Laboratorio di matematica: Introduzione
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Laboratorio di matematica: Introduzione
Considerazioni teoriche generali Udine, Master in Didattica delle Scienze Laboratorio di matematica Introduzione Giorgio T. Bagni UNIVERSITAS STUDIORUM UTINENSIS Dipartimento di Matematica e Informatica Università di Udine [email protected] www.syllogismos.it Le tecnologie possono contribuire alla creazione di un ambiente in cui l’allievo può realizzare importanti percorsi di apprendimento. Dunque le tecnologie informatiche sono artefatti, non dissimili dagli artefatti tradizionali (strumenti quali il compasso, l’abaco etc.). L’impiego di artefatti non può realizzarsi in termini del tutto spontanei, istintivi: esso coinvolge un approccio teorico delicato. Il quadro teorico: apprendimento e artefatti Il quadro teorico: apprendimento e artefatti L’applicazione di artefatti alla didattica richiede dunque la precisazione di un quadro teorico: ci rifaremo a quanto proposto da M.G. Bartolini Bussi, M.A. Mariotti e F. Ferri (CERME-3). Vygotskij riconosce funzioni di mediazione agli strumenti tecnici e psicologici (segni o strumenti di mediazione semiotica: Vygotskij, 1974, p. 227). Wartofsky (1979) identifica gli strumenti tecnici come artefatti primari. Gli artefatti secondari sono usati per fissare e trasmettere le modalità di azione. Il quadro teorico: apprendimento e artefatti Le tecnologie e l’apprendimento Didatticamente significativo è che l’uso degli artefatti primari richieda la loro manipolazione. Anche Vygotskij (1987, p. 45) sottolinea la necessità di combinare l’uso di “linguaggio, occhi e mani”. L’importanza degli aspetti corporei si accorda con la posizione della scienza cognitiva basata sui lavori di Lakoff, Johnson e Núñez (Lakoff & Núñez, 2000), secondo la quale la formazione di idee matematiche si basa sull’esperienza sensoriale-motoria. Qual è, in tale inquadramento teorico, il ruolo di un programma per computer? Dunque un compasso o una squadra possono essere considerate, in tale lettura, artefatti primari. Le regole, le convenzioni rappresentative etc. corrispondono ad artefatti secondari. Una teoria matematica è un artefatto terziario che organizza i modelli costruiti come artefatti secondari. Si può supporre (Bartolini Bussi, 2002) che gli aspetti pratico, rappresentativo e teorico siano incorporati (potenzialmente) nell’attività che si svolge con l’artefatto il quale, in tale modo, acquista le caratteristiche della polisemia (Engestroem, 1990). Un computer permette l’impiego didattico di software che possono contribuire a creare dei “micromondi” (ambienti) nell’ambito dei quali l’allievo può realizzare importanti esperienze per realizzare e consolidare l’apprendimento. Tali “micromondi” (ad esempio basati su programmi di manipolazione simbolica, algebrica etc.) sono chiaramente utili per la mediazione semiotica. Numerose ricerche didattiche sperimentali (M. A. Mariotti, Università di Siena; M. Cerulli, Università di Pisa) hanno confermato la loro possibile applicazione in termini certamente positivi. 1 Le tecnologie e l’istituzionalizzazione Un contratto mai firmato Nella pratica scolastica (ci riferiamo a diversi livelli) l’uso di computer, calcolatrici etc. è talvolta oggetto di discussione. È lecito ricorrere alle tecnologie a scuola? Quale loro impiego è consentito? Durante le esercitazioni? Durante le occasioni di valutazione? Si pensi al dibattito sull’uso delle calcolatrici scientifiche e delle calcolatrici grafiche nel corso delle prove scritte (ad esempio di analisi matematica, o durante gli esami di stato). È indispensabile una negoziazione esplicita della situazione tra l’insegnante e gli allievi. Spesso, nella nostra attività di insegnanti, ci è capitato di basare il nostro rapporto con gli allievi su regole non scritte, su convenzioni implicite che vengono accettate sia dal docente che dal discente. Talvolta sembra quasi che queste (mai dichiarate) norme di comportamento siano perfettamente conosciute da entrambe le parti in gioco, come se costituissero una sorta di contratto la cui validità sia indiscutibilmente nota e chiara per tutti. Un contratto mai firmato, ma non per questo meno importante, tale da influenzare, anche in termini decisivi, l’insegnamento e l’apprendimento. Un contratto mai firmato Il contratto didattico: clausole Già nel 1973 J. Filloux ipotizzò la presenza di un contratto pedagogico tale da collegare e da influenzare reciprocamente i comportamenti dell’insegnante e dell’allievo. Nel 1986, G. Brousseau perfezionò questa idea, inizialmente incentrata sulla dimensione sociale, e la arricchì con la considerazione degli aspetti cognitivi: nacque così il contratto didattico. Il contratto didattico secondo Brousseau è «l’insieme dei comportamenti dell’insegnante che sono attesi dall’allievo e l’insieme dei comportamenti dell’allievo che sono attesi dall’insegnante» . Clausole collegate al risultato Conoscenze (Drouhard-Panizza) Spesso le prove di valutazione (sia scritte che orali) sono basate su richieste del tipo: determina il risultato del problema seguente. Il risultato da trovare può essere un numero, una formula, un diagramma cartesiano etc. L’esito della prova dipende dunque dalla correttezza di questo risultato: se “il risultato è giusto”, allora “il compito è andato bene”. Il risultato finale è un protagonista di primo piano del contratto didattico! I problemi impossibili possono costituire un ostacolo (si ricordi il celebre “problema del pastore”). Un primo esempio: implicite attese, da parte degli studenti, basate sulla ripetizione delle modalità (ogni martedì interrogazione, ogni volta quattro interrogati, ogni interrogato un’equazione da risolvere etc.). Oppure: l’uso (non raramente maldestro) di un linguaggio apparentemente rigoroso o altisonante da parte dell’allievo può essere determinato dal tentativo, non sempre del tutto consapevole, di imitare il linguaggio impiegato dall’insegnante nelle spiegazioni o di utilizzare, in qualche modo, la terminologia presente nel libro di testo. Nasce (per la matematica) il… matematichese! La classificazione cui faremo riferimento si basa “Che cosa si devea sapere per fare matematica su di una domanda proposta da J.-P. Drouhard in modo che essa sia matematica?” Conoscenza del I ordine: i “contenuti” di ogni (vera) affermazione matematica (definizioni, teoremi…). Conoscenza del II ordine: ciò che permette al discorso matematico di funzionare come si suppone che esso debba funzionare. Ci sono due tipi di conoscenza del II ordine: uno semiotico (II-s) ed uno riguardante la validità e la verità (II-v). Per fare matematica è necessario sapere come esprimersi correttamente nei vari registri semiotici e sapere che ci sono regole per argomentare, dedurre etc. 2 Conoscenze (Drouhard-Panizza) Conoscenze (Drouhard-Panizza) Conoscenza del III ordine: riguarda le concezioni della natura della conoscenza del I e del II ordine. Un’interpretazione stretta di tale idea porterebbe a dire che c’è forse una sola conoscenza del III ordine, cioè quella secondo la quale l’attività matematica consiste nell’operare con la conoscenza del I ordine secondo le “regole del gioco” date dalla conoscenza del II ordine. Si noti che in situazioni di insegnamento si può avere a che fare con affermazioni che non sono riconducibili a conoscenza del I o del II ordine. Dunque le conoscenze del III ordine fanno capire che si sta facendo “matematica” e non qualcos’altro. Oltre il contratto didattico Oltre il contratto: situazioni didattiche L’epistemologia genetica di Piaget si è basata sull’ipotesi della partecipazione attiva dello studente alla costruzione del proprio sapere matematico. Ma altri elementi vanno considerati: lo studente apprende una disciplina con caratteristiche specifiche che non viene “ricostruita” spontaneamente. C’è inoltre l’aspetto sociale per quanto riguarda lo status della conoscenza matematica, le modalità di espressione e di applicazione. C’è infine la componente sociale per quanto riguarda l’apprendimento in classe (ad esempio l’omogeneità etc.). Oltre il contratto: situazioni didattiche Oltre il contratto: tipi di situazioni Situazione a-didattica: sono coinvolti gli studenti e il sapere, non l’insegnante. Una situazione suggerisce alcune attività collegate alla matematica, gli studenti reagiscono allo stimolo con delle strategie, ma senza obblighi didattici. Situazione non-didattica: c’è la presenza degli studenti e dell’insegnante, ma l’attività non è finalizzata a un ben preciso sapere in gioco. Situazione didattica: c’è l’esplicita intenzione di insegnare (da parte dell’insegnante) e di apprendere (da parte degli allievi). L’influenza del contratto didattico è rilevante. Più si considerano ordini di conoscenza elevati meno accordo si trova su di essi: mentre la conoscenza del I ordine è presentata nei manuali, la conoscenza del II-III ordine non sempre ottiene lo status di conoscenza «ufficiale» ed è considerata a volte alla stregua di commento o di interpretazione. La conoscenza del III ordine sarebbe in particolare collegata ad una definizione della matematica e non c’è completo accordo su di essa (si pensi ai dibattiti sull’intuizionismo o sulle dimostrazioni basate sull’uso di tecnologie informatiche). L’uso di tecnologie coinvolge conoscenze del III ordine. I due aspetti sociali citati (nella direzione della matematica da apprendere e nella direzione della comunità che apprende) attribuiscono all’insegnante un ruolo centrale. L’impostazione teorica di G. Brousseau prevede uno studio delle diverse situazioni che si creano nell’apprendimento. Ci riferiremo al “triangolo”: insegnante allievo sapere Situazioni di azione: sono determinate da interazioni con l’ambiente e favoriscono il sorgere di teorie implicite (modelli protomatematici). Situazioni di formulazione: espressione di modelli e acquisizione di linguaggi (nel caso di dimensione sociale esplicita: situazioni di comunicazione). Situazioni di validazione: prevedono la produzione di prove e di spiegazioni. Situazioni di istituzionalizzazione: conferimento dello status ufficiale a conoscenze emerse durante l’attività in aula. 3 Un momento cruciale: la devoluzione Contratto e costume (Balacheff) Lo studente costruisce la propria conoscenza (cioè apprende) soltanto quando si interessa personalmente al problema che gli viene proposto nella situazione didattica. Tale coinvolgimento personale viene indicato mediante il termine devoluzione. Esempio di mancata devoluzione: lo studente segue le spiegazioni, esegue i compiti, studia. Ma… …non partecipa! È come se dicesse: “Sono qui, faccio quello che mi dicono essere il mio dovere, ma… ciò che mi propongono non mi coinvolge, non mi interessa”. Contratto e costume (Balacheff) Contratto e costume (Balacheff) La presenza di un costume e di un contratto didattico in una stessa classe, secondo Balacheff, non rappresenta una contraddizione o un’alternativa. Il carattere locale del contratto didattico può far sì che un particolare contratto si sovrapponga al costume per un certo periodo (collegato, ad esempio, ad una particolare attività). Quando il particolare contratto che era stato stabilito decade, si torna a fare riferimento al costume. Anche il costume si evolve, ad esempio a fronte dell’evoluzione di alcune pratiche matematiche. Il concetto di costume riprende in termini diversi alcune caratteristiche spesso associate al contratto didattico. Ciò che rende diversa una comunità basata su interazioni collegate al costume da una nella quale è stabilito un contratto didattico è che mentre il costume è spontaneo e inconscio, il contratto è più esplicito. La presenza del costume appare nel momento in cui i suoi effetti si manifestano. Il costume è più generale: un contratto didattico viene negoziato in una classe particolare. La legittimazione dell’uso di tecnologie informatiche (dalla calcolatrice tascabile al computer) è un elemento che si collega in termini essenziali al costume. A tutti grazie dell’attenzione 4