Numero 51 - Ricreatorio San Michele

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Numero 51 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA
Anno 11 Numero 51 edizione Gennaio-Febbraio 2015
Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005
Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro
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SARÀ GUERRA SANTA?
ISLAM E OCCIDENTE: INTEGRALISMO E INTEGRAZIONE
FRA PRESENTE E FUTURO
I
recenti sviluppi internazionali – dall’ascesa violenta del Califfato Islamico
in Medio Oriente e Africa settentrionale fino agli attentati in Francia rivendicati da Al Qaeda – ci spingono ad avviare una riflessione su un aspetto
destinato a coinvolgere tutti noi nel prossimo futuro: le reali possibilità di integrazione tra culture diverse, in particolare tra quella occidentale di matrice cristiana e
quella di matrice islamica.
C’è un assioma fondamentale e imprescindibile che sorregge il nostro ragionamento: non ci interessa (e non sarebbe nemmeno possibile) stabilire se una cultura – cristiana o islamica che sia – possa essere migliore delle altre. Ci interessa
comprendere una sola cosa: possono integrarsi tra loro?
Il rischio, in questi ragionamenti, è di cadere nel luogo comune: i musulmani
sono tutti cattivi e integralisti è un concetto che va subito e chiaramente condannato e rinnegato. La tragedia di Parigi è probabilmente la conferma più concreta
nella sua drammaticità: un terrorista musulmano francese che uccide un poliziotto musulmano francese ci fa comprendere come il problema sia un altro.
L’integralismo. Questione marginale che riguarda pochi fanatici, dunque?
Da qui, parte la seconda parte del nostro ragionamento. Immaginiamo uno scenario futuro per ora inesistente: i terroristi integralisti come i fratelli Kouachi o
Maimouna Coulibaly – senza scomodare i tagliagole dell’Isis – che inneggiano
alla jihad (la guerra santa) contro gli infedeli occidentali, aumentano di numero,
di convinzione e di potere tanto da riuscire a imporre sugli altri la propria volontà. Come accade in molte aree di quell’immenso territorio sopra citato, che dalla
Siria arriva fino in Libia (alle porte di casa nostra), passando per Iraq, Nigeria
e numerosi altri Stati.
È mera fantasia?
O gli abitanti della città siriana di Kobane, fiorente realtà al confine con la
Turchia, cacciati dalle proprie abitazioni dai fanatici del Califfato islamico
e costretti da un giorno all’altro a trasformarsi in profughi senza dimora,
fra qualche decennio potremmo essere noi?
La difficoltà di questo ragionamento sta nell’affrontarlo senza pregiudizi e
preconcetti stereotipati: sia da un lato (i musulmani sono tutti integralisti e
mirano a imporci la legge islamica), sia dall’altro (l’integralismo non esiste e non potrà mai attecchire nel nostro territorio, solo ipotizzare questo
scenario è follia).
Quasi un secolo fa, in un’Europa sconvolta dalla crisi economica del primo dopoguerra, pochi fanatici presero il sopravvento perché l’opinione
pubblica e la popolazione accanto a loro li lasciò fare. Il loro estremismo
razzista affascinò tanti e impaurì molti di più. Offrendo carta bianca per
la conquista del potere. E in soli 4 anni – grazie a una serie di condizioni
sociali, economiche e militari a lui favorevoli – un ex galeotto di nome
Adolf Hitler divenne Cancelliere della Germania, dando il via all’immane
tragedia nazista.
Decenni più tardi, una donna tedesca che sosteneva il nazismo disse:
“All’epoca non capivamo niente. Eravamo follemente innamorati del
Führer e delle sue idee, al punto da non renderci conto di quello che facevamo”.
La civiltà del XXI secolo saprà imparare dai propri errori? Oppure, in
nome dell’imposizione della propria visione o, peggio, ideologia e del rifiuto di integrazione con l’altro – sia nel mondo occidentale sia nel mondo
islamico – la spirale di minacce che sta montando sulle coste mediterranee
di fronte alla nostra Italia è destinata ad avvitarsi su se stessa in maniera
irreversibile?
In altre parole, la minaccia del Califfato islamico di portare la guerra santa
nel cuore del Cristianesimo, settant’anni esatti dopo la caduta del nazismo,
troverà condizioni sociali, culturali, economiche e militari per divenire
realtà?
ANDREA DONCOVIO
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IL PUNTO SU
«VI RACCONTO I JIHADISTI DELLA PORTA ACCANTO»
È la seconda volta che intervisto KHALED FOUAD ALLAM, algerino classe 1955, una delle massime autorità in
tema di rapporti fra Islam e Occidente: la sua produzione
scientifica, da docente universitario di Sociologia del mondo
musulmano e Storia e Istituzioni dei paesi islamici, è fra le
più importanti in materia, mentre la sua attività di divulgatore è sempre accompagnata da un meritato successo di
pubblico e critica.
De Sausurre diceva che la lingua forma la coscienza: aveva
ragione».
–L’Islam
–
moderato esiste e lei ne è la prova vivente, ma l’impressione è che sia difficile avere molti interlocutori: è davvero
così?
«Come dicevo, mancano esempi positivi nei ruoli chiave: chi
combatte per la democrazia, la libertà e la pacifica convivenza dall’interno del mondo islamico non viene riconosciuto
e viene posto l’accento solo su chi non vive il Corano nella
modernità e continua a leggerlo in maniera medievale. D’altro canto, dopo la caduta del Muro di Berlino si è assistito
senz’altro a una radicalizzazione delle coscienze: le ideologie sono state sostituite dal recupero delle matrici religiose,
strumentalizzate per la lotta politica. E bisogna essere onesti
nel dire che la cosiddetta integrazione funziona poco e male:
maggioranza e minoranza vivono separati in casa, non comunicano e non si conoscono».
–Siamo
–
in guerra, professore?
«Sì, è evidente».
–Che
–
tipo di conflitto è quello dichiarato dal fondamentalismo
islamico?
«Senza un fronte e per questo è difficile combatterlo: c’è una
destabilizzazione globale che può colpire ovunque, anche da
noi in Italia. Accanto a questo c’è l’ISIS, che invece si configura come un vero e proprio stato, con tanto di esercito e
confini sempre più spostati in avanti».
–La
– politica minimizza i pericoli oppure li ingigantisce: perché
non si riesce ad affrontare i problemi con razionalità?
–Il
– Medio Oriente come l’abbiamo conosciuto finora è morto?
«Purtroppo non si dà più retta agli esperti: una delle tristi
eredità del Novecento è la frattura fra politica e cultura. Più
volte, ad esempio, ho proposto di istituire un album degli
imam, con una documentazione completa, ma non se ne è
fatto nulla. Allo stesso modo sarebbe importante creare dei
centri di formazione per gli imam stessi, pensati in un’ottica
europea e ‘moderna’, ma pure in questo caso le idee rimangono sulla carta».
«L’Occidente è ancora fermo ai confini tracciati nel 1945,
ma quel mondo è finito. Ne sanno qualcosa i Curdi, che combattono contro l’ISIS mentre il resto del mondo non sa come
muoversi».
in
uotattualità
–Lasciando
–
da parte gli aspetti militari, come si può fronteggiare questo processo?
«Dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Europea ha dimostrato che la cultura è un collante:
popoli che per secoli si sono ammazzati reciprocamente oggi
siedono allo stesso tavolo, non solo in virtù di interessi comuni. Tuttavia Italia, Spagna, Grecia e tutti gli stati balcanici hanno una storia di relazioni strettissime anche con il
mondo arabo musulmano: per questo credo ci sia bisogno di
un Consiglio dei Paesi euro-mediterranei. Ma ora non siamo
nemmeno alle premesse…»
–La
– sua ultima fatica editoriale ha un titolo emblematico: Il
jihadista della porta accanto. Siamo sul pezzo, direi.
«Fin troppo. Il libro è uscito verso la fine del 2014 ed è andato esaurito in poche settimane: mentre stavo lavorando alla
seconda edizione, a Parigi è avvenuto il terribile attentato
alla redazione di Charlie Hebdo. Ho dovuto aggiornare il volume in tempo reale, un attimo prima di andare in stampa».
–Chi
–
è il jihadista della porta accanto?
«Può essere un musulmano qualunque, magari di scarso livello culturale, che entra nel giro di qualche cattivo maestro
dal quale rimane soggiogato: “esercitare il massimo sforzo”, che poi è il significato primario di jihad, diventa così
uno strumento di riscatto sociale. Penso a Khaled Kelkal, il
franco-algerino giustiziato dai gendarmi francesi nel 1995,
considerato il primo attentatore islamico in Europa. La sua
formazione ideologica, per così dire, è avvenuta in carcere,
dov’era finito per casi di microcriminalità comune: è lì, a
contatto con un guru del radicalismo, che è avvenuta la sua
re-islamizzazione. Ma il jihadista della porta accanto può anche essere il giovane ben integrato, con una buona posizione
lavorativa, che viene sedotto dal fascino dell’eversione soprattutto grazie a un certo tipo di messaggi, video, articoli e
appelli via internet: da questo punto di vista, la strategia di
reclutamento nel web dell’ISIS è eccezionale».
–Per
–
quale motivo?
«Perché punta tutto sulla solitudine del potenziale terrorista,
il vero dramma che accomuna le due figure diversissime di
musulmano appena menzionate».
–Di
– cosa si nutre questa solitudine?
«Almeno in Occidente della mancanza di una autorità che lo
rappresenti. L’Islam, fuori dai luoghi in cui è maggioranza
assoluta, non ha alcun riconoscimento: non ha uomini nei
posti chiave, esempi positivi a cui fare riferimento, buoni
maestri con storie di successo. La colpa è solo in parte dei
musulmani stessi: da più di vent’anni la televisione descrive l’Islam solo nei termini della barbarie, del sangue e delle
bombe, ma è come se il Cristianesimo fosse raccontato unicamente attraverso le Crociate. Dov’è l’arte? E la cultura?
Nella civiltà musulmana sono tutt’altro che assenti, eppure
chi le conosce? La discriminazione, per chi la subisce, comporta prima disagio e poi risentimento. L’ISIS tocca questi
nervi scoperti e offre l’investitura di una missione divina a
persone che, altrimenti, non avrebbero alcun ruolo nella società in cui vivono, a malapena sopportati: un vero e proprio
innalzamento di livello, impensabile nelle banlieue. E poi
c’è il fascino sempreverde del califfato, istituzione che si
riallaccia direttamente alla morte di Maometto: un’idea di
grande richiamo».
–La
– riposta al fondamentalismo è ancora una volta nella cultura?
«Sì, è questo vale in entrambe le direzioni. Non si parla mai
degli apporti culturali del mondo arabo: manca, ad esempio,
una vera e propria storia della filosofia comprendente anche
Avicenna, Averroè, i grandi matematici musulmani e i dotti
della scuola di Toledo, eppure l’Europa non sarebbe quella
che è senza questi contributi straordinari. La xenofobia si
nutre di ignoranza, così come il fondamentalismo: la cultura
non è solo trasmissione del sapere, ma anche ciò che ti serve
per coprire la tua nudità. E i giovani adepti del califfato sono
nudi di fronte alla vita».
VANNI VERONESI
–Lei
– insiste sulla solitudine del potenziale terrorista, ma allo
stesso tempo dissente con il magistrato Armando Spataro, che
ha parlato di ‘cani sciolti’: perché rifiuta questa definizione?
«Perché sottovaluta il potere della testimonianza altrui: il
consenso elettronico si crea con i video e gli scritti di chi
ha deciso di lasciare tutto e combattere in nome di Allah,
con l’oratoria dei predicatori integralisti, con le immagini
della violenza esibita per dimostrare coraggio e fedeltà alla
propria missione. Basta un racconto, una parola per sentirsi
affiliati all’ISIS ed ecco il perché dei documenti strappati nei
video dei nuovi adepti circolati in rete: significa che io non
sono più francese, tedesco, inglese, anche se la mia famiglia
si trova qui da due generazioni, ma sono cittadino del califfato in quanto musulmano, indipendentemente da dove vivo.
ALTA UOTA
L’ISLAM IN ITALIA
LE PRIME ORGANIZZAZIONI
Escludendo presenze antiche che hanno lasciato evidenti
tracce in Sicilia e in altre regioni dell’Italia meridionale, l’Islam sunnita è stato una realtà modesta sino alla fine degli
anni sessanta del secolo scorso.
Solo nel 1971, grazie a gruppi di studenti principalmente
siriani, palestinesi e giordani, si arriva alla fondazione della Unione degli Studenti Musulmani d’Italia – USMI, che
riesce ad ottenere le concessioni per l’apertura di luoghi di
preghiera. Con l’arrivo nei decenni successivi di un sempre
maggior numero di musulmani, si è sentito il bisogno da parte delle varie comunità islamiche di una effettiva rappresentanza a livello nazionale.
Qui la situazione si complica, perché si fanno strada varie
correnti ideologiche provenienti dal Medio Oriente. Da una
parte ci sono infatti musulmani filo-occidentali che, con l’appoggio dell’Egitto e del Marocco (rappresentati in Italia dal
CO.RE.IS), vogliono perseguire una logica di un Islam degli
stati che segue i propri fedeli/cittadini all’estero; dall’altra vi
è l’Islam delle moschee, ovvero una serie di movimenti che
si rifanno a organizzazioni filo-fondamentaliste per il controllo dei fedeli emigrati in paesi occidentali.
Ci sono stati numerosi tentativi per risolvere le divergenze
e trovare un’intesa; l’ultimo risale al 21 marzo 2012 con la
fondazione della confederazione islamica d’Italia, un organismo sostenuto dal governo marocchino che ha però escluso
l’UCOII, organismo legato ai Fratelli Mussulmani.
PICCOLO GLOSSARIO SULL’ISLAM
•Sunniti: sono i fedeli musulmani che seguono la corrente
del sunnismo all’interno dell’Islam, differenziandosi dalla
corrente sciita. I sunniti sostengono che la guida spirituale non deve per forza essere un discendente di Maometto. Quella sunnita è la maggioranza all’interno dell’Islam:
sono infatti il 90% dei musulmani.
•CO.RE.IS: nel 1993 nasce a Milano l’Associazione Internazionale per l’Informazione sull’Islam (AIII) per opera
di alcuni musulmani italiani di impronta intellettuale. Nel
1997 l’AIII si trasforma in un ente religioso per salvaguardare le esigenze religiose dei musulmani con un nuovo statuto e un nuovo nome: Comunità Religiosa Islamica.
•Organizzazioni saudite: movimenti che hanno origine appunto in Arabia Saudita, il più grande stato arabo dell’Asia
Orientale. La religione di stato è l’Islam e non vi è libertà di
culto: da qui, non a caso, sono partiti numerosi movimenti
di origine fondamentalista.
•Fratelli Mussulmani: movimento neo tradizionalista che
dichiara di rifiutare l’uso della violenza, ma molti analisti
sostengono che questa sia solo una dichiarazione di facciata. All’idea di una islamizzazione della società preferiscono la creazione di spazi islamizzati nella società.
•UCOII: nasce sulla scia dell’USMI nel 1990 e fa parte di
quel ‘Islam delle moschee’ che, con il massiccio arrivo di
immigrati, non si sente più rappresentato da un gruppo studentesco. Questo movimento prevede la creazione di spazi
islamizzati ‘puri’ per impedire l’occidentalizzazione dei
singoli fedeli.
Un po’ di numeri
L’Islam è la seconda religione per numero di fedeli dopo il
Cristianesimo in Italia con l’1,9% della popolazione. Secondo le stime del dossier statistico del 2012 a cura della Caritas/Migrantes, il numero di musulmani quasi esclusivamente
sunniti si aggira intorno a 1.650.000. I principali paesi di
provenienza sono il Marocco, la Tunisia, l’Egitto, il Senegal,
il Bangladesh e il Pakistan.
I LUOGHI DI CULTO
In un censimento realizzato da Maria Bombardieri ed Enzo
Pace si contano 749 luoghi di culto, indicando la Lombardia
(123), il Veneto (110) e l’Emilia Romagna (104) come le regioni maggiormente rappresentate. A questi luoghi di culto
non va però attribuito l’appellativo di moschee; affinché si
possa parlare di moschea, infatti, si richiede la presenza di
tutta una serie di spazi rituali e organizzativi e in particolare
di un minareto. Le moschee propriamente dette sono presenti
a Roma, Segrate (MI), Catania e Palermo, più altre 5 di recente realizzazione.
FRANCESCO PERUSIN
Fonte: www.cesnur.it
IL PUNTO SU
«IL TERRORISMO? FA MALE SOPRATTUTTO AI MUSULMANI»
Dall’ottobre 2013 i musulmani della Bassa Friulana hanno
un punto di riferimento nell’associazione El Firdaous, a Terzo d’Aquileia. ABDELJALIL TOURIDI, 40 anni, è il responsabile di questo gruppo. Marocchino di Casablanca, ma in
Italia da 12 anni, Abdeljalil lavora come operaio.
–Che
–
cosa vuol dire ‘el Firdauos’, e quali sono i principi cui si
ispira il vostro gruppo?
«La nostra associazione prende il nome da una delle porte
del Paradiso nel quale noi musulmani crediamo. Ci sono diverse porte, nel Paradiso islamico: ‘el Firdaous’ è quella da
cui possono entrare le persone che rispettano le regole del
digiuno. Siamo aperti a tutti i credenti, e ci ritroviamo principalmente per la preghiera del venerdì».
–Le
– vostre riunioni sono seguite da imam o vi incontrate solo
tra ‘laici’? Ci sono degli imam in Friuli?
«Al momento il nostro gruppo non ha una guida spirituale
fissa, siamo un gruppo di preghiera che si ritrova per perseguire scopi comuni. Solo alcuni gruppi islamici in regione, ad esempio quelli di Monfalcone o di Udine, hanno un
imam. Altri gruppi, anche numerosi come quello di Trieste,
ne sono sprovvisti».
«È possibile, sì, anche se personalmente non ho avuto contatti con italiani convertiti all’Islam. All’inzio, alcune riunioni del nostro gruppo hanno visto la partecipazione di qualche
italiano, probabilmente incuriosito dalla novità. Per anticipare una domanda che non mi hai ancora fatto, ti dico: tra i
nostri scopi non c’è quello di fare proseliti. Certo, l’idea di
portare ad altre persone gli insegnamenti del Profeta è ben
presente nella nostra religione. Il nostro, però, è principalmente un gruppo di fedeli che si ritrovano per pregare assieme; quasi tutti abbiamo impegni di lavoro e famiglia che non
ci lasciano molto spazio libero per altre cose».
–A
– proposito di famiglia, alle vostre riunioni sono ammesse
anche le donne?
«Si, certo che possono partecipare anche le donne! L’organizzazione classica delle moschee prevede una zona riservata agli uomini e un’area distinta in cui stanno le donne. Pensa
che la situazione è così anche in paesi islamici considerati
più ‘estremisti’. La nostra struttura cerca di ricalcare questo
modello: abbiamo un soppalco per ospitare le donne, mentre il gruppo degli uomini sta al piano inferiore».
–Nelle
–
tua esperienza personale, ci sono stati problemi di
integrazione con gl’Italiani?
«Per quanto mi riguarda, posso rispondere di no. Io sono
qui per lavorare e stare con la mia famiglia, non per cercare
problemi con gli italiani. Lavoro assieme ad italiani e stranieri di altre nazionalità e culture, senza che ciò costituisca
un ostacolo. Il nostro gruppo ha avuto persino delle manifestazioni di generosità da parte dei residenti: qualcuno ci
ha regalato delle sedie o altri suppellettili di cui eravamo
sprovvisti. A dire il vero, c’è stato anche qualche piccolo
episodio di ostilità, o meglio di fastidio. Durante il mese di
Ramadan la preghiera si protrae fino a tardi, e qualcuno si
è lamentato per il rumore».
–Veniamo
–
alla domanda più spinosa: che ne pensate del concetto di Jihad?
«Ovviamente, il nostro primo e fondamentale riferimento è
il Corano. In secondo luogo, ci sono i discorsi del Profeta,
i cosiddetti ‘versetti’, che costituiscono un’importante fonte di ispirazione. Infine, i cosidetti ‘califfi’ (Alì, al-Khattab,
Abu-Bakr e al-Jarrah), che sono succeduti a Maometto, hanno lasciato degli insegnamenti da seguire. Il nostro rapporto
con i testi sacri è diretto: se ho un dubbio vado a consultare
direttamente il Corano o i versetti, senza bisogno di un intermediario. Il ruolo dell’imam è quello di guida della sua
comunità, riproponendo il messaggio di Maometto. Certo,
esistono imam più ‘forti’, che ispirano gruppi più ampi di
fedeli, ma si tratta sempre di persone che devono interpretare
il messaggio che viene dal Profeta».
–Credi
–
che qui da noi sia possibile una convivenza pacifica,
o siamo a rischio?
«L’INTEGRAZIONE? RICHIEDE TEMPO E, TEMO, PARECCHIE VITE UMANE»
«Sono nato a Dakar, capitale del Senegal, il 18 dicembre del
1995. A quanto dicono i miei genitori là non si stava male;
non c’erano tutte le comodità che abbiamo qui, ma c’erano
lavoro e serenità. Poi è cambiato tutto molto velocemente e
quando sono nato i miei genitori sono dovuti andare a lavorare all’estero, in Giappone per la precisione, perché da noi
la situazione economica stava diventando insostenibile. Mi
lasciarono con i miei parenti, ma in Senegal non vi è una
così forte unità familiare, per cui diciamo che non ero tenuto
molto in considerazione dai miei parenti... [Mi mostra delle
cicatrici, ndr] Per questo motivo i miei genitori sono tornati
e mi hanno portato con loro, questa volta in Italia; avevo tre
anni».
–Vorresti
–
tornare mai in Senegal nel corso della tua vita? Anche solo per un breve periodo?
–Per
–
esempio professare la fede islamica?
«No, vedi, io credo in Dio ma non abbraccio tutto ciò che la
religione o meglio i sacerdoti dicono e fanno. Ci sono regole
che io non posso ne potrò mai accettare e tanto meno seguire,
perché le trovo talmente stupide da non capire come certe
persone facciano a seguirle».
–Ci
– sono quindi delle regole e usanze nell’Islam con le quali fai
fatica a relazionarti?
«Sì, proprio così, la questione delle donne è probabilmente la
principale. Mia madre ha una certa indipendenza e apertura
–Da
– quello che mi dici e da quel poco che conosco riguardo l’Islam mi sembra di riscontrare una grande differenza culturale:
pensi che la nostra cultura occidentale sia incompatibile con
quella mussulmana o che vi sia un vuoto colmabile attraverso
il dialogo e la comprensione reciproca?
«È una domanda difficile, ma credo che l’integrazione sia
possibile nel momento in cui cambia qualcosa all’interno
delle coscienze dei fedeli musulmani; è senz’altro un processo che richiede molto tempo e temo parecchie vite umane. Se
invece non si muove niente all’interno dell’Islam e si applicano rigidamente tutti i suoi precetti e regole, le due culture
sono profondamente incompatibili. Per esempio la semplice
concezione delle istituzioni è diversa: voglio dire che lo stato
nell’Islam è inscindibile dalla religione, è proprio un dettame
del Corano. Per cui se uno nasce in un territorio musulmano
è costretto a professare tale religione e questo è di per sé un
qualcosa di sconvolgente; il concetto di libertà è profondamente diverso».
–Come
–
vorresti che cambiasse l’Islam? Propendi per una sorta
di ‘occidentalizzazione’ della religione?
«Ormai con il fenomeno della globalizzazione e l’avvento
dell’era informatica, come si sa, le notizie e le idee viaggiano molto più veloci e raggiungono praticamente ogni luogo
sulla terra. Questo fenomeno spaventa i paesi musulmani
perché lo vedono come una sorta di corruzione delle tradizioni e della religione, per cui tendono a chiudersi e isolarsi
credendo di conservare una qualche purezza. Vorrei quindi
una apertura verso il mondo per mostrare un altro lato della
mia fede, che è fondata come altre religioni sull’amore, sul
rispetto, sulla solidarietà e sulla pace».
–Il
– fatto che tu veda e intenda così queste problematiche deriva dal fatto che sei cresciuto in Occidente oppure pensi che
anche in uno stato islamico possa avere origine una coscienza
di fede e di vita simile alla tua?
«Senz’altro il fatto di essere cresciuto qui mi ha fatto apprezzare molte cose che spesso si danno per scontate ma non lo
sono affatto, per esempio la libertà di parola, di pensiero e
di fede. Credo che con le nuove generazioni, soprattutto in
Europa, si andrà verso la strada della ragione e della convivenza, probabilmente, anzi, sicuramente grazie all’istruzione che si riceve nel ciclo di studi; è spesso l’ignoranza che
porta a comportamenti folli e disumani. Nei paesi mussulmani qualcosa comincia a muoversi, nel senso che vi sono
delle avvisaglie di persone che si ribellano alle millenarie
tradizioni, soprattutto donne. Questo mi fa ben sperare, perché il cambiamento deve partire dal nucleo, deve partire da
là la vera riscoperta dell’Islam».
–Concludiamo
–
con una domanda difficile: in un futuro non
cosi lontano, in cui nel nostro Paese ci potrebbe essere metà
popolazione di cultura occidentale e l’altra metà musulmana,
ci potrà essere una pacifica convivenza o si arriverà ad una
‘guerra santa’?
«Di questo passo, dati alla mano, a mio avviso il conflitto è
inevitabile, che sia ideologico o militare, però la speranza è
l’ultima a morire. Se da una parte ci sono un gran numero,
ahimè, di musulmani che aderiscono ai messaggi di guerra
e di terrore, dall’altra ci sono anche persone rispettose del
prossimo e pacifiche che interpretano, secondo me, correttamente il vero e profondo messaggio del Corano».
FRANCESCO PERUSIN
ALTA UOTA
«No, non credo ci tornerò mai: le persone là hanno una mentalità troppo arretrata. Ho passato gran parte della mia vita
qui in Italia, quindi anche se sono musulmano e ho radici
familiari senegalesi mi sento europeo, mi sento italiano, benché mio padre spesso mi ricordi che non lo sono, ma non
concordo minimamente con lui».
[Breve silenzio, poi continua]
«Sai, mio padre è abbastanza rigido per queste cose, nel senso che ha una mentalità un po’ chiusa; è come se parte di
lui fosse rimasta in Senegal, per cui io non sono così libero
di uscire con gli amici, di avere una ragazza, perché fino a
quando sarò mantenuto da lui dovrò attenermi alle sue regole».
verso il mondo, ma non tutte si trovano in queste condizioni;
spesso e volentieri sono succubi se non addirittura schiave,
perché è l’uomo che domina nella cultura musulmana. Allo
stesso modo questo si riflette sulla religione: come l’uomo è
migliore e quindi ha diritto di potere sulla donna, così la fede
mussulmana è migliore delle altre, sentenza assolutamente
incatenata a tradizioni e credenze sciocche che non riesco a
comprendere».
uotattualità
«Non credo che nella nostra regione ci siano particolari
rischi o problemi legati alla convivenza tra musulmani e
italiani. Ma, come ti ho detto, i criminali sono dappertutto,
quindi…»
ALESSANDRO MORLACCO
–Secondo
–
te, può essere che l’Islam eserciti un certo fascino
sugli italiani? Siete una religione forte in un contesto di pensieri deboli…
–Che
–
ne dici di cominciare parlando un po’ di te e della tua
particolare storia?
in
«Noi siamo contrari a tutte le manifestazione di criminalità
e di terrorismo. Come ti ho già detto, viviamo la nostra fede
come un fatto individuale, o al limite di gruppo. Non abbiamo né il tempo né l’intenzione di imporre il nostro messaggio, tanto meno con metodi violenti. Per questo abbiamo
condannato e condanneremo episodi come quelli che si
sono recentemente verificati a Parigi. A dire il vero, non mi
sento particolarmente preso in causa da questo problema:
ci sono criminali tra gli islamici come tra i non islamici,
e non sono diversi. Tieni conto, comunque, di un aspetto
fondamentale: in tutto il mondo, dove ci sono terrorismo
e fondamentalismo i primi a farne le spese sono gli stessi
musulmani, molto più di cristiani e occidentali».
–Quali
–
sono, allora, i vostri riferimenti religiosi e culturali?
HABIB frequenta il primo anno di scienze dell’architettura
all’università di Udine, città in cui vive assieme ai suoi genitori e a tre fratelli. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata
riguardo la sua fede e cultura, ecco quello che, tra un caffè
e una cioccolata calda, è emerso.
3
4
IL PUNTO SU
«LA MIA VITA IN OMAN»
EMILIO LENARDUZZI, 26enne di Terzo, vive e lavora da
ormai tre anni a Muscat, nel Sultanato dell’Oman (Sud-est
della penisola arabica). Lì opera come agente commerciale
della Porte Italia Interiors, ditta friulana che si occupa di
arredamento.
–Da
– occidentale e cristiano, il tuo approccio culturale è stato
difficile in un paese musulmano? Come sei stato accolto?
«L’approccio culturale non è stato difficile come temevo.
L’Oman si è rivelato un paese con regole chiare, ma estremamente pacifico e accogliente. Vivendoci per lavoro, le
principali difficoltà si sono manifestate relativamente alle
abitudini quotidiane (l’alimentazione, gli orari e il clima).
Per quanto riguarda le differenze culturali ho scoperto un
paese orgoglioso delle sue tradizioni, ma non per questo aggressivo nei confronti di chi proviene da culture diverse».
uotattualità
–In
– cosa hai visto le maggiori difficoltà di dialogo a livello culturale?
«A livello generale c’è una diversa concezione del tempo.
Vivono la quotidianità in modo molto più rilassato e per
questo motivo è difficile imporre delle scadenze, fondamentali per come siamo abituati a lavorare noi. L’Oman però
sta crescendo molto velocemente e i giovani omaniti, che
rappresentano la grande maggioranza della popolazione (oltre il 40% della popolazione omanita ha meno di 20 anni),
tendenzialmente parlano tutti inglese e hanno viaggiato in
Europa. Questo permette loro di essere molto più vicini alla
nostra cultura».
–Nella
–
tua esperienza hai avuto la sensazione che l’Islam sia
una religione “violenta” o comunque tendente a diffondere
ostilità verso i credenti di altre religioni?
«Personalmente no, non posso dire di aver vissuto esperienze simili. Basti pensare che nel Sultanato sono presenti due
Chiese cattoliche. Ovviamente non posso paragonare realtà
in
–Nel
–
paese che hai conosciuto, l’Oman, la religione islamica
occupa un posto importante nell’ordinamento giuridico e sociale dello Stato?
«Decisamente sì. La religione islamica regola la vita quotidiana dei cittadini musulmani, e in secondo piano quella dei
cittadini stranieri che risiedono nel Sultanato (i quali hanno
diritti e doveri diversi dai semplici turisti). Ad esempio il
weekend è di venerdì e sabato. Durante il Ramadan tutte le
attività lavorative seguono un orario ridotto. Ai musulmani
non è permesso l’acquisto e il consumo di alcolici e possono
acquistare solamente carne “Halal” (preparata seguendo le
regole islamiche). Per le persone appartenenti ad altre religioni, è possibile consumare alcolici all’interno di alberghi
provvisti di licenza, o acquistarli solamente in speciali negozi dove è richiesto un permesso rilasciato dalla polizia locale.
Per la carne suina ci sono particolari aree all’interno di ogni
supermercato dove possono accedere i “non musulmani”».
–Come
–
sono stati percepiti in Oman i recenti fatti di Parigi e
l’ostilità verso i musulmani in generale che si è sviluppata per
reazione in Europa?
«La stampa locale ha riservato una grande risonanza nei confronti dei fatti di Parigi, sviluppando un sentimento di distacco critico nei confronti di quelli che secondo loro “non sono
veri musulmani”. Sono consapevoli dell’ostilità che si sta
sviluppando nel mondo occidentale e spaventati dalle conseguenze che può portare una pericolosa generalizzazione».
–Pensi
–
che Islam e Cristianesimo possano integrarsi pacificamente? Se sì, come?
«Credo di sì. Il problema principale è rappresentato da qualsiasi forma di estremizzazione. L’Oman è un buon esempio
di come un paese musulmano abbia seguito una politica di
totale neutralità e tolleranza accogliendo persone da ogni
parte del mondo senza per questo perdere la propria identità
di paese islamico. Non a caso l’ultimo incontro tra il segretario di stato americano John Kerry e il segretario di stato
iraniano Mohamad Javad Zarif (due paesi storicamente in
conflitto) è avvenuto proprio a Muscat, in Oman. Paese simbolo di sicurezza e totale neutralità».
MARCO SIMEON
«I TEMPI SONO CAMBIATI ANCHE PER NOI»
L’intento di questo articolo è quello di dare voce a DUE
DONNE MUSULMANE, che scelgono di restare anonime
per poter raccontare la storia di molte donne tramite le loro
personali vicende.
–Iniziamo
–
dal principio: quando siete arrivate in Italia? E perché voi e le vostre famiglie avete preso questa decisione?
«Il motivo che ci spinge a farlo è lo stesso che muove ogni
famiglia, credo: offrire ai propri figli il meglio, aprire loro
più porte possibili per un futuro felice. Per questo motivo io
e la mia amica siamo arrivate in Italia, io nel 2007 per raggiungere mio marito che già da molti anni abita e lavora qui,
mentre lei nel 2003 con due figli piccoli al seguito».
–Com’è
–
stato venire qui e integrarsi con una cultura diversa
dalla vostra?
«Lasciare il Marocco è stata una decisione difficile e l’arrivo in Italia non l’ha reso più facile; agli iniziali problemi di
comunicazione si è aggiunto il senso di spaesamento: non
conoscevamo nessuno, non eravamo più circondati dai nostri amici e famigliari, non conoscevamo le abitudini e le
consuetudini della nostra nuova casa. Ci mancava fare parte
di una qualche grande famiglia. Con il tempo però le cose
sono migliorate: inizi ad uscire, vai a fare la spesa, una passeggiata, a bere un caffè, piano piano capisci qualche parola,
incontri delle persone, all’inizio magari diffidenti ma che poi
con un sorriso ti incoraggiano a continuare su questa strada, creando una grande famiglia fatta di nuove persone, di
nuovi amici e all’improvviso inizi a sentirti per davvero a
casa, perché dopo tanti anni, portando sempre il Marocco nel
cuore, ti senti anche un po’ italiano».
–Quanto
–
ha contribuito a questo processo il fatto di crescere
dei figli nel nostro Paese?
ALTA UOTA
come l’Oman o gli Emirati Arabi Uniti ad altre nazioni del
Medio Oriente dove per diversi motivi (storici e non) sono
presenti regimi conservatori ed estremisti, e quindi tendenzialmente ostili nei confronti del mondo occidentale».
«Ha aiutato molto. La mia amica che è arrivata in Friuli già
con due figli si è dovuta preoccupare di scegliere una scuola
materna ed elementare per loro, preoccupazioni importanti
per una mamma, quindi ambientarsi era necessario. Io invece ho affrontato queste preoccupazioni qualche anno dopo il
mio arrivo in Italia: scegliere la scuola per i miei bambini mi
ha permesso di conoscere di più la mia comunità e proprio
grazie ai miei figli ho imparato a conoscere di più anche l’Italia e la sua cultura. Loro per me infatti sono italiani: sono
stati in Marocco, ma sono nati e cresciuti qui, a casa, quindi
credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47
è un continuo imparare, io da loro a essere italiana e loro da
me e mio marito che ci impegniamo costantemente per farli
conoscere la lingua araba, la storia delle nostre origini e le
nostre tradizioni».
–Essere
–
musulmani in Italia è difficile?
«In parte sì e in parte no. La nostra fede prevede che ci siano
cinque momenti al giorno da dedicare alla preghiera, il Ramadan, il venerdì come giorno di festa anziché la domenica
e molto altro ancora. Per i ritmi di vita italiani non è facile
poter festeggiare il venerdì come eravamo abituati in Marocco, pregando e preparando piatti tipici come il cous cous.
Lo stesso vale per la īd al-aḍḥā o ‘festa grande’, durante
la quale bisogna uccidere un agnello: questa pratica è resa
difficile dalla burocrazia e dalle leggi italiane quindi alcuni
credenti rinunciano al rito originale, ricorrendo al macellaio
CROSSROADS
ISLAM E OCCIDENTE:
UNA SERATA PER RIFLETTERE
Questo tema di Alta Quota sarà approfondito da un
nuovo appuntamento di Crossroads
(Incontri a tema per scoprire il mondo)
che il Ricreatorio San Michele organizzerà
in primavera.
e facendo una più semplice grigliata. Quindi in un certo senso non è facile portare avanti le nostre tradizioni e cerimonie,
ma la nostra fede è qualcosa che ognuno porta dentro di sé,
è questa la cosa davvero importante: ad esempio non serve
necessariamente una moschea per pregare, lo si può fare personalmente. La moschea tuttavia rimane sempre un luogo
importante in cui condividere la bellezza della preghiera».
–Cosa
–
vuol dire essere una donna islamica? È corretta l’idea
che abbiamo di essa secondo te?
«Credo che ci siano molti pregiudizi a riguardo, o meglio,
forse l’immagine corrisponde alla donna islamica di generazioni fa, come la donna italiana che fino ad una cinquantina
di anni fa metteva le gonne lunghe per non mostrare le gambe e il fazzoletto in testa per coprirsi. I tempi sono cambiati
anche per noi; la donna come ogni altra persona frequenta
la scuola, può andare all’università, lavorare e crearsi una
carriera. Nel Corano non viene vietato nulla di tutto ciò: si
parla della donna come di colei che si deve prendere cura
della casa e viene paragonata ad un fiore, ognuna diversa,
con la propria personalità, e come tale va protetta.
–E
– a proposito del velo?
«Siamo tenute a celare certe parti del corpo, quali i capelli, con l’usuale velo, il busto e i piedi, parti che secondo la
nostra cultura sono le più belle in una donna. Il Corano ci
invita a fare questo perché le donne sono bellezza e dunque
anche tentazione per l’uomo: è quindi un modo per rispettare
il nostro corpo. Come in ogni cultura esistono poi diverse
varianti. Anche in Marocco, come in Italia, le realtà variano
da regione a regione, da città a città: ci sono pertanto luoghi
più conservatori e altri che vivono diversamente gli insegnamenti del Corano».
–In
– definitiva, credi che la convivenza delle nostre culture sia
possibile?
«Certamente! La nostra esperienza di vita qui in Italia mi ha
permesso di incontrare persone cordiali e gentili che sono
state capaci di andare oltre le differenze che ci avrebbero
potuto allontanare notando ciò che invece ci poteva unire. La
I dettagli saranno resi noti nelle prossime settimane
diffidenza che ho trovato nelle persone è la stessa che nasce
sul sito www.ricre.org.
dal governo e dalle istituzioni, che ancora oggi non hanno
trovato un modo per rendere facile l’integrazione delle diverse realtà».
MICHELA ZANIER
alessiopaolo.pdf 20/04/2010 7.53.31
IL PUNTO SU
LA PERCEZIONE DELLA DIVERSITÀ TRA I BANCHI DI SCUOLA
ALDO DURÌ, classe 1952. Laureato in lettere moderne a indirizzo storico presso l’Università degli Studi di Trieste, ha
insegnato italiano, storia, educazione civica e geografia nelle Scuole medie inferiori della provincia di Udine prima di
svolgere l’incarico di dirigenza presso il Circolo Didattico
di Aquileia. Attualmente dirige l’I.S.I.S Malignani di Cervignano del Friuli.
–Quanti
–
ragazzi di fede musulmana sono presenti all’interno
dell’Istituto che dirige?
«Premesso che non ci è dato accertare in alcun modo la
confessione religiosa praticata dagli studenti iscritti all’ISIS
della Bassa Friulana, essendo la scuola italiana laica e indifferente alle fedi e ideologie degli utenti, dall’incrocio di una
serie di dati ci è possibile induttivamente stabilire che circa
una trentina di alunni, provenienti in maggior parte dal Maghreb e dai Balcani, professano il credo musulmano».
–A
– suo parere, la diversità viene percepita come un ostacolo o
come uno stimolo nei ragazzi?
«Tale diversità raramente viene esibita, sottolineata e pertanto percepita come tale dagli indigeni: quando lo è, come ad
esempio il fazzoletto che copre talvolta i capelli delle ragazze, essa comunque non pare suscitare nei coetanei reazioni
di ostracismo, disprezzo o rifiuto. Ma non è nemmeno colta
come provocazione, giacché essa in genere non suscita alcuna curiosità, non diviene stimolo a indagare la differenza di
cultura e costumi. A prima vista la diversità viene registrata
e accettata come un dato di fatto. D’altronde, a partire dagli
anni Novanta, gli allievi dell’ISIS sono abituati a convivere con gli immigrati, da quando i profughi provenienti dalla
Jugoslavia venivano concentrati nei locali dismessi della caserma Monte Pasubio di Cervignano e cominciavano a frequentare le scuole della Bassa».
–La
– scuola fornisce gli strumenti giusti per la conoscenza delle altre religioni e del motivo per cui esiste l’estremismo?
«La scuola si è impegnata a fondo nei programmi di accoglienza e integrazione, attuati anche con l’intervento dei mediatori culturali del CESIS di don Di Piazza, e da questo punto di vista si sono rivelati preziosi i percorsi di educazione
interculturale e di storia delle religioni (non semplicemente
della religione cattolica) svolti da tanti insegnanti, e soprattutto da quelli di religione».
–Si
– sono mai verificati problemi portati dalle diversità culturali e religiose all’interno dell’istituto?
coli teppistelli di strada, poveri ragazzotti complessati che si
costruiscono credibilità e seguito tra i ragazzi più amorfi promuovendo la persecuzione contro i più deboli: leader negativi che dalle loro gesta, condotte sempre nell’anonimato del
branco, ricavano un riconoscimento sociale che altrimenti i
loro scarsissimi talenti non avrebbero modo di meritargli».
–Secondo
–
lei qual è il modo migliore per prevenire la nascita
dei problemi legati allo scontro culturale?
«Le armi che utilizziamo per prevenire questi patetici fenomeni sono la persuasione, la riflessione, il confronto, la testimonianza di chi nella vita ha patito soprusi e discriminazioni
in nome della propria etnia, condizione, religione o ideologia. E dove quest’opera di educazione e convincimento non
basta, per i più ottusi, per gli ostinati, per gli incorreggibili
c’è la repressione. Contro i gesti e gli atti motivati da razzismo, contro le molestie sessuali, contro gli atteggiamenti sessisti ed omofobi, contro le pratiche discriminatorie in
genere nelle nostre scuole la parola d’ordine è ‘tolleranza
zero’».
–Dopo
–
i fatti di Parigi si avverte un clima diverso all’interno
dell’ambiente scolastico? Ha notato differenze nel comportamento dei ragazzi?
–La
– guerra che si sta combattendo, secondo lei, può effettivamente definirsi ‘santa’?
«Non c’è nessuna guerra santa all’orizzonte che non sia
quella che un giorno, sotto il pungolo della crisi e della sofferenza, gli esclusi, i diseredati, i reietti potranno muovere ai
potenti e ai privilegiati: ma allora i miserabili di ogni etnia e
fede si ritroveranno dalla stessa parte».
GIULIA BONIFACIO
«L’INTEGRAZIONE? UN FATTO DI DARE E AVERE»
REDA BOUBIR è un 25enne udinese, per anni mio compagno di corso alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Trieste. È nato in Italia, ma la sua famiglia viene dall’Algeria ed è musulmana; lui invece non si considera un musulmano praticante.
ze sanguinose dell’estremismo, con attentati e conflitti con
migliaia di morti».
–Hai
–
avuto esperienze personali in questo senso?
«Quando ero in Algeria a trovare i miei parenti, ricordo di
aver conosciuto degli ex militari che mi raccontavano di
quando, negli anni Ottanta, combattevano per snidare i terroristi islamici a costo della vita. E ora anche queste persone
rischiano di essere messe sullo stesso piano dei terroristi, di
essere vittime dell’isteria collettiva».
–La
– tua famiglia è in Italia da molto tempo?
«Mio padre arrivò qui dall’Algeria nel 1976, grazie a una
borsa di studio. Dopo diversi lavori, alla fine ha raccolto i
soldi necessari per aprire una sua attività e ora gestisce un
ristorante. Anche io e i miei fratelli stiamo seguendo le sue
orme nel campo della ristorazione».
–Mi
– viene in mente una testata a diffusione nazionale che titolava in prima pagina, il giorno dopo le stragi di Parigi, “Questo
è l’Islam”: viene da pensare che qualcuno si diverta a buttare
benzina sul fuoco.
–La
– vostra potrebbe essere presa a esempio come una storia
di integrazione felice?
«Assolutamente. Sono convinto che l’integrazione sia semplicemente un fatto di dare e avere: se io faccio del mio
meglio per far star bene la mia famiglia e al tempo stesso
portare ricchezza nel paese dove arrivo, mi aspetto di essere
accolto positivamente. Io peraltro sono nato in Italia e mi
sento al cento per cento italiano».
–Nella
–
tua famiglia si pratica la religione musulmana? Cosa
significa in concreto?
–Tu
– invece non ti consideri praticante?
«No, non mi sono mai sentito coinvolto dalla religione. Sicuramente anche alcuni aspetti del mio vissuto personale mi
hanno indotto ad allontanarmi dal credere in qualsiasi entità
superiore. Mi considero non credente».
–La
– tua famiglia ha accettato questo tuo atteggiamento?
«Mio padre mi ha sempre lasciato libero di credere in quello
che volevo, non mi ha mai imposto nulla. Ma la maggior
parte dei musulmani sono così: il problema è che un integralista su cento, che compie gesti eclatanti o ad esempio non
fa uscire la figlia, fa più rumore di novantanove musulmani
moderati».
–In
– effetti spesso si tende a generalizzare, prendendo a paradigma dell’Islam i comportamenti degli integralisti.
«Guarda, sulla questione comunque la mia idea è che non
esistono religioni buone o cattive. Un uomo è buono o cattivo di suo. Non sono i precetti che segue a renderlo tale: se è
buono, interpreterà i precetti in modo positivo, altrimenti ne
trarrà un messaggio violento».
–Quindi
–
ad esempio i terroristi dell’ISIS sono solo uomini cattivi?
«Per me quelli non sono musulmani, né appartengono a qualsiasi altra religione. Nessuna religione ti dice di massacrare
le persone. Quelle persone strumentalizzano la religione per
i loro scopi, facendole dire una cosa che non c’entra nulla col
messaggio dell’Islam. E, come sempre, dire che si fa qualcosa “in nome di Dio” ha una grande forza persuasiva».
–La
– tua famiglia proviene dall’Algeria. Nella tua esperienza,
quanto peso ha la religione nell’ordinamento di quello Stato?
«Sicuramente ha peso, lo Stato è islamico: ma si può definire uno stato islamico moderato. Ha una costituzione repubblicana, un presidente eletto, e un sistema politico ‘laico’.
Ecco un’altra cosa importante: non si può generalizzare e
parlare di ‘mondo islamico’. Esistono Stati più integralisti
come l’Arabia Saudita o l’Iran, e altri moderati. E la cosa
paradossale, e che giustamente fa indignare i musulmani moderati, è che loro stessi in primis hanno subito le conseguen-
«Fatti come quelli di Parigi sono funzionali per chi vuole
darne una lettura favorevole alle sue posizioni, che favorisca
la chiusura e la xenofobia. Ma è solo un cane che si mangia
la coda: odio porta odio. Queste persone sanno che quello
non è il vero volto dell’Islam, ma dirlo gli fa comodo. Che
poi sembra che al mondo esistano due miliardi di terroristi,
ma quanti sono i musulmani? È assurdo. La religione, da
una parte come dall’altra, finisce così per essere solo uno
strumento per veicolare ostilità».
–Quale
–
può essere dunque, anche considerando la tua esperienza, la soluzione per l’integrazione ed evitare lo scontro
culturale?
«Bisogna che ciascuno faccia la sua parte. L’immigrato deve
lavorare: per sé e per la sua famiglia, ma se la gente lavora i
benefici ci saranno per tutti, anche per lo Stato che accoglie.
Dall’altro ci dev’essere una mentalità disponibile all’accoglienza ed evitare l’ipocrisia di chi da un lato rifiuta gli
immigrati, ma dall’altro trova comodo che questi facciano
i lavori più umili e sfruttati. L’integrazione economica alla
fine è il miglior collante sociale per superare le differenze».
–Il
– terrorismo non vincerà, quindi?
«No, mai. Pensare che i gesti di questi pazzi siano esemplificativi dell’Islam, o prefigurino il futuro dell’Islam, è follia.
I musulmani sono miliardi, i terroristi qualche migliaio. Sarebbe come pensare che tutti i cristiani siano come Brejvik
(il terrorista ultranazionalista che nell’estate del 2011 si rese
autore delle stragi in Norvegia, ndr).
MARCO SIMEON
ALTA UOTA
«Mio padre è praticante, ad esempio non consuma alcolici e
fa il Ramadan. Ovviamente ci sono diversi gradi di intensità, come in ogni religione. Uno è musulmano prima di tutto
perché sente un rapporto con Dio, non perché prega rivolto
verso La Mecca o legge ogni giorno il Corano».
uotattualità
«Lo ripeto, non esiste assolutamente, e certo non è diffusa, una concezione che rimanda eventuali tensioni derivanti
dalla convivenza con giovani provenienti dal mondo arabo
e musulmano a uno scontro di civiltà. Tanto più che i ragazzi di fede islamica che frequentano le nostre scuole sono in
genere perfettamente integrati, si sentono e vogliono essere
italiani, al pari dei loro coetanei, spesso si esprimono nella
nostra lingua più correttamente dei locali e quasi mai rivendicano con orgoglio o ostentazione i segni esteriori della loro
diversità. Anche perché, a differenza di paesi vicini come
la Francia, l’immigrazione in Italia e nei nostri paesi è frazionata in mille rivoli, in una pluralità di lingue e nazioni,
che rendono difficile l’affermazione di processi di resistenza
identitaria all’omologazione».
in
«Con tutto ciò e nonostante gli sforzi profusi da tanti docenti
di buona volontà, sinceramente impegnati come formatori
a trasmettere valori di tolleranza e reciproco rispetto, tocca
ammettere che soprattutto tra i più giovani, tra gli adolescenti del biennio, l’insulto razzista, lanciato spesso senza alcuna
consapevolezza, è pratica corrente: così come l’ingiuria e
l’offesa sessista, nonché un linguaggio volgare e scurrile in
genere che farebbe arrossire pur disinibiti genitori. Al proposito è sufficiente penetrare nei gruppi dei social network,
come a me capita spesso di fare con sincero imbarazzo, per
rendersene conto. E bisogna pur ammettere che, seppur raramente, dalle parole si passi ai fatti: è di questi giorni il caso
dell’autoctono che, presosi a male parole con un compagno
egiziano, l’abbia poi aggredito all’esterno della scuola, da
cui peraltro verrà espulso. Queste tensioni, queste frizioni,
queste violenze addirittura non nascono dallo scontro tra culture e ideologie: sorgono semplicemente dall’ignoranza e dal
degrado che allignano in certi ambienti marginali del nostro
civilissimo Friuli, da un senso di frustrazione sociale e umana che produce un’aggressività generica, pronta a sfogarsi
in ogni direzione. E dato che questa rabbia è un sentimento
vigliacco prende di preferenza a bersaglio il compagno ‘diverso’ e isolato, perché semplicemente timido, o forestiero
o semplicemente in un modo o nell’altro non omologato ai
comportamenti prevalenti. Non esistono guerre di religione a
scuola: ma qualche volta esistono piccoli bulli spavaldi, pic-
5
6
IL PUNTO SU
ISLAM E CRISTIANESIMO: UNA RELAZIONE ASIMMETRICA
È possibile una reale convivenza tra culture e costumi diversi, nello specifico tra quella Cristiana e quella Islamica?
Siamo andati a chiederlo al nostro Parroco DON DARIO
per capire come affrontare tale argomento senza lasciarsi
prendere dalla foga dei facili pregiudizi.
–Come
–
giudica i rapporti tra Occidente e Islam?
«I rapporti non sono facili oggi giorno e saranno ancora più
difficili perché la frangia integralista, violenta e intollerante
sta crescendo notevolmente. Bisognerebbe chiedersi come
mai negli ultimi decenni è prevalsa questa interpretazione
poco dialogante da parte dell’islam. Penso che in alcuni casi
questa sia frutto dell’esasperazione causata dalle flagranti ingiustizie e umiliazioni (vedi l’esempio di Israele e Gaza), in
altri dall’ottusità e sete di potere delle loro guide spirituali o
dei loro condottieri in armi.
in
uotattualità
–Ci
– sono delle responsabilità da parte dell’Occidente?
«L’Occidente ha favorito la estremizzazione di un certo
orientamento dell’Islam che trova nel Corano e non solo la
dottrina che lo asseconda. L’Islam ha la jihad che si traduce nel suo significato più profondo con il concetto di guerra santa. Però può essere interpretata alla stregua di quella
che è l’evangelizzazione per i cristiani e quindi applicata
con un sostanziale rispetto per chi non accetta l’islamizzazione (penso alla considerazione di Maometto per i fedeli
del ʻlibroʼ, Cristiani ed Ebrei), oppure fatta oggetto di una
interpretazione fanatica e integralista che vede nella eliminazione fisica degli infedeli l’attuazione concreta della jihad.
La seconda grande responsabilità dell’Occidente sta nel fatto di non aver contrastato i regimi assolutistici di marchio
islamico, preoccupandosi piuttosto di fare buoni affari con
il petrolio».
–Ci
– può fare un esempio?
«Un esempio che ha favorito l’estremismo islamico è la politica dello stato di Israele appoggiata dagli Stati Uniti che ha
esasperato il mondo arabo, in particolare la Palestina. Fino
a circa trent’anni fa non c’erano i kamikaze e non c’era Hamas, che ha come fine principale la distruzione di Israele».
–Qual
–
è il suo pensiero in merito alla cultura e alla spiritualità
dell’Islam?
«Ho rispetto ed apprezzamento per certi valori che esprimono la solidarietà, la misericordia e la mistica, nei quali
si può trovare una convergenza e una collaborazione con la
nostra cultura. Invece sono molto perplesso sulla possibilità
di un dialogo alla pari, perché gli islamici non si mettono
in discussione e non si mettono in gioco con il confronto:
ci considerano sempre degli ʻinfedeliʼ e quindi nell’errore».
–I– musulmani si riconoscono in una miriade di imam senza
un’autorità suprema, a differenza dei Cristiani. In che maniera
influisce nei devoti e quali potrebbero essere le conseguenze
nel tempo?
«La forza dell’Islam non sta negli imam, ma nell’assolutizzazione del Corano. Non posso dire di conoscere bene la
problematica, ma penso che al di là di predicazioni diverse e forse anche contrastanti, al di là delle divisioni che ci
sono anche fra di loro, il mondo islamico conservi un’unità
di fondo anche senza un potere centrale universalmente riconosciuto».
–I– recenti fatti di Parigi inducono a pensare che il problema
sia esclusivamente l’integralismo: il fenomeno è marginale o,
come affermano diversi studiosi, bisogna prenderlo seriamente in considerazione?
«Nessuno può dare una risposta adeguata a questo interrogativo; auspico soltanto che i principali paesi islamici facciano
ulteriori sforzi per disinnescare tutto questo potenziale altamente esplosivo».
–Come
–
giudica tutti gli episodi che stanno accadendo in Italia
nell’ultimo decennio riguardo all’inserimento nel nostro tessuto sociale delle comunità islamiche?
«Ci vuole un certo equilibrio tra il rispetto delle convinzioni
islamiche e l’alterazione dei nostri valori e tradizioni.
Un conto è permettere l’uso del velo o non mangiare carne
–Esiste
–
una reale e possibile convivenza tra cultura cristiana
e islamica o il fanatismo e l’esasperazione sfoceranno nella
Guerra Santa?
«A una guerra santa combattuta penso e spero che non si
arriverà. Sono fiducioso che una convivenza accettabile fra
la cultura cristiana (fra l’altro come tale minoritaria ormai
anche nei paesi di antica tradizione cristiana a causa della
invadente secolarizzazione) e quella islamica sia possibile,
ovviamente in modi e misure diverse secondo i luoghi e le
situazioni».
SANDRO CAMPISI
ALTA UOTA
LA PAROLA AL NOSTRO SINDACO
Ciò che avviene attorno a noi modifica e condiziona continuamente la nostra vita, la nostra prospettiva. Chi ha la
responsabilità amministrativa è chiamato a interpretare i
cambiamenti e a dare indirizzo al futuro. Ci è parso indispensabile ascoltare GIANLUIGI SAVINO, il nostro sindaco
sui fatti di Parigi. Distanti sicuramente sotto il profilo geografico, ma quanto mai prossimi nella loro verosimiglianza.
Così ritengo che il terrorismo islamico sia costituito in effetti
da una minoranza molto ristretta e deviata all’interno di una
comunità pacifica. Questo significa che tale minoranza va individuata all’interno della comunità e devono essere governati i comportamenti anomali e lesivi della libertà. Un paese
civile, cioè, si difende con la legalità che diviene patrimonio
comune e garanzia di pacifica convivenza».
–-– Sono d’accordo, ma è possibile che diversi equilibri numerici possano modificare il concetto stesso di convivenza pacifica
basato sulla pluralità culturale?
–-– Al di là degli scenari immaginabili, esiste un rischio concreto che la nostra cultura e la nostra tradizione siano sopraffatte
da altre? Quella islamica in particolare?
ALTA UOTA
di maiale, altro è rinunciare ai nostri simboli tradizionali
come la croce, il presepe, la preghiera, i canti religiosi…
per paura di mancare di rispetto alla loro cultura e religione: questo finto politicamente corretto va arginato».
«Innanzi tutto devo dire che, da turista, sono stato a Parigi e sono stato colpito in modo positivo dalla presenza diffusa e integrata di diverse etnie e culture. Una dimensione
cosmopolita che è presente in ogni luogo, per le strade, nei
luoghi di lavoro, ed è trasversale anche nell’età dei cittadini.
È assolutamente normale incontrare gruppi o anche coppie
dalla evidente, diversa origine etnica e tutto appare molto
normale e armonioso. Io ho sempre ritenuto questo un esempio virtuoso di integrazione e convivenza. Mi pongo quindi
una domanda: fino a che punto possiamo immaginare che la
tolleranza possa essere un limite alla libertà? In altre parole
io non credo che la pacifica convivenza possa essere fondata
unicamente su una serie di divieti e che il bisogno dell’uomo
di relazionarsi con i propri simili prevalga sull’affermazione
di un proprio modello culturale».
–-– Quali possono essere le vie da percorrere perché la convivenza, oggi possibile, divenga realmente integrazione?
klimatherm.pdf 1 05/07/2013 08:33:58
«Le scene che abbiamo visto alla televisione sugli attentati
di Parigi, a dire il vero, mi hanno ricordato alcune scene che
vediamo spesso negli stadi di calcio. Poco o nulla hanno che
fare con il tifo calcistico, ma sono in effetti lo sfogo violento
di pochi individui, più simili a teppisti che a tifosi, i quali
utilizzano la confusione di un grande evento per dare libera manifestazione alla propria violenza. Ciò non toglie che
andare allo stadio continui a essere una opportunità di puro
divertimento e che io stesso ci vado spesso portandoci i figli.
«Io ricordo e sicuramente anche tu, quando negli anni della
mia infanzia, in questa nostra terra fossero mal giudicati i
meridionali. È antico come il mondo il timore che il “diverso” invasore venga a “rubarci” le donne ed il lavoro. È
stato così in passato quando, per la migrazione interna, molte
famiglie friulane hanno dato in sposa la loro giovane figlia a
mariti siciliani o calabresi o pugliesi che fossero. Oggi questo risulta ampiamente superato, anzi la possiamo considerare una preziosa occasione di crescita e rinnovamento culturale. In tempi più recenti la stessa paura si è manifestata nei
confronti dei rumeni o degli albanesi. Tutto però è superato
in meno di una generazione, quando i figli degli uni e degli
altri condividono il proprio percorso scolastico e sociale. La
diffidenza iniziale che ha posto sulle difensiva le popolazioni ospitanti lascia gradualmente il posto all’apertura, appena
viene compreso che i “diversi” in fin dei conti sono brave
persone».
GIUSEPPE ANCONA
nuova
sede!
Via Roma 44
33052 Cervignano del Friuli
tel/fax 0431 31024
[email protected]
Alta ucina
i
(si fa sempre per dire)
di Alberto Landi
PRETTAMENTE MEDITERRANEA: TORTIERA DI ALICI, PATATE, INDIVIA, OLIVE NERE. MISTO DEL PESCATORE.
LA TORTIERA. Le alici, più che le sarde molto più pesanti
come già detto in passato, fanno parte della classica cucina
mediterranea; uniamole alle patate ed all’indivia (alias scarola napoletana) e ne ricaviamo un piatto prettamente mediterraneo, degno della migliore cucina siculo-partenopeocalabro-pugliese-lucana. Lessate a metà, sempre a seconda
dei commensali, alcune patate e poi, dopo averle mondate,
tagliatele a fettine più o meno sottili. Ungete leggermente
una tortiera (o pirofila) e sistematevi un primo strato di foglie di indivia, proseguite con uno di patate e uno di alici,
ovviamente senza testa, che avrete anche aperte e diliscate, e proseguite fino al termine avendo cura di ultimare con
uno strato di verdura. Avrete irrorato ogni strato con ottimo
olio d’oliva extra vergine, e cosparso anche di olive nere e
origano. Terminati gli ingredienti passate in forno, 180°, la
tortiera ricoperta di un foglio di carta da cucina, per circa 30
minuti, e per 10 minuti senza carta affinché si “arruschi”.
Calda o fredda, con o senza prezzemolo.
sua diffusione, nel corrente mese di gennaio sarà, o sarà stata, resa operativa la copertura wi.fi in vari posti della città.
I luoghi dove essa copertura sarà possibile sono la biblioteca comunale e il centro civico in via Trieste, l’intero Parco
Europa e tutta l’area sportiva del palazzetto dello sport di
piazzale Lancieri d’Aosta, nonché lo stadio comunale Pierino Dissabo, l’anello esterno di piazza Indipendenza e la
casa della musica di Largo Galliano Bradaschia che prende il
nome dal suo fondatore. Era da diverso tempo che si parlava
in città di tale servizio e ora finalmente sono stati comunicati
i dettagli e i tempi di realizzazione, cosa che sarà certamente
bene accolta da tutti gli utilizzatori che sono, come detto,
in numero sempre crescente. In un secondo tempo è attesa
l’estensione della rete anche in altri siti più frequentati dai
cervignanesi.
MISTO DEL PESCATORE. In un’ampia padella fate appassire con un po’ d’olio, sempre extra vergine, un sedano,
una carota, un peperone, una melanzana, qualche carota
dopo averli, ovviamente, accuratamente puliti e tagliati in
piccoli pezzi. Aggiungetevi dei pomodorini, a piacere, del
timo e del prezzemolo mentre in un’altra padella fate rosolare della coda di rospo e del tonno (le quantità sempre a piacere e secondo i commensali); appena pronto unite il tutto,
aggiustate di sale, bagnate con un bicchiere medio di vino
bianco, fate evaporare e… buon appetito.
TRA CRONACA…
RETE WI.FI. Allo scopo di favorire lo sviluppo di una rete
più viva e attiva di servizi, esigenza avvertita sempre di più
dai cittadini cervignanesi, con l’evolversi e l’estendersi della
 Gianni Zampar.
UNA VITA PER LO SPORT. L’Unione Veterani Sportivi
di Cervignano ha assegnato il premio “Una vita per lo sport
2014” a Gianni Zampar, già direttore sportivo della Pro Cervignano e in altre prestigiose società della regione, “personaggio di grande caratura morale che ha posto l’educazione
dei giovani e il loro avvio nella vita di relazione al centro della sua attività, trasmettendo ad essi i sani valori dello sport”.
…E MITO.
“Alcide, il forte eroe, Alcide che rivali non ebbe mai fra gli
uomini e men fra gli animali” (Libro X – favola XIV di Jean
de La Fontaine), non è altro, Signora Bice, che il nostro Ercole, di cui ora narriamo la terza fatica, quella più conosciuta
come “La cerva di Cerinea”.
La mitologia narra che vicino all’antica città di Cerinea, su di
un ipotetico, omonimo monte, vivesse la cerva cerinitide dalle
corna d’oro e dagli zoccoli di argento e di bronzo. Essa fuggiva senza posa inducendo, in chi l’avesse soltanto intravista,
il desiderio, fatale, d’inseguirla anche oltre i luoghi conosciuti
e nelle terre dalle quali non era consentito il ritorno. La terza
fatica affidata a Ercole fu la cattura, da viva, della cerva divina
perché sacra ad Artemide (la dea Venere per i Romani) o che,
secondo altre interpretazioni, si pensava fosse la stessa dea. La
cerva-dea fu inseguita per oltre un anno da Ercole fino ai confini dell’aldilà, nel giardino delle Esperidi, le dee-notte custodi
dell’albero delle mele d’oro. Una prima versione racconta che,
fermatasi a bere, Ercole riuscì a catturarla e a prenderne le corna d’oro, senza però citarne il modo; una seconda che Ercole,
poiché il sangue della cerva-dea non poteva essere sparso, la
ferì lievemente in punto privo di vasi sanguinei e riuscì così
a catturarla. A parte l’anno d’inseguimento, questa impresa,
a confronto con alcune altre fatiche, è quella, diciamo, meno
gravosa per Ercole; tuttavia bisogna considerare il fatto che
corse il rischio di essere accusato di sacrilegio da Artemide e
salvato anche per l’intercessione di Apollo.
ba eka
Altritempi
7
A L T R I T E M P I
1939: il Crocifisso Bresciani portato in processione per le vie di Cervignano ad petendam
pluviam, cioè «per implorare la pioggia» dopo
un lungo periodo di siccità.
Questa e altre splendide immagini sono ospitate
nel libro Le nostre chiese. Immagini di fede e di
vita a Cervignano e dintorni. Per info e acquisti,
rivolgiti alla Canonica della Parrocchia di Cervignano (tel. 0431 32039).
ALTA UOTA
papaveriepapere.pdf 19/04/2010 16.40.11
8
Semplici occhiate buttate qua e là
di Simone Bearzot
L’HASHTAG PIÙ BELLO
di Manuela Fraioli
ro in materia di immigrazione.
Questo dall’altra parte del mondo... e da noi? Torniamo alla
domanda di partenza di questo numero di AQ: una convivenza è possibile? Dipende.
Regole ed educazione: senza queste due premesse fondamentali il giocattolo è destinato a rompersi. Qualunque comunità ha bisogno di regole condivise; nel nostro caso si
parte dalla Costituzione con a seguire tutto il corpus delle
leggi. Questo è il primo punto e non può essere negoziabile,
non possono esserci concessioni né buonismi.
Poi c’è l’educazione, la conoscenza reciproca. Qualcosa di
faticosissimo, innanzitutto. Molto più facile accendere il pc
per scrivere «cumò vonde» o «duc a cjase » (quanti ne ho
letti all’indomani dei fatti di Parigi) trasformando il Facebook di turno in un vomitatoio di ignoranza e frustrazioni personali. Più complesso, lento, stancante il fatto di mettersi a
cercare informazioni e dati per provare a decifrare una realtà
intricata, in continua evoluzione e di cui sappiamo pochissimo. Come per tutte le questioni complesse, non esistono
soluzioni semplici.
PS1: scrivo quest’articolo andando verso Mashhad, in Iran
(sciita - non arabo - nemico giurato USA - nemico anche
dell’ISIS), in transito all’aeroporto di Istanbul in Turchia
(sunnita - non araba - storica alleata USA - ambigua nella
questione ISIS e verso i curdi). Curdi (sunniti - divisi tra
quattro Stati - mal sopportati un po’ dovunque - famosi per
il ruolo della donna nelle proprie comunità) giustamente applauditi per la liberazione di Kobane, che combattono l’ISIS
che a sua volta si è potuto organizzare partendo dalla lotta ad
Assad in Siria (lotta appoggiata da numerosi governi occidentali). Non è facile, per niente.
PS2: il buon Vanni mi aveva chiesto un’esperienza personale, ma temo di aver divagato. In generale è difficile valutare
delle relazioni umane basate su rapporti lavorativi, anche
con controparti musulmane. Per cui il mio ricordo più bello
resta legato a un vecchio contadino dalla pelle rugosa che, in
un giorno di gran caldo nel sud del Marocco, ci ha invitati
dentro casa per condividere datteri e latte fermentato.
OLTRE LO SPECCHIO
E
In un flusso rapido e incessante di notizie, informazioni e
commenti come quello attuale capita che, tra un arcinoto #jesuischarlie e un encomiabile #notinmyname, sia passato in
sordina l’hashtag piú significativo e importante.
#IllRideWithYou («viaggerò insieme a te») viene dall’Australia ed è nato all’indomani della presa di ostaggi da parte
di un fanatico riconducibile all’ISIS in un caffè del centro
di Sydney, conclusasi con la perdita di due vite innocenti. È
stato osservato come, all’indomani di episodi di questo tipo,
in numerosi Paesi - USA in primis - si verifichi un aumento
di atti intimidatori e minacce generalizzate nei confronti di
musulmani, soprattutto sui mezzi di trasporto pubblici.
Tantissimi australiani - fonti parlano di più di 150 mila tweet
in 12 ore - hanno voluto sgombrare il campo fin dal principio,
solidarizzando con i connazionali di fede islamica impauriti
da possibili reazioni per atti di cui non sono minimamente
responsabili. Identificandosi con sciarpe colorate, fotografie
e cartelli per farsi riconoscere, i pendolari australiani hanno
dato uno schiaffo a paura, ignoranza e pregiudizio, in un Paese peraltro divenuto negli ultimi anni particolarmente seve-
ALTA UOTA
i più
uotati
LA STORIA SIAMO NOI
Qual è la storia che un giorno racconteremo.
Non parlo di quella che si troverà sui libri di
storia, con date, nomi e analisi accurate, ma la
storia di cui siamo partecipi, quella che viviamo e con cui la nostra coscienza etica e sociale si confronta. Quella a cui un giorno saremo
chiamati a dare risposta.
Cosa ne è stato di quello che è successo a Falluja. Cosa ne è stato della Libia dopo la morte di Gheddafi. Cosa ne è stato
delle donne siriane prese di mira dal regime.
Cosa ne è stato di noi, del nostro pensiero, delle nostre domande in merito a
tutto questo.
Viviamo momenti in cui la presenza di queste notizie è intensa, ma qual è la
natura di questa intensità? E quale la forza che ne rimane, se tutto quello che
sappiamo dura il tempo in cui qualcun altro decide di comunicarcelo.
Me lo sono domandata dopo aver visto America Sniper. Non mi sono chiesta
altro che questo: come racconto io a me stessa e agli altri quello che se non mi
Complimenti, Mariucci!
La signora Maria Luisa Dean, per tutti Mariucci, titolare dell’omonimo Salone di parrucchiera di Piazza Indipendenza n. 36, festeggia quest’anno i 30
anni di ininterrotta attività. Complimenti a lei che, per la sua continuità e
dedizione, è stata sempre ripagata dalla fedeltà delle tante storiche clienti.
30 di questi anni!
Nella foto: la titolare Maria Luisa Dean, con le collaboratrici Maria Romano e Ida “Franca” Mosca.
capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54
ha coinvolta direttamente come cittadina lo ha fatto come essere umano.
Molte zone del mondo vivono in un buco nero informativo, altre “appaiono” accessibili a ogni informazione
(o meglio al tipo di informazione che si vuole dare). Non tutto arriva ai nostri occhi nelle diverse prospettive
da cui poterlo guardare, ma di quel poco che vediamo, di quel poco che sappiamo, come sceglieremo di
raccontarlo a chi verrà dopo di noi?
Mi domando se siamo e saremo in grado di dare una visione che sia utile alla costruzione di una cultura
sociale più forte o ci basterà quello che ogni giorno ci viene confezionato come un pacco sicuro.
KELIAKOS, IL NEGOZIO DI PRODOTTI SENZA GLUTINE
A CERVIGNANO
ALBERTO GUELI, giovane cervignanese, è il titolare dell’esercizio che circa un mese fa ha aperto in Via
Dante, dedicato alle necessità degli intolleranti al glutine
–– Alberto, spiegaci cosa offre Keliakos.
«Offriamo prodotti senza glutine indirizzati a celiaci e intolleranti; più avanti speriamo di ampliare l’attività anche a cibi per vegani. Questi prodotti possono essere acquistati anche presso farmacie e alcuni
supermercati, ma la scelta che offriamo qui è assolutamente unica per varietà e qualità. Ad esempio abbiamo surgelati e birra senza glutine, molto rari da trovare. Inoltre, Keliakos è l’unico negozio alimentare in
zona - che non sia Farmacia - ad essere convenzionato con l’A.S.L., per cui da noi è possibile acquistare
i prodotti anche tramite i buoni per celiaci erogati dallo Stato».
–Un’idea
–
di impresa piuttosto innovativa. Come nasce?
«L’idea mi è stata data da un amico di famiglia intollerante al glutine, che mi ha fatto notare come nella
Bassa Friulana (Grado compresa) non fosse presente alcun esercizio di questo tipo. Dunque, vista anche
la crisi generale e la difficoltà di fare impresa oggi, ho pensato questo potesse essere uno sbocco originale».
–La
– celiachia è un disturbo che ha poca risonanza ma in realtà abbastanza diffuso, vero?
«Sì, basti pensare che all’incirca il dieci per cento della popolazione soffre di celiachia o comunque di una
forma più lieve di intolleranza al glutine. E comunque, i casi sono destinati ad aumentare, anche a causa
di come oggi vengono trattati gli alimenti con conservanti e quant’altro. Penso anche che quest’attività
mi permetterà di coniugare un’attività imprenditoriale che spero abbia successo con l’idea di fornire un
servizio utile. Questi alimenti sono infatti necessari per tantissime persone che come tutti devono nutrirsi,
ma che hanno grosse difficoltà a trovare questi prodotti. Ribadisco inoltre che, grazie alle convenzione
con l’A.S.L., i celiaci possono fare acquisti da noi anche con i buoni, con grande risparmio economico».
MARCO SIMEON
comelli.pdf 15/02/2010 13.46.30
IN
PRINCIPIO ERA
IL
VERBO /6
di Vanni Veronesi
LA POESIA PUÒ SALVARE LA VITA
sapida dal basilico che cresce
nella tegghia e profuma le tue case.
Nei porti delle tue città cercai,
nei fungai delle tue case, l’amore,
nelle fessure dei tuoi vichi.
Bevvi
alla frasca ove sosta il carrettiere,
nella cantina mucida, dal gotto
massiccio, nel cristallo
tolto dalla credenza, il tuo vin aspro
- per mangiare di te, bere di te,
mescolare alla tua vita la mia
caduca.
Marchio d’amore nella carne, varia
come il tuo cielo ebbi da te l’anima,
Liguria, che hai d’inverno
cieli teneri come a primavera.
Brilla tra i fili della pioggia il sole,
bella che ridi
e d’improvviso in lagrime ti sciogli.
Da pause di tepido ingannate,
s’aprono violette frettolose
sulle prode che non profumeranno.
Se poi laggiù nasce un amore, Sbarbaro diventa talmente naturale da risultare ‘inevitabile’: lo capire-
Comunicai di te con la farina
della spiga che ti inazzurra i colli,
dimenata e stampata sulla madia,
condita dall’olivo lento, fatta
te leggendo i Versi a Dina. Non mi trattengo: «Era
color del mare e dell’estate / la strada tra le case e i
muri d’orto / dove la prima volta ti cercai. / All’incredulo sguardo ti staccasti / un po’ incerta dall’altro
marciapiede. / Nemmeno mi guardasti. Mi stringesti, / con la forza di chi s’attacca, il polso. / A fianco
procedemmo un tratto zitti». Pochi cenni, eppure
siamo lì con lui: stiamo vedendo la scena come se
fossimo al cinema. È semplicemente meraviglioso.
Sbarbaro fu anche prosatore innovativo, traduttore raffinato dal greco e dal francese e grandissimo
esperto di botanica, in particolare di licheni (passione curiosa che gli valse notorietà mondiale nel
campo). Ma fu soprattutto un umile, appassionato
professore di latino e greco nei licei. Lontano dai
riflettori. Forse è per questo che la sua scrittura ha
il sapore delle cose autentiche. Il sapore della vita
vera. Come quella che Sbarbaro ha saputo descrivere così:
Non, Vita, perché tu sei nella notte
la rapida fiammata, e non per questi
aspetti della terra e il cielo in cui
la mia tristezza orribile si placa:
ma, Vita, per le tue rose le quali
o non sono sbocciate ancora o già
disfannosi, pel tuo Desiderio
che lascia come al bimbo della favola
nella man ratta solo delle mosche,
per l’odio che portiamo ognuno al noi
del giorno prima, per l’indifferenza
di tutto ai nostri sogni più divini,
per non potere vivere che l’attimo
al modo della pecora che bruca
pel mondo questo o quello cespo d’erba
e ad esso s’interessa unicamente,
pel rimorso che sta in fondo ad ogni
vita, d’averla inutilmente spesa,
come la feccia in fondo del bicchiere,
per la felicità grande di piangere,
per la tristezza eterna dell’Amore,
per non sapere e l’infinito buio...
t
ultura
Questa rubrica ha l’ambizione - e la boria - di partire
da una parola per raccontare un pezzo dell’esistenza
umana: del resto, le aspirazioni o sono all’infinito
o, semplicemente, non sono. Pierluigi Cappello, uno
dei massimi poeti viventi, me lo disse chiaramente
durante un’intervista: «Punto all’assoluto. Né più né
meno». Nelle precedenti puntate mi sono occupato
di vari aspetti: l’antico significato di ‘crisi’, per dimostrare che dietro ad essa si nasconde una nuova
opportunità per il futuro; le attestazioni del fiume
Ausa nella letteratura, per ricordare che Cervignano
non è solo città di servizi, ma potenzialmente luogo
di cultura e di memoria; l’invenzione del friulano
come ‘lingua’, con tutti gli annessi e i connessi politici; l’emblematica dicitura Tiare Shopping del noto
centro commerciale di Villesse, fenomenale esempio
di g-localismo dal sapore di brovada con il ketchup;
infine il senso del vocabolo Europa in relazione alla
cultura che l’ha costruita. E se «la parola forma la
coscienza», come ricorda Khaled Fouad Allam in
questo numero a pagina 2, allora ho l’alibi per continuare a martoriarvi con le mie bagatelle.
La parola come spunto per raccontare l’esistenza
umana, dicevo. Ebbene, questa volta voglio farlo in
senso letterale, prendendo in prestito i versi di un
poeta dimenticato dai programmi ministeriali: Camillo Sbarbaro (1888 - 1967).
Per capire Sbarbaro non servono i trattati degli
esperti; bisogna invece conoscere la sua Liguria, una
terra che è entrata nella mia vita in maniera indelebile: appena possibile, cerco sempre di tornarci. Bisogna sentire quel vento inconfondibile, spaziare con
lo sguardo su quel mare inquieto, vagare nell’ennesima crêuza de mä, il viottolo di mare che dà il nome
a uno degli album più belli di Fabrizio De Andrè. E
bere un buon calice di Pigato o di Cinque Terre, naturalmente… per non parlare del dolcissimo Sciacchetrà! Tutto ciò si ritrova nei versi di Sbarbaro,
narrato con una musicalità che pare arrivare da un
mondo perduto:
9
per tutto questo amaro t’amo, Vita.
IL CAFFETTIERE FILOSOFICO
Il rapporto fra Cristianesimo e Islam nella letteratura
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto
innamorarsi (cosa inaudita per un difensore della
cristianità) fino ad arrivare al punto di impazzire del
tutto dimenticandosi anche il suo ruolo di difensore
della chiesa.
Successivamente i valori della cortesia e della
cristianità andranno scemando, nella vita come nella
letteratura. L’immagine del cavaliere pronto a cedere
le propria vita in cambio del veder realizzarsi i propri
ideali di purezza, libertà, religiosità, devozione a
Dio e alla Patria lascia il posto a un cavaliere di ben
altro spessore.
Con il tempo la letteratura inizierà a far scivolare in
secondo piano tutti gli ideali e principi nobili, fino
ad arrivare ad un tipo di poema eroicomico dove il
cavaliere viene beffato e ridicolizzato, come ne La
secchia rapita del Tassoni o il Don Chisciotte della
Mancia di Cervantes che segneranno il tramonto del
cavaliere e dell’interesse attorno alle guerre sante.
luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19
ALTA UOTA
Se nella letteratura italiana sentiamo parlare di
infedeli e cristiani e di guerra santa, subito ci vengono
in mente i romanzi cavallereschi, le avventure di
Orlando e Carlo Magno contro i “mori”. Ma chi
sono questi cavalieri e quale era il loro ruolo nella
società?
Nel 1025, Adalberone vescovo di Laon scrive che la
società è divisa in tre ordini: gli oratores, coloro che
pregano; i bellatores, nobili guerrieri che difendono
con le loro armi tutto il popolo e la Chiesa; infine
i laboratores, coloro che lavorano. Secondo questo
schema, il ruolo dei cavalieri è dunque quello di
difendere gli indifesi e la società cristiana, la Chiesa
e la religione. Nasce così quel concetto di cavaliere,
uomo forte e valoroso che, incurante dei pericoli e
dei rischi, è pronto a mettere a repentaglio la propria
vita pur di fare del bene. Il massimo eroe di questi
tempi è Rolando, nipote e paladino di Carlo Magno.
Il fiorire di questa produzione in Italia si ha con
l’Umanesimo e il Rinascimento, momento in cui
si assiste a una grave crisi del potere imperiale e
quindi a un maggior avvicinamento al mondo del
divino, ma soprattutto alla Chiesa, che acquista un
sempre crescente peso politico-sociale. L’ideale
cavalleresco quindi si lega con l’ideale religioso
e per mezzo delle lotte secolari tra Cristiani e
Mussulmani, che culminarono in Oriente con le
crociate e in Occidente con le guerre tra i Cristiani
e i Mori di Spagna, questo legame riprende vigore.
Opere somme di questo repertorio sono Il Morgante
di Luigi Pulci, l’Orlando Innamorato di Matteo
Maria Boiardo e l’Orlando Furioso di Ludovico
Ariosto. Capolavori che portano alla fusione due
cicli cavallereschi: il ciclo Bretone, ricco di magia,
di eventi miracolosi, di stregoni, orchi e draghi con
al centro i cavalieri della Tavola Rotonda e il loro
Re Artù, e il ciclo Carolingio, legato alla storia di
Carlo Magno, delle guerre tra cristiani e infedeli.
Questa fusione. in nuce nel Morgante, diventa legge
nell’Orlando Innamorato e nell’Orlando Furioso.
Gli eroi Carolingi, tra tutti Orlando paladino senza
macchia e senza paura, agiscono come gli eroi
bretoni attraverso varie avventure, anelli magici,
cavalli alati e mostri vari. Sullo sfondo, resta la
guerra tra cristiani e infedeli.
L’ideale cavalleresco muta in questo scenario. L’eroe
senza macchia e senza paura per antonomasia,
Orlando, diventa più umano arrivando al punto di
di Marco Giovanetti
uotAssociazioni
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TEATRO, UNA PASSIONE
SENZA ETÀ
Sogni e fatiche delle Briciole Junior,
in vista dello spettacolo del 30 maggio.
«Sono emozionato e frenetico»: è la sera della prima. Il sipario
sta per alzarsi su quello che sarà lo spettacolo per cui si sta lavorando da mesi. Il teatro è gremito. Vi siete mai chiesti cosa passi
nella testa di una giovane Briciola, gli istanti prima di salire sul
palco? La risposta ve l’ha data Francesco, 9 anni, al suo secondo anno con le Briciole Junior.
Ma non c’è solo energia nei pensieri dei giovani interpreti. Sabina, 8 anni, dice: «Ho paura di sbagliare le battute!». A ristabilire
gli equilibri c’è l’impavido Matteo che si carica con un catartico
«Mi faccio coraggio e cerco di fare del mio meglio».
Questa è la magia del palcoscenico che, da sempre, cattura grandi e piccoli, amatori e professionisti.
I testi da cui prendiamo ispirazione per le nostre rappresentazioni sono tratti da favole che i bambini sanno a memoria. Nessuna sorpresa quindi: il bello di questa piccola realtà teatrale sta
proprio nel dar vita a quei personaggi che molte volte abbiamo
guardato in tv o conosciuto sui libri: il teatro rende vive, toccabili, sperimentabili le emozioni o i sentimenti di questi personaggi.
S’indossa una maschera, ci si immedesima in una storia che bisogna conoscere, capire, comprendere... Il teatro nasce come un
gioco ma poi diventa palestra di vita... perché la vita è emozione,
sentimenti, mistero.
E attraverso questi strumenti, come ci ricorda Sara, 10 anni, «si
imparano tante cose»: lavorare in gruppo, fidarsi l’uno dell’altro,
aiutarsi quando in scena qualcuno dimentica o sbaglia qualcosa,
fa tutto parte del ‘gioco’ che per Chiara, 10 anni, è «molto speciale».
Questo è il teatro per le Briciole Junior che, da ormai 6 anni, con
non poche difficoltà, segna la loro vita aiutando i giovanissimi
attori a diventare “veramente grandi”, con tanta voglia di esserci,
divertirsi e divertire.
Siamo tutti invitati al minishow dal titolo Cappuccetto Rosso ed
i Misteri del Bosco in programma sabato 30 maggio alle 20.30
al Teatro Sala Aurora del nostro Ricreatorio. I giovani spettatori
saranno rapiti dai personaggi, dagli sfavillanti costumi e dalle
grintose canzoni, mentre grandi e genitori potranno assistere a
uno spettacolo vero e proprio: e, ancora una volta, la magia del
teatro ci avvolgerà.
GABRIELE SCOLARO
Responsabile Briciole d’Arte del Ricreatorio San Michele
CORSO ANIMATORI DIOCESANO:
IL RICRE PRESENTE IN MASSA
Due immagini del Corso animatori diocesano svoltosi durante i
martedì del mese di febbraio a Cormòns e al quale hanno partecipato una trentina di animatori del Ricreatorio San Michele. Suddiviso
in due annate, il corso – tenuto da esperti – ha affrontato tematiche
che hanno svariato dalla fede alla psicologia, dalle tecniche di animazione all’ascolto delle esigenze dei bambini.
Per gli animatori RSM – tra i gruppi più numerosi – un’occasione
importante in vista degli impegni della nuova stagione: dai Sabati
in Ricre a Estate Insieme. A conferma del forte investimento che il
Ricreatorio San Michele sta dedicando da anni per la crescita e la
formazione dei futuri educatori.
LA TRADIZIONE CONTINUA
Anche quest’anno il Ricreatorio San Michele, in partnership con la Pro Loco, ha organizzato la tradizionale sfilata di gruppi mascherati per le vie della città.
Per rivedere le immagini più belle e leggere la classifica finale del concorso, visita il sito www.ricre.org.
(foto a cura di Luciano Trombin
– Digital Photo Point)
CONSIGLIO DEL RICREATORIO,
ALTA UOTA
QUATTRO ANNI PER NUOVE AMBIZIONI
Si è ufficialmente insediato il nuovo Consiglio direttivo del Ricreatorio
San Michele, che resterà in carica per il prossimo quadriennio.
Composto da venti consiglieri e dall’Assistente spirituale don Moris
Tonso, il Consiglio sarà presieduto da Andrea Doncovio, confermato
alla presidenza per il suo secondo mandato. Assieme a lui, confermati
anche Elisa Biancotto - nella doppia veste di Vicepresidente e Tesoriera - e Federico Forcieri, rieletto Segretario.
Già all’opera tutti i consiglieri, che hanno avviato i lavori delle diverse
commissioni operative inerenti gli ambiti struttura, cultura e ricreazione. Un’apposita commissione, inoltre, si occuperà dei rapporti tra il
Ricreatorio e le diverse realtà parrocchiali ed extra-parrocchiali che in
esso gravitano.
Ecco l’elenco completo dei Consiglieri del Ricreatorio (in ordine alfabetico):
Giuseppe Ancona, Andrea Balducci, Elisa Biancotto, Giacomo Bortolossi, Sandro Campisi, Fabrizio Cavuoto, Matteo Comuzzi, Andrea
Doncovio, Gianfranco Dovier, Federico Forcieri, Nicoletta Fornasir,
Christian Franetovich, Lisa Nocent, Valentina Perna, Giacomo Ponta,
Gianpaolo Rigonat, Riccardo Rigonat, Michele Sclauzero, Gabriele
Scolaro, don Moris Tonso, Alex Zanetti.
CATECHI
SMO
CATECHISMO
UN’AGENDA
RICCA DI EVENTI
Lunedì 6 marzo alle ore 18, in Duomo, Via
Crucis animata dai ragazzi che frequentano il
primo e secondo anno in preparazione alla Cresima.
Venerdì 20 marzo ore 18, in Duomo, Via Crucis animata dal “gruppo comunioni” del primo
e secondo anno.
Lunedì 30 marzo, nel pomeriggio in Duomo, ora di Adorazione per i ragazzi
delle cresime in occasione delle “40 Ore”.
Martedì 31 marzo, nel pomeriggio, ora di Adorazione per i bambini del primo e
secondo anno delle comunioni, in occasione delle “40 Ore”.
Giovedì 2 aprile ore 10 a Gorizia, partecipazione dei ragazzi del secondo anno in
preparazione alla Cresima alla “Messa degli oli” in Cattedrale.
Sabato 9 maggio ore 15 in Duomo, 62 bambini di quarta elementare riceveranno
il sacramento della Riconciliazione a conclusione del primo anno di catechesi.
I PROSSIMI APPUNTAMENTI PARROCCHIALI
• Ogni venerdì di Quaresima: ore 18, Via Crucis in Duomo.
• Ogni martedì di Quaresima: ore 20.30, Lectio Divina in Sala don Bosco
(Ricreatorio).
• Domenica 29 marzo, Domenica delle Palme:
ore 10.30, benedizione degli ulivi davanti alla chiesetta di San Girolamo e
processione fino al Duomo.
Ore 11: S. Messa solenne e lettura della Passione del Signore.
Ore 15: solenne apertura delle Ss. Quarant’ore (Duomo).
• Da lunedì 30 marzo a mercoledì 1 aprile: ore 9 – 18.30: adorazione Ss. Quarant’ore
(Duomo).
• Da lunedì 30 marzo a sabato 4 aprile: ore 9 – 12/15 – 18: confessioni in preparazione
alla S. Pasqua (Duomo).
Domenica 10 maggio ore 9.30 in Duomo, i bambini di quinta elementare (secondo anno comunioni) riceveranno la prima Comunione.
Da giovedì 2 aprile a sabato 4 aprile: Triduo Pasquale.
Domenica 17 maggio ore 9.30 in Duomo, i ragazzi riceveranno il Sacramento
della Riconfermazione.
• Giovedì 2 aprile, ore 20.30: S. Messa in Coena Domini (Duomo); ore 22.30:
“Notte con il Signore”, adorazione eucaristica nella notte (Ricreatorio).
• Venerdì 3 aprile, ore 15: azione liturgica della croce (Duomo); ore 20.30: Via
Crucis per le vie della città di Cervignano e Scodovacca.
• Sabato 4 aprile, ore 21: solenne Veglia Pasquale (Duomo).
Si ricorda che durante il cammino di Quaresima, agli incontri di catechismo del
lunedì parteciperanno anche i bambini e ragazzi che sono iscritti nelle associazioni parrocchiali, dove invece durante l’anno svolgono la regolare attività di preparazione ai Sacramenti.
• Lunedì 6 aprile, Lunedì dell’Angelo: celebrazione delle S. Messe con orario
feriale; a Scodovacca, celebrazione della S. Messa solenne alle ore 10.
• 20, 21 e 22 maggio: Pellegrinaggio parrocchiale a Torino con visita alla S. Sindone
e ai luoghi di don Bosco nel bicentenario della sua nascita.
PASTORALE GIOVANILE:
UNA REALTÀ IN CAMMINO
Si è tenuto a Brindisi, dal 9 al 12 febbraio scorsi, il Convegno Nazionale di Pastorale giovanile dal titolo: Il cantiere e
le stelle. Il percorso ha aiutato tutti i partecipanti a riconoscere le risorse presenti nei territori e nelle realtà ecclesiali
per farli crescere ogni giorno di più. Due i grandi poli attorno ai quali si è mosso il percorso: il tema della cura e della
dedizione e il titolo stesso del convegno, che affronta anche
questioni più “tecniche”.
Nella foto, i partecipanti della nostra Diocesi: Marco Luciano, don Moris Tonso, don Nicola Ban, mons. Michele
Centomo e Christian Franetovich.
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Alex Zanetti › 3403611418
Sandro Campisi › 3474007667
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di Colic Rossana
33052 Cervignano del Friuli (Ud) • Piazza Libertà, 9
Tel. e Fax 0431.30312
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• Domenica. 5 aprile, Pasqua del Signore: celebrazione delle S. Messe con orario
festivo.
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È TEMPO DI RADIO SURVIVOR
Da questo slogan riparte la seconda puntata della fruttuosa collaborazione tra Radio Presenza e l’Associazione di Promozione Sociale Minoranza Creativa di Pasian di Prato.
L’iniziativa si rivolge alla popolazione giovanile della Bassa Friulana con l’obiettivo di promuovere la capacità
di senso critico e le occasioni di espressione culturale a favore dei giovani destinatari del progetto. All’interno dello stesso i ragazzi avranno un ruolo da veri e propri protagonisti e per realizzarlo ci si avvarrà della
collaborazione con diversi partner pubblici e privati: oltre alla nostra Parrocchia San Michele Arcangelo,
l’Associazione di promozione sociale ExisT di Trieste, l’Associazione di promozione sociale Psicoattività
di Palmanova, la SOC Alcologia e Dipendenze Patologiche dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 5 ‘Bassa
Friulana’ e l’ISIS Malignani.
Nella massiccia attività di promozione svolta in tutte le sedi dell’ISIS si è identificato un gruppo di peer educator che sta partecipando attivamente alle attività in fase di realizzazione grazie, appunto, alla metodologia
della peer education. I ragazzi che hanno deciso di prendere parte al progetto stanno lavorando da quasi un
mese nelle sale messe gentilmente a disposizione dal Ricreatorio San Michele di Cervignano e a breve si
divideranno in due gruppi sulla base del loro interesse e delle loro preferenze.
Da un lato il Gruppo redazione prenderà parte alla decisione e all’approfondimento dei temi che verranno
trattati durante la trasmissione radiofonica (per es. cittadinanza europea, lavoro, futuro…); ogni puntata
vedrà la partecipazione di un esperto che porterà il proprio punto di vista professionale circa il tema trattato
in diretta. Dall’altro il Gruppo musica sarà responsabile di curare la parte musicale della trasmissione individuando e coinvolgendo gruppi musicali giovanili del territorio che di volta in volta si susseguiranno nelle
varie puntate e che parteciperanno a un grande concorso che metterà in palio (per la band più votata) la
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possibilità di registrare gratuitamente una demo presso gli studi della Casa della Musica di Cervignano.
Appuntamento dunque a venerdì 13 marzo alle ore 18.30 per la prima di dieci puntate (ogni venerdì) sulle
frequenze di Radio Presenza (FM 99.0/www.radiopresenza.it).
Radio Survivor vi aspetta!
RICRE.ORG:
TUTTE LE ATTIVITÀ
A PORTATA DI CLICK!
ri rreatorio
o
È disponibile sul nostro sito
www.ricre.org
il calendario aggiornato delle attività proposte
dalle associazioni della nostra Parrocchia.
Le associazioni che hanno piacere di condividere i propri appuntamenti possono informarci scrivendo alla casella di posta elettronica
[email protected].
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Troverai tutti i numeri, dall’1 a quello che stai leggendo, compresi gli speciali, da leggere e scaricare gratis!
Si ringraziano Franco Nanetti e Matteo Comuzzi per le scansioni.
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Il campo di calcio in sintetico del Ricreatorio San Michele
può essere prenotato ogni giorno, dal lunedì al venerdì
dalle 18.30 alle 22.30, per organizzare partite tra amici,
con la possibilità di usufruire degli spogliatoi per le
docce a fine gara. Per le prenotazioni è sufficiente
contattare il responsabile del campo, Matteo
Comuzzi, telefonando al numero 345 4549770.