mod-5 - Progetto Erasmus IPSSCTS"L.EINAUDI" VARESE

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mod-5 - Progetto Erasmus IPSSCTS"L.EINAUDI" VARESE
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
Introduzione per la scuola secondaria
La scuola secondaria costituisce, prima dell’Università, l’ultima (e non per questo meno importante)
tappa del processo educativo-formativo dei ragazzi. Pertanto, è di fondamentale importanza che
essa permetta agli allievi di potenziare quelle competenze e quelle abilità sociali che, acquisite già a
partire dalla scuola dell’infanzia, favoriscono il loro inserimento in società e nel modo del lavoro.
Tra i vari metodi di didattica attiva, sviluppatisi in questi ultimi decenni, l’APPRENDIMENTO
COOPERATIVO costituisce,
senza dubbio, un mezzo fondamentale per far potenziare agli allievi della
scuola secondaria le suddette competenze e abilità. Esso, rispetto a metodi individualistici e
competitivi, risulta maggiormente efficace sia sul piano del rendimento scolastico sia su quello della
qualità delle relazioni sociali, della motivazione all’apprendimento e dell’autostima.
Bisogna, inoltre, sottolineare l’emergere dell’esigenza di adeguare il sistema educativo alle
trasformazioni e innovazioni tecnologiche che caratterizzano lo sviluppo della società
contemporanea. La notevole crescita dei saperi e la richiesta di aggiornamento continuo delle
competenze rischiano di causare disorientamento nei singoli individui, non più in grado di
rispondere alle richieste di una realtà articolata e complessa, attingendo esclusivamente alle risorse
personali. Di qui la necessità di adottare metodologie che favoriscano la cooperazione ai fini
dell’acquisizione di quegli strumenti cognitivi e di quelle abilità relazionali necessari per cogliere,
interpretare e gestire i cambiamenti e, quindi, per auto-orientarsi nei diversi ambiti del contesto
sociale e lavorativo.
La cooperazione è resa valida da cinque elementi: l’interdipendenza positiva, per cui gli studenti si
impegnano per migliorare il rendimento di ciascun membro del gruppo, non essendo possibile il
successo individuale senza il successo collettivo; la responsabilità individuale e di gruppo, in quanto
il gruppo è responsabile del raggiungimento dei suoi obiettivi ed ogni membro è responsabile del
suo contributo; l’interazione costruttiva, poiché gli studenti devono relazionarsi in maniera diretta
per lavorare, promuovendo e sostenendo gli sforzi di ciascuno e lodandosi a vicenda per i successi
ottenuti; l’attuazione di abilità sociali specifiche e necessarie nei rapporti interpersonali all’interno
del piccolo gruppo, per cui gli studenti si impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella
creazione di un clima di collaborazione e fiducia reciproca (particolare importanza rivestono le
competenze di gestione dei conflitti); la valutazione di gruppo, per cui il gruppo valuta i propri
risultati e il proprio modo di lavorare e si pone degli obiettivi di miglioramento.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– I Unità Didattica – Lezione 1
PERCHE’ L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Mutate esigenze per mutati contesti: l’apprendimento cooperativo
L’istituzione scolastica si trova oggi a dover affrontare uno scenario in radicale trasformazione, le cui
dinamiche imprevedibili hanno investito inesorabilmente il mandato sociale e le tradizionali funzioni
affidate all’Istruzione.
E’ possibile cogliere l’esito di tale situazione facendo riferimento a due esigenze vitali ed inderogabili
per l’attuale sistema scolastico, tra loro intersecate: da una parte il bisogno di ricercare nuovi sistemi
educativi in risposta alle sfide emergenti di una società in rapido sviluppo; dall’altra la necessità di una
riflessione approfondita rispetto alle mutate condizioni socio-educative nelle quali si trovano oggi a
vivere gli studenti.
L’incalzare di queste richieste ha costretto la scuola ad un radicale ripensamento delle proprie finalità
educative, finalità educative che necessitano di essere “ritarate” per ritornare in grado di stabilire con
una certa urgenza quella coesione sociale e quel senso di appartenenza un tempo fondativi ed oggi
perduti.
E’ opinione comune che le generazioni più giovani si troveranno ben presto a dover affrontare
problemi sociali complessi e inediti, che vanno al di là delle possibilità e delle conoscenze individuali,
e che richiederanno quindi capacità ed abilità molto diverse da quelle che avevano accompagnato nella
loro formazione le generazioni precedenti.
E’ sempre più evidente ad esempio la necessità di educare i giovani alla convivenza sociale, ed è per
questo nasce l’esigenza di una rielaborazione di un percorso formativo basato sull’apprendimento
cooperativo, ovvero basato sulla condivisione di esperienze, e sull’individuazione di pratiche e aiuto
reciproco. Scrive Antony Kaye1:
1 Kaye, A.R., Apprendimento collaborativi basato sul computer, in TD-Tecnologie didattiche” n.4, 1994, pp. 9-21
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“Collaborare (co-labore) vuoi dire lavorare insieme, il che implica una condivisione dei
compiti e un’esplicita intenzione di “aggiungere valore” per creare qualcosa di nuovo o
differente attraverso un processo collaborativo deliberato e strutturato, in contrasto con
un semplice scambio di informazioni o esecuzione di istruzioni. Un’ampia definizione di
apprendimento collaborativo potrebbe essere l’acquisizione da parte degli individui di
conoscenze, abilità o atteggiamenti che sono il risultato di un’interazione di gruppo, o,
detto più chiaramente, un apprendimento individuale come risultato di un processo di
gruppo”.
Una nuova concezione della conoscenza
Quanto appena affermato trova riscontro anche all’interno di un percorso più prettamente teorico. E’
noto, infatti, come i processi di apprendimento siano stati oggetto negli ultimi due decenni di un
rinnovato interesse da parte degli studiosi, incalzati soprattutto dalle proposte teoriche della psicologia
culturale e del socio-costruttivismo. Tali presupposti hanno messo in discussione la nozione stessa di
apprendimento inteso in senso classico, ovvero come l’acquisizione di informazioni, conoscenze e
capacità oggettivamente misurabili.
E’ apparso evidente ai più il graduale esaurimento della spinta propulsiva del cognitivismo e in modo
convergente, diverse aree di pensiero (non solo pedagogia, ma anche epistemologia, antropologia,
sociologia, psicologia, biologia) hanno così evidenziato l’autonomia dei processi di costruzione del
significato, ovvero l’impossibilità di prescriverne funzionamento ed esiti dall’esterno.
Percorrendo fino in fondo tale traiettoria teorica, l’interesse degli esperti - sempre più convinti del ruolo
preminente dei processi contingenti e delle dinamiche di gruppo nell’incrementare la conoscenza dei
singoli membri (conoscenza sempre più intesa come condivisione di esperienze, individuazione di
pratiche e aiuto reciproco) - si è spostato decisamente sull’individuazione e sull’elaborazione di
contesti di apprendimento in grado di attivare dinamiche interattive fra membri del gruppo.
L’apprendimento cooperativo: istruzioni per l’uso
I cambiamenti di prospettiva che abbiamo descritto e che riprenderemo nei paragrafi successivi, sono
evidentemente di tale portata da mettere in crisi inevitabilmente non soltanto il classico impianto
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metodologico della stessa istituzione scolastica, ma anche le stesse ragioni storico-culturali che
avevano portato alla sua nascita, ed è in questo ambito che hanno preso una forma sempre più definita
la teoria e le tecniche dell’“apprendimento cooperativo”, tese a superare la visione tradizionale di
apprendimento come attività intrinsecamente individuale.
L’insieme degli approcci presentati genericamente all’interno del paradigma dell’apprendimento
cooperativo considera il soggetto protagonista attivo e responsabile, definendolo nella contestualità
delle diverse situazioni di apprendimento. L’apprendimento cooperativo, inoltre, ritiene valida quella
definizione di apprendimento che fa riferimento principale al gruppo e alle tecniche gruppali: la
differenza sostanziale con il lavoro di gruppo riguarda le finalità specifiche, che nell’apprendimento
cooperativo riguardano il miglioramento dell’apprendimento di ciascun membro del gruppo attraverso
il compito o l’attività in questione, e non la semplice condivisione di uno scopo comune.
Ormai svincolato dalla sua fase pionieristica, iniziata in America a partire dagli anni ’60,
l’apprendimento cooperativo si sta affermando, sebbene timidamente, anche nel sistema scolastico
italiano.
La diffusione della pluralità di approcci all’apprendimento cooperativo, se può essere considerata per
certi aspetti risorsa e testimonianza di una vivace riflessione teorica e concettuale sull’argomento
potrebbe tuttavia lasciare perplessi per il modo “ingenuo” con cui talvolta si presentano proposte come
se fossero risolutive dei molteplici problemi di progettazione dei processi di insegnamentoapprendimento.
Il rischio è la tentazione da parte dell’insegnante di potersi farsi carico di tutte le dimensioni che
intervengono nei processi di apprendimento, riducendo in tal senso le complessità dei fattori
intervenienti e favorendo l’elaborazione di concetti forse eccessivamente ottimistici.
E’ bene puntualizzare sin da subito che, all’interno di ciascuno dei più noti modelli che proporremo
riconosce al docente il ruolo centrale di conduttore e facilitatore.
Nel Cooperative Learning (di cui parleremo diffusamente nella terza e quarta Unità Didattica) ad
esempio, è il docente che divide i tempi e gli spazi, che egli predispone le consegne, i materiali e i
percorsi di lavoro.
Dal nostro punto di vista dunque il ruolo del docente (anzi: del team-docenti) continua a essere
soprattutto quello di progettare l’offerta formativa e organizzare le condizioni dell’apprendimento, di
allestire unità di lavoro e materiali e di predisporre con la massima attenzione possibile anche percorsi
di studio individualizzati.
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Solo se collocato in questa prospettiva l’efficacia e la funzionalità di un gruppo cooperativo può essere
ritenuto senz’altro una risorsa molto rilevante: a condizione che venga inserita in una concezione più
ampia e flessibile di progettazione didattica e curricolare.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– I Unità Didattica – Lezione 2
I NUOVI ORIENTAMENTI EDUCATIVI
Sono molte le testimonianze di studiosi ed esperti che sottolineano la necessità di riflettere e ripensare
le finalità educative della scuola per indirizzarle verso le esigenze della società attuale.
Costa e Liebmann sostengono, ad esempio, come una delle sfide principali che la moderna educazione
si trova a fronteggiare sia quella di “preparare gli studenti a vivere in un mondo dove le tendenze del
passato non predicono più il futuro” (cit. in Comoglio, 1998). Anche Bruner, studioso tra i più
autorevoli, sostiene in “La cultura dell’educazione”:
“Una cosa è diventata sempre più chiara nel corso di questi dibattiti
[psicopedagogici], l’educazione non riguarda solo problemi scolastici
tradizionali quali possono essere il curricolo, i voti e le verifiche. Quello che
decidiamo di fare nella scuola ha senso solo all’interno del contesto più ampio
degli obiettivi che si propone di raggiungere la società attraverso l’investimento
nell’educazione dei giovani. Abbiamo finalmente capito che il modo di concepire
l’educazione è una funzione del modo di concepire la cultura e i suoi scopi,
espressi o inespressi” (Bruner, 1996, p.8).
Questi autori, in altre parole, mettono in risalto un punto quanto mai attuale: la necessità di sostituire
una visione più adeguata ed aggiornata della scuola, come risposta al fatto che il nostro mondo si sta
evolvendo e continuerà a cambiare in maniera sempre più rapida e imprevedibile.
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Quali competenze per lo studente?
Negli ultimi anni, la scuola ha risposto in vari modi alle sollecitazioni di cui abbiamo accennato,
spostando l’attenzione della riflessione da insegnare per l’apprendimento di contenuti a insegnare per
educare “competenze chiave2”, abilità per la vita (life skills) e obiettivi che vanno “oltre” la scuola.
Si sono susseguite numerose le testimonianze di studiosi ed esperti sulla necessità di riflettere e
ripensare le finalità educative della scuola per armonizzarle con le esigenze della società attuale in
continua e rapida trasformazione. Il “Libro bianco” di J. Delors - ma anche altri documenti che in
qualche modo lo hanno preparato o anche commentato - sono fra le testimonianze più note che a tale
riguardo sono state prodotte.
Nel richiamare gli obiettivi educativi che si ritengono debbano qualificare la scuola del nuovo secolo,
ci riferiremo – seguendo il percorso tracciato da Comoglio (1996) - a quanto proposto da questi lavori,
che citiamo in nota3.
Integrando i punti essenziali, questi lavori concordano nel sostenere che la scuola sia da ristrutturare in
vista di un percorso d’insegnamento/apprendimento al termine del quale gli studenti dovranno essere
capaci, tra le varie cose, di:
a) Imparare ad apprendere, per tutta la vita:
“Bisogna ripensare e ampliare il concetto di educazione permanente. Essa non solo deve
adattarsi a cambiamenti nel tipo di lavoro, ma deve anche costituire un processo
continuo di formazione dell’intero essere umano: delle sue conoscenze e attitudini, come
anche delle sue facoltà e abilità critiche di agire. E dovrebbe consentire all’individuo
2 Con il concetto di competenze chiave ci riferiamo a quelle competenze di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo
sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Nelle “Raccomandazione del Parlamento
europeo e del Consiglio”, del 18 dicembre 2006, le competenze chiave vengono indicate come soglia culturale comune per
preparare i giovani alla vita adulta e offrire loro un metodo per continuare ad apprendere per tutto il corso della loro
esistenza in una società e un’economia basata sulla conoscenza. Il citato atto di indirizzo dell’UE rappresenta, comunque, il
documento più recente di un lungo percorso di cooperazione degli stati europei per trovare obiettivi condivisi tra sistemi
differenti di istruzione e formazione.
3 1) Delors, J. et al. (1996), Nell’educazione, un tesoro, Roma: Unesco/Armando; 2) Costa, A.L., Liebmann, R.M.
(1997), Envisioning process a s content. Toward a renaissance curriculum, Thousand Oaks, CA: Corwin Press; 3) Carnagie
Council on Adolescent Developmnet, 1989, Turning points: Preparing American youth for the 21st century. The report of
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umano di sviluppare la coscienza di se stesso e del suo ambiente, e incoraggiarlo a
svolgere il proprio ruolo sociale nel lavoro e nella comunità” (Delors, J., 1996);
b) Saper ascoltare e saper parlare:
“La comunicazione è determinante per le delicate operazioni di un’azione aziendale
competitiva. Le abilità comunicative sono alla base del rapporto umano e professionale
con il cliente, cioè garantiscono il reperimento e il mantenimento dei clienti. Apportare
cambiamenti, contribuire alla qualità del lavoro, risolvere conflitti e fornire significativi
rinforzi costituiscono delle capacità professionali incluse nelle abilità di emettere e
ascoltare efficacemente i messaggi comunicativi” (Delors, J., 1996);
c) Saper collaborare:
Affermano Costa e Liebmann (1997, pp.5-6):
“E’ probabile che la disposizione più importante nella società post-industriale sia
l’abilità elevata di pensare insieme con altri, essere più interdipendenti e sensibili ai
bisogni degli altri. La soluzione dei problemi è diventato un processo così complesso che
nessuna persona può raggiungerla da sola. Nessuno ha accesso a tutte le informazioni
necessarie per prendere decisioni critiche; nessuno può considerare tante alternative
come possono invece fare alcune persone. Lavorare in gruppo richiede l’abilità a
giustificare e saggiare la fattibilità delle strategie di soluzioni con altri. Richiede anche
lo sviluppo di una volontà e di un’apertura ad accettare il feedback da amici critici.
Attraverso questa interazione, il gruppo e l’individuo continuano a crescere”;
d) Saper pensare ad un livello più elevato.
“Lo sviluppo dell’educazione della mente richiede un radicale distacco dalla
tradizionale istruzione di classe. In particolare, richiede un cambiamento nella
the task force on education of young adolescent (pp.42-49), Washington, DC: Carnegie Council on Adolescent
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concezione ben radicata che la funzione dell’insegnante sia di trasmettere conoscenza
agli studenti. Piuttosto, gli insegnanti devono considerarsi come facilitatori attraverso
cui i giovani costruiscono essi stessi la conoscenza… Gli insegnanti saranno invitati a
promuovere uno spirito di ricerca e a stimolare gli studenti a riflettere e a comunicare
idee. Una rilevanza molto più grande verrà data alle tecniche di apprendimento che
consentiranno agli studenti di partecipare attivamente alla scoperta e alla creazione di
nuove soluzioni ai problemi (Carnagie Council on Adolescent Developmnet, 1989,
Turning points: Preparing American youth for the 21st century. The report of the task
force on education of young adolescent (pp.42-49), Washington, DC: Carnegie Council
on Adolescent Development).
Non si deve infine sottovalutare la necessità di trovare soluzioni di progettazione didattica in grado di
adattare gli obiettivi fissati alle esigenze dei singoli studenti. E’ evidente, infatti, come gli strumenti
teorici ed applicativi oggi a disposizione della scuola non sempre possano ritenersi adeguati per
garantire la realizzazione di un progetto d’istruzione/educazione tanto complesso ed articolato.
A fronte di tali premesse, è lecito domandarsi se e fino a che punto oggi la scuola faccia propri questi
obiettivi ed eventualmente, con quali metodologie tenta di realizzarli: come afferma Comoglio (1996)
tali obiettivi sono di natura così complessa e generale che non possono essere certamente perseguiti con
l’approccio metodologico comportamentista dei piccoli passi (dal semplice al complesso) o con quello
della rigida sequenzialità della procedura che si ispira al cognitivismo.
E’ tenendo fermi questi riferimenti che nella prossima lezione ritorneremo sulle profonde innovazioni
nel campo della psicologia dell’apprendimento e dell’intelligenza che riguardano in particolare una
diversa concezione di “conoscenza” e l’affermarsi delle prospettive del costruttivismo.
Sono questi i pilastri teorici che sostanziano la validità di un approccio cooperativo all’apprendimento.
Development
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– I Unità Didattica – Lezione 3
TEORIE COOOPERATIVE DELL’APPRENDIMENTO
Come abbiamo già detto, le ricerche più recenti nel campo dei processi di insegnamento/apprendimento
affermano con vigore il principio dell’imprescindibilità del coinvolgimento attivo e partecipativo degli
studenti affinché il processo generale di formazione raggiunga un esito positivo.
Nel corso di questa lezione proveremo a sostanziare teoricamente questa affermazione e a descrivere le
moderne concezioni che declinano il sapere nei termini di una costruzione personale e significativa, che
si sviluppa sempre all’interno di un contesto relazionale nel quale il soggetto partecipa attivamente alla
costruzione delle sue conoscenze.
Il carattere costruttivo dell’apprendimento
Le idee dei filosofi della scienza hanno prodotto un radicale cambiamento nella natura della
conoscenza scientifica. Il costruttivismo, che fonda le proprie radici in G.B. Vico e nella teoria della
cognizione di Piaget, propone una costruzione radicale della conoscenza, derivante dalla convinzione
dell’impossibilità dell’individuo di conoscere la realtà oggettiva: la conoscenza è qualcosa che
l’individuo costruisce nel tentativo di dare senso alle proprie esperienze.
L’apprendimento non è dunque da intendersi conseguenza diretta delle informazioni veicolate
dall’insegnante: al contrario, l’allievo costruirebbe il proprio conoscere elaborando le informazioni nei
termini ed in funzione dei propri modelli mentali e di conoscenza (schemi di conoscenze; sistemi di
credenze, categorie). Non sono i dati in se stessi ad avere potere informativo, in quanto la funzione
principale l’hanno i modelli che governano il modo con cui tali dati sono elaborati.
L’orientamento socio-costruttivista, attraverso il recupero delle dimensioni contestuali e del significato
ha portato con sé una concezione fortemente innovativa dell’apprendimento che, affermano Salvatore e
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Scotto di Carlo (2005), ne sottolinea – oltre al carattere costruttivo – anche quello dialogico e dominiospecifico dei processi di apprendimento.
E’ evidente come, all’interno di questa visione epistemologica, l’acquisizione di sapere si esplica nei
termini di pertinenza piuttosto che di una rappresentazione che tende ad avvicinarsi sempre più alla
“vera” referenza.
La valenza sociale della mente
Un’altra certezza che si è fatta strada tra gli studiosi della mente e dei processi psicopedagogici è che
l’organizzazione mentale possieda in sé un’intrinseca valenza sociale, che va dunque a sostanziare e a
motivare le prerogative di lavoro gruppale caratteristiche dell’apprendimento collaborativo.
In tal senso, Secondo Salvatore e Scotto di Carlo (2005), sono almeno tre i punti di vista, diversi ma
complementari, a favore di una tale visione:
A) La mente è costitutivamente sociale: se è vero che i concetti sono teorie (Neisser,
1987), è altrettanto vero che tali teorie sono elaborate collettivamente (Grasso, Salvatore,
1997). Il culturalismo sottolinea in tal senso come i modelli mentali che sostanziano
l’organizzazione del pensiero siano repertori di significati negoziati, scambiati e
recuperabili nell’interazione sociale, entro e per il tramite di specifici dispositivi culturali
(Bruner, 1986).
B) La mente è intrinsecamente sociale: il pensare è un atto sociale, finalizzato,
strumentale e subordinato alle esigenze di regolazione della relazione sociale. Il pensiero
è intrinsecamente argomentativo e retorico (Harrè, Gilet, 1994), orientato dall’esigenza
degli attori di proporre e sollecitare l’adesione alle visioni del mondo proposte.
C) La mente è strutturalmente sociale in quanto prodotto dell’esperienza interpersonale.
Il che in altri termini significa che il soggetto, il Sé è dialogico (Gergen, 1991), costruito
e ricostruito come precipitato delle negoziazioni di senso abitate dal soggetto.
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Apprendimento e contesto
Il nuovo concetto di mente che si è fatto strada nelle scienze sociali e psicopedagogiche ha ovviamente
influenzato profondamente il modo di concepire gli stessi contesti di apprendimento. Ciò anche sotto la
spinta della riscoperta del pensiero di Vygotskij, che negli anni '20-'30 in Unione Sovietica (ma a
stretto contatto con le correnti più importanti della ricerca europea e americana) aveva posto le basi per
una teoria dello sviluppo e dell'apprendimento fondata sulla centralità delle interazioni sociali e dei
sistemi di segni, come strumenti essenziali per la comunicazione e la trasmissione della conoscenza tra
le generazioni.
La teoria di Vygotskij aspirava a fornire spiegazioni, in generale, sui processi culturali propri della
specie umana e pertanto comuni alle più diverse culture, sia, nello specifico, a quei fenomeni che sono
invece particolari di una data cultura e che sono in messi in moto dalla trasmissione sistematica della
conoscenza che avviene attraverso la scuola.
Particolarmente rilevante in tal senso è la nozione di Zona di Sviluppo Prossimale, che sta ad indicare
le capacità potenziali che il soggetto può esprimere in ragione dell’aiuto di un partner più competente.
La Zona di Sviluppo Prossimale
a) si realizza per il tramite delle risorse cognitive e di senso proprio del gruppo sociale;
b) non esiste in sé, ma soltanto in quanto processo (luogo ed insieme strumento) di
partecipazione e di appartenenza del singolo ad una comunità di pratiche (Ligorio, 2002).
Anche Bruner per spiegare lo sviluppo mentale riprende il punto di vista di Vygotskij.
Egli sostiene, infatti, che i processi mentali hanno un fondamento sociale e che la cognizione umana è
influenzata dalla cultura attraverso i suoi simboli, artefatti e convenzioni.
La cultura forma la mente degli individui, essa è intrinseca all’individuo e non qualcosa che “si
sovrappone” alla natura umana. L’influenza della cultura si realizza grazie alle relazioni sociali che il
bambino stabilisce precocemente con chi si prende cura di lui e in cui il ruolo dell’adulto viene
caratterizzato come scaffolding (letteralmente “fornire l’impalcatura”). Le impalcature fornite
dall’adulto servono a compensare il dislivello fra le abilità richieste del compito e le ancora limitate
capacità del bambino, consentendo a quest’ultimo di realizzare completamente l’attività e facendolo al
tempo stesso progredire verso livelli più avanzati di partecipazione.
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E’ chiaro come queste concezioni vadano nella direzione di considerare l’apprendimento, per sua
intrinseca natura, come un processo che avviene sempre all’interno di un contesto relazionale, e il
processo di conoscenza umana dipende da fattori emotivo-affettivi profondi in gioco in ogni relazione e
contesto esperienziale (Mocca, 2010).
Traslato all’interno del contesto scolastico, questa convinzione conduce inevitabilmente l’insegnante
efficace – come diremo nella prossima lezione - ad ottimizzare le dinamiche cooperative del gruppo
classe.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– I Unità Didattica – Lezione 4
“APPRENDIMENTO PROGRAMMATODALL’ESTERNO”E “APPRENDIMENTO CON
METODO SOCIALE”.
E’ forse inutile sottolineare la valenza che ha per l’attività didattica svolta dal docente il suo sapersi
rapportare in maniera funzionale al gruppo-classe (Grassi, 2003; d’Alonzo, 2004). Non dobbiamo,
infatti, dimenticare che, oltre ad essere la struttura di base attraverso cui l’organizzazione scolastica
persegue gli obiettivi didattici, il gruppo classe costituisce l’ambito entro il quale gli studenti
manifestano i propri bisogni soggettivi: il bisogno di avere amici, di conquistare prestigio sociale, di
scaricare aggressività (Carli e Mosca, 1980).
L’aspetto emozionale caratterizza così profondamente il processo di socializzazione da essere molto
spesso considerato dagli insegnanti l’ambito all’interno del quale si manifestano i maggiori problemi di
relazione tra il gruppo-classe e il gruppo docente.
A fronte di quanto appena affermato, vogliamo mettere in evidenza un’altra questione, che ha a che
vedere con le principali tematiche professionali e culturali che riguardano le modalità con le quali
l’insegnante ed il gruppo docenti possono declinare la loro partecipazione alla vita dell’organizzazione
scolastica.
Questo aspetto riguarda due diverse modalità reciprocamente polari con le quali è possibile
promuovere apprendimento: “l’apprendimento programmato dall’esterno” e “l’apprendimento con
metodo sociale”.
L’apprendimento programmato dall’esterno.
In questa modalità il docente si pone come la principale fonte della conoscenza e del sapere, stabilisce e
valuta ciò che deve essere conosciuto, fissa il ritmo dell’apprendimento, suscita la motivazione o la
recupera, facilita e individualizza l’apprendimento.
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L’apprendimento programmato dall’esterno è finalizzato alla trasmissione diretta delle conoscenze: non
sono previsti momenti o attività nei quali gli alunni siano direttamente coinvolti nella costruzione del
sapere. Per usare le parole di Johnson e Colleghi (1995), tale approccio all’insegnamento si basa sulla
concezione lockiana dell’apprendimento: la mente dello studente viene considerata alla stregua di una
tabula rasa sulla quale l’insegnante scrive o annota le sue conoscenze, ed introduce argomenti e temi
inerenti alla disciplina che insegna.
In conformità con questa premessa, le funzioni educative e didattiche del gruppo docente diventano le
seguenti:
 trasferire conoscenze nella mente dell’allievo;
 chiedere agli studenti (in modo esplicito o implicito) di memorizzare e ricordare argomenti e
temi ascoltati durante la spiegazione;
 insegnare all’interno di un contesto caratterizzato da un’assenza di relazioni interpersonali,
sia tra studenti che tra insegnanti e studenti;
 mantenere una struttura d’apprendimento individualistica, tradizionale e velatamente
competitiva;
 insegnare una disciplina senza avere una preparazione specifica e professionale sui
problemi, metodi e tecniche di insegnamento (cfr. Venza, 2007).
Questa impostazione didattica pone ovviamente problemi di diversa natura, ed un esempio possibile,
fra quelli più evidenti, è che questo tipo di lezione tradizionale favorisce gli studenti maggiormente
dotati, aumentando il divario di sviluppo e di status con quelli meno dotati. Non solo, anche gli studenti
più dotati hanno difficoltà a sostenere l’attenzione e l’interesse vivi per più di un certo tempo; come ci
ricorda Bodner (1986) l’insegnamento e l’apprendimento non sono la stessa cosa, è, infatti, possibile
insegnare, ed anche molto bene, senza che gli studenti apprendano.
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Apprendimento con metodo sociale.
Seguendo quest’ottica, le risorse e l’origine dell’apprendimento ricadono fondamentalmente sugli
allievi. Gli studenti si aiutano reciprocamente e sono corresponsabili del loro apprendimento,
stabiliscono il ritmo del loro lavoro, si correggono e si valutano, sviluppano e migliorano le relazioni
sociali per favorire l’apprendimento, mentre il gruppo docente si pone come facilitatore e organizzatore
dell’attività di apprendimento. Le idee e le convinzioni psico-pedagogiche che caratterizzano questa
seconda prospettiva sono le seguenti:
 lo studente costruisce, scopre, trasforma ed estende le conoscenze; pertanto, compito
dell’insegnante sarà quello di creare le condizioni per mezzo delle quali acquisire
attivamente le conoscenze sia con i materiali messi a disposizione dai docenti, sia
elaborando le conoscenze sulla base di quello che già possiede come bagaglio esperienziale;
 l’apprendimento è considerato come esperienza pratico-operativa, caratterizzata da un fare e
da un riflettere piuttosto che da un memorizzare qualcosa di già dato;
 l’istruzione ha il compito di valorizzare e sviluppare le capacità e le inclinazioni degli
allievi, a partire dalla convinzione che l’azione di insegnamento può sviluppare al massimo
le attitudini, l’intelligenza e la personalità degli studenti;
 lo svolgimento di un compito può essere individuale ma anche condiviso in un contesto di
interazioni cooperative, mediante le quali gli allievi costruiscono, comprendono e
condividono conoscenze ed informazioni;
 l’insegnamento è un lavoro complesso, basato tanto su un interesse ed una disponibilità ad
applicare in classe le conoscenze prodotte dalla ricerca didattica ed educativa, quanto su un
impegno costante di perfezionamento delle abilità e delle procedure d’insegnamento.
L’insegnamento basato sulla costruzione cooperativa di gruppo delle conoscenze pone dunque gli
studenti all’interno di contesti relazionali positivi, ovvero idonei a valorizzare le capacità e le
inclinazioni di ciascun individuo.
E’ questo paradigma che regge le metodologie didattiche proprie del Cooperative Learning, della Peer
Education, del Tutoring tra Pari, dell’Educazione socio-affettiva, che avremo modo più avanti di
descrivere.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– I Unità Didattica – Lezione 5
LAVORARE CON IL GRUPPO CLASSE
Abbiamo visto come le scienze della mente siano arrivate ad una definizione dei processi di
apprendimento in relazione alle dinamiche di ordine intra e interpsichico attivate nei soggetti immersi
nel fenomeno. Fra queste abbiamo menzionato le modificazioni riscontrabili nelle strutture e nelle
abilità cognitive messe in campo nell’opera di co-costruzione della conoscenza in situazioni collegiali
d’apprendimento.
Gli studenti “cooperativi” si trovano ad essere alternativamente produttori e consumatori di materiali
simbolici che, passando attraverso il filtro del gruppo, risultano di più facile ed economico utilizzo,
anche in termini di risorse emozionali. Acquisendo all’interno del gruppo la consapevolezza di
contribuire alla creazione dei propri strumenti per apprendere ad apprendere, sfruttando la funzione di
scaffolding tipica delle situazioni di apprendimento interattivo-cooperativo, le informazioni trattate e
veicolate dai componenti del gruppo permettono all’individuo di superare le incertezze attingendo e
facendo propri gli artefatti (culturali) prodotti e messi a disposizione dai componenti del gruppo,
riducendo così la complessità del proprio processo di conoscenza.
I processi di socializzazione sono in tal senso da considerare inscindibili dai processi di apprendimento,
e ciò richiede oggi che in linea con l’apprendimento cooperativo che stiamo provando a descrivere, la
dimensione gruppale diventi per la classe quella cornice di senso in grado di direzionare le attività
didattiche e – più in generale - tutti gli eventi sociali che in essa hanno luogo.
Il gruppo classe
Un gruppo classe non è solamente un insieme di persone che si trovano in una stessa aula, accomunate
dal compito di imparare; è anche l’insieme di trame, di relazioni, di emozioni che nascono, si
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modificano e si evolvono in un tempo lungo fra le persone che ne fanno parte, insegnanti compresi.
Perché una classe diventi gruppo, sono necessarie cure e attenzioni non solo rivolte ai singoli
separatamente, ma anche all’insieme di relazioni che fra questi nascono.
I gruppi classe sono dunque gruppi che presentano significative specificità, dovute sia all’età evolutiva
dei suoi componenti, sia al fatto che sono costitutivamente compresenti - allo stesso modo - aspetti
formali ed aspetti informali.
I gruppi di pari - solo per certi versi riconducibili ai gruppi classe - sono ad esempio costituiti da
individui che presentano importanti tratti comuni, quali lo status sociale, l’età, le preferenze estetiche o
ideologiche, i valori, il linguaggio, le modalità interattive, lo stile comportamentale.
“Il gruppo classe tende a distinguersi dal gruppo dei pari per la possibile
eterogeneità dei suoi membri, ma la significatività che esso assume nella vita
del soggetto gli fa guadagnare una collocazione da gruppo quasi-primario:
essi, infatti, sottostanno ad obiettivi secondari rispetto alla soddisfazione dei
bisogni primari, ma supera le caratteristiche di un qualunque gruppo
secondario nel momento in cui diviene fondante per l’esperienza emotiva
della persona e per la sua maturazione psicologica e sociale” (Venza et al,
2006, p. 266).
Esisterebbe quindi all’interno del gruppo classe una funzione organizzativa dichiarata, legata al
compito ed al raggiungimento di determinati obiettivi, ed una funzione emozionale implicita, riferita a
quei bisogni non facili da esprimere che riguardano l’identità sociale, il bisogno di sostegno e di
sicurezza, il senso di appartenenza e di riconoscimento (Donarelli, et al., 2002).
La gestione del gruppo classe
Per quanto detto, dovremmo essere ormai convinti che il gruppo classe, se governato con attenzione
rispetto alle sue peculiari e soggettive caratteristiche psicosociali, ha un ruolo fondamentale nella
crescita della persona e nello sviluppo delle sue capacità di far fronte ai problemi ed alle difficoltà e del
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suo sentimento di auto-efficacia, così come di una socialità capace di sviluppare un grado positivo di
accordo psicosociale con l’ambiente in grado di orientare l’individuo nei cicli di vita a venire.
Il gruppo classe (non più solo semplicemente “la classe”) diventa in tal senso l’oggetto specifico di
intervento della professionalità docente, così come lo è ormai da diversi anni il lavoro di gruppo, che è
stato uno dei temi più trattati nell’aggiornamento dei docenti essendo considerato una delle
metodologie innovative più indicate nella facilitazione dell’apprendimento.
La classe intesa come gruppo di lavoro, capace efficacemente di lavorare per obiettivi, è molto diversa
dal concetto di classe inteso semplicemente come mera sommatoria di individui. Questo sia per l’alto
livello di integrazione richiesto tra i singoli componenti, sia per il fatto che persegue non solo il
soddisfacimento dei bisogni dei singoli ma anche di quelli dell’intero gruppo, contribuendo così allo
sviluppo delle capacità di collaborazione al lavoro da svolgere. Sono questi i principi cardine che
guidano il paradigma dell’apprendimento collaborativo.
Affinché un gruppo di lavoro possa realizzare un buon lavoro di gruppo in classe è inoltre
fondamentale un’efficace definizione dei ruoli, una funzionale divisione dei compiti, ed una
progettualità organizzativa capace di integrare ruoli e compiti.
E’ per questo che uno degli obiettivi gestionali fondamentali perché il gruppo di lavoro funzioni ed il
lavoro di gruppo venga realizzato è di far acquisire ai membri del gruppo la consapevolezza che
l’assunzione di compiti implica una responsabilità non solo individuale ma ancor di più collettiva.
Il lavoro di gruppo svolto classe è in stretta interdipendenza con i risultati dello scambio che si compie
nel gruppo di lavoro: se i membri della classe sono consapevoli delle relazioni che intercorrono tra
loro, la loro prestazione collettiva sarà superiore a quella individuale.
Il ruolo del docente
Rispetto a quanto abbiamo detto, è chiaro come ai docenti - responsabili istituzionali della classe –
venga richiesto un impegno particolare, che si esplica in una costante attività di mediazione fra le
differenze che caratterizzano i singoli individui ed in una gestione degli aspetti problematici e
conflittuali della vita di gruppo.
Solo intendendo in tal modo la sua professionalità il docente può, infatti, favorire lo sviluppo di quelle
abilità sociali in grado di mettere in secondo piano una modalità di pensiero esclusivamente individuale
in favore di una più marcatamente gruppale. Indispensabile a tal proposito un lavoro approfondito sul
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tema della fiducia, avente la finalità specifica di creare relazioni di reciprocità tra i membri e di far
acquisire maggiore consapevolezza circa le proprie potenzialità e quelle degli altri, in un processo di
mediazione che conduca il gruppo, da un lato, ad un continuo confronto, dall’altro alla condivisione
dell’esito di tale processo per il raggiungimento degli obiettivi.
Come affermano Brustia e Ramella (2003) il ruolo del docente, all’interno di questa prospettiva, è
quello di vero e proprio conduttore di un gruppo di lavoro, in grado di facilitare, stimolare e potenziare
l’emergere di processi quali l’integrazione, la collaborazione, la negoziazione e la condivisione.
L’utilizzo del paradigma dell’apprendimento cooperativo, insieme all’uso delle metodologie attive
nella gestione delle attività educative e socializzanti da parte del docente costituisce certamente in
questa direzione uno degli elementi più innovativi nella realizzazione di quei cambiamenti auspicati
nelle scuole negli ultimi anni.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– I Unità Didattica – Lezione 6
METODI DI DIDATTICA ATTIVA
Prima di descrivere nel dettaglio, nelle lezioni che seguiranno, le metodologie e gli strumenti più
specifici dell’apprendimento cooperativo, ci sembra rilevante fornire alcune indicazioni anche rispetto
alle metodologie didattiche attive.
E’ noto come nel processo di insegnamento/apprendimento la scelta e l’utilizzo della metodologia
didattica siano direzionati dagli obiettivi da raggiungere, tenendo conto delle caratteristiche peculiari
del contesto formativo, dalle conoscenze e dalle personali realtà definite in partenza. Come nel caso
dell’apprendimento cooperativo, alla base della scelta e dell’impiego delle tecniche attive vi è la
consapevolezza che per gli allievi sia molto più produttivo sforzarsi di apprendere tecniche e contenuti
se questo compito coinvolge tutto il gruppo-classe, piuttosto che imporre lo studio di nozioni ritenute
fondamentali attraverso un uso, quasi esclusivo, della comunicazione verbale e ad personam nella
didattica.
La differenza sostanziale tra le metodologie didattiche attive e le metodologie specifiche
dell’apprendimento cooperativo che presenteremo nella prossima Unità sta nel fatto che i metodi di
didattica attiva sono sostanzialmente tecniche che si possano circoscrivere ed utilizzare in relazione ad
obiettivi specifici. Le metodologie specifiche dell’apprendimento cooperativo invece (il Cooperative
Learning, la Peer Education, il Tutoring tra pari, l’Educazione socio affettiva), prevedono invece un
corposo impianto tecnico e si reggono su modelli che hanno una portata euristica più vasta.
Una didattica attiva è sostanzialmente una didattica fondata sulle pratiche, ossia sulla capacità di
sviluppare a scuola percorsi progettuali in cui l'esperienza gruppale è in primo piano, e vi è dunque
spazio non solo per la trasmissione del sapere, ma anche per la scoperta della realtà attraverso attività di
laboratorio svolte dentro e fuori il contesto scolastico. Le metodologie attive possono così essere
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considerate, in generale, dei mediatori didattici tra i contenuti proposti per l’apprendimento ed il
soggetto di apprendimento, l’allievo, e questo perché operano tra la realtà e la rappresentazione e,
soprattutto, perché trasferiscono il tema dell’apprendimento dal suo contesto originario esterno alla
esperienza diretta dello scenario interno del laboratorio didattico.
Il presupposto fondamentale dei metodi attivi è che l’apprendimento sia prodotto dall’esperienza:
comprensione, elaborazione e metabolizzazione dell’esperienza vissuta (Bellotto, 1988). Esse
implicano, come è ovvio, un elevato coinvolgimento ed una grande partecipazione degli allievi, di
modo che il processo di apprendimento non viene più realizzato sugli allievi ma con gli allievi.
Alcune metodologie attive
Le metodologie che sinteticamente abbiamo selezionato offrono al docente/conduttore la possibilità di
attivare le risorse di sviluppo presenti nella classe pensata come gruppo.
Tali metodologie, ovviamente, non sono attive di per sé, ma solo in funzione di come vengono usate:
richiedono quindi che la relazione didattica sia stata pensata fin dal suo inizio attraverso l’ottica
collaborativa, fondata su un atteggiamento paziente e riflessivo da parte del docente, che non dovrà
quindi sostituirsi agli allievi nella realizzazione dei lavori, e non si aspetterà che il gruppo recepisca e
realizzi automaticamente questo livello di apprendimento.
 La lezione. Spesso considerata il modello delle modalità passive di condurre le attività di
apprendimento, se usata secondo una prospettiva diversa da quella tradizionale diventa invece
molto efficace per innescare processi di attivazione nella classe. Centrata sul ruolo del docente,
rimane lo strumento privilegiato per trasmettere ai soggetti che ne sono privi, concetti ed
informazioni indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi formativi; può assumere invece
un aspetto “attivo” quando viene utilizzata per attivare nel gruppo-classe discussioni ed
elaborazioni idonee a connettere i temi dell’insegnamento con l’esperienza e l’attività
immaginativa degli allievi, in particolare se affiancata da altre tecniche di tipo simulativo o dal
role playing4.
4 Nel caso venga utilizzata prevalentemente per trasmettere informazioni, vanno ricordati i rischi dovuti al fatto che
l’ascolto, inteso come unica opportunità di apprendimento, comporta un grado di memorizzazione basso e labile nel tempo,
e che la posizione passiva dell’uditore rende difficile capire se gli obbiettivi informativi vengano raggiunti.
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 La discussione di gruppo è una metodologia che può essere utilizzata quando nel corso di
un’attività emergono delle tematiche impreviste o che necessitano approfondimenti. I vantaggi
di questa pratica sono notevoli, fra i quali quello di esercitare gli allievi all’ascolto delle
opinioni altrui, a formulare delle idee sintetiche e chiare, a stimolare il confronto in presenza di
opinioni contrarie.
 Il brainstorming (letteralmente: tempesta di cervelli) ha l’obiettivo principale di sviluppare la
creatività del singolo e del gruppo rispetto ad una tematica da affrontare. Tecnicamente, è un
tipo d’intervista di gruppo in cui, definiti molto generalmente i temi della discussione, ciascun
partecipante interviene liberamente sul tema, cercando nuove idee e nuovi spunti di lettura. E’
utile dunque per insegnare a scoprire l’importanza della risorsa gruppo e a motivarlo, a far
superare un atteggiamento difensivo rispetto alle idee espresse dagli altri, a superare inibizioni e
ad attenuare eccessi di autocontrollo rispetto alle opinioni da esprimere. E’ molto efficace per
esplorare nuovi suggerimenti ed ottenere spunti creativi utili per la soluzione di specifici
problemi.
 Il gioco di gruppo ha delle caratteristiche ben precise, come il distanziamento dalla realtà ed il
senso di libertà che ne consegue. Il giocare in gruppo è quindi un formidabile elemento di
socializzazione perché consente all’allievo di apprendere ed esercitare sia capacità cognitive
che sociali. La creazione di un ambiente ludico, inoltre, offre al gruppo-classe la possibilità di
giocare fra pari e confrontarsi in un ambiente protetto. Il gioco nelle sue funzioni (creativa,
socializzante), nelle sue molteplici varietà (gioco di regole, imitativo), nelle sue notevoli
dicotomie (gioco competitivo/ gioco cooperativo), rappresenta per l’allievo un’attività
altamente motivante, da vivere come una realtà concreta in cui essere coinvolti in modo
partecipe per imparare ad imparare (Venza et al., 2006).
 La metodologia laboratoriale è utilizzata allo scopo di costruire negli allievi - attraverso la
guida del docente e lungo un percorso formativo definito – competenze, e a fargli acquisire
conoscenze dirette tramite l’esperienza. Tale metodologia consente di passare dal verbale
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all’azione, essendo escluso a priori in ogni metodo laboratoriale un’attività che non preveda lo
svolgimento di azioni tangibili, meglio se svolte in gruppo. Nell’organizzazione del lavoro di
laboratorio attenzione del docente dovrà consistere nel tenere in considerazione le competenze
degli allievi al fine di metterli nelle condizioni di svolgerlo e, allo stesso tempo, di aumentare la
motivazione alla conoscenza del nuovo. E’ quindi fondamentale che lo studente comprenda che
le soluzioni trovate possono essere applicate in diverse situazioni fra loro simili e che tale
processo cognitivo sia accompagnato dalla capacità di traslare i contenuti dell’apprendimento
dal contesto scolastico alla situazione vissuta nella realtà esterna.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Venza, G. (2007), Dinamiche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo e formativo, Franco
Angeli: Milano.
La ricerca internazionale sul tema dei nuovi obiettivi della scuola è molto vasta. Nell’ambito dell’UE,
ulteriori informazioni sugli obiettivi chiave in tema di istruzione e sulle aree di cooperazione tra gli
Stati Membri si possono trovare online,
URL:http://ec.europa.eu/education/policies/2010/objectives_en.html.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– II Unità Didattica – Lezione 1
L’APPRENDIMENTO “IN GRUPPO” COME PARADIGMA PER GLI INTERVENTI
COOPERATIVI
Obiettivo di questa Unità è quello di presentare sinteticamente, oltre gli aspetti prettamente strumentali,
anche le diverse filosofie teoriche che regolano le metodologie cooperative della Peer Education, del
Tutoring tra pari e dell’Educazione socio-affettiva5. Ci riserviamo di occuparci del Cooperative
Learning - l’approccio didattico sicuramente più complesso ed articolato - nelle successive Unità.
Abbiamo già detto di come nel campo della didattica la ricerca sostenga sempre più l’utilità (se non
l’esigenza) di una partecipazione attiva degli studenti nei processi di apprendimento; abbiamo inoltre
affermato come i più recenti orientamenti psicopedagogici considerino il sapere una significativa
costruzione personale che si sviluppa sempre all’interno di un contesto relazionale.
Sono questi i presupposti che hanno dato origine ai metodi cooperativi presentati, veri e propri modelli
di azione formativa ed educativa che si sviluppano sulla base di specifiche e diversificate declinazioni
concettuali. Dal nostro punto di vista, sottovalutare la teoria “di partenza” di questi metodi può essere
fonte di errore per chi intenda avvalersene: è per questo che - sebbene sinteticamente - proveremo a
descriverne le specificità di volta in volta.
L’insegnante potrebbe, infatti, pensare di poter utilizzare le varie metodologie cooperative alla stregua
di una semplice tecnica come se fossero metodologie didattiche attive (cfr. UD precedente): una
modalità siffatta di utilizzo - oltre a non incidere sul contesto scolastico generale – verrebbe senza
dubbio “assorbita” molto velocemente e ricollocata dentro una logica complessiva che, con tutta
probabilità, ne annullerebbe il potenziale formativo. L’approccio didattico cooperativo, per essere
sfruttato appieno, si pone invece come elemento di associazione e di integrazione delle metodologie
Abbiamo deciso di inserire l’Educazione socio-affettiva tra le tecniche di apprendimento cooperativo in quanto
anch’essa prevede comunque l’utilizzo di tecniche di condivisione gruppale.
5
27
preesistenti, in grado di riqualificarle all’interno di una visione epistemica, che le legittima e ne
valorizza ulteriormente l’uso.
E’ per tali ragioni che le metodologie cooperative possono essere utilizzate nella scuola soltanto da
quei docenti con un training formativo ad hoc e che sono fortemente motivati a utilizzare il proprio
ruolo per coordinare una strategia efficace, anche se molto impegnativa, che permetta:
- la ridistribuzione dei compiti e delle funzioni;
- l’emersione dei vissuti spesso tenuti nascosti in un gruppo formale (qual è appunto la classe);
- la possibilità di utilizzare le potenzialità del gruppo classe come principale risorsa per eliminare
situazioni di disagio e passaggi esistenziali in cui più facilmente si può incorrere in uno stallo
evolutivo.
Data la complessità e la vastità dell’impianto teorico sul quale poggiano queste metodologie, che non si
possono esaurire all’interno delle singole lezioni che abbiamo predisposto, abbiamo scelto di compilare
nell’ultima lezione una bibliografia commentata, che – ci auguriamo - potrà servire al lettore
interessato per approfondire i suoi specifici interessi.
Il gruppo come strumento: implicazioni di metodo
Abbiamo ripetuto più volte come l’efficacia dell’intervento formativo ed educativo non possa
prescindere dalla quotidianità della relazione e dalla vicinanza tra docente e discente. Con il tempo
questi ruoli sono diventati sempre più dinamici e flessibili, soprattutto al giorno d’oggi quando in gioco
vi sono adolescenti portatori di esperienze e competenze spesso di livello e complessità pari a quelle
dell’adulto.
Anche per questo si pone l’esigenza di promuovere un movimento in grado di produrre una cultura
dell’apprendimento, grazie al quale la scuola si possa qualificare non più come mero contenitore di
saperi, bensì come attivatore di iniziative centrate su una solida filosofia della cooperazione di cui tutti,
al suo interno, rivestono un ruolo attivo.
L’insegnante assume in questa situazione le vesti di facilitatore ed organizzatore delle attività, in grado
di strutturare “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale positivo,
trasformano ogni attività in un processo di “problem solving di gruppo” (Comoglio, 1996),
conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti.
E’ in questa direzione che si collocano le metodologie didattiche di apprendimento cooperativo, la cui
applicazione prevede da parte del docente l’uso attento e competente del gruppo inteso come strumento
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di lavoro, le cui potenzialità si esprimono con maggior intensità quando l’insegnante è consapevole
delle dimensioni socio-affettive presenti nel gruppo classe a lui affidato:
«Noi pensiamo alla storia di un gruppo come ad un progressivo costruirsi fra i suoi
membri di un senso di familiarità e di confidenza, il quale consenta agli scambi
comunicativi di depositarsi nel gruppo stesso […]. Un insieme di persone è divenuto
gruppo quando ha storia, familiarità e confidenza sufficienti per consentire ai singoli
di produrre materiale emotivo che attinge a quest’area comune; per cui l’esperienza
vissuta in queste condizioni da un singolo acquisisce un significato e un’efficacia
speciale anche per tutti gli altri. In un gruppo così familiarizzato l’azione di una
persona si connette con il mondo interno degli altri, trovando la via d’accesso a
sensazioni, pensieri, ricordi, fantasie di livello profondo», (Corbella, S., Boria, G.,
2002, p. 19).
In tale ottica, favorire i processi di gruppo è il modo per favorire il buon esito degli obiettivi scolastici,
per una conoscenza non puramente ripetitiva, ma per un apprendimento sostanziale:
«A queste prestazioni meccaniche io contrappongo quelle che sono frutto di competenza
disciplinare, ossia di competenza vera. Si tratta delle prestazioni offerte da studenti capaci
di prendere le prestazioni e le abilità apprese nella scuola o in altri ambienti e di applicarle
in modo flessibile e appropriato ad una situazione nuova e almeno in parte imprevista»
(Gardner, H., 1993, p. 19).
Creare legami di appartenenza non è per l’insegnante un’attività di poco conto, quanto piuttosto una
precisa competenza professionale che favorisce lo scambio circolare di capacità creative:
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«Il gruppo è una realtà psichica implicante interazione fra mondo interno e mondo
esterno la quale nasce attraverso un accomunamento. L’accomunamento tra uomini
non può avvenire, naturalmente, se non c’è comunicazione, e la comunicazione non
può avvenire se non c’è informazione affettiva (messa in forma degli affetti)»
(Corbella, S., Boria, G., 2002, p. 19).
Le metodologie didattiche cooperative non si devono utilizzare nel classico intento distintivo tra
compiti tradizionali della scuola e momenti di gruppo visti come una parentesi. Al contrario, lo scopo è
quello di far lavorare il gruppo-classe attraverso la valorizzazione di tutto ciò che contiene, con lo
scopo di far imparare al formando sia come si vive, sia le conoscenze essenziali dal punto di vista
disciplinare. E’ perciò necessario indirizzare le emozioni e gli affetti degli studenti all’interno degli
obiettivi di apprendimento e di formazione della Scuola, creando un’intesa tra gli studenti e i docenti
che promuova lo star bene a scuola.
I metodi che presentiamo nella prossima lezione hanno tutti in comune questa finalità.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– II Unità Didattica – Lezione 2
PEER EDUCATION: PRESUPPOSTI E METODI
La Peer Education nasce come progetto educativo teso a promuovere un rapporto tra giovani e adulti
nel quale ognuno possa preservare la propria identità ed il proprio ruolo.
Il rapporto educativo viene inteso come un'esperienza democratica, nella quale l'interazione fra
educatori ed "allievi" viene regolata dalla simmetria, dall'eguaglianza, dalla complementarità e dal
mutuo controllo (laddove invece il rapporto educativo classico risulta essere asimmetrico, ed il potere
che vi si concentra tende a collocarsi da una sola parte). Questo non significa che la Peer Education
intenda mettere in discussione i metodi tradizionali di insegnamento, né che pretenda di sostituirsi ad
essi: l'educazione tra pari punta invece ad affiancare il consueto modello di rapporto insegnante/allievo,
limitandosi ad intervenire in settori definiti.
Il terreno di intervento della Peer Education, dal punto di vista dei contenuti, è individuabile
nell’ambito del "comportamento consapevole": l'educazione tra pari ha insomma l'obiettivo di trasferire
informazioni ma soprattutto consapevolezza, e si basa sul principio riconosciuto che i modelli di
comportamento dei giovani vengono appresi più facilmente all'interno di gruppi di coetanei che nel
tradizionale rapporto educativo genitore-figlio o insegnante-allievo, e che dunque l'efficacia
dell'influenza dei pari, anche su argomenti importanti (ad es. l'educazione alla salute) sia di gran lunga
superiore a quella prodotta dagli interventi degli adulti (Croce et al., 2011).
La Peer Education, in questo senso, risulta essere un'esperienza particolarmente utile soprattutto per
coloro che decidono di diventare dei Peer Educators. Nel rivestire il ruolo di educatori, infatti, i ragazzi
hanno un'importante occasione per smettere gli abiti consueti dello studente (inteso come il semplice
destinatario dell'insegnamento degli adulti) e per assumere un ruolo responsabile e propositivo, nel
quale ciascuno possa misurare le proprie capacità di comunicazione e - nel confrontarsi con le risposte
che gli vengono dai compagni - verificare gli effetti concreti del proprio lavoro.
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Dal punto di vista dei Peer Educators, la conoscenza delle nozioni da trasmettere ai propri compagni
costituisce soltanto uno degli aspetti della loro esperienza di educatori: un aspetto certo fondamentale,
ma probabilmente non il più importante.
Il lavoro formativo svolto con i ragazzi negli incontri di preparazione alla Peer Education, più che a
fornire loro i contenuti che dovranno trasferire nelle classi, punta a sviluppare e potenziare la loro
capacità di relazionarsi con se stessi e con gli altri: il focus dunque non è tanto sul “che cosa
comunicare”, ci si preoccupa piuttosto del “come”.
Gli educatori fra pari, infatti, non sono dei semplici trasmettitori di informazioni precostituite. Essi,
piuttosto, si riconoscono come dei soggetti liberi, responsabili, capaci di compiere autonomamente le
loro osservazioni e rielaborazioni (Croce et al., 2011).
Come e perché costruire un gruppo di lavoro
La Peer Education, tende dunque a favorire la crescita dell’individuo attraverso lo sviluppo del senso
critico, della coscienza di sé e della propria generazione: l'apprendimento di queste competenze inizia
col favorire le condizioni perché i Peer Educators siano indotti a costruire un gruppo di lavoro, a
produrre iniziative condivise, a sviluppare un progetto affidandosi esclusivamente a se stessi. Fin
dall'inizio, pertanto, anche attraverso l'utilizzo di supporti metodologici forniti loro dai formatori (è
utile ad esempio integrare in tal senso le tecniche didattiche attive presentate nella precedente Unità), i
ragazzi vengono messi nella condizione di riconoscere nel gruppo uno strumento in grado di facilitare,
accelerare e moltiplicare i risultati che gli individui potrebbero produrre singolarmente.
La scelta di fare del gruppo il punto di partenza della formazione dei Peer Educators non è però intesa
soltanto a mettere in evidenza la sua utilità ed efficienza concreta: si deve tenere conto, infatti, del
valore intrinseco che la dimensione gruppo ha per i ragazzi. Il gruppo, come più volte ripetuto, è
l'ambito nel quale i ragazzi
tendono naturalmente a collocarsi e a riconoscersi, il luogo in cui
sviluppano le proprie possibilità di espressione e interazione, ampliando la propria sfera socioaffettiva,
costruendo la propria autonomia ed il proprio senso di responsabilità. Il gruppo, in altre parole, è il
luogo in cui avviene la gran parte dei processi attraverso i quali il ragazzo costruisce la propria identità,
la percezione di sé e degli altri.
Il momento formativo dei Peer Educators, per questo motivo, non dovrà essere - per certi aspetti - che
un contenitore, pensato per consentire ai ragazzi di sfruttare appieno le potenzialità positive del gruppo:
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si tratterà insomma di ricreare spazi fisici e relazionali in cui i Peer Educators possano sperimentare la
dimensione dello stare, del riconoscersi, e sviluppare modalità di incontro reali e profonde.
Esercitarsi nel "fare gruppo", su questa base, significa entrare in un orizzonte in cui i legami vengono
messi in atto nella prospettiva del costruire insieme, ciascuno imparando ad ascoltare e riconoscere i
desideri e i bisogni propri ed altrui, ad esprimerli in modo adeguato, ad elaborarli e, raccordandoli fra
loro, a rielaborarli. Il lavoro di gruppo, insomma, si profila come una palestra attraverso la quale
ciascuno sarà indotto a riportare lo sguardo su di sé, senza staccarlo, però, dall'attenzione verso l'altro.
Nella posizione di privilegio resta, infatti, la persona: nella sua dimensione relazionale, nel suo
rapporto con se stessa, con gli altri, con l'ambiente.
Formare i Peer Educators
La Peer Education è un'esperienza inconsueta anche per di chi è responsabile della formazione degli
educatori fra pari. Gli animatori adulti si propongono in questo contesto come dei facilitatori, chiamati
a costruire lo sfondo sul quale si muoveranno autonomamente i ragazzi, un contenitore flessibile e
dinamico volto a tutelare e promuovere la possibilità per i Peer Educators di riconoscersi
progressivamente quali protagonisti attivi nella realizzazione del proprio progetto.
Solo in una prima fase del lavoro, pertanto, il conduttore avrà una rilevanza, che a poco a poco si dovrà
attenuare, fino a ridursi idealmente ad una presenza silenziosa. L'adulto, in altre parole, una volta che il
processo si è avviato, diventa un semplice osservatore, un assistente che i ragazzi possono o meno
interpellare per avere un parere, sapendo però che la responsabilità di ciò che si sta facendo appartiene
soltanto a loro.
È questo uno fra gli aspetti maggiormente qualificanti della Peer Education: il conduttore, infatti, punta
ad essere non il centro del gruppo (cosa che avviene solitamente nel rapporto insegnante/allievo) ma
casomai il suo contenitore esterno. La sua sola responsabilità, si potrebbe dire, consiste nel garantire
che il gruppo, con le caratteristiche sopra descritte, semplicemente esista.
Come è possibile realizzare questo risultato? Uno dei passaggi fondamentali di questo percorso
consiste nell'utilizzo di tecniche di emersione e discussione che consentano a ciascuno di guardare in
profondità e di esprimere liberamente il proprio parere, riconoscendo i propri desideri e bisogni (v. ad
esempio il “circle time” esposto nella lezione 5 di questa Unità) .
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Per concludere, aggiungiamo che, tra i vantaggi dei progetti di Peer Education promossi dalle
istituzioni scolastiche all’interno della loro offerta formativa, vi è sicuramente il fatto che - avvalendosi
della loro funzione educatrice e promotrice di cambiamento – essi possono sicuramente fungere da
collante tra le diverse agenzie educative e formative (famiglia, scuola e gruppo dei pari) che orientano
il processo di crescita dell’adolescente.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– II Unità Didattica – Lezione 3
IL TUTORING TRA PARI
Come la Peer Education, anche il Tutoring tra pari è una strategia di apprendimento cooperativo che
permette agli insegnanti di favorire in classe l’aiuto ed il sostegno reciproco. Gli allievi vengono divisi
in coppie o in piccoli gruppi e si sceglie di volta in volta uno di loro per svolgere il ruolo di docente e
spiegare ai suoi colleghi il tema da trattare, o aiutarlo a procedere di volta in volta con più
indipendenza. Tecnicamente esso consiste dunque nel far rivestire a turno, da parte degli alunni, la
parte di insegnante, per cui per certi versi può essere considerato come un vero e proprio gioco di ruolo,
che permette ad ognuno di percepire i propri compagni in modo diverso, da un altro punto di vista,
come fonte di aiuto nel processo di apprendimento.
Fare sperimentare agli studenti la pratica dell’insegnamento produce un duplice vantaggio: fare da
maestro a se stessi, sperimentando nuove pratiche di autoistruzione ed imparare ad insegnare agli altri
ciò che si sa (Polito, 2000). Solitamente è l’adulto a rivestire il ruolo di Tutor, mentre questa diversa
forma di tutoring fa sì che gli stessi giovani possano sperimentare collaborazione, sostegno e aiuto.
Inoltre questo metodo educativo offre grandi opportunità formative, perché approfondire un argomento
ed insegnarlo ai compagni significa sviluppare abilità cognitive e relazionali, controllare le proprie
capacità di comunicazione ed espressione, verificare le capacità di coinvolgere gli altri.
Elementi fondanti il Tutoring
Quali sono gli elementi specifici del Tutoring tra pari? Elenchiamo di seguito - per comodità in forma
schematica - quelli che sono le strutture operative che lo caratterizzano.
35
Riveste una posizione di responsabilità, ed il suo compito consiste nel
IL TUTOR
trovare le strategie idonee all’insegnamento. Occorre, dunque, che
anch’egli impari quello che insegna, e che non siano soltanto gli alunni
molto bravi ad insegnare a quelli in situazione di difficoltà ma che sia
presente una situazione di circolarità in tal senso.
Può essere seguito in maniera individualizzata, è può partecipare alla
L’ALLIEVO
definizione delle regole che sostengono il lavoro.
E’ necessaria una fase di preparazione per individuare gli obiettivi,
IL CONTRATTO
preparare l’allievo che funge da tutore, e stabilire con gli alunni (anche in
forma di contratto scritto) gli accordi presi cooperativamente.
Deve saper predisporre il materiale, coordinare il lavoro, osservare, avere
L’ADULTO
un atteggiamento non direttivo e deve cercare di favorire l’iniziativa degli
studenti. E’ presente durante gli incontri, ma apparentemente coinvolto in
una sua attività.
Sono rintracciabili anche al fuori dalla classe, in uno spazio protetto in
GLI SPAZI
grado di trasmettere l’idea che il lavoro è serio ed importante. Si devono
evitare repentini cambiamenti di posto o di aula.
Le attività possono essere suddivise in incontri settimanali o
I TEMPI
bisettimanali, con una durata dai 30 ai 45 minuti. E’ opportuno che venga
mantenuto sempre il solito orario.
E’ necessario che il Tutor e l’insegnante, che coordina, il lavoro
GLI STRUMENTI
predispongano alla fine di ogni incontro un diario personale, da compilare
individualmente, che descriva quanto è stato fatto e i risultati che si sono
raggiunti. I materiali utilizzati durante gli incontri inoltre - oltre
ovviamente ad essere in sintonia con gli obiettivi - devono essere
significativamente diversi da quelli usati in classe o da quelli già
conosciuti dagli studenti.
Viene elaborata in funzione di una serie di momenti in cui si chiede di
VALUTAZIONE
riflettere sullo svolgimento e sulla partecipazione di ogni soggetto. In tal
36
senso si raccomanda di
o
Effettuare numerosi colloqui di verifica tra adulto e tutore sia
dopo lo svolgimento delle attività sia dopo la stesura del diario da
parte del tutore;
o
Predisporre riunioni tra gli studenti che nelle coppie di studenti
hanno ruoli di Tutor;
o
Predisporre riunioni di verifica cui partecipino il Tutor, l’allievo e
l’adulto, nelle quali si considereranno gli obiettivi e gli
atteggiamenti dei singoli studenti e si ripensi alle regole utilizzate.
In queste riunioni è indispensabile fare riferimento alle considerazioni del
tutore stese nel suo diario e alle osservazioni di tutti i coinvolti.
Indicazioni operative
Se gli studenti attraverso specifiche esercitazioni acquisiscono in primo luogo le abilità più semplici, e
se colui che gioca il ruolo di Tutor insegna solo ciò che ha già appreso e si esercita a comunicarlo ad
altri, il Tutoring tra pari può rappresentare indubbiamente una buona tecnica cooperativa di
apprendimento.
Inoltre, per essere efficace e cooperativo, il tutoring tra pari deve essere reciproco: ognuno, infatti, deve
dare e ricevere aiuto e sostegno, quindi, opportunità di miglioramento. L’azione degli allievi, richiesta
in tutte le fasi del lavoro è sicuramente collegabile all’adesione volontaria, che modifica la dimensione
di obbligo che caratterizza gran parte delle attività scolastiche.
Si deve fare attenzione inoltre alla scelta degli obiettivi didattici, che devono essere adeguati alle
realistiche potenzialità dell’alunno. Non ci riferiamo tanto alle conoscenze già possedute dagli studenti,
quanto piuttosto al loro interesse verso le attività e la capacità di inserirli in un percorso di scoperta
affrontando la sfida caratterizzata dalla gestione dell’esperienza.
E’ importante inoltre abbinare in maniera funzionale tra loro gli allievi, in modo da garantire un
confronto che permetta nuove situazioni di equilibrio: bisognerebbe quindi evitare l’eccessiva distanza
37
tra i partecipanti - cioè non sceglierne uno troppo bravo ed uno troppo in difficoltà - ed evitare il lavoro
con due studenti che presentino modalità di interazione eccessivamente inibite (studenti che evitano
abitualmente il confronto o che sono troppo timidi).
Il ruolo del tutore, come detto, prevede che sia lui ad occuparsi dell’allievo e che sia in grado di
gestirlo, accompagnarlo e valutarne il percorso. Lavorando con allievi in difficoltà, si potrebbe
verificare che il tutore trascuri l’allievo e che la sua attenzione sia eccessivamente rivolta a se stesso:
richiamandolo alle sue responsabilità si spinge il Tutor ad un cambiamento attraverso il riconoscimento
delle proprie capacità e di un’aspettativa condivisa che le tiene in conto.
Possiamo sinteticamente elencare il compito dell’insegnante per formare agli studenti ad un efficiente
tutoring tra pari nei seguenti punti:
-
fare in modo che tutti partecipino;
-
aiutare i partecipanti del gruppo a risolvere i problemi;
-
valorizzare il contributo di ogni partecipante alla discussione;
-
raccogliere le indicazioni e le riflessioni più significative e riproporle;
-
tracciare una mappa del percorso di analisi del problema.
Per concludere
Sebbene il termine Tutoring e il suo utilizzo nella scuola siano recenti, le idee di base hanno radici
storiche e teoriche antiche, le cui origini si possono rintracciare nelle idee di alcuni storici pedagogisti.
Bisogna rifarsi alla pedagogia istituzionale, ovvero a quella prospettiva di ricerca e di pratica che indica
la complessità come dimensione fondante, e che da importanza all’intero contesto di una situazione
educativa (Canevaro, Chieregatti, 1999, p. 23).
38
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– II Unità Didattica – Lezione 4
L’EDUCAZIONE SOCIO AFFETTIVA
Tra le varie strategie utilizzate in ambito scolastico allo scopo di promuovere l’apprendimento
mediante la cooperazione tra studenti, un posto di particolare rilievo spetta indubbiamente alle
metodologie per l’educazione socio-affettiva (cfr. Ianes, 2007), che traggono i loro presupposti teorici
dalla psicologia umanistica di Rogers e Maslow e dalle metodologie di Gordon.
Oltre a soddisfare i bisogni di conoscenza mediante l’apporto fondamentale del gruppo classe di
riferimento, l’educazione socio-affettiva pone tra i suoi obiettivi la trasmissione agli studenti di alcune
competenze e capacità psicologiche che li aiutino a diventare capaci di affrontare con competenza i
problemi legati alla vita scolastica e familiare, andando più a fondo nella padronanza e nella
comprensione di se stessi e delle proprie peculiari modalità di interazione con gli altri.
Non rientra tra nostri obiettivi l’approfondimento dettagliato di una metodologia molto vasta e
variegata. Nelle lezioni che seguiranno, oltre a descrivere sinteticamente la teoria che ne sorregge la
metodologia, abbiamo quindi scelto di privilegiare in particolare la descrizione di quelle tecniche di
Educazione Socio-Affettiva che utilizzano il gruppo come strumento di cooperazione.
Il ruolo della psicologia umanistica
Abraham Maslow, psicologo e padre fondatore della psicologia umanistica, si è interessato della
“psicologia della salute” trattandola come integrazione alla “psicologia della malattia”. Le sue
intuizioni hanno prodotto studi accurati, che hanno osservato attentamente le personalità sane e
realizzate, suggerendo il modo per sviluppare aspetti positivi della personalità.
39
I suoi lavori e le sue teorie sono il risultato di ricerche intensive su persone psicologicamente in buona
salute, attraverso le quali arrivò alla conclusione che gli individui “sani” sono spinti verso
l'autorealizzazione, che lui definì come un processo di
«…continua realizzazione di potenzialità, capacità, talenti, come adempimento di una
missione, come una totale conoscenza e accettazione dell'intrinseca natura della persona,
come una tendenza sempre più forte verso l'unità, l'integrazione o la sinergia all'interno
della persona» (Maslow, 1954).
Avvantaggiando la prevenzione (laddove per prevenzione si intende la possibilità di promuovere
l’evoluzione delle personalità sane, evitando così l’insorgere della patologia), Maslow sottolineò
l’importanza che ha per l’individuo la gratificazione dei bisogni fondamentali: secondo lui il
comportamento umano è, infatti, diretto e motivato, e va al di là delle particolari differenze culturali, e
dai bisogni fondamentali comuni a tutti gli esseri umani, e tende a disporsi in una gerarchia di
dominanza e di importanza. Questi bisogni - che si traducono in motivazioni all’agire - sono i mezzi
mediante i quali gli individui raggiungono il fine della piena realizzazione delle proprie potenzialità.
Nello specifico, la gerarchia dei bisogni secondo Maslow si dispone nel modo seguente:

bisogni fisiologici: funzionali al mantenimento fisico dell'individuo, sono i tipici bisogni di
sopravvivenza (fame, sete, desiderio sessuale…);

bisogni di sicurezza: i bisogni di appartenenza, stabilità, protezione e dipendenza, che giocano
un ruolo fondamentale soprattutto nel periodo evolutivo, insorgono nel momento in cui i
bisogni primari sono stati soddisfatti;

bisogni di affetto: fondamentalmente di natura sociale, questi bisogni rappresentano
l'aspirazione di ognuno individuo di costituire un elemento della comunità sociale apprezzato e
benvoluto;
40

bisogno di stima: questa categoria di aspirazioni è essenzialmente rivolta alla socialità ed ha
come obiettivo quello di essere percepito dalla comunità come un membro valido, affidabile e
meritevole di considerazione;

bisogno di autorealizzazione: è l'aspirazione individuale ad essere ciò che si vuole essere, a
diventare ciò che si vuole diventare, a sfruttare a pieno le proprie facoltà mentali, intellettive e
fisiche in modo da percepire che le proprie naturali tendenze siano congruenti e consone con i
propri pensieri e con le proprie azioni.
Queste formulazioni teoriche hanno stimolato l’interrogativo di quale sia per gli insegnanti il modo
giusto di porsi in relazione con gli studenti per aiutarlo a crescere sano.
Una possibile risposta a questa domanda ha provato a fornirla Carl Rogers, secondo il quale il
progresso umano è il risultato della capacità - innata nell’uomo - di apprendere: tale processo viene
facilitato se è “significativo” (ovvero ritenuto importante dal soggetto) e se avviene in un ambiente
favorevole.
Per questi motivi Rogers ritiene fondamentale nel processo educativo la relazione basata sulla stima
reciproca e sul rispetto tra insegnante e alunno: nell’insegnamento egli considera fondamentale, non
tanto il contenuto (destinato inevitabilmente a cambiare grazie alle scoperte scientifiche) quanto
l’acquisizione della capacità di “imparare ad imparare”.
In quest’ottica, compito del docente è quello di individuare le attività attraverso le quali gli studenti
riescono a pervenire all’acquisizione di conoscenze e capacità: il suo compito non tanto è quello di
trasferire conoscenze ma quello di creare le situazioni idonee che consentono agli alunni di costruirle
individualmente.
Egli, per individuare le attività da proporre, deve inoltre essere a conoscenza delle strategie di
apprendimento (per tentativi ed errori, per associazione ecc.) utilizzate dai suoi studenti, oltre
ovviamente al loro livello di sviluppo individuale. Solo successivamente può diventare in grado di
progettare gli itinerari di apprendimento. In tal senso, particolare importanza riveste il luogo
dell’apprendimento, che dev’essere innanzitutto attuato in un clima di libertà, significativo,
automotivante e basato sull’esperienza.
E’ a questo punto che sorge la necessità di trovare una metodologia integrata per raggiungere gli
obiettivi educativi proposti dall’approccio umanistico. Una possibile soluzione è quella di proporre
diverse modalità di educazione socio-affettiva, che possono essere usate insieme o separatamente
41
privilegiando un particolare aspetto. Le tre modalità individuate sono (Francescato, D., Putton, A.
Cudini, S., 1986):

il rapporto insegnante-classe: la strategia prevalente è il cosiddetto “metodo Gordon”, volto
all’instaurarsi di un buon rapporto tra insegnanti e allievi;

il rapporto tra gli studenti all’interno della classe: attraverso la tecnica del “circle time”
sperimentata efficacemente da molti anni negli Stati Uniti. L’obiettivo di questa metodologia è
di far vivere agli allievi un’esperienza di gruppo tramite, la quale essi possano conoscersi l’un
l’altro discutendo di argomenti di interesse comune. Il fine è quello sia di raggiungere una
migliore comprensione dei processi che si instaurano tra i partecipanti, sia acquisire una
migliore capacità di esprimere le proprie opinioni, di mediare tra diversi punti di vista, di
ascoltare, di facilitare la partecipazione dei membri;

la comprensione dello studente e dei suoi vissuti attraverso un insieme di esercizi psicomotori
volti a sviluppare le capacità dei ragazzi ad entrare in contatto e riconoscere le emozioni che
provano concentrandosi su di sé, sull’ambiente esterno e sui loro rapporti con gli altri.
Nella prossima lezione proveremo ad affrontare soprattutto i primi due punti, rimandando alla
bibliografia ragionata il lettore interessato.
42
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– II Unità Didattica – Lezione 5
L’EDUCAZIONE SOCIO-AFFETTIVA 2
Un altro grande teorico a cui l’educazione socio-affettiva si ispira è Thomas Gordon, che ha riproposto
la filosofia rogersiana in un linguaggio concreto e operativo, nell’intento di rendere accessibili ed
utilizzabili dal vasto pubblico alcune delle abilità psicologiche che caratterizzano il setting
psicoterapeutico.
Gordon ha messo a punto in tal senso dei “training brevi” sulla abilità di comunicazione e di
risoluzione dei conflitti interpersonali che, attraverso un approccio strutturato, rendono le persone e i
gruppi più efficaci.
Rivolgendosi al mondo scolastico, Gordon ha elaborato alcune metodologie utili in classe per creare
un’efficace relazione fra insegnante e allievo e fra gli allievi stessi, in cui grande importanza rivestono
l’accettazione, l’autenticità, l’empatia, la corretta comunicazione nel rapporto fra adulti e giovani al
fine di promuovere fiducia, disciplina e creatività, sviluppando così negli studenti il senso di autonomia
e di responsabilità, nonché la capacità di contribuire nel definire le regole che governano la vita della
classe.
Per Gordon gli insegnanti - pur mossi da buone intenzioni - non sempre riescono ad aiutare i ragazzi
nel risolvere le loro difficoltà, in quanto spesso - anziché promuovere lo sviluppo e l’iniziativa
personale - finiscono con il controllare l’azione favorendo la dipendenza anziché l’autonomia.
Per Gordon maestri e professori non sempre sono preparati a comunicare efficacemente, e a trovare
soluzioni ai conflitti: la vita scolastica può così diventare allora fonte di frustrazione sia per
l’insegnante che per l’alunno.
43
Fattore essenziale nella facilitazione dell’apprendimento, come detto, riveste il clima che l’insegnante
crea in classe e che dovrebbe essere improntato all’accettazione, alla comprensione, al rispetto
dell’altro. Tuttavia, l’insegnante sarà in grado di instaurare questo clima di fiducia reciproca, libero da
conflittualità e resistenze solo se sarà disponibile a mutare il proprio comportamento nel rapporto con
la classe, adeguandolo all’evolversi della situazione e rispettando il sistema di valori degli studenti. In
altre parole: ponendo attenzione alle dinamiche cooperative del gruppo e favorendo l’espressione e
l’esplorazione delle emozioni gruppali.
L’esclusione dal clima educativo di atteggiamenti giudicanti e coercitivi favorisce realmente
l’autonomia e un maggiore grado di responsabilizzazione negli studenti, grazie ad una libertà fondata
su comprensione e accettazione. L’insegnante, oltre a facilitare l’apprendimento può in tal modo
favorire una maggiore consapevolezza degli obiettivi personali e l’identificazione e lo sviluppo di
preziose e inesplorate risorse nel gruppo-studenti.
Nei corsi di formazione per Insegnanti Efficaci, si insegna il Metodo “senza perdenti” per la soluzione
dei conflitti tra coppie o tra sottogruppi di studenti, e le abilità per applicarlo. Il problem-solving in sei
fasi offre una valida struttura per l’applicazione di tale strategia. Ecco delineate brevemente le sei fasi:
FASE 1: definire il problema in termini di bisogni (identificare chiaramente i rispettivi
bisogni ed esporli all’altro);
FASE 2: produrre le possibili soluzioni (proporre una serie di alternative astenendosi da
giudizi e valutazioni);
FASE 3: valutare le soluzioni (soppesare le diverse soluzioni, gli aspetti positivi e negativi,
scartando quelle non accettabili per entrambi);
FASE 4: scegliere la soluzione accettabile per entrambi (senza imporre o persuadere, ma
arrivando ad optare di comune accordo per una soluzione);
FASE 5: programmare e attuare la soluzione (si decide chi fa cosa e quando);
FASE 6: verificare i risultati (se la soluzione scelta ha soddisfatto i bisogni di entrambi).
Questo metodo viene attuato stimolando il gruppo classe all’ascolto, alla discussione, al confronto.
Utilizzando la tecnica del problem solving, inoltre, si possono risolvere conflitti, oppure arrivare a
44
prese di decisione e scelte, all’elaborazione di una "legge", o di un regolamento (ad esempio quello di
una classe-scolastica che essendo proposto dagli alunni stessi, sarà più facilmente rispettato…).
Il rapporto tra gli studenti all’interno della classe: il “circle time”
Passiamo ora ad analizzare il metodo del “circle time”, che si colloca all’interno di quella gamma di
strumenti che mirano alla creazione di un clima di classe favorevole, oltre che all’apprendimento, alla
relazione, allo sviluppo della creatività, alla collaborazione e assunzione di responsabilità da parte di
alunni e insegnanti. Si tratta di uno spazio-tempo ben definito all’interno del quale i vari componenti
del gruppo classe si riuniscono per affrontare un tema o un problema proposto da uno o più alunni, o
dall’insegnante. Le caratteristiche specifiche del circle time lo indicano come:

un piccolo gruppo con una struttura a basse gerarchie (l’insegnante ha solo il ruolo di
facilitatore per lo sviluppo della discussione);

un gruppo di tipo formale (poiché gli spazi, i tempi e le regole di svolgimento devono rimanere
sempre le medesime);

uno strumento che punta alla creazione e mantenimento di un clima attivo di ascolto e rispetto
tra i membri, alla conoscenza reciproca e alla comunicazione.
Finalità generale del circle time è favorire la conoscenza reciproca, e l’assimilazione di regole efficaci
di comunicazione, nell’ottica di un’educazione all’ascolto e all’espressione di sé basata su valori quali
il rispetto e l’equità. Altri obiettivi a cui si punta con l’impiego dello strumento sono:

la capacità di sapere discutere in una situazione di gruppo, accogliendo e rispettando le diverse
opinioni e sentendosi liberi di esprimere le proprie idee;

rispettare i tempi e le modalità di esposizione di tutti, senza interrompere e rispettando il proprio
turno;
45

una maggiore integrazione tra i gruppi e dei soggetti che sperimentano situazioni di isolamento
o che hanno difficoltà relazionali;

la capacità di risoluzione dei conflitti, attraverso la comune ricerca di soluzioni.
L’impiego nei contesti scolastici e la successiva verifica degli esiti hanno confermato le forti
potenzialità di questa tecnica per rafforzare la coesione del gruppo-classe e il suo senso di identità, una
maggiore apertura del gruppo ed una migliore definizione delle relazioni.
La cura delle procedure ed il loro rispetto sono estremamente importanti per la significatività
dell’esperienza: in tal senso può essere utile inserire il circle time nell’elenco delle attività della classe
utilizzando quelli che sono i normali strumenti di documentazione utilizzati dal gruppo (es: cartelloni,
diari, calendari..) per evidenziarne il peso specifico che esso assume per la vita del gruppo. La
compilazione di un diario di bordo può così risultare produttiva per mantenere memoria dei temi
affrontati.
46
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– II Unità Didattica – Lezione 6
L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO TRA PARI: BIBLIOGRAFIA COMMENTATA
PEER EDUCATION

Boda G., (2006), L’educazione tra pari. Linee guida e percorsi operativi, Franco Angeli: Milano.
Il volume presenta le linee guida a cui fanno riferimento la maggior parte dei paesi europei per
realizzare progetti di Peer Education in diversi ambiti: educazione alla legalità, alla salute, prevenzione
delle dipendenze, ampliamento dell’offerta didattica e formativa. Fornisce riferimenti teorici e
indicazioni operative per realizzare progetti di educazione alle competenze psicosociali utilizzando la
metodologia della peer education.

Croce M., Gnemmi A. (2003), Peer education. Adolescenti protagonisti nella prevenzione, Franco Angeli:
Milano.
Riflessioni teoriche e proposte operative per interventi di prevenzione delle malattie
sessualmente trasmissibili nella scuola secondaria.

Dalle Carbonare E., Ghittoni E., Rosson S., (2004), Peer Educator. Istruzioni per l’uso, Franco Angeli,
Milano.
Contiene indicazioni operative per lo sviluppo dei processi formativi per i Peer Educator e gli
insegnanti e per i successivi interventi di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.
Descrizione di situazioni reali, tecniche utili al lavoro di gruppo, schede ragionate per la gestione degli
47
interventi, riflessioni teoriche sugli interventi di rete fra le agenzie del territorio. E’ allegato un cdrom
che contiene materiali utili per la formazione e l’intervento.

Cohen E., (1999), Organizzare i gruppi cooperativi, Edizioni Erickson: Trento.
Come utilizzare in classe un processo di apprendimento attivo. Preparazione degli alunni alla
cooperazione, pianificazione del lavoro di gruppo, valutazione della progettazione. Sono presenti
esemplificazioni ed esercizi utili per migliorare la didattica con gli alunni portatori di disagio socioculturale.

Croce M., Lavanco G., Vassura M. (2011), Prevenzione tra pari. Modelli, pratiche e processi di valutazione,
Franco Angeli: Milano.
Il volume propone una riflessione sulla peer education in Italia, sui suoi modelli prevalenti e sulla
necessità di un'uscita da una fase ancora adolescenziale confrontandosi in modo maturo con il nodo
della valutazione. È strutturato secondo un percorso che parte dall'inquadramento della peer education,
transita dalla prevenzione, che è l'obiettivo definito della strategia, per inoltrarsi nel tema della
valutazione vera e propria attraverso una rassegna metodologica della letteratura esistente in ambito
internazionale e delle esperienze più specifiche della realtà italiana.

Pellai A., Rinaldin V., Tamburino B., Educazione tra pari: manuale teorico pratico di empowered Peer
Education, Edizioni Erickson, Trento 2002.
Il volume, basato sul paradigma della Peer Education - sostiene la centralità del ruolo degli adolescenti
nell’ideazione, progettazione e realizzazione di iniziative per la promozione del proprio benessere
psicofisico, relazionale e ambientale a scuola e sul territorio. La parte metodologica è completa di
schede operative.
48

Pepe S., (2004), L’educazione tra pari: una bibliografia ragionata, in “Psicologia dell’educazione e della
formazione”, Edizioni Erickson, vol. 6, n. 1.
E’ una rassegna bibliografica sulle diverse forme di educazione tra pari dagli anni 70 a oggi, applicate
sia in ambito curricolare scolastico che nei programmi di prevenzione e di promozione della salute.
Particolare attenzione ai percorsi di Peer Education come mezzo di prevenzione e supporto sul piano
emotivo-relazionale.

Petruccelli I., Fabrizi A., (2005), Orientarsi per non disperdersi. Una ricerca-intervento sull’educazione tra
pari, Franco Angeli, Milano.
Dopo un approfondimento teorico sul disagio e sulla dispersione scolastica, viene proposto e discusso il
modello della Peer Education come metodologia privilegiata per l’orientamento. Riporta i risultati di
una ricerca-intervento di durata biennale che ha visto coinvolte diverse realtà scolastiche romane,
dall’università alle scuole elementari.
TUTORING TRA PARI

Guarguaglini A., Cini S., Corti F.P., Lambruschini L., (2007), Gestire gruppi in formazione. Teorie e
strumenti, Edizioni Erickson: Trento.
Rivolto alle figure professionali – docenti, formatori, educatori, ecc. – che si occupano della gestione di
gruppi e dell’organizzazione di percorsi formativi, illustra attività formative basate su metodologie
partecipative e giochi di gruppo.

Martinelli M., (2004), In gruppo si impara. Apprendimento cooperativo e personalizzazione dei processi
didattici, SEI: Torino.
49
Illustrazione dell’apprendimento cooperativo come metodologia che consente di seguire i singoli
gruppi e i singoli individui per il tempo necessario a superare le difficoltà nell’ambito
dell’apprendimento scolastico ma anche in quello affettivo.

Polito M., (2000), Attivare le risorse del gruppo classe. Strategie per l’apprendimento reciproco e la crescita
personale, Edizioni Erickson: Trento.
Partendo dai presupposti del costruttivismo, l’autore illustra una serie di strategie utili a creare in classe
un clima collaborativo e migliorare la socializzazione. Gli ambiti analizzati sono quelli
dell’accoglienza, della condivisione delle regole, del feedback di gruppo, della leadership condivisa,
dell’apprendimento collaborativo (tutoring tra pari, brainstorming, lavoro di gruppo, ecc.), dei giochi di
ruolo.

Topping K., Tutoring, (1997), Edizioni Erickson: Trento.
Presenta ed esemplifica in chiave operativa il metodo dell’insegnamento reciproco tra alunni, oltre a
descrivere la storia del tutoring e le sue basi pedagogiche. Sono inoltre illustrati alcuni progetti, la
guida operativa, la valutazione dell’efficacia dell’insegnamento reciproco. Rivolto a insegnanti di ogni
ordine e grado.
EDUCAZIONE SOCIOAFFETTIVA

Ianes D. (2007), Educare all’affettività, Edizioni Erickson: Trento.
Il libro illustra non solo alcune opportune riflessioni su ciò che è emozione, sentimento ed affettività,
ma si sofferma in modo particolare su alcuni percorsi operativi consigliati ad insegnanti che vogliono
“educare all’affettività” i ragazzi.
50

Gordon T. (1974), (tr. it) (1991), Insegnanti efficaci, Giunti e Lisciani: Teramo.
In questo libro Gordon, rifacendosi al pensiero di Rogers, presenta una serie di indicazioni per rendere
efficace l'insegnamento in classe, per ottimizzare l'apprendimento delle discipline e per risolvere gli
eventuali conflitti tra alunni e insegnanti, tra alunni, insegnanti e genitori. Il filo rosso che lega gli
interventi suggeriti è la fiducia nel processo di maturazione e sviluppo della persona.

Rogers C., R. (1973), Libertà nell’apprendimento, Giunti Barbera: Firenze.
In questo volume Rogers riassume in apertura i suoi lavori precedenti La prima parte contiene tre
esempi di situazioni sperimentali d’apprendimento; la seconda stronca la scuola tradizionale, nel segno
della libertà d’apprendere e di maturare una personalità autonoma; seguono i capitoli teorici che
contengono le premesse concettuali, i fondamenti e i modelli di valore che supportano la concezione di
Rogers.

Maggi, M. (a cura di) (2004), L’educazione socio affettiva nelle scuole Editrice BERTI: Piacenza
Il libro è suddiviso in tre parti. La prima presenta un’ampia esposizione teorica intorno ai temi della
Promozione della salute, della relazione educativa, dell’apprendimento, della comunicazione e della
gestione del gruppo classe e dell’Educazione socio-affettiva a scuola. La seconda si compone di una
ricca documentazione relativa ai progetti sperimentati nei diversi ordini di scuola e da tre manuali
pratici da utilizzare con gli alunni. Il testo unisce l'approfondimento teorico alla pratica educativa e che
si presenta come uno strumento "pronto per l'uso" per tutti gli educatori e gli insegnanti interessati
all’educazione affettiva.

Francescato, A., Putton, A., Cudini, S. (1986) Star bene insieme a scuola. Strategie per un'educazione socioaffettiva dalla materna alla media inferiore, Roma: Carocci
51
Viene esposto il metodo integrato per l’educazione socio-affettiva nella scuola, per la promozione del
benessere psico-emotivo dei bambini. La prima parte del libro descrive tre diverse metodologie di
educazione socio-affettiva. Nella seconda vengono presentati i risultati di una ricerca svolta in diverse
scuole italiane dove queste metodologie sono state sperimentate da psicologi e insegnanti con risultati
positivi. L’ultima parte è costituita dal diario di classe di una delle autrici e fornisce al lettore spunti e
idee-guida per l´attuazione pratica del metodo descritto.
52
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Canevaro, A. Chieregatti, A. (1999), La relazione di aiuto, Carocci: Roma
Comoglio M., Cardoso M. A., Insegnare e apprendere in gruppo, LAS, Roma, 1996
Comoglio M., Il gruppo come luogo in cui apprendere a cooperare, Animazione Sociale Aprile 1996
p.23-54.
Comoglio, M. (2000), Educare insegnando. Apprendere ad applicare il cooperative learning, LAS:
Roma
Corbella, S., Boria, G. (2000), Pensare e sognare di gruppo e in gruppo, «Quaderni dell’associazione
italiana psicodrammatisti moreniani», IV, Aipsim.
Francescato, D., Putton, A. Cudini, S. (1986), Star bene insieme a scuola, Roma: Carrocci
Gardner, H. (1993), Educare al comprendere, Feltrinelli, Milano.
Gordon T. (1974), (tr. it) (1991), Insegnanti efficaci, Giunti e Lisciani: Teramo.
Johnson D., Johnson R., Holubec E. (1996), Apprendimento cooperativo in classe, ERICKSON:
TRENTO.
Martinelli M., (2004), In gruppo si impara. Apprendimento cooperativo e personalizzazione dei
processi didattici, SEI: Torino.
Maslow, AH., 1954, Motivazione e personalità, tr. it. Armando, Roma, 1973.
Polito M., (2000), Attivare le risorse del gruppo classe. Strategie per l’apprendimento reciproco e la
crescita personale, Edizioni Erickson: Trento.
Venza, G. (2007), Dinamiche di gruppo e tecniche di gruppo nel lavoro educativo e formativo, Franco
Angeli: Milano.
53
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– III Unità Didattica – Lezione 1
–
CHE COS’E’ L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Dopo aver presentato nella precedente alcune delle metodologie didattiche che prevedono la
cooperazione del gruppo-classe in funzione dell’apprendimento, in queste restanti Unità Didattiche
proviamo a descrivere la teoria e le tecniche del Cooperative Learning, metodologia didattica più
strutturata rispetto alle precedenti. Presenteremo i presupposti teorici, le specificità, i metodi applicativi
di quello che possiamo definire come un metodo didattico a mediazione sociale, cioè fondato sulle
interazioni tra pari come fonte di arricchimento e di conoscenza.
Presupposti del Cooperative Learning
Le prime esperienze di Cooperative Learning risalgono agli anni sessanta e sono state realizzate nelle
scuole primarie americane dai fratelli Johnson, che hanno creato nel corso degli anni un programma di
studio fondato su basi teoriche e di ricerca costantemente perfezionato, sviluppato e tuttora in progress.
Lavorando nei gruppi cooperativi gli studenti vengono guidati dagli insegnanti ma non facilitati nello
sforzo di apprendere: affrontano situazioni complesse, spesso imprevedibili, e così facendo imparano
ad esprimersi al meglio, scoprendo e sviluppando in tal modo risorse personali insospettabili.
Il risultato è innanzitutto l’incremento e il potenziamento di abilità cognitive generalmente più vaste di
quelle comunemente richieste dalla attività proposte dalla scuola tradizionale; le applicazioni dei gruppi
cooperativi, inoltre, si avvicinano di più alle esperienze più autentiche della vita reale.
Attraverso il Cooperative Learning, gli studenti vengono indotti a coordinare il proprio impegno con
quello dei compagni per raggiungere determinati scopi, imparando nel tempo ad apprezzare il valore
della responsabilità individuale, della collaborazione, dell’aiuto, dell’accettazione del diverso da sé del
contributo dell’altro, della conoscenza come sforzo condiviso.
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Alcune definizioni di Cooperative Learning:
“E’ un insieme di tecniche di classe nelle quali gli studenti lavorano in piccoli gruppi per attività di
ap-prendimento e ricevono valutazioni in base ai risultati conseguiti” (Johnson, Slavin, Kagan,
Cohen).
“E’ un metodo di apprendimento – insegnamento in cui la variabile significativa è la cooperazione
tra gli studenti” (Comoglio, 1996).
“Una classe cooperativa è un insieme di piccoli gruppi di studenti relativamente permanente e
composto in modo eterogeneo, unito per portare a termine un’attività e produrre una serie di progetti
o prodotti, che richiedono una responsabilità individuale nell’acquisizione delle competenze utili al
raggiungimento dello scopo” (Baloche, 1998).
Secondo il modello proposto da Slavin6,
“Il gruppo promuove complessivamente una motivazione ad imparare così come tale motivazione
sostiene ed aiuta ciascun componente del gruppo stesso ad imparare; la motivazione, inoltre, fa sì che
svolgano ruoli reciproci di tutoring, e si condividano specifiche elaborazioni cognitive; tutto questo
provoca infine una notevole coesione sociale nel gruppo”.
Specificità degli approcci al Cooperative Learning
E’ bene precisare come non sia possibile riferirsi all’apprendimento cooperativo come ad un singolo
metodo di apprendimento, quanto - casomai - di un insieme di metodi o strategie di insegnamentoapprendimento che hanno come comun denominatore alcuni punti basilari, che li distinguono e li
qualificano rispetto alle altre modalità di lavoro in gruppi.
6 Slavin, R.E. 1996, Research on cooperative learning and achievement: What we Know, What we need to Know; in
“Contemporary Educational Psychology”, 21, pp.43-69.
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Sono, infatti, numerose le variazioni e diversi gli approcci all’apprendimento cooperativo, tra i quali
ricordiamo:
1. Il Learning Together di Johnson e Johnson (1987), forse la modalità più conosciuta;
consiste nel far lavorare la classe suddividendola in piccoli gruppi (di tre o quattro alunni)
che lavorino insieme su un compito assegnato. Ogni membro del gruppo assume un ruolo
(che può essere di gestione, di funzionamento, di apprendimento o di stimolo al gruppo) e
lavora per il raggiungimento del compito.
2. Lo Student Team Lerning (o Success of all) di Slavin pone l’accento sulla necessità di
motivare gli studenti a questo tipo di lavoro. Organizzare la classe in gruppi è abbastanza
semplice, non lo è altrettanto far sì che essi lavorino in modo collaborativo: la proposta di
Slavin è di utilizzare un sistema di ricompense stimolanti per il singolo e per il gruppo,
facendo leva sulla motivazione estrinseca e sull’organizzazione di classifiche di gruppo per
promuovere il raggiungimento degli obiettivi.
3. Il Group Investigations sostiene la motivazione intrinseca e il desiderio di conoscenza dei
singoli e del gruppo: il comportamento cooperativo diventa in tal senso stimolante non
soltanto dal punto di vista sociale, ma anche da quello cognitivo, in quanto prepara gli
studenti ad assumere un comportamento democratico ed integrativo nella società. Risultati
attesi, tra gli altri, sono dunque la costruzione di un ambiente sociale più democratico sia
all’interno della classe, sia nella società.
4. Lo Structural Approach si propone di raggiungere gli obiettivi del metodo cooperativo
attraverso la costituzione di opportune strutture di lavoro padroneggiate dall’insegnante.
Queste strutture vanno utilizzate all’interno dell’attività della classe per raggiungere gli
scopi che l’insegnante si propone: sviluppare l’apprendimento, creare un clima positivo, ecc.
I punti di forza di questa modalità si trovano nell’attenzione al coinvolgimento del maggior
numero possibile di studenti, nella promozione della partecipazione egualitaria, nel sostegno
dell’assunzione della responsabilità individuale.
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5. Ricordiamo inoltre la Complex Instructions, che ha lo scopo di mantenere il coinvolgimento
degli alunni e di valorizzare anche quelli che tra loro presentano una gamma di abilità molto
diversificata sul piano curriculare; il Collaborative Approach, che si configura come una
modalità di organizzazione del lavoro di classe che utilizza diverse strategie caratteristiche del
lavoro di gruppo.
Come è possibile evincere da questa rapida carrellata, sarebbe riduttivo trattare l’apprendimento
cooperativo alla stregua di una tecnica finalizzata al raggiungimento di obiettivi cognitivi attraverso la
cooperazione e l'interazione tra pari: esso si propone, infatti, non soltanto come metodologia atta a
raggiungere risultati scolastici efficaci, ma anche obiettivi educativi richiesti dalla società
contemporanea.
Per riassumere, possiamo dire che la caratteristica principale dell’apprendimento cooperativo - rispetto
alle altre modalità – è quella di proporre un gruppo centrato su un compito che realizza
un’interdipendenza positiva tra i suoi membri.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– III Unità Didattica – Lezione 2
ELEMENTI DEL COOPERATIVE LEARNING
Secondo i teorici del Cooperative Learning, per qualificare il lavoro di gruppo come apprendimento
cooperativo devono essere presenti i seguenti cinque elementi:
1. Interdipendenza positiva
Sta a indicare un “rapporto con”, un “legame con” altre persone per il conseguimento di un risultato, di
un obiettivo, di una ricompensa. Interdipendenza positiva è il termine con cui ci si riferisce
all’attitudine a pensare il gruppo come a una squadra in cui il destino di ogni singolo membro è
interconnesso, e il successo di uno è legato al successo degli altri.
Interdipendenza significa, in pratica, che tutti i partecipanti beneficiano dei risultati degli altri e che
sono dispiaciuti dai loro fallimenti. Proprio come un intero gruppo-classe può trarre profitto dalla
domanda di un singolo studente, gli studenti hanno bisogno di capire che non trarranno profitto dalla
competizione per avere le risposte giuste, ma dal condividere il loro sapere di base.
Essere in interdipendenza con qualcuno significa che per realizzare qualcosa o raggiungere uno scopo
non è possibile agire da soli: gli altri non solo sono necessari, sono indispensabili.
Quando l’interdipendenza positiva è strutturata e compresa con chiarezza, gli studenti dei gruppi
sentono che essi e il loro lavoro sono collegati allo scopo di aumentare il reciproco benessere, che lo
sforzo di ciascun membro del gruppo sarà unico e che solo gli sforzi originali di tutti i membri
contribuiranno al successo.
Qualora la situazione di apprendimento sia priva della condizione di interdipendenza positiva, saremmo
in presenza di una situazione competitiva (o interdipendenza negativa) o individualistica (assenza di
interdipendenza).
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2. La responsabilità individuale
Ogni membro del gruppo deve essere consapevole del fatto che la sua parte di lavoro è necessaria al
gruppo per completare il compito, e che si deve assumere la sua responsabilità in ordine a quella parte.
Uno dei problemi principali del lavoro di gruppo consiste a volte nell’individuare i confini
dell’impegno individuale e nell’evitare lo “sfruttamento” del lavoro altrui: il CL propone di
promuovere la responsabilità individuale attraverso la valutazione delle prestazioni non solo del
gruppo, ma anche del singolo studente e la successiva discussione dei risultati raggiunti sia dal gruppo
sia dal singolo, allo scopo di identificare l’eventuale bisogno di sostegno e incoraggiamento, ma anche
per sviluppare la competenza individuale di ogni membro del gruppo.
3. L’interazione diretta costruttiva
Lavorando insieme gli studenti interagiscono e cercano di sostenersi a vicenda, sia dal punto di vista
cognitivo, sia dal punto di vista relazionale. Ogni membro del gruppo può contare su qualcuno che lo
aiuti ad imparare, ma anche sul sostegno personale degli altri, che lodano e apprezzano reciprocamente
i contributi apportati da ciascuno. Questo può avvenire attraverso la condivisione e la discussione dei
concetti che si stanno studiando, con la spiegazione delle strategie personali utilizzate nella soluzione
di un problema specifico e con l’impegno a far capire agli altri come abbiamo raggiunto le nostre idee e
convinzioni. L’atteggiamento di interazione diretta costruttiva rende il gruppo più coeso e rafforza la
personale percezione di efficacia di ogni partecipante.
4. Abilità sociali
Per poter lavorare in gruppo sono necessarie, oltre alle normali abilità scolastiche, una serie di abilità
interpersonali e di relazione nel piccolo gruppo che gli studenti non necessariamente sono abituati ad
utilizzare e riconoscere.
Per questo motivo è importante che tale tipo di competenza venga insegnata “con la stessa
consapevolezza e cura con cui si insegnano le abilità scolastiche” (Johnson, Johnson, Holubec, 1994),
perché riveste un’importanza determinante per il lavoro dei gruppi.
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Gli studenti devono imparare ad assumere ruoli diversi, a prendere decisioni, a creare un clima di
fiducia e a gestire situazioni conflittuali, e non si può pensare che siano in grado di farlo
“naturalmente”. Le abilità interpersonali che gli studenti dovrebbero sviluppare si articolano in quattro
aree:
Conoscersi e fidarsi degli altri;
Comunicare con chiarezza e precisione
Accettarsi e sostenersi a vicenda;
Risolvere i conflitti.
5. Valutazione di gruppo
Il lavoro svolto dal gruppo deve infine essere valutato e monitorato costantemente, poiché è attraverso
l’attenzione alle modalità e alla qualità dell’interazione che può essere migliorato il funzionamento e il
risultato del lavoro. Ogni attività di gruppo è finalizzata al raggiungimento di obiettivi cognitivi e
sociali, e quindi deve essere valutata sotto entrambi gli aspetti. Anche sotto il profilo della valutazione,
si mette in evidenza un cambiamento radicale rispetto all’approccio tradizionale della verifica degli
apprendimenti svolta dall’insegnante di classe: nella valutazione di gruppo sono gli stessi partecipanti
ad analizzare e descrivere i progressi compiuti e le modalità di lavoro messe in atto.
Accanto alla valutazione del gruppo è prevista la presenza di una valutazione dell’insegnante che, in
qualità di osservatore, può rilevare sistematicamente i progressi fatti dai gruppi e dai singoli studenti sia
sotto il profilo cognitivo, sia riguardo alle abilità sociali messe in atto.
Per concludere questa lezione, aggiungiamo, a scanso di facili entusiasmi, che l’uso
dell’apprendimento cooperativo può diventa efficace soltanto attraverso l’azione disciplinata. I cinque
elementi base appena descritti devono quindi essere intesi non solo come caratteristiche di un buon
gruppo di apprendimento cooperativo, ma anche e soprattutto come dei principi che vanno applicati
con rigore per produrre le condizioni di un’efficace azione cooperativa.
Il concetto di cooperazione, anche se potrebbe sembrare di semplice comprensione, non è, infatti, così
semplice e di immediata applicazione. Come afferma Comoglio:
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“Il passaggio dalla gestione della classe secondo lo stile tradizionale a quello ispirato ad uno stile
cooperativo è certamente lungo e complesso, poiché l’insegnante deve imparare un passo dopo
l’altro a rendere produttivo il lavoro dei gruppi, e ciò richiede anni di pratica prima che le
esperienze diventino ogni volta più ricche” (Comoglio, Cardoso, 1998, p.449).
61
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– III Unità Didattica – Lezione 3
IL GRUPPO COOPERATIVO
Nella prima Unità Didattica abbiamo già detto di come non sia possibile considerare il gruppo-classe
come la semplice sommatoria di individualità che dialogano, bensì il fitto intrecciarsi di relazioni che
costituiscono le relazioni intersoggettive.
Lo studio delle caratteristiche del gruppo inteso come struttura complessa comincia non a caso da Kurt
Lewin, che possiamo considerare come il padre fondatore dell’apprendimento cooperativo. Nell’analisi
lewiniana, il gruppo è un fenomeno a sé stante, non la somma di fenomeni rappresentati dal pensare e
dall’agire dei suoi singoli componenti. E’ un’unità con struttura propria, con degli obiettivi propri.
Nel caso del Cooperative Learning, l’apporto di più persone nella risoluzione di compiti fa si che nel
gruppo possano nascere idee, abilità nuove che non verrebbero mai fuori se ogni alunno lavorasse
singolarmente. Il numero dei membri di un gruppo non ha quindi importanza di per sé, ma è relativo il
tipo di lavoro che si andrà a svolgere con essi.
Per quanto riguarda il lavoro scolastico, un numero, per così dire, ideale è all’incirca quello di tre o
quattro persone, preferibilmente della stessa età e conoscenza.
Anche la dimensione temporale non è certo da sottovalutare: la formazione di un gruppo, infatti,
andrebbe variata in relazione al tempo che si ha a disposizione. Meno tempo si ha, minore sarà il
numero dei partecipanti, di modo che ogni membro possa avere il tempo di apportare un valido e
responsabile aiuto al gruppo.
Se si tratta di un grande gruppo bisognerà tener conto delle capacità possedute dai partecipanti di
interagire tra loro, senza che nessuno sia lasciato in disparte o abbia la possibilità di isolarsi
volontariamente. Per l’insegnante, infatti, potrebbe risultare molto difficoltosa l’osservazione e
l’identificazione del comportamento di ogni studente.
62
Fondamentale, in definitiva, è che tutti gli alunni si sentano e siano effettivamente membri attivi e
partecipanti, proprio perché ogni studente con la sua esperienza più o meno ampia, è una risorsa ed una
ricchezza per tutto il gruppo.
L’insegnante, prima di ogni compito cooperativo, oltre a definire gli obiettivi del lavoro di gruppo,
dovrà comunque spiegare come si lavora in maniera cooperativa. A seconda del compito dovrà ad
esempio decidere se formare gruppi di lavoro omogenei per livello esperienziale e cognitivo, oppure se
costituire gruppi eterogenei, i quali danno comunque luogo ad una serie infinita di combinazioni
possibili di apprendimento.
Ovviamente, i gruppi di lavoro composti da più studenti eterogenei creano parecchi problemi di
consenso e accordo tra i membri, e questo fa si che la ricerca della soluzione mobiliti le capacità
cognitive e sociali più raffinate e complesse. Ogni membro ai fini degli obiettivi da raggiungere sarà
così costretto ad assumere la prospettiva altrui e ad assumere un atteggiamento mentale più aperto, a
riflettere maggiormente e a mettersi in discussione.
COME FORMARE I GRUPPI
Le possibilità di combinazione dei vari gruppi sono numerose e le modalità possono essere le più varie.
Presentiamo di seguito le più utilizzate nel Cooperative Learnig.
Random
Si divide il numero degli studenti della classe a seconda del numero degli studenti per il quale si vuole
che sia composto un gruppo di lavoro. Ad esempio, se si vogliono gruppi di 5 e si hanno 20 studenti, si
dividono gli studenti in cinque gruppi da quattro e si assegna ad ogni studente un numero da uno a
cinque. Successivamente vanno a formare i nuovi gruppi definitivi, gli alunni con lo stesso numero
assegnato.
Modalità random per livelli
E’ una procedura casuale che tiene conto di alcune caratteristiche degli studenti, che dovrebbero essere
funzionali al lavoro da svolgere e non dovrebbero riguardare categorie sociali. Se ad esempio si tiene
conto del livello di apprendimento, si raggrupperanno: lo studente più bravo, quello meno bravo e due
alunni ritenuti mediamente bravi. L’ideale è che il gruppo sia formato dallo stesso numero di maschi e
63
femmine e che non sia costituito da persone che siano più amiche o nemiche rispetto al resto del
gruppo.
Personaggi
Si danno agli studenti un cartellino con il nome di un personaggio famoso. A partire da questo, essi
dovranno trovare gli altri membri con i quali condividano qualche caratteristica (periodo storico,
professione, nazionalità…)
Preferenze
Gli studenti devono scrivere su un foglietto il cantante che prediligono, e poi si chiede loro di cercare
dei compagni che prediligano la stessa musica (varianti: sport, animali, automobili…)
Matematica
Si assegna un problema matematico o un’equazione a ciascuno studente e gli si chiede di risolverlo e di
trovare i compagni il cui problema/equazione abbia la stessa soluzione.
Metodo degli stati
Si fa una lista di stati e si chiede ad ogni studente quali stati della lista preferirebbero visitare. Quindi si
raggruppano gli alunni a seconda della preferenza dichiarata.
Il luogo del gruppo
Un altro elemento che influenza notevolmente il gruppo di studenti è sicuramente ha che fare con
l’organizzazione dell’aula. Le questioni riguardanti lo spazio, l’arredamento e la dimensione sono,
infatti, determinanti, in grado di ostacolare l’apprendimento o facilitarlo7.
7 Per un approfondimento di questo aspetto rimandiamo a Johnson, (1969)
64
Possiamo considerare l’organizzazione dell’aula come un messaggio simbolico che gli studenti
recepiscono senza indugio. Pensiamo ad esempio a che cosa comunica una disposizione di banchi in
fila, a “ferro di cavallo” o in cerchio: è evidente come ogni studente recepisca un’indicazione
completamente differente a seconda del tipo di disposizione. E’ proprio il tipo di disposizione che
trasmette loro immediatamente i comportamenti appropriati e consentiti in quella situazione.
Uno dei principi fondamentali del lavoro produttivo in gruppo suggerisce la disposizione ottimale del
gruppo di studenti nei termini del “faccia a faccia, ginocchio contro ginocchio”, in modo tale da:
-
poter mantenere il contatto visivo membro a membro;
-
consentire la comunicazione a voce bassa, senza disturbare gli altri gruppi;
-
scambiarsi comodamente idee e materiali.
I gruppi inoltre dovrebbero mantenere tra di loro una distanza adeguata in modo tale da non interferire
tra di loro e, allo stesso, tempo e da essere comodamente raggiungibili dall’insegnante.
Lo spazio dell’aula dovrebbe inoltre consentire un facile rapido scioglimento dei gruppi stessi, in modo
tale che questi possano cambiare rapidamente configurazione; (può succedere ad esempio che – nel
corso di una lezione – si renda necessario passare da un gruppo di 3-4 alunni ad un altro di 5-6, o
viceversa).
Abbiamo costituito i nostri gruppi di studenti, li abbiamo collocati all’interno dello spazio dell’aula: si
può cominciare a lavorare?
65
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– III Unità Didattica – Lezione 4
LE ABILITÀ SOCIALI
Formare gruppi in classe, predisporre uno spazio adeguato, assegnare dei ruoli e dire agli studenti di
“cooperare” non sono le uniche condizioni sufficienti perché essi apprendano in modo efficace. La
capacità di interagire in maniera produttiva con gli altri non è innata ma si può apprendere ed affinare
con l’esperienza: il tramite fondamentale è l’insegnante.
Egli, innanzitutto, dovrebbe essere altamente qualificato e competente nel far apprendere agli studenti
in che cosa consiste l’apprendimento cooperativo e tutti gli ordini di vantaggi (didattici, sociali) che
esso comporta. Inoltre dovrebbe fornire quegli input necessari affinchè ogni alunno sviluppi al
massimo le sue potenzialità relazionali, cercando di riconoscere in ogni alunno il suo stile e
insegnandogli ad utilizzarlo con efficacia nel lavoro di gruppo.
All’interno di una classe esiste chi è più portato verso una determinata materia, chi meglio sa gestire le
relazioni interpersonali, che tende ad avere il ruolo di un leader: questi studenti devono direzionati
dall’insegnante nell’imparare a spendere le loro capacità in favore di tutto il gruppo e non in senso
egoistico- competitivo.
Dal momento che l’insegnante istruisce i ragazzi sul senso e sulla spendibilità dell’apprendimento
cooperativo, essi stessi si sentiranno più motivati e impegnati affinché il risultato del lavoro risulti il
frutto di ogni singola componente del gruppo, nessuno escluso. Per quanto bravo, abile
competitivamente e socialmente possa essere un alunno, egli non riuscirà mai – preso nella sua
soggettività - ad ottenere il successo nel compito da portare a termine pari a quello che si può ottenere
da tutto il gruppo che lavora in interdipendenza positiva.
E’ stato accertato come i ragazzi che svolgono il lavoro insieme per il bene comune, anche quelli più
bravi, diventano ancora più bravi, affinano le capacità comunicative e cognitive, apprendono stili
66
relazionali diversi e imparano a coordinare meglio le risorse di cui dispongono. Nel lavoro cooperativo
vengono scambiate più informazioni e si moltiplicano le possibilità di risoluzione dei compiti.
Risultati ancora più soddisfacenti si ottengono, come hanno dimostrato Jonshon e Johnson (1996)
quando agli alunni viene dato un premio per il lavoro svolto cooperativamente. Questi studiosi hanno
fatto una ricerca su una classe dove l’obiettivo era quello di sviluppare almeno tre di quattro abilità
sociali proposte. Agli studenti, che cooperativamente raggiungevano l’obiettivo, venivano assegnati
due bonus di premio per ogni membro del gruppo. In questa classe tutti gli studenti si impegnarono al
massimo lavorando “tutti per uno e uno per tutti”, realizzando in senso positivo tutti gli obiettivi fissati
inizialmente.
Questa ricerca, ha dimostrato in definitiva il ruolo fondamentale dell’insegnante che, oltre ad insegnare
le abilità sociali, promuove e valorizza l’interdipendenza positiva, soprattutto nei gruppi cooperativi
impegnati nei compiti a lungo termine.
Il riconoscimento da parte dell’insegnante dei comportamenti collaborativi fa si che gli studenti
ricerchino l’armonia di gruppo e traggano da essa motivazione e impegno al cento per cento.
Interagire socialmente
Sono molte le abilità interpersonali, legate specialmente alle attività di piccolo gruppo, che influiscono
sul successo degli sforzi cooperativi. Per comodità proveremo adesso, appoggiandoci a quanto
affermato da D. W. Johnson, R. T. Johnson, Holubec e Roy (1984, pp. 45-48), a codificare queste
abilità sociali, suddividendole in 3 categorie:
1.
Abilità fondamentali perché il Cooperative Learning possa cominciare a funzionare;
2.
Abilità che fanno funzionare bene il gruppo nel compito che deve svolgere;
3.
Abilità che stimolano ad apprendere meglio.
1. Abilità fondamentali perché il Cooperative Learning possa cominciare a funzionare:
a) formare il gruppo nel più breve tempo possibile e senza far chiasso;
67
b) parlare sotto voce, stare in gruppo e non muoversi;
c) non attaccare le persone o offenderle se sono di parere diverso dal proprio, ma saper discutere
e stabilire un confronto di idee;
d) essere disponibili al cambiamento di un’opinione se qualcun altro dimostra
di avere delle ragioni più fondate delle proprie;
e) incoraggiare tutti a partecipare, lodando chi ha presentato un’idea originale;
f) risolvere conflitti interpersonali;
g) portare lo sguardo su colui che parla;
h) tenere una postura e un comportamento corretti.
2. Abilità sociali che fanno funzionare bene il gruppo nel compito che deve svolgere:
a) dare direttive al gruppo in modo che sia chiaro l’obiettivo da conseguire;
b) fissare e ricordare il tempo disponibile;
c) indicare le procedure che permettono di eseguire meglio il compito;
d) offrire incoraggiamento e dimostrare accettazione degli altri con il linguaggio verbale e nonverbale, lo sguardo, l’entusiasmo, l’approvazione, la lode, la ricerca delle idee;
e) chiedere aiuto per ciò che non si è compreso o non è stato fatto nel gruppo;
f) offrire spiegazioni e chiarimenti;
g) saper parafrasare e chiarificare i contributi degli altri;
h) stimolare e attivare il gruppo quando la motivazione va scemando o è bassa, suggerendo
nuove idee, dimostrando di essere entusiasti, comunicando sensazioni e emozioni di
soddisfazione o ansia a seconda del momento.
3. Abilità sociali che stimolano il gruppo ad apprendere meglio:
a) riassumere il meglio possibile ciò che è stato letto o discusso senza ricorrere ad annotazioni o
testi scritti;
b) correggere le sintesi dei propri compagni precisando idee e/o aggiungendo particolari
importanti;
c) stimolare l’elaborazione delle informazioni attraverso domande, suggerimenti, ed altro;
d) incoraggiare qualche membro del gruppo a insegnare ad altri quello che ha compreso, o ad
esprimere ad alta voce ragionamenti, osservazioni, connessioni, ecc.;
68
h) stimolare o suggerire modi efficaci per ricordare quello che si deve imparare (costruire
mappe, fare riferimenti, promuovere esercizi, ecc.);
i) saper integrare idee diverse;
l) parlare in modo persuasivo, portando le ragioni di ciò che si afferma;
m) trasferire idee o conclusioni ad altre situazioni o ad altri contesti.
INSEGNARE LA COOPERAZIONE
Sono tre le regole che l’insegnante deve seguire per far comprendere un’abilità agli studenti:
1. Essere specifici, definendo ogni abilità sociale in termini concreti e operativi;
2. Andare per gradi, evitando di sovraccaricare gli studenti con più abilità sociali di quante possano
impararne una sola volta;
3. Effettuare esercizi: non è sufficiente fare pratica delle abilità un paio di volte; bisogna continuare
a far esercitare gli studenti fino a quando gli studenti non le abbiano incorporate nel loro repertorio
comportamentale applicandole spontaneamente e regolarmente.
(Johnson, Johnson e Holubec, 1996, p.99)
Tutte le ricerche condotte sul Cooperative Learning sottolineano l’importanza dell’applicazione delle
competenze comunicative e sociali al fine di aumentare sia il livello dei risultati scolastici sia la qualità
dei rapporti interpersonali degli studenti. L’interdipendenza positiva o il lavoro individuale o
l’interazione non sono sufficienti presi singolarmente a produrre effetti significativi sui risultati.
Cohen (cit. in Comoglio, 1996, p.168) a tal proposito sottolinea – dopo un’ampia revisione di ricerche come le competenze sociali sembrino influenzare decisamente i risultati soprattutto quando sono
veramente necessarie le risorse di tutti i membri del gruppo per affrontare compiti complessi o di natura
concettuale, quando il compito è eterogeneo e anche quando colui che ha migliori capacità deve aiutare
il compagno in difficoltà.
In pratica, quanto più il lavoro di gruppo è ben suddiviso fra i membri o ben definito, tanto meno
l’interazione è decisiva ai fini del risultato.
69
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– III Unità Didattica – Lezione 5
– OBIETTIVI / RUOLI / COMPITI
Non è possibile organizzare nessuna forma di attività scolastica con gli studenti senza che l’insegnante
abbia ben chiaro la/le finalità da raggiungere. In tal senso, come condizione principale del Cooperative
Learning - così come declinato da Johnson e Johnson e Holubec8 – ogni insegnante, al momento del
suo ingresso in aula, dovrebbe ben chiedersi quali siano gli obbiettivi che con la sua lezione egli si
prefigge di raggiungere.
Sono due in particolare gli obiettivi principali da definire:
1. Obiettivi didattici
Servono a stabilire quello che gli studenti devono imparare e devono essere resi fruibili al livello
degli studenti
2. Obbiettivi sociali
Servono a stabilire le abilità interpersonali o di piccolo gruppo che gli studenti devono apprendere e
usare durante la lezione, necessarie affinché essi imparino realmente a cooperare.
***
Rispetto al secondo ordine di obbiettivi, l’insegnante può inizialmente fare un’indagine per capire
quali siano le abilità sociali ritenute più importanti dagli alunni per il conseguimento di un efficace
lavoro cooperativo; stabilire una lista di abilità sociali da insegnare (comprensive ovviamente di
quelle mirate alla riuscita di quel determinato compito); osservare infine le modalità di lavoro del
piccolo gruppo, cercando di identificare i problemi specifici che gli alunni incontrano con i
compagni.
38.
8 Johnson D. W. , Johnson R. e Holubec E. ( 1998), Apprendimento cooperativo in classe., Centro studi Erikson, Trento, pp.37-
70
Per verificare come il gruppo-studenti svolga effettivamente il lavoro assegnato e se gli alunni
promuovano reciprocamente il loro apprendimento può risultare molto utile utilizzare un diagramma di
flusso che metta in evidenza e aiuti a scandire tutte le fasi della procedura. Come nell’esempio
seguente:
ABILITA’ SCOLASTICHE E SOCIALI:
TRADURRE UN TESTO IN LINGUA
1.Comprensione e analisi del brano
leggere il testo in silenzio e ad alta voce
riassumere il testo
ascoltare per comprendere
▼
2. Analisi del testo
chiarirsi reciprocamente le idee
ricercare il significato dei vocaboli ambigui o sconosciuti
incoraggiare la partecipazione di tutti i membri
▼
3. Fornire suggerimenti
contribuire con idee
incoraggiare la partecipazione degli altri
▼
4. Concordare la traduzione migliore
cercare il consenso dei compagni
riassumere le alternative possibili
▼
5. Verificare l’esito finale
rileggere accuratamente il testo prodotto
Fig. 1 Esempio di diagramma di flusso
71
Ovviamente, mano a mano che il lavoro di gruppo procede, saranno gli studenti stessi a poter decidere
di rivedere il diagramma, aggiungendo o modificando le abilità sociali segnalate.
Assegnare i ruoli
Oltre ad avere ben chiari gli obiettivi, nel programmare con il metodo cooperativo la lezione è molto
importante che l’insegnante rifletta sulle azioni necessarie per ottimizzare l’apprendimento di ogni
studente.
Assegnare dei ruoli agli alunni, in tal senso, aiuta sicuramente a definire ciò che gli altri componenti
del gruppo si aspettano da un compagno e ciò che quello studente può aspettarsi dagli altri membri del
gruppo, che hanno ruoli complementari. Nel gruppo cooperativo i ruoli assegnati devono corrispondere
ovviamente a funzioni che favoriscano la gestione, il funzionamento del gruppo, l’apprendimento degli
studenti.
L’assegnazione dei ruoli agli studenti è sicuramente uno dei modi più efficaci per assicurare agli
insegnanti che il lavoro di gruppo sia più agevole e produttivo.
Gli alunni possono cosi vedersi assegnati ruoli di:
-
gestione del gruppo (controllare che il tono di voce dei membri del gruppo siano moderati, che i
compagni formino i gruppi senza fare rumore, che i membri del gruppo rispettino i propri turni
di compiti);
-
supervisone del funzionamento di gruppo (spiegare le modalità di lavoro, resocontare il lavoro,
incoraggiare la partecipazione, osservare i comportamenti, ecc.);
-
stimolo al gruppo (criticare le idee, chiedere motivazioni, sintetizzare, valutare);
-
funzioni e ruoli per l’apprendimento (ricapitolare e riassumere le conclusioni e le risposte più
significative, precisandole e chiarendole, verificare le comprensioni, fare ricerche, approfondire
e comunicare i risultati e le proposte agli altri gruppi e agli insegnanti).
72
Definire i compiti
Solo dopo aver definito gli obiettivi didattici, preso le varie decisioni, effettuati tutti i preparativi,
assegnato i ruoli agli studenti è possibile programmare la lezione.
Occorrerà quindi spiegare alla classe le caratteristiche del compito assegnato, in modo tale che gli
obiettivi della lezione siano chiari per tutti. E’ auspicabile che tali obiettivi acquistino la forma di
risultati, ad esempio: “alla fine della lezione ognuno di voi conoscerà le opere più importanti di Pablo
Picasso”.
E’ importante che l’insegnante spieghi i concetti, le strategie e i principi che gli studenti devono usare
durante la lezione, collegandoli alle nozioni e alle esperienze già da loro acquisite. Sarà sua premura
inoltre spiegare cosa significa lavorare insieme e verificare – attraverso domande specifiche – che ogni
studente abbia capito come svolgere il compito assegnato.
Definizione dei ruoli adeguate all’età degli studenti
Ruolo
Controllare i turni
Registrare
Incoraggiare la
Elementari
Medie
Superiori
Prima tu poi io
Fare a turno
Contribuire in sequenza
Scrivere
Prendere nota
Registrare
Dire cose carine
Complimentarsi
Fare osservazioni positive
Ripetere
Spiegare con parole
Parafrasare
partecipazione
Chiarire,
proprie
parafrasare
Concordare
Tutti devono essere
Trovare un accordo
Raggiungere un accordo
Dire le cose più importanti
Riassumere
Sintetizzare
Dare un’altra risposta
Dare ulteriori risposte
Fornire risposte
d’accordo
Ricapitolare
Sviluppare opzioni
73
Chiedere
Chiedere perché
Chiedere i motivi
Chiedere motivazioni
Dire perché
Fornire fatti e motivi
Motivare
motivazioni
Fornire motivazioni
1996, Johnson, Johnson e Holubec, Apprendimento cooperativo in classe, Trento: Erickson
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– III Unità Didattica – Lezione 6
UNA GUIDA (VELOCE) ALL’APPLICAZIONE DEL COOPERATIVE LEARNING
Cosa deve fare un insegnante nel momento in cui si accinge alla preparazione di un’unità didattica
secondo la modalità del Cooperative Learning?
Deve seguire un percorso che passa attraverso cinque tappe fondamentali (cfr. Chiari, 2011):
a. effettuare una buona analisi della situazione;
b. identificare lezioni da svolgere;
c. stabilire obiettivi e compiti;
d. prendere decisioni organizzative;
e. definire le modalità del processo di controllo (monitoring) e di revisione dell’attività svolta in
gruppo (processing).
Effettuare una buona analisi della situazione
Il lavoro in piccoli gruppi è stato ideato per creare attività che consentano l'integrazione e la
valorizzazione di ogni membro; per creare lavori di questo tipo è importante la conoscenza
approfondita degli interessi, della motivazione e delle capacità di ciascuno; è fondamentale anche
conoscere quale sia la qualità delle relazioni interpersonali all'interno del gruppo classe e quale
rapporto ogni studente abbia maturato nei confronti della scuola, delle materie, degli insegnanti.
Per raccogliere questi dati c'è bisogno dell'intervento di tutto il Consiglio di Classe, che ha il compito di
preparare gli strumenti più idonei per la raccolta di queste informazioni.
Test d'ingresso, sociogrammi, colloqui strutturati, interviste strutturate ai genitori (oltre a tutti gli
strumenti che già vengono utilizzati all'inizio dell'anno all'interno di quell'insieme di iniziative che
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vanno sotto il nome di Accoglienza) se utilizzati in maniera metodica, consapevole e sistematica
possono fornire al Consiglio di Classe una miniera di informazioni che possono poi essere utilizzate per
creare i gruppi e definire le attività nel corso dell'anno.
Identificare le lezioni da svolgere
Si deve predisporre "un piano che possa abbracciare un mese o un quadrimestre, indicando quali
argomenti potrebbero essere affrontati dagli studenti in modo cooperativo, quali in modo
individualistico, quali in modo competitivo" (Comoglio, M., Cardoso, M. A., op. cit., p.456) Questo
piano dovrebbe essere elaborato da tutto il Consiglio di Classe.
Stabilire obiettivi e compiti
Nel Cooperative Learning non basta mettere insieme gli studenti e dir loro di lavorare insieme per
raggiungere un obiettivo prefissato. È invece assai importante che essi abbiano chiaro che cosa devono
fare e che cosa si pretenderà da loro. Per questo diventa necessario comunicare in modo preciso gli
obiettivi da raggiungere e i compiti da eseguire.
"In breve, si tratta di precisare con esattezza 4 punti:
a. gli obiettivi didattici e di cooperazione che dovranno essere perseguiti;
b. l’interdipendenza positiva da applicare per raggiungere gli obiettivi;
c. la responsabilità individuale in quello che dovrà essere appreso e i criteri di valutazione e di giudizio;
d. i comportamenti che l’insegnante si aspetta di constatare o rilevare" (Comoglio, M., Cardoso, M. A.,
cit., p.458).
Prendere decisioni organizzative
Questa fase richiede che si prendano decisioni su:
a. la grandezza del gruppo;
b. a formazione del gruppo;
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c. la strutturazione dell’aula;
d. i materiali da utilizzare;
e. l’assegnazione dei ruoli che dovranno essere ricoperti dagli studenti nel corso dell’attività di gruppo
Definire le modalità del processo di controllo (monitoring) e di revisione dell’attività svolta in
gruppo (processing)
"I processi di controllo e revisione dell’attività svolta avvengono in due momenti
separati e secondo distinte modalità. Il primo (monitoring) si sviluppa durante lo
svolgimento della stessa attività ed è condotto dall’insegnante (con o senza l’aiuto di uno
studente) che, attraverso una scheda di osservazione, rileva comportamenti e livello di
partecipazione al lavoro di gruppo. Il secondo (processing) avviene al termine dell’attività
e utilizza le osservazioni fatte dall’insegnante e dal gruppo stesso" (Comoglio, M.,
Cardoso, M. A., op. cit., p.472).
Il monitoring prevede che al termine di ogni ora l'insegnante, o l'osservatore di gruppo, faccia il punto
della situazione e sottolinei il livello di applicazione delle competenze sociali su cui si è deciso di
esercitarsi; il monitoring rende possibile un miglioramento del comportamento già nel corso del lavoro.
Il processing è la revisione al termine del lavoro, necessaria per capire cosa ha funzionato e cosa deve
essere migliorato e a identificare eventuali percorsi di rinforzo delle competenze non ancora sviluppate
in modo adeguato.
Abbiamo detto come attraverso l’apprendimento cooperativo gli studenti lavorino insieme durante la
lezione per svolgere il compito assegnato, e che l’uso corretto di questo metodo richiede una
programmazione specifica delle lezioni. Esistono tuttavia delle procedure standard istantanee che
danno struttura e scioltezza alle lezioni.
Per svolgere una consegna, ad esempio, occorre prendere appunti completi e accurati, fare un riepilogo
di ciò che si è imparato durante la lezione, leggere il materiale assegnato e fare dei compiti scritti per
tutte queste operazioni gli studenti possono utilizzare una serie di procedure cooperative.
77
Osservazione e controllo sistematico del gruppo classe
Il lavoro cooperativo del gruppo si affianca necessariamente ad un costante lavoro di osservazione da
parte dell’insegnante. Seguendo un po’ lo spirito generale che anima il Cooperative Learning,
l’insegnante può comunque anche avvalersi – con profitto - di studenti/osservatori ai quali fornisce gli
strumenti necessari alla rilevazione di varie abilità di apprendimento cooperativo tra i gruppi. Altri
alunni possono invece farsi carico di valutare i compiti svolti.
Il ruolo dell’insegnante, in questi termini, è quello di svolgere un’osservazione partecipante,
intervenendo ogni qualvolta egli lo ritenga utile al fine di un miglioramento didattico ed emotivo della
classe. L’osservazione dovrà assidua e sistematica, e potrà avvalersi di metodi ben precisi, da seguire
ad ogni passo quali ad esempio:
a) griglia di rilevazione dei comportamenti;
b) scelta di abilità da considerare;
c) formulazione di un programma da seguire;
d) raggruppamento di dati e informazioni sui vari sottogruppi;
e) restituzione delle osservazioni di ogni gruppo ad ogni gruppo;
f) costruzione di un grafico di rilevazione degli obiettivi più o meno raggiunti.
Abbiamo dunque presentato la teoria che regge il Cooperative Learning; nella prossima ed ultima Unità
entreremo più nel dettaglio delle tecniche.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Ajello, A.M (1999), La motivazione ad apprendere, in Pontecorvo, C. (a cura di), Manuale di
Psicologia dell’Educazione, Il Mulino: Bologna
Ames, C. (1984), Competitive, cooperative and individualistic goal structrures: A cognitivemotivational analysis, in R.E Ames e C. Ames (a cura di), Research on motivation in education, vol.1,
San Diego (Calif.), Academic Press.
Chiari, G. (2011). Educazione interculturale e apprendimento cooperativo: teoria e pratica della
educazione tra pari. Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Quaderno 57, in www.
unitn.it/files/download/8701/quad57.pdf
Comoglio, M. (1996), Presentazione all’edizione italiana, in Johnson, D.W., Johnson. R., Holubec,
E.J. (1994), The nuts and bolts of Cooperative Learning,
Interaction Book Company (trad.it.
Apprendimento cooperativo in classe, Erikson: Trento).
Deutsch, M. (1949), A theory of cooperation and competition,.Human Relation, 2, 129-152.
Deutsch, M. (1993), Educating for a peaceful world, American Psychologist, 48, 510-517.
Johnson D.W., Johnson R. (1989), Cooperation e competition: Theory and research, Edina, MN, Allyn
e Bacon.
Johnson, D.W., Johnson. R., Holubec, E.J. (1994), The nuts and bolts of Cooperative Learning,
Interaction Book Company (trad.it. Apprendimento cooperativo in classe, Erikson: Trento).
Lewin, K. (trad. it. 1972, Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, Il Mulino: Bologna).
Nicholls, J.G. (1996), Cooperative learning: A motivational tool to enhance student persistence selfregulation, and efforts to please teachers and parents, in “Educational Research and Evalution”, 2
pp.246-260.
Slavin, R.E. 1996, Research on cooperative learning and achievement: What we Know, What we need
to Know; in “Contemporary Educational Psychology”, 21, pp.43-69.
79
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– IV Unità Didattica – Lezione 1
PER COMINCIARE: IL COOPERATIVE LEARNING INFORMALE
Cominciare a sperimentare il Cooperative Learning con attività troppo complesse (per competenze
richieste agli alunni, per numero di ore, per contenuti) significa rischiare un insuccesso. Per evitare
questi rischi consigliamo di procedere per gradi, seguendo procedure che possano dare tranquillità agli
insegnanti e chiarezza agli studenti. Diventa perciò fondamentale, almeno all’inizio, passare attraverso
la palestra del cosiddetto Cooperative Informale senza fare proposte troppo onerose sia per gli alunni
che per gli insegnanti.
Successivamente, quando si comincia a lavorare con attività articolate, è utile fornire ai ragazzi
strutture (un foglio che contiene consegne e procedure, da dare ai ragazzi all’inizio di ogni attività) con
consegne chiare e procedure esplicite sin dall’inizio di ogni lavoro, in modo da dare ai sottogruppi che
affrontano l’attività, la possibilità di organizzarsi e di pianificare i propri tempi di lavoro.
Utilità del Cooperative Learning Informale
Un’attività informale, nel Cooperative Learning, rappresenta il ponte ideale tra attività tradizionali e
attività strutturate Con Cooperative Learning Informale si indicano, infatti, tutti quei modi brevi e
specifici di lavorare in gruppo che possono seguire una presentazione o spiegazione da parte
dell’insegnante (COMOGLIO, M., CARDOSO, M. A., Insegnare e apprendere in gruppo, LAS,
ROMA, 1996, p. 235).
Esempi di Cooperative informale:
1 La discussione a coppie prima della lezione;
2 La preparazione alla lezione a coppie;
3 La spiegazione intermittente;
4 La presa di appunti e/o la schematizzazione a coppie.
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Il Cooperative Learning Informale è legato ad attività che durano all’incirca un’ora e che possono
essere adattate sulla falsariga delle lezioni tradizionali. Queste attività hanno il pregio di far entrare la
classe in contatto con i principi fondamentali del Cooperative Learning in modo, appunto, semplice e
adatto al livello della classe e all’esperienza dell’insegnante.
Insegnanti e alunni possono in questo modo sperimentare la conoscenza:
 dell’interdipendenza positiva (soprattutto di scopo, di ruolo, di materiale e di valutazione);
 dell’interazione promozionale faccia a faccia;
 delle abilità sociali di base come parlare a bassa voce, alzarsi senza far rumore con sedie e
banchi, dare e chiedere aiuto;
 delle competenze cognitive, nelle quali si dovrà già essere abili quando si affronteranno
attività organizzate come leggere in modo significativo, fare domande che stimolino
l’approfondimento, riassumere, schematizzare;
 della revisione;
 della responsabilità individuale.
Il C.L. Informale ha anche il pregio di abituare l’insegnante al nuovo rapporto con la classe e alle
diverse modalità di relazione e di intervento nei confronti degli alunni. L’insegnante può così
cominciare a rendersi conto che - oltre all’intervento diretto (spiegazione frontale a tutta la classe) - può
essere produttivo anche l’intervento indiretto (domande e materiali forniti alle coppie o prodotti dalle
coppie stesse). Il C.L. Informale può essere utile anche a chi, pur essendo esperto del metodo, inizia ad
applicarlo con classi nuove.
Tecniche del C.L. Informale
Nel CL informale, viene richiesto agli studenti di unirsi ai vicini di posto, in gruppi di 2 - 4 persone;
successivamente si assegna ad uno di loro scelto a caso il compito di scrivere (gli studenti si contano, 1,
2, 3 ... e il docente assegna il compito, ad esempio: "il numero 4 di ogni gruppo scriverà questo
esercizio"). Il docente propone poi una questione o un problema, dando agli studenti un tempo
compreso tra i 30 secondi e i 5 minuti per lavorare; soltanto allo studente scelto è permesso scrivere.
81
Allo scadere del tempo il docente chiede ad alcuni studenti, appartenenti a gruppi diversi, la risposta
elaborata dal proprio gruppo.
L’argomento può essere molto vario e può riguardare:

spiegazioni precedenti;

l’impostazione della soluzione di un problema;

il completamento dei passaggi che mancano in un procedimento di calcolo o in una
procedura sperimentale;

l'analisi di dati;

la formulazione di una spiegazione su una osservazione sperimentale;

il riassunto di una lezione;

la produzione di un paio di domande sugli argomenti relativi ad una certa lezione.
Una variante a questo metodo è la coppia che ragiona insieme (thinkpair-share):
 Il docente chiede prima di formulare individualmente delle risposte;
 Successivamente chiede di mettersi insieme a coppie, per sintetizzare una risposta, mettendo
insieme le risposte individuali;
 Poi ad alcuni studenti, appartenenti a coppie diverse sarà chiesto di fornire le loro risposte.
Richiedere la risposta ad alcuni studenti rafforza l'idea della responsabilità personale ed è una
caratteristica essenziale di questo approccio. Se il docente chiede a dei volontari, gli studenti hanno
pochi incentivi per partecipare attivamente, non avendo nulla da perdere se restano passivi. Se invece
sanno che chiunque può essere chiamato, il fine di evitare possibili e probabili imbarazzi motiverà la
maggior parte degli studenti ad avere pronta rispondere nel miglior modo possibile.
Un’interdipendenza positiva si ottiene assegnando ruoli differenti a differenti membri del gruppo,
fornendo un training specifico nei differenti aspetti del progetto ai diversi membri del gruppo e
assegnando a caso a ciascuno studente una relazione su una parte del progetto. Poi si da un giudizio ad
ogni differente relazione, valutando anche il progetto del gruppo in modo complessivo.
L'impegno individuale viene assicurato esaminando ogni studente su ogni aspetto del progetto
elaborato dal gruppo.
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Esempio: Cooperative learning informale
Obiettivo: Collaborazione nello scrivere alcune frasi date alcune parole.
Procedura
1. Suddividere la classe in coppie e dare la consegna:
- “Scrivere due frasi, una ciascuno, che utilizzino almeno 6 delle 10 parole di seguito
riportate...”
2. Ognuno scriverà la sua frase, poi la farà vedere al compagno che la esaminerà e la
correggerà o aiuterà il compagno a scriverla in modo corretto.
3. Tra due coppie ci si scambierà le frasi, si leggeranno, si controllerà se le richieste sono state
osservate, si segnaleranno eventuali errori. Si restituirà il foglio alla coppia che ha scritto le
frasi e se vi è qualche errore, si dovrà procedere alla correzione.
83
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
– IV Unità Didattica – Lezione 2
IL COOPERATIVE LEARNING STRUTTURATO
A differenza di ciò che accade nel CL Informale, il Cooperative Learning Strutturato consiste
nell’implementazione di strutture di lavoro nelle quali sono chiaramente definite e controllate le cinque
condizioni fondamentali che abbiamo descritto nell’Unità Didattica precedente.
Per il Learning Together queste strutture sono: interdipendenza positiva, interazione diretta costruttiva,
insegnamento delle abilità sociali, la responsabilità individuale e la valutazione del lavoro di gruppo.
L’intera attività richiede la realizzazione di un prodotto complesso, oltre ovviamente ad un tempo
prolungato di collaborazione.
In questa lezione cominciamo ad introdurre le tecniche relative all’interazione diretta costruttiva tra gli
studenti.
L’interazione diretta costruttiva
L’interazione diretta costruttiva descrive il “clima” generale che si respira dentro il gruppo cooperativo
di lavoro. Il clima è definito da una serie di caratteristiche a cui l’insegnante deve prestare attenzione
(Comoglio, 2001, 39s):
(a) E’ costituito da una quantità complessa di comportamenti e nasce per lo più da occasioni
informali e occasionali.
“Il clima nasce da comportamenti che esprimono atteggiamenti profondi di stima, rispetto e
accettazione reciproca. Si presenta attraverso l’assistenza, l’apertura e la conoscenza
reciproca, il riconoscimento delle competenze e le ricchezze dell’altro, il senso profondo di
dipendenza e fiducia nei confronti dell’altro. Si rinforza dopo tante esperienze a volte
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insignificanti, a volte impercettibili, a volte occasionali, a volte impreviste, ma tutte orientate
nella stessa direzione”.
(b) Richiede tempi lunghi per essere raggiunto, ma può essere distrutto con poco.
“Proprio perché indotto da tanti atteggiamenti e comportamenti diversi (di aiuto, rispetto,
stima, riconoscimento reciproco, ecc.), il clima è l’effetto indiretto della persistente
attenzione rivolta all’altro, dello sforzo di interiorizzazione della “regola d’oro” (“tratta gli
altri come vorresti tu stesso essere trattato”). Esso comunque è una condizione molto fragile e
precaria poiché può essere facilmente distrutto anche da reazioni minime di difesa, chiusura,
antagonismo e rivalità”.
(c) Deve essere esteso a tutto l’ambiente scolastico.
“Il clima può essere immaginato come una condizione distribuita a vari livelli. Esiste un
clima di scuola, di classe o di gruppo. I livelli godono di una certa autonomia, ma la
diffusione garantisce ad ognuno di essi sostegno e sviluppo. Poiché è bene che i gruppi
lavorino in una comunità di apprendimento, lo sviluppo del “clima classe”, cioè di una
relazione ricca, intensa, estesa e profonda di ogni studente con ogni compagno di classe, è il
primo obiettivo che deve essere ricercato da un insegnante che voglia introdurre
un’esperienza di apprendimento cooperativo in classe”.
Appare dunque evidente come, con “interazione diretta costruttiva”, sia possibile fare riferimento a
molte cose: accettazione, stima, fiducia, rispetto, conoscenza dell’altro, atteggiamenti di disponibilità e
di ascolto verso l’altro. Il segno di una buona interazione promozionale è l’accettazione della critica
riconosciuta come un aiuto a migliorare quello che si fa e non come un comportamento distruttivo e
conflittuale.
Gli esperti insistono molto sull’importanza di questa condizione nelle prime fasi di applicazione del
Cooperative Learning in classe, perché spesso i docenti non si rendono conto di quanto poco ci voglia
per pregiudicare l’esito dell’intera esperienza: pensiamo ad un rimprovero troppo pronunciato, un
sorriso non elargito, la derisione di uno studente nei confronti di un altro…
L’interazione diretta costruttiva è dunque un momento da considerare fondamentale, specie nelle fasi
iniziali ed introduttive del Cooperative Learning: essa è da perseguire all’interno della classe ancor
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prima dell’obiettivo stesso da realizzare e delle strutture di interdipendenza positiva di cui intende
avvalersi.
Esempio: Esercizio di interazione diretta costruttiva
LA PRESA IN CARICO
Obiettivo: Cominciare l’anno definendo e creando nella classe una cultura di presa in carico: in una
classe dove ci si sente al sicuro, non si avverte il timore di essere aggrediti dagli altri, sia verbalmente
che fisicamente.
Procedura
1. Suddividere la classe in gruppi di tre e chiedere di rispondere a queste domande:
1. “Come ti senti quando sei scelto da un compagno per giocare con lui durante l’intervallo o per
una partita in palestra?”
2. “Come ti senti quando non sei scelto o scelto per ultimo?”
3. “Come ti senti quando sei invitato per una festa di compleanno di un amico?”
4. “Come ti senti se non sei invitato?”
5. “Come ti senti se un compagno ti dicesse che è per merito tuo che una attività è andata bene?”
6. “Cosa provi se un compagno ti dice: «vieni a casa mia e facciamo i compiti
insieme?”
2. Riassumere le risposte sulla lavagna e invitare gli studenti a mettere a confronto i due elenchi.
3. Chiedere agli studenti in quale situazione vorrebbero stare e perché.
4. Chiedere di formulare delle specifiche linee guida per creare una classe dove uno si senta “scelto”,
“invitato”, “a casa”, “dentro” più che fuori di un gruppo.
5. Fare un poster da appendere in luogo molto visibile con le linee guida da praticare “dentro” la classe.
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Esempio: Esercizio di interazione diretta costruttiva
PRENDERE APPUNTI
Obiettivo: Prendere spunto dal proprio compagno per migliorare il modo personale di prendere
appunti. Il modo in cui lo studente struttura i suoi appunti è un’informazione molto importante per
l’insegnante, che gli permette di capire in che modo egli abbia recepito la lezione. Molti studenti non lo
sanno fare in maniera corretta.
Questo esercizio, oltre ad aiutare gli studenti ad imparare a prendere appunti e a studiare meglio,
consente ad ognuno di rendersi conto delle diversità che intercorrono tra di loro (la lezione è la stessa
lezione ma le modalità di prendere appunti sono differenti) e ciò favorisce la valorizzazione delle qualità
del proprio compagno e l’instaurarsi con lui di una relazione positiva.
Procedura
1. Si suddividono gli studenti in coppie.
2. Gli si affida il compito di concentrarsi su come incrementare la qualità e la quantità dei loro appunti:
l’obbiettivo cooperativo è quello di produrre appunti adatti ad imparare e ripassare il tema della
lezione.
3. Ogni 15 minuti l’insegnante interrompe la lezione e gli studenti condividono i loro appunti: A
riassume a B, B riassume ad A.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
IV Unità Didattica – Lezione 3
IL METODO JIGSAW
Il metodo Jigsaw - introdotto a scuola per la prima volta da Aronson (Aronson et al., 1978; 2006) e
successivamente perfezionato da Slavin (1980) - è una specifica tecnica di Cooperative Learning, che
ha raggiunto ormai trent’anni di successi in campo educativo e didattico.
Questo metodo fornisce una valida alternativa al metodo tradizionale, consentendo di coinvolgere
attivamente gli studenti nell'organizzazione, progettazione e definizione dei curricola facendoli divenire
parzialmente responsabili di quanto deciso in classe.
Ognuno impara la sua materia e la insegna poi agli altri membri del gruppo ed alla fine il gruppo fa una
sintesi delle informazioni fornite dai singoli membri.
Tipologie di Jigsaw
Esistono diverse forme di questa tecnica, proposte nel tempo da vari autori:
a) Jigsaw I (Aaronson e Patnoe)
Gli studenti leggono parti di un argomento diverso da quelle lette dai compagni. Ad esempio, se
l’argomento fosse lo studio di un particolare artista, uno studente si occuperebbe della parte
riguardante la vita, un altro delle opere, un altro ancora del contesto socio-culturale, ecc. Per
acquisire una buona conoscenza dell’intero argomento, ogni studente si affida ai compagni di
gruppo che, in una fase intermedia, si incontrano con altri membri della classe che si devono
preparare sulla stessa parte. Nella fase di mezzo, tutti quelli a cui è stata assegnata una parte devono
adoperarsi per spiegarla e farla conoscere al gruppo di appartenenza;
b) Jigsaw II (Slavin)
Gli studenti affrontano un argomento la cui trattazione è reperibile su un testo. Ricevuto il materiale
i membri del gruppo ricevono un “expert worksheet” che definisce il modo in cui dovranno
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studiarlo. Come nel Jigsaw I, gli esperti si trovano insieme per discutere la parte a loro affidata,
quindi ritornano nel gruppo di appartenenza per presentarla. Infine si effettua la prova di
valutazione che riguarda tutte le parti loro assegnate.
c) Jigsaw III (Steinbrek, Walkiewicz, Sthal)
Si organizza la classe in gruppi, si suddivide il materiale e si organizzano i gruppi di esperti, che
dopo aver preparato la loro parte tornano al gruppo iniziale a spiegare ciò che hanno appreso. Dopo
qualche settimana il gruppo si riunisce per rivedere o discutere problemi e soluzioni, con lo scopo
di preparare una prova individuale sull’argomento. Tutti, infine, affronteranno una prova e i risultati
ottenuti saranno utilizzati per una valutazione collettiva o individuale.
Fasi del metodo “classico”
Tecnicamente, lo Jigsaw “classico” è costituito da una serie di fasi successive e consequenziali che nel
loro insieme formano un ciclo di ricerca:
1. si dividono gli studenti in gruppi eterogenei di 3/6 membri ciascuno (Esempio: studio dei
paesi dell’Africa. Classe di 25 allievi, divisi in 5 gruppi. Ogni gruppo studierà un Paese);
2. si divide la lezione in tanti segmenti quanti sono i membri dei gruppi e si nomina uno
studente per gruppo come responsabile;
3. si assegna ad ogni alunno un segmento, assicurandosi che ogni studente abbia accesso solo
alle sue informazioni (Nel nostro esempio all'allievo A di ogni gruppo viene affidato il
compito di creare una tabella con i dati significativi del Paese, all'allievo B studiare la
morfologia del terreno e i climi; all'allievo C gli aspetti storici; all'allievo D gli aspetti
sociali; all'allievo E gli aspetti culturali);
4. si consente agli studenti di leggere almeno due volte la loro parte di studio per impadronirsi
della struttura del testo e dei principali concetti, senza il bisogno di memorizzarla;
5. si stabilisce il tempo di lavoro per discutere dei punti essenziali del loro pezzo e per ripetere
la presentazione che faranno al gruppo, dopodiché si fanno rientrare gli esperti nel loro
gruppo di origine;
6. ciascuno presenta la propria parte al gruppo e gli altri pongono domande di chiarificazione.
L’insegnante gira tra i gruppi osservando i processi. Se sorgono dei problemi interviene in
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modo appropriato. Può essere anche opportuno lasciare che il "responsabile" di gruppo si
occupi di risolvere il problema. I responsabili possono essere aiutati a gestire sussurrando un
suggerimento su come intervenire finche non padroneggiano da soli la situazione;
7. alla fine della sessione di lavoro, si fornisce a ciascuno una breve verifica individuale (test
vero/falso, un testo a completamento…), in modo da permettere agli alunni di capire che la
sessione non è stata un gioco ma che essa conta realmente per l’apprendimento.
I tempi delle tre fasi variano a seconda del lavoro distribuito. E' meglio cominciare con qualcosa di
semplice e verificarne l'esito. Come per tutte le attività di insegnamento cooperativo è possibile inoltre
assegnare dei ruoli intercambiabili all'interno dei gruppi-base (il cronometrista, il responsabile, il
portavoce...): anche questo è utile per permettere agli alunni di sperimentare specifiche abilità sociali.
Lo Jigsaw si apprende più facilmente alle elementari, ma è stato sperimentato efficacemente anche alle
medie e alle superiori. Lo studente con ritmi lenti di apprendimento può essere abbinato nella seconda
fase con un compagno che appare più efficace nel rapporto interpersonale e per loro questa fase può
durare più a lungo.
L'insegnante forma i gruppi, segue le varie fasi, può assegnare delle domande di comprensione nelle
varie fasi, verifica i livelli di conoscenza globali del gruppo-base e dà una valutazione individuale e
collettiva.
Quali i vantaggi dello Jigsaw?
Sono molti i vantaggi di questo metodo. Innanzitutto possiamo notare come esso sia un modo piuttosto
efficiente di organizzare l’apprendimento dei materiali. Il processo dello Jigsaw inoltre incoraggia di
per sé l’ascolto, il coinvolgimento, l’empatia dando a ciascuno una parte essenziale da giocare
nell’attività di apprendimento.
I membri del gruppo devono lavorare insieme per raggiungere uno scopo comune e ogni persona
dipende dalle altre. Nessuno studente può comprendere completamente se non lavora con gli altri.
Questa cooperazione è determinata dalla progettazione stessa della lezione e facilita l’interazione tra gli
studenti, portandoli a valutare i contributi degli altri come un compito comune.
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Proprio come in un puzzle, ogni pezzo (ogni parte attribuita ad uno studente) è essenziale per la piena
comprensione e il completamento del prodotto finale. Se ogni parte di lavoro è essenziale, allora anche
lo studente che la possiede è essenziale: è questo che rende questa tecnica così efficace.
Esempio Il metodo Jigsaw
Obiettivo: Esercizio di lettura, di comunicazione orale e ascolto
Procedura:
PRIMA FASE
1. Formazione di gruppi casuali di quattro.
2. Ogni membro del gruppo sceglie un numero da 1 a 4.
3. Consegnare ad ogni membro del gruppo un racconto numerato da 1 a 4.
4. Ognuno sceglie il racconto corrispondente al numero scelto.
SECONDA FASE
5. Formazione dei gruppi “esperti” che hanno lo stesso racconto.
6. Nel gruppo di esperti, ognuno si prepara a raccontare il brano ai compagni del Gruppo di Base. Se
dovesse essere un testo di seconda lingua, lo leggono, traducono le parole che non conoscono, fanno un
riassunto, provano a recitarlo ad alta voce.
7. Quando sono pronti.
TERZA FASE
8. Ogni membro del gruppo “esperti” ritorna al gruppo iniziale e farà quello che gli è stato richiesto di
fare.
9. In questo caso potrebbe essere:
oprie ciò che ha letto;
;
raccontare e richiedere di riassumere per iscritto ciò che è stato;
comunicato.
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Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
IV Unità Didattica – Lezione 4
ALTRE TECNICHE DI COOPERATIVE LEARNING
Ribadiamo che il Cooperative Learning è una modalità di insegnamento che comprende diversi
orientamenti teorici e una varietà di tecniche pratiche per attuarle. Nel corso di queste lezioni ne
abbiamo già presentate alcune: continuiamo su questo canovaccio, sottolineando ancora una volta che
esse sono da definirsi alla luce dello sfondo teorico che abbiamo descritto nella terza Unità Didattica e
delle caratteristiche del lavoro cooperativo di gruppo. Utilizzarle in maniera astratta – ci preme
ribadirlo – potrebbe facilmente ridursi ad un mero tecnicismo inconcludente.
La controversia (Johnson e Johnson)
La Controversia, tecnica sviluppata soprattutto da D.W.Johnson e R.T.Johnson, si può definire un
contrasto dialogico che attiva una situazione di contrasto verso una tesi che si oppone ad almeno due
gruppi, che hanno preventivamente condotto una ricerca su argomentazioni opposte.
E’ una modalità avanzata di apprendimento cooperativo che persegue diversi obiettivi: educare alla
flessibilità razionale, alla creatività, alla capacità di risolvere in modo costruttivo i conflitti, alla
capacità di ascolto, alla riflessione critica, ecc. Si struttura il gruppo (in genere di 4 persone) in modo
che una metà conduce su un argomento scelto una ricerca per trovare tutte le ragioni o gli esempi che
sostengono una posizione, mentre l’altra metà fa la stessa cosa per una posizione opposta.
Si struttura come segue:
1. Si sceglie un argomento sufficientemente conosciuto dagli studenti
2. Si formano gruppi di quattro persone: una metà conduce una ricerca sull’argomento scelto per
trovare tutte le ragioni o gli esempi a sostegno di una determinata posizione; l’altra metà fa la
stessa cosa per una posizione opposta.
92
3. A conclusione della ricerca, i due sottogruppi si scambiano le posizioni, si ascoltano e si
criticano reciprocamente;
4. Il lavoro si conclude con la preparazione di un’argomentazione personale e originale sostenuta
dal gruppo e con una prova di valutazione originale.
I gruppi di quattro (Burns)
Il modello dei “Gruppi di quattro” è facile da realizzare e si può utilizzare per tutti i livelli scolastici e
in molte aree curricolari. In questo modello non ci si focalizza sugli obiettivi di gruppo né gli individui
sono responsabili del rendimento complessivo del gruppo: esso implica semplicemente che quattro
studenti lavorino assieme in un gruppo su qualche compito.
Quattro studenti, selezionati a caso, siedono assieme e lavorano ad un compito comune. Per esempio,
gli studenti possono rivedere il compito assegnato per casa, discutere le differenze riscontrate nello
svolgimento, decidere sulle risposte corrette, e considerare a turno un compito assegnato. Ciò favorisce
la discussione e la giustificazione delle risposte, e aiuta a ridurre notevolmente il tempo dedicato
dall’insegnante alla correzione dei compiti a casa.
Il ruolo dell'insegnante include questi aspetti:
1. Spiegare il compito del gruppo
2. Presentare il problema
3. Fare domande
4. Mettere in grado i gruppi di lavorare
5. Fornire assistenza ai gruppi (qualora i membri del gruppo non siano in grado di aiutarsi l'un
l'altro)
6. Condurre una discussione di follow-up
CIRC (Slavin)
Il CIRC (Gruppo Cooperativo Integrato di Lettura e Composizione) è un modello di apprendimento
cooperativo specifico per l’insegnamento della lettura e della scrittura. Componenti principali del CIRC
sono tre:
93
della lettura: fa uso di lettori “basali” e di gruppi di lettura; anziché il libro di testo, si
utilizza l’attività di gruppo (per esempio, gli studenti possono aiutarsi a identificare gli
elementi letterari di un brano: la trama, la caratterizzazione, lo scenario; a predire come
va a finire la storia; a raccontarla di nuovo);
dell’arte della scrittura/ linguaggio: gli studenti si aiutano nel redigere scritti o storie
originali. L’insegnamento degli aspetti tecnici della scrittura è integrato con compiti
scritti che usano un testo di linguaggio;
cooperativa: implica il lavoro di due studenti provenienti da diversi gruppi di lettura che
lavorano in team. Essi leggono a turno, controllano la comprensione, praticano
l’ortografia, redigono testi scritti e divulgano libri o saggi di scrittura.
Per la valutazione, quando i compagni del team si sentono pronti, gli studenti compilano delle prove.
Gli studenti ricevono infine certificati di riconoscimento basati sul risultato medio di tutti i membri del
gruppo.
TAI (Slavin)
Il modello TAI (Individualizzazione Assistita dal Gruppo) è un programma di matematica che combina
l’apprendimento cooperativo con l’istruzione individualizzata.
La maggior parte delle classi ha studenti con una vasta gamma di abilità: la premessa di base di questo
approccio di Cooperative Learning è che gli studenti meno bravi possono migliorare senza rallentare
gli studenti bravi. Ciò si realizza riunendo studenti di livello basso, medio e alto in gruppi di 4/5
membri.
Le fasi di lavoro sono le seguenti:

1) Innanzitutto, gli studenti vengono testati e posti in un punto appropriato in un programma
individualizzato.

2) Gli studenti lavorano in modo indipendente, ciascuno al proprio livello e svolgono i loro
compiti.

3) Gli studenti si incontrano in gruppi, in cui scambiano documenti, relazioni, controllano le
reciproche competenze matematiche, si aiutano a vicenda.
94

4) Compilano un quiz di verifica.

5) Al completamento dell’unità didattica, gli studenti compilano un test finale. I gruppi
ricevono un riconoscimento basato sul numero medio di unità completate dai membri del
gruppo.
Oltre a lavorare con i gruppi, il ruolo dell’insegnante, nell’approccio TAI, è quello di introdurre i
maggiori concetti con istruzione diretta prima che gli studenti inizino a lavorare sulle loro unità
individualizzate. A volte l’insegnante fa didattica all’intero gruppo classe su abilità del tipo
misurazione o problem solving. L’insegnante assegna anche test di realtà agli studenti. L’uso di questo
approccio migliora sia l’autostima degli studenti che il loro rendimento di matematica.
95
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
IV Unità Didattica – Lezione 5
OSSERVAZIONE E CHIUSURA DELLA LEZIONE
Nell’apprendimento cooperativo strutturato l’insegnante può avvalersi di studenti/osservatori. Mentre
l’insegnante conserva in ogni momento il suo ruolo di osservatore partecipante, gli alunni con funzione
di osservatori invece non devono frapporsi al lavoro del gruppo. Gli studenti prescelti possono
osservare ogni gruppo o solo il proprio, sforzandosi di dosare con particolare attenzione le loro abilità e
la loro collocazione nello spazio (la lontananza o la vicinanza al gruppo dei compagni).
Anche la durata dell’osservazione va stabilita in anticipo e rispettata. Gli osservatori possono
avvantaggiarsi dei mezzi ben precisi già citati nel paragrafo precedente, nel caso l’obiettivo sia quello
di ottenere un’organizzazione sistematica dei dati di rilevare:
-
scegliere le abilità da rilevare;
-
annotare la frequenza dei comportamenti ( delle condotte e azioni);
-
costruire un grafico ove trascrivere i risultati.
Per rendere operativo tutto questo, lo studente avrà bisogno di un grafico o modulo di raccolta dati ben
organizzato e strutturato (si veda l’esempio alla pagina successiva).
STRATEGIE COOPERATIVE
Un’ottima strategia di ripasso, utile a tutta la classe è quella di chiedere al gruppo di ripetere
all’osservatore ciò che hanno appena imparato a lezione.
Altro gioco che stimola molto l’attenzione di tutto il gruppo è quello detto “della persona
misteriosa”: l’osservatore annuncia alla classe che osserverà un solo studente senza far
capire chi sia; dopodiché tutto il gruppo leggendo il modulo di rilevazione deve capire di
chi si tratti.
96
Redigere il modulo d’osservazione
Bisogna innanzitutto indicare con precisione il numero e il tipo delle abilità che si sono scelte di
osservare, segnare il tempo dell’osservazione indicare i componenti dei gruppi oggetto di osservazione.
E’ importante che le osservazioni siano precise e rapide. Se viene osservato qualcosa che si ritiene
importante ma non è stabilita nelle abilità da osservare, può essere annotata nel retro del modulo.
Molto utile ai fini del miglioramento dell’efficacia del gruppo è l’annotazione dei comportamenti
positivi da fornire poi al gruppo come feedback positivo. Il modulo va poi fatto vedere al gruppo di
modo che tutti possano esprimere un parere sul loro contributo nel lavoro svolto. L’insegnante deve
coinvolgere tutti gli alunni nelle procedure di rilevazione, dando loro istruzioni precise su come
utilizzare il modulo e su come raccogliere le osservazioni.
Un importante obiettivo dell’osservazione da parte dei compagni è quello di abituare i ragazzi ad
automonitorarsi ed a migliorare la capacità di lavorare in gruppo.
SCHEDA DI OSSERVAZIONE
OSSERVATORE_________________________ DATA____________GRUPPO__________
NOME
NOME
CONDOTTA
ASCOLTA
ATTENTAMENTE
INCORAGGIA IL
DIALOGO
SUGGERISCE
IDEE
Punteggio Totale
Fig. 2: Esempio di modulo d’osservazione
97
NOME
L’insegnante: osservatore - partecipante
Ruolo fondamentale dell’insegnante è quello di ascoltare, osservare gli interventi e i modi di
partecipare al lavoro di gruppo degli studenti, acquisendo così informazioni sul grado di capacità e
conoscenze apprese e sulle difficoltà incontrate dalla classe. Per svolgere in modo adeguato queste
rilevazioni, è essenziale che il docente si soffermi a lungo e con precisione sul metodo stesso
dell’osservazione, aggiungendo laddove necessario informazioni sulle varie abilità da conseguire.
Condurre il gruppo ad una riflessione sul senso e sulla spendibilità del lavoro svolto - quindi ad
interrogarsi, ad ogni passo, sul compito - stimola nei ragazzi l’uso di processi cognitivi quali quelli
riguardanti l’analisi, la sintesi e la capacità di risolvere problemi a prima vista insolubili.
L’unico modo che l’insegnante possiede per valutare le abilità socio-relazionali dei suoi alunni, è
appunto quello di osservarli e di intervenire se necessario, nei compiti che essi svolgono
cooperativamente. Egli, in tal senso, rinforza e riconosce le abilità sociali osservate nelle interazioni di
gruppo, dando un riscontro positivo a chi si rende soggetto attivo e facilitatore della partecipazione dei
compagni.
Viceversa, dopo aver individuato chi tra gli studenti si rivela meno abile ad interagire con gli altri
membri della squadra, può dare loro fiducia e coinvolgerli più direttamente nelle varie attività di
cooperazione.
Promuovere l’auto-osservazione
Ogni studente può venir invitato a verificare da sé quali abilità egli abbia utilizzato più spesso e in che
modo se ne sia servito, compilando una scheda di autovalutazione o una checklist precedentemente
preparata dall’insegnante.
Le valutazioni possono comprendere anche le prestazioni richieste dai propri compagni e i
comportamenti più o meno efficaci tenuti da loro stessi: tutte queste informazioni vengono sfruttate ai
fini del conseguimento di un giudizio conclusivo sul lavoro compiuto dal gruppo. Giudizio, si badi
bene, non fine a se stesso ma funzionale al raggiungimento di un livello superiore di competenze e
abilità sociali.
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La lezione è finita
Siamo arrivati alla conclusione della lezione cooperativa. Questo compito viene svolto degli studenti e
coincide, in pratica, con la rielaborazione concettuale di quanto si è appreso. Gli aspetti chiave della
spiegazione vengono fatti oggetto di discussione dalla classe divisa in piccoli gruppi di lavoro e in un
secondo tempo sintetizzati da coppie di compagni per iscritto o oralmente tra di loro. Questo tipo di
lavoro favorisce l’apprendimento degli argomenti trattati ed è foriero di ulteriori domande e chiarimenti
riguardo tutto ciò che può essere risultato ostico e poco comprensibile.
Concludiamo questa Unità attraverso la descrizione di due delle modalità più efficaci di Cooperative
Learning per chiudere la lezione.
DISCUSSIONE IN PICCOLI GRUPPI
La classe viene divisa dall’insegnante in piccoli gruppi di lavoro cooperativo. Compito di questi sarà la
discussione sulla lezione appena trattata dove si andrà ad individuare sintetizzando per iscritto:
- l’argomento della lezione in generale
- i punti chiave della lezione
- domande a riguardo
L’insegnante raccoglierà quanto scritto dai vari sottogruppi considerando quanto della lezione sia stato
appreso, grazie al lavoro cooperativo.
RIASSUNTO DI COPPIA
Gli studenti organizzati in coppie, si accordano sulla struttura da dare alla sintesi della lezione. Sarà
bene iniziare la sintesi introducendo l’argomento della lezione in linea generale, per poi concentrarsi
sui concetti ritenuti più rilevanti.
Infine si potrà concludere con una riflessione riguardo al senso e alla spendibilità in termini pratici, di
quanto appreso facendo un confronto su quanto già la coppia conoscesse da prima sull’argomento della
lezione e su quanto, dopo la lezione sia ancora poco chiaro e comprensibile.
99
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
IV Unità Didattica – Lezione 6
CONCLUSIONI
Trattandosi di un sistema dinamico in continua evoluzione, una valutazione complessiva ed esaustiva
dell’Apprendimento Collaborativo è estremamente difficile. Il Cooperative Learning, infatti, non è
semplicemente uno specifico metodo di insegnamento/apprendimento, con regole rigide e prestabilite
da applicare in qualsiasi situazione didattica; è più corretto definirlo come un movimento educativo
molto vitale, che include diversi approcci teorici9 in grado di sottolineare sia l’aspetto cognitivo che
quello sociale del gruppo classe, oltre – ovviamente – che l’aspetto didattico-gestionale.
All’interno di ciascun orientamento, l’applicazione costante e i risultati della ricerca apportano continui
approfondimenti della teoria che, a loro volta, favoriscono l’elaborazione di nuovi principi di
applicazione, promuovendo l’apertura di nuovi filoni d’indagine.
Il confronto tra i diversi approcci stimola in tal senso la ricerca delle condizioni o dei processi che
possano determinare effetti migliori: tutto ciò è servito a chiarire molti punti confusi, a modificare
alcune tecniche e a includere in esse ulteriori cambiamenti.
In sintesi ricapitoliamo i punti più significativi del Cooperative Learning:
1. La partecipazione dello studente al processo di apprendimento è attiva e viene a configurarsi più
come autocostruzione di un reticolo personale e significativo che come cumulo di informazioni
sedimentate passivamente;
2. Si favoriscono i processi di autovalutazione da parte dell’alunno, laddove altre metodologie lasciano
spazio esclusivo alla valutazione dell’insegnante. L’autovalutazione viene rivolta sia al rafforzamento
dei propri processi metacognitivi sia allo sviluppo delle proprie competenze sociali;
100
3. Vengono promossi i processi basati sulla cooperazione e sulla collaborazione in contrapposizione
all’individualismo ed alla competizione;
4. Attraverso l’interazione fra pari si determinano conflitti di tipo cognitivo e quindi sociale che
favoriscono lo sviluppo di processi di educazione al conflitto. La mediazione sociale costituisce in
sostanza una sorta di laboratorio nella quale lo studente esercita la propria capacità di relazionarsi al
conflitto e di gestirlo in forma non distruttiva;
5. Il modello di comunicazione è dialogico e multidirezionale. Sul piano della relazione educativa, esso
consente di uscire da una relazione uniderezionale, trasmissiva, verticale, per approdare ad una
relazione circolare orizzontale basata sullo scambio e sulla discussione in gruppo.
Le caratteristiche principali di questa modalità di fare didattica sembrano molto interessanti non solo
dal punto di vista strettamente scolastico, ma anche perché appaiono in linea con i principi e gli
obiettivi dell’educazione, in particolare con la necessità di attuare un elevato grado di coerenza tra
obiettivi educativi e metodologie, da un lato, e, dall’altro, di sviluppare i processi di apprendimento
cooperativo rispetto a metodologie più tradizionali. E’ in tal senso che l’apprendimento cooperativo
può essere collocato all’interno della più ampia “Pedagogia della reciprocità” bruneriana: l’autore in
“La cultura dell’educazione” sostiene, infatti, l’esigenza di favorire l’“apprendimento collaborativo”
contrastando l’idea solitaria e passiva dell’apprendimento.
Per Bruner il gruppo è innanzi tutto ed essenzialmente una comunità, che fa parte di una comunità più
ampia. E’ la comunità di allievi, attraverso l’agire attivo e la collaborazione che consente
l’apprendimento reciproco, “E’ piuttosto il dare e il prendere del dialogo che rende possibile la
collaborazione”: nel dialogo i ragazzi esprimono e correggono le proprie credenze.
Anche Bruner invita quindi a tenere conto non solo del rendimento scolastico, ma anche del lato
personale dell’educazione (il senso dell’agire, l’idea che l’alunno si fa delle proprie capacità; la sua
autostima, ecc.).
Bruner considera infine la classe come comunità in cui è praticata (e non solo affermata) la reciprocità
culturale, “l’ambiente” entro cui matura la consapevolezza di far parte di una comunità ancora più
vasta, come laboratorio in cui si può praticare e agire lo scambio e il confronto, non soltanto proiettato
In queste Unità Didattiche, tra le varie tecniche di Apprendimento Collaborativo, abbiamo scelto di descrivere
prevalentemente il Learning Together di Johnson e Johnson, che secondo noi possiede il dono della chiarezza e della
semplicità espositiva.
101
nel futuro, ma nel presente: assegnando compiti da svolgere, assumendo responsabilità, raggiungendo
obiettivi comuni e condivisi.
Le comunità scolastiche sono improntate al reciproco apprendimento,
“…si produce spontaneamente una divisione del lavoro, l’equilibrio fra l’esigenza di
coltivare i talenti innati e quella di offrire a tutti l’opportunità di progredire viene espresso
dal gruppo in una forma più umanistica: da ciascuno secondo le sue capacità” (Bruner,
1996).
La presenza in classe di portatori di handicap, di iperattivi, di aggressivi, di introversi, di immotivati o
facili a distrarsi sembra orientare maggiormente gli insegnanti verso bisogni individuali, rendere per
loro più importante l’esigenza di risolvere problemi che in qualche modo investono l’area
dell’apprendimento prima di dedicare il loro impegno a obiettivi di natura cognitiva.
Si può affermare che, in generale, le richieste emergenti hanno provocato in insegnanti un senso di
disagio e frustrazione, in altri un senso di impreparazione, in altri ancora la crisi del proprio ruolo e
della propria identità.
In ogni caso, anche dal punto di vista sociale - come abbiamo provato a spiegare nella prima Unità
Didattica - è venuto a mancare quel mandato sociale forte di cui l’insegnante ha goduto per molto
tempo, e si è diffuso un senso di inadeguatezza della sua figura tradizionale. In questa situazione
l’insegnante, da sempre visto come depositario di conoscenze da trasmettere agli studenti nella classe,
si è venuto a trovare nelle condizioni di trovare una nuova dimensione per affrontare la crescita di
problemi e delle esigenze della post-modernità.
Secondo molti autori e studiosi la soluzione sta nel mettere in discussione le assunzioni generalmente
condivise che l’insegnante sia la fonte e la risorsa principale di ogni problema.
Affermano D. W. Johnson e R. T. Johnson (1999):
“E’ tempo di cambiare da un paradigma di conduzione della classe fondato sull’egoismo ed
egocentrismo ad un fondato sulla comunità, sul coinvolgimento personale, e sul prendersi cura
degli altri. E’ tempo per i sistemi di conduzione della classe di andare oltre il comportamentismo,
con la sua rilevanza per il proprio interesse e il comportamento per conseguire ricompense
102
estrinseche e punizioni da evitare, verso sistemi di conduzione della classe che sono fondati su un
ambiente positivo di apprendimento costruito su tre programmi interconnessi: comunità
cooperativa, soluzione costruttiva del conflitto e valori di cittadinanza. Per stabilire una comunità
che apprende, la cooperazione deve essere con attenzione strutturata a tutti i livelli di scuola. Per
mantenere la comunità che apprende, le procedure di soluzione costruttiva del conflitto devono
essere insegnate a tutti i membri della scuola, i valori di cittadinanza devono essere presenti in
tutti i membri della scuola” (pp.142-143).
In tal senso si colloca il contributo del Cooperative Learning per una nuova didattica all’interno della
scuola.
103
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Aronson, E. (2006). L’animale sociale. Trad. it. Apogeo Editore.
Aronson, E., Blaney, N., Stephan, C., Sikes, J., Snapp, M. (1978), The Jigsaw class-room, Sage:
Beverly Hills, CA.
Bruner, J. (1996), (trad. it.) La cultura dell'educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltirnelli:
Milano
Burns, J.R., Welch R. A. (2002) (trad. it), Prospettive contemporanee di educazione comparata, Le
Nove Muse
Comoglio, M., Cardoso M.A (1996), Insegnare ed apprendere in gruoppo, LAS: Roma.
Johnson, D. W., Johnson, R. T. (1992), Creative controversy: intellectual challenge in the classroom.
International Book Company: Edina , MN.
Johnson, D. W. Johnson, R. T. , Holubec E., Roy, P. (1984), Circles of learning: cooperations in the
classroom, Associations for supervisions and curriculum develompment: Alexandria, VA.
Johnson D. W. , Johnson R. e Holubec E. (1994), Cooperative learning in the classroom, Associations
for supervisions and curriculum develompment: Alexandria, VA. (trad. it. Apprendimento cooperativo
in classe., Centro studi Erikson, Trento).
Slavin, R.E. (1980), Cooperative Learning, Review of Educational Research, 50, 315-342
104
Metodi e strumenti dell’apprendimento cooperativo
Glossario
Apprendimento: è un processo che comporta la modifica di un comportamento in relazione ad una
determinata situazione , coinvolge le strutture dell’apparato neurofisiologico, il processo di
maturazione fisiologica del soggetto, ma sono implicati in tale processo anche gli stimoli e le
interazioni che provengono dall’ambiente esterno e che sono indispensabili alla elaborazione di
nuove acquisizioni. I mutamenti del comportamento, che si presentano stabili nel tempo, possono
essere misurabili e osservabili; in tal caso si parla di valutazione dei risultati di apprendimento, ci si
riferisce a contesti di apprendimento ove sia presente l’intenzionalità educativa, tipica di situazioni
di apprendimento scolastico o di formazione professionale.
Apprendimento cooperativo: la metodologia dell'apprendimento cooperativo ritiene che sia
fondamentale inserire gli allievi in contesti sociali in cui essi possano apprendere con e dagli altri.
Scommette sull'idea che la dimensione sociale dell'apprendimento possa positivamente influenzare
le altre componenti. La metodologia dell'apprendimento fa parte dei cosiddetti sistemi didattici ad
"anello aperto". Secondo Kaye della Open University, perché ci sia un'efficace collaborazione o
cooperazione ci deve essere una reale interdipendenza tra i membri di un gruppo nella realizzazione
di un compito, un impegno nel mutuo aiuto, un senso di responsabilità per il gruppo e i suoi
obiettivi e deve essere posta attenzione alle abilità sociali e interpersonali nello sviluppo dei
processi di gruppo.
Consiste nell’assegnare a gruppi di lavoro la realizzazione di uno specifico progetto, sotto la guida
di un tutor. Questa metodologia sfrutta al massimo le potenzialità dei singoli e l’apporto che ognuno
di loro dà al gruppo, mettendo a disposizione dei compagni le proprie conoscenze e competenze. I
membri del gruppo, condividendo idee, esperienze e conoscenze, cooperano nella costruzione di
nuovo sapere e riescono a risolvere i problemi che il compito presenta, nel più breve tempo
possibile. Internet e gli strumenti della telematica consentono di sfruttare al massimo le potenzialità
dell’apprendimento cooperativo.
105
Brain Storming: metodo decisionale consistente in sessioni intensive di dibattito volte a stimolare
proposte e a identificare la soluzione migliore. Le regole generali di una seduta di brain storming
sono:
-
esclusione di ogni giudizio critico;
-
accettazione di ogni forma di proposta;
-
produzione di un gran numero di idee;
-
sintesi delle idee espresse;
-
scelta finale.
Competenza: il bagaglio di conoscenze, capacità ed atteggiamenti che la persona possiede ed alle
quali fa ricorso per l’efficace svolgimento di un compito. In ambito lavorativo: le qualità
professionali e personali possedute da un individuo, che lo mettono in grado di assolvere
adeguatamente alle esigenze rappresentate dal ruolo.
Comunicazione: la comunicazione è un processo di trasmissione di informazioni che riguardano un
mittente ed un destinatario, i quali scambiano i propri ruoli, in ragione di un
feedback continuo
che si instaura tra gli attori della comunicazione. Nella comunicazione succede che un soggetto
(mittente) trasmetta un messaggio ad un altro soggetto (destinatario), il quale, in base al messaggio
ricevuto, dà a sua volta un altro messaggio; quindi si innesca un processo in forma di feed-back, nel
senso che il messaggio che viene trasmesso da parte di uno dei partner della relazione è in funzione
del messaggio ricevuto dall'altro e così via. La comunicazione può essere asincrona o sincrona.
Nella prima gli attori della comunicazione hanno un margine di libertà nei tempi e nei modi
dell’interazione nell’invio dei messaggi e nella loro lettura. Situazioni di comunicazione asincrona
sono:
- Mailing-Lists
- Forum
- Bacheche Elettroniche.
La comunicazione sincrona richiede che tutti gli interlocutori siano collegati nello stesso tempo.
Tipiche forme di comunicazione sincrona sono:
- Chatting
- Videoconferenza.
106
Comunità: la conoscenza più efficace, più “significativa” è quella che nasce da un processo di
costruzione sociale. Quando sul lavoro si incontra un problema, la prima cosa che ci viene in mente
è interpellare coloro che ne sanno più di noi o che hanno comunque un bagaglio di esperienze da
mettere in comune. Le comunità di pratica sono gruppi informali di persone che condividono le
stesse mansioni lavorative o gli stessi interessi, e che nascono, spesso in maniera spontanea, per
scambiarsi esperienze, consigli o pratiche quotidiane di lavoro. Gli attuali strumenti di
comunicazione on-line consento di poter pensare a comunità di pratica che prosperano grazie alla
rete e in virtù del ruolo di animazione della comunità assunto da un formatore. Il formatore non
deve far altro che predisporre il terreno migliore per la vita delle comunità, mettendo a disposizione
gli strumenti di collaborazione e l’infrastruttura tecnologica che permetteranno alle comunità di
nascere e prosperare anche in rete. Generalmente le comunità di pratica nascono come prosecuzione
di attività formative volte ad aggiornare le competenze di un gruppo. Iniziate durante il corso
proseguono e si incrementano nel corso dei mesi successivi. Le comunità di pratica sono spesso
utilizzate nell’ambito del Knowledge Management. Alla comunità di pratica si ispira il metodo della
Learning Community e dell'Authonomy Laboratory. Nella Learning Community i soggetti che
apprendono scelgono obiettivi di apprendimento e il gruppo con cui collaborare per la loro
realizzazione. Si basano sul principio della massima responsabilizzazione degli utenti e hanno per
fine lo sviluppo dell'autonomia personale e della creatività. Nell'Autonomy Laboratory autonomia
individuale e sviluppo della creatività costituiscono l'essenza stessa delle attività di apprendimento,
che mirano alla attivazione delle risorse personali dei soggetti che apprendono. Learning
Community e Authonomy Laboratory privilegiano, sopra ad ogni altra cosa, la capacità di
apprendere ad apprendere.
Cooperative Learning: il Cooperative Learning è prima ancora che un metodo didattico un ampio
movimento educativo che pone attenzione alla integrazione tra gli studenti per la realizzazione di
obiettivi sia di tipo educativo che didattico.
In quanto metodo il Cooperative Learning ha le seguenti specifiche caratteristiche:
a. interdipendeza positiva
b. interazione faccia a faccia
c. insegnamento diretto delle abilità sociali
d. lavoro in piccoli gruppi eterogenei
c. revisione e valutazione individuale e di gruppo.
I principali studiosi del Cooperative Learning sono: Johnson e Johnson; Svlavin; Kagan; Sharan,
Cohen.
107
Facilitazione dell’apprendimento: processo attraverso cui il docente insegna al discente a
migliorare le sue prestazioni, facilitando il raggiungimento degli obiettivi professionali. Tale
rapporto è detto anche Coaching.
Formazione: la Formazione è una azione complessa, motivata ed intenzionata, in virtù della quale
si producono effetti di apprendimento su dei soggetti nell’ambito di una situazione, generalmente di
tipo lavorativo, che si viene, in ragione di ciò, a modificare.
Questa definizione tuttavia soddisfa solo parzialmente le molte accezioni annesse al termine. Il
quale è usato, in taluni contesti, come sinonimo di educazione, ovvero, in altri, come il complesso
delle azioni e dei fatti educativi che riguardano la dimensione dell’esercizio delle professioni
ovvero, ancora, per designare attività di addestramento, aggiornamento e perfezionamento erogate
nei confronti di soggetti che necessitano di esse per entrare nel mondo del lavoro o per permanervi.
Probabilmente per cogliere la specificità del termine “formazione” è indispensabile riuscire a
distinguerlo da altri termini contigui: “educare”, “istruire”, “insegnare”, “animare”. Formare
significa trasmettere delle cognizioni e nel contempo modellare un certo comportamento, attraverso
l’esercizio e il fare. Attraverso la formazione si ottengono delle modificazioni strutturali della
dimensione cognitiva ed emotiva del soggetto. Accanto a questa definizione bisogna mettere quella
per la quale formazione è bagaglio di conoscenze teoriche e pratiche indispensabili per l’esercizio di
una professione o di un ruolo.
La formazione, intesa come modificazione profonda della struttura cognitiva ed emotiva del
soggetto, è vicina alla nozione di Bildung, che prevedeva lo sviluppo interiore delle capacità umane
nella prospettiva della unitarietà della cultura e della integrazione della persona. Tale nozione, come
si sa, è diventata obsoleta a causa della crisi degli universalismi etici e culturali del Novecento. La
formazione si trova a dover fare oggi i conti con la complessità del sociale e la molteplicità dei
valori umani, con le istanze di flessibilità, competitività ed efficienza che caratterizzano il lavoro
nella fase della post-modernità.
La formazione appare disponibile a sperimentare nuove modalità di insegnamento/apprendimento
orientate al compito, nonché ad avvalersi di metodologie “non direttive” che tengono conto delle
dimensioni relazionali sottese all’apprendimento e del desiderio di espressione dei singoli,
impegnati in processi di acquisizione delle conoscenze. Tende a superare la separazione tra luoghi
formativi e luoghi sociali. Piuttosto che sospendere i soggetti dagli usuali luoghi di lavoro e di vita
per inserirli in contesti formativi pensati ad hoc, preferisce esperienze cognitive che si realizzano
“in situazione”: tali sono le tecniche di problem finding, come l’Action Learning, o le comunità di
pratica, che vogliono valorizzare l’esperienza degli individui e dei gruppi, le loro capacità
108
costruttive di conoscenza. In tale ottica ci si pone la questione di come fare dell’apprendimento
un’esperienza integrata con la vita dei soggetti, grazie al costituirsi di una attitudine alla riflessività
e una disponibilità al cambiamento, stimolate da specifici momenti formativi ricorrenti, a carattere
intensivo, capaci di rimotivare i soggetti e di offrire loro nuove opportunità di conoscenza.
Rispetto alla pedagogia e alla didattica scolastiche, la formazione sembra accettare la sfida posta
dagli attuali assetti socio-economici, che, avendo necessità di un apprendimento continuo, quale
fattore intrinseco di sviluppo dinamico dei processi produttivi, sotto la spinta della concorrenza dei
mercati divenuti globali, spingono verso il superamento della separazione fra sapere e fare, fra
momento della costituzione delle conoscenze (istituzioni formative) e momento di applicazione
delle stesse (lavoro). La formazione dà per acquisito il superamento dell’aula quale luogo di
realizzazione degli apprendimenti, della lezione quale strumento per veicolare il sapere, assume
come importanti gli apprendimenti che si realizzano per le vie non-formali e informali. Essa appare
disponibile a concepire le proprie azioni come integrate agli obiettivi gestionali della qualità totale,
del miglioramento continuo, dello sviluppo organizzativo. Pertanto la formazione appare
configurarsi come azione di stimolo e supporto di processi di apprendimento che si sviluppano
all’interno dei processi produttivi, in una prospettiva di sviluppo del potenziale dei soggetti. La
formazione aspira ad innescare reali processi trasformativi, che incidano sui processi di
soggettivazione, avendo essa l’esigenza di distinguersi da interventi di natura differente, che hanno
carattere comunicativo, informativo, di marketing, ecc. Il formatore ha per scopo quello di produrre,
attraverso opportune azioni, sempre maggiore integrazione dell’identità dei soggetti che
apprendono, affinché si verifichi un miglioramento della qualità della loro vita. Nella formazione
c’è inevitabilmente un qualcosa che eccede il dispositivo tecnico-professionale messo in atto. È
importante l’individualizzazione dell’intervento formativo.
Mirando ad assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del
curricolo, l’attività di insegnamento deve essere disponibile a pensarsi diversificata nei percorsi
formativi, in ragione delle specificità e dei talenti di ogni discente. Ma l’individualizzazione può
andare oltre e farsi personalizzazione. In questo caso non solo si intende garantire a tutti la
padronanza delle competenze fondamentali, ma anche si mira a garantire ad ogni studente una
propria forma di eccellenza cognitiva, partendo dal presupposto che esistono stili cognitivi
differenti, che l’intelligenza non è una, ma sono molte, ecc. Si può dire allora che
l’individualizzazione fissa degli obiettivi comuni per tutti e si studia il modo di farli raggiungere da
parte di ciascuno mediante percorsi differenziati, mentre la personalizzazione individua l’obiettivo
più idoneo per ciascuno (pluralità di percorsi formativi indirizzati verso destinazioni differenti).
«Aiutare ogni studente a sviluppare una propria forma di talento è probabilmente un obiettivo
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altrettanto importante di quello di garantire a tutti la padronanza delle competenze fondamentali».
(M. BALDACCI, Individualizzazione, in G. CERINI , M. SPINOSI (a cura di), Voci della scuola,
Tecnodid, Napoli 2003).
Identità: identità è coscienza di sé, consapevolezza del proprio esistere individuale e sociale. In
psicologia con questo termine si intende l’identità personale, ossia il senso del proprio essere
continuo attraverso il tempo e distinto, come entità, da tutte le altre. Per i filosofi J. Locke e D.
Hume l’identità è un meccanismo psicologico che ha il suo fondamento non in una entità
sostanziale che noi chiameremmo Io, ma nella relazione che la memoria instaura tra le impressioni
continuamente mutevoli, e tra il presente e il passato. Da questo punto di vista l’identità non è un
dato, ma una costruzione della memoria. Questa riflessione filosofica è stata sostanzialmente
accolta dalla psicologia, che parla di identità e crisi di identità in ordine alla solidità o alla fragilità
di questa costruzione. In virtù di essa l’individuo si sente parte di un gruppo, interprete singolare dei
suoi lavori. Identità, perciò, è senso dell’appartenenza.
Intelligenza: non esiste una definizione univoca, ogni definizione risente dell’orientamento di
pensiero che la formula. Schematicamente le varie definizioni possono essere suddivise nei seguenti
gruppi: a. definizioni generali, in cui l’intelligenza è vista come quel processo che consente
all’uomo o all’animale dotato di struttura cerebrale evoluta di risolvere nuovi problemi che
implicano una ristrutturazione del rapporto di adattamento con l’ambiente; b, definizioni specifiche,
che considerano l’intelligenza come un insieme di processi mentali specificatamente umani che
investono il ragionamento logico; c. definizioni operative, nate dalla difficoltà di approdare a una
definizione univoca di intelligenza, per cui si preferisce sottoporre alcuni aspetti a determinati test
la cui soluzione definisce di volta in volta il comportamento intelligente.
Learning Together: è una modalità di Cooperative Learning. Il modello pensato da Johnson e
Johnson prevede che l’insegnante strutturi i gruppi in modo che gli studenti possano:
- aiutarsi e incoraggiarsi reciprocamente
- essere responsabili di fronte al gruppo
- acquisire le abilità sociali indispensabili per interagire in gruppo.
La lezione viene articolata in momenti informali e momenti formali.
Prima e alla fine della lezione del docente vi sono dei brevi momenti (5–10 minuti) in cui gli
studenti lavorano in coppia.
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All’inizio della lezione gli studenti rispondono individualmente a delle domande poste dal docente
alla fine della lezione precedente. Successivamente confrontano a due a due le risposte cercando di
pervenire ad un’unica risposta.
Altro compito può essere “domanda e risposta in coppia”. Gli studenti debbono legger
individualmente un testo, poi, sempre individualmente, stilano una serie di domande.
Successivamente cercano in coppia di rispondere ciascuno alle domande dell’altro. Terminato
questo lavoro ciascun alunno prende visione ed eventualmente integra o corregge le risposte offerte
dall’altro. Ancora “prendere appunti in coppia”: gli allievi debbono prendere appunti nel corso della
lezione e a due a due confrontarli ed integrarli al fine di produrre una relazione della quale sono
individualmente responsabili. La dimensione formale prevede che il docente all’inizio della lezione
enunci gli obiettivi didattici e quelli inerenti le attività sociali, chiarisca i criteri di valutazione,
formi i gruppi, assegni i ruoli, organizzi gli spazi. Durante la lezione deve essere attento ai
comportamenti, alle difficoltà, agli interventi, all’uso delle abilità sociali da parte dei vari studenti.
È indispensabile che egli preveda un momento in cui sia possibile discutere come si sviluppi
l’attività di gruppi, quali difficoltà vengano incontrate, quali strategie debbano essere messe in atto
per migliorare il lavoro.
Percezione: la percezione è ciò che ci consente di accedere a qualche cosa, a ciò che “c’è”: è
apertura all’effettività, conoscenza delle esistenze. Questa prima definizione, apparentemente
evidente, permette di cominciare a caratterizzare la percezione per differenza rispetto a ciò che non
è. La percezione si distingue anzitutto dal pensiero in senso stretto proprio per il suo carattere
sensibile, a cui corrisponde la presenza concreta di qualcosa. Si distingue in secondo luogo dal
sentimento, in quanto apre a un’esteriorità invece di ridursi all’esperienza di uno stato dell’io: La
percezione è dunque caratterizzata da una doppia dimensione. Da un lato è un modo di accesso alla
realtà quale è in se stessa; nella percezione in nessun momento ho la sensazione di avere a che fare
con un doppione, con una immagine della cosa: ho, al contrario la convinzione di scoprire una realtà
che precede il mio sguardo, così come esisteva prima ancora che la percepissi. Dall’altro la
percezione è sensibile, vale a dire mia: è l’esperienza che io ho della realtà. Si traduce in questo
modo il fatto incontestabile che, senza soggetto percepiente, precisamente senza organi di senso,
niente apparirebbe. È sufficiente distogliere lo sguardo o chiudere gli occhi perché scompaia un
pezzo intero dello spettacolo, oppure spostarsi perché il paesaggio cominci a muoversi: proprio
mentre si dà a noi come precedente la nostra esperienza, il percepito sembra allo stesso tempo
totalmente tributario della nostra soggettività sensibile. Nell’esperienza immediata coesistono,
dunque, due evidenze opposte; la percezione si fa laggiù, nel mondo, e si fa in me, raggiunge la
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cosa così come è in sé e coglie questa stessa cosa attraverso degli stati del soggetto. Se queste due
dimensioni sono conciliabili agli occhi dell’esperienza esse si rivelano al contrario incompatibili
non appena si tenti di nominarle, non appena la riflessione tenti di impadronirsene. Ora, come è
possibile partire da stati soggettivi, immanenti, e dunque relativi, e accedere a ciò che risposa in sé e
non è relativo che a se stesso? Come può il vissuto raggiungere una cosa spaziale che gli è
profondamente estranea? Questo è il problema della percezione, così come è posto essenzialmente
dalla tradizione filosofica. Così formulato il problema riposa interamente sull’assimilazione,
considerata come ovvia e pacifica tra le due caratterizzazioni della percezione: il “qualcosa” non
può designare che la cosa estesa nello spazio e la percezione uno stato soggettivo. Non ci sarà in
questo ragionamento una grave incoerenza? Si conferisce in prima istanza un senso determinato
all’essere del percepito così come a quello del percepente, si comincia con il sottomettere la
percezione a delle categorie disponibili, quelle del soggetto vissuto e dell’oggetto esteso – categorie
edificate dal cartesianesimo – e si sfocia allora nella problematica questione della relazione fra il
soggetto e l’oggetto. Se è vero che nella percezione qualcuno percepisce qualche cosa, niente ci
autorizza a definire questo “qualcuno” come un insieme di stati soggettivi e questo “qualche cosa”
come un oggetto esteso. Si può al limite affermare che un soggetto raggiunga un oggetto, senza con
ciò pregiudicare il senso stesso di queste nozioni. L’incoerenza consiste nella subordinazione
aprioristica della percezione, è la percezione stessa, in quanto originario accesso alla realtà, che può
liberarcene il senso.
Problem finding: nelle attività di problem solving, l’innesco della ricerca della soluzione è dato
dalla capacità di riconoscere che la situazione che si ha dinnanzi è una situazione problematica. Una
volta riconosciuta una situazione come problematica, il soggetto deve riuscire ad impostare il
problema in maniera tale che possa cominciarsi la ricerca (mirata) delle possibili soluzioni.
Problem solving: secondo Ausubel si possono distinguere due tipi principali di approcci nella
soluzione dei problemi: l’approccio per prova ed errore e l’approccio per insight. Nel problem
solving per insight il soggetto o traspone un principio precedentemente appreso ad una nuova
situazione, che presenta caratteri di analogia di quella con questa (transfer) oppure procede ad una
ristrutturazione cognitiva, grazie alla quale l’esperienza precedente viene integrata sì da dar luogo
ad una nuova configurazione più funzionale alla soluzione della nuova situazione problematica.
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Progetto: il progetto può essere definito come «un’impresa complessa, unica e di durata
determinata, rivolta al raggiungimento di un obiettivo chiaro e predefinito mediante un processo
continuo di pianificazione e controllo di risorse differenziate e con vincoli interdipendenti di costitempi-qualità» (F. CAPPA, Progetto senza Soggetto, in ID., a cura di, Intenzionalità e progetto,
Franco Angeli, Milano 2007, p. 199).
È in altre parole l’anticipazione delle possibilità, cioè qualsiasi previsione, predizione,
predisposizione, piano, ordinamento nonché il modo d’essere o d’agire che è proprio di chi fa
ricorso a possibilità. In questo senso nella filosofia esistenzialistica il progetto è il modo d’essere
costitutivo dell’uomo, o come dice Heidegger, che per primo ha introdotto la nozione, è la sua
“costituzione ontologico-esistenziale”(M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, Utet, Torino 1969, § 37).
Relazione di aiuto: la relazione d’aiuto è una relazione specifica in cui una persona (cliente) viene
seguita affinché possa raggiungere un adattamento personale ad una situazione a cui non
perverrebbe in assenza del sostegno apportato da una terza persona. La relazione d’aiuto è il
risultato di un’attività di counseling. Essa facilita nel soggetto il processo di decisione responsabile,
senza che il counselor debba ledere i sentimenti, i vissuti, i tempi e le decisioni della persona. In
una relazione d’aiuto il saper essere del consuelor è fondamentale ed è addirittura preminente
rispetto al saper fare. La relazione d’aiuto mette in contatto due soggetti, è innanzitutto una
relazione tra un io e un tu. La costruzione della relazione d’aiuto dipende dalla capacità del
counselor di mettersi in relazione col cliente. Counselor e cliente sono due persone che con pari
dignità collaborano alla soluzione di un problema. La differenza fra i due consiste nel fatto che il
cliente è portatore di un disagio, il counselor possiede degli strumenti che può mettere a
disposizione della relazione per il compimento di un lavoro in comune. Il cambiamento può
intervenire solo se esiste un contributo attivo e partecipativo delle due figure. Il termine cliente,
attribuito al portatore di disagio, sta a significare una posizione attiva di questi nell’ambito della
relazione, la quale abbisogna, per essere, della sua libertà di iniziativa. L’aiuto non dipende dalla
competenza di chi aiuta, ma dalla capacità di chi è aiutato di riconoscere nelle situazioni che si trova
a vivere le opportunità che, attraverso l’opera di facilitazione svolta dal counselor, lo fanno
crescere. Proprio per questo esso deve essere in grado di attivare e far crescere le risorse possedute
dalla persona, che, laddove la relazione d’aiuto è efficace sperimenta il senso di un maggiore
controllo di sé, di una maggiore appropriatezza di scelte e decisioni.
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Scaffolding: letteralmente impalcature, traslate nel linguaggio educativo sono dei supporti
formativi. Il docente come facilitatore dei processi di apprendimento costruisce attorno al discente
delle impalcature (scaffolding), cioè dei supporti a cui possa attingere nel momento in cui ne ha
bisogno.
Setting: termine inglese impiegato per indicare il contesto di ricerca, delimitato nel modo più
rigoroso possibile, affinché quanto si osserva, si descrive, si comprende, si spiega, possa avere
un’attendibilità scientifica.
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