La metodologia del Cooperative Learning

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La metodologia del Cooperative Learning
La metodologia del Cooperative Learning
1. LE ORIGINI DEL COOPERATIVE LEARNING
Il lavoro cooperativo non è, nella storia, un aspetto del tutto nuovo. D. W. Johnson & R. T.
Johnson individuano i primi sostenitori della cooperazione in Talmud (a. C.), Quintilliano,
Seneca (Qui docet discet) e nel ’600 Johan Amos Cormenius di Moravia1.
L’idea di applicare questa modalità anche all’ambito educativo risale alla fine del Settecento,
inizio dell’Ottocento, quando per la prima volta una metodologia basata sui gruppi di
apprendimento fu utilizzata in India da A. Bell Ed in Inghilterra da J. Lancaster. Negli Stati
Uniti approdò nel 1806 a New York, con l’apertura di una scuola lancasteriana.
Uno degli assertori principali di tale metodologia fu il colonnelloFrancis Parker, che nella
Scuola pubblica di Quicy, nel Massachusetts, diede ampia risonanza all’apprendimento basato
sul lavoro dei gruppi. Da qui le sue idee si diffusero rapidamente nella cultura didattica
statunitense agli inizi del secolo.
La crisi economica che colpì gli Stati Uniti negli anni Trenta determinò profonde modificazioni
nella vita del Paese, favorendo la diffusione di una cultura della competizione e della
concorrenza, che si estese ben presto anche agli ambiti scolastici ed educativi.
Per questo motivo per molti anni nelle scuole americane i modelli di apprendimento
competitivo ed individualistico furono adottati in una percentuale compresa tra l’85% ed il
95% del tempo di insegnamento.
Contemporaneamente all’affermarsi di questo movimento volto ad un’educazione di tipo
competitivo ed individualistico, si svilupparono due linee di pensiero che tendevano ad
affermare un indirizzo basato sull’impiego di metodi di apprendimento cooperativo nella
scuola.
La prima faceva capo a J. Dewey, mentre l’altra ebbe origine dagli studi di K. Lewin e da
quelli relativi alle dinamiche di gruppo di R. Lipitt e di M. Deutch (D. W. Johnson & F. P.
Johnson, 1991). Dewey e Lewin non ebbero occasione di confrontarsi tra loro, ma entrambi
convennero sull’utilità e la fecondità di una metodologia che prevedesse l’interazione e la
cooperazione nella scuola, non solamente ai fini dell’apprendimento, ma anche per
l’acquisizione e l’utilizzo di abilità sociali.
Dalle idee di Dewey conseguirono numerosi studi sui metodi scientifici per analizzare i
processi che venivano posti in essere attraverso la cooperazione di gruppo; determinanti, in
questo senso, furono anche gli studi di Lewin nel campo della ricerca sul gruppo.
Attualmente c’è un grande interesse per lo studio dei metodi cooperativi e le ricerche
sull’argomento sono innumerevoli. La stessa teoria appare in continua evoluzione ed in tutto
il mondo si stanno diffondendo le sperimentazioni legate a questo metodo. I Paesi che in
questo momento stanno impiegando più risorse ed energie nella ricerca sono soprattutto Stati
Uniti, Israele, Canada ed Inghilterra.
Tali centri di studio e ricerca sono diventati altresì degli importanti punti di riferimento per
formatori e trainers che sono interessati all’applicazione ed alla diffusione di questo metodo.
Negli Stati Uniti, in particolare, il grande successo del Cooperative Learning è testimoniato
anche dalla sua presenza regolare nei manuali per insegnanti utilizzati in molte università.
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D. W. Johnson & R. T. Johnson, “Stato attuale dell’apprendimento cooperativo: apprendere insieme e da soli”, in G.
Chiari (a cura di) (1998), Atti della conferenza Cooperative Learning: ricerca e formazione nella scuola e nel mondo economico, Regione
Autonoma Trentino Alto-Adige ed Università degli Studi di Trento.
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2. RIFERIMENTI TEORICI
A. Le teorie motivazionali
Gli studi sulla modificazione del comportamento degli adulti focalizzano tre strutture
principali di valori che motivano al cambiamento/apprendimento:
1. individualistica - apprendimento individuale, totale ininfluenza reciproca.
Rapporto lineare discente-docente-contenuto
2. competitiva - tensione ad emergere, problemi di immagine, gioco a somma zero.
Il gruppo come “arena”
3. cooperativa - approccio integrativo, l’apprendimento del singolo è indissolubile
contributo dello apprendimento altrui. L’ascolto, il confronto, la discussione diventano
“interesse/vantaggio comune”.
La teoria motivazionale che enfatizza l’approccio cooperativo, pone l’accento sul fatto che i
valori cooperativi cambiano radicalmente le motivazioni di partecipazione al corso e di
coinvolgimento sui contenuti.
Le strutture cooperative, quindi, creano una situazione per cui i corsisti possono conseguire
apprendimento solo attraverso il successo del gruppo. Il gruppo assume un significato
“strumentale”, un mezzo indispensabile per l’apprendimento individuale.
Tale situazione viene chiamata interdipendenza positiva.
B. Le teorie cognitive
L’approccio cognitivo sostiene che lavorare insieme tra pari aumenta la padronanza dei
concetti.
Alcuni autori (Vygotsky, Kuhn, 1972) sostengono che la zona di “sviluppo prossimo”, vale a
dire la distanza tra livello di sviluppo effettivo e potenziale, ottiene livelli più avanzati di quelli
conseguibili con le normali attività individuali.
Lo stesso Piaget sottolineava l’emergere di livelli superiori di comprensione, attraverso
l’affrontare conflitti cognitivi e l’esporre ragionamenti.
C. Teorie di elaborazione cognitiva (Wittrock, 1978)
Quando un’informazione deve essere ritenuta nella memoria e poi riferita ad altri, il discente
deve impegnarsi in una ristrutturazione cognitiva e in una rielaborazione dei contenuti, che
richiede capacità di selezione e riorganizzazione dei concetti significativi.
D. Teorie sociali (Piaget, 1926)
Nelle organizzazioni complesse (soprattutto nelle aziende di oggi ad elevata complessità), il
lavoro individuale non è sufficiente; diventa fondamentale l’interfunzionalità, l’integrazione
tra ruoli e persone.
Le cosiddette “competenze trasversali” sia metodologiche che sociali sono un elemento
fondamentale nell’interpretazione qualitativa del ruolo professionale.
La professionalità infatti è composta da competenze specialistiche, da atteggiamenti
(orientamento al problem solving, coinvolgimento sui risultati, self-empowerment) e da tutta la
sfera dei comportamenti sociali.
Le competenze sociali possono essere apprese soltanto nell’interazione con altri.
E. Teorie dei climi (Lewin, Allport, Rogers, Jibbs)
Secondo questi autori, metodi didattici che sviluppano un clima democratico, affettivo,
centrato sulle persone, risultano di gran lunga i migliori per facilitare l’apprendimento.
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Di fronte allo stimolo apprendimento/cambiamento, l’individuo (soprattutto adulto) si trova
ad affrontare un dilemma: deve infatti gestire l’ambivalenza della tensione tra meccanismi
difensivi, di conservazione e tentazione di curiosità nel nuovo. Solo un clima di
sostegno, favorito da una struttura cooperativa, permette al singolo di “fidarsi” del setting
formativo e di convogliare quindi le proprie energie psichiche verso l’interesse e l’elaborazione
mentale, quindi il coinvolgimento e la partecipazione attiva, di conseguenza verso
l’apprendimento trasferibile.
3. GLI ELEMENTI ESSENZIALI DEL COOPERATIVE LEARNING
M. Comoglio (1999, p. 13) definisce il Cooperative Learning come «un insieme di principi
educative, tecniche didattiche, nelle quali i discenti lavorano in piccoli gruppi per attività di
apprendimento e ricevono una valutazione in base ai risultati conseguiti, sia individuale che collettiva».
Questa definizione, come l’autore stesso sottolinea, necessita tuttavia di un’ulteriore
specificazione.
Non si tratta infatti di Cooperative Learning quando si strutturano piccoli gruppi per discutere
un argomento o per studiare insieme, esortandoli ad aiutarsi vicendevolmente (cioè a
collaborare).
Perché si tratti di apprendimento cooperativo è necessario che siano contemporaneamente
presenti cinque elementi fondamentali (D. W. Johnson, R. T. Johnson, E. J. Holubec & P.
Roy, 1984; D. W. Johnson, R.T. Johnson & E. J. Holubec, 1994):
1. l’interdipendenza positiva;
2. l’interazione promozionale faccia a faccia;
3. la valutazione individuale e collettiva;
4. l’uso di abilità sociali nell’agire in piccoli gruppi;
5. un monitoraggio ed una revisione del lavoro di gruppo.
Nel 1990 Strother raccolse le principale opinion dei maggiori studiosi attuali di Coopeative
learning, dopo aver inviato loro una lettera nella quale chiedeva di elencare quelli che, a loro
parere, costituivano gli elementi fondamentali dell’apprendimento cooperativo.
M. Deutsch indicò tre elementi:
• gli studenti devono sviluppare la motivazione e devono essere forniti dell’opportunità
di aiutarsi l’un l’altro ad imparare;
• gli studenti devono sviluppare la convinzione e la sensazione che sono loro i
responsabili del gruppo e devono rendere conto al gruppo (come anche a se stessi) su
come fare meglio;
• gli studenti devono acquisire le competenze sociali necessarie per un lavoro cooperativo
efficace2.
Per D. W. Johnson e R. T. Johnson gli elementi per un apprendimento cooperativo efficace
sono cinque:
1. l’interdipendenza positiva (cioè la sensazione da parte dei membri del gruppo di galleggiare
e sprofondare insieme), che ordinariamente ha inizio nel momento in cui si ricerca un
obiettivo di gruppo;
2. responsabilità individuale acquisita lungo il cammino per conseguire l’obiettivo di gruppo;
3. competenze cooperative (comunicazione, costruzione della fiducia reciproca, leadership,
risoluzione di conflitti) che devono essere attentamente insegnate e apprese in un
contesto cooperativo;
4. controllo da parte dell’insegnante dei comportamenti che si riferiscono al compito da
2
Strother D. B., Cooperative Learning: fad or foundation for learning?, Phi Delta Kappan, 1990, p. 158, cit. in Comoglio M.,
Cardoso M. A., Insegnare e apprendere in gruppo, op. cit., p. 28.
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eseguire in gruppi e delle competenze di interazione che i membri del gruppo devono
saper manifestare e possedere;
5. interazione faccia a faccia relativamente al compito, per il quale tutti, nel gruppo,
contribuiscono, ascoltano, elaborano, discutono e cercano una soluzione3.
S. Sharan, uno degli studiosi di Cooperative Learning più apprezzati in Israele, individua i
seguenti componenti:
• organizzazione della classe: creare gruppi flessibili, eterogenei, i cui membri rappresentino
una miscela di interessi, di obiettivi accademici, di sesso e di etnie;
• pianificazione del compito di apprendimento: pianificare ciò che deve essere fatto, cosicché
ogni membro del gruppo possa dare un attivo contributo (discutendo il proprio lavoro e
non meramente copiando e/o richiamando fatti), e proporre soluzioni diverse derivate da
una varietà di fonti;
• ruolo degli allievi: osservare se gli studenti collaborano attivamente con i compagni di
gruppo, condividono informazioni e risorse, comunicano ed accettano le differenze
individuali.
• ruolo dell’insegnante: stabilire un clima cooperativo di classe ed un modello di
comunicazione efficace, pianificare compiti appropriati a piccoli gruppi, coordinare
l’organizzazione della classe con la pianificazione del compito di apprendimento,
definendo i ruoli e le competenze degli allievi, osservare l’interazione di gruppo,
intervenire quando sia necessario e aiutare gli studenti a elaborare (controllare)
l’apprendimento che acquisiscono4.
R. E. Slavin enfatizza molto, per l’efficacia del Cooperative Learning, il ruolo dei riconoscimenti
attribuiti ai gruppi. Tali riconoscimenti possono consistere in piccoli gadget, in certificati, in
benefits, e servono ad incoraggiare l’interazione e l’aiuto per l’apprendimento. Altri fattori
che contribuiscono all’efficacia del metodo sono:
• fare un buon lavoro di preparazione prima che gli studenti comincino a lavorare in gruppi;
• fare una lista dei comportamenti di gruppo efficaci ed esprimere approvazione nei
confronti dei gruppi che si impegnano in tali comportamenti;
• mantenere i gruppi insieme per un tempo sufficiente (almeno un mese) per sviluppare
una certa coesione e spirito di gruppo;
• premiare gli studenti per aver fatto meglio che nel passato, in modo tale che tutti
possano dare un contributo sostanziale al successo del gruppo5.
L’ultimo autore citato da Strother è Cohen, il quale pone particolare attenzione al ruolo
dell’insegnante, che deve possedere numerose abilità, fra le quali anche quella di saper
utilizzare modalità diverse per aiutare ogni studente ad imparare secondo i propri mezzi e con
le proprie modalità di apprendimento.
Cohen individua ulteriori fattori che possono contribuire al successo del Cooperative Learning:
• l’impegno e il coinvolgimento in esperienze di costruzione di competenze, come
l’ascolto, la spiegazione e la dimostrazione;
• una mescolanza di responsabilità di gruppo ed individuale. Ad esempio uno studente
può essere facilitatore o relatore del lavoro finale del gruppo, aiutare i compagni di gruppo
ad ottenere quello di cui hanno bisogno e organizzare i loro materiali. Ma ogni membro
3
Strother D. B., Cooperative Learning: fad or foundation for learning?, Phi Delta Kappan, 1990, p. 158, cit. in Comoglio M.,
Cardoso M. A., Insegnare e apprendere in gruppo, op. cit., p. 28.
4
Strother D. B., Cooperative Learning: fad or foundation for learning?, Phi Delta Kappan, 1990, p. 159, cit. in Comoglio M.,
Cardoso M. A., Insegnare e apprendere in gruppo, op. cit., p. 29
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Strother D. B., Cooperative Learning: fad or foundation for learning?, Phi Delta Kappan, 1990, p. 158, cit. in Comoglio M.,
Cardoso M. A., Insegnare e apprendere in gruppo, op. cit., p. 29.
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del gruppo dovrebbe anche giungere ad un suo prodotto individuale. Questa strategia ha
contribuito a elevare il livello di apprendimento nelle classi elementari dove erano presenti
molte lingue e disuguaglianze di abilità;
è utile all’insegnante presentare un esempio concreto che orienti il gruppo nei compiti da
svolgere, prima che i corsisti comincino a lavorare introducendo più rilevanti e significativi
della lezione e ricordando le norme, le regole e i ruoli di un cooperative learning;
è necessario strutturare una conclusione, nella quale i partecipanti riportano quello che
hanno imparato e il docente, che ha ascoltato e osservato con molta attenzione, chiarisce
qualche imprecisione chiave e aiuta i gruppi a sviluppare le loro strategie per la
cooperazione e l’esercizio dei ruoli6.
L’opera di Strother è stata molto importante per riassumere le componenti essenziali del
Cooperative Learning, mettendo insieme i contributi dei più importanti studiosi attuali di questo
metodo. Il suo lavoro sottolinea che gli elementi che garantiscono la sua efficacia, vengono
comunemente riconosciuti nell’interdipendenza positiva, nella competenza comunicativa dei
membri che partecipano al gruppo, nella valutazione individuale e di gruppo e nei gruppi
costituiti in modo eterogeneo.
4. COSA RENDE EFFICACE LA COOPERAZIONE
Perché la cooperazione funzioni occorre strutturare accuratamente cinque elementi essenziali
per ogni lezione. D. W. Johnson, R. T. Johnson & E. J. Holubec (1994) individuano i
seguenti:
1. Il primo e più importante elemento è l’interdipendenza positiva: si devono assegnare
compiti chiari ed un obiettivo comune, in modo che i corsisti capiscano che è una
questione di “uno per tutti e tutti per uno”. I membri del gruppo devono capire che non
può esserci il successo individuale senza quello di gruppo. Lo sforzo di ciascuno non va
solo a suo vantaggio, ma anche a vantaggio di ogni altro membro del gruppo. Non c’è
cooperazione se non c’è interdipendenza positiva.
2. Il secondo elemento essenziale è la responsabilità individuale e di gruppo: il gruppo
deve essere responsabile non solo rispetto agli obiettivi da raggiungere, ma anche
rispetto all’impegno di ogni componente nel contribuire con la propria parte di lavoro. La
valutazione delle prestazioni viene effettuata sia a livello individuale, sia in base ai
risultati ottenuti dal gruppo. Lo scopo del gruppo è anche quello di rafforzare la
competenza individuale di ogni membro: i corsisti imparano insieme per poter poi fornire
prestazioni individuali migliori.
3. Il terzo elemento è l’interazione costruttiva, preferibilmente diretta. I partecipanti al
corso devono lavorare insieme, incoraggiarsi, aiutarsi reciprocamente. I gruppi cooperativi
fungono sia da sistema di sostegno ai “saperi” (ogni discente ha qualcuno che lo aiuta ad
apprendere), sia di sostegno personale (ogni partecipante può contare sull’ aiuto
collettivo anche come persona). Ciascuno, aiutando gli altri, si impegna personalmente
al raggiungimento degli obiettivi comuni.
4. Il quarto elemento consiste nell’insegnare ai partecipanti le abilità necessarie nei
rapporti interpersonali all’interno del piccolo gruppo. Nei gruppi cooperativi non basta
che i discenti apprendano i contenuti teorici delle materie, ma devono
contemporaneamente agire le abilità sociali necessarie per far funzionare bene il gruppo.
L’apprendimento cooperativo, in questo senso, appare più complesso di quello
individualistico o competitivo, perché ogni corsista è chiamato ad occuparsi,
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Strother D. B., Cooperative Learning: fad or foundation for learning?, Phi Delta Kappan, 1990, p. 159, cit. in Comoglio M.,
Cardoso M. A., Insegnare e apprendere in gruppo, op. cit., pp. 29-30.
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simultaneamente, sia del compito assegnato, sia del clima di gruppo. I membri del gruppo
devono essere capaci di assumere la leadership, di gestire i conflitti, di risolvere problemi
complessi, di comunicare efficacemente. Queste abilità sociali devono essere insegnate,
così come si fa per le abilità specialistiche.
5. Il quinto componente è la valutazione di gruppo. Nella valutazione di gruppo i membri
discutono relativamente al raggiungimento dell’obiettivo e l’efficacia dei rapporti di
lavoro.
Ogni gruppo deve valutare attentamente quali azioni hanno portato ad un lavoro efficace e
quali lo hanno, invece, ostacolato. Solo attraverso una valutazione analitica delle modalità
operative del gruppo è possibile aumentarne l’efficacia per l’impegno futuro.
L’uso dell’apprendimento cooperativo è efficace solamente se l’azione è disciplinata. I cinque
elementi di base non sono solo le caratteristiche di un buon gruppo di apprendimento, ma
sono anche principi che devono essere applicati con rigore.
I cinque elementi, tuttavia, da soli non possono garantire l’efficacia del Cooperative Learning.
Molti studiosi che si occupano della valutazione della qualità hanno affermato che oltre l’85%
dei comportamenti dei membri di un’organizzazione è direttamente attribuibile alla struttura
dell’organizzazione stessa, più che alle caratteristiche degli individui coinvolti. Un’aula non
fa eccezione. Se in essa dominano l’individualismo e la competizione gli individui agiranno
di conseguenza, a prescindere dal fatto che temporaneamente siano stati inseriti in gruppi
cooperativi. Se la centratura si pone invece sulla collaborazione, i partecipanti si
comporteranno in modo da essere parte di una vera comunità di apprendimento cooperativo.
La cooperazione tra discenti richiama fortemente il problema della struttura organizzativa dei
setting formativi. Per decenni le scuole hanno funzionato a “compartimenti stagni”, nei
quali ogni materia era separata dalle altre ed ogni insegnante agiva relativamente al
proprio comparto, diviso dai colleghi, con la propria metodologia, senza intersezioni o
confronti.
L’utilizzo dell’apprendimento cooperativo in particolare. Richiede una struttura organizzativa
che non produca un “effetto alone”, evocativo della scuola istituzionale, ma un contesto
basato sul gruppo e sulle qualità delle prestazioni.
Si tratta di un cambiamento radicale che influenza tutti gli aspetti della vita d’aula.
Perché si verifichi un reale trasferimento sul campo di quanto appreso, i corsisti devono
percepire che quanto viene loro proposto è veramente patrimonio condiviso e consolidato nel
contesto nel quale sono (o saranno) inseriti.
È importante curare la coerenza tra proposta formativa e cultura organizzativa, al fine di
evitare delusioni e quindi demotivazione nell’interpretazione del proprio ruolo professionale.
5. LE ABILITÀ SOCIALI INSEGNATE CON IL COOPERATIVE LEARNING
Come abbiamo visto, perché si possa parlare di apprendimento cooperativo non è sufficiente
che i corsisti lavorino insieme per imparare i contenuti scolastici, ma è necessario che
contemporaneamente sviluppino e mettano in atto tutta una serie di abilità sociali, di
competenze aspecifiche quali:
• l’interdipendenza sociale;
• la capacità di comunicare efficacemente;
• la capacità di esercitare una leadership;
• la capacità di gestire i conflitti;
• la capacità di risolvere problemi (problem solving);
• la capacità di assumere decisioni.
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L’interdipendenza sociale
L’interdipendenza sociale rappresenta il tipo di relazione che si stabilisce tra le persone per il
conseguimento di un obiettivo comune. Secondo M. Deutsch (1962) ci sono tre tipi di
interdipendenza sociale a seconda dei diversi contesti operativi: cooperativo, competitivo ed
individualistico.
Nella struttura cooperativa la responsabilità di raggiungere un obiettivo comune è condivisa da
tutti i membri del gruppo. In questo caso la possibilità che ciascuno ha di conseguire il proprio
obiettivo dipende dalla possibilità degli altri di raggiungere i propri (interdipendenza positiva).
Un esempio può essere rappresentato da una riunione aziendale nella quale è necessario
assumere una decisione.
Nella struttura competitiva la possibilità di una persona di raggiungere l’obiettivo preclude, di
fatto, agli altri di raggiungere i propri (interdipendenza negativa). Si pensi, ad esempio, ad
una gara automobilistica, nella quale ognuno compete per arrivare prima degli altri.
Nella struttura individualistica le persone conseguono i propri obiettivi in base alle capacità
personali, alla motivazione ed agli interessi che hanno. In questo caso l’interdipendenza è
assente. D. W. Johnson e R. T. Johnson (1989) portano come esempio quello di un pianista,
che può decidere di riprovare da solo un brano fin quando non ritiene che la performance
sia perfetta.
Sulla base di numerosi studi condotti è possibile affermare che, rispetto a tre variabili
analizzate (attrazione interpersonale, sostegno sociale e stima di sé) si è riscontrata una
maggior efficacia del metodo cooperativo rispetto a quello individualistico e competitivo.
•
La capacità di comunicare efficacemente
L’interdipendenza positiva, che sta alla base del Cooperative Learning, prevede necessariamente
un rapporto comunicativo tra i membri del gruppo. Nel gruppo, infatti, si attua un intenso
scambio di informazioni, di emozioni, di punti di vista diversi, si cerca di risolvere problemi e
di gestire conflitti. Le capacità comunicative, tuttavia, non rappresentano un patrimonio
innato delle persone, ma vengono anch’esse apprese.
Perché la comunicazione sia efficace è necessario che siano presenti dei requisiti
fondamentali:
• D. W. Johnson (1990) parla innanzitutto della disponibilità della persona ad essere
aperta con e aperta a. Una persona appare aperta con le altre quando esprime idee e
sensazioni e si lascia conoscere come è. È invece aperta ad altre persone nel momento in cui
dimostra interesse per le loro idee, sensazioni e si conoscono ed apprezzano come tali.
• Un altro aspetto importante è rappresentato dalla credibilità della persona che parla,
intesa come competenza rispetto al contenuto della comunicazione.
• Altri elementi sono rappresentati dalla sincerità degli interlocutori, dall’adeguatezza delle
persone che si scelgono come interlocutori e dall’essere riconosciuti ed accettati come
interlocutori.
Le
competenze
per comunicare
in maniera
efficace
vengono individuate
da M. Comoglio & M. A. Cardoso (1996, pp. 95-97) in:
1. Sul versante espressivo. Avere la capacità di :
• rendere personali i messaggi;
• formulare i messaggi in modo chiaro, completo e specifico;
• comunicare in modo eterocentrato;
• essere ridondanti per facilitare la ricezione dei messaggi.
2. Sul versante ricettivo. Avere la capacità di:
• attivare taluni meccanismi e processi richiesti dalla situazione comunicativa
(comprensione dell’intenzione del comunicante, organizzazione del messaggio attorno
ad alcune strutture, sintesi del messaggio, controllo del significato del messaggio
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ricevuto);
• controllare la percezione dei sentimenti dell’altro;
• evitare risposte di tipo valutativo, interpretativo o comunicanti atteggiamenti di
superiorità;
• rispondere comprendendo in profondità idee e sentimenti dell’altro;
• creare e mantenere un clima di accettazione della richiesta di aiuto [in relazione a
difficoltà cognitive nel compito da svolgere].
Per costruire e mantenere un clima di fiducia reciproca e calore, inoltre, i due autori ritengono
che siano indispensabili atteggiamenti quali:
• comunicare considerazione e stima per l’altra persona, per i suoi contributi e per il suo
comportamento;
• comunicare all’altro che si riconoscono e si apprezzano le sue doti e che si crede che
egli possieda le capacità di gestire produttivamente la situazione nella quale si trova;
• saper descrivere direttamente i propri sentimenti;
• mantenere la relazione con l’interlocutore attraverso gli occhi, il contatto fisico ed i
gesti.
•
La capacità di esercitare una leadership
D. W. Johnson e F. P. Johnson (1991) sono gli studiosi che più di altri hanno trattato il tema
della leadership. Essi, dopo aver analizzato numerose ricerche, sottolineano che non esiste
uno stile o degli atteggiamenti di leadership efficaci in ogni situazione. La loro ricerca ha
evidenziato anche quali sono i comportamenti di una leadership e li ha distinti in due tipi: la
leadership orientata al compito e quella orientata al mantenimento di un buon clima di
gruppo. La leadership, inoltre, non è una dote innata delle persone, ma può essere, al
contrario di quanto affermato da altri studiosi, appresa.
Perché un gruppo riesca a raggiungere un determinato obiettivo è necessario che i
comportamenti dei membri siano adeguati per realizzare gli obiettivi a cui mirano e che nel
gruppo siano presenti delle relazioni efficaci ed un buon clima. La distibuted - action theory
individua così due tipi di comportamenti:
1. comportamenti che hanno la funzione di coinvolgere i membri nella realizzazione del
compito;
2. comportamenti che garantiscono un buon clima di gruppo.
Riprendendo in dettaglio le due aree comportamentali:
1. Comportamenti che hanno la funzione di coinvolgere i membri nella realizzazione del compito.
Essi comprendono tutta una serie di azioni del leader che permettono al gruppo di
lavorare insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune e sono:
• esporre nuove idee, portare suggerimenti, fornire informazioni;
• stimolare a fornire informazioni e opinioni;
• orientare il lavoro del gruppo e assegnare ruoli;
• operare una sintesi rispetto a quanto discusso;
• stimolare l’approfondimento e l’apertura a nuove prospettive;
• verificare il livello di comprensione dei membri.
2. Comportamenti che garantiscono un buon clima di gruppo. Gli interventi individuati al
punto 1. non sono di per sé sufficienti a garantire il raggiungimento dell’obiettivo previsto
se all’interno del gruppo non si crea un clima collaborativo e di interdipendenza positiva.
Gli aspetti relazionali, dunque, appaiono di fondamentale importanza per lavorare bene
insieme. Un leader efficace, di conseguenza, dovrebbe saper assumere i seguenti
atteggiamenti:
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incoraggiare la partecipazione di tutti;
facilitare la comunicazione;
sollevare da tensioni;
osservare il processo;
risolvere problemi interpersonali;
mostrare accettazione di membri ed elargire riconoscimenti.
La distributed–action theory della leadership sostiene che tutti i membri del gruppo possono
assumere comportamenti da leader, sia con atteggiamenti che aiutano il gruppo a raggiungere
l’obiettivo individuato, sia contribuendo a creare un buon clima relazionale.
D. W. Johnson e F. P. Johnson (1991, p.165) affermano che:
«La leadership è un insieme di abilità apprese che tutti con un minimo di capacità possono
acquisire. La partecipazione responsabile al gruppo e la leadership dipendono entrambe da un
comportamento flessibile, dall’abilità a diagnosticare quali comportamenti sono necessari in un
particolare momento, affinché il gruppo funzioni in modo efficace e dall’abilità di adempiere
questi comportamenti o ottenere che altri li adempiano. Un membro abile o leader deve
perciò essere capace di rendersi conto se una data funzione è necessaria in un gruppo e deve
sapersi adattare sufficientemente in modo da fornire i diversi tipi di comportamento necessari
per le diverse situazioni.
In più un membro efficace in un gruppo o un leader dovrebbe essere capace di utilizzare le
abilità di altri membri del gruppo per fornire azioni necessarie al gruppo».
Le ricerche sui comportamenti che rendono efficace il lavoro di gruppo hanno permesso di
mettere il luce anche quei comportamenti che invece lo ostacolano, creando tensione,
incomprensioni o conflitti.
Anche questi comportamenti di leadership negativa possono essere distinti in relazione al
compito ed in relazione al clima di gruppo (M. Comoglio & M. A. Cardoso, 1996, pp. 105106).
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Comportamenti di leadership negativa in relazione al compito.
essere assenti agli incontri di gruppo;
non dare contributi, quando si è presenti;
dichiarare che si intende fare niente di più di ciò che è necessario fare;
fare altro durante le riunioni […], in altre parole dimostrarsi assenti rispetto a quello che si
svolge nel gruppo;
rifiutare suggerimenti o consigli di altri;
parlare troppo e intervenire più spesso degli altri membri del gruppo; permettere che
qualcuno monopolizzi l’attenzione;
evitare la discussione perché non piacciono le ragioni che vengono portate;
introdurre fatti o argomenti, o dire cose spiritose (barzellette, battute) che sviano dal
compito in cui si è impegnati.
2. Comportamenti di leadership negativa in relazione al clima di gruppo.
Fanno parte del secondo gruppo:
• cominciare subito una discussione dimostrando di sapere tutto, facendo sfoggio di un
vocabolario esteso, di parole tecniche e specialistiche;
• non distinguere i comportamenti che non piacciono o quelli che danno fastidio dalle
persone, che vanno sempre rispettate e accettate;
• mostrarsi spesso in disaccordo con gli altri;
• avere un atteggiamento di rifiuto nei confronti di qualche persona;
• trattenersi dall’aiutare quando lo si può fare;
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ritirarsi dalle responsabilità del gruppo;
lasciare il luogo dell’incontro dimostrando disinteresse per gli altri o per le cose che
vengono discusse;
mostrare antagonismo; non accettare la diversità di opinioni;
diminuire lo status di altri;
difendere o imporre se stesso.
D. W. Johnson e F. P. Johnson (1991, p. 166) concludono la loro riflessione sulla
leadership in questo modo:
«La distributed-action theory della leadership è una delle teorie più concrete e disponibili per
migliorare le abilità di leadership della persona e per migliorare l’efficacia di un gruppo. Le
persone devono però essere istruite nelle abilità diagnostiche e nei comportamenti che
aiutano un gruppo a realizzare il suo compito e a mantenere relazioni di collaborazione efficace
tra i membri».
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La capacità di gestire i conflitti
Ognuno di noi nel corso della vita si è trovato a dover affrontare situazioni di conflitto. Per
il dizionario la parola conflitto significa lotta, battaglia, disaccordo, disputa, contesa. Il
conflitto esiste ogni qualvolta ci siano attività tra loro incompatibili. Un’attività incompatibile
con un’altra genera tensioni, blocca, previene, influenzando negativamente l’attività che
potrebbe essere svolta in modo efficace. Il conflitto appare dunque come un processo di
interazione tra due diverse parti che per qualche motivo vengono a trovarsi su due posizioni
opposte.
Le modalità per la gestione di un conflitto possono essere molto diverse e sono state oggetto di
numerosi studi. Quelle individuate come le possibili sono:
1. dominio: una delle due parti in conflitto impone all’altra le sue ragioni.
2. negoziazione: le due parti in conflitto, pur avendo posizioni diverse comunicano in modo
assertivo le proprie ragioni, per giungere ad una soluzione collaborativa.
3. accomodamento: una delle due parti, dopo aver cercato di comunicare le proprie ragioni,
accetta quelle dell’altra parte per evitare conseguenze spiacevoli.
4. fuga: le due parti cercano di evitare il conflitto perché temono il confronto e la possibilità di
perdere.
5. compromesso: il conflitto è visibile e manifesto. Le due parti, tuttavia, non si
comunicano assertivamente le proprie posizioni con il fine di trovare una soluzione
negoziale, ma ponderano rinunce e vantaggi, in modo che ciascuna non possa
considerarsi, né vincitrice, né vinta.
La strategia che appare più efficace per la soluzione di un conflitto, anche se appare la più
complessa, è quella dell’integrazione o negoziazione.
Essa richiede notevoli abilità comunicative ed il rispetto di alcune regole che possono essere
così sintetizzate:
1. individuare quali fatti suscitano il conflitto ed essere disponibili a discutere il conflitto per
superarlo;
2. identificare i propri bisogni e i propri scopi e che cosa si vuole dall’altro;
3. essere capaci di confrontarsi
4. cercare di comprendere la prospettiva dell’altro;
5. essere capaci di inventare soluzioni di mutuo vantaggio;
6. ricercare creativamente le soluzioni possibili;
7. trovare un accordo che sia “totalmente” soddisfacente per entrambi i contendenti (M.
Comoglio & M. A. Cardoso, 1996, pp. 112-113).
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Il modo in cui un conflitto viene risolto è molto importante per gli effetti che si producono
sulle due parti coinvolte.
Se i risultati sono positivi entrambe si sentiranno coinvolte nel prodotto della contesa ed
avranno avuto l’opportunità di conoscersi e di comunicare apertamente. La sensazione sarà
quella di aver impiegato il tempo positivamente. Se i risultati non sono soddisfacenti la
comunicazione sarà meno aperta e le due parti, anche dovendo gestire un nuovo
conflitto, non saranno disponibili ad affrontarlo in modo assertivo.
Le conseguenze, in ogni caso, saranno tanto più pesanti quanto più è stato insoddisfacente il
modo con il quale il conflitto è stato affrontato.
Le competenze richieste per la gestione efficace dei conflitti rientrano nelle abilità sociali che i
membri di un gruppo di lavoro devono possedere. Oltre a quelle di comunicare il proprio
punto di vista e di ascoltare quello degli altri, tuttavia, è necessario anche sapersi muovere
all’interno di un percorso che va dalla ricerca delle cause del disaccordo, alla comprensione dei
bisogni reciproci, alla scoperta di soluzioni creative, alla negoziazione di una soluzione che
appaia soddisfacente per tutti.
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La capacità di risolvere problemi (problem solving)
I gruppi cooperativi devono continuamente affrontare dei problemi: quali ruoli assume ogni
membro del gruppo, come impostare la pianificazione di un lavoro assegnato, come
coinvolgere membri non motivati al lavoro o con difficoltà, etc.
Secondo D. W. Johnson e F. P. Johnson (1991) la soluzione dei problemi nel gruppo
cooperativo parte dal presupposto che tra i membri sia presente un’interdipendenza
positiva e dunque la disponibilità a mettersi in gioco, ma anche quella ad ascoltare
sinceramente l’altro, accettando il contributo di tutti.
Secondo gli autori il primo passo per la soluzione di un problema è quella di chiarire bene
l’obiettivo al quale si tende, senza pregiudizi o atteggiamenti che possono fuorviare da una
corretta analisi del problema.
In secondo luogo è necessario che i membri del gruppo raccolgano tutte le informazioni che
possono risultare utili per giungere alla soluzione.
Tali informazioni potranno essere classificate in modo da identificare quelle più importanti
per ridefinire il problema. In tal senso la raccolta delle informazioni è un nodo fondamentale
per non tralasciare delle possibilità rilevanti. Anche la scarsa comunicazione all’interno del
gruppo appare come un deficit informativo, con conseguenze sulla perdita di condivisione e di
responsabilità nel momento in cui la soluzione al problema deve essere applicata.
Il terzo punto individuato dai due studiosi americani consiste nell’approfondire e chiarire le
differenze esistenti tra la situazione di partenza e quella voluta. Nell’individuare le
soluzioni accade che molte volte il gruppo si fermi alla prima trovata, evitando così di
scoprire altre possibilità che potrebbero garantire una soluzione migliore al problema. Nel
gruppo, inoltre, può succedere che si decida per la soluzione proposta da membri che si
ritengono più bravi od intelligenti, minimizzando od escludendo le proposte di quelli che si
pensano meno bravi o le proposte di coloro che non le sanno esporre efficacemente.
In questi casi è utile individuare una serie di soluzioni possibili, anche creative, ed assegnare
loro un punteggio decrescente. Una volta individuata la soluzione preferibile è bene che
ce ne sia sempre anche una che può sostituirla.
A questo punto il gruppo passa all’applicazione della soluzione, individuando le persone che
la devono realizzare e valutando, sia il processo che ha portato ad essa, sia i risultati.
•
La capacità di assumere decisioni
Il processo decisionale rappresenta, per i membri di un gruppo, l’occasione di prendere parte
attivamente ed in modo coinvolgente ad una serie di attività che portano ad un obiettivo
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comune. Per questo motivo le modalità attraverso le quali si arriva a prendere una decisione
acquistano fondamentale rilevanza, in quanto esprimono il livello di partecipazione, di
corresponsabilità e di condivisione di ogni membro.
D. W. Johnson e F. P. Johnson (1991, pp. 215-224) individuano diverse modalità di
assumere decisioni:
1. autoritaria: ha luogo quando la decisione viene assunta da una sola persona a nome di
tutto il gruppo. Non necessariamente la modalità autoritaria è negativa. Quando il tempo è
molto breve ed il problema non è complesso può rivelarsi efficace. Non lo è quando la
decisione richiede l’apporto di punti di vista diversi, o deve corresponsabilizzare più
soggetti.
2. Basata sulla decisione di un unico membro del gruppo dopo una discussione di gruppo: di solito ha
luogo quando la decisione viene assunta da una persona che si trova in una posizione
gerarchica superiore rispetto agli altri membri del gruppo. In questo caso la discussione del
gruppo ha lo scopo di arricchire di idee e contributi la decisione che la persona prenderà. È
importante che i membri non si lascino condizionare dalla posizione del “capo” nel
momento di formulare le proposte.
3. Basata sull’espressione della maggioranza dei membri: appare la modalità più diffusa, ma anche
quella che rappresenta il fallimento della membership. La decisione viene assunta, ma il
gruppo si divide in vincitori e vinti. I conflitti non vengono risolti e non si ha il senso di
partecipazione e di corresponsabilizzazione di ogni membro rispetto alla decisione finale.
4. Fondata sulla consultazione dei singoli membri del gruppo: un membro responsabile del
gruppo raccoglie le proposte di ciascun partecipante e prende una decisione in riferimento
alla soluzione che appare più condivisa. In questo modo le soluzioni meno condivise,
anche se più efficaci, rischiano di non essere mai prese in considerazione. La discussione
di gruppo è assente e così il coinvolgimento e la corresponsabilità rispetto alla decisione
assunta.
5. Che fa ricorso ad esperti: il gruppo delega di fatto la decisione a persone che vengono
individuate come esperte rispetto al problema da affrontare. Alla fine la decisione può
essere buona, ma viene a mancare il consenso e la compartecipazione dei membri del
gruppo, i quali non sentono la decisione come propria: la competenza prevale sulla
costruzione di una soluzione consensuale.
6. Limitata ad un gruppo ristretto: questa modalità può essere utile quando i tempi per
assumere una decisione sono brevi e quando la decisione non richiede il contributo di tutti
i membri del gruppo. In questo caso il gruppo delega un sottogruppo a decidere. Tale
modalità appare invece negativa quando la decisione dovrebbe coinvolgere tutti e membri,
ma al contrario si forma un sottogruppo minoritario che di fatto decide per tutti.
7. Fondata sul consenso: è la modalità più complessa, ma anche la più valida. Essa richiede
tempi lunghi, una comunicazione efficace tra i membri del gruppo, partecipazione attiva,
capacità di gestione dei conflitti. Richiede, insomma, tutte le abilità sociali elencate fino a
questo momento. L’utilizzo delle risorse, in questo modo, appare buono e la soddisfazione
dei membri del gruppo è elevata, così come il senso di responsabilità rispetto alla decisione
assunta.
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6. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Come abbiamo visto il Cooperative Learning è una metodologia didattica che mira a far
apprendere attraverso la mediazione del gruppo. Il valore aggiunto più significativo di questa
metodologia tuttavia ci sembra essere il duplice obiettivo di far apprendere
contemporaneamente le conoscenze teoriche e le competenze specialistiche insieme alle
competenze trasversali (capacità metodologiche e abilità sociali).
Sono queste competenze infatti che nella vita organizzativa garantiscono l’efficacia del
lavorare in gruppo e il successo dell’interazione tra ruoli e funzioni.
La metodologia del Cooperative Learning presidia dunque il suddetto doppio obiettivo:
1. L’apprendimento inteso come rendimento, in relazione a:
• sapere cognitivo;
• saper fare tecnico-operativo;
• saper essere (competenze e responsabilità di ruolo).
2. L’acquisizione delle capacità di inserirsi con efficacia nel contesto sociale e nei sistemi organizzati
(imprese, servizi, associazioni), con particolare riferimento a:
• saper fare comunicativo – relazionale;
• saper gestire la complessità (abilità manageriali);
• saper essere (consapevolezza – identità di ruolo);
• sapere etico-deontologico (sfera degli atteggiamenti, dei significati, del sistema di valori,
della cultura organizzativa).
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