POLEMICHE Italiani in pericolo
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POLEMICHE Italiani in pericolo
POLEMICHE POLEMICHE Edizioni di Critica Fascista dirette da Giuseppe Bottai e Gherardo Casini Polemizzare oggi, pariendo da chiare e ¿reamovibili premesse politiche, e col proposito di promuovere ed accelerare la circolazione delle idee, la selezione delle verità dai mili di stoppa, significa contribuiré alia cosfruzione e non minacciare la distruzione, assumere in proprio delle responsabilità e non procederé a pie' leggero dietro alia jatica degli altri. (dal progranuna di « Polemich« ») Di prossima pubblicazione : GHERARDO CASINI : Rapporto sulle o § >-. i O) •Ka F. DAL PADULO n O Italiani in pericolo cose d'Italia. La scuola media e il Fascismo. BERTO RICCI : Lo serittore italiano NINO SAMMARTANO: Lire cinque %^^lw^) POLEMICHE edizioni di CRITICA FASCISTA dirette da Giuseppe Bottai e Gherardo Casini , F. DAL PADULO Italiani Proprietà letteraria riservata Copyright 1930 by Critica Fascista, Roma TIP. ARTE DELLA STAMPA, ROMA ROMA _ ANNO IX : 20^.193 i 9 Q i:> Q r •' o ú a eJ ö t n \¡y PREMESSA Questo volumetto è stato scritto — come i lettori rileveranno — mentre era in corso Vorganizzazione del Congresso degli Italiani all'estero. Nonostante che tale Congresso sia stato rinviato al 1932, abbiamo ritenuto opportuno di non modificare in nulla il nostro lavoro, sia perché il rinvio è venuto a darci ragione; sia perche gli accenni al Congresso annullato hanno valore anche per il Congresso futuro. F. D. Con un avvicendamento razionale, tutti i grandi problemi italiani, da quaîido governa il Fascismo, vengono proiettati sullo schermo nazionale. NeU'ordine délia successione dei quadri nulla è lasciato al caso ed alla improvvisazione; tutto, invece, è predisposto con chiarezza di fini e con precisione di volontà. Il Fascismo sa fare ogni cosa a suo tempo, avendo il senso délia perfetta tempestività. Sullo schermo nazionale sta per passare l'emigraaione, che è un grande e difficile proble- 10 11 ma italiano. La presentazione al paese avrà luogo nell'ottavo anniversario délia Rivoluzione délie Camicie Nere. Giorno ben scelto, perché la storica ricorrenza, richiamando il popólo nostro alla celebrazione délia Rivoluzione, trova lo spirito nazionale particolarmente aperto a cogliere i segni dello stile nuovo délia política emigratoria, che ha subito, anch'essa, un rivolgimento. Vi è, infatti, da otto anni in qua, uno stile profondamente nuovo anche nella política delremigrazione. Il Fascismo ha capovolto i termini del problema emigratorio, cancellando gli errori — anzi, le colpe — dei Governi precedent!. Non sappiamo se questo il popólo italiano lo sa, o, per lo meno, se lo sa abbastanza; abbiamo dei timori al riguardo, perche la stampa italiana, seconde noi, non si è occupata del problema deU'emigrazione quanto avrebbe dovuto, e continua a non occuparsene quanto sarebbe necessario; quando se ne è occupata, non lo ha fatto col corredo di una conosoenza e di una competenza adeguate. Quante volte gli Italiani ail'estero hanno trovato, sui giornali nostri, degli articoli a loro riguardo, dai quali hanno tratto motivi piuttosto di irritazione che di compiacimento ! Di pochi problemi nostri si è paríalo cosi sovente, come di quello deU'emigrazione, con sorprendente leggerezza, specialmente dagli inviati speciali. La vita dell'emigrate italiano è complessa ed i suoi autentici aspetti non possono essere colti nelle veloci scorribande degli inviati speciali. Per compréndeme almeno qualche cosa, bisogna vivere all'estero e vivervi lungamente, senza di che non si puô far sfoggio che di superficialità e di luoghi comuni. Ci è accaduto, ad esempio, di leggere, datati dalla Francia, certi saggi giornalistici « spèciali » che non ci hanno messo di buon umore. Mica perché vi si parlasse male deU'emigrazione; anzi, perché di essa si parlava troppo bene, ma non a proposito. Ricordiamo, fra altro, che in certi « pezzi » non mancava che la proposta di un monumento per premiare convenientemente l'opéra di certi Italiani che, in quel di Arles, di acquitrini hanno fatto terre féconde. Altri colleghi girovaganti hanno constátalo che a Nizza, a Marsiglia, a Tolosa, a Lione, a Nancy, a Metz, a Lilla ed a Parigi gli Italiani stanno benone. Come va in Francia? Tutto bene! Salute di ferro; tenace volontà di lavoro; morale altissimo; i Francesi ci vogliono bene e... vi salutano tanto! Da tempo 12 crediamo che Mussolini tenga poco al « tullo b«ne », sia ad uso interno che ad uso esterno. Per serviré più fascisticamenle l'Italia ed il suo Duce, non occorre fare lo struzzo; ma si deve guardare in faccia la verilà. Fortunalamente per noi, la verilà si e enormemente modificata in questi ultimi anni. II suo aspelto, pero, non e ancora radioso. Nel quadro, che era assai buio, il Fascismo ha già introdolto molla luce, ma dell'ombra ne rimane non poca. A che vale dire : ce Va tullo bene »? Si puo illudere qualche lettore, ma non il Governo, il quale conosce lo slalo esalto delle cose. Nell'inleresse del paese, l'emigrazione è un pallone che bisogna bucare, non gonfiare. Anche con queslo scopo sonó scrilte queste pagine, le quali non hanno, perianto, la pretesa di illuminare ne Mussolini, ne Grandi. A Loro non abbiamo nulla da rivelare e nulla da insegnare. Sono le nostre pagine, invece, ad uso esclusivo degli Italiani, e, specialmente, di quelli per i quali emigrazione è sinónimo di America. Presentando l'emigrazione come un falso miraggio, si fa opera di utile collaborazione italiana. Non esistono problemi nazionali che un governo possa risolvere senza il concorso dei cittadini, come non esistono batlaglie che un genérale possa vincere 13 senza il braccio dei soldati. Se vi è un problema ove la collaborazione degli Italiani, dell'inlerno e delFesterOj rappresenti un fattore indispensabile, tale problema è quello che intendiamo trattare. Perché nella sua soluzione, più che nella soluzione di ogni altro, ogni cilladino, e specialmente quello emigrato, deve portare le migliori doti délia sua individualita professionale, morale e civile. Per valorizzare il lavoro italiano all'estero e per conservare la fedeltà degli emigrati aile origini nazionali, il Governo nostro puô fare poco più che istruire, consigliare, ammonire sui danni che producono a loro síes si ed alla patria coloro che non si fanno sufficientemente apprezzare come opérai o che non resistono aile lusinghe del baratío del loro cásalo nazionale; ma, in definitiva, è il singólo Italiano che deve metiere in pregio la propria opera, e salvaguardare la propria personalilà civile. L'Ilaliano all'estero deve non farsi salvare, ma salvarsi. II Governo aiuta chi s'aiula. E, quindi, più che mai opporluno che il problema emigratorio sia posto all'ordine del giorno della nazione nelFotlavo anniversario della Marcia su Roma; è opportune ed utile, non solamente per apprendere alla moltitudine le cure morali e gli aiuli maleriali che 14 15 l'Italia Fascista dedica, con crescente misura, agli emigrati, ma anche, e sopratutto, per proclamare e far bene intendere quali sonó i doveri che incombono a chi ha già emigrato e a chi dovesse emigrare. Nelle scuole italiane, un popólo emigratore come il nostro dovrebbe trovare, nel manuale dei diritti e doveri del cittadino, un capitolo in cui fossero incluse norme ed ammonimenti concernenti la condotta degli Italiani all'estero. È troppo evidente la nécessita di formare, sin dalla fanciullezza, una coscienza emigratoria. Intanto, a prospettare i'importanza económica e politica deU'espatrio degli Italiani, a richiamarli alia consapevolezza della loro missione nel mondo, gioverà immensamente la manifestazione grandiosa di Roma. Come è noto, dal 24 ottobre al 4 novembre 1930, Roma ospiterà il Congresso dei Fasci all'estero, nonchè l'adunata délie Delegazioni che le collettività italiane espatriate invieranno da tutte le parti del globo. L'adunata, è facile prevederlo, sarà una imponente e commovente testimonianza di amore tra l'Italia madre ed i suoi figli lontani. Gli Italiani all'estero, patriotti in ogni tempo, anche quando il liberalismo governante non si occupava di loro, sono consci dell'enorme debito che hanno contratto verso il Fascismo e verso il suo Duce; grazie ail'uno ed ail'altro, hanno acquistata un'anima nazionale più grande, più sensibile, più dignitosa, più fiera e godono, neU'ambiente straniero, del prestigio altissimo dell'Italia mussoliniana. A Roma, in mezzo agli Italiani residenti all'estero, Mussolini riceverà un omaggio vibrante di spontaneità e di entusiasmo, ed avrà cosí la prova più manifesta che fra gli Italiani nuovi, da Lui forgiati, quelli deU'estero sono, non meno dei regnicoîi, degni del Suo alto plauso e délie Sue sapienti cure. ASPETTO GENERALE DELL'EMIGRAZIONE ITALIANA IN FRANCIA Il Governo fascista non è contrario all'emigrazione; solamente vuole una emigrazione iatslligente, cosciente dei moi fini, fiera délia sua missione e orgogliosa délia sua razza In queste poche pagine — veramente troppo limitate per dare, come vorremmo, una idea più che succinta della situazione degli Italiani in Francia — desideriamo affermare come assoluta una conclusione sola, e cioè che per migliorare le sorti dell'emigrazione i rimedi salutari sonó sopra tutto tre ; l'unione dei ranghi degli espatriati sotto la bandiera nazionale, la disciplina délie volontà, l'obbedienza agli ordini delle Gerarchie. Miriamo col nostro modesto lavoro a tale conclusione; resta, pero, ben inteso che, esponendo dei problemi o proponendo delle soluzioni, non perderemo mai di vista una cosa, e cioè che se la conoscenza della questione di cui scriviamo, e la purezza delle intenzioui 20 21 che ci animano, possono spingerci ad esprimere delle opinioni, intendiarao che queste siano contenute in un tono molto sommesso, poichè ci rendiamo perfettamente conto che il problema deil'emigrazione, per la gua complessità e per la sua delicatezza, domanda, per esser risolto, molto piu del semplice empirismo. Abbiamo detto che proporremo deiíe soluzioni; preferiamo dire invece, più modestamente, che offriamo a chi del problema ha la responsabilità quel tanto di corredo di informazioni, di osservazioni, di coasiderazioni, che possono esser state raccolte da un fascista vívente da lungo tempo in Francia con gli occhi aperti e con le orecchie tese. L'Italia non potrebbe, come vuole, espandersi nel mondo ed acquistarvi una crescente influenza se tutti gli Italiani rimanessero tappati in casa. Quello che non vuole l'Italia fascista, è una emigrazione raminga, è una emigrazione stracciona. I Governi passati aprivano le frontière e spingevano gli Italiani fuori dei confini della patria, considerando che un emigrato di più fosse un peso di meno pella nazione. Il Governo fascista vuol collocare l'emigrazione, vuole impiegarla giudiziosamente ail'estero, affinchè essa occupi cola «n posto redditizio ed onorevole, con vantaggio dei singoli e della nazione. Che cosa si pensa dei genitori ehe gettano nella strada i propri figli, che li cacciano di casa col pretesto che non vi è pane per tutti? Non li giudichiamo genitori indegni? Perché dovremmo giudicare diversamente un governo che facesse la stessa cosa? Non è forse il Governo che deve dirigere, amministrare, protegger« la famiglia italiana, che deve assicurare ai suoi membri le migliori condizioni di vita materiale e morale? La prova che il Governo fascista non ostacola l'emigrazione si puo fornirla non con delle parole, ma con délie cifre. Con d«lle cifre non sospette ai propalatori delle voci che vo- Si è detto, e si continua a dire, che ii Governo fascista impedisce l'emigrazione. Delle persone che spargono simili voci in mala fede è inutile occuparsi; ma alle persone in buona fede bisogna dire e far toccare con mano che sono in errore. 23 22 gliamo dissipare. Citiamo i dati statistici francesi suU'emigrazione italiana in Francia, dal 1920 al 1929 : Anno » » » » » » » » » 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928 1929 — I îmigrati — » — » — » — » — » — » — » — » — » 77.246 11.542 56.730 112.475 99.155 55.031 38.079 9.906 18.111 22.368 Le cifre che indichiamo sono quelle accertate e controllate dal Servizio francese della mano d'opera straniera, la quale non registra che l'immigrazione degli opérai forniti di un contralto di lavoro. Non vi aggiungiamo l'immigrazione clandestina, che ha raggiunto délie cifre annuali molto considerevoli. Non vi aggiungiamo neppure — ma bisogna tenerne conto mentalmente — il numero dei connazionali che sonó arrivati in Francia con la qualifica diversa da quella di lavoratori, pur essendoli. Dobbiamo dire, inoltre, che non siamo troppo sicuri che le cifre franoesi non siano al disotto della verità, poichè una pubblicazione italiana che abbiamo sott'occhio dice che nel 1920 gli emigranti furono 157.000, montre le statistiche succitate non ne indicano che 77.246. Se non si dimentica che il Fascismo ha conquistato il potere nel 1922, si constata, comunque sia, che la più forte quantità annua di emigrati è passata in Francia dopo che l'attuale Governo esiste. Nel 1923, nel 1924, nel 1925,. le cifre furono più alte che negli anni successivi per due ragioni: per 1'enorme mano d'opera richiesta dalla ricostruzione dei dipartimenti invasi durante la guerra, in primo luogo; quindi, per eccezionale immigrazione di agricoltori italiani nel sud-ovest della Francia. Cessate queste due circostanze eccezionali, l'emigrazione italiana in Francia doveva necessariamente ridursi. Prima della guerra la nostra emigrazione in Francia oscillava tra i 50 mila ed i 60 mila individui. Perche, si domanderà il lettore, il Governo fascista non ha mantenuto, dal 1926 al 1929, l'emigrazione negli stessi limiti? La ragione è questa: prima della guerra — non solamente in Italia, ma in tutti i paesi emigratori — era la pressione demográfica o la spinta económica che determinava Fesodo dalla patria; mentre, dopo la guerra, l'emigrazione venne de- 24 25 terminata dai bisogni dei paesi di destinazione. I paesi che avevano mano d'opera in ecced«nza si sonó accordati coi paesi che ne avevano deficienza. Cosi la Francia stipule, ad esempio, dei trattati di lavoro con l'Italia e la Polonia. Il trattato di lavoro franco-italiano —- pur non tacendo che se dovesse esser rifatto dovrebbe esser migliorato — fu un bene, perché ha garantito, in un certo modo (diciamo in un certo modo, poichè non mancano le violazioni) le condizioni salariali e di assistenza dei nostri emigrati. Prima délia guerra, invece, le porte délia frontiera erano aperte, anzi spalancate, e l'emigrante noatro lasciava la patria per andaré verso l'ignoto. Andava pel mondo, si diceva, a far fortuna; in realtà andava, sovente, verso la miseria. Non vi era, a quel tempo, nessun rapporto regolatore, sui mercati di lavoro, fra la domanda e l'offerta di mano d'opera. Cosí avveniva che le regioni industriali délia Francia erano sature di braccia di emigranti nostri e di altri paesi, i quali facevano ressa aile porte délie officine, mendicando una occupazione al più vile salario. Furono quelli i tristi tempi in cui il nostro operaio era, in Francia ed altrove, mal con- siderato, perché tacciato di concorrente disastroso, in quanto si rassegnava ad accettare qualsiasi salario, il più délie volte inferiore anche a quello ehe avrebbe potuto guadagnare nella patria abbandonata. La nostra emigrazione in Francia presento, nello scorso decennio, fra un anno e l'altro, délie variazioni importanti, perche variarono i bisogni délia produzione francese. Nel 1920, l'immigrazione genérale opérala fu di 193.000 persone, mentre la crisi del 1921 la ridusse a 80.000. Gli anni che seguirono segnarono una ripresa económica e, quindi, anche una intensificazione dell'immigrazione : 195.000 opérai entrarono in Francia nel 1922, 273.000 nel 1923, 265.000 nel 1924. Nuovo ripiegamento della produzione nel 1925, che fa discendere l'immigrazione a 176.000 individu!; nel 1927 si ripetè la grave crisi del 1921; per cui, mentre nel 1926 gli immigrati furono 162.000, nel 1927 precipitarono a 64.000. 26 27 Confróntate queste oscillazioni generali e vedrete che coincidono con le oscillazioni dell'emigrazione italiana. Si puo concludere, dunque, che il Governo fascista ha fornito sempre alia Francia tutti gli opérai da essa richiesti. Se nel 1928 e nel 1929 non entro in Francia un maggior numero di opérai italiani, e perché un maggior numero non fu richiesto. Perche non fu richiesto? Non ve n'era nécessita? Non osiamo rispondere affermativamente a questa ultima demanda. Siamo indotti a supporre che la Francia abbia preferito indirizzarsi aítrove, per non corrispondere agli opérai nostri i salari richiesti dal nostro Servizio dell'emigrazione. Eppure si trattava di salari equi, inquantochè dovevano corrispondere semplicemente ai salari allora vigenti in Italia, convertiti in franchi al tasso del cambio. Mente di più ragionevole e niente di più legittimo; essendo inconcepibile che gli opérai emigrino per guadagnare meno di quanto guadagnano in patria. Malgrado l'ineccepibile lógica di tale principio, gli industriali francesi di diversi dipartimenti — soprattutto del Sud e del Sud-Est della Francia — non vollero aderirvi se non in caso di insormontabile ne- oessità, pretestando che i salari richiesti dall'Italia erano superiori a quelli consentiti e praticati nel quadro económico locale. Il Governo italiano fermamente deciso a non deprezzare l'emigrazione non ha ceduto e mérita, per la sua fermezza, la più incondizionata approvazione. La sua resistenza, nel difendere il giusto prezzo del lavoro italiano, fu tanto più meritoria in quanto si manifesto in quel periodo di tempo in cui l'Italia avrebbe avuto un particolare interesse a scongestionare il suo mercato di lavoro. Era il tempo nel quale, a causa della stabilizzazione della lira, la produzione italiana subiva l'inevitabile crisi di adattamento. Ma non vi sonó contingenze sfavorevoli che possano indurre il Governo fascista a transigere con la dignità nazionale! Colla sua irremovibilità, l'Italia ha dimostrato quanto abbia a cuore l'intéresse económico ed il prestigio dei suoi lavoratori. Un qualsiasi govemo democrático, più accondiscendente, non avrebbe esitato a sacrificare all'egoísmo degli industriali francesi i nostri emigranti. Quello della difesa dei salari e stato il più istruttivo dei contrasti che potesse verificarsi fra la « tirannia » fascista e la « democrazia » repubblicana. 28 Quanto abbiamo esposto ci pare più che sufficente per dimostrare, inoppugnabilmente, che il Fascismo non si è mai opposto all'emigrazione. All'emigrazione devesi, in larga parte, l'introduzione all'estero dei prodotti italiani. Non ê l'emigrazione che ha fatto conoscere ed apprezzare i generi alimentari italiani, che sonó tanta parte delle nostre esportazioni? Non ne ê essa stessa una forte consumatrice? Il Fascismo è, anzi, favorevolissimo all'emigrazione; solamente vuole una emigrazione intelligente, cosciente dei suoi fini, fiera délia sua missione, orgogliosa délia sua razza. Va bene, per la Francia; ma, ci si dira, parlateci un po' dell'emigrazione in genérale? Non contesterete che essa è enormemente diminuita. Non è contestabile che l'emigrazione italiana sia diminuita e non è neppure da deplorarsi. Nell'anteguerra gli emigrati nostri raggiunsero, annualmente, délie cifre imponenti, spaventose. Vi furono anni in cui non meno di un milione di persone presero la via dell'estero. Erano gli anni in cui sulle frontière del Regno venne issata la scritta : uscita libera! mentre, contemporáneamente, sulle frontière 29 degli Stati di immigrazione esisteva questo altro cartello: libera éntrala! Quindi, andarsene dall'Italia era facile: oltre le spese del viaggio non occorreva che un po' di forza d'animo per allontanarsi dal campanile paegano ed un po' di ardimento per affrontare l'ignoto. Oggi, e da parecchi anni, non è più cosí: le porte di entrata sono state socchiuse, e di altrettanto si è dovuto socchiudere la porta di uscita. Ovunque l'immigrazione è stata contingéntala o disciplinata : non si puo più andaré dove si vuole e nel numero che fa piacere. Non dobbiamo lagnarci troppo delle restrizioni straniere all'afflusso emigratorio. Quando il Fascismo ha preso le redini dell'Italia, ha visto subito che nel campo deirincremento délia capacita económica délia nazione vi era un immenso lavoro da svolgere. Le barriere rigide ed egoistiche opposte alla nostra emigrazione, se non hanno créalo il problema — che Mussolini aveva scorto assai prima — lo T 30 Hanno perô reso assai più visibile, più grave, più urgente. II disegno che il Duce aveva tracciato come progetto di sviluppo económico mediato, diventô, quasi improvvisamente, una nécessita immediata, indilazionabile. Guai all'Italia se, nell'acuirsi della contingenza, l'ordine, la disciplina, il dinamismo fascista non si fossero trovati a pie' d'opéra. Senza Mussolini, cd in pieno disordine democrático — democrazia e preludio di anarchia — certamente non avremmo fatto alcun passo iunanzi; ma, dilaniati dalla risga politica e sconvolti dalla guerra social«, ne avremmo fatti molti indietro. Gli Italiani che si lagnano della crisi económica che li riguarda, non la confrontano abbastanza con quella, assai più grave, di altri paesi, che pur vantano risorse naturali infinitamente più abbondanti ed una attrezzatura produttiva più anziana, più vasta e più solida di quella della giovane nazione nostra. Sopratutto, non tengono abbastanza conto che se l'Italia ha délie difficoltà economiche, malgrado che una voloutà concorde di lavoro e che uno «pirito di collaborazione unisca le classi sociali, ben altre sarebbero le sue condizioni, qualora nelle officine, negli uffici, nei campi regnassero, invece dell'intesa, dei conflitti ge- 31 nerati dal particolarismo degli interessi e dall'odio fra i fattori della produzione. Se col Fascismo, l'Italia soífre di una indisposizione, senza il Fascismo sarebbe in agonia. A questa conclusione si giunge non per via di supposizioni, ma col corredo di cifre eloquentissime. Abbiamo circa 350 mila disoccupati; ma pensiamo con terrore che la loro quantità sarebbe smisuratamente superiore se Mussolini, mettendo in valore le risorse italiane, non avesse sviluppata la possibilité di assorbimento della nostra mano d'opéra. La media annuale degli emigrati, dal 1923 al 1929, fu di centomila persone, mentre la media annuale del settennio precedente la guerra fu di ottocentomila persone. Anche trascurando l'incremento demográfico in ragione di 400 mila anime ail'anuo, risulta che l'Italia fascista ha creato del lavoro, in sette anni. per circa cinque milioni di connazionali rimasti in patria in conseguenza délie barriere emigratorie. È questo un superbo titolo di mérito. Non si puô dire che anche un Governo qualsiasi del pre-Fascismo avrebbe fatto altrettanto. Eh! no, non lo si puô dire! I Governi precedenti proclamarono sempre ehe in Italia eravamo îM 32 33 troppi, fin dai remo ti tempi nei quali eravamo invece, molto pochi. Non lo si puô dire, perché se la política fascista ha proclámalo che il numero e potenza, per la política liberale il numero fu sempre debolezza. Fra i tanti rinunciatarismi che furono esiziali all'Italia, il rinunciatarismo demográfico non fu il meno dannoso. Già quando eravamo 30 milioni, ed anche meno, si diceva che l'Italia non aveva pane sufficiente per tutti i suoi figli, mentre Mussolini non teme di far mancare il pane a 60 milioni di Italiani ! Le restrizioni immigratorie ci hanno colti in un momento un po' delicato, in dipendenza del marasma económico mondiale ed in conseguenza dell'inevitabile travaglio relativo al nostro assetto produttivo, conseguente all'adeguamento imposto dalla stabilizzazione monetaria; ma se noi asseconderemo diuturnamente e risolutamente l'indomabile volontà e l'alto senno del Duce, le avverse e temporanee contingenze potranno, tutt'al più, rallentare, non mai fermare il cammino verso la meta radiosa, che è iœmancabile. Se gli eventi occasionali vogliono che la conquista del nostro benessere sia un po' più faticosa, sia fatta la loro volontà : non sarà, dopo tutto, che più meritorio il nostro finale trionfo. È indubitato, pero, che se delle norme restrittive non fossero state adottate dai paesi di immigrazione, avremmo dovuto escogitarne noi stessi per disciplinare l'emigrazione italiana. —- Ah ! basta di questo sangue italiano a buon mércalo ! Ha sacrosantamente ragione Mussolini, come sempre! Ne abbiamo dalo molto a tullo il mondo, del sangue italiano, ed in complesso abbiamo fallo una catliva operazione. L'emigrazione, come la nostra, prevalenlemente opérala, puô essere súbita, ma non deve mal essere incoraggiala. Se si compila il conto del profitti e delle perdile, ne risulta invariabilmente un pessimo affare. II benefizio económico non compensa il danno demográfico. Non c'è vantaggio alcuno a fare del prestili, quando, per percepire un interesse, si corre il rischio di perderé il capitale. È il rischio che corriamo con la nostra emigrazione in Francia. Se dicessimo dei nostri emigrali sul suolo délia Repubblica : Pavera gante! lontana da' suoi, In un paese qui che le vuol maie... 34 35 chissà quanti dei nostri cugini protesterebbero. Eppure non diremmo che la semplice verità. Oh, i Frances! dicono di amarli, i nostri emigrati, e credono, sinceramente, di voler loro molto bene. Dobbiamo, appunto, lagaarci che ii amino troppo, gli Italiani che ospitano. Noi vorremmo che rimanessero, per loro, dei cugini; i Francesi vorrebbero farne, invece, dei fratellastri. Ci amano, dunque, i Francesi; ma a loro modo. íl loro amore è di un genere che non ci conviene. Ci amano, védete, come noi tutti amiamo i polli, che nutriamo per nutrircene. L'on. Polverelli, relatore del bilancio degli esteri, si consola che le naturalizaazioni siano in dimimjzione : erano, seconde il riassunto che délia sua relazione hanno fatto i giornali, 8410, neî 1927, discesero a 7693, nel 1928 ed a 6506 nel 1929. Non abbiamo trovato a Parigi cifre relative al 1927; ma quelle che ci sono state fornite per il 1928 e per il 1929, si avvicinano molto aile sopracitate : 6728 per lo scorso anno e 7892 per Panno precedente. Pero, occorre notare che le cifre stesse non rappresentano che gli adulti, bisogna ad esse aggiungere 3804 donne e 5958 bambini, per il 1928 : di guisa che il totale è di 17.654 Italiani per- duti; nel 1929 perdemmo 3452 donne e 6926 bambini, in complesso 16.026 connazionali. Constatiamo con viva soddisfazione la diminuzione, alla quale, perô, l'on, relatore del bilancio degli esteri atíribuisce una causa su cui vi sarebbe da discutere. Sia o non sia essa dovuta all'interdizione dell'espatrio délie famiglie degli emigranti, una cosa è sicura : non è estranea, alla diminuzione, la nuova e più forte coscienza italiana creata dal Fascismo ed il prestigio immenso che Fltalia mussoliniana si è conquistato all'estero. Con quella virilità d'animo che il Fascismo esige da noi, dobbiamo dire francamente che la diminuzione che si registra non ci permette ancora di esprimere, quanto vorremmo, il nostro giubilo. Vi sono due ragioni che lo attenuano : la prima, è che la diminuzione délie naturalizzazioni nel 1929, rispetto al 1928, fu genérale; la seconda è ehe, per ritenere la diminuzione decisiva, bisognerebbe che una corrispondente diminuzione si fosse verificata nel numero délie domando preséntate negli anni suddetti, anziehe su quello délie naturalizzazioni concesse. Nel 1928 gli stranieri adulti naturalizzati furono 25.450, nel 1929 non furono che 22.411. 36 37 Non si deve dimenticare, perô, che in Francia si sono elevate délie critiche per la lentezza con cui l'ufficio délie naturalizzazioni, dipendente dal Ministero délia Giustizia, sbrigava il suo compito. Dio volesse che la diminuzione délie naturalizzazioni, almeno nei riguardi nostri, fosse effettiva; ma non si puô escludere che dipenda da incagli burocratici. L'interdizione di far espatriare le famiglie, applicata dal primo gennaio 1928, ha una durata troppo breve ancora per poter giudicare l'influenza che essa puô avère in bene o in maie sulle naturalizzazioni. Del resto, è evidente che lo stimolo che dovrebbe esercitare sugli emigrati, per risospingerli verso la patria, non appena «saurito l'impegno stabilité nel loro contralto di lavoro, non puô essere costante nel tempo ed uniforme nell'efficacia. Lo sprone sara tanto più efficace e ad esso gli emigrati ubbidiranno tanto più dócilmente, quanto maggiori appariranno ad essi le possibilità di poter impiegare le loro braccia nel Regno. Comunque, è incontestabile che il nostro Ministro degli Esteri, impartendo istruzioni affinchè il diritto di riespatrio, per i connazionali residenti all'estero, sia irrecusabile, ha risolto una délie più importanti questioni deU'emigrazione. Senza voler menomamente diminuiré le prerogative délie competenti autorità nel disciplinare il passaggio délie frontière nazionali per Testero e dall'estero, si puô affermare che fra i vari mezzi che possono concorrere a mantenere i vincoli fra gli emigrati e la madre patria, qriello di facilitare le intercomunicazioni è, senza possibilità di dubbio, uno dei più efficaci. Il Governo nostro, che solo possiede i molteplici elementi su cui basare la decisione e che di questa ha, e sente, tutta la responsabilità, puô solo misurare quale sia l'ampiezza del vaheo da concederé in relazione ai tempi ed alle circostanze; a noi sia únicamente concesso di esortarlo, in ogni caso, a peccare piuttosto nelFecccsso che nel difetto delle agevolazioni. È un assioma che l'emigrazione costituirà un fenómeno tanto meno nocivo al nostro paese, quanto più continuo sarà il contatto che la massa degli emigrati potra mantenere con la patria. 1. LA MANO D'OPERA ITALIANA NEI VARI DIPARTIMENTI FRANCESI h :20yi193M J Dalla Sttvoia a Nizza, da Marsiglia a Bordeaux, dal Nord ricostruito a Parigi, il lavoro italiano « una continua offerta alla prosperity francesa Se si pensa che l'emigrazione dovrebbe costituire una dilatazione dei confini economici morali e politici della patria; se si considera che la migliore emigrazione dovrebbe esser costituita da collettività volanti, da masse mobili, da distaccamenti di popolazione italiana in temporánea missione nei vari settori dell'economia intercontinentale, si rimane profondamente attristati quando si riflette aile innumerevoli città... italiane che l'emigrazione nostra ha formato in ogni parte del mondo. Fra le più popolose città cosidette italiane sono da citare, fuori d'Europa, le nostre colonie di NuovaYork, di Buenos-Aires, di San Paolo del Brasile e di altre località nord e sud-americane. 42 43 In Europa, la nostra maggiore emigrazione è concentrata in Francia. Non v'è dipartimento francesa che non ospiti degli Italiani. E son fior di Italiani ! Per vigore fisico, è una parte selezionata délia nostra popolazione operaia. Non emigra chi non è forte. Di tanto in tanto i giornaii francesi protestano contro l'affollamento degli ospedali da parte di opérai stranieri. Se anche la loro protesta è fondata, ha il torto di esser generalizzata. Sarebbe preferibile che specificassero di quali stranieri si tratta. Si persuaderebbero, specificando, che là percentuale degli ammalati italiani è inferiore agli ammalati francesi, per tre motivi : in primo luogo, perché non vanno verso l'ignoto che i sani; in secondo luogo, perché le constatazioni mediche eiïettuate aile frontière attestano che non imprestiamo alla Francia che opérai validi; in terzo luogo, perché la razza italiana adulta è più solida délia corrispondente razza francese. Abbiamo sotto gli occhi una tavola comparativa délia mortalità francese (1920-1923) e délia mortalità italiana (1921) dalla quale risulta che i quozienti dei rispettivi decessi per ogni mille uomini erano i seguenti : a » » » » » » » » » » 20 anmi 25 » » 30 » 35 40 » 45 » » 50 55 » » 60 65 » » 70 di età » » » » » », » » » » » » » » » » » » » » Francia ItalU 6,39 6,50 6,60 7,54 9,30 10,79 14,30 20,05 28,31 40,48 65,12 5,64 6,10 5,54 5,90 6,75 8,44 11,18 15,40 22,86 34,84 58,57 In virtù délia selezione naturale e medica che l'emigrazione rappresenta, il quoziente italiano di mortalità sarebbe molto più basso se fosse calcolato sulla esclusiva massa degli espatriati. Se fosse vero, quindi, che i nostri emigrati, al pari degli altri stranieri, affollano gli ospedali francesi, sarebbe molto più legittima una protesta da parte nostra, in quanto che il fatto proverebbe che la Francia non offre ai nostri connazionali quelle indispensabili condizioni di vita che valgano a mantenerli nelle stesse condizioni di vitalità in cui essi le furono confidati. Non è inutile provare ai Francesi — come facciamo colle statistiche surriferite — che il 44 45 materiale umano che l'Italia ha ad essi fornito, e fornisce, e di prim'ordine. Alie contestazioni sulla qualità délia « mere« » bisogna reagire, perche non hanno che lo scopo di rinfacciarci una doppia « generosità » che noi non possiamo e non dobbiamo riconoscere : la generosità dell'occupazione lavorativa per i sani e la generosità délia degenza per i malati. La Francia, pur sapendosi in continuo impoverimento demográfico a causa délia crescente mortalità; pur sapendo che per i suoi bisogni industriali, commerciali ed agricoli, deve fare appelle sempre più largo alla mano d'opéra straniera; pur sapendo che senza la mano d'opéra straniera non potrebbe mantenere in efficienza la sua attività económica, non potrebbe conservare il rango di grande potenza, non potrebbe vivere, insomma, la Francia, pur sapendo tutto ciô, non attesta verso l'immigrazione la riconoscenza che questa meriterebbe. Abbi^mo detto a quali caratteri di temporaneità dovrebbe corrispondere la nostra emigrazione; ma essi, purtroppo, non si riscontrarono in larghe zone délie collettività italiane che si trasferirono in Francia anteriormente al Io gennaio 1928; data alla quale il Go- verno fascista adottô le misure opportune per impediré l'emigrazione stabile. Con tali misure l'emigrazione ha assunto una fisonomía nuova che ispira maggior fiducia. Delle perdite demografiche ne lascieremo anche sulla nuova via che il Fascismo ha tracciato, perché evitarle completamente e impossibile. Per non infarinarsi non bisogna entrare nel mulino. Ma, a conforto delle preoccupazioni nazionali, è bene, per ora, che il Governo abbia fatto quanto poteva e doveva. Col mutare dei tempi e delle circostanze, puo darsi che le restrizioni attuali possano essere mitígate. Collo stabilire, alla data del primo gennaio 1928, una netta demarcazione di fini tra l'emigrazione antecedente e l'emigrazione susseguente, non significa che si sia pensato di salvare soltanto quest'ultima e che ci si sia rassegnati a passare l'altra a fondo perduto. Si è, semplicemente, voluto adottare un sistema di risanamento e di raddrizz amento reclamato dalla situazione, la quale esigeva veramente 46 47 die si partisse con un piede nuovo, onde inaugurare una gestione meno fallimentare, pur non rinunziando ai ricuperi délia vecchia gestione. Questa risale ad un'epoca che, per esser assai remota, non è fácilmente precisabile. Prima del 1860, quando il Ducato di Savoia faceva parte degli Stati del Re di Sardegna, muratori e terrazzieri italiani già espatriavano in gran numero. Successivamente, il perforamènto del Moncenisio contribuí a facilitare e incoraggiare l'esodo degîi Italiani, e, specialmente, dei Piemontesi. Nell'antico Ducato di Savoia, all'immigrazione dei Piemontesi seguí quella dei Lombardi, dei Veneti e di altre regioni; ma con un contributo, da parte di queste ultime regioni, infinitamente inferiore alle altre. Solo negli ultimi anni del dopoguerra, molti Pugliesi e Siciliani si stabilirono nel dipartimento dell'Isère. Attualmente abbiamo circa 16.500 connazionali nelîa Savoia, 14.000 nell'Alta Savoia, 35.000 nell'Isère, 8.000 nelle Alte Alpi. I centri urbaui che racchiudono il maggior numero d'Italiani sono Chambéry con 5.000; Grenoble, con 15.000; Annecy, con 3.000; Saint Priest, con 3.000; Modane, con 2.000; Vienne, con 2.000; Decines, con 2.000; Ugine, con 1.500; Thonon-les-Bains, con 1.000; Montier s, con 1.000; Jallou, con 1.000. II resto è sparse in una infinita di centri mineri. Nel dipartimento delle Alpi Marittime esiste una immigrazione italiana non meno antica di quella délia Savoia, per ragioni steriche a tutti note. Nizza, come dicemme altreve, e una città francese senza Francesi; è certe, ad ogni modo, che se Nizza lavera, vive e prospera lo deve al contributo degli stranieri, fra i quali gli ïtaliani costituiscono la massa più importante. La popolazione nimarda era, secondo il censimento del 1926, di 184.441 abitanti, fra i quali 49.799 Italiani. Il censimento non esprime esattamente la realtà; la gtessa Prefettura di Nizza non nasconde che, calcolando gli Italiani a 60.000, non si sbaglia di gran che il calcólo. Secondo il censimente, l'elemento nostro rappresenterebbe il 24,72% délia popolazione totale; secondo la realtà, la percentuale sarebbe del 33,72. Nella attività económica privata, gli Italiani rappresentano una quota moite superiore a quella demográfica, poichè l'elemento francese è largamente assorbito dal funzionarismo nei suoi svariati aspetti e dai servizi pubblici di ogni natura. 48 49 Da Mentone a S. Raffaele, su per giù la stessa densità di popolazione italiana concentrata a Nizza. La Costa Azzurra deve prima a Dio, poi al lavoro italiano, tutto quello che costituisce il suo orgoglio e la sua fortuna. Oltrepassiamo il Varo : altre masse compatte di Italiani. Non meno di 50.000 nel dipartimento. Tolone, La Ciobat, la Seyne, Draguignan ed altre località devono ai nostri lavoratori, rudi, volenterosi e sobri, la loro prosperità. Non parliamo del dipartimento délie Bocche del Ródano. A Marsiglia, come a Nizza, non è il caso di domandarci quanti sono gli Italiani; ma, piuttosto, quanti sono i Franoesi. Marsiglia offre il più completo campionario délie razze umane. Il censimento ne enumera quaranta, e più. La nazionalità italiana non solo è in testa, ma distanzia enormemente tutte le altre. Gli Italiani censiti nel 1926 erano 91.797; ma oggi, sia per il successivo aumento degli immigrati, sia per le nascite, sia per la sólita imprecisione del censimento, si puô calcolare che Marsiglia alberghi circa 125.000 connazionali. In tutti i rami delFindustria, la mano d'opera italiana prevale su quella straniera, e, in certe industrie, perfino sulla mano d'opéra francese. Taie è il caso nelle saponerie, negli oleifici, néi colorifici, nonchè nelle raffinerie di zucchero e di zolfo. I calzolai ed i parrucchieri italiani rappresentano il 60% del totale. Nelle Alpi Marittime, nel Varo, nelle Bocche del Ródano, il contributo italiano all'agricoltura, alla íloricoltura è impressionante. Per avère un'idea délie aziende agricole condotte da Italiani, o come proprietari, o come affittavoli o come mezzadri, basti sapere che la stragrande maggioranza dei lattivendoli è composta di nostri connazionali. Se si esce da Marsiglia, si trova un numeroso, tenace, probo elemento italiano nelle plaghe agricole di Arles e délia Camarga, nelle saline di Berre, nelle miniere di Gardanne, nei cantieri di Port de Bouc, negli stabilimenti di Alais, di Salnis, di Saint-Auban, Nel Gard l'emigrazione, più che altro temporánea, è formata di boscaiuoli e di minatori: gente particolarmente solida, proveniente dal Pinerolese e dal Bergamasco. Il dipartimento dell'Hérault presenta un'emigrazione italiana di vecchia data. Ben po- 50 51 chi sono gli elementi nuovi e quei pochi vi sono stati chiamati da parenti che li avevano preceduti sul posto. La grandissima parte degli Italiani del dipartimento è concéntrala a Sète, che ne è il capoluogo. I nostri opérai di quella colonia sono principalmente addetti aile operazioni portuali di carico e di scarieo e alî'industria deila pesca; molti i hottai ed i carrettieri. Anche in tutte le altre industrie, la mano d'opéra italiana è largamente rappresentata. Saltiamo, momentáneamente, il Sud-Ovest della Francia, al quale dedicheremo più innanzi un capitolo spéciale. Facciamo una breve sosta a Bordeaux, che è, corne Marsiglia, una città dagli abitanti multicolori. Se Marsiglia è cosmopolita, Bordeaux è cosmopolita ed esotica. Nella capitale della Gironda dominano gli Spagnoli; gli Italiani si aggirano sui 3.000 in città e sui 5.000 nel dipartimento. Da Bordeaux diamo uno sguardo ai Bassi Pirene!, ove esistono 2.800 compatriotti; volgiamo verso la Dordogna, che ha 3.000 Italiani; verso le Lande, che ne hanno 1.000; verso la Charente Inferiore, che ne conta 1.000 e verso la Charente, che ne ha 800. Il Consolato di Bordeaux controlla 700 italiani nel dipartimento della Vienne; 1.000 neH'Alta Vienne; nella Vandea 750; nelle due Sèvres 300. Tutti questi dipartimenti sono poveri di industrie ed anche poveri dal punto di vista agricole : terreno ingrato, salari miseri; temperamento degli autoctoni poco confacente al nostro. Per ritrovare gli Italiani in gran numero bisogna dirigersi verso Lione, centro dell'industria delle seterie, dell'industria chimica, dell'industria meccanica, dell'industria elettrica e di tante altre. Lione è il cuore dei bacini industriali del Ródano, della Loira e della Saona. Nei tre bacini gli Italiani sono 60.000 circa, dei quali 40.000, circa, vivono a Lione e nei suoi sobborghi industriali : Aullin, Croix Rousse, Gerland, Villeurbanne, Croix-Luiset, Vaulx-en-Velin, Venissieux, Demi-Lune. Un 10.000 Italiani si trovano a Saint-Etienne, nerastra e monótona; mentre 10.000 sono sparsi nel dipartimento della Loira ed altri 15.000 nel finitimo dipartimento della Saona e Loira. Le nostre colonie variano d'importanza a seconda dell'importanza dei nuclei industriali; cosí, partendo da Saint-Etienne e dirigendosi verso il centro, si incontrano le agglomerazioni italiane di Firminy, di Unieux, di Roanne, e di Saint-Galmier. Pressochè deserta di elemento italiano è la vallata del Gier s, impressionante per il suo 52 53 aspetto árido e torméntalo; ma, supéralo il paesaggio desoíalo, ritroviamo una densa comunilà italiana a Givors, centro industríale che si specchia sul Ródano maestoso, fiancheggialo, su ambe le rive, da imponenti alti forni in piena attività. Per passare dal Sud-Est all'Est délia Francia, Digione è una lappa obbligatoria ; ma non mérita, per lo studio délia nostra emigrazione, di fermarvisi Iroppo. A Digione, più che l'azione, è in onore la parola. Digione è la ciltà degli avvocati, o, per lo meno, è la ciltà dove non si gode di molla considerazione se non si veste la toga. Digione non è neppure, come avrebbe poluto essere, il centro vinicolo délia Borgogna, chè tale litólo spelta a Beaune. Dal Consolato di Digione dipendono circa 5.000 italiani, addetti, specialmenle, all'industria del legname ed a quella délia calce e dei cementi. Più interessante, per noi, è la valíala dei Vosgi, ove i centri italiani più notevoli sono quelli di Mulhouse e dintorni, con 9.000 connazionali, e di Belfort e dintorni con circa 6.000 connazionali. cia e l'Italia. In conseguenza di questo fallo anormale, la mano d'opéra nostra è in condizioni particolarmente disagiate. Gli industriali, avendo le mani libere, se ne servono per comprimere i salari degli opérai, e non solíanlo dei nostri. Per impediré l'esoso sfrutlamento abbiamo messo il catenaccio alla nostra emigrazione verso l'Alsazia; ma, polendolo, avremmo dovuto alzare, fra noi e l'Alsazia, una muraglia ciñese. Attraverso gli aneili del catenaccio gli opérai italiani passano in Alsazia corne prima, più di prima. Non potendo fare dell'immigrazione diretta, gli industriali alsaziani hanno organizzato il transito via Belgio, o trasferiscono gli Italiani da altri dipartimeati francesi. A Strasburgo pochi connazionali, forse 150; ma è in taie citlà che avete l'impressione immediata — e la documentazione, se vi occorre — che l'Alsazia e la Lorena sono deïle provincie francesi maggiormente dotale dalla natura di quanto occorre ad una popolazione per produrre, vivere e prosperare. Per gli industriali, tullo va a gonfie vele, sul Reno; chi non naviga in buone acque è la classe operaia, e chi affoga nelîa miseria è la manovalanza e la mano d'opéra femminile! Solo la mano d'o- Neil'Alsazia, non si sa perché, non è applicalo il Trallato di lavoro esislente fra la Fran- 55 54 •i pera specializzata, per impediré che emigri, e pagata con salari che non sonó di fame. Nancy è la capitale del ferro; il suo territorio — che comprende i hacini di Briey e di Loñgwy — è, si puô dire, una sola immensa miniera, tanta è la frequenza dei pozzi e tale è il prolungarsi délie gallerie che dai pozzi si irradiano. Dopo la guerra, in seguito al danneggiamento délie miniere, alla distruzione délie officine, alla demolizione délie città opérale, non fu possibile un largo reclntamento délia mano d'opéra, la quale era, prima, in larghissima parte italiana. L'immigrazione nostra venne riattivata dopo il 1920, ma anche nel periodo immediatamente successivo a tale anno la richiesta di opérai italiani fu assai iimitata, a causa délia crisi metallurgica imperversante in quel tempo. Oggi, il hacino di Briey conta 15.000 operai italiani, quello di Longwy ne conta 2.000 e quello di Nancy pressochè altrettanti. Nelle miniere di ferro dei tre bacini lavorano circa 7.000 Italiani, mentre non meno di 9.000 italiani sono occupati negli alti forni. Altri 15.000 Italiani sono addetti ad industrie varie e, specialmente, alla industria edilizia. Nel 1913, la mano d'opéra, dal punto di vi- sta délia nazionalità, era cosi ripartita: Francesi, 31%; Italiani, 60%; nazionalità diverse, 9%. Nel 1928: Francesi, 26%; ïtaliari, 35%; Polacchi, 33%; divers!, 6%. Sono, in sostanza, gli opérai polacchi che si sono sostituiti agli opérai italiani. La sostituzione e stata quantitativa, ma non qualitativa; qualsiasi industríale non fa difficoltà a riconoscerlo. Coloro che hanno messo in attività tutti i bacini minerari délia Lorena, coloro che hanno acceso i primi forni siderurgici, sono stati degli Italiani. Furono gli Italiani che scavarono i primi pozzi : furono gli Italiani che costruirono le prime case dei centri minerari. Furono dei Piemontesi, dei Bergamaschi, che si istallarono primi nei villaggi di Villerupt, di Thil, di Hussigny. Le statistiche del 1895 davano già, come presentí nella regione, un migliaio, circa, di Italiani. Attualmente nella regione di Nancy, la pojîolazione italiana puô essere calcolata intorno ai 70.000 abitanti; altri 40.000 connazionali si trovano nel vicino hacino di Metz. Centodiecimila italiani : che imponente, magnifico esercito; che fattore di immensa ricchezza! I Francesi del luogo non si rendono esatto conto dell'enorme valore di tanto contributo itflligno alla prosperità privata e pub- 56 57 blica del loro paese. Per lo meno non ve lo danno a comprendere. Non v'è un po' di nequizia nel credere e nél far credere che il prezzo di un cosí colossale aiuto possa esser saldato neila pagina di un libro paga? Un ringraziamento ail'Italia non sarebbe ne fuor di proposito, ne di troppo! scitato chissà quando! La ricostruzione è mérito non délia Francia, ma dell'Europa, perché tutti i paesi vi hanno inviato i loro opérai. Ben inteso, l'Italia, il Belgio, il Lussemburgo e la Polonia, ne hanno inviato più di ogni altra nazione. Ma mentre l'emigrazione belga e lussemburghese era ed è una emigrazione essenzialmente mobile — almeno centomila operai varcano e rivarcano la frontiera ogni giorno — quelle italiana e polacca sono emigrazioni, purtroppo, stabili. Alla ricostruzione del Nord la Francia ha impiegato 35 miliardi di franchi; ma Fimpiego non fu un grave sacrifizio, ne un grave rischio; poichè fu fatto in un sicuro e lauto investimento. Dalla fine délia guerra in poi, le imposte del dipartimento resero al Tesoro francese molto più di quanto fu speso. Nel Nord gli Italian! sono circa 10.000, nel Passo di Calais altrettanti, nella Somma 5.000. In tutte le nostre colonie del mezzogiorno, del sud-est e del centro della Francia, esiste in misura varía, ma generalmente notevole, un elemento abbiente, con una apprezzabile cultura; ma da Mulhouse a Strasburgo, da Strasburg© a Nancy, da Nancy a Metz, da Metz a Lilla, il panorama sociale délie collettività italiane è piattamente uniforme. Al di sopra del- La visita dell'Est délia Francia lascia una impressione indimenticabile, cosi da farvi pensare aU'impossibilità di ricevere una impressione più sbalorditiva, visitando altri dipartimenti francesi. NeU'Est si ha la prova chiara, manifesta, che la Francia è, in Europa, la nazione che dispone, in maggior quantité, dei minerali di ferro e ehe possiede l'industria siderúrgica la più potente! Entrando, perô, nei dipartimenti del Nord si è colpiti da una nuova e maggiore sorpresa! Ció che si credeva insuperabile, è superato. Nel Nord, veramente, la Francia è all'apice dell'attività e délia prosperita industríale. Senza la mano d'opéra straniera, il Nord, come tutti i dipartimenti invasi, non avrebbe potuto ri suscitare dalle rovine o sarebbe risu- 58 59 la immensa distesa délie nostre masse operaie si elevano poche centinaia di commercianti ed industriali. Tntta fanteria del lavoro, dunque; valorosa alla fatica, proba nel costume, ma insufficientemente inquadrata per résister« ai tentativi di disgregamento nazionale. Ed eccoci, di tappa in tappa, a Parigi, nella immensa e tumultuosa metrópoli. Eccoci, anche, in mezzo alla più numerosa e più fiorente colonia italiana che esista in Francia. Anche la colonia italiana di Parigi si compone, prevalentemente, di elemento operaio; ma l'elemento industríale, commerciale ed intellettuale e cospicuo, di gran lunga più importante che in ogni altra colonia. L'abbondare dell'elemento económicamente e socialmente elevato crea alia colonia italiana di Parigi dei particolari doveri entro e fuori dei suoi limiti. La colonia di Parigi non dovrebbe esser soltanto un modello di organizzazione italiana per se stessa, ma, anche un esempio per le altre colonie. Invece!... Poichè questo capitolo è destinato, più che ad altro, a raccogliere dei cenni demografici, è meglio non uscire dall'argomento. In fatto di demografía, bisogna tener conto, come è già stato notato per altre colonie, anché per la colonia di Parigi -- anzi per la co- lonia della regione parigina — del sólito scarto del 30% tra i dati ufficiali sulla popolazione e la sua importanza numérica effettiva. La regione parigina, o, come è altrimenti chiamata, la grande Parigi, comprende il dipartimento della Senna, nonchè certe zone dei dipartimenti della Seine-et-Oise e della Seine-et-Marne. Per il solo dipartimento della Senna gli uffici prefettorali accusavano, nel 1928, 145 mila Italiani; se vi si aggiunge il 30% per le ragioni anzidette (43.500), se si tiene conto degli Italiani fuori della Senna, ma abitanti località comprese nella regione parigina, se si considera che, in barba alie norme sulla emigrazione, con o senza passaporto, giungono ogni giorno a Parigi, per stabilirvisi, degli Italiani, non si pecca di esagerazione, affermando che i connazionali che abitano Parigi sonó almeno 200.000. Gli Italiani, poi, fuori della grande Parigi, ed entro i limiti della circoscrizione consolare, possono calcolarsi, facendo un conto ristretto, a 50 mila. II Consolato di Parigi estende la propria giurisdizione ai dipartimenti seguenti: Eureet-Loire, Loiret, Indre-et-Loire, Loire-etCher, Sarthe e Yonne. IL DRAMMA ANGOSCIOSO DEGLI ITALIANI NEL SUD-OVEST La cosiddetta « invasione » italiana riel SudOvest, lungi dal rappresentare un beneficio per Vitalia, ed un daimo per la Francia, è stata una operazione disastrosa per noi e fruttiíera per i Francesi. Vitalia si è priuafa di centomila leworatori agricoli e di un patrimonio di mezzo millardo di lire. La Francia ha salvato da morte sicura otto dipartimenti colpiti dallo ¡popólamentó e dolía miseria II Sud-Ovest della Francia si compone di 21 dipartimenti; pero la parte che ha ricevuto in riîevante misura la nostra emigrazione agrícola è limitata ad otlo dipartimenti : Alta Carolina, Alti Pirenei, Tarn e Garonna, Gers, Lot e Garonna, Ariège, Tarn, Lot. La nostra emigrazione venne definita, in Francia 1'« invasione » délie terre del SudOvest. Auguriamo alia Francia di subiré frequentemente di tali invasioni, di cui ha tanto bisogno ! Siamo andati nel Sud-Ovest per richiamare in vita délie terre morte ed invece dei ringraziamenti, che ci erano dovuti, siamo stati pagati col sospetto, e da alcuni, con l'aperta accusa, di aver voluto « conquistare » la regione... 64 Nell'inchiesta che abbiamo compiuta, abbiamo, con dovizia di cifre, documéntalo lo spopolamento del Sud-Ovest. Qui non ricordiamo che aicuni dati tipici. In centoventicinque anni la popolazione francese è aumentata del 57% ; mentre, nello stesgo periodo di tempo, la popolazione del Sud-Ovest è aumentata soltanto dell'uno ed un quarto per cento, Abbiamo citato, inoltre, delle cifre che attestano come otto dipartimenti abbiano perduto, in mezzo secólo, 550.000 abitanti. Secondo il censimento del 1926, la densità della popolazione francese era di 74 abitanti per chilometro quadrato. Scarsa densità, non è vero? Ma che dire, allora, della densità demográfica del dipartimento del Gers, che era del 31,2; di quella del Lot, che era del 32,8; di quella dell'Ariège, che era del 34,1? Nella regione tolosana si verifica, da decenni, un fenómeno di vera e propria evaporazione umana, non compénsala dalle nascite. Mentre il coefficienle medio della natalità francese è del 18 per mille, il coefficienle del SudOvest si aggira, da lempo, interno al 14 per mille. Lo spopolamento ha cause economiche, morali e politiche. Le cause economiche si ri- 65 scontrano nei bassi salari; le cause morali si avvertono nell'esodo della donna, che precede Fuomo verso le grandi città; le cause politiche sono imputabili ad un politicanlismo radicale e socialista, svigorizzante. Nel Tolosano si dà la caccia agli impieghi statali, sovenle compenso di servizi elettorali. Prima della guerra fu la Spagna che riversô nel Sud-Ovesl l'eccedente della propria popolazione agrícola. Fu una emigrazione spontanea, che il dopoguerra, coi suoi maggiori vuoli demografici, palesô troppo insufficienle ai bisogni della regione. Per provocare un più largo afflusso di braccia iberiche sorsero diverse organizzazioni di reclutamento, il quale procedetté abbastanza bene fino a che non si produsse una troppo forte svalorizzazione del franco rispetto alla valuta spagnola. A mano a mano che il franco perdette terreno, l'emigrazione spagnola si affievolî. Oggi l'emigrazione stessa è assai limilala e non oiîre prospetlive di incremento. L'emigrazione italiana cominciô con il decrescere della emigrazione ibérica. La fase iniziale dell'esodo nostro verso il Sud-Ovest risale ai primi mesi del 1921; anzi, delle avanguardie apparvero già negli ultimi mesi del 66 67 1920. La « conquista » cominciô in tale época. Fu un colossale errore dell'Italia prefascista. Le prime famiglie furono chiamate dal Piemonte a cura di proprietari isolati. II loro arrivo attiro immediatamente l'attenzione di altri proprietari, i quali, alia loro voita, si dettero sollecitamente alia incetta dei nostri contadini. Pare che, per primo, sia stato il direttore dei Servizi Agricoli del Gers — tra la fine del 1921 ed il principio del 1922 — ad intravedere la possibilità e l'utilità di una forte corrente emigratoria italiana. persistente, che prometteva non solo del lavoro per tutti, ma terre a volontà per un vilissimo prezzo. Il Sud-Ovest era messe in liquidazione per causa di morte! Le inserzioni sui giornali, gli avvisi murali, la propaganda orale abile ed insistente, ebbero un grande successo. Non solo i braccianti ed i mezzadri, ma coloro che avevano mezzi per affittare e per acquistare, accorsero nella regione toiogana precipitosamente, per non perderé le migliori occasioni. Come nella liquidazione degli scampoli, bisognava affrettarsi per poter fare la scelta più bella. E l'occasione sembrava veramente única. Le terre piemontesi, lombarde, emiliane, venete si vendevano, in quel tempo, 20 mila, 25 mila, e perfino 30 mila lire l'ettaro^ mentre le terre del Sud-Ovest erano offerte ad un prezzo variante fra i 1000 ed i 3000 franchi l'ettaro. Un prezzo da roba rubata! Il SudOvest apparve ai nostri agricoltori come una nuova America; ma più attraente dell'America favolosa, poichè non era neppure separata dall'oceano; bensi era li, a due passi, raggiungibile in poche ore e senza mal di mare! Era la fortuna agognata, sospirata, sognata, a portata di mano! Preparati i piani, si incominciarono ad assorbire le disponibilità del Piemonte, poi si passé nel Bergamasco, indi nel Véneto. Fu una leva in massa. Se si deve parlare di invasori, questa qualifica bisogna attribuirla agli incettatori che invasero il nostro suolo. Nel Sud-Ovest pullularono le agenzie, le quali sguinzagliarono nelle regioni italiane suaccennate un nugolo di arruolatori, quando ancora non potevano contare sull'ausilio degli agenti italiani locali. Nel Nord dell'Italia venne organizzata una pubblicità vistosa e 68 Terre a buon mercato e terre fertili, per giunta. La pubblicità aveva esaltato, iperbolizzato la fecondità del terreno, più prodigiosamente produttivo del biblico Eden. Ai sensali si aggiunse, nel magnificare gli affari, una caterva di altra gente. Anche la nostra Agenzia consolare, che non era allora retta da Italiani, si mise nel ginoco. Vi fu del guadagno e... dell'onore per tutti. Gli Italiani arrivavano a plotoni, incessantemente. I treni, di giorno e di notte, ne conducevano dei vagoni completi. Per quanto fosse numerosa la gente che si occupava di loro, non appariva mai troppa. La condizione indispensabile per concludere gli affari era quells di agiré fulmíneamente. Lasciare liberi i nostri connazionali, anche per poche ore, voleva dire correré il rischio che potessero trovarsi faccia a faccia colla realtà, la quale era assai meno bella di quanto era stata descritta. Cosí i nostri agricoltori vennero ricevuti alia stazione; indi, furono accompagnati, abbindolati, storditi, ubriacati! Ubriacati, e non metafóricamente! Affari del valore di 200 mila, di 300 rnilâ", di 400 mila franchi furono conclusi nello spazio di 24 ore, e non sempre gli acquirent! eb- 69 hero il modo, o il tempo, di visitare preventivamente le loro future proprietà. Si verifico anche il caso che le proprietà descritte nell'atto di acquisto non fossero quelle convenute fra le parti. Cosí pure si produsse questo incredibile fatto : dei connazionali spinsero la loro minchioneria fino a stipulare contratti senza muoversi dall'Italia, senza aver mai visto il Sud-Ovest, e, quindi, tutto ignorando delle terre cómprate; ubicazione, stato di coltura. natura del suolo, genere del clima. Altrove abbiamo illustrato i suddetti casi, citando dei nomi. I fatti a cui accenniamo non sonó negati nel Sud-Ovest; solamente si tenta di farne risalire la maggior responsabilità agli intermediari italiani. Tentativo vano; vi sonó, nello scandalo, delle responsabilità italiane, ma non sono le principali. Se fosse altrimenti lo diremmo, poichè non nutriamo indulgenza alcuna pei filibustieri, anche se sonó nati nel nostro paese. Le colpe degli intermediari italiani sono, nella loro materialità, meno numeróse e meno gravi, anche se, moralmente, più odiose, non avendo esitato ad ingannare la buona fede dei loro.compatriotti. Gli intermediari non si accontentarono di limitare il loro guadagno alla senseria, ma di- 70 71 visero coi proprietari dei terreni degli enormi sovraprezzi : inoltre, dei guadagni illeciti vennero ricavati daU'inganno sulla superficie dei terreni. Molto spesso venne accettata come buona la dichiarazione del venditore, o, per la prova delle superfici indicate nei contratti, venne accettato il riferimento alle indicazioni catastali. Queste indicazioni non costituivano, perô, quella legale ed esauriente garanzia che vi attribuivano i compratori, i quali ignoravano che la legge francese, in dipendenza dell'inegattezza della mappa fondiaria — vecchia di quasi tre secoli — accorda una tolleránza del 20% in più o in meno. Non pochi proprietari si valsero della tolleránza a loro esclusivo vantaggio, facendo menzionare nell'atto di compra-vendita una superficie aumentata del 20%, rispetto a quella indicata dal cataste. Nessun intermediario, e quel che è più grave, nessun notaio, mise in guardia i nostri connazionali contro il sotterfugio. Contro questo ed altri dolosi procedimenti, i compratori avrebbero dovuto premunirsi col corredo di complete e minute informazioni; ma bisogna sapere, per comprendere, se non per giustificare, la loro dabbenaggine, che in grande maggioranza non aveva alcuna spe- cifica esperienza, e che molti mancavano di una pur sommaria conoscenza degli affari. Nel Sud-Ovest, affluirono, infatti, in gran numero i reddituari, gli ex-ufficiali, i professionisti, una varietà di gente, infine, che ritornata dalla guerra senza arte ne parte, cercava nella vita civile una via, una posizione lucrosa, una sistemazione económica. L'incompetenza, in taluni, fu cosí piramidale da poter far loro credere che i terreni da parecchi anni incolti fossero molto più fecondi dei terreni annualmente lavorati. Sembró naturale, agli ignari di agricoltura, che un terreno mantenuto in lungo riposo avesse accumulato in sé una potenza produttiva molto superiore a quella dei terreni sottoposti al ciclo annuale delle culture. Gli spacciatori della fandonia non erano tutti in mala fede, poichè era assai generalizzata la persuasion« che ogni terreno, dovesse, dopo ogni raccolto, esser lasciato in riposo almeno due anni. Prova ne sia che i proprietari italiani, introducendo il ritmo annugle delle colture alternate, furono considerati, per alcuni anni, dei pazzi, e che fra affittuari e mezzadri nostri, da una parte, e proprietari francesi dall'altra, sorsero delle contestazioni lunghe e vivissime. \ 72 Non occorre di più per dimostrare quäle mentalità arretrata, addirittura primitiva, avessero gli agricoltori locali, i quali ignoravano che alimento nutriente per la terra costituissero i concimi chimici. I primi ordini di vagoni completi, passati alle fabbriche dai nostri agricoltori, non ebbero corso, perché i rappresentanti délie ditte fornitrici non li trasmisero, incerti se provenissero da gente priva di ragione, o se fossero frutto di uno scherzo. Gli Italiani furono allettati, corne si è detto, dal buon mercato; ma si trattava di un buon mercato apparente. Salvo rare eccezioni i Francesi vendettero i terreni meno fertili od incolti. Si aggiunga 1'err ore italiano di credere che la fertilità délie terre del Sud-Ovest fosse idéntica a quella délie terre lombarde o piemontesi; si aggiunga ancora l'imprevidenza di non aver calcolato ehe, per mettere in valore terre incolte, era necessario un capitale pari, quasi, a quello di acquisto, e si vedrà ehe, per la maggior parte, gli affari conclusi furono tutt'altro che affari d'oro per gli Italiani. Gli ignari di agricoltura si dimostrarono anche più ignari di metereologia. Se nell'Alta 73 1 Garonna il clima è prevalentemente umido, in altri dipartimenti, invece, la siccità è un flagello assai fréquente. Insomma, i neofiti dell'agricoltura sbarcarono nel Sud-Ovest avendo del prezzo délie terre un senso molto astratto, completamente avulso da tutti gli altri element! inerenti alla produttività del suolo. Il buon mercato avrebbe dovuto essere apprezzato alla stregua di tali elementi. Anche considerate nella sua entità aritmética, devesi dire che passô nel cielo del Sud-Ovest come una meteora. La corsa agli acquisti, l'azione spéculatrice degli intermediari, l'avidità dei proprietari, produssero un immediato vertiginoso rialzo dei prezzi. Malgrado il rialzo, che fu enorme, si continuo a credere che le terre fossero a vilissimo prezzo. La speculazione comincio a decrescere nel 1926, perché, in quell'anno, prese a funzionare F assistenza a favore dei connazionali. Fu da allora che si pote far comprendere — non senza fatica — che non era il caso di precipitarsi negli acquisti. Dal 1926 in poi apparvero i compromessi contenenti la clausola dell'opzione a favore degli acquirenti. Fu una clausola salutare, che permise, agli invasati, di riflettere. II risultato della riflessione fu 74 75 che il 95% dei compromessi rimasero senza seguito. La sproporzione fra l'investimento ed il reddito era apparsa, finalmente, evidente. Tuttavia, il disastro era gia immenso guando venne arginato. Se si sommano le cifre impiegate negli acquisti con quelle impiegate nelle affittanze, ne risulta che non meno di 500 milioni di lire — mezzo miliardo! — furono portad nel Sud-Ovest dalla emigrazione italiana. Vi sonó, fra gli emigrati, di quelli che calcolano l'investimento molto al di sopra della predetta cifra. Ma bastano 500 milioni per dare una adeguata idea dell'importanza del nostro fenómeno emigratorio. Fenómeno disastroso, poichè almeno 170 milioni di lire sono già completamente perduti. Sono stati perduti dall'Italia e sonó stati guadagnati dalla Francia. E le rovine non sonó finite, purtroppo! Degli Italiani che giunsero con un rispettabile capitale, e che ora sono completamente dissestati, se ne incontrano, nel Sud-Ovest, ad ogni pie' sospinto. Furono cosí minchioni che, incontrandoli, non sapete se dovete commiserarli o maltrattarli. Rimasero in piedi coloro che comprarono pagando interamente a contanti; ma anche fra di loro ve ne sono non pochi che, per non cadere, dovettero farsi puntellare da prestiti ipot€cari. A chi godette, acquistando, in parte, del fido, venne fatto sperare l'aiuto del Crédito agricolo; ma, al momento buono, si constato che le Casse del Crédito agricolo non avevano fondi sufficenti per tutti. Fu, forse, il giuoco del caso; sta di fatto, pero, che del Crédito agricolo non beneficio che l'organizzazione dei fuorusciti e la relativa clientela. Fra gli Italiani compratori di terre vi furono pure dei tecnici sperimentati, degli agricoltori avveduti, degli uomini prudenti; ma anche i più perspicaci non conclusero alcuno di quegli affari che si dicono invidiabili occasion!. Quelli stessi che hanno minori mótivi per rimpiangere il passo fatto, dicono che non ricomincerebbero ; non ñascondendo, anzi, che sarebbero ben lieti di rivendere e di ritornare in patria. Rivendere non è facile. Le condizioni attuali dell'industria agricola francese non sonó allettanti. Bisogna, poi, tener conto del cambio: dall'inizio dell'emigrazione in poi, in seguito alia stabilizzazione monetaria, la posizione della lira e del franco si è invertita. Bisogna tener conto pure che l'esodo dalle 76 campagne verso la città è in aumento, anziehe in diminuzione, e che la denatalità persiste più impressionante che mai. I Francesi temoiio, ricomprando le terre, di favorire il rimp atrio non soltanto dei proprietari italiani, ma dei nostri braecianti e dei nostri mezzadri. I salari, i contratti di mezzadria, le case rurali sono state migliorate dai proprietari italiani. Se questi partissero, di regresso in régresse, i lavoratori agricoli sarebberO ridotti aile primitive e non buone condizioni. Forse, sarebbe impossibile, anche volendo, ai proprietari francesi far macchina indietro; ma il timoré nella maestranza agricola italiana esiste. Essa rammenta che la borghesia terriera locale non segui senza riluttanza l'esempio di equita rimunerativa inaugurata e sviluppata dai proprietari italiani, nei riguardi dei loro dipendenti. Anche gli affittnari vorrebbero ritornarsene in Italia, perché commisero un errore análogo a quello degli acquirenti : análogo errore, analoghe conseguenze. Se si è comprato ad occhi chiusi, non si è affittato ad occhi aperti, Ed i mezzadri non sono, a loro volta, arcicontenti. Il mezzadro italiano non ha máncalo menomamente ai doveri sociali inerenti alla natura del contralto che lo lega alla terra; ma 77 non altrettanto si puô dire dei proprietari francesi, i quali, generalmente, non intendono far sacrifizi nel presente per l'avvenire. I proprietari autoctoni considerano troppo frequentemente la mezzadria corne la forma più económica di conduzione agrícola e come la forma di conduzione che permette ad essi di sfruttare maggiormente il lavoro dei contadini. L'esosità dello sfruttamento è stata spinta in molti casi, che potremmo citare, molto nitre, troppo oltre. I proprietari italiani hanno introdotto, nei rapporti coi mezzadri, una compreusione larga, che ha favorito grandemente l'evoluzione genérale del borghesismo rurale della regione tolosana. Quanti sono gli Italiani nel Sud-Ovest? Secondo le cifre francesi non sono più di 50 mila, secondo cifre italiane, che abbiamo motivo di ritenere più attendibili, sonó almeno 100 mila, cosi ripartiti : dipartimento dell'Alla Garonna 17.500; Alti Firenei 3.000; Tarn e Garonna, 15.000; Gers, 20.000; Lot e Garonna, 20.000; Ariège, 8.500; Aude, 4.000; Tarn, 4.500, Lot 3.000, Dordogna, 4.500. Le cifre francesi non tengono conto dei bambini inferiori ai 13 anni; ció spiega, in parte, la differenza. 78 Nel Lot e Garonna esiste un consorzio di agricoltori italiani con 40 soci, nel Gers esiste un'associazione di agricoltori con 50 soci. Negli altri otto dipartimenti non esistono associazioni, ne organizzazioni professionali italiane. È poco, molto poco. Non vogliamo negare che sarebbe stato particolarmente difficile organizzare, di punto in Manco, una massa che si è venuta formando caóticamente e precipitosamente; ma da ben quattro anni ormai, vi è una completa stabilizzazione dell'elemento italiano nel Sud-Ovest, e, quindi, non si puô dire che sia mancato il tempo per costituire in ogni dipardmento organizzazioni agricole italiane, forti di numerosi aderenti, e forti, sopratutto, di volontà attive. È deplorevole che una importante opera in estensione ed in profondità, nel campo organizzativo délie forze agricole, non sia stata compiuta nel Sud-Oyest, poichè ivi sono maggiormente concentrati gli elementi che si impiegano ad irretire, a fuorviare, a dissolvere, i sentimenti patriottici e le iniziative per formare una coesione nazionale fra gli emigrati italiani. Sarebbe vano ed anche ingiusto ricercare délie deficienze e délie responsabilità perso- 79 nali. La deficienza dei risultati è non imputabile alle persone. La política délia emigrazione, più di ogni altra politica, reclama délia continuità. I criteri politici sono eccellenti; gli organi central! di direzione sono ottimi ; gli elementi locali di esecuzione sono, sovente, buoni: sieche non mancherebbe nuBa, nel congeguo dell'azione, per ottenere dei proficui risultati. Per elementi locali di esecuzione intendiamo i Consoli, i quali, per quanto concerne il Sud-Ovest, subirono dei mutamenti troppo frequenti. Nel Consolato di Tolosa passarono quattro Consoli in meno di quattro anni: la più lunga permanenza fu di due anni, la più corta fu di tre mesi. Un troppo fréquente trasferimento dei Consoli da sede a sede rappresenta un grave inconveniente; che puô divenire disastroso, come si verifico a Tolosa, quando si tratti di una colonia che offra problemi economici, politici, sociali e demografici di particolare importanza e di singolare complessità. Un Console, per quanto intelligente e coito possa essere, non puô improvvisare. Ogni nuoMo insediamento deve esser seguito da un congruo tempo per ambientarsi, per stabilire dei contatti, per conoscere intimamente uomini e 80 cose. Occorre aimeno un anno di residenza, prima di poter inlraprendere qualche cosa di utile. Se un trasferimento avviene prima di un anno da quello precedente, non v'e possibilità di fare alcunchè; se i írasferimenti si susseguono ad intervalli poco più lunghi, verra interrotta un'opera appena iniziata. La giurisdizione del Consolato di Tolosa ha una estensione di sessantamila chilometri quadrati. In Tolosa vi sono poche centinaia di Itaiiani; la popolazione nostra è sparpagliata síraordinariamente. Le aziende agricole dei connazionaii sonó separate da parecchi chilometri di distanza Tuna dall'altra. La carica consolare porta in sé stessa un innegabile prestigio; ma l'autorità che ha maggior peso, e maggior presa, sui connazionaii, è quella che deriva dall'ascendente personale, dal valore e dall'efficacia delle opere compiute. Un Console che attendesse di stringer« rapport! con la colonia italiana del Sud-Ovest rimanendo nei proprio ufficio, attenderebbe un pezzo; deve, quindi, trovare il tempo, l'occasione ed il modo di avvicinarsi ai casolari italiani sparsi e dispersi. II Governo nomina i Consoli, ma, in un certo quai modo, le Colonie li ratificano. Quai- 81 siasi Console potrà far poco o milla se non è assecondato dalla collaborazione dei connazionaii. È indispensabile, perianto, che le rotazioni consolari non siano cosí rapide da impediré, fra i rappresentanti governativi ed i compatriotti, legami di comprensione e di fiducia reciproca, senza dei quali è impossibile far alcunchè di utile per i connazionaii e per la nazione. Ogni Console arriva col bagaglio delle sue direttive, che, qualche volta, non collimano con la nécessita a cui deve fare fronte. Ad un dato momento, nel Sud-Ovest, sembrava non vi fosse miglior teoria di quella del « tanto peggio, tanto meglio ». Vale a dire che prevaleva I'idea di render e le condizioni degli agricoltori italiani cosí insostenibili da indurli a fuggire per la disperazione. Propositi da nichilisti, che il nostro Governo, certamente, non ha mai pensato di approvare, e tanto meno di diramare. Chiunque abbia esaminato, sul posto, al lume del buon senso, il problema e le sue possibili soluzioni, non puô fare a meno di concludere che quella che si impone è una via ben diversa. I sacrifizi da parte dello Stato devono esser esclusi, completamente e recisamente. Lo Stato nostro è già stato abbastanza sacrificato dal- 82 83 I'errore económico e demográfico che si è compiuto, emigrando. Se vi sono dei fallimenti e dei falliti, non è lo Stato che deve intervenire. Se l'Italia dovesse riparare le perdite individuali dell'emígrazione agrícola, non vi sarebbe ragione per non accollarle, anche, le perdite individuali dell'emigrazione commerciale ed industríale. Mente, quindi, intervento finanziario statale; pretenderlo è semplicemente assurdo. nelle migliori condizioni possibili. Non vi è che la rovína che possa trattenerli dal rientrare in Italia. Per loro, rientrare in Italia, significa ritornare alia loro città, al loro villaggio, al loro paese, riprendere il loro posto fra i parenti, gli amici, i conoscenti; cioè ristabilirsi in un ambiente in cui si ritorna volentíerí rícchi, se si è lasciato da poveri, ma dove nessuno vuol riapparire povero, se ne è partito ricco. Tanto con l'abbandono, quanto con l'assistenza, una certa perdita demográfica sarà inevitabile, anche perché è Ínsita nel fenómeno deU'emigrazione, come la perdita di una certa quantità di crediti è insita nel commercio. Non è posgibile f/re il mugnaio senza infarinarsl, come abbiamo già detto. Un rischio di perdite demografiche dobbiamo correrlo sempre; è preferibile correrlo, perô, con la persuasione e la soddisfazioné di aver compiuta, nei limiti del possibile, opera di solidarietà nationale ed umana. Per tale opera non saranno mai troppi, ne troppo solleciti, gli sforzi délia rappresentanza consolare di Tolosa, per organizzarè, sul piano professionale, a tutti gli effetti del crédito coUettivo, le nostre masse agricole del Sud-Ovest. Ma tra l'abbandono completo e le sowenzioni statali, vi è posto per un'utile, doverosa assistenza. Vi è troppo semplicismo e troppa crudeltà nel dire ehe dobbiamo lagciar perire l'emígrazione agrícola per timoré che, contribuendo a salvarla, almeno in parte, económicamente, la perderemo, in altrettanta parte, demográficamente. I proprietari, gli affittuari, i mezzadri italianí del Sud-Ovest non hanno che un desiderio : quello di rimpatriare. Ê un desiderio che non possono appagare fino a quando non si siano svincolati dagli interessi a cui sonó attualmente legati. Bisogna dare loro il tempo ed il modo per liquidare gli interessi stessi 84 Sarebbe utile cosa fare assegnamento il meno possibile sul Crédito agricolo della Francia, non tanto perché manchino attualmente ad esso délie disponibilità, le relative dotazioni essendo state considerevolmente auméntate; quanto perche il Crédito agricolo, allorchè non sarà più riservato esclusivamente ai fuorusciti ed alia loro clientela, sarà un fattore, presso gli elementi italiani, di pressione snazionalizzatrice. Inculchiamo, pertanto, nei nostri compatriotti il dovere di non venderé la loro primogenitura per un piatto di lenticchie. L'Italíano del Sud-Ovest faccia da sé! I fuorusciti compresero, per tempo, la forza magnética del crédito; senonchè, fedeli all'istinto della loro canagliesca natura, della forza attrattiva del crédito si servirono per i loro esclusivi fini di filibustieri. Coi loro criminosi sistemi non poterono, pero, spingergi molto lontano. Disoccupati in política, fuggirono dall'Italia per cercare nel Sud-Ovest una occupazione ed una speculazione nella finanza. Dopo aver ingannato il popólo italiano alFinterno, vennero ad ingannarlo all'estero. Si improvvisarono banchieri con il proposito determinate di finiré bancarottieri. Ci manca lo spazio per ripetere la storia scandalosa che abbiamo scritta sul ce Crédito Franco- 85 Italiano » e sulla ce Banca Commerciale Franco-Italiana », le quali razziando depositi su depositi, estesero il disastro económico dell'emigrazione agrícola. Ricorderemo soltanto che l'infame impresa non sarebbe stata possibile se i fuorusciti non avessero potuto usufruire di alte complicità socialiste e massoniche tolosane. L'audacia del brigantaggio li spinse, anche, fino al tentativo di impadronirsi delle spoglie residuate dal fallimento delle loro hanche, mediante nuove complicità di più delicata natura. Per fortuna, malgrado il marcio massonico, dei giudici integri ve ne sono anche a Tolosa. La Corte d'appello di quella città ha impedito uno scempio che, se fosse stato consúmalo, avrebbe offeso e vilipeso, non solamente la giustizia, ma anche la morale. In conclusione, per quanto riguarda la liquidazione del fenómeno migratorio nel SudOvest, bisogna non perderé di vista che l'errore iniziale e di fatto fu aggravate dal modo caótico e precipitoso con cui il fenómeno si produsse. Si aggiungerebbe un disastro al disastro, se si volesse rinnovare la precipitazione nell'eliminarlo. LA QUESTIONE DEI SALA RI DEGLI EMIGRATI m Solo Vitalia fascista ha risotto, per mezzo del contralto di lavoro collettivo, il problema dei salari. In Francia la definizione del salario è ancora affidata all'arbitrio dei singoli datori di lavoro, e gli emigrati sopportano, molto spesso, le conseguenze di questo stato di cose Dal Sud-Ovest, nelTottobre del 1929, scrivcmmo : cc Dopo sessant'anni di democrazia non si puo concepire che il contadino francese si trovi alloggiato cosi malamente. La borghesia rurale della Terza Repubblica ha edificato degli imponenti castelli, abbandonando il cc cittadino » lavoratore in ricoveri miserabili, che di abitazioue non hanno che il nome ». cc Le masures sono tozze ed orride catapecchie, costruite con mattoni di terra cruda, senza pavimento, con porte e finestre mal connesse, composte di tre vani, cucina, stanza e stalla, senza separazione, sovente, tra l'alloggio e la stalla. Entrata libera, pertanto, alie intemperie, ed intercomunicazi one completa e per- 90 manante tra il tanfo uœano ed il fetore animale. Evidentemente, in simili condizioni — antigieniche, incivili, micidiali — la famiglia del contadino è costantemente insidiata, e in continuo pericolo... » Non pensavamo, allora, alie inondazioni... ed agli immani disastri che esse possono seminare sul loro corso, quando incontrano tuguri di fango! Quello di migliorare le abitazioni rurali fu uno dei primi compiti ai quali gli Italiani si accinsero. Non solo per ció, ma pure nei riguardi delle culture e dei salari, l'emigrazione italiana si è palesata un fattore di progresso umano e di rinnovamento sociale. Il lavoro agricolo nel Sud-Ovest è stato valorizzato dai nostri proprietari e dai nostri fittavoli, in misura tale da segnare una demarcazione netta e forte coi salari preesistenti. I Francesi resistettero all'esempio, ma dovettero, in seguito, cederé per evitare una situazione imbarazzante, poichè i salariad fuggivano le loro aziende. Anche ora, non sonó le aziende francesi che corrispondono i salari più elevati. Nel 1923, quando incominciô il nostro afflusso emigratorio, il salario del famiglio {maitre-valet) non superava, nel Sud-Ovest, i 1.800 91 franchi annui; oggi, il salario oscilla fra i. 4.200 ed i 7.000 franchi; il minimo è praticato, prevalentemente, dai Francesi, il massimo dagli Italiani. L'emigrazione italiana in Francia si compone, più che altro, di lavoratori edili delle varie catégorie, di lavoranti in legno, di minatori, di terrazzieri, di manovali, di contadini, di boscaioli, di personale d'albergo e mensa, di parrucchieri e di calzolai. In questo succinto compendio, dobbiamo limitare, più di quanto vorremmo, la parte destinata ai salari. Sonó di una variabilità incredibile. La Francia, se non erriamo, ha trentottomila Comuni; ebbene, dovremmo parlare, per approssimarci un poco all'esattezza, di 38 mila salari per ogni mestiere. Nello stesso Comune si praticano dei salari differenti per le stesse catégorie opérale. Coloro che non hanno mai emigrato, e vorrebbero emigrare, ignorano quali sonó i dipartimenti francesi in cui sonó in uso i migliori salari. Anzi, molti di essi, credono che i salari siano eguali in tutta la Francia, dall'Est all'Ovest, e dal Nord al Sud. Gravissimo errore. Da un dipartimento alFaltro esistono delle differenze enormi, che giungono sino ad un, rapporto da uno a due. 92 93 Prendiamo, ad esempio, le tre catégorie seíguenti : Muratori Terrazzieri Manovali Savoia fr. 4— 3,— Isère » 4— 3— Alpi Marittime » 5,— 4,— Bocch© dej Ródano » 5,— 4,— Gjponda » 5,— 4,— Ródano » 6,50 5,50 Alsazia » 4,75 4,— Nord 4,55 3,80 Senna » 7, 6, (per ogni ora lavorativa) 2,60 2,60 3,50 3,50 3,— 5,— 3,75 3,60 5,25 Le cifre sovraesposte si riferiscono, esclusivamente, ai capiluogo dipartimentali e non hanno che il valore indicativo delle differenze esistenti da grande città a grande città. Füori dei capiluogo si riscontrano salari inferiori, perfino del 30 per ceiito. Appena usciti da Lione, per esempio, i salari sonó inferiori di 2 franchi all'ora, II dipartimento della Senna è quello che presenta la maggiore uniformité salaríale. Ovunque, quello del muratore è il mestiere meglio retribuito. Un muratore guadagna un franco di più all'ora di un meccanico. Da qualche tempo in qua, in Francia, il »mestiere del muratore scompare ogni giorno di più; onde, per la mano d'opéra édile, la demanda è in continuo aumento. Siccome, fra i muratori stranieri, gli italiani sono in prevalenza, è incontestabile che è la nostra poiitica emigratoria che ha contrihuito moltissimo al rialzo dei loro salari. Nessuno sa dire perché si paghi di più in un luogo e meno in un altro. Si riscontrano salari bassi dove il costo della vita è alto. Quando passammo nella Savoia e nell'Isère, l'indice del costo della vita era ivi di 622, nella Gironda lo trovammo a 683, nella Senna si trovava a 609. Non si retribuisce I'operaio neppure secondo il rendimento. Due officine attigue, pur compiendo la stessa lavorazione, praticano salari differenti. Ci siamo limitati, per brevità, ad un confronto salariale per località, ma ben maggiori differenze presenterebbe il confronto fra mestiere e mestiere. Tanta diversité di salari, in un paese che ha ogni sua industria nella migliore situazione di sviluppo, è difficile spiegarla altrimenti che con una disparité sociale, in profondo contrasto con la cosidetta uguaglianza política. Se vi è un paese ehe, per la sua conformazione geográfica, per la favorevole posizione delle industrie, sia in grado di livellare, più \ 94 95 di ogni altro, le condizioni salariali degli opérai, tale paese e la Francia. Che cosa vale la eguaglianza politica, quando, non solamente nella classe dei salariati, ma in una stessa categoría di mestiere, esiste una enorme disparità económica? La vera democrazia è il Regime fascista, in quanto che, mettendo alla base dei rapporti fra i datori di lavoro e locatorî d'opéra i contratti collettivi — ora provinciali o regionali, in seguito nazionali — ha gettato le fondamenta di una uguaglianza sostanziale fra opérai e di efîettiva equità sociale. vano subiré Fawilimento della loro retribuzione. Col Governo fascista lo stato económico e morale degli emigrati italiani è radicalmente mulato: il nostro operaio ha riaequistato totalmente la sua dignità professionale, condizione prima della dignità nazionale ed umana. II nostro servizio attuale di emigrazione tutela îermamente, strenuamente, il salario degli opérai, in modo da sollevare, perfino, le ire —perô, ingiustificate — degli industriali francesi. I quali protestano (e delle loro proteste siamo stati, in molti dipartimenti, testimoni) contro le nostre esigenze, in quanto che i salar! che Roma impone sarebbero, talvolta, superiori a quelli vigenti. Per certi dipartimenti l'affermazione è esatta; ma non è esatto che, esigendo un salario superiore a quello locale, il nostro Governo abbia viólalo — come gli industriali francesi dicono — il Traltato di Lavoro del 30 setiembre 1919. Tale Traltato stabilisée che il salario dei lavoratori immigrati non possa essere inferiore a quello corrisposto agli opérai francesi, ma non vieta che possa essere superiore. L'Italia fascista ha supplito alia carenza del sindacalismo operaio francese, il quale, o per l'assenza di organizzazione o per le scissioni. Nei tempi prefascisti, gli opérai nostri erano, all'estero, sfruttati e derisi: sfruttati dai datori di lavoro, derisi dai lavoratori autoctoni. Offrendosi, ai primi, aile più basse condizioni, facevano, ai secondi, una concorrenza rovinosa. Opéralo italiano equivaleva, allora, ad operaio ce giallo », ad operaio ce crumiro ». Non è che i nostri opérai non desiderassero salari elevati; siccome, perô, con la liberta del-" l'emigrazione espatriavano in cosi eccessivo numero da saturare i mercati di lavoro, dove- 96 97 che hanno spezzato la forza opérala, non ha saputo tutelare e far progredire i guadagni dei lavoratori. Con la sua volontà inflessibile, Mussolini ha ristabilito in moite zone l'equità del salario degli emigrati, con beneficio diretto dei nostri opérai e con beneficio indiretto di tutti gli opérai, quelli francesi compresi. In materia di valorizzazione dei salari, non abbiamo da derogare dalla linea di fermezza finora seguita; dobbiamo persistervi, poichè è possibile trarre da essa dei vantaggi superior! a quelli finora conseguiti. E indispensabile, pero, far intervenire, nella trafila amministrativa che devono compiere i contratti di lavoro, le rappresentanze consolari. L'intervento consolare s'impone per tre ragioni : la prima, perché il Consolato è posto nella migliore situazione per conoscere i salari in uso e giudicare se sonó in rapporto adeguato col costo della vita locale; la seconda, perché, essendo i contratti non infrequentemente violatí, il Consolato è in grado di conoscere quali sonó gli industriali che vengono meno agli impegni assunti; la terza, perché, essendovi degli industriali che fanno pressioni sugli opérai italiani per indurli a naturalizzarsi, solamente i Consolati possono evitare ai nostri opérai di cadere in bocea al lupo. Condizione indispensabile per ottenere un miglioramento dei salari è quella di fornire la mano d'opera conforme alia richiesta; cioè, incondizioni fisicamente e professionalmente idonee. Su questo punto importantissimo si nota un miglioramento, ma rimane molto da fare. Malgrado tutti gli impegni contrattuali, un opéralo incapace si trova in balîa del datore di lavoro. II Fascismo, per conseguiré la massima elficacia nella protezione dell'emigrazione, deve evitare ogni contestazione sulla qualità dei lavoratori che colloca all'estero. Per rimediare all'inconveniente, che ci reca un pregiudizio económico e morale, bisogna sottrarre alia designazione dei podestà gli elementí autorizzati ad espatriare, conferendone, invece, la designazione agli uflSci sindacali di collocamento. Infine, per indurre gli industriali a corrispondere il massimo salario possibile, è indispensabile concederé ad essi, tempestivamente, gli opérai richiesti, in modo che possano servirsene nel periodo in cui ne hanno veramente bisogno. Attualmenté fra la domanda industríale e l'arrivo degli opérai intercorrono non meno di tre mesi. Bisogna accelerare il ritmo degli ingranaggi amministrativi. LA POUTICA FRÁNGESE DELLE NATURALIZZAZIONI La política délie naturalizzazioni persegulía dalla Francia, è un vero e proprio tentativo di annessione délie masse straniere iinmiisrate- Gli Italiani, che ne sono colpiti più di Qgni ultra nazione, hanno l'imperioso dovere di iMfeadersi vigorosamente Se il salario del nogtro emigrante ci préoccupa, ancor di più ci préoccupa che l'emigrato non cambi la sua natura; e cioè, che non rinunzi ad esser figlio legittimo dell'Italia, per divenir e figlio adottivo délia Francia. È strano che vi siano degli esseri civili che mutano la loro nazionalità. Quegli stessi esseri avrebbero orrore di barattare la loro madre anche se, puta caso, si trattasse di abbandonare la madre povera per avère una matrigna ricca. Solo chi ha perduto il senso dell'onore puô preferiré di cambiarsi da figlio in bastardo. La naturalizzazione non apporta nessuna ricchezza. I naturalizzati non modificano le loro condizioni economiche: i poveri, rimangono poveri. 102 103 Non devono credere, coloro che pensano a naturalizzarsi, neppure di rinunziare ad una patria per entrare in un'altra. Ogni nomo non ha e non puô avere che una patria, che è quella dove è nato. La patria è costituita dall'unita délia razza, dall'unità della lingua e da qualche cosa di più. Questo qualche cosa di più è un'anima particolare, una particolare sensibilità, una particolare intelligenza, una particolare volontà. La patria è il campo di azione della nostra attività morale. Rinunciare alla propria patria vuol dire rinunciare al più alto ideale morale; significa rifiutare la più nobile missione che all'uomo sia devoluta, nascendo. L'Italiano che si naturalizza entra nello Stato franéese, ma rimane — secondo la legge morale, che è imprescrittihile —• senza patria! II legislatore francese, prendendo atto della situazione demográfica del suo paese e dell'importanza del movimento dell'immigrazione, con la legge 10 agosto 1927, ha sensibilmente accentuata la tendenza — gia apparsa nella legge del 1889, e nel códice civile del 1803 — ad incorporare di diritto e d'ufficio, nella nazione, tutti gli elementi stranieri assimilabili immediatamente o suscettibili di fondersi, alia seconda generazione, con la popolazione autoc- tona, tanto in ragione della nascita e dell'educazione sul suolo francese, quanto in dipendenza di una consanguineità di razza o di vincoli con le famiglie francesi. Ci accade sovente di dover fornire nei riguardi della legge sulla nazionalità francese delle informazioni agli immigrati italiani ; cosí come, non meno sovente, ci accade di dover rettificare delle opinioni errate circa la situazione di certuni di essi rispetto alia legge stessa. Se molti immigrati nostri ignorano, dunque, le disposizioni della legge in vigore, supponiamo che sia istruttivo anche per i connazionali regnicoli indicare sommariamente i termini e la pórtala della legge 10 agosto 1927. Secondo il Governo francese, le statistiche annuali del Ministero di Grazia e Giustizia dimostrano che il numero dei figli di stranieri nati in Francia, che non accetta la nazionalità francese, non ha mai oltrepassato il ventesimo da oltre quaranta anni. II che vuol dire che all'infuori dei naturalizzati, noi perdiamo ogni anno non meno dell'ottanta per cento dei nati in Francia da genitori italiani. 104 105 Malgrado una statistica cogí consolante per lui, il Governo francese ha voluto, con il nuovo regime sulla nazionalità, innovare un punto importantissimo. La nazionalità francese délia madre, anteriormente alla data dell'agosto 1927, non era presa in considerazione nei confronti di un figlio legittimo nato in Francia; mentre la legge in vigore considera francese ogni figlio legittimo nato in Francia da madre francese. Questa nuova disposizione è il corollario del diritto accordato alla donna francese di conservare la sua nazionalità, malgrado il matrimonio con uno straniero. È parso lógico, alla Francia, di appropriarsi cosí tutti i fanciulli nati sul suo territorio. Ma perché? Perche, dice il legislatore, i fanciulli nati in Francia sono, il più sovente, allevati presso i suoceri del marito e, quindi, è verso i suooeri stessi che si deve supporre inclinino le preferenze dei fanciulli. Cosí ha ragionato il legislatore francese per decapitare civilmente il marito straniero. Non gli ha tolto, perô, il carico del sostentamento e dell'educazione dei figli ! Circa la naturalizzazione, si è perfezionata la técnica del sistema; anche, ha detto il legislatore, neU'interesse deU'individuo, ma, so- pratutto, potete crederlo, neU'interesse dello Stato. Cosi si è voluto che i figli di stranieri, se sonó nati in Francia, possano diventare francesi senza la manifestazione espressa della loro volontà, o compiendo délie formalità molto semplici e poco costóse. Naturalmente, la Francia non nasconde che questa categoría di naturalizzati è, per essa, la più desiderata; anzi, la più necessaria. Sul carattere della naturalizzazione di diritto comune, il legislatore del 1927 si è spinto molto oltre nel cammino che avevano imboccato, tímidamente, i legislatori precedent!. È stata tolta alla naturalizzazione la base consensúale. Il legislatore del 1889 aveva adottato il principio della naturalizzazione collettiva, sotto riserva, pero, della facoltà di ripudiazione; che i figli potevano esercitare nell'anno della loro maggiorità. La riserva è ora soppressa. La lógica délie circostanze, ed il compimento della evoluzione — tradúcete : la nécessita imperiosa di raccattare, comunque, degli abitanti — ha indotto la Francia a consacrare il principio degli effetti collettivi e definitivi della naturalizzazione del capo di famiglia, nei riguardi dei suoi figli. La naturalizzazione è stabilita in blocco. Il figlio ceduto alla Francia anche centro la sua volon- I 106 107 ta, rimane ben ceduto; sarà franoese suo malgrado ! Altra modificazione profonda : anteriormente al 1927, la richiesta di una ininterrotta residenza di dieci anni, implicava il concetto che l'assimilazione di diritto dovesse seguiré l'assimilazione di fatto. In presenza, pero, di un movimento di immigrazione eccezionalmente importante, la Francia ha trovato utile di perseguiré parallelamente l'assimilazione di diritto e di fatto. Si è reso conto, il legislatore, che nei riguardi dell'immigrato, sostituiva la diagnosi alia prognosi. Se, prima, si trattava di giudicare il grado di francesizzazione raggiunto dal naturalizzando, ora si tratta di prevédere se ed in quanto tempo la trasformazione potra prodursi, dato che, secondo i casi, non si richiedono più che un anno o tre anni di residenza ! Per quanto la prognosi possa presentare dei rischi, la Francia non ha esitato a preferirla alia diagnosi, in considerazione — essa ha detto — délia nécessita di proteggere il paese contro la cristallizzazione dei nuclei stranieri in certe regioni; nuclei che, essa pensa, sarebbero suscettibili di cbstituire un vero pericolo nazionale in certe ore délia sua esistenza. In quelle ore, sarebbe facile alla Francia evitare il pericolo, restituendo gli immigrati ai loro rispettivi paesi. Noi Italiani, non domanderemmo di più e di meglio. í La piaga delle naturalizzazioni non puo essere radicalmente cauterizzata ; non perianto dobbiamo trascurarla. Le vie per ridurre le naturalizzazioni sonó infinite. Non accenneremo che ad alcune. Primo e principale mezzo, il prestigio nazionale. È in mani sicure. Con Favvento del Fascismo, ha preso un bell'abbrivio : si ingigantisoe ogni giorno di più. Il prestigio délia nazione si riflette su tutti i suoi figli, umili ed illustri; è un corroborante particolarmente efficace per gli umili. Più l'Italia si farà grande e stimata, più gli Italiani si sentiranno fieri di essa. Altro mezzo: rendere facili le intercomunicazioni agli emigrati tra la madrepatria e l'estero. Apriamo l'uscio deU'emigrazione in maniera costante, per quanto è possibile; il flusso e riflusso dei connazionali se ne.avvantaggerà. 108 L'emigrazione richiede dei criterii continuativi, un regime stabile, un cliina permanente. A ciô puô giovare un'accurata selezione degli emigrant!, preferendo gli Italiani di robusta fibra nazionale. Se gli Italiani che emigrano devono considerarsi in missione all'estero, è ovvio che la missione deve essere affidata ai più degni. Il principio è ammesso, ma la sua applicazione non è rigorosa quanto bastí. Negli anni prossimi, più ancora che oggi e per il passato, dovremo avère fuori dei confini degli uomini in servizio comándate. Non ci si fraintenda. La legge del 10 agosto 1927 non costituisce il punto di arrivo délia politica francese in materia di incorporamento degli stranieri. La Francia tende più oltre. La meta ultima è questa : requisire gli stranieri. La stampa prepara l'operazione, che non è molto lontana. ce Par ristabilire la situazione demográfica ce — hanno scritto parecchi giornali — bastece rebbe valutare e contingentare il numero di ce elementi stranieri di cui abbiamo bisogno per ce ricostituire la nostra entità nazionale; bastece rebbe scegliere e selezionare tali elementi a ce mezzo di commissioni sanitaria, industriali ce e sociali; basterebbe indigare Fimmigrazione 109 ce nuova e naturalizzare, dopo un termine dice soggiorno fissato dalla legge, quelli che saee ranno riconosciuti atti a diventare francesi ». L'annessione non è lontana; i giornali, che la propugnano, si stupiscono che il Governo francese non l'abbia già effettuata, poichè, soggiungono, ce se, attualmente, tre o quattro ce milioni di stranieri ci sono necessari, fra « dieci anni avremo bisogno di cinque o sei ce milioni di immigrati, per compensare la ce nostra popolazione, nel frattempo decrece sciuta ». E concludono : ce Più tardi faremo l'annescc sione e peggio sarà : tanto vale, dunque, non, ce temporeggiare ». I PROBLEMI DELL'ITALIA D'OLTRE FRONTIERA L'organizzazione délie forze disperse di dieci milioni di Italiani all'estero è la chiave di vplta per risolvere tutti i problemi deH'emigrazioneIn questo campo, il Fascismo deve avère il coraggio di innovare e rinnovare radwalmeiite, corne ha fatto per tutti i problemi interai dell'Italia Chi si occupa dell'emigrazione italiana, deve preoccuparsi dei seguenti problemi ad essa inerenti : 1) Dei sistemi e dei mezzi per rendere più costante e più intimo il contatto fra le collettività italiane all'estero e l'Italia; 2) Dell'opportunità di collegare le società italiane, allô scopo di evitare dispersioni di energie e di denaro ; 3) Delia diffusione délia lingua italiana e del libro italiano; 4) Dell'assistenza ai connazionali e degli uffici di collocamento e di patrocinio; 5) Delle case d'Italia e dei locali scolastici ; 114 115 6) Delia stampa e delle agenzie giornalistiche ; 7) Dell'organizzazione patriottica, cultúrale e sportiva; 8) Dei mezzi e dei modi per favorire I'afflusso dall'estero verso l'Italia, a scopo familiäre, cultúrale e turístico. E la nomenclatura non è completa. I limiti imposti a questo volumetto ci consentono appena di accennare aile soluzioni, senza svilupparne il contenuto lógico e pratico, che i problemi suaccennati richiedono. Quali possono essere i mezzi per rendere attivi, costanti, intimi i contatti fra l'Italia ed i suoi figli all'estero? Non possono essere diversi da quelli che servono a rendere intimi i rapporti fra due persone : mutua conoscenza, reciproca comprensione, vicendevole interessamento alla vita rispettiva. Pertanto, l'Italia deve interessarsi permanentemente, férvidamente alle collettività italiane espatriate e queste, a loro volta, con uguale continuità e con eguale passione, devono interessarsi allô svolgimento délia vita naziouale. I problemi delle colonie sono i problemi dell'Italia ed, inversamente, le colonie, trascurando i loro problemi, trascurano i problemi italiani. Nécessita, quindi, di azionare, movimentare le collettività emigrate per awicinarle, per confonderle con l'Italia nello studio, nella comprensione, nella tutela degli interessi nazionali. Quale organismo, quale giornale si dedica, all'estero, a tale compito? Quali istituti, quaii organi di stampa, si dedicano, in Italia, ai problemi dell'emigrazione? Per stabilire un solido légame tra la Patria e gii Italiani aU'estero è indispensabile dare a questi una rappresentanza política. Dell'emigrazione, da quando vige il Fascismo, si sono messe in circolazione delle definizioni molto lusinghiere, il cui comune significato è che l'emigrazione rappresenta un distaccamento deill'esercito produttivo italiano in terra straniera. Va bene; ma perché non legare la parte al tutto con un vincolo politico. Sarebbe quello che potrebbe saldare più sólidamente di ogni altro l'Italia alla sua emigrazione. Non saremo noi che parleremo dell'utilità delle elezioni in seno agli Italiani all'estero. Ahbiamo, non da oggi, in orrore le schede, le 116 / urne ed i candidati. Una cosa, pero, è incont«stabile: l'emigrazione ê un'attività nazionale. Se è un'attività nazionale, perché non ha, come tutte le altre attività nazionali, la sua rappresentanza politica? In che modo ed in che misura debbano essere rappresentati i dieci milioni di Italiani all'estero, lo dica il Governo. Non si puô contestare che debbono essere rappresentati, direttamente rappresentati. Trovarsi aH'estero, non deve implicare radiazione dai quadri politici della nazione. Gli Italiani all'estero non domandano di votare; domandano che, in loro nome, delle voci competenti, autorizzate, possano farsi udire nei consessi politici del paese. Ad ascoltare tali voci, il Regime non ha che da guadagnare. Le collettività italiane all'estero chiedono del nuovo, del radicalmente nuovo. Nella loro struttura, nella loro fisionomia non si è rivoluzionato nulla; mentre si sarebbe dovuto rivoluzionare tutto. Sonó dei vecchi rami infissi in un tronco ringiovanito. Dell'opportunità, anzi della nécessita di evitare dispersioni di énergie e di denaro, ridu- 117 cendo in organismi più robusti l'eccessivo frazionamento delle società, se ne parla da cosí lungo tempo che si prova una vivissima pena nel constatare che siamo sempre al medesimo punto. La soluzione non consiste, come si pensa, nel ce collegare le società di ogni centro italiano con un patto che ne conservi integrale la fisionomia e la particolarità ». Che cosa se ne vuol fare della fisionomia e della particolarità? A che cosa servono? La soluzione utile è la fusione delle società aventi lo stesso scopo; creando, ove occorra, sezioni rionali dell'organismo único. Per evitare dispersioni di énergie e di denaro devonsi unificare la cassa e la gestione. II federalismo è un palliative ; ne abbiamo degli esempi dimostrativi. Unione o federazione, la valorizzazione italiana, l'assistenza ai connazionali, la difesa della lingua, richiedono organismi ad hoc, specialmente costituiti per tali scopi. Sarebbe un madornalissimo errore fare del patriottismo un fine complementare, accessorio, del mutualismo ed anche del combattentismo. Quanto ai « Consigli di colonia », rappresentano un'idea che ha fatto il suo tempo, L'idea l'abbiamo messa in circolazione noi, ante- 118 riormente al Regime fascista. Sono dei ferri« vecchi. Le colonie devono essere organizzate ab imis fundamentis. Perô, bisogna intendersi su una questione, che è preliminare. I Fasci devono conservare il loro carattere di « organizzazione degli Italiani residenti all'estero » o devono diventare F organizzazione dei ce fascisti »? Nel primo caso, l'organizzazione italiana è bell'e fatta; per evitare doppioni non rimane che a trasferire nel Fascio le attività assistenziali esplicate da altre associazioni. Senonchè, gli elementi senza la tessera del partito sarebbero messi in disponibilità. La soluzione non sarebbe felice. Se i Fasci, invece, diventassero semplicemente l'organizzazione dei fascisti, riducendo la quantità dei loro aderenti a beneficio délia loro qualità, dovrebbero scaricarsi di ogni opera di materiale assistenza, per dedicarsi a compiti meglio rispondenti alla loro vera ed insostituibile missione. Il Regime ha nécessita di essere conoscîuto, compreso e difeso. Diffonderne all'estero la dottrina e volgarizzarne le realizzazioni, dovrebbero essere i compiti specifici dei Fasci. Le cliniche, gli ambulatori, i dispensan pos- 119 sono funzionare anche fuori délia sede dei Fasci. Anzi, fuori délia sede dei Fasci, l'assistenza prenderá un maggiore sviluppo, se affidata ad una istituzione i cui membri, pur non possedendo la tessera del Partito, siano di ineccepibile condotta nazionale. Per l'assistenza, sotto qualsiasi forma, ogni colonia dovrebbe avère un'unica e grande associazione. È, questa, possibile? Ogni Fascio conta un numero di aderenti superiore a quello di ogni altra istituzione italiana locale, semplioemente perché è una diretta espresgione del Regime. Il Governo, accordando all'associazione patriottica assistenziale un segno aperto, tangibile del suo riconoscimento, assicurerà ad essa una enorme estensione, tale per cui le sue propaggini giungeranno in zone dell'emigrazione ora estranee e quasi ostili ad ogni attività nazionale. Come efficacissimo incentivo ad organizzarsi, bastera creare ce la tessera di italianità ». Abbiamo la profonda convinzione che sarebbe uno stimolo miracoloso. I nove decimi degli 120 121 Italiani all'estero ambirebbero di possederla. Meglio ancora se sui passaporti, oltre ai segni particolari di carattere fisico, figurasse questo segno particolare di carattere patriottico : possiede la tessera di italianità. L'organizzazione è la chiave di volta per risolvere tutti i problemi dell'emigrazione; ma la chiave non aprirà la porta di un bell'avvenire, se non affrontiamo arditamente, radicalmente l'inquadramento degli Italiani all'estero. Il Regime avrebbe torto se, per timidezza, •esitasse ad applicare la misura. Se si vuole il fine, non si possono non volere i mezzi. Gli emigrati non si dimostreranno ostili ai tributi consolari : dubitarne sarebbe calunniarli. Possono pagarli e sono disposti a pagarli. L'essenziale, per loro, è che siano giudiziosamente, intelligentemente impiegati. Quali argomenti si potrebbero opporre ai tributi consolari? Forse, quello che servirebbero di esca alla propaganda anti-italiana dei rinnegati? Avremmo torto di valorizzare a tal segno l'influenza di quegli esseri abbietti. Forse, quello che sarebbero un incentivo alle naturalizzazioni? Gli emigrati non si imbastardirebbero per cosi poco. Per dimostrare, del resto, che si tratta di timori senza consistenza, basta ricordare che le tarifife consolari sonó state auméntate ogni qualvolta se ne è ravvisata la nécessita. Non è assurdo supporre che sarebbe maie accolta proprio un'aliquota da riversare a favore dei contribuenti? I problemi délia diffusione délia lingua e délia scuola italiana, nonchè dell'espansione del libro italiano, presentano una difficoltà comune: la scarsità dei mezzi. È indispensabile, quindi, allargare la massa dei contribuenti volontari. Vi si provvede cou l'organizzazione dianzi suggerita. Qualora i contributi volontari continuassero ad essere insufficienti, sarebbe indispensabile ricorrere ai contributi obbligatori; cioè, ai tributi consolari. È, anche questa, una nostra vecchia proposta, tuttora opportuna. L'insegnamento da impartiré ai bambini italiani residenti in Francia non puô essere che 122 123 un complemento di quello impartito dalle scuole francesi, Bastano, quindi, i corgi postscolastici. Anche cosi limitata, l'organizzazione scolastica nostra non puô essere diffusa per mancanza di locali. I municipi francesi non ne concedono. Dicono che non ne hanno di disponibili. Le statistiche francesi ci apprendono che la popolazione scolastica straniera — vale a dire dei ragazzi dai 6 ai 13 anni — era, nel 1927, di 222.284 alunni, fra i quali 75.958 italiani. Consideriamo tali statistiche, per quanto concerne i nostri ragazzi, molto al disotto del vero. Analizzando le cifre delle naturalizzazioni, si rileva che, grosso modo, sonó costituite da un terzo di adulti, da un po' meno di un terzo di donne e da un po' più di un terzo di minorenni. Su un milione e duecentomila Italiani residenti in Francia, almeno 400 mila sonó dei minori. Fatti i dovuti cali, non meno di 150 mila devono costituire la nostra popolazione scolastica. Ebbene, appena duemila bambini italiani ricevono un rudimento di istruzione nostra. Gli altri 148 mila sonó fuori di ogni opera di educazione italiana. Anche riducendo le nostre cifre, rimane un immenso campo da colti- vare. È un problema spaventoso. Dobbiamo rimanere con le mani in mano perché mancano i locali? Non v'è modo di girare l'ostacolo? Abbiamo gia proposta e riproponiamo la scuola per corrispondenza, mediante la quale i bambini possono studiare a casa loro. All'idea sonó state mosse due critiche. La prima critica poggia sopra un malinteso; ci è stato attribuito il proposito di voler sostituire la scuola per corrispondenza alie scuole comuni. Non abbiamo mai pensato a ció. La nostra scuola non vuol essere che un surrogato alie scuole ordinarie, che non abbiamo modo e, forse, neppure i mezzi di creare. Tuttavia, la scuola per corrispondenza ha dei vantaggi suoi particolari: quello di potersi estendere ad un numero illimitato di alunni; quello di poter impartiré un insegnamento personale ad ogni allievo; quello di poter raggiungere anche i ragazzi che abitano nei più lontani ed isolati casolari. La seconda critica è stata questa: come è possibile, per corrispondenza, insegnare a dei bambini che non conoscono una parola di ita- 124 liano. Innanzi tutto, non e esatto che tutti i bambini italiani all'estero non conoscano una parola délia nostra lingua. Se anche fosse vero, non si insegnano correntemente le lingue straniere per corrispondenza? Il nostro critico conosceva, forse, il francese prima di impararlo? La grammatica che ha servito a lui, non puô serviré ai nostri ragazzi? La scuola per corrispondenza, se intelligentemente creata e se convenientemente attrezzata, potrebbe rendere degli incalcolabili servizi e, forse, potrebbe risolvere un problema che appare, senza di essa, insolubile. Alla diffusione délia lingua italiana si accompagnera, automáticamente, la diffusione del libro italiano. Per leggere un libro è indispensabile — non è vero? — conoscere la lingua nella quale è scritto. Di questa verità lapalissiana non si ha l'aria di renders! abbastanza conto; infatti, tante volte abbiàmo constatato che quando si cercano le vie per diffondere nel mondo il nostro libro, si perde la bussola del buon senso. Molti Francesi e molti stranieri residenti in Francia si gioverebbero, senza dubbio, délia scuola per corrispondenza. Vi sono altri mezzi per diffondere il libro italiano: sono mezzi di carattere editorial«. 125 commerciale e ehe abbandoniamo, perianto, alla competenza ed alla sollecitudine dell'industria librarla italiana. La stampa italiana in Francia è rappresentata da tre settimanali, compreso uno di colore incerto. Le altre immigrazioni straniere sono ben altrimenti attrezzate : i Russi, ad esempio, dispongono di tre quotidiani e di parecchi periodic!; i Polacchi di quindici settimanali. Il bello è che, dai Francesi, siamo sospettati di condurre una intensa propaganda nel loro paese. Che irrisione! Le Alpi Marittime (80 mila italiani); le Bocche del Ródano (150 mila); il Ródano ed il Centro (70 mila); l'Est ed il Nord (160 mila), sono senza giornali nostri. In questi centri, pur popolatissimi di Italiani, difficilmente si troverebbero degli elementi idonei alla compilazione di giornali. La stampa è un'arma delicata e pericolosa a maneggiarsi. In mani esperte, puô farci molto bene; in mani inesperte, puô farci molto maie. Perciô, anziehe creare dei giornali locali, è preferibile compilare i nostri giornali a Parigi;r 126 127 solamente, per assicurare ad essi una diffusione in tutta la Francia, e indispensabile che abbiano una specializzazione professionale. La cronaca della colonia di Parigi intéressa relativamente la colonia di Marsiglia e viceversa; ma i problemi, le informazioni inerenti alia attività professionale degli Italiani in Francia, interessano tutti i connazionali, indipendentemente dai dipartimenti in cui risiedono. E una verità semplice, cristallina quella che enunciamo; eppure, nella pratica, dalla nostra stamp a, in Francia, non e applicata. La modesta tiratura dei settimanali italiani che si stampano a Parigi dipende dallo misconoscimento della nécessita anzidetta. Circa i modi ed i mezzi per controllare la campagna dei giornali avversari, diremo che si impone la creazione di un'agenzia giornalistica, che abbia permanenti contatti con l'Italia e dall'Italia. II problema puô essere e deve essere risolto dagli editori e dai direttori dei quotidiani italiani. Potrebbero rendere un eminente servizio al loro paese, senza spendere di più — anzi, spendendo molto di meno — di quanto spendono attualmente per il loro notiziario dalla Francia. Per uno spirito di mal compresa e mal praticata concorrenza, i giornali italiani hanno una particolare organizzazione dei loro uffici di corrispondenza. II notiziario è, ció malgrado, attinto ad una fonte comune, che è quella delle agenzie telegrafiche francesi. I giornali francesi, presso i quali sono ospitati, a caro prezzo, i corrispondenti italiani, non offrono a questi nessun materiale spéciale. Se i quotidiani nostri costituissero un'agenzia telegráfica o telefónica collettiva disporrebbero di un servizio anche più copioso, scevro di tendenziosità e infinitamente più económico, poichè basterebbe, per ciascuna agenzia francese, un solo abbonamento per tutti. L'agenzia italiana di Parigi, collegata con Londra e con Perlino, potrebbé disporre di un controllo diretto, permanente; collegata con l'Italia, potrebbé dare ai corrispondenti degli opportuni orientamenti. La ce particolarità » del servizio dei quotidiani italiani non ne soffrirebbe, perché resterebbero ai loro corrispondenti le risorse delle loro prívate informazioni, dell'ampiezza delle comunicazioni, e delle personali doti professionali. Gli editori ed i direttori dei giornali italiani non potrebbero meglio serviré il Regime che 128 attuando la nostra proposta. Sarebbe deplorevole che la meschina concorrenza continuasse ad avère il sopravvento sugli interessi nazionali. Sermoneggiare le industrie affinchè abbiana presente costantemente, oltre gli interessi propri, gli interessi del paese, è un bene; ma dare il buon egempio sarebbe un bene maggiore! IL RICHIAMO DELL'ITALIA I problemi dell'emigrazione si riallacciano, come abbiamo già visto, al problema della organizzazione. Dove le organizzazioni esistono, coordinarle e, preferibilmente, fonderie; dove non esistono, crearle. La fusione, è ovvio dirlo, deve intendersi fra associazioni della stessa natura, come vuole la regola dell'aritmética. Nelle nostre grandi collettività all'estero lo spirito di organizzazione è abbastanza vivo e diffuse; non si puo dire altrettanto dei centri minori. In tali centri, dobbiamo eccitare lo spirito organizzativo. L'ideale sarebbe che non vi fosse, all'estero, un núcleo italiano, piccolo quanto si voglia, senza una società a fine patriottico. In Francia, esistono circa duecento società italiane. Con una rete consolare più estesa e più fitta, con una azione consolare meno sedentaria e 132 più dinámica, sarebbe facile moltiplicare per dieci, almeno, le associazioni italiane. Esiste tuttora troppo burocraticismo nei nostri uffici consolari. Troppi consoli gi barricano nel loro ufficio, rendendosi inavvicinabili da parte dei connazionali e da parte, perfino, del personale consolare. Vi sono dei Consoli che si isolano come altrettanti astronomi nelle loro specole. Mancano, forse, i fondi per aprire nuove sedi consolari; ma non occorrono fondi per nominare dei corrispondenti o dei fiduciari consolari. Vi e abbondanza di connazionali volenterosi e degnissimi dispqsti ad assumere tale incarico. Vi sono dei Consolati con giurisdizione su dieci o dodici dipartimenti, nei quali non esiste neppure un corrispondente consolare. Sono dei dipartimenti, dal punto di vista italiano, in balia di loro stessi. Bisognerebbe, invece, che i corrispondenti consolari fossero piantati a breve distanza l'uno dall'altro come i paracarri lungo le strade. Ognd corrispondente consolare, oltre che essere un cómodo ed utile mezzo di collegamentó dei connazionali coi Consolati, sarebbc il perno dell'attività italiana locale. Creata l'attività italiana, l'aggruppamento italiano si formerebbe per naturale, spontanea germina- 133 P zione. Tanto più fácilmente poi, se al gruppo italiano fossero forniti i mezzi — tutti od in parte, seconde i casi — per avère un locale proprio. Non vediamo assistenza più redditizia di quella rivolta a procurare locali alie società italiane. La question« delle Case d'Italia ha aspetti tutti diversi, specialmente per le grandi colonie, come quelle di Parigi, di Marsigiia, di Nizza, di Lione, ecc, ecc. La questione assistenziale si abbina con una questione di prestigio nazionale. In materia di Case d'Italia bisogna avere dei concetti grandiosi; non si tratta di ricoverare in esse determinate società, bensî di richiamare in esse la comunità italiana. Sarebbe un errore fermarsi al meschino concetto dell'alloggio; si deve aver presente la maestosità di un tempio. Per le Case d'Italia non devesi trascurare il problema délia loro gestione : è importantissimo. Opportunamente gerite, possono rappresentare un cespite di considerevoli introiti per le colonie. A tal fine, si impone una direzione amministrativa, técnica, artística álacre e competente. Non è il Segretario del Fascio locale, ne un Comitato di una mezza dozzina di presidenti di sodalizi italiani che possano asgolvere un 134 135 compito tanto gravoso e delicato. Solamente una direzione autónoma e responsabile puo assolvere il compito stesso. II Governo non dovrebbe, a nostro avviso, acquistare una Casa d'Italia senza un determinate concorso finanziario di un gruppo di connazionali. In tale concorso risiederebbe la garanzia di un'attiva e parsimoniosa amministrazione, nonchè la garanzia di una gestione redditizia. Si tratta di amministrare un capitale di parecchi milioni; non è una cosa che si debba fare alla leggera e che si possa fare a tempo perduto. Ripetiamo : nell'acquisto delle Case d'Italia — che devono essere ampie e situate in luogo centrale — bisogna abbandonare ogni spiloroería. Piuttosto nulla, che una Casa non rispondente a criteri di ampiezza e di prestigio. Considereremmo un calcólo sbagliatissimo il limitarsi a spendere due o tre milioni laddove ne occorrerebbero otto o dieci. Nessuno, per economía, comprerebbe delle scarpe più piccole dei propri piedi. I mezzi ed i modi per favorire l'afflusso verso l'Italia degli elementi stranieri devono essere rioercati, specialmente, dagli enti turistici, dalle associazioni alberghiere, dalle mu- nicipalità delle stazioni climatiche, dalle ferrovie, dalle Compagnie di navigazione marittima ed aerea. È una questione di propaganda. I suddetti enti dovrebbero, per la loro azione all'estero, unirsi, per costituire una rappresentanza collettiva. Invece, ad esempio, pei viaggi ferroviari, vi è un ufficio; per i viaggi marittimi, ve n'è un altro. Védete a Parigi : qui avete la Compagnia del turismo; in faccia, la Navigazione Generale Italiana; un po"' più lontano, il Lloyd Sabaudo; accanto, il Lloyd Triestino. Se tali enti, ed altri non nominati per brevità, avessero ufficio in comune, potrebbero disporre di locali più spaziosi e più lussuosi, nonchè di un personale più scelto. Con la stessa spesa potrebbero installarsi in tre o quattro punti diversi e lontani della metrópoli, moltiplicando per due o per quattro il loro lavoro o, quanto meno, la loro propaganda. Circa l'afflusso dei connazionali resident! all'estero verso l'Italia, i mezzi variano secondo la loro condizione económica. Per i poveri, il ribasso ferroviario in vigore si è palesato un efficace stimolo ai loro temporanei rimpatrii. È difficile che il Governo possa fare di più. Per i ricchi, le facilitazioni sono superflue; non v'è che ricordare ad essi, finché l'abbiano 136 137 hen compreso, che hanno il categórico dovere di preferiré l'Italia per là loro villeggiatura. Qualche cosa si dovrebbe fare per attirare in Italia, durante il periodo delle vacanze, il ceto medio : impiegati, artigiani, piccoli commercianti e modesti industriali. Vi è qualche cosa da fare in collegamento con l'istituzione delle colonie marine e montane per i ragazzi italiani residenti all'estero; cioè con l'istituzione che onora in sommo grado l'Italia fascista. Sarebbe interessante creare delle stazioni climatiche per i bambini accompagnati dai loro genitori. Tali stazioni avrebbero pronta e larga fortuna a due condizioni : la prima, se, oltre al consueto ribasso sulle ferrovie italiano, fosse possibile, in misura progressiva per ogni bambino, facilitare il viaggio sulle ferrovie francesi; la seconda, se si potessero apprestare alberghi'modesti, ma decorosi, arredati in guisa che ogni famiglia potesse aver l'uso della propria cuciria. Per quanto modesta, la pensione dell'albergo è sempre troppo gravosa per una famiglia un po' numerosa. II sussidio di viaggio sarebbe ricuperato per altra via, data la non disprezzabile somma che ogni famiglia spenderebbe durante il suo soggiorno in Italia. Naturalmente, alie famiglie, che avessero usufruito dei sussidi di viaggio, dovrebbe essore imposto l'obbligo di far frequentare dai loro figli i corsi di istruzione e di educazione stabiliti per la giovinezza fascista. A molti altri problemi dovremmo accennare; purtroppo, questo volumetto ha dei limiti prestabiliti. Dovremmo rilevare la nécessita di rifare la legge consolare, che data dal 1858. Dopo Lamarmora, che l'ha croata, molt'acqua è passata sotto i ponti dell'emigrazione ; la quale ha, nell'epoca mussoliniana, una fisionomía ed una importanza ben diverse da quelle di 72 anni fa. Dovremmo dire qualche cosa a proposito della gerarchizzazione delle sedi congolari, la quale non serve a nulla, se non a rendere obbligatorio il trasferimento dei Rappresentanti consolar!, ogni qualvolta sonó oggetto di una promozione. I frequent! trasferimenti sonó una vera sciagura per Femigrazione. 138 Dovremmo rilevare che i Consoli dimenticano troppo fácilmente che la loro retribuzione è quella che è — cioè cospicua — in quant» nel fissarla è stato tenuto conto di necessarie spese di rappresentanza. Sotto questo aspetto, si constata un'eccessiva parsimonia, che torna a danno dei frutti deU'azione consolare. Dovremmo richiamare l'attenzione sul personale d'ordine dei Consolati; malissimo pagato e, per inevitabile conseguenza, non di primissima qualità. Da ciô derivano inconvenienti e pericoli. Il personale d'ordine dovrebbe essere costituito da aspiranti alla carriera consolare, muniti di mezzi proprii, sufficienti ad integrare il modesto stipendio dello Stato. È inutile allungare 1'elenco dei problemi che meriterebbero di essere trattati. Il Governo li conosce tutti, i problemi dell'emigrazion«, i cita ti ed i non citati. Abbiamo fiducia nel Governo; ma non ne abbiamo molta sui risultati del Congresso degli Italiani all'estero. Già, gli Italiani all'estero sono chiamati a discutere ed a deliberare, a Roma ; ma a discutere e deliberare su che cosa? Sono, essi, preparad a ciô? No, assolutamente no. Ed allora, non scherziamo su argomenti seri. Rimettiamoci a Mussolini; non v'è niente di meglio da fare. Forse, che il Duce ha avuto 139 bisogno dell'avviso di qualche congresso per rinnovare e sistemare la vita interna dell'Italia? Senza congressi, Mussolini farà quello che occorre all'emigrazione. Non sono problemi di ordinaria amministrazione, e, tanto meno, sono argomenti da discorsi. Oltre al resto, vi è un tradizionalismo cinquantenario da demolire. Lasciamo, dunque, che il Duce tracci di sua mano i piani deU'azione italiana all'estero e riserviamoci soltanto l'onore di applicarli fedelmente, intelligent emente. Il farlo non sarà difficile, guidati dalla mano esperta e vigorosa di un Ministro degli Esteri come Diño Grandi. INDICE Pag. Premessa 7 Aspetto genérale dell'emigrazione italiana in Francia 17 La mano d'opera italiana nei varí dipartimenti francesi 39 II dramma angoscioso degli Italiani nel Sud-Ovetet 61 La questione dei salari degli emigrati . . 87 La politica francese delle naturalizzazioni 99 I problemi dell'Italia d'oltre frontiera . Ill li richiamo dell'Italia 129