Autismo e matematica - Politecnico di Torino
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Autismo e matematica - Politecnico di Torino
Autismo e matematica Dopo il grande successo di Enzersberger, qualche anno fa, di nuovo un libro che ha come protagonista la matematica si colloca stabilmente ai primi posti dei libri più venduti. Si tratta di Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Einaudi, Torino, 2003, ∈ 16.00.1 Un libro di cui Oliver Sacks ha detto che “mostra grande penetrazione nella mente autistica”, e che lo ha trovato “commovente, plausibile e divertente” non ha bisogno di altre presentazioni o lodi - per quel che riguarda la verosimiglianza degli aspetti clinici. Si può aggiungere “educativo”, perché la storia, raccontata in prima persona da un ragazzo di quindici anni affetto dal morbo di Asperger, insegna come sia possibile affezionarsi fino ad amare una persona affetta da tale disturbo, e come debba essere lacerante la vita per chi la ama, nell’impossibilità del contatto fisico e nel rispetto assoluto delle sue esigenze. Il motivo per cui il libro merita una discussione è il legame ben noto tra autismo e matematica2 , che qui è sfruttato sistematicamente sia per delineare la personalità del protagonista, sia per dare unità e finalità alla storia (il ragazzo nel mezzo delle sue sconvolgenti avventure legate al caso del cane ha come riferimento costante l’obiettivo di sostenere gli esami di livello A di matematica, per poter accedere all’università e diventare uno scienziato). Il protagonista si presenta in questo modo: “Mi chiamo Christopher John Francis Boone. Conosco tutti i paesi del mondo e le loro capitali e ogni numero primo fino a 7.507”. Ma nella storia, e nella mente del ragazzo, c’è molto di più di questo classico topos dei numeri primi (qui solo sfiorato, per1 The Curious Incident of the Dog in the Night-time, Jonathan Cape, London, 2003, pp. 272. 2 Per le informazioni essenziali, si veda S. Dehaene, Il pallino della matematica, o G. Lolli, “La matematica, la mente, il cervello”, Boll. UMI Serie VIII, Vol. III-A, agosto 2000, pp. 121-46. 1 altro con grande raffinatezza: dopo la descrizione del crivello di Eratostene: la primalità è “quello che resta quando si toglie ogni struttura” ai numeri). Possiamo chiederci se oltre a gettare luce sulla mente autistica il rapporto con la matematica - ancora non chiaro - non getti luce anche sulla matematica stessa. Di solito nell’opinione comune tale rapporto è citato e sfruttato solo per degradare quest’ultima. E se invece mostrasse caratteristiche e valori positivi della matematica? Vediamo dunque perché la matematica è importante per Christopher e quale funzione svolge nel mantenere la sanità e l’equilibrio della sua mente. Alcune caratteristiche sono dichiarate, altre si evincono dalle vicende e dai comportamenti. Se si raccolgono tutti i riferimenti matematici del libro, sui quali ad una prima lettura, presi dalle vicende, è facile sorvolare, si vede che la matematica ha un peso e un ruolo essenziale nella storia, e si manifesta con molteplici e raffinati elementi. Dal complesso della trattazione risulterà una suggestiva ipotesi: che le capacità matematiche dell’autistico non siano solo una coincidenza curiosa da spiegare con l’indagine neurofisiologica, ma costituiscano un vero sostegno o impalcatura della sua vita, non solo un lenimento per le numerose ferite che gli vengono inflitte (anche se questo aspetto è importante: quando è nervoso o spaventato, il protagonista per calmarsi calcola potenze o risolve equazioni di secondo grado3 , o per liberare la testa dalla confusione di troppi stimoli si isola giocando a mente il gioco dei soldati di Conway, di cui spiega anche la soluzione4 ). Innanzi tutto c’è il tema della verità, a cui il ragazzo è sensibilissimo; C. non mente mai e non sopporta che si menta e questo come è facile immaginare lo mette in situazioni imbarazzanti. In verità non è facile immaginarlo, perché non ci rendiamo conto di quanta parte dei nostri discorsi non siano affermazioni veridiche di fatti, ma prevalga nella comunicazione umana il discorso obliquo, anche se spesso comprensibile - da noi, non da lui, che infatti non capisce i dopppi sensi o non li ama: li percepisce, ma non riesce ad usare il contesto per isolare il significato inteso, e quindi non sa cosa pensano le persone che ne fanno uso. Quando racconta uno dei tre jokes che conosce fa sorridere, perché il motivo per cui lo apprezza (la precisione letterale del matematico) è proprio quanto la barzelletta vuole mettere in ridicolo. In 3 Con una buffa traduzione in italiano. lettore può giocarlo anche lui se riesce a interpretare la traduzione non del tutto chiara delle istruzioni. 4 Il 2 generale, se deve interpretare una barzelletta, C. ha l’impressione di diversi pezzi musicali suonati contemporaneamente, o di diverse persone che parlano insieme, i significati si sovrappongono. La matematica è connessa alla verità non perché abbia una certezza superiore, ma perché la verità è una, come uno è il significato del discorso matematico. Una sola cosa accade in un dato luogo e istante, mentre quelle che non accadono sono infinite; e se si deve pensare a quelle che non accadono, il pensiero si perde; questo è il motivo per cui C. non è capace di mentire. Dai diversi esempi che si presentano nel corso della storia (si veda oltre, ad esempio il problema di Monty Hall), sembra di capire che la matematica serve a individuare e ad isolare quell’unico fatto che è il vero. Collegato al tema della verità è il rifiuto della metafora, della quale C. capisce il funzionamento - al punto di spiegare che la metafora (il tras-porto) è una metafora - ma dalla quale rifugge, a differenza dalla similitudine (ingl. simile), perché non dice il vero in senso letterale. La metafora è parente stretta del doppio senso, o vi cade facilmente e deteriora il significato delle parole. La metafora è oggi un argomento molto studiato come possibile chiave interpretativa dell’acquisizione e dei fondamenti della matematica. L’avvertimento di C. deve essere raccolto come un invito alla cautela o almeno alla precisione: spesso nel desiderio di generalità si etichetta come “metafora” quella che è più correttamente definibile come analogia; la somiglianza strutturale è propriamente analogia5 . Il ragazzo autistico ha un ideale di univocità di significato, che assicurerebbe la certezza della verità. Il significato è la malattia delle persone normali, che costruiscono invece le menzogne sul significato delle parole. O che perdono il loro tempo nel chatting, scambiandosi frasi che non sono domande e risposte e non sono collegate tra loro. C. le condanna per contrappasso: il sogno che più gli è caro e piacevole, che sogna quando è felice, contempla la scomparsa delle persone normali, che rendono difficile la vita, in seguito ad un’epidemia causata da un virus trasmesso attraverso le parole ascoltate, ad esempio davanti alla televisione. Un insegnante di C. gli spiega che il motivo per cui lui ama la matematica è la sicurezza; nella matematica trova sempre risposte e soprattutto risposte 5 Sul tema, che allontanerebbe dalla presente discussione, si veda G. Lolli, recensione di Da dove viene la matematica. 3 nette. Implicita come contraltare è l’affermazione che nella vita le cose non stanno cosı̀ (non che C. capisca gli innuendo, ma glie lo chiede, e glie la fa rendere esplicita). Ma “il signor Jevons non capisce i numeri”, come la maggior parte delle persone normali. A riprova C. introduce e spiega il problema di Monty Hall (in due modi, con la formula e con un ragionamento a grafo delle diverse possibilità) ricavandone due morali: la prima è che le persone usano l’intuizione nel prendere decisioni, e si sbagliano, mentre la logica li aiuterebbe; la seconda è che i numeri qualche volta sono complicati e per nulla diretti. La matematica è legata all’intelligenza; C. sa di essere un osservatore implacabile, mentre le persone comuni lasciano molto a desiderare (il perché lo vedremo dopo), ma distingue la capacità d’osservazione dall’intelligenza. Questa consiste nello scoprire qualcosa di nuovo a partire dalle conoscenze che si hanno, come ad esempio scoprire che l’universo è in espansione, e cosı̀ risolvere il paradosso di Olbers della luminosità; l’altro esempio è preso dalla matematica, è un caso di numerologia, ma l’essenziale è l’affermazione che con i numeri si ottengono cose nuove. La matematica risolve anche alcuni misteri, come quello della popolazione delle rane nella fontana della scuola, a proposito della cui crescita e diminuzione C. illustra l’equazione dell’evoluzione delle popolazioni, e il differente andamento delle soluzioni a seconda del valore del parametro. In conclusione, non c’è nessun mistero, solo un fenomeno troppo complicato da prevedere ma che obbedisce leggi semplici. La ragione dell’evoluzione è interna al fenomeno, è dovuta alla matematica, al modo come si comportano i numeri e non richiede cause esterne. La matematica è una tecnica di rappresentazione di grande utilità: quando si trova in un posto nuovo, Usually I do a map; l’abitudine all’uso di questa rappresentazione, accompagnata dagli opportuni algoritmi adeguati, gli è utile per muoversi, sia in senso fisico che metaforico; ad esempio per trovare un posto che sa essere vicino (la stazione), C. usa con successo e consapevolmente l’artificio di percorrere una spirale. Di fronte a una difficoltà I formulated a plan, scandito in scomposizione di sottoproblemi e alberi di decisione. Le persone normali non farebbero cosı̀, non sanno neanche cosa è una spirale, chiederebbero la direzione a chi capita; ma “le persone normali spesso vogliono essere stupide e non conoscere la verità”, come quando si danno allo spiritismo e pensano di parlare con i morti. La stupidità provata della gente è la rivincita di C. 4 C. non ama solo la matematica, ma la scienza in genere, che conosce e rispetto alla quale ha un atteggiamento non diverso da quello verso la matematica. Si è costruita una concezione materialistica delle cose, dell’universo e della vita, ma da come la esprime si capisce che vi è pervenuto per contrapposizione e rifiuto delle falsità correnti, ancor prima di trovare i sostituti scientifici di quelle. Falsità correnti sono quelle che affermano in generale che al di là di quello che si vede c’è altro, e questo altro nei discorsi e nelle credenze prende vita, si inserisce nel significato delle parole e si arricchisce di caratteri animistici tutti inventati. La scienza smaschera i falsi, dimostrando cosı̀ che le persone sono stupide, perché fanno cose che non capiscono oppure che sono insensate, come alludere ai morti che ci vedono, o parlare del Paradiso come di un luogo fuori dell’universo. Se fosse al di là di un buco nero, per farvi arrivare i defunti i funerali dovrebbero essere realizzati con il lancio di razzi spaziali. La visione scientista (direbbe qualcuno) di C. lo porta a confutare l’argomento della complessità come prova dell’esistenza di Dio; se le persone ragionassero logicamente, capirebbero che si pongono la domanda sulla complessità del creato solo post factum, per il motivo che esso esiste e loro esistono. Analogamente lo porta a ritenere storica e transeunte la superiorità umana nel regno animale, e a spiegare materialisticamente cosa succede dopo la morte con la dissoluzione dei cadaveri (alcune molecole delle ceneri della madre potrebbero essere mescolate alle nuvole che C. sta guardando). Una delle difficoltà delle persone autistiche riguarda la mente degli altri; anche C. da piccolo non le capiva (nel senso corrente in cui noi pensiamo di risolvere il problema immedesimandoci nella mente degli altri). Contro la previsione degli insegnanti che avrebbe sempre avuto questa difficoltà, C. l’ha superata, trattandola come un puzzle, perché un puzzle si può sempre risolvere. Gli è di nuovo d’aiuto la scienza, perché It’s like computers. Segue la migliore descrizione e demistificazione dell’illusione dell’omuncolo che abbiamo letto. Le persone pensano che i loro cervelli siano speciali, e che le macchine non abbiano una mente, perché credono che ci sia qualcuno dentro la loro testa che guarda attraverso gli occhi; invece non guardiamo fuori, ma guardiamo uno schermo che è dentro la nostra testa. C. ha seguito in una trasmissione televisiva un esperimento che prova l’esistenza di saccadi, brevi intervalli in cui l’occhio salta da una posizione a un’altra e non recepisce nulla nel frattempo, perché se si vedesse tutto girerebbe la testa; ma non si ha la sensazione di essere ciechi durante tali sbalzi perché il cervello riempie lo schermo nella testa in modo da dare l’impressione della visione 5 continua. I cervelli degli esseri umani, a differenza di quelli degli animali, hanno la capacità di proiettare su questo schermo anche cose che non sono presenti e che non si stanno vedendo, funzionalità dalla quale risultano tutti i fenomeni della memoria e dell’immaginazione. Né si può dire che l’omuncolo guarda lo schermo come il Capitano Jean-Luc Picard in Star Trek , perché l’omuncolo è solo un’altra immagine sullo schermo; quando lo si immagina, quando l’omuncolo è sullo schermo, è un’altra parte del cervello che lo sta guardando, ma il cervello non coglie il fenomeno di una parte di sé che guarda lo schermo, perché i passaggi da un pensiero all’altro sono come saccadi, in cui non ci si rende conto della discontinuità. “E questo è il motivo per cui i cervelli umani sono come i computer”. Le persone pensano che i computer non abbiano sentimenti, ma i sentimenti sono solo immagini sullo schermo di cose accadute o che accadranno. C. ha naturalmente un ottimo rapporto con il computer, su cui gioca con grande efficacia diversi giochi, riportando le prestazioni, che forse impressioneranno chi li conosce. Il motivo per cui le persone sono poco osservatrici, quasi cieche, è che la loro testa è piena di cose non connesse tra loro e sciocche, perché grazie alla loro capacità immaginano in continuazione cose non accadute o che potrebbero accadere. C. non ha mai di queste fantasie, se le vieta (o cosı̀ razionalizza) perché sarebbero bugie. Con la testa piena di cose silly che impediscono il pensiero, oltre alla capacità di osservazione difetta nel normale anche quella di imparare fare cose nuove, come suonare sfregando i bordi dei bicchieri, ma le persone non lo sanno e non lo fanno. C. vorrebbe mettere nella storia delle sue avventure anche come ha fatto a trovare la soluzione del problema di geometria che ha risolto all’esame, ma è dissuaso dal farlo dall’insegnante che lo aiuta a scrivere il libro perché secondo lei non sarebbe interessante per i lettori: “ma io ho detto che lo era”. Ha ragione, la dimostrazione (spiegazione di come ha fatto a trovare la soluzione) è sempre interessante, e anche questa lo è, come i lettori potranno verificare cercandola da sé prima di guardarla nell’appendice dove è stata relegata. 6