembianti, si mette a nudo il suo valore di godimento non fallico.
La lettera del sintomo non è già scritta: deve essere prodotta attraverso il lavoro della cura. Essa
si scrive col sudore di un’analisi in risposta ad un abisso, lì dove il sessuale è senza speranza.
Traduzione di Paolo Candido
14
Il velo del pudore, i sembianti e il reale
Laure Naveau
“Noi chiamiamo sembianti ciò che ha la funzione di velare il niente.
In questo, il velo è il primo sembiante”.(J.A.Miller)
Durante un’analisi, la difesa si può manifestare nascosta dietro gli aspetti della barriera del
pudore e ostacolare così una presa in carico, dell'incapacità della verità in confronto al reale
senza la legge del godimento. Alla fine del suo insegnamento Lacan definisce la passe come una
“storicizzazione”1, cioè come un racconto, da parte di colui che fa la passe, della sua analisi che
diventa semplice storia da raccontare. Hebe Tizio diceva che questo racconto permette di vedere
come si sono costruite le finzioni a cui si è dato il valore di verità 2. Situare di nuovo l'affetto del
pudore nel contesto de la passe riguarda infatti il passaggio dal privato al pubblico della
testimonianza dell'AE, questo AE, di cui Lacan ha potuto dire, nel 1980, che “per essere un AE
all'altezza” (...) ”occorre almeno che (lui) lo apra”3. Che attentato al pudore si troverebbe allora
in questa impresa dal momento che ci si appoggia su questa indicazione di Lacan secondo la
quale “ il ben dire non è governato se non dal pudore”?4.
Noi proponiamo di situare questo pudore tra una rivelazione di ciò che copriva un vuoto e si
chiama sembiante, e una misura del limite del dire e dell’incurabile che chiamiamo “sinthomo”.
Di un pudore che non sarebbe “io non voglio saperne nulla”…
Considero che una scelta politica decisa che fa parte di una trasmissione del mathèma e del dire a
metà presiede a questa arte della testimonianza dell'AE. L'esercizio deriva dalla messa in atto
dell'oggetto e delle sue conseguenze. Aver fatto superare il godimento rispetto alla compatibilità
significa in qualche modo che il famoso dire tutto, proprio della modernità e portatore di una
certa impudicizia, è passato al dire bene della fine dell'analisi, ad un “non dire tutto” depositario
di una giusta distanza con la verità, tra apparenza e reale. L'Aïdos e la Diké rappresentano per
Platone l'eccellenza o virtù politica. È una definizione di ciò che è politico dove il pudore e la
giustizia determinano il rispetto delle regole del gioco pubblico. Al contrario, Aristotele vede nel
pudore non una virtù, ma una fermata, un Pathos, un'affezione che implica il corpo piuttosto che
una disposizione dell'anima. Egli ne attribuisce la causa all'incrociarsi degli sguardi.
La bibbia evoca la nascita di questo affetto nella Genesi legandolo all'errore e alla colpevolezza:
occorre che siano colpevoli ” perché i loro occhi si aprano e vedano che sononudi”. Noi
conosciamo le leggende del velo e dello svelamento con Diana, Suzanne, Shéhérazade,
rappresentate nell'arte. Ma che cosa ci indicano questi personaggi per quanto riguarda
l'esperienza de la passe e la testimonianza dell'AE?
1
2
3
4
Lacan J, “Préface à l'edition anglese de le Séminaire XI” , Autres Ecrits.
Hebe Tizio, Paper 3, Reveau de l'Ecole Une
Lacan J. Il Seminario Libro XXVII, “ Dissolution”, lezione del 18 marzo 1980.
Lacan J. Il Seminario Libro XXI, “ le non-dupes errent”, lezione del 12 marzo 1974, inedita.15
Il visibile e l'invisibile
(…) “ (il pittore) sembra ci dica che l'arte non ha la funzione di rendere visibile, tranne quello
stesso che, in conseguenza alla legge, dovrebbe rimanere invisibile” diceva un filosofo
interrogato nel 1971 dalla rivista freudiana “L'Asino” 5.” É la mancanza- il senso di un reale del
tutto privo di senso- che una certa arte ha voluto mostrare nel XX secolo” gli risponde Gérarde
Wajcman, che indica i due paradigmi di questo accesso al reale nel Carré Noir di Malévich e nel
film Shoah di Claude Lanzmann6. Il compito essenziale assegnato all'arte del XX secolo è per
Lanzmann di dare accesso a ciò che non si saprebbe vedere, mostrando nel contempo in modo
preciso che “è avvenuto proprio quello che non ha potuto essere visto, né ha voluto essere
conosciuto dall'umanità”7. Questa “arte del reale” si oppone a quella ereditata dalla pittura del
Rinascimento, che contiene, dice Wajcman, una passione per l'immagine. E se il “Carré Noire è
un oggetto che mette in scena la mancanza di oggetto”, Shoah è l'oggettto che mostra ciò che non
ha immagine e nessuno ha visto, che occupa quindi una funzione di testimonianza nella storia
dell'indicibile. Shoah è una testimonianza, ma il punto importante è in questo, che con il discorso
analitico, Jacques Lacan porta una risposta alla questione di ciò che non è rappresentabile ed è
indicibile, sotto la forma dell'oggetto a :”Come far entrare l'impensabile nel pensiero, il non
rappresentabile nella rappresentazione, l'assenza nella presenza, etc. L'oggetto a, è la risposta
(…) a, una piccola lettera, attraverso la quale Lacan, nella psicoanalisi, ha scritto che il non
rappresentabile, l'impensabile ha avuto luogo in questo secolo.8
Il pudore dell’oggetto a è quindi inscritto, come lo era già quando Lacan formulò il matema a / (φ) dell’assunzione della castrazione che è uno dei risultati della fine dell’analisi.
Dall’invisibile all’indicibile
“Ciò che è supportato da questo oggetto, è giustamente quello che non può svelare, fosse pure a
se stesso, è qualcosa che si trova lungo il bordo del più grande segreto”9.
E tuttavia, l’AE che questo oggetto a, lo ha individuato, ha colto l’impossibilità di potercisi
identificare, si esercita nel trasmettere un resto, una traccia.
Noi potremmo dire che ha lasciato cadere en-trop di godimento che questa traccia contiene per
rendersene responsabile. Caduta e assunzione. Come l’artista che crea un’opera, l’AE cerca di
rendere conto di qualcosa che non avrebbe più che una consistenza logica e operatoria.
Attraverso la sua testimonianza, l’AE cerca di iscrivere la parte di esperienza più singolare del
percorso analitico in un processo trasmissibile (transferale?) che si oppone a ciò che non si può
dire che, tuttavia, gli ha permesso di trovare una certa distanza dall’esperienza passata.
Nello stesso tempo l’AE è ancora molto implicato per pensare di poter parlare con precisione, e
allo stesso tempo ne è già distaccato, condizione che lo autorizza a parlare con pudore. Questo
perché ha lasciato il pathos che, come ha descritto Aristotele, diventa la sua impudicizia, per
estrarne il tratto che isola e veste, nello stesso tempo, il reale del caso.
Questa trasmissione di chi è divenuto il residuo di un caso, il suo, ne fa un poema epico e ne
valuta i punti vivi, affinché possa emergere il punto in cui è implicata la sua parte in ciò che gli è
5
6
7
8
9
Delacampagne C., L'Anê, rivista Freudiana n°48, 1991
Wajcman G., “l'art, la psychanalyse, le siècle”, Lacan, l'écrit, l'image, Paris Champ Flammarion
2000, pp.27-53
Wajcman G. L'interdit, Paris, Denoël 1986, et L'objet du siècle; Verdier 1998, p.15
Wajcman G., “ L'art, la psychanalyse, le siècle”, loc. cit, p.53
Monribot P., “ La pudeur originelle ”, Lettre mensuelle de l’ECF, n°198, mai 2001, pp.20-24
16
capitato– per esempio, lasciando dire, lasciando fare, cancellandosi davanti a ciò che non gli
andava bene.
Il pudore è in relazione con la vergogna, nel senso di una vergogna anticipata, di un rifiuto
preventivo di ciò che si considera come una debolezza o una cosa ridicola.
Una barriera messa allo stesso modo davanti all’impudicizia dell’altro. Ciò che mi interessa oggi,
di più che il pudore del corpo e dell’immagine che rappresenta il corpo, riguarda ciò che i
sociologi chiamano” il pudore delle parole”, il pudore del linguaggio che evoca anche il campo
del tabù.
Il tabù ebbe delle conseguenze maggiori sulla lingua dal momento che, attivò la censura su delle
parole, su dei libri, su delle sillabe attraverso la scorciatoia della pubblicazione degli indici delle
opere da epurare. Al sommo dell’ironia il saggista ci dice, il 22 marzo 1745, il vaticano mise la
Bibbia all’indice, perché l’Antico testamento è stato considerato come l’antenato della letteratura
erotica! ”Quello che offende le caste orecchie più che la parola o il suono, è l’associazione
incoscia di una lingua appresa nella culla e di realtà giudicate oltraggiose. Si fa di fronte ad una
lingua giustamente chiamata “materna” un vero e propio complesso di edipo. La parola
grossolana prende l’andamento di una scena primaria come se venisse rivolta a nostra madre
attraverso la lingua che lei ci ha insegnato”10.
Nell’ambito della politica si pensa al riferimento di Lacan a Leo Strauss e al suo libro “
Persecuzione e l’arte di scrivere”11, dove l’autore rende conto del modo in cui gli autori implicati
hanno, in ogni tempo, davanti alle censure e ai divieti inventato un’arte di scrivere che dice tra le
righe12. Ma ci si riferisce soprattutto a Freud che ha prodotto sul pudore lo straordinario
passaggio sul Witz commentato qualche anno fa da J.A. Miller al suo corso La fuga del senso.
Le donne e le apparenze
“(…) Il motto di spirito tendenzioso può provocare non eccitazione ma vergogna e imbarazzo,
reazione all’eccitazione e segnale di quest’ultima (…) E’ come una messa a nudo di una persona
sessualmente differente a cui si rivolge dal momento che ella si oppone a rappresentarsi la parte
del corpo o l’atto in questione (…). Nella donna l’inclinazione all’esibizione passiva si trova
quasi regolarmente ricoperta dalla grandiosa realizzazione reazionaria che costituisce il pudore in
materia sessuale, con una via di uscita nell’ambito delle usanze (…). Nel Witz la donna è
denudata davanti i terzi ascoltatori davanti la cui libido è soddisfatta senza sforzo. Mostrare in
parole la nudità non velata procura del piacere al primo, l’autore e fa ridere il terzo l’ascoltatore.
Al contrario il mezzo di elevare la scurrilità all’altezza dello spirituale è l’allusione, cioè la
sostituzione di una cosa da un piccolo elemento che intrattiene con questa cosa delle relazioni
lontane e a partire del quale l’ascoltatore ricostruisce un’idea, quella che è una totale e franca
oscenità”13.
La tendenza del Witz è quindi quella di soddisfare una pulsione saltando l’ostacolo.
E’ in questo che per Lacan, la passe ha delle affinità con il Witz e porta l’analista all’entusiasmo
come il Witz porta l’ascoltatore a ridere. Ma lo ostacolo che, secondo Freud sbarra la strada alla
donna resta “ la sua incapacità di sostenere il sessuale quando non è velato”. Ed ecco che siamo
rimandati al nostro soggetto.
Bologne J.C., op.cit., p.321
Lacan J., “L’istanza della lettera nell’inconscio”, in Scritti, a cura di G. Contri, Torino, Einaudi, 1977, 2
Vol.
12
Strauss L., La persecution et l’art d’écrire, Paris-Tel-Aviv, l’Eclat, 2003/ Léo Strauss, "Scrittura e
persecuzione", Marsilio, 1990
13
Freud S. Le mot d’esprit et sa relation à l’inconscient, Paris, Gallimard 1988, pp.185-196/ Sigmund
Freud, "Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio", Bollati Boringhieri, 1980
10
11
17
J.A. Miller non diceva forse, a proposito delle donne e delle apparenze che “ E’ una
preoccupazione costante dell’umanità di coprire le donne? Noi chiamiamo sembiante ciò che ha
la funzione di velare il nulla. In questo il velo è la prima apparenza, il primo sembiante” 14. Miller
sottolinea così il paradosso del pudore che secondo Freud vela l’assenza ma nello stesso tempo
costituisce questa assenza come qualche cosa, dando origine così all’atto di velare come
creazione, nascita: “ (…) le variazioni storiche del pudore ce lo dimostrano, è un’invenzione che
attira lo sguardo a causa della sua localizzazione. Si potrebbe dire anche che fallicizza il corpo
(…), e così si dimostra che l’utilizzo del velo è fallicizzante”15.
Se Lacan ha potuto dire dell’analista che è il residuo di una umanità che non vuole sapere nulla,
forse è di un attentato al pudore dell’umanità che l’analista è responsabile quando vuole sapere?
Lacan fa dell’analista il modello della caduta del romanzo di Freud, dei suoi amori con la verità
che condivide con un’isterica.
L’analista rappresenta quindi questo residuo dell’umanità in quanto ha acconsentito a superare la
barriera del ritirarsi in se stesso e di un certo pudore.
Se il sapere in gioco nell’operazione analitica concerne il fatto che non c’è rapporto sessuale che
si possa scrivere, allora ciò che spinge all’entusiasmo colui che supera questa passe del sapere,
risiede nel fatto di contribuire a un sapere su ciò che non c’è, col il pudore dell’oggetto a, e di
dimostrare che se questo rapporto è impossibile a scrivere non è dimostrabile ma neanche
rifiutabile.
Questa verità non dimostrabile né rifiutabile Lacan la qualifica come: pas-toute la donna che non
esiste una verità che di conseguenza noi non possiamo che dire a metà. E’ da questo posto del
dire a metà della verità che parla colui che è stato chiamato AE, e a partire da questo posto egli
inventerà un sapere altro da quello della scienza e così aumenterà le risorse della psicoanalisi.
Così si può porre un postulato: a partire della storicizzazione, il dire a metà della verità, che
contiene l’oggetto a è l’altro nome del pudore.
Considerando la “y” lacaniana dell’ultima versione della passe16, quella che apre verso la
creazione, verso la poesia, verso il Witz, il gioco di parole di Lacan ci si trova come un invito
all’invenzione poetica.
L’arrivo di Freud
L’arrivo di Freud e della psicoanalisi si riferisce di più alla liberazione del linguaggio che a
quella dei costumi. Una citazione formidabile di Andrè Gide rende omaggio a Freud nel suo
diario: ” quello di cui io vi devo essere riconoscente, è di avere abituato i lettori a sentire trattare
certi soggetti senza doversi risentire ne arrossire. Quello che ci da soprattutto è dell’audacia; o
più esattamente egli allontana da noi un certo falso e imbarazzante pudore”17.
Più tardi, nel Manifesto surrealista, si può leggere “che ognuno fa la sua arte a modo suo ” 18. Con
l’esempio del Dada, in effetti, sembra che il principio della creazione, di questa Cosa inventata
dal ostiario, ex-nihilo, a partire da nulla, conferisce al pudore, al di là della sua operazione
necessaria di mantenimento dei sembianti tra i sessi, la funzione di velare ma anche quella di
rivelare il nulla che abita ciascuno.
Miller J.A., “ Des semblantes dans la relation entre les sexes ”, La cause freudienne nà36, mai 1997,
p.7.
15
Op.cit. p.7-8
16
Miller J.A., “ Le lieu et le lien”, 2000-2001, ccours de l’orientation lacanienne, prononcé dans le cadre
du département de psychanalyse de Paris VIII, leçon du 23 mai, inédit.
17
Gide A. Journal, T.II, Bibliotethèque de la Pléiade, 1951, p.785.
18
Tzara T., “ Le manifeste Dada 1918”, L’ Œuvres Completètes, Paris, Seuil, 1986, p.146./ Tristan Tzara,
""Manifesti del dadaismo e lampisterie", Einaudi, 1975
14
18
Come fa la Cosa e come fa l’arte. Velo o maschera, Lacan sostiene che “solo la maschera
esisterà in questo posto vuoto” là dove mette la donna 19, che, dietro a questo velo “vuole essere il
fallo”.
E di colpo facendo sorgere il nulla ai fianchi della Cosa come Lacan nella sua Etica20, sembra
presentarsi un paradosso, poiché si tratterà di dire o non dire la Cosa. Con il termine di
storicizzazione che indica la prova della passe viene proposta una nuova operazione creativa
sulla lingua che tiene conto della “sola idea concepibile dell’oggetto“ cioè “quella della causa del
desiderio, cioè di ciò che manca”21.
Risolvere il paradosso del pudore secondo la passe
Se Lacan inventa la passe, pochi anni dopo il Seminario XII, dove parla di un “orrore
insuperabile”, e di un “sapere che si rifugia in questo luogo che noi chiamiamo il pudore
originale”22, testimonia del suo desiderio che gli analisti dell’ École possano intrattenere con il
sapere un rapporto che non sia più fondato su questo orrore insuperabile, che il fantasma ha la
funzione di mascherare, in conclusione se manifestano di aver superato questo orrore di sapere,
per rendere conto del loro atto, quello di essere analista e di questo superamento, essi ne facciano
testimonianza all’ École, per far progredire la Psicoanalisi. Nessuna impudicizia c’è qui per
testimoniare di un atto che è superamento dell’orrore di sapere verso il desiderio di sapere e
coinvolgimento di sé nella causa della psicanalisi. Del coraggio. Piuttosto di partire da soli con il
suo piccolo tesoro in tasca, posizione qualificata da Lacan come cinica, l’AE decide di renderne
conto alla comunità. Questo piccolo tesoro, segreto indicibile comune ai membri della Setta
della Fenice, Lacan lo chiama non rapporto sessuale. E’ questo punto di orrore, il punto di
sapere, misto del rapporto che non c’è e dell’oggetto che c’è, che è vissuto dall’umanità come
violazione del pudore originale.
Apologo del pudore
La virtù del pudore sarebbe, quindi, di prendere parte alla risposta del soggetto al reale di ciò che
ha scoperto e di cui accetta di farsi messaggero alato. Il pudore mostra e vela insieme questa
scoperta. “Il pudore originale è etico, nel fatto che si oppone al pudore morale, quello del
fantasma, e che suppone l’inesistenza dell’Altro (…) Unire l’estrema audacia all’estremo pudore
è una questione di stile”23. In questo punto di audacia preciso, l’AE è atteso. In Kant avec Sade,
Lacan indica che “l’oggetto rimanda all’impensabile della Cosa in sé”. Nella passe, questo
impensabile non è svelato come se fosse “il Dasein (presenza) dell’agente del tormento”, né
viola il pudore dell’altro, né “accaparra alcuna volontà”24. L’AE non è né cinico né perverso. E’
la vittima di certe apparenze
(sembianti), condizione perché egli osi far intendere ciò che ha
Lacan J., “ Préface à l’iéveil du printemps”, Autres Ecrits, p.563. / Jacques Lacan, "Prefazione al
risveglio della primavera", in "La cosa freudiana e altri scritti", traduzione di Giacomo Contri, 1972
20
Lacan J., Le Seminere Livre VII “ L’éthique de la psychanalyse”, Paris, Seuil,1986, p.146/L'etica della
psicoanalisi, 1959-1960 / Jacques Lacan; testo stabilito da Jacques-Alain Miller; edizione italiana a cura
di Antonio Di Ciaccia. - Torino : G. Einaudi, 2008.
21
Lacan J, “Préface à l'edition anglese de le Séminaire XI” , Autres Ecrits, op.cit. p. 573 / Jacques Lacan,
Prefazione all'edizione inglese del Seminario XI, in "La Psicoanalisi", 2004
19
Lacan J., Le Séminaire Livre XII, “ Problèmes cruciaux pour la psychanalyse ”, Leçon du 19 mai 1965,
inédit.
23
Monribot P., “ la pudeur originelle”, op cit.,p.24
24
Lacan J., “ Kant avec Sade”; Ecrits, Paris, Seuil 1996, p.772 / Jacque Lacan, “ Kant con Sade ”, in
Scritti, a cura di G. Contri, Torino, Einaudi, 1977
22
19
dimostrato nella soluzione del suo impasse e della sua capacità di occupare il posto di analista
per degli altri. Una nuova certezza emerge, la mancanza diventa il nuovo pudore dell’AE. La
mancanza di sapere toglie dal gioco l’attentato al pudore, poiché il soggetto ne ha fatto il suo
essere e perché si è riconosciuto in ciò che aveva tentato di negare, sotto le sembianze
dell’oggetto a, che è il resto. Non gli rimane insomma, di ciò che aveva sostenuto nella sua
supposizione di sapere, che la sua enunciazione e il suo transfer di lavoro all’ École, i soli punti
di appoggio per tentare di rendere conto di una falla e per distinguere ciò che la aveva appena
riempita per lui. Senza omettere la barriera necessaria al dire tutto, l’AE non è più, per esempio,
la donna terrorizzata, la territa che allarga le braccia in un gesto di smarrimanto davanti a ciò che
ha visto, né quell’innamorata che si dedicava a salvare il padre e così a riempire il mistero del
non rapporto. Aver superato questa passe, significa essere diventati una voce che non fa più
soffrire perché è vuotata del suo senso patogeno. Si tratta di essere diventata uno sguardo portato
sul mondo per prendervi parte. Si tratta di accettare un corpo e la lingua che lo distingueva. Dopo
essersi alleggerite da ciò che l’affascinava, la rallentava o la atterriva, non gli resta che da
inventare un sapere su questo rapporto che non c’è. Il transfert trova come risolversi quando
colui che è in analisi raggiunge il limite di un dire, di cui è divenuto possibile farsi l’autore.(è per
li divenuto possibile essere l’autore).
Il limite del dire
E’ da questo limite del dire che procede la storia di cui non si avrebbe vergogna di dire che si
riduce a un y, diventato pudore attraverso una operazione di linguaggio che ha rimesso il velo su
ciò che aveva denudato le apparenze. Lacan diceva, nella sua Etica, di “aver incontrato questo
limite dove si pone tutta la problematica del desiderio, colui che è in analisi ha conquistato
nell’analisi la propria legge, di cui sa ormai fare lo scrutinio. Perché ha accettato questa Atè,
causa prima dell’infelicità, che ha “cominciato ad articolarsi prima di lui nelle generazioni
precedenti”25.
Di questa Até, colui che l’analizzante può farsi oratore alla fine dell’analisi, elevandola alla
dignità di una storia. Risvegliatosi dal sogno di cancellazione o di sparizione, è diventato colui
che pone la sua firma sul racconto che fa del suo essere sbarrato e della piccola trovata comica
che se ne ricava sotto forma di oggetto a. A partire da questa trovata, l’AE raggiunge la
soggettività della sua epoca e può impegnarsi in combattimenti più degni, perché la psicanalisi
non abbassi le armi davanti agli impasse crescenti della civilizzazione.
Nelle sue Nuove osservazioni sulle psiconevrosi da difesa, Freud riporta le frasi di una paziente
secondo le quali “In ogni famiglia, accadono ogni tipo di cose sulle quali si getterebbe volentieri
il velo”26. Il discorso analitico che Lacan lascerà alla storia ha prodotto questo inedito
supplementare: quello di un limite del dire e del senso di cui l’oggetto a è il rappresentante e che
gli dà il suo valore di limitazione del sintomo. Questo valore non si ottiene, se non da quello che
non si può dire. C’è un resto, territorio dell’intimo, di cui precisamente il parlessere può
acconsentire a farsi il messaggero nel dire a metà di una testimonianza per la sua École, e il
depositario nell’atto di cui è ormai responsabile.
Metterci del proprio per trasmettere la y del pudore della propria storia, è accettare che non tutto
sia simbolico. Che il simbolico può mentire. Che esiste un reale senza legge che sfugge al
simbolico e che questo reale fa il letto del godimento. Al termine della propria analisi, un nonsaputo pudico è stato messo in funzione nel soggetto supposto conoscere che ha prodotto un
25
26
op.cit.
Freud S.”nouvelle remarque sur les psychonévroses de défense“, 1896, Névrose, psychose et
perversion, Paris, PUF, 1976 p.76./ Sigmund Freud, “ Ossessione, paranoia, perversione ,Torino,
Boringhieri, 1978
20
sapere prezioso su ciò che non c’è. Inventare un sapere, non è scoprire la verità, come avviene
nell’isteria, ma un amore dell’École che non sia vano per la psicanalisi. Vi serve, come
J.A.Miller ha enunciato nel 2001, “un certo saperci fare con i cocci e i rimasugli della propria
vita appassionata in analisi”27. In ciò che egli chiamava “una metodologia della testimonianza”,
“un’epopea eroica, caratterizzata di ingenuità e di umiltà”, 28in quello che noi possiamo chiamare
una Aufhebung del suo pudore originale, al di là del ritrarsi, l’AE testimonia questo bricolage e la
ragione per cui mostra e trova soddisfazione.
Metterci del proprio, è una storicizzazione della mancanza, del marchio, della frusta del
significante che segna il soggetto e del trauma che si scatena, del piccolo a diventato in qualche
modo, dopo la passe, nella storia che se ne racconta, in questo racconto rivolto ad altri, un y,
marchio di uno sbaglio di struttura diventato poema.
Né totem, né tabù, io propongo quindi di definire il pudore della fine dell’analisi come una arma
di audacia nella civilizzazione. Un’arma propizia a trasmettere come ciascuno ha saputo
trasformare la sua modesta infelicità in un semplice sgabello, diventato leva di Archimede per
dare la possibilità alla psicanalisi di rispondere e per poter operare come analista in faccia agli
impasse della modernità.
(traduzione di Paola Zanotti)
27
28
Miller J.A., Le lieu et le lien, leçon du 23mai 2001, inédit.
Op.cit.
21
L’UOMO E LA DONNA, E LA PSICOANALISI
LEGGENDO IL SEMINARIO XVIII DI LACAN
Philippe La Sagna
Per gli esseri umani non c’è di fatto che il fatto del dire, del discorso, anche senza parole. Una
delle traduzioni ammesse di questo fatto è quella di porre la coppia come una conversazione. Ciò
che ha di mira un discorso è un effetto e gli effetti del discorso sono multipli, il fatto di
rappresentare il reale è il minore di questi effetti.
Vero o sembiante
C’è, ad esempio, tra gli altri effetti di discorso l’effetto di verità. Numerosi logici viennesi,
contemporanei di Freud, hanno voluto opporre il discorso vero al discorso né vero né falso, e
cioè a un discorso che non sarebbe altro che “sembiante di discorso”.
Da qualche parte nel Seminario XIX, “Ou pire”, inedito, Lacan può dire che la logica è l’arte di
produrre una necessità di discorso, cioè una necessità che non viene dal mondo fisico, ma dal
discorso. Noi possiamo domandarci adesso se le questioni di logica se non addirittura di
matematica possano risuonare con la sessualità umana. Gli antichi ritenevano per esempio che il
fallo fosse uno dei fondamenti dell’ordine sociale, dunque del discorso, addirittura della logica;
spesso era svelato come il grande segreto nei misteri. Non è per caso che Lacan lo pone come
gnomon negli scritti.
Lacan rimarca che l’effetto della detumescenza fallica, per l’uomo, non è senza legame con
l’apparizione del linguaggio articolato al senso della “necessità di parlare” che questa
detumescenza suscita. Il linguaggio non è qui ciò che permette di comunicare ma viene a
supplire a una funzione del corpo sottoposta a vacillamento. Per lungo tempo si è pensato il
legame del linguaggio e del fallo facendo del fallo lo scettro che fornisce il segno del comando.
A questo punto del suo insegnamento Lacan parla, al contrario, del fallo detumescente che indica
non il potere ma il difetto di godimento, come di ciò che fa parlare.
C’è il fallo
Si potrebbe pensare leggendo Freud che non ci sia che un unico godimento sessuale, il
godimento che rappresenta il fallo, con i sessi che si determinano in rapporto a esso. Questa
teoria fallocentrica ha avuto come conseguenza che le femministe dicessero che questo
monofallismo è un monoteismo più religioso che scientifico che non attribuisce alla donna che
una “fallicità negativa”1 . Ciò che qualifica l’essere umano è in effetti il fatto di non aggiustarsi
bene con il sesso e con il partner. È un ambito nel quale uomini e donne non sembrano sapersi
comportare, gli uomini soprattutto, e, in generale, sono le donne che insegnano agli uomini a
cavarsela, come ha mostrato Jacques – Alain Miller.
In un opuscolo deliziosamente sessista Sulla differenza dei sessi 2 Kant sottolinea già che per le
donne : “L’onore della donna si interessa a ciò che dice la gente, l’onore degli uomini a ciò che
pensa”. Questo fa delle donne delle logiche e degli uomini dei pensatori, all’occasione dei
22
filosofi. Le donne sono attente ai sembianti. Cosa che faceva dire a Kant che esse non
necessiterebbero di educazione dal momento che potrebbero interamente formarsi nel
“commercio sociale”. Ciò che specifica l’essere umano è che il rapporto sessuale non è iscritto
da qualche parte, cosa che rende l’identità sessuale una falsa identità, un sembiante d’identità.
L’identità è un argomento alla moda. Non si pone la questione dell’identità che colui che la
perde. Non esiste un’identità valida che quella che risulta dalla perdita assunta d’identità che
suppone l’incontro con l’Altro. Nell’ambito sessuale ci si costruisce una storia a partire dagli
insuccessi dell’incontro con l’Altro. Ciò che fa supplenza a questo rapporto sessuale, non scritto,
è ,in Freud, il rapporto di ogni soggetto sessuato con il fallo come segno, o come sembiante del
sesso. Ma molto presto nel suo insegnamento, Lacan ha potuto far notare che il fallo, se era il
segno del godimento, era anche e soprattutto il segno della significazione stessa. Quando le
parole copulano, quando i significanti vanno bene insieme, c’è in filigrana il fallo e
l’identificazione del godimento che esso procura.
Edipo e l’orda
Questo rapporto al fallo non è privo di conseguenze nei riguardi della relazione dell’uomo e della
donna con la legge e il desiderio. La legge non è per Lacan il rovescio del desiderio, è ad esso
identica; senza la legge non conoscerei il desiderio. E questa legge, per la psicoanalisi, è l’Edipo
a riassumerla. La conseguenza dell’Edipo, per Freud, è la castrazione. Nel Seminario X 3, Lacan
ci precisa che se l’uomo è ben preso nella legge e nel suo correlato di castrazione, la donna è più
distaccata dalla legge, più eccentrica, più a lato. Questo svantaggio femminile nei confronti della
legge e del desiderio cela un vantaggio. In una donna c’è una tensione fra il godimento e il
desiderio: ciò che è perso per l’articolazione del desiderio, articolazione che passa per il
significante fallico, sarà guadagnato sul piano del godimento. E questo godimento femminile,
difficile da identificare, non è riducibile, né misurabile con il metro del godimento sessuale che
rappresenta il fallo, anche se il fallo ne è qualche volta lo strumento. Per chi più è privo di un
significante che gli sarebbe proprio sarà meno rimosso il fatto che il desiderio femminile possa
avere il suo sembiante, il fallo, a portate di mano nel partner; ma è al prezzo, per il desiderio
femminile, di diventare in questo modo desiderio dell’altro.
In un primo tempo, Lacan ritiene che il fallo fornisca una realtà ai soggetti dei differenti sessi
permettendo di distinguerli attraverso la ripartizione del significante fallico. Ma il fallo ha anche
l’effetto di rendere irreali le relazioni sessuali da significare 4.
Commedia amorosa
Questa commedia fallica è pure in contrasto con la tragedia di Edipo, quella che Lacan situa
come dipendente dal “rosso sangue”, che Lacan oppone ai…… o al sembiante del discorso. In
questo modo le storie sanguinose , cariche di senso, dei miti vengono a collocarsi là dove c’è un
vuoto per il senso, un’assenza. La sventura che colpisce il sesso anche consumato è di fatto la
sua irrealtà più che le tragedie che provoca. Si potrebbe credere che, nella commedia, ci si
mantiene nel sembiante per quanto riguarda le faccende del sesso per evitare la tragedia
grondante sangue, quella dell’Edipo e quella della castrazione. Questa inibizione quasi naturale
della sessualità, del fatto della sua assenza, rende soprattutto la sessualità tragicomica. Il fallo
non è un intermediario tra i sessi, ma tra il linguaggio e il godimento del corpo. Il fallo, lontano
dall’essere un medium a livello del sesso, ha una funzione di ostacolo tra i sessi, di “obiezione di
coscienza” alla relazione dei sessi.
Nel Seminario XVII 5, Lacan definisce il fallo come godimento sessuale coordinato al sembiante
sotto la forma del significante fallico. Non bisogna confondere troppo presto fallo, significante
23
fallico e funzione fallica. La funzione logica del fallo appare come quella di fare ostacolo al
rapporto sessuale, alla sua scrittura.
Logica isterica
Non sapremmo tutto questo sull’Edipo e la funzione fallica se non ci fosse l’isterica. L’isterica è
qualcuno che ci mostra il godimento del fallo colto dall’angolatura del suo rifiuto di goderne.
L’isterica mostra un desiderio insoddisfatto che rifiuta il sembiante del godimento che
rappresenta il fallo, ma si serve di esso per significare il desiderio. In effetti, cerca un godimento
più assoluto che dunque non sia ridotto, e neppure dovuto a questo sembiante fallico. Il
godimento del fallo, in effetti, è il sembiante del godimento o il godimento del sembiante, quello
delle parole, ed è fuori dal corpo. Questo godimento fallico è ciò che è richiesto nell’amore; ma
l’amore è anche lì per verificare che il godimento non è che sembiante per quanto riguarda la
domanda d’amore che non si ferma alla domanda del fallo. Il godimento fallico permette dunque
di far esistere, attraverso l’amore, un Altro godimento, un godimento al di là del fallo. Questo al
di là suppone l’esistenza di un godimento posto come assoluto, come sottolinea Jacques – Alain
Miller nel suo commento al Seminario XVI 6. L’isterica pone il legame stretto del soggetto con
questa posizione di esilio del godimento.
Momento di verità
Colei che arriva a cogliere il rapporto del fallo come sembiante con la realtà sessuale non è
l’isterica, è una donna. Lacan situa il momento di verità che rappresenta una donna per un uomo:
lei può misurare il sembiante fallico rispetto alla “verità” sessuale. Non è una questione di
prestazione ma di logica, perché la donna rappresenta il momento della verità più che la verità
stessa.
La commedia dei sessi non elimina l’angoscia, perché c’è il momento in cui si smette di ridere.
La castrazione stessa non sarebbe nulla senza questo punto di incontro tra l’uomo e il momento
di verità. Se si parla di momento di verità per ciò che concerne il sesso, al seguito di Lacan, è
proprio perché si tratta di verità e di menzogne nel sesso. È in effetti un ambito nel quale la
donna può mentire. Kant l’aveva già sottolineato: “ Le donne studiano facilmente gli altri, ma
non sono così facili da studiare loro stesse, divulgano facilmente i segreti altrui ma nessuno
strappa loro i loro segreti, in particolare quelli che concernono la loro persona.” Se la donna è
garanzia della verità dei rapporti del godimento e del sembiante, è questo che la pone come
imparziale, e cioè meno presa nel discorso, nella legge e nel sembiante dell’uomo, e dunque più
suscettibile di farsene un’idea. È quindi il suo posto logico nel discorso che le conferisce
autorità, anche se questa logica va più verso la questione del godimento dei corpi.
La donna è dunque il supporto di una verità al di là del sembiante fallico. Il sembiante non
cancella dunque la verità dal momento che è una donna che “gli da il suo posto”. È dunque la
donna che verifica il peso fallico dell’uomo ed è lei che può, come sottolinea Lacan, donarne
d’autorità uno a colui che non ne ha nessuno. La donna “fa” l’uomo, cosa che vuol dire che lo fa
valere a suo piacimento. Ma la donna gode anche del fallo; è ciò che Lacan poneva nel
Seminario IV con la dimensione di ingetto del fallo per una donna. Una donna ne gode anche con
il corpo, se ne soddisfa dunque, non foss’altro per il fatto che esso serve da trampolino per il suo
godimento al di là, quello che non parla. Ma non bisogna confondere il valore fallico che la
donna accorda al suo partner con il godimento del corpo che lei ottiene e che rimane la garanzia
della “verità” dei valori che è peraltro lei a donare. Sottolineiamo tuttavia che i misteri
femminili, evidenziati da Kant, sono dei misteri per le donne stesse. Se non fosse così, una donna
24
perderebbe senza dubbio un po’ della loro autorità naturale nel campo del godimento! In seguito
tutto si complica, se seguiamo Lacan.
La prova fallica suppone che tutti coloro che sono definiti maschi non la passino. Se la
passassero, tuttavia, come uomini, non sarebbe in quanto soggetti particolari 7, ma in quanto
facenti parte di ciò che Lacan definisce tuttuomo, e cioè di una totalità fittizia e logica la cui
esistenza è improbabile. Da qui il fenomeno che non è raro di una donna innamorata che ne ha
appena trovato “uno” che supera la prova, che suscita il suo amore, e, immediatamente, lei si
sente improvvisamente aperta a questo tuttuomo. È “Histoire d’O”! Come altra conseguenza,
l’uomo non si sentirà qui che uno tra gli altri, a verificare la funzione fallica, che non è la stessa
cosa, lo vediamo, che esserne il portatore.
Scritture
All’epoca del Seminario XVIII, Lacan pone che è a partire dalla scrittura della funzione fallica
che il rapporto tra i sessi non tiene più. Bisogna differenziare fallo e funzione fallica, essendo la
funzione una scrittura logica dell’ostacolo che il fallo diventa nell’incontro dei sessi.
Nel Seminario XX 8 dirà peggio: “questa funzione del fallo rende ormai insostenibile la
bipolarità sessuale e insostenibile in un modo che letteralmente volatilizza ciò che ne è da ciò
che si può scrivere di questo rapporto”.
O il godimento è il godimento fallico e allora dev’essere negativizzato, castrato, o ne esiste n
altro più reale, al di fuori della legge, femminile, ma in entrambi i casi non può essere raggiunto
a causa del fallo, si potrebbe dire per colpa sua, perché ne cortocircuita l’accesso.
Il padre della legge
La legge, per il sesso, e per il resto, è quindi il freno messo al godimento. Perché un godimento
al di là del fallo esista bisogna pensare che cosa potrebbe contenerlo come suo limite. Se una
donna fa valere l’esistenza di questo godimento, tuttavia non lo contiene nel senso di fornirne il
limite. Prima di pensare questo limite bisogna cogliere una tappa precedente. Il godimento
contenuto deve sorgere da un’esistenza dove esso sarebbe, o esisterebbe, senza limite e pertanto,
contraddittoriamente, come godimento “uno”.
All’origine della legge c’è il godimento senza freno, antecedente la legge. Il godimento senza
freno è ciò che descrive Totem e Tabù di Freud. Questo mito ipotizza che sia esistito un padre
dell’orda che godeva di tutte le femmine e che le vietava agli altri, ai figli. Se Edipo è un’opera
teatrale, Totem e Tabù rappresenta una realtà storica per Freud, partecipa del reale. Questo mito
permette di scrivere: tutte le donne. C’è un uomo che rappresenta un godimento pieno, poco
comune, dal momento che è il godimento di tutte le donne e che questo tutto può dunque esistere
attraverso questo godimento del padre originario. Quest’uomo è dunque il tuttuomo reale e
impossibile, scritto con una sola parola, che fonda la possibilità logica del significante del
tuttuomo universale, per ciascuno degli uomini possibili, uno per uno. E come quest’uomo,
questo padre dell’origine, è morto, possiamo dire che anche questo tutte le donne è morto con
lui. Questo padre non è un rappresentante dell’interdetto, come quello dell’Edipo, ma di un
impossibile, di un godimento inaccessibile; esiste per il fatto del suo godimento in un altrove.
Questo Uno originario che lo designa non è in fondo altro che il marchio di uno zero di
godimento, dal momento che morto è l’antenato della funzione godimento. La sola scelta
possibile per le donne resta quella di essere “non tutte” a livello del godimento. E dunque,
logicamente, la scelta che per loro questo Uno dell’origine e dell’eccezione non esista, per
25
fondarne la classe. E dunque che esse non possano fondarsi in logica che a partire dall’eccezione.
Non esistendo il godimento tutto intero si può dire che neppure “la” donna tutta intera esiste.
Questo non-tutto femminile ha come rovescio il Non-Uno, l’assenza dell’eccezione fondatrice
dalla quale prende esistenza uno e un solo padre originario. Cioè non “più” d’uno, come
vedremo.
La legge dell’Edipo autorizza un uomo a incontrare tutte le donne tranne una, la madre. Secondo
il mito di Totem e Tabù esiste una caricatura di legge più radicale , una legge che vieta all’uomo
tutte le donne. Per Freud questa caricatura fonda la legge, e l’edipo sarà per sempre segnato da
questa origine della legge che lascia un’ombra di non-rapporto, di divieto di ogni rapporto, sulla
sessualità.
L’osso del fallo
La mancanza femminile non è situabile, è al di là della castrazione e del fallo. È là che giunge ad
annodarsi il dramma dell’isteria femminile. Diventa necessario per l’isterica provare a diventare
“una” donna e per ottenere questa unità bisogna che passi per la funzione del fallo. Questo vuol
dire che aspetterà questa unità della parola e del discorso, e dunque anche dei sembianti. Bisogna
dunque che questa isterica trovi un partner d’eccezione suscettibile di realizzare tutto ciò :
l’Almeno Uno. Non si tratta dell’uno dell’eccezione reale dell’origine ma dell’uno che si estrae
difficilmente dalla serie degli uomini: non sa quale prendere, dunque ci sono diverse eccezioni!
È un’eccezione, questa volta, ottenuta per estrazione a livello di qualcuno degli altri. Questa
eccezione all’interno della serie è dunque differente dal “non uno”, dall’uno e uno solo che è il
padre originale fondatore della serie.
Troviamo nel Seminario XVIII 9 una traccia della funzione di questo uno che l’isterica cerca:
“L’Almeno Uno si conforma all’osso del quale il suo godimento ha bisogno perché lei possa
rosicchiarlo”. Lei, qui, è l’isterica. Serve un osso, e cioè qualcuno di resistente a livello fallico,
non per suscitare il godimento del corpo che lei rifiuta, ma per permettere all’isterica di
rosicchiare questo fallo. Di disfarlo, di ridurlo per via orale, e cioè soprattutto parlando… Perché
questo fallo, che cessa di non scriversi con Freud, non è l’osso del corpo che ci si potrebbe
attendere, l’osso per Lacan è qui la scrittura: il godimento sessuale non ha ossa, ma Lacan
aggiunge presto: “ Ma la scrittura fornisce ossa a ogni godimento che, attraverso il discorso, si
rivela aprirsi all’essere parlante” 10. Per amore quest’uomo rinuncerà alla altre donne, perché sia
lei la sola. È ciò che fa la castrazione dell’uomo. L’isterica, per cogliere la qualità dell’ “osso” di
cui ha bisogno, deve situarsi all’esterno del discorso, come la donna. Ma non coglie la stessa
cosa. L’isterica si rivela all’esterno del discorso, ma non rappresenta il momento della verità di
godimento, ma la verità del discorso. Ciò che la guida non è la verità di godimento come una
donna, ma il posto della verità, soltanto logica, a proposito del solo discorso. Detto in altro
modo, ha di mira l’universale al femminile. Vuole essere quella completa amorevole solidale di
un Non Più d’Uno irraggiungibile dall’amore, nel quale si indovina certamente il padre, ma
protetto dall’attacco e castrato…
L’isterica va dunque a situarsi non come un reale femminile fuori discorso, come la donna, ma
come la rappresentante del vero che esiste di fronte ai sembianti del discorso; è in questo che è
logica più che giudice. L’isterica subirà dunque il martirio della verità che incarna più che la
devastazione della femminilità, nei suoi sintomi. Ma l’amore può anche condurla a fare
dell’uomo una devastazione a scapito del suo gusto per la verità. Arriva allora a un’assenza di
limite inerente alla posizione femminile, assenza di limite che si incrocia con la sua esigenza di
una verità tutta, senza i limiti del mezzo dire.
26
Per Lacan, l’isterica si evolve. La sua verità oggi non è nel teatro, nel dramma, ma nella logica
più moderna. Se fa del teatro è per carità agli uomini e agli analisti un po’ “rètro” che si
aspettano questo da lei. Fa la sciocca. Ma arriva a rosicchiare i valori, l’osso dei significanti
padroni con il suo valore di verità, e quindi con la logica up to date. L’isterica non è veramente
l’esterno del discorso come la donna, è ciò che nel discorso è in gioco, rappresenta il prezzo dei
sembianti, il loro valore… di verità. La donna, per l’isterica, è quindi colei che il fallo potrebbe
rendere tutta intera, non a livello del godimento, ma a livello del suo valore di verità come
soggetto. Questo porta l’isterica a scegliere una via d’insoddisfazione e talvolta una via di
sacrificio della sua femminilità e del suo godimento che si rifugia nel sintomo.
L’uomo e l’ombra
Torniamo agli uomini. L’uomo giunge molto facilmente a essere un elemento dell’universale in
questo quadro. L’uomo esiste “logicamente” come pallido successore dell’uomo dell’origine.
Questa origine è il “non più di uno” o il Papeludun di Lacan, la cui ombra arriva ad allungarsi
come una minaccia sul godimento sessuale dell’uomo; non si tratta di uno tra gli altri, piuttosto
egli è fuori serie in rapporto agli altri e fonda la loro esistenza e la loro serie. Può dunque togliere
per sempre questo privilegio a ciascuno. L’uomo non sarà altro che un modello di una serie,
sempre sotto la minaccia del “fuori serie” dell’incontro che abita i fantasmi del masochismo
femminile, degli uomini…
La legge che è inseparabile dall’universale destina l’uomo a non desiderare che rispetto al
fantasma di potenza completa di quest’altro uno, di questo “Altruno”tanto reale quanto
impossibile rispetto alla legge. Ma se l’uomo ragionevole resta nel possibile e nella legge, non
desidererà altro che la madre proibita, secondo la legge dell’Edipo questa volta. Come dire,
secondo lo humour di Lacan, che la legge obbliga l’uomo a rimanere un ragazzino. Un ragazzino
che si crede un uomo, per esempio perché desidera anche un’altra donna oltre alla sua. La sua è
ahimè colpita da maternizzazione! È la degradazione della vita amorosa.
Lacan completerà tutto ciò dicendo che il lavoro dell’isterica sarà di voler fare di questo
ragazzino un uomo.
In modo ironico e un po’ più tardi Lacan mostrerà che il sintomo addolcisce questo regime di
ferro. Ma in fondo ciò su cui inciampano l’uomo e la donna del sintomo è l’avere un corpo. Non
appena si ha un corpo lo si adora e tanto in fretta si vuole averne un altro. È qui il segreto del
narcisismo , dell’amore e anche dell’insoddisfazione del soggetto quanto al suo corpo. Questo
può condurci a immaginare e a amare l’anima come forma di un altro corpo o amare una latro
corpo come la sua anima. Ma la psicoanalisi è materialista, di corpo non ne avremo che uno (e
ancora in frammenti…), buono appena per scrivere un sintomo. Quello dell’Altro non ci è
promesso, non più che la sua anima. Non resta che l’(a)more.
La soluzione femminile a queste impasse è più elegante; come funzionano a livello del sintomo,
quelle donne che non cascano nell’isteria? “…facendo funzione del Non Più di Uno del loro
essere per tutte le loro varianti situazionali”11 . Ciò che fa l’unità delle situazioni per una donna
che cambia non è il “soggetto” che le tiene insieme, ma un essere che si impossessa del
sinthomo. Se si rinuncia al soggetto donna si può raggiungere una singolarità d’essere,
incarnando, dando corpo a un altro tipo di essere senza altri. È un essere o “un” sinthomo che fa
in modo che ci si ritrovi in tutti i suoi smarrimenti. Se ci si identifica al sinthomo, chi fa più
funzione (sembiante) dell’uno! A questo livello il padre e l’uno non sono altro che un sintomo.
Come conclude Lacan, un uomo e una donna possono ascoltarsi. Possono ascoltarsi urlare.
27
(traduzione di Michele Bottali)
Note
1 Fouque A. I sessi sono due Pratiche, Milano 1999
2 Kant, I. Bemerkungen : note per un diario filosofico, Meltemi, Roma, 2001
3 Lacan, J. Il seminario. Libro X. L’angoscia Einaudi, Torino 2007
4 Lacan, J. “La significazione del fallo” in Scritti Einaudi, Torino 2002, p. 691
5 Lacan, J. Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi. Einaudi, Torino 2001
6 Revue de la Cause freudienne n. 66, “Citoyen symptôme”, giugno 2007, p. 212
7 Lacan, J. Le Séminaire. Livre XVIII. D’un discours qui ne serait pas du semblant. Seuil, Paris, 2007, p.142
8 Lacan, J. Il seminario. Libro XX. Ancora. Einaudi, Torino 1983
9 Lacan, J. Le Séminaire. Livre XVIII. D’un discours qui ne serait pas du semblant. Seuil, Paris, 2007, p. 153
10 Lacan, J. Le Séminaire. Livre XVIII. D’un discours qui ne serait pas du semblant. Seuil, Paris, 2007, p. 149
11 Lacan, J. Le Séminaire. Livre XVIII. D’un discours qui ne serait pas du semblant. Seuil, Paris, 2007, p.156
Finzioni e sembianti
Vilma Coccoz
Lituraterra
Propongo, per riflettere a proposito di finzioni e sembianti, che ci situamo nella zona che Lacan
battezza con il nome di Lituraterra. Una zona di esplorazione della funzione della lettera nella
struttura del parlessere che si ispira agli sviluppi del suo ultimo insegnamento i cui aggrovigliati
cammini stiamo imparando ad attraversare grazie a Jacques-Alain Miller.
“La scrittura, la lettera, è nel reale, e il significante, nel simbolico” 1 enfatizza Lacan, come
avvertimento davanti alle possibili aberrazioni. Precisa, inoltre, fino a che punto il nostro
discorso è interessato dall’annodamento di entrambi, lettera e significante: “[…] resta da sapere
come l’inconscio – che dico essere effetto di linguaggio poiché ne suppone la struttura come
necessaria e sufficiente – dirige questa funzione della lettera”2. Da lì in Lituraterra le
connessioni e distinzioni tra la psicoanalisi e la letteratura possono e devono essere chiarite.
Questo assunto è tanto più urgente quanto alla concezione dell’analisi “orientata verso il reale”
che si distingue dalla mera confezione di una finzione, dall’orientamento narrativo3.
28
La nozione di finzione riscosse diritto di cittadinanza in psicoanalisi grazie a Lacan perché fosse
più precisa del freudiano “romanzo familiare”4. Così si designavano le costruzioni che
conferivano un senso alla dissoluzione del complesso di Edipo: versioni fantasmatiche,
particolari sulla mancanza dell’Altro, sulla faglia del godimento: “la tecnica usata per costruirle
[…] dipende dall’abilità e dal materiale di cui il fanciullo dispone” 5. Benché anche Freud nel suo
trattato evidenzi l’importanza dell’”affanno di verosomiglianza”.
Freud: romanzi e casi
Troveremo le tracce di queste leggende personali nel racconto dei casi di Freud: Dora, Il piccolo
Hans, L’uomo dei topi, La giovane omosessuale, costruiti nell’ispirazione goethiana dei grandi
racconti. Paradigmi della clinica freudiana, costituiscono il sapere referenziale della psicoanalisi,
grazie ai quali si inserì, nel reale della civilizzazione, il discorso analitico.
Il modo in cui sono confezionati servì per rendere trasmissibile un modo nuovo di costruire la
storia personale, a partire dall’inconscio, e con la “collaborazione costruttiva” dell’analista6.
In seguito gli scrittori si tuffarono in queste scoperte per includerle nelle loro finzioni: S. Sweig,
T. Mann, A. Schnitzler… E i surrealisti, e gli scrittori di cinema, che abbeveravano
nell’inconscio freudiano per aprire i cancelli dell’intimità dei suoi personaggi.
Da parte sua, anche Freud esamina le fonti della creazione. Ritiene che il poeta condivida con i
suoi congeneri i fantasmi inconsci che hanno la loro radice nelle pulsioni primarie. In che modo
il poeta ottenga, con la sua tecnica, la mutazione di tali fantasmi - per i quali la ripugnanza che
sperimenteremmo davanti a certi fatti si trasforma in piacere di leggerli o di ascoltarli - questo,
afferma, è “il suo più intimo segreto”. La psicoanalisi non è chiamata a sviscerare l’essenza
dell’arte. Bisogna ammettere che né “[…] la più completa delle spiegazioni sulle condizioni della
scelta della materia poetica [né] sull’essenza della creazione artistica formale non potrebbe in
alcun modo aiutarci a divenire noi stessi poeti”7.
Per questa ragione, pur avendo scelto il mito tragico di Edipo per battezzare la matrice inconscia
del desiderio e nonostante il suo “Dostoievsky”, non analizzò romanzi, “Freud si è contenuto” 8.
Perché? Lacan lo spiega in Lituraterra: “[…] che la psicoanalisi sia appesa all’Edipo […] non la
qualifica in niente per ritrovarsi nel testo di Sofocle”9. Per questo nega che, fino a quel momento,
la psicoanalisi non avesse contribuito in niente alla critica letteraria, “zona“ propria del discorso
universitario. Constata anche “la disuguaglianza della sua pratica per motivare il minor
descernimento letterario”10. Nel testo su M. Duras non è meno tagliente: “[…] nella sua materia
l’artista lo precede sempre [l’analista] e non deve quindi fare lo psicologo laddove l’artista gli
apre la strada”11.
Lacan: la finzione tra letteratura e psicoanalisi
La versione lacaniana della psicoanalisi 12 si costruisce laboriosamente, attraverso innumerevoli
letture che innovano, correggono e arricchiscono la versione freudiana. Lacan non scrisse storie
cliniche, si appoggiò a finzioni letterarie o filosofiche con il fine di siglare la lettura analitica
delle impasse della soggettività nell’ordine di un nuovo discorso, quello analitico, alla luce del
quale queste si rivelano causate dall’esistenza dell’inconscio e dalla faglia del godimento. Il fatto
di conferire una dignità etica alla problematica della nevrosi fino a dimostrare la sua coerenza di
discorso evita la riduzione della clinica freudiana ad una mera psicopatologia. I mali dei
nevrotici sono i mali del parlessere e l’avere inventato un dispositivo affinché tali miserie
possano dirsi è un fatto di carità incredibile13. Lacan infilerà con i fili della cultura i complessi
cammini in cui transitano le esistenze verso la realizzazione del desiderio e del raggiungimento
di una soddisfazione che si verifica impossibile, paradossale, errata. Dei molteplici riferimenti
29
letterari, alcuni sono le chiavi per illustrare la singolare interpretazione lacaniana della
psicoanalisi.
Il dramma della cattura speculare dell’io con il simile, il narcisismo, nella cui struttura Lacan
inietta l’infernale dialettica del padrone e del servo, prende forma con il personaggio di Sosia
nella commedia di Plauto, Anfitrione, che raggiunge la sua celebrità nell’opera omonima di
Molière, non meno che nel suo Misantropo.
Quando intraprende la lettura del caso di Dora, Lacan prende una prospettiva molto originale: si
serve della figura hegeliana dell’anima bella, la cui essenza è la passione insorgente davanti al
disordine del mondo alla cui fabbricazione il “danneggiato” contribuisce in modo tanto attivo
quanto inconscio. Tramite Karl Moor, l’eroe di I masnadieri di Schiller, mostra che, al di là dei
sintomi, si scopre, nell’isteria, una posizione esistenziale che il filosofo ed il drammaturgo
afferrarono con acume.
Lacan ha ridotto l’Edipo freudiano ad un’operazione metaforica che orienta le significazioni del
mondo, in mancanza del quale l’esistenza diventa errante. L’ordine del circuito simbolico del
soggetto intorno ad un punto di annodamento si produce grazie al significante del nome del
padre. Per dimostrare la sua azione simbolica, Lacan si serve dello scambio tra Abner e Joad,
personaggi di Atalìa, di Racine.
Vestiti in una suspense speciale, i suoi sviluppi dimostrano che l’attraente di “Amleto, l’enigma”
attraverso i tempi, procede dal contesto della logica soggettiva in questa tragedia del desiderio e
dell’impossibilità dell’azione, però consapevole delle ragioni nelle quali questa dovrebbe
sostenersi. Il valore unico di questo pezzo radica nella trama dei posti della struttura che, una
volta chiarita da Lacan, sorge nitida.
L’inibizione dell’azione di Amleto si deve al fatto che il suo desiderio è sospeso dal desiderio,
dal tempo dell’Altro. La riappropriazione della potenza per l’atto, sorge una volta assunta la
perdita di un oggetto (il lutto per Ofelia). La congiunzione fatidica di questa azione con
l’autodistruzione che si produce quando si prende a carico la mancanza dell’Altro, in questo
caso, come figura del padre idealizzato.
Allo stesso modo sceglie Antigone per illustrare il dramma del soggetto sospeso nella zona
soggettiva dove annida la pulsione di morte. Situata in questo posto impossibile, al di là del bene
e della bellezza, l’esistenza si manifesta inconciliabile con la vita e la morale. Per questo la
psicoanalisi, che avanza ed esplora questa zona in modo calcolato, richiede un’etica: il cuore del
principio di realtà, sede della ragione pratica, non abita la capacità di adattamento, ma la
mortificazione del super-io.
Troverà anche nel pezzo di Wedekind Il risveglio della primavera, un grappolo di personaggi
che si dibattono nell’arida transizione dalla pubertà all’adolescenza. In questa epoca della vita
accade il necessario risveglio dei sogni: un incontro strutturale con la faglia del linguaggio per
dire il sesso che da luogo a diverse soluzioni soggettive.
Tramite le imponenti figure di Medea di Euripide, di Lol V. Stein di M. Duras, La donna povera
di L. Bloy e della poesia mistica, riesce a catturare le misteriose tracce dell’enigmatico
godimento femminile che si insinua al di là del fallo.
Illustrerà anche il paesaggio della scena perversa, feticista che caratterizza il godimento maschile
con il pezzo Il balcone di Genet.
Il cammino della degradazione del padre, la sua incidenza sulla problematica del desiderio nel
mondo moderno, saranno tematizzati tramite la trilogia di Claudel.
Un posto a parte meritano i due “casi” degli scrittori Gide e Joyce. Nessuno fu psicoanalizzato
ma entrambi danno a Lacan l’occasione di ampliare il territorio della clinica analitica grazie
all’insegnamento che seppe estrarre dall’azione originale di questi autori: inferisce la clinica a
partire dal materiale biografico, i testi e le lettere14.
30
Il suo saggio su Gide prende distanza dalle psicobiografie. Deduce l’”autocreazione” dello
scrittore come una soluzione soggettiva all’enigma fondamentale, al “segreto del desiderio”: cosa
fu per questo bambino sua madre?
Rispetto a Joyce, la soluzione artistica la cui traccia ricostruisce passo a passo, potrebbe
formularsi rispetto alla domanda: cosa fu per questo bambino suo padre?
Entrambi i casi di scrivesseri (scriptuêtres)15 si differenziano dall’analisi, esperienza di parola
propria dei parlesseri (parlêtres). Tuttavia, grazie a loro si rafforza la clinica a partire dalla
categoria di sinthomo, dedotta dall’esperienza di questi esseri “disabbonati dall’inconscio”.
La differenza tra finzione e sembiante
Qual è la differenza tra le finzioni costruite nella letteratura e quelle risultanti dall’analisi? La
letteratura prescinde dalla verità di fatto, invece l’analisi, sebbene prescinda dall’esattezza dei
fatti, si realizza attraverso “l’operazione-verità” con il fine di catturare il reale. Detta operazione
è sostenuta dall’analista nella misura in cui “si inserisce nella lettura” dell’inconscio. Da lì Lacan
avvertì il pericolo che l’analisi potesse convertirsi in un “delirio a due”. Tenendo conto degli
sviluppi di J. A. Miller, l’avvertimento è giustificato: le finzioni sono versioni, in definitiva,
deliranti intorno al godimento come riferimento del discorso. La psicoanalisi è orientata a
rivelare questo vuoto strutturale sul quale si è “delirato” 16. La finzione, risultato dell’operazione
di articolazione S1-S2, è un lavoro di poiesis, dice Miller, “una benda simbolica per coprire la
ferita dell’assenza di scrittura del rapporto sessuale”, il reale, il buco nella struttura.
Una volta situata la finzione come il risultato di sapere sugli effetti di verità ottenuti tramite
l’articolazione significante sotto l’egida dell’inconscio transferenziale, la distinzione con il
concetto di sembiante acquisisce tutta la sua rilevanza. Pierre Malengreau 17 stabilisce tre teorie
del sembiante e ci serve da guida in questo complicato groviglio.
Nella prima, nella teoria implicita del sembiante, questo è velo che copre una mancanza:
mascherata, cuscinetto, posticcio, strategia, finzione e astuzia, che ottengono un “valore di
verità” rispetto alla castrazione.
Nella seconda, teoria esplicita del sembiante, questo si vincola alla positività del reale. Sono
sembianti: il nome del padre, il fallo, l’oggetto a. In questa teoria senso e sembiante si situano
dallo stesso lato rispetto al reale, impossibile da dire.
La terza teoria del sembiante è “specificatamente lacaniana” perché concerne una teoria del
linguaggio e l’assenza di scrittura del rapporto sessuale e propone un uso del sembiante
propriamente analitico. Il sembiante risponde ad una struttura triadica che lo articola,
logicamente, con il godimento e, nell’altro asse, con la verità. La peculiarità di questa concezione
radica nella proprietà di ciascun asse che configura una struttura triangolare bucata, si guarda
dove si guarda. Da questa valorizzazione il sembiante è una frontiera tra due domini eterogenei –
il simbolico e il reale – e detiene la fabbricazione di finzioni. È il residuo dell’operazione
analitica, il sedimento, la siderazione che lascia la parola tra di sé, una volta verificata
l’inadeguatezza del simbolico per coprire il campo del godimento. È il bordo singolare di questa
mancanza di adeguatezza, il nome più “proprio” della stessa.
La lettera: residuo della lettura dell’inconscio
Cosa dev’essere l’interpretazione per condurre a questo risultato, a questa scrittura, bordo di
sembiante?
In Lituraterra Lacan presenta questo concetto, così difficile da apprendere, con l’immagine
dell’erosione prodotta dalla pioggia nel deserto della Siberia che, a contemplarla dall’alto,
somiglia ad una scrittura. Nell’analisi si deve praticare la siberietica, che orienta l’esperienza
31
fino a sfociare in questo reale che partecipa del sembiante, o ad un sembiante che morde il reale:
litorale che delimita le acque informi del godimento, sempre in un andare e venire che si infiltra
nella costa, scanalatura dell’inconscio18. Lacan trova nella calligrafia giapponese un equivalente
dei solchi oscuri nell’altopiano luminoso. Perché in essa “il singolare del tratto del pennello
schiaccia l’universale”19. Per finire un’immagine riesce a metaforizzare qualcosa dell’esperienza
unica di un’analisi, nella quale nessun universale può anticipare la singolare e contingente cattura
del reale! Qualcosa appare con il tratto e, nello stesso movimento, qualcosa diventa opaco, si fa
buco, si sommerge nell’ombra della propria lettera. In Elogio dell’ombra 20 Tanizaki mostra fino
a che punto, nell’estetica giapponese, palpita questo particolare esercizio della scrittura che
implica, contemporaneamente, il sembiante, il corpo e il tempo.
Sempre ricorrendo il chiarimento della singolare operazione dell’analisi, nel Seminario L’insu
d’une bévue… Lacan spiega che la prodezza del poeta radica nel produrre, con la lettera, un
effetto di senso e un effetto di buco. E postula che l’interpretazione analitica è omologa – non
analoga – al dire poetico.
Conclusione
Queste indi cazioni rivestono un valore straordinario per organizzare la nostra ricerca nella zona
di Lituraterra nella quale “l’artista ci porta sempre la facciata”. Perché, nella mia opinione, da
questa prospettiva si possono distinguere due classi di scrittori: quelli che rispondono all’idea
freudiana della scrittura a partire dal fantasma, e altri, il cuo particolare artificio ottiene un
doppio effetto, di senso e di buco. Mallarmé, studiato da Jo Attié 21, è unico e così sensibile al
tema che arrivò a proclamare la necessità di una dottrina dell’oracolare, dell’enigma della
letteratura.
Joyce, “l’artificio dell’enigma” rese possibile a Lacan porre la psicoanalisi sottosopra grazie al
ciò che seppe estrarre del suo straordinario uso del simbolico, al di fuori del senso. Merita di
situarsi in questo luogo anche Marguerite Duras di cui diceva: “dimostra di sapere, senza di me,
ciò che io insegno”22. Sembra chiaro che includesse i suoi Scritti in questa categoria, definendoli
“carte aperte”, fatte affinché ciascuno potesse aggiungere, nella lettura, qualcosa di sé.
In questa stessa linea, e con il fine di esplorare l’omologia dell’operazione analitica con il saper
fare di certi autori, è esemplare il libro Dossier K. Di Kertész 23. Scritto sotto forma di intervista
immaginaria, l’autore si manifesta in favore dell’invenzione per interrogare l’esistenza del
genere “letteratura dell’olocausto”. Un testo, afferma, è un’autobiografia o un romanzo. La prima
ricrea una parte del mondo, il secondo lo crea. In un passaggio sostanziale, leggiamo: “-Il mondo
della finzione è un universo sovrano che nasce dal cervello dell’autore e obbedisce alle leggi
dell’arte, della letteratura. Ogni dettaglio è un’invenzione dell’autore […] –non vorrà dire che ha
inventato Auschwitz? –In un certo senso è esattamente questo, nel romanzo spetta a me inventare
e creare Auschwitz” 24.
Questo modo di concepire la finzione che nomina, borda il reale più inconcepibile coincide con
altri artisti e saggisti come Claude Lanzmann, Aharon Appelfeld, Gérard Wacjman, tra altri che,
secondo il mio parere, potrebbero anch’essi situarsi nella zona siberietica, una frangia molto
delicata, a distanza dalle spiegazioni che possono nutrire l’oscenità quando si tratta del reale.
Uno ad uno, ciascun autore può contribuire a scrivere l’assenza di quelli che non ci sono, la loro
memoria perpetua.
Far apparire nella finzione e, nello stesso movimento, lasciare il reale, l’impossibile a dire
nell’ombra, in una sottile operazione di scrittura, traduce la posizione dell’autore, la sua
particolarità.
Salvando le distanza e le epoche, questa concezione coincide con la proclamazione di Oscar
Wilde, La decadenza della menzogna: “L’arte ci rivela la mancanza di piano della Natura, la sua
32
straordinaria monotonia […]”25. Wilde difende la menzogna, la finzione come “arte, come
scienza e come piacere sociale” ribellandosi davanti alla sua imminente degradazione a causa dei
sostenitori del dato di fatto: “gli antichi storici ci presentavano finzioni deliziose sotto forma di
fatti, il romanziere moderno ci presenta fatti stupidi alla maniera di finzioni” 26. “[…] Gli unici
personaggi reali sono quelli che non sono mai esistiti” 27. D’accordo con tali principi arriva a
questa conclusione: “la giustificazione di un personaggio da romanzo non è in cosa le altre
persone sono quello che sono ma in cosa l’autore è quello che è”28.
Nuovamente si sottolinea la particolarità dell’autore nella sua relazione con la lingua ed il
marchio personale del suo stile nella sua scrittura, seppur senza lasciare a lato la finzione dal
punto di vista del legame sociale. Nel suo elogio, Wilde arriva ad esaltare la figura del primo
bugiardo, colui che relazionò ai suoi simili il modo in cui strappò ad un mammut le sue zanne
dorate, e gli attribuisce l’onore di essere “il vero fondatore delle relazioni sociali”29.
Riprendiamo ora la particolarità della costruzione della finzione in psicoanalisi. Seguiamo Miller
quando afferma che, tramite l’operazione della verità menzognera, tentiamo che l’opacità del
godimento parli “attraverso la finzione”. Nella composizione della lettura “finzionale” del reale
questa mente al partenaire, l’analista, per struttura. Ma da questo lavoro un’enunciazione inedita
può sorgere: “una messa in prova della storicizzazione dell’analisi, […] per chi si arrischia a dar
fede, nel miglior modo possibile, della verità menzognera”30.
Per questo l’originalità dell’esperienza lacaniana radica nel non orientarsi solo sulla confessione
di tale finzione ma di ottenere, in un secondo momento logico, di disarticolarla, disfarla finché
un reale, radicalmente singolare, possa essere raggiunto. Il sembiante, come bordo del reale,
sarebbe il risultato di questo passo al di là della costruzione della finzione, del fantasma fino a
riuscire ad estrarre dalla scena il modo particolare di godimento sul quale non si fanno più giri. È
il residuo di una riconfigurazione del godimento 31 il cui malessere fu propizio all’entrata in
analisi, alla lettura dell’inconscio e che, infine, può dar luogo ad un dire fuori dal comune, ad una
nuova voce.
L’equivoco tra litter, letter che Lacan pescò in Joyce rimette a questo particolare concetto di
lettera, sostegno del sembiante e della sua funzione di residuo della lettura dell’inconscio,
trasformato, esso stesso, in sembiante. Se un parlessere particolare può inserire questa
nominazione nel reale al servizio del discorso analitico, può farlo solo in quanto sinthomo e
questa è la scommessa attuale della passe. I lavori di Bernard Seyhnaeve rispetto al valore della
lettera L nella storia soggettiva del suo desiderio e della sua analisi, fino a raggiungere il
carattere di lettera spogliata di tutto il senso, sono luminosi 32.
Il passant, colui che ha potuto visitare la terra incognita dell’inconscio fino ad avvicinarsi al suo
posto in Lituraterra, può contribuire al legame sociale che sostiene il discorso analitico
rinnovando l’interesse per la Causa freudiana, l’unica che fa esistere il reale dell’inconscio in
questo vasto mondo di finzioni.
(traduzione di Grazia D’Arino)
Note
J. Lacan, Le Séminaire. Livre XVIII, D’un discours qui ne serait pas du semblant, Seuil, Paris 2006, p. 122.
Ibidem, p. 117.
3 J.-A. Miller, El partenaire-sintoma, Paìdos, Buenos Aires 2009, p. 73.
4 Come contributo allo studio di questa nozione in Lacan è una lettura obbligata l’intervento di P. G. Gueguen e la
discussione posteriore con Miller. Ibidem, p. 101 e seg.
5 S. Freud, Il romanzo familiare dei nevrotici (1908), vol 5, Bollati Boringhieri, Torino 1972, p. 472.
6 J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2001.
7 S. Freud, Il poeta e la fantasia (1907), vol. 5, Bollati Boringhieri, Torino 1972, p. 375.
33
1
2
J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il sinthomo, Astrolabio, Roma 2006, p. 68.
J. Lacan, Le Séminaire. Livre XVIII, D’un discours qui ne serait pas du semblant, op. cit., p. 114.
10 Ibidem, p. 115.
11 J. Lacan, “Omaggio a Marguerite Duras. Del rapimento di Lol V. Stein”, in La Psicoanalisi, vol. 8, Astrolabio,
Roma 1987, p. 11.
12 J.-A. Miller ha distinto la versione freudiana e quella lacaniana della psicoanalisi.
13 J. Lacan, Il Seminario. Libro XX. Ancora, Einaudi, Torino 1983, p. 116.
14 J.-A. Miller, Acerca del Gide de Lacan, Malentendido, Buenos Aires.
15 J.- A. Miller, Cosas de finura en el psicoanàlisis. Corso del 3 dicembre 2008.
16 J.- A. Miller, Tous le monde est fou, Corso 2006-2007.
17 P. Malengreau, Le bord du semblant, Papers de la Escuela Una, n° 6.
18 M.–H. Roch, “Del litoral, en Psicoanàlisis. Una lectura de Lituraterre”, in Papers, n° 5.
19 J. Lacan, Le Séminaire. Livre XVIII, D’un discours qui ne serait pas du semblant, op. cit., p. 120.
20 Tanizaki, Elogio dell’ombra, Siruela, Madrid 2008.
21 J. Attié, Mallarmé le livre, Editions du Losange, Paris 2007.
22 “[…] non poteva sapere da dove Lol le venisse”, J. Lacan, “Omaggio a Marguerite Duras. Del rapimento di Lol V.
Stein”, in La Psicoanalisi, op. cit., p. 11.
23 Devo alla nostra collega D. Fernandez, studiosa di questo autore, l’indicazione sull’esistenza di questo libro.
24 I. Kertész, Dossier K, Actes Sud, Francia 2008, p. 16. In un altro passaggio leggiamo: “-La scena in cui Koves
percepisce una stazione abbandonata attraverso una crepa e legge la parola Auschwitz nella penombra della mattina,
è finzione o realtà? Fu esattamente la realtà ma è sevita notevolmente alla struttura della finzione. -Non aveva paura
di entrare nell’aneddotica? –No, perché non potevo trovare niente di meglio. Inoltre, sarei incapace di inventare
qualcosa di simile”. La traduzione è mia.
25 O. Wilde, La decadenza della menzogna, Filema, Napoli 2006.
26 Ibidem.
27 Ibidem, “Schopenauer analizzò il pessimismo ma fu Amleto che lo inventò. Il mondo è diventato triste perché, in
un altro tempo, una marionetta fu malinconica”.
28 Ibidem.
29 Ibidem.
30 J. Lacan, Prefacio a la ediciòn inglesa del Seminario XI, en Intervenciones y textos, op. cit., p. 62.
31 J.-A. Miller, Cosas de finura en el psicoanàlisis, Curso 2008-2009.
32 B. Seyhnaeve, La palabra trabada, Intervencion en las Jornadas de Valencia, 11/2009.
8
9
“ L’inquieto ” e i Nomi - del - Padre
Valérie Pera Guillot
L’opera del pittore Gérard Garouste è attraversata da questa idea : “si rappresenta una cosa
e se ne racconta un’altra ”. L’artista ci invita a percorrere con lui la sua traiettoia, dalla
rappresentazione alla rottura , in un recente testo autobriografico, L’intranquille,
Autoritratto di un figlio, un pittore, un pazzo.1
La cosa innominabile è iscritta sull’insegna "Garouste Padre e figlio, Mobilia-decorazioneinstallazione". Nomina il nonno e il padre ma il figlio, quanto a lui, non c'è e non vi
troverà mai il suo posto. E' da questo buco che crea gli utensili (strumenti) che gli
permettono di costruire la sua relazione con gli altri e con il mondo.
Fin dalla più tenera età, trova dei rifugi che gli serviranno da appoggio per arginare un
futuro incerto. Da bambino, costruisce il suo paradiso in un villaggio della Borgogna, con
una zia rimasta estranea al resto della famiglia, che si era fermata lì e aveva sposato un
34
italiano, un pò ubriacone, "fragile e inventivo". Quei due avevano "creato un mondo
bizzarro in una terra che non era la loro" ; il piccolo Gerard vi trova riparo, lontano dai
suoi genitori. Là si tratteggiano le linee di fuga che attraversano le sue tele.
Nell’adolescenza, vive felice, lontano da casa, presso la foresteria del regime militare, tra
gli altri bambini condannati all'esilio dalle famiglie che li hanno dimenticati o non amati.
Le sue fantasie da adolescente restano incorniciate dalle pareti del collegio.
Questi luoghi dell’estremo lo aprono a dei momenti di felicità, gli lasciano percepire
altre vie che diventeranno il solco sul quale lui baserà la sua opera.
Al cuore della sua opera si colloca "una bugia pericolosa", "la grande manipolazione
religiosa e familiare" nella quale il padre si è fatto trascinare. In tempo di guerra, impastato
di norme di buona condotta morale e cristiana, divenne petinista 2, collaborazionista e,
lungi dall’avere la stoffa di un eroe, si evolse in mascalzone. Da allora, rimase abitato
dalla paura dell 'Ebreo e al tempo stesso affascinato. Per tutta la sua vita, Gerard ha voluto
sedurre questo padre, amarlo anche, ma è sotto il regime della “ discordia ” che sono
ancora a piede libero. La discordia nomina qui la faglia che fa seguito a “ Garouste Padre e
figli ”, successione nella quale il piccolo figlio Gèrad non trova posto per iscriversi. La
faglia dove si è rotta questa successione non cessa di riguardarlo.
Quando Elisabetta, la moglie amata è incinta del loro primo figlio, Gèrard Garouste fugge
da un futuro che lo terrorizza, mentre cerca di sperperare il suo passato con i risparmi dei
suoi genitori. Dopo un primo episodio maniacale, rimarrà sospeso dieci anni nel mondo
ovattato della depressione, mentre "tutto ciò che era vivo proveniva da Elisabetta ”.
Conosce molte di queste crisi. A seguito di una forte emozione, come quella di diventare
nonno, egli dice, che “ sconvolge troppe cose nella mia testa, pensieri e ricordi mal riposti.
” Una crisi si annuncia .
Tra la follia e la pittura, tutto il suo lavoro artistico è dedicato ad esplorare i confini che lo
separano da Garouste padre e figlio. La tecnica, la disciplina e le regole d'arte sono i
Nomi-del-Padre che non ha mai cessato di elaborare e che gli offrono la possibilità di
superare la norma, di affrontare il rischio della sua storia e della creazione per raggiungere
un equilibrio sempre da reinventare, fino a quel punto, forse, dove non si tratta più di
"venire alle mani".
(traduzione di Maria Nicotra)
Note
1. Garouste G., L’intranquille, L’Iconoclaste, Paris, 2009, p. 147.
2. Da Maresciallo Philippe Pétain
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Délégué général AMP
Eric Laurent
Comité d'action de l'Ecole-Une
Lizbeth Ahumada
Marie-Helene Blancard
Luisella Brusa
Anne Lysy
Ana Lydia Santiago
Silvia Tendlarz
Hebe Tizio
Design
Joao Carlos Martins
Realisation
Philippe Benichou
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