L`Unione europea attribuisce ai servizi pubblici economici di
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L`Unione europea attribuisce ai servizi pubblici economici di
LA RIFORMA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: ASPETTI PROBLEMATICI LEGATI ALLE SOCIETA’ MULTISERVIZI di Tiziana Sogari (*) Sommario : 1. “Concorrenza” e “imprenditorialità” nei servizi pubblici locali; 2. Le “multiutilities” locali: separazione contabile o separazione societaria? 1. “Concorrenza” e “imprenditorialità” nei servizi pubblici locali. La Comunità europea attribuisce ai servizi pubblici economici di interesse generale un ruolo fondamentale nello sviluppo del modello europeo di società(1), parimenti riconosce agli stessi servizi un ruolo determinante nella crescita economica europea. L’importanza dei servizi pubblici di interesse generale, nella loro dimensione sociale ed economica, è stata di recente ribadita nella Comunicazione della Commissione del 20 settembre 2000(2) (che ha aggiornato la precedente Comunicazione del 1996)(3) in cui si sostiene la centralità di un’azione da parte della Comunità e delle autorità pubbliche, tanto a livello nazionale che regionale e locale(4), atta a perseguire l’obiettivo dell’efficienza dei servizi, nonché l’obiettivo di realizzare un mercato unico improntato al dinamismo ed alla competitività, che comprenda anche i servizi di interesse generale. In particolare la citata Comunicazione sottolinea come <<le norme del Trattato in materia di concorrenza e di mercato interno siano perfettamente compatibili con i più alti livelli di prestazione dei servizi d’interesse generale>>, con conseguente assoggettabilità di tutti gli operatori, indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata, alla disciplina della concorrenza e del mercato interno. Restrizioni alla concorrenza e limitazioni alla libertà del mercato unico sono consentite esclusivamente laddove le sole forze di mercato non siano sufficienti a garantire servizi soddisfacenti: (*) Intervento al Convegno I conti dei sistemi delle autonomie, XIX Convegno Nazionale di Contabilità Pubblica, Teramo, 16-17 novembre 2001, Facoltà di giurisprudenza, Coste Sant’Agostino. (1) Il nuovo art. 16 del Trattato Ce riconosce <<l’importanza dei servizi d’interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale>>, stabilendo che in considerazione di ciò <<la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione del presente Trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base ai principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti>>. (2) COM (2000) 580, del 20-9-2000, I servizi d’interesse generale in Europa, in GU C 17 del 19-1-2001. (3) In GU C 281 del 26-9-1996. (4) La Comunicazione stabilisce che <<Spetta in primo luogo alle autorità pubbliche di pertinente livello - locale, regionale o nazionale - e nella piena trasparenza definire le missioni dei servizi di interesse generale e le modalità per il loro adempimento. La Comunità dal canto suo garantirà, in applicazione delle norme del trattato e degli strumenti di cui dispone, che tali servizi siano prestati in modo tale da soddisfare al meglio, sotto l’aspetto della qualità e del prezzo, le esigenze dei loro utilizzatori e di tutti i cittadini>>. 1 unicamente in questa ipotesi le autorità pubbliche possono incaricare alcuni operatori di tali servizi, imponendo loro obblighi di interesse generale ed inoltre, se necessario, concedendo diritti esclusivi o speciali e disponendo meccanismi di aiuti finanziari. Tali deroghe alle norme del Trattato sono peraltro condizionate dalla stretta osservanza del principio di proporzionalità, in base al quale <<le restrizioni della concorrenza e le limitazioni delle libertà del mercato unico non devono eccedere quanto necessario per garantire l’effettivo assolvimento della missione>>(5). La liberalizzazione dei mercati dei servizi di interesse generale, attraverso l’abbattimento di situazioni di monopolio legale o di fatto e l’eliminazione dei diritti speciali o esclusivi, costituisce la premessa necessaria per la creazione di un mercato competitivo, ove possa operare una pluralità di soggetti i quali, proprio in virtù del confronto concorrenziale, saranno spinti ad offrire servizi qualitativamente e quantitativamente migliori con conseguente diminuzione dei prezzi. La Commissione lascia, invece, libera scelta agli Stati membri nel decidere se privatizzare o meno le imprese pubbliche che operano nel settore dei servizi di interesse generale, le norme del Trattato, infatti, si pongono in una posizione di completa neutralità rispetto al regime di proprietà, pubblica o privata, delle imprese. Nel nostro Paese, dove i servizi pubblici nella loro totalità sono stati caratterizzati più di ogni altro settore da un massiccio intervento statale, dalla presenza di situazioni di monopolio, a livello nazionale e locale, nonché dalla sussistenza di diritti esclusivi e privilegi, da dieci anni a questa parte sono intervenute profonde modificazioni che hanno interessato, da un lato, la struttura delle imprese pubbliche (privatizzazione formale e sostanziale), dall’altro la struttura dei mercati (liberalizzazione dei mercati). Dapprima lo Stato, spinto dal contingente motivo di risanamento del deficit pubblico(6), ha avviato un vasto processo di privatizzazione delle imprese pubbliche statali, mentre solo successivamente, sulla spinta comunitaria, sono stati aperti alla concorrenza importanti settori come elettricità, gas, trasporti, servizi postali e telecomunicazioni(7). (5) Con tutta evidenza la Comunicazione su I servizi di interesse generale richiama i principi contenuti nell’art. 86 (ex art. 90) del Trattato Ce. Per un commento v. B. MAMELI, Servizio pubblico e concessione, Milano, 1998, p. 73 3 ss.; G. CORSO, I servizi pubblici nel diritto comunitario, in Riv. giur. quadrimestrale dei pubblici servizi, n. 1/1999, p. 7 e ss. (6) Merita peraltro ricordare che anche altre e più profonde ragioni hanno influenzato il fenomeno delle privatizzazioni: in primo luogo, il sovraccarico finanziario ed organizzativo, che ha costretto gli Stati sociali a ritirarsi dalla gestione diretta delle imprese pubbliche e dei servizi, tanto più che molte imprese e servizi gestiti in regime di riserva legale, cioè in un mercato protetto, erano caratterizzati da deficit finanziario e da inefficienze coperti dalla rendita di posizione dovuta al monopolio. In questo senso le privatizzazioni sono state viste come un’opportunità imperdibile per riorganizzare l’intero sistema industriale pubblico. Sulle privatizzazioni delle imprese pubbliche statali v. S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 1996, p. 91 e ss. (7) In particolare il processo di liberalizzazione del settore dell’elettricità si è verificato a seguito del recepimento con d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 della dir. n. 96/92/Ce; il mercato del gas è stato liberalizzato con d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164, in attuazione della dir. n. 98/30/Ce; quello del trasporto ferroviario con dir. n. 91/440/Cee, recepita con l. 22 febbraio 1994 e con d.p.r. 8 luglio 1998, n. 277, e sempre sotto l’impulso comunitario sono stati progressivamente liberalizzati i servizi di trasporto aereo e quelli di trasporto marittimo di linea, sebbene in tali settori le prospettive di una libera concorrenza si intravedano appena; il servizio postale, e stato liberalizzato a seguito del recepimento della dir. n. 67/97/Ce, con d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261; nel settore delle telecomunicazioni è stata recepita con d.lgs. 17 marzo 1995, n. 103, la dir. n. 90/388/Cee. 2 Anche la realtà dei servizi pubblici locali, benché dominata da situazioni di monopolio ben radicate, ha conosciuto una parziale apertura dei mercati. Le riforme che hanno interessato il settore dell’energia, il servizio dei trasporti pubblici locali, il servizio idrico ed il settore della gestione dei rifiuti urbani sono accomunate sostanzialmente da obiettivi e strumenti comuni che consistono nella necessità di definire il livello dei servizi in grado di soddisfare la domanda dei cittadini, promuovere la qualità dei servizi, introducendo regole per la concorrenza nella loro gestione. La più importante innovazioni a livello locale derivante dall’intervenuto processo di liberalizzazione del mercato del gas ha interessato il segmento della vendita al minuto che dal 2003 sarà sottoposto ad un regime di semplice autorizzazione; l’attività di distribuzione secondaria di gas deve invece essere affidata dagli enti locali esclusivamente mediante gara, in questo caso, infatti, la presenza di condizioni di monopolio naturale, rende possibile la realizzazione di una forma di concorrenza fra gli operatori solo nella fase di aggiudicazione dell’affidamento del servizio(8), dunque, una volta individuato il soggetto affidatario, tale attività si configura come un monopolio legale nei singoli ambiti locali(9). Per quanto riguarda il mercato elettrico, dal 1° aprile 1999 Enel ha cessato di svolgere in regime di riserva legale le attività di produzione(10), importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica sul territorio nazionale(11). In particolare a livello locale il “decreto Bersani” ha liberalizzato parzialmente il segmento della vendita distinguendo i clienti idonei, ai quali è consentito di acquistare liberamente energia elettrica, dai clienti vincolati che possono acquistare energia elettrica esclusivamente dal distributore che svolge il servizio nell’area in cui è localizzata l’utenza. La distinzione tra clienti idonei è operata sulla base delle soglie dei consumi annui, specificate nello stesso decreto. A tale proposito il Parlamento e il Governo, al fine di accelerare la promozione della concorrenza, hanno predisposto una diminuzione delle originarie soglie di consumo prevedendo che, a partire dal novantesimo giorno successivo alla cessione dei 15.000 MW di capacità di generazione di Enel, le soglie di (8) Nei servizi a rete la presenza di situazioni monopolistiche condizionate tecnologicamente rende molto difficile l’introduzione di un regime concorrenziale; ciò nonostante è possibile mettere in competizione tra loro i diversi operatori utilizzando il meccanismo della gara nel momento dell’affidamento del servizio da parte dell’ente responsabile della sua offerta (in questo caso l’ente locale). L’infrastruttura è ciò che, secondo una metodologia mutuata dal diritto statunitense, viene denominata essential facility, sull’argomento v. C. CAZZOLA, La dottrina delle essential facilities e la politica antitrust, in La disciplina giuridica delle telecomunicazioni, a cura di F. Bonelli e S. Cassese, Milano, 1999, p. 219 e ss.; M. SIRAGUSA, M. BERRETTA, La dottrina delle essential facilities nel diritto comunitario ed italiano della concorrenza, in Contratto e Impresa – Europa, 1999, p.260; J. BERTI, Le essential facilities nel diritto della concorrenza comunitario, in Concorrenza e Mercato, n. 6/1998, p. 355; J. BERTI, A. BIANCARDI, Essential facility e disciplina della concorrenza: osservazioni e note critiche, ibidem, n. 4/1996, p. 423. Sulla distinzione tra “concorrenza nel mercato” e “concorrenza per il mercato” si veda AA.VV., Relazioni triangolari nell’economia dei servizi pubblici, in Economia pubblica, n. 5/2000, p. 47, spec. 59 e ss. (9) In realtà la notevole durata delle proroghe degli affidamenti e delle concessioni prevista dal regime transitorio sta ritardando sensibilmente l’avvio del processo di liberalizzazione. (10) La liberalizzazione dell’attività di produzione comporta l’obbligo per Enel di cedere impianti pari a circa 15.000 MW, suddivisi in tre società distinte denominate Eurogen, Elettrogen e Interpower. (11) Attualmente le uniche attività riservate allo Stato riguardano la trasmissione e il dispacciamento di energia elettrica. 3 idoneità devono essere ridotte a 0,1 GWh del livello minimo di consumo annuo di elettricità (art. 10, comma 4, della l. 5 marzo 2001, n. 57, recante “Disposizioni in materia di apertura dei mercati”)(12). Se l’effetto voluto da tale disposizione è quello di consentire un significativo ampliamento del mercato liberalizzato, va peraltro notato che l'importanza di questa misura rimane ridimensionata dal fatto che anche dopo la sua applicazione, più di un terzo del mercato resterà vincolato alle attuali imprese di distribuzione che svolgono la propria attività in regime di esclusiva e all'interno del quale Enel continua comunque a disporre della quasi totalità delle forniture ai clienti vincolati. I consumi delle famiglie, quindi, non potranno beneficiare direttamente delle condizioni di maggiore concorrenza che caratterizzeranno i due terzi del mercato(13). Infatti, anche con riferimento al settore di distribuzione di energia elettrica, così come per quanto attiene l’attività di distribuzione del gas, siamo in presenza di condizioni di monopolio naturale locale(14): a tale proposito il “decreto Bersani” ha previsto che il servizio di distribuzione venga affidato in ogni territorio comunale ad un unico concessionario, tramite gara nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria in materia di appalti(15). Anche il settore dei trasporti pubblici locali è stato interessato da un processo di riforma regolato dal d.lgs 19 novembre 1997, n. 422, cosi come modificato dal d.lgs del 20 settembre 1999, n. 400, col quale si è inteso perseguire la riorganizzazione dell’intero settore stabilendo, tra le varie modifiche, l’obbligo a partire dal 2003 del ricorso a procedure ad evidenza pubblica per la gestione del servizio con conseguente introduzione dei contratti di servizio in luogo della concessione al fine di incentivare l’economicità, l’efficienza e la trasparenza della gestione. Altre attività di servizio come il servizio di smaltimento dei rifiuti o il servizio idrico rimangono peraltro ancora molto lontani da un assetto concorrenziale, in tali settori, infatti, vige ancora una forte regolamentazione e la prassi generalizzata dell’affidamento diretto. Non si può non riconoscere ai servizi pubblici locali menzionati un ruolo fondamentale sia nello sviluppo della qualità della vita dei cittadini che nel (12) In Gazzetta Ufficiale, n. 66 del 20 marzo 2001. (13) Cfr. A.G.C.M., Relazione annuale, 30 aprile 2001. (14) Relativamente alla liberalizzazione del settore energetico v. G. NAPOLITANO, Energia elettrica e gas, in Trattato di diritto amministrativo, vol. II, a cura di S. Cassese, Milano, 2000, p. 1635 e ss.; sempre sull’attuazione delle direttive comunitarie nel mercato dell’energia v. F. BULKAEN, C. CAMBINI, Assetti di mercato e problemi di regolazione nei servizi di pubblica utilità, in Servizi di pubblica utilità. Regolazione e concorrenza nei nuovi mercati, a cura di F. Bulkaen e C. Cambini, Milano, 2000; Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Attività consultiva, Parere AS087, del 27 marzo 1997, in Boll. n. 13/1997, e Parere AS154, del 5 novembre 1998, in Boll. n . 44/1998, consultabili anche sul sito www.agcm.it (15) Poiché però in alcuni Comuni operano attualmente più distributori (ciò avviene, ad esempio, a Milano, Roma e Torino dove le utenze sono divise tra l'azienda elettrica locale Aem-Milano, Acea-Roma, Aem-Torino- ed l'Enel) il d.lgs n. 79/99 ha stabilito che i distributori, attraverso le normali regole di mercato, debbano adottare iniziative per la loro aggregazione da sottoporre all’approvazione del Ministero dell’Industria. In assenza di tali iniziative, o in mancanza della loro approvazione, le società di distribuzione partecipate dagli enti locali qualora servano almeno il 20% delle utenze nel Comune di riferimento, possono chiedere ad Enel la cessione dei rami di azienda dedicati all'attività di distribuzione. Le imprese degli enti locali con più di 100.000 utenti finali possono avvalersi della stessa procedura di aggregazione e unificare le reti di distribuzione in ambiti territoriali contigui. Infine le imprese proprietarie di impianti di distribuzione che alimentano più di 300.000 clienti finali (ad esempio: Enel, Aem-Milano, Aem-Torino, Acea-Roma), devono scorporare una o più società per azioni, alle quali vengono trasferire le attività di distribuzione e di vendita ai clienti vincolati 4 processo di crescita dell’economia(16); tale considerazione se, per un verso, comporta il riconoscimento di un interesse generale a che tutta la popolazione possa fruire di questi servizi secondo standard di continuità, tempestività ed efficienza, dall’altro, non esclude, ma anzi comporta, la presa di coscienza di una necessaria dimensione concorrenziale degli stessi. Allora benché i servizi di interesse economico generale si differenzino dai servizi ordinari per il fatto che l’autorità pubblica riconosce la priorità della loro missione anche quando il mercato non sia sufficientemente incentivato a provvedervi da solo, ciò non significa che il mercato non sia, in molti casi, il meccanismo migliore per garantire tali servizi(17). L’obiettivo dell’efficienza dei servizi pubblici locali è stato perseguito percorrendo un doppio binario ossia agendo contemporaneamente sulla struttura dei mercati dei servizi (introduzione della concorrenza nel mercato o per il mercato) e sulle forme per la loro gestione. Accanto alle discipline di settore di apertura dei mercati si devono infatti registrare anche numerosi interventi normativi di carattere orizzontale con i quali si è riconosciuta e valorizzata la natura imprenditoriale dei servizi locali. La prima tappa dell’avviato processo di privatizzazione dei servizi pubblici locali può essere individuata nella legge n. 142 del 1990 che ha riservato la gestione in economia ai soli servizi di <<modeste dimensioni>>, mentre per i servizi a rilevanza imprenditoriale, in caso di affidamento diretto, è stata prevista la soluzione dell’azienda speciale(18) o della società per azioni a capitale pubblico maggioritario(19). Successivamente l’art. 12, l. 23 dicembre 1992, n. 498, ha sciolto il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria: da questo momento si comincia ad intravedere un nuovo modello di gestione dei servizi pubblici locali, basato sulla potestà regolatrice degli enti pubblici , ma non necessariamente sulla gestione diretta o sulla proprietà maggioritaria dell’impresa costituita(20). Ciò che infatti assume maggiore rilevanza non è tanto la veste giuridica assunta dalle ex municipalizzate, quanto le possibili combinazioni del loro capitale societario, non esistendo più il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria. La privatizzazione sostanziale delle imprese pubbliche locali riveste importanza sotto un duplice aspetto: in primo luogo consente di migliorare la gestione dei servizi pubblici locali ricercando il contributo dell’esperienza di operatori privati qualificati, che con il loro know how possono apportare maggiore efficienza produttiva ed incrementi di qualità; (16) A. CAVALIERE, F. OSCULATI, Le riforme dei servizi locali: obiettivi e limiti, in Amministrare, n. 1/2000, p. 83 e ss. (17) Cfr. Comunicazione della Commissione del 20-9-2000, cit. (18) Sulle aziende speciali v. D. SORACE, C. MARZUOLI, Le aziende speciali e le istituziioni, in Diritto amm., n. 4/1996, p. 615. (19) La legge n. 142/90 e successive modificazioni è stata abrogata dal d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, “T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, in particolare il contenuto degli artt. 22 e 23 relativi ai servizi pubblici locali è stato trasfuso negli art. 112, 113, 114, 115, 116, senza significativi cambiamenti rispetto alle integrazioni e modifiche già in precedenza apportate. (20) Sulle società miste v. L. GAMPAOLINO, L’organizzazione dei pubblici servizi a mezzo delle società miste nell’esperienza delle amministrazioni degli enti locali: problemi di concorrenza e profili istituzionali, in Riv. trim. degli appalti, n. 1/99, p.7.; A. MARIA LEOZAPPA, Sulle società miste per la gestione dei servizi pubblici degli enti locali, in Giur. comm., I/1998, p. 67; S. NICODEMO, Società locali dei servizi e realizzazione di infrastrutture: dalla legge 142/90, alla legge 127/97, in Riv. trim. degli appalti, n. 3-4/97, p. 609; AA. VV., Privatizzazioni ed efficienza della pubblica amministrazione alla luce del diritto comunitario, a cura di A. Angeletti, Milano, 1996. 5 in secondo luogo permette di beneficiare appieno degli effetti positivi derivanti dalla liberalizzazione. Infatti, solo una sostanziale modifica della compagine sociale delle s.p.a. locali comporterebbe il dispiegarsi degli effetti virtuosi dei più stringenti vincoli di gestione legati alla forma societaria (vincolo di bilancio) poiché, come è ben noto, la presenza del socio pubblico unico azionista è indissolubilmente legata alla prassi della copertura delle perdite mediante il trasferimento a carico del bilancio dell’ente locale. Non ultimo, dalla privatizzazione sostanziale potrebbe derivare la “creazione” di nuovi concorrenti per non incorrere nel rischio di bandire gare a cui siano in grado di partecipare le sole aziende speciali affiancate da grandi imprese estere. Tuttavia, di fonte ai primi entusiasmi si è ben presto preso atto delle difficoltà nel dare pratica attuazione alla privatizzazione sostanziale delle imprese pubbliche locali, soprattutto a causa delle resistenze degli stessi enti locali a perdere il ruolo svolto sino ad oggi nella gestione dei servizi. Nonostante siano stati previsti incentivi alla privatizzazione (incentivi fiscali) e sia stata prevista la possibilità per l’ente locale di rimanere azionista unico delle ex municipalizzate per un periodo massimo di due anni (art. 17, co. 51, l. n. 127/97), nell’intento di semplificare la trasformazione societaria, la privatizzazione sostanziale dei servizi pubblici è una realtà ancora ben lontana a venire. Un’accelerazione dei processi di privatizzazione e l’introduzione dei principi concorrenziali nella gestione dei servizi pubblici locali costituisce però un obiettivo ormai primario che non sarà più possibile rimandare se non si vorrà incorrere in un pericoloso arresto delle strutture produttive del nostro Paese, con il rischio per gli operatori locali di trovarsi intrappolati in una posizione di secondo piano rispetto agli operatori stranieri che si stanno preparando al loro ingresso nel mercato nazionale. In quest’ottica devono essere letti i tentativi di riforma dell’intero settore (d.d.l. AC 7042, già AS 4014)(21), e le nuove disposizioni contenute nella Finanziaria per il 2002 (art. 23) attualmente all’esame del Senato. 2. Le “multiutilities” locali: separazione contabile o separazione societaria? A livello locale il fenomeno della creazione delle c.d. multiutilities, ossia di soggetti in grado di offrire più servizi, risulta favorito da una serie di fattori connaturati allo stesso mercato dei servizi locali quali, ad esempio, la comunanza dei clienti e la maggiore vicinanza e conoscenza delle loro esigenze(22). La strategia di diversificazione settoriale comporta senza dubbio notevoli vantaggi per le imprese le quali possono in tal modo conseguire maggiori economie di scala e di scopo, utilizzando la stessa infrastruttura per fornire servizi diversi e valorizzando l’azienda che sarà così in grado di contrastare più efficacemente l’entrata dei concorrenti nei settori in crescita. La tendenza a diversificare la propria attività operando in più mercati è oggi riscontrabile soprattutto nelle società miste(23), benché abbia caratterizzato (21) Per un commento v. G. DI GASPARE, <<La public utility: una possibile formula per il servizio pubblico locale>>. Note a margine del disegno di legge (AS 4014) di riforma dei servizi pubblici locali, in Rass. Giur. Energia Elett., 1999, p. 723. (22) Cfr. F. BULKAEN, C. CAMBINI, cit. p. 30. (23) I soggetti privati infatti si stanno affacciando solamente da poco sul mercato dei servizi pubblici locali a seguito degli avviati processi di liberalizzazione. 6 anche le aziende speciali. La scelta delle società miste di proporsi come fornitrici uniche di tutti i servizi di pubblica utilità (energia, gas, igiene urbana, gestione delle acque, trasporti) a fronte dell’evoluzione dell’intero settore dei servizi pubblici locali, sopra sinteticamente esposta, può certo consentire la nascita di operatori più forti da un punto di vista competitivo(24), ma inevitabilmente comporta la necessità di individuare accorgimenti utili al fine di evitare che tali imprese possano operare un sostanziale aggiramento del confronto concorrenziale attraverso un sistema di sussidi incrociati tra i diversi settori di attività. Ciò in realtà potrebbe facilmente accadere dal momento che per quei servizi ritenuti essenziali ma scarsamente remunerativi è prevista l’erogazione di sussidi volti a coprire la differenza tra i ricavi e i costi relativi alla gestione del servizio. Vi è altresì da aggiungere che nel settore dei servizi pubblici locali permangono numerose disposizioni che prevedono sussidi per l’espletamento del servizio minimo anche quando i bisogni collettivi potrebbero essere soddisfatti da una pluralità di operatori e senza fare ricorso ad alcun tipo di risorsa pubblica: sintomatico a tale proposito è il settore dei trasporti(25). Senza considerare che il volume dei sussidi erogati non è quasi mai proporzionato all’effettiva differenza tra costi e ricavi del servizio. L’utilizzazione di tali contributi per sovvenzionare altre attività non sussidiate costituisce un evidente pericolo di distorsione del corretto funzionamento del mercato, potendo arrecare ingiustificati vantaggi all’operatore che riceve i contributi a danno delle altre imprese concorrenti. Un rischio ulteriore di sussidi incrociati potrebbe poi derivare dall’espansione del campo di operatività di quei soggetti che operano in regime di esclusiva (benché tali ambiti risultino sempre più limitati in virtù degli intervenuti processi di liberalizzazione) comprendendo attività sottoposte ad un regime di libera concorrenza. In questa ipotesi tramite manipolazioni contabili, trasferendo cioè i costi di produzione essenzialmente su quei mercati o segmenti di mercato non protetti, le aziende speciali e le società miste potrebbero beneficiare di una posizione di forza nei mercati aperti alla concorrenza. In sostanza, la possibilità per le imprese che godono di particolari benefici o che operano in condizioni di esclusiva, di effettuare sussidi incrociati verso quelle attività svolte in regime di concorrenza potrebbe produrre l’aberrante effetto di porre nel nulla quel grado di concorrenzialità che tanto faticosamente è stato introdotto dai processi di liberalizzazione. Allora le valutazioni positive che si possono fare sulla scelta delle imprese locali di migliorare le proprie performance attraverso una politica di diversificazione dell’offerta, anche con beneficio dei consumatori, devono essere ridimensionate dalle osservazioni che precedono. O meglio si impone la necessità di individuare le garanzie idonee ad evitare che la prassi dei sussidi incrociati possa comportare vantaggi ingiustificati in particolare nei confronti delle aziende speciali e delle s.p.a. miste(26), considerando che oltretutto queste (24) Accrescere la competitività delle imprese che operano nel settore dei servizi locali deve certamente costituire un obbiettivo primario a fronte del pericolo che tali mercati, a seguito della liberalizzazione e dell’introduzione degli strumenti di affidamento ad evidenza pubblica, diventino preda delle più agguerrite concorrenti straniere. (25) A tale riguardo si veda l’illuminante parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 18 gennaio 2001, AS208, in Boll. n. 3/2001. (26) Il dato fattuale di comune percezione è che nell’ambito delle gare per l’affidamento dei servizi svolti in regime di concorrenza, i concorrenti privati non riescono a competere proprio con le società miste che beneficiando di particolari privilegi sui mercati regolamentati. 7 ultime si trovano a beneficiare, nella fase di passaggio dalla forma di aziende speciali a quella di s.p.a. miste, di ulteriori agevolazioni che di fatto possono porre in netto svantaggio i potenziali concorrenti privati. In particolare il già l’art. 3, comma 69 della legge del 28 dicembre 1995, n. 549 prevedeva l’esenzione totale da imposta di bollo, registro, incremento di valore, ipotecarie, catastali ed in genere per tutte le operazioni (trasferimento di beni, dritti, aziende) volte alla trasformazione delle aziende speciali in s.p.a. a prevalente capitale pubblico locale o a capitale pubblico non maggioritario; mentre il comma 70, art. 3 della stessa legge prevedeva un’esenzione di durata triennale da IRPEG e ILOR per s.p.a. a prevalente capitale pubblico locale costituite ex art. 22, l. n. 142/90. Il regime di moratoria fiscale per le società miste a prevalente capitale pubblico è terminato, ma il T.U. n. 267/2000, all’art. 115, comma 6, ha nuovamente stabilito che <<il conferimento e l’assegnazione dei beni degli enti locali e delle aziende speciali alle società di cui al comma 1 sono esenti da imposizioni fiscali dirette e indirette, statali e regionali>>. Tale previsione è inoltre contenuta anche nell’art. 23 della Finanziaria per il 2002. Inoltre l’art. 13 bis della l. 15 marzo 1991, n. 80, di conversione del d.lgs. 12 gennaio 1991, n. 6, ha previsto che per i trasferimenti di beni dai comuni, province e loro consorzi ad aziende speciali o società per azioni costituite per la gestione dei servizi pubblici, <<gli onorari previsti per i periti designati dal tribunale per la relazione di stima di cui all’art. 2343 del c.c. nonché gli onorari per i notai incaricati della redazione degli atti conseguenti ai trasferimenti di cui al comma 1 sono ridotti della metà>> (disposizione abrogata dall’art. 274 del T.U. n. 267/2000). La stessa considerazione è valida anche nei confronti delle aziende speciali multiservizi la cui maggiore competitività può in realtà dipendere non da una maggiore efficienza bensì dal fatto che tali aziende sono destinatarie di benefici fiscali e di sovvenzioni erogate dall’ente territoriale (di cui sono promanazione) per la copertura delle perdite di gestione. Le soluzioni che potrebbero consentire il superamento della descritta situazione di impasse sono: 1) la separazione contabile tra le attività regolamentate e le attività svolte in concorrenza; 2) la separazione societaria; 3) la ridefinizione, ad opera delle norme di settore, degli spazi in cui è praticabile una gestione concorrenziale dei servizi, procedendo ad una più corretta identificazione dell’estensione dell’intervento pubblico; 4) la necessità che i criteri di aggiudicazione previsti nello stesso bando di gara per l’affidamento del servizio siano definiti in modo da minimizzare l’entità del sussidio. Mentre le prime due soluzioni sono ovviamente alternative fra loro, le ultime due indicazioni dovrebbero costituire un criterio orientativo generale. Se da un lato la separazione contabile attraverso un sistema di rilevazioni contabili ed extracontabili specifico per l’attività da gestire separatamente impedisce il transito surrettizio di utilità patrimoniali, la separazione societaria, dall’altro, comportando anche una separazione gestionale, preclude il transito di utilità anche non strettamente finanziarie (trasferimento di beni, utilizzazione del know how). La separazione societaria persegue dunque, in modo più netto, il risultato della separazione tra attività regolamentate ed attività non regolamentate e pertanto sarebbe preferibile.. A tale proposito va ricordato che il disegno di legge n. 4014 di riforma degli art. 22 e 23 della l. n. 142/90 (non approvato) prevedeva che nel caso di gestione da parte di un unico soggetto di più servizi nel medesimo ambito, o 8 dello stesso servizio in diversi ambiti territoriali o di attività aggiuntive non strettamente connesse al servizio pubblico dovesse essere obbligatoria la separazione contabile(27). Tale disposizione non è invece presente nel testo della Finanziaria per il 2002 attualmente in corso di approvazione. Invero nelle more dell’approvazione del progetto di riforma dei servizi pubblici locali è intervenuta una importante modifica legislativa di cui occorre individuare la portata. Si tratta della l. del 5 marzo 2001, n. 57, recante “Disposizioni in materia di apertura e regolazione del mercato”, che all’art. 11, comma 3(28) stabilisce che le imprese che per disposizione di legge esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, qualora intendano svolgere attività in “mercati diversi”, operano mediante società separate. Non è azzardato ritenere che il legislatore abbia pensato tale disposizione (di portata peraltro generale) proprio con precipuo riferimento al settore dei servizi pubblici locali dove, come abbiamo sottolineato, sta crescendo la tendenza delle società miste ad espandere il proprio ambito di attività attraverso le società multiservizi, divenendo temibili competitori degli operatori privati che non possono contare sui medesimi privilegi. Al di là degli intenti va detto però che la legge n. 57/2001 è frutto di una pessima tecnica redazionale e presenta numerose difficoltà interpretative. Senza entrare più di tanto nel merito dei contenuti e della critiche alla nuova normativa, un primo dubbio da risolvere riguarda la definizione del suo campo di applicazione, ossia occorre stabilire che cosa si debba intendere per “mercati diversi”. La diversità potrebbe venire in rilievo sotto vari aspetti: si potrebbe trattare di diversità di natura giuridica (mercati non regolamentati), di natura merceologica o diversità territoriale. L’interpretazione preferibile è la più estesa che comprende tutte quelle ipotesi in cui le imprese che operano in un mercato regolamentato decidono di esercitare un’attività non regolamentata, o un’attività regolamentata ma in mercati di versi merceologicamente o territorialmente. L’ambito di applicazione della legge è generale sebbene essa si scontri con l’esistenza di norme di settore che hanno elaborato soluzioni ad hoc che vanno dal divieto per l’impresa che opera su un mercato regolamentato di estendere la propria attività a mercati non regolamentati, alla separazione societaria o alla separazione contabile: ad esempio il d.lgs. stabilisce che Enel possa mantenere la nuda proprietà della rete mentre l’affidamento della sua gestione deve avvenire nei confronti di un soggetto indipendente; oppure il d.lgs. n. 164/2000, ha imposto la separazione contabile o societaria tra l’attività di separazione e quella di vendita a seconda del numero di utenti serviti dall’impresa. In realtà a livello locale sono ancora molto poche le normative di settore che dettano apposite soluzioni, per questo motivo il campo di applicazione della l. n. 57/2000 sembrerebbe dedicato soprattutto all’ambito dei servizi pubblici locali. Ciò nonostante risulta difficile immaginare una diretta operatività della citata disposizione a livello locale, infatti, a seguito della (27) Nache l’art. 41 del d.p.r. del 4 ottobre 1986, n. 902, recante “Approvazione del nuovo regolamento delle aziende speciali dei servizi dipendenti dagli enti locali” stabilisce l’obbligo per l’azienda speciale, che gestisca più servizi, di rilevare separatamente i costi e i ricavi riferibili a ciascun servizio, tale previsione però si inserisce però esclusivamente nell’ottica di consentire all’ente locale del risultato economico di esercizio con riferimento a ciascuna gestione. (28) L’art. 11, comma 3, l. n. 57/2001, modifica l’art. 8 della l. del 10 ottobre 1990, n. 287 (istitutiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato). 9 modifica del Titolo V della Costituzione, avvenuta con legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, nel quadro del decentramento di determinate competenze del governo centrale alle autonomie locali, sono state ridefinite le competenze di Stato e Regioni fra le quali non rientra la materia dell’organizzazione dei servizi pubblici locali che è rimessa alla libera scelta delle Regioni. Allora l’unico modo di riconoscere una portata applicativa della norma in esame anche a livello locale dovrebbe passare per una sua valorizzazione sotto il profilo della tutela della concorrenza del mercato, materia quest’ultima espressamente attribuita allo Stato dall’art. 117 del testo costituzionale, così come modificato dalla l. n. 3/2001. 10