Lavoro flessibile – jobs act - relazione avvocato Fabio Petracci al

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Lavoro flessibile – jobs act - relazione avvocato Fabio Petracci al
Associazione professionale Petracci Marin - www.petraccimarin.it
Lavoro flessibile – jobs act - relazione avvocato Fabio Petracci al convegno del 25
settembre 2015 organizzato da AGI e Giuristi cattolici presso il Seminario
Diocesano di Trieste.
Il jobs act nell’ordinamento del lavoro.
Parlare del Jobs Act come comunemente si parla di una legge è riduttivo. Si tratta
in realtà di un sistema di norme che involge l’ordinamento del lavoro.
Il provvedimento si compone in via principale della legge 183/2014 contenente tutta
una serie di deleghe al governo per apportare sensibili riforme nell’ambito del diritto
del lavoro.
Poiché gli interventi erano ad ampio raggio, tutta una serie di decreti legislativi
emanati dal Governo sono destinati a completare in dettaglio la materia.
Poco dopo, era emanato il Dlgs 22 – 23/2015 in tema di sostegno alla
disoccupazione – licenziamenti e tutele crescenti.
Era quindi la volta del Dlgs 81/2015 in tema di disciplina organica dei contratti di
lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni.
Questo è l’ordine cronologico e mnemonico dei provvedimenti, ma noi preferiremo
un ordine logico.
Per fare questo è opportuno capire la logica di queste molteplice intervento ed
ancor prima, i suoi presupposti.
Non va dimenticato che all’inizio degli anni 2000, anche con l’avvento del centro
destra al governo, si manifestò una grande fiducia nella flessibilità contrattuale
quale punto d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
Fu emanato il Dlgs 276/2003 che introduceva accanto al classico rapporto di lavoro
a tempo indeterminato numerose tipologie contrattuali mutanti gli elementi
contrattuali della prestazione quali il tempo, la durata, il luogo.
Altre forme contrattuali si frapponevano invece, talora in chiave elusiva, tra il
classico rapporto di lavoro subordinato e quello autonomo con una conseguente
caduta di tutele ed una maggiore appetibilità per l’impresa soprattutto quella di
piccola dimensione prevalente nel nostro paese.
Per il resto l’importante riforma conviveva con lo schema storico del rapporto di
lavoro ad estrema tutela e contraddistinto da un rilevante margine di libertà e
stabilità garantite dallo statuto dei lavoratori.
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La nuova legge per un certo periodo favorì effettivamente l’occupazione, ma poco
dopo, stante anche la crisi economica, manifestava i propri limiti.
In primo luogo, il prevalente sistema sotodimensionato ed elementare dell’impresa
italiana, più che utilizzare le complesse e sofisticate forme contrattuali introdotte
dalla legge Biagi, convergeva verso forme elusive della normativa lavoristica piu’
elementare con le prestazioni a progetto, i contratti di associazioni in
partecipazione ed altre forme atte ad eludere la normativa imposta al lavoro
subordinato.
D’altro canto, presso le grandi aziende continuava ad operare lo schema
contrattuale classico con pienezza di diritti, intangibilità dell’inquadramento, rigidità
in uscita, rilevante sindacalizzazione.
Su questo piano si muovevano di volta in volta, interventi contraddittori dei governi
di centro sinistra per limitare la flessibilità ed interventi dei governi di centro destra
per sguarnire lentamente le protezioni garantite al lavoro (vedasi collegato lavoro).
Fu questa l’eredità raccolta dal Governo Monti che venne affrontata con la legge
Fornero che per prima affrontò in maniera ragionata, ma non incisiva, questa
situazione, limitando talune forme di contratti flessibili e facilitando la flessibilità in
uscita, limitando la rigidità in uscita e facendo in modo che, per la prima volta nelle
aziende dove era applicabile l’articolo 18 (medie e grandi dimensioni) non sempre
al licenziamento illegittimo conseguisse la reintegra del lavoratore.
Il Jobs Act, poco dopo, interviente in maniera molto più ampia, complessa ed
articolata.
Il Jobs Act prosegue in qualche modo l’opera di smussare gli estremi di tutela e
quelli di flessibilità / elusione già affrontati con la legge Fornero.
E’ quindi emanata la legge 183/2014 cui seguono tutta una serie di decreti
legislativi destinati ad affrontare i singoli punti del diritto del lavoro.
Abbiamo già detto che prima furono affrontati assieme i temi del licenziamento e
degli amortizzatori sociali e quindi quello delle forme contrattuali e delle mansioni.
Sotto l’aspetto sistematico nulla da eccepire. Sotto l’aspetto logico, ci sia consentita
qualche riflessione.
La limitazione delle forme contrattuali è un limite alla flessibilità.
La disciplina delle mansioni e i licenziamenti garantiti da tutele minime destinate a
salire è invece un elemento di smantellamento o almeno riduzione delle rilevanti
tutele presenti nel mondo del lavoro.
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Una valenza supplettiva od ausiliaria, può essere invece data alla nuova disciplina
degli amortizzatori sociali o meglio della protezione in caso di licenziamento.
Smussando queste linee estreme, il legislatore si propone di convogliare le imprese
verso la scelta di rapport di lavoro meno protetti, ma pur sempre a tempo
indeterminato e soggetti alla normativa del lavoro.
Vediamo ora, nell’ordine delineato, come viene attuato questo disegno.
1. Alleggerimento delle tutele.
In base alla legge Fornero è confermato il doppio regime di tutela dal
licenziamento.
Continua ad esistere il doppio binario che vuole l’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori applicabile alle sole aziende con più di 15 dipendenti in sede locale o 60
in sede nazionale, mentre ai restanti datori di lavoro, con esclusione dei domestici,
si applica in caso di licenziamento illegittimo, esclusivamente un modesto regime
risarcitorio.
La legge Fornero aveva peraltro escluso che anche nel caso di applicazione
dell’articolo 18, al licenziamento illegittimo conseguisse sempre la reintegra,
riservandola ai casi più gravi di totale insussistenza della materialità della giusta
causa e del giustificato motivo.
Il Jobs Act interviene sul punto, ma solo per i lavoratori assunti dopo la sua entrata
in vigore o per i dipendenti di quei datori di lavoro che aumentano il numero dei
dipendenti sino a superare la soglia di applicabilità del Jobs Act.
Per questi lavoratori l’ipotesi di reintegra in caso di licenziamento illegittima viene
ulteriormente ristretta al solo caso di insussistenza materiale del fatto addebitato.
Viene ridotta la penale a carico del datore di lavoro per il licenziamento illegittimo in
funzione dall’anzianità maturata dal dipendente, fissando il risarcimento in due
mensilità per ogni anno di lavoro con un risarcimento minimo pari a 4 mensilità ed
uno massimo pari a 24 mensilità.
La penale è dimezzata per le aziende sotto i limiti di applicabilità dell’articolo 18 ed
in ogni caso per i licenziamenti che presentano esclusivamente irregolarità formale.
Si crea così un doppio regime giuridico dei licenziamenti , il regime a tutele
crescenti per quanti assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs act ed il “vecchio”
regime Fornero per gli altri.
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Sempre in tema di “moderazione” delle tutele, il Jobs Act interviene anche per
modificare l’articolo 2103 del codice civile che sino a ieri sanciva l’immodificabilità
delle mansioni.
Stabilisce la nuova disposizione di legge che nel caso di modifica degli assetti
organizzativi aziendali, previa formale comunicazione scritta al dipendente possono
essere affidate mansioni di livello inferiore (non di categoria professionale) salvo
l’inquadramento e la retribuzione.
E’ resa possibile inoltre, nelle sedi protete DPL o Associazioni Sindacali il vero e
proprio accordo di dequalificazione.
Inoltre, il periodo minimo per l’acquisizione dell’inquadramento superiore per lo
svolgimento di fatto di mansioni superiori è portato da 3 mesi a 6.
Sempre in tema di “contenimento” dei diritti un’ulteriore modifica riguarda l’articolo 4
dello Statuto dei Lavoratori inerenti i controlli a distanza dell’attività dei dipendenti.
La riforma apporta un’eccezione a questa regola stabilendo al secondo comma
dell’articolo 4 che i limiti imposti dallo statuto dei lavoratori non si applicano agli
strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa ed agli
strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
A questo contenimento dei diritti, si accompagna una riduzione ed un contenimento
della flessibilità contrattuale , destinati alla fine a convogliare le scelte degli
imprenditori verso forme comuni e staili di lavoro o a tempo indeterminato o in
casistiche tipiche a tempo indeterminato o a carattere formativo.
E’ così emanato in attuazione della legge delega 183/2014 il Decreto legislativo
81/2015 caratterizzato da una serie di interventi destinati ad incidere per la gran
parte sulle ipologie contrattuali introdotte con il Dlgs 276/2003 (legge Biagi). Una
parte del provvedimento introduce sensibili cambiamenti, il resto si limita ad
aggiustamenti di talune fattispecie contrattuali già toccate dalla legge Fornero.
L’intervento radicale cui si accennava, è dato dall’eliminiazione a partire dal 1
gennaio 2016 delle collaborazioni coordinate e continuative con l’eccezione di
quelle prestate da soggetti iscritti ad albi professionali, alle attività dei componenti i
consigli di amministrazione, alle collaborazioni rese ai fini istituzionali a favore delle
società sportive a carattere dilettantistico.
Dalla data indicata del 1 gennaio 2016, tutte le prestazioni a progetto, coordinate e
continuative, non rientranti nell’eccezione di cui sopra ed aventi caratteristiche di
vincolo personale, continuato e destinte a svolgersi in ambienti del committente,
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saranno automaticamente trasformate in contratti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
E’ quindi eliminato dal mondo del lavoro il contratto di associazione in
partecipazione che aveva avuto applicazioni prevalentemente elusive.
Per il resto, si constatano modifiche sui contratti a tempo determinato dove gli unici
vincoli restano quello della durata complessiva di 36 mesi e dell’intervallo
obbligatorio di 10/20 giorni tra un contratto e l’altro.
In proposito, il vincolo numerico percentuale di contratti a termine stipulabili rimane
, ma la sua violazione determinerà esclusivamente una sanzione amministrativa.
Viene quindi riordinato il lavoro a tempo parziale, ammettendosi l’inserimento del
lavoratore a part time in regolare turnazione. Si procede ad una precisa definizione
di lavoro supplementare e straordinario.
Si sancisce il diritto a poter lavorare a tempo determinato non solo per i lavoratori
affetti da patologie oncologiche, ma anche per quelli affetti da patologie
oncologiche o degenerative ingravescenti
Viene alquanto semplificata la normativa in tema di apprendistato con la
suddivisione in n.3 tipologie:
a) Professionalizzante
b) Qualifica e diploma professionale
c) Alta formazione e ricerca.
Gli ultimi due vengono integrati in un sistema duale con l’istruzione
scolastica.
La riforma quindi si appoggia su una serie di interventi sugli amortizzatori
sociali.
In primo luogo è sancita l’esclusione della cassa integrazione per le aziende
che hanno cessato l’attività.
Si subordina l’accesso alla cassa integrazione alla preventiva attuazione di
contratti di solidarietà.
Sono sottoposti a revisione i limiti di durata della cassa integrazione
Per venire incontro allo stato di disoccupazione è introdotto un nuovo
assegno di disoccupazione che sostituisce l’Aspi, denominato Naspi.
L’ammontare di detto assegno che viene erogato per un periodo più lungo,
viene ridotto progressivamente del 3% per ogni mese successivo al 4°
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Nei casi più gravi di disoccupazione è introdotto un successivo assegno
denominato ASDI cui si accompagna però un progetto personalizzato di
avvio al lavoro.
Dunque in conclusione una riforma ad ampio spettro che però solo su taluni
punti strategici introduce forti innovazioni.
Va tenuto conto, ad onor del vero, che essa interviene dopo poco più di un
biennio dalla Legge Fornero che seppure con taluni limiti, ha toccato la
materia.
Per tale motivo essa forse non appare incisiva in quanto interviene su di un
terreno appena lavorato.
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