Quello che vuole un uomo e quello che vuole
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Quello che vuole un uomo e quello che vuole
Seminario del 28.6.2012 Una conversazione si chiude con questo commento divertito: un uomo ha bisogno di una donna per accorgersi che non è quello ciò che egli vuole, mentre una donna ha bisogno di un uomo per accorgersi che è proprio quello ciò che ella vuole. Se la teniamo come buona, questa annotazione al tempo stesso ironica e sconsolata si presta a fornirci una traccia sicura per il nostro cammino. E’ qui accennato l’enigma della differenza fra i sessi con una sintesi forse un po’ rozza, ma sorprendentemente efficace, purché sappiamo sgrossarla e rilanciarla per coglierne le molte sfumature. L’annotazione divertita della nostra analizzante impone anzitutto di affrontare la questione della differenza fra volere e desiderare. Si tratta poi di affrontare la questione della differenza fra i sessi. Dove situarla? Si tratta infine della questione del fallo. E’ ancora possibile inventare qualcosa di nuovo, dopo le interminabili elaborazioni e rimaneggiamenti che ha subito tale concetto per opera degli allievi di Lacan? Vedremo che nell’enunciato della nostra analizzante si delinea con precisione la funzione paradossale del fallo. Cominciamo dalla prima questione. La differenza fra il volere e il desiderare. Si dovrebbe constatare che mentre l’atto di volere è sempre rivolto a un oggetto che si suppone ben determinato (quello), il desiderio è invece sempre altrove e rinvia soltanto a se stesso, procede oltre qualsiasi oggetto della soddisfazione. Il desiderio, nell’umano, è ciò che va oltre l’umano. Se ricordo bene, è ancora Lacan. Il desiderio è sempre rivolto all’oggetto mancante e si mantiene sulla base di questa mancanza dell’oggetto. Il desiderio è desiderio dell’Altro, è un’altra celebre chiosa di Lacan, che noi manteniamo purché non cancelliamo l’equivoco che essa ricela, in particolare fra il desiderio in quanto prerogativa dell’Altro e il desiderio in quanto desiderio di Altro. Non vi è alcun soggetto dell’Altro, se l’Altro è appunto inconscio. Mentre possiamo individuare il soggetto di un volere non possiamo affermare l’esistenza di un soggetto del desiderare. La forza del desiderio, come ancor prima di Lacan aveva annotato Spinoza, è proprio quella di scavalcare ogni sua possibile determinazione. La deriva del desiderio si congiunge con la deriva del sogno e del racconto verso un oggetto irraggiungibile. Propriamente nella figura di una mancanza l’inafferrabilità dell’oggetto è la condizione stessa del desiderio. Dire il desiderio e aggiungere Altro risulta quasi un pleonasmo. Se è possibile definire un soggetto del volere, risulta dunque impossibile determinare quello del desiderio. Ma questa condizione è estensibile; analoga considerazione dovrà necessariamente valere anche per quanto riguarda la determinazione dell’umano uomo o dell’umano donna, intesi almeno come soggetti del volere. Possiamo dirlo soltanto di ciascuno, che è animato dal desiderio, ovvero di qualcuno in relazione con l’oggetto singolare. Un uomo, una donna già determinati non possono desiderare, al massimo possono volere. Può sembrare ovvio, ma nel discorso comune o classificatorio a pensarci bene, un uomo, una donna, sono caratterizzati da una semplice connotazione anatomica: possono avere o non avere il pene, ma anche avere o non avere il seno, e via dicendo. E’ soltanto nel discorso comune (o nevrotico, per quanto questa sia una condizione a cui nessuno può sfuggire) che è possibile individuare un uomo, ovvero una donna, e soltanto come soggetti del volere. Se invece ci troviamo nel regime del desiderio risulta incongrua la determinazione del sesso. In sintesi, nel discorso è costruita una differenza fra i sessi, ma non la differenza sessuale. La differenza sessuale è assoluta e originaria e precede qualsiasi determinazione degli elementi che compongono la relazione. Precede qualsiasi determinazione di genere ma anche qualsiasi inquadramento dell’incontro fra i due attori, in uno schema logico, topologico o temporale, che sia già costituito. E’ l’enigma insondabile dell’apparizione della sessualità. E possiamo farvi collimare, come vedremo, la domanda di Freud: che cosa vuole una donna? Fra un uomo e una donna può esservi certamente rapporto ma non necessariamente relazione sessuale. Abbiamo già avuto occasione di notare che anche la relazione è originaria. Sexus, taglio, ovvero nessuna distinzione che non sia ciascuna volta nell’atto; nessuna separazione già tracciata. Si tratta del taglio della parola originaria che può concernere appunto soltanto un desiderio, cioè la traccia verso un oggetto inafferrabile. L’enigma della sessualità non consiste soltanto nel fatto che essa è in balia dell’oggetto, ma che lo è ancor più del tempo, e quindi concerne il fatto che l’oggetto non si mantiene identico a sé nel tempo. La sessualità è originaria e impossibile da rappresentare. Impossibile, senza alterarla, ricondurla a uno schema che pretenderebbe di definirla, anche per differenza. Non possiamo evitare di ricadere nella rappresentazione della sessualità quando parliamo di differenza fra un uomo o una donna. In definitiva, risulta rappresentazione della sessualità qualsiasi riferimento alla differenza originaria che pretenda di avvalersi di considerazioni anatomiche, biologiche, finalistiche, genealogiche, e via dicendo. In generale, quando siamo nella rappresentazione della sessualità il desiderio si degrada nel volere; è tolto l’equivoco e l’Altro. Un uomo e una donna possono soltanto volere, mentre il desiderio esige l’Altro. Questo volere, come accennato, individua il soggetto e l’oggetto del volere ed è una prerogativa del discorso. Soltanto nel discorso possiamo credere di volere, e poi magari soffrire per l’impossibilità di raggiungere l’oggetto del nostro volere. Soltanto nel discorso abbiamo le nostre buone ragioni per crederci uomo e donna, e non soltanto in ordine al rilievo di una differenza anatomica. Soltanto nel discorso (in questo caso nel discorso nevrotico, specificamente in quello che denominiamo isterico) abbiamo le nostre buone ragioni per interrogarci assiduamente sul nostro sesso, se siamo uomini o donne, oppure (discorso ossessivo) se non siamo uomini o non siamo donne. In effetti, la questione si può anche presentare nel discorso nevrotico (senza escludere la sua versione filosofica) come la questione dell’essere o dell’avere. Il discorso nevrotico oscilla rimbalzando senza sosta in questa differenza fra l’essere e l’avere, essere o avere un corpo, averlo o non averlo, il fallo. Nelle formule della sessuazione di Lacan, che si trovano nel Seminario XX Encore (1972-73), possiamo notare che non si esce dal discorso. A mio parere la svista di Lacan (una svista che pagherà cara, si può ben dire, poiché d’ora in avanti sarà sempre più ossessionato, come una mosca prigioniera in una bottiglia, dalla topologia e dal reale di cui essa dovrebbe render conto) è quella di non accorgersi che sta semplicemente proponendo delle varianti possibili del discorso ossessivo, sulla sinistra nello schema, e di quello isterico, sulla destra. Ecco lo schema: UOMINI DONNE Esiste un X per cui non vale la funzione fallica Non esiste un X per cui non vale la funzione fallica Per ogni X è valida la funzione fallica Non per ogni X è valida la funzione fallica Soggetto barrato S(A barrato) a (oggetto causa di desiderio) LA barrato Donna FALLO Qui potremmo intanto rilevare che già l’atto di connotare un uomo o, indifferentemente, una donna con la X è un’operazione marcata ideologicamente o comunque falsata. E’ quanto riprendiamo da un commento di Calciolari a queste formule. Noi aggiungiamo che poiché non esiste alcun insieme degli uomini o delle donne, né un uomo né una donna possono essere designati come elementi, per quanto neutri, che appartengono a insiemi inesistenti. Ma riprendiamo la prima parte dell’enunciato della nostra analizzante: un uomo ha bisogno di una donna per accorgersi che quello non è ciò che vuole. E’ evidente che ci situiamo nel discorso; in effetti parliamo di un uomo come se fosse già definito, inoltre parliamo di volere anziché desiderare. Tuttavia questo enunciato è interessante perché rivela l’abbaglio in cui si situa il discorso ossessivo. E’ curioso che Lacan utilizzi la medesima notazione del fantasma per indicare anche l’uomo, e che il secondo termine della sua formula (S barrato a) contenga quell’a minuscola, per lui l’oggetto causa di desiderio, situandola per così dire nel campo avverso, quello della donna. Nonostante Lacan si renda conto che l’oggetto è escluso da ogni possibile determinazione di genere, lo situa nondimeno nel campo delle donne. Occorre tuttavia notare che quel campo è come se scomparisse anch’esso in quanto tale. In effetti, Lacan vi situa anche la donna barrando il La, vi situa la donna che quindi non esiste, e vi situa l’inconscio (l’Altro), precisando in ogni caso che non esiste l’Altro dell’Altro. Il fantasma sarebbe dunque la prerogativa soltanto dell’essere chiamato uomo? Probabilmente avevano qualche ragione le femministe nel criticare il fallocentrismo di Lacan (e di Freud), perché questo è uno schema che soltanto un uomo potrebbe scrivere, ovvero è letteralmente la scrittura di un fantasma. Lacan lascia credere in qualche modo che la differenza (pur impossibile) fra uomo e donna possa essere spiegata e trascritta a partire da una posizione, come se questa fosse già scritta in qualche modo e da qualche parte. Ma il fantasma, per quanto possa essere originario, non è la prerogativa di un genere piuttosto che di un altro. Allora, se ha senso ad ogni modo interrogarsi sul discorso, come vede l’oggetto, un uomo? Appunto sembrerebbe che lo possa più facilmente vedere, vale a dire rappresentare. L’oggetto causa di desiderio è l’idea dell’oggetto, oppure l’oggetto rappresentato, oppure il fallo scambiato per l’oggetto. Il fallo è il significante della mancanza, ma la mancanza non è originaria, la mancanza concerne l’avere, oppure concerne l’essere in quanto mancanza a essere. Occorre precisare che dal lato “uomini”, per così dire, il fallo è il significante della mancanza d’oggetto. Mentre dal lato “donne” il fallo è semplicemente quel significante che designa la rimozione primaria. Il paradosso, tuttavia, consiste nel fatto che è appunto soltanto il fallo a consentirci una simile distinzione. Il fallo è all’origine della scrittura della stessa distinzione fra i sessi. E’ questo l’unico modo in cui dobbiamo intendere a mio parere l’annotazione freudiana che la libido è soltanto maschile. Il fallo è quel significante che fissa la differenza in quanto tale. L’oggetto, nel registro dello specchio e dello sguardo, si presenta come un oggetto che si sottrae oppure rispettivamente che manca. Possiamo allora dire che l’uomo, preferibilmente situato nel registro dello sguardo, per individuare l’oggetto del suo desiderio si deve confrontare con una donna (con l’Altro), abbandonando la posizione di padronanza che gli faceva supporre che l’oggetto fosse proprio quello. E’ la condizione per l’incontro con il sembiante. Al contrario, la donna, situata preferibilmente nel registro dello specchio, più facilmente è rapportata con l’Altro (e Lacan è molto esplicito a tale riguardo), anzi in questo caso l’Altro rischia proprio di essere idealizzato. Ella dovrà allora confrontarsi con un “uomo” (ma forse ancor più facilmente con una “donna”), per abbandonare quella posizione che la induce a sottrarsi rispetto all’oggetto. Come annota la nostra analizzante per quanto riguarda il rapporto delle donne con l’oggetto. Non solo una “donna” non esiste come La donna, o come elemento dell’insieme delle donne, ma anche l’”uomo”. Si potrebbe quasi sostenere che l’uomo (ciò che crediamo, nel discorso, sia l’uomo) non è che una donna che si è fissata nel rapporto con il fallo, quest’ultimo allora inteso semplicemente come significante della mancanza. Ciò nondimeno avviene comunemente che noi ci ritroviamo nel discorso (vale a dire nel fantasma) come uomini oppure come donne. Il fallo, ovvero il significante della mancanza, è nel primo caso (“uomo”) rappresentato, incarnato direi; nel secondo caso “la donna”) escluso dal campo della rappresentazione e ritorna come significante (da rifiutare) di ciò che manca. Ecco un modo per tradurre teoricamente il commento della nostra analizzante. Il rifiuto che la donna oppone al fallo non è allora il rifiuto dell’oggetto, ma della sua rappresentazione. Più facilmente la “donna” è portata ad accorgersi che il fallo è insufficiente, ingannevole, sempre inadeguato a rappresentare l’oggetto. Più facilmente la donna (ma stiamo ancora parlando dell’isterica) è portata ciò nondimeno a credere che da qualche parte possa esistere un autentico fallo, il significante di una mancanza assoluta, che potrebbe soddisfarla. Per questo Lacan giunge a dire che l’isterica crea Dio. Il fallo costituisce allora la scrittura della differenza nella parola, vale a dire è quel significante che è in grado di rinviare a un altro, proprio in quanto rinvia prima di tutto a se stesso. Quasi il significante della pura potenza significante. Resta che gli umani possono dividersi in uomini e donne soltanto a livello del discorso, e non possono evitare l’arbitrarietà e la menzogna di questa ripartizione che non è originaria. E’ soltanto rispetto a un oggetto a-sessuato e imprendibile, il sembiante, che gli umani possono tentare di operare un’autentica ripartizione. Anche il fallo non può evitare l’ambiguità e l’equivoco del nome cui si sostiene. Anzi, ne è proprio l’istanza, il suo fine è mantenere questa sospensione. Così come il nome del padre finiva con l’esprimere semplicemente l’istanza del nome, e della legge, a patto di evitare il rischio di diventare il nome del nome; il fallo esprime l’istanza del significante (del figlio) e dell’etica, a patto di non involgere nel significante del significante. Il fallo, infine, è l’istanza della relazione, la quale è possibile in quanto tale soltanto in questa sospensione, ovvero quella di non determinare l’oggetto cui si rivolge, ma di rinviare al significante successivo. Il fallo insiste nel dichiarare che il godimento, la congiunzione con la cosa, non è rappresentabile. Che il corpo stesso non è rappresentabile. Così il fallo impedisce al godimento di invadere il campo dell’Altro. Se l’isterica fa il fallo, lo assume e lo incarna, è appunto per alludere a questa inconciliabilità fra il corpo e il significante. E’ per questo motivo che la questione deriva nell’isteria fino alla domanda: sono un uomo o una donna? L’enunciato della nostra analizzante, così paradossale, allude precisamente all’impossibile rappresentazione della differenza sessuale, alla non esistenza dell’insieme “uomini” e di quello “donne”. Il fallo significa la relazione originaria, la divisione, la differenza originaria, pur non consentendole al tempo stesso di assumere un’identità che varrebbe soltanto a falsificarla restituendola al discorso comune. Il fallo è dunque il significante dell’apertura. E in quanto tale muta continuamente di posto, ovvero è instabile rispetto a qualsiasi identificazione possibile tentata dal discorso, rendendo quindi impossibile la determinazione del maschile e del femminile. La differenza nella parola originaria precede qualsiasi determinazione di genere, maschile o femminile, opera del discorso. Di più, il fallo rende impossibile la comunicazione fra il “maschile” e il “femminile”. Restituendo, come unico modello di comunicazione, il malinteso. E così il fallo si presenta come il più valido sostenitore della sessualità originaria, permettendole di affiorare da nessun luogo o tempo, da nessuna persona che sia già determinata.