La verifica e l`accertamento tributario nel contesto internazionale

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La verifica e l`accertamento tributario nel contesto internazionale
LAPET PIEMONTE
DELEGATO REGIONALE Lucrezia Tarantino
Corso Siracusa 157 – 10137 TORINO
Tel. 011/321087 – 011/354474
Fax 011/355758
e-mail [email protected][email protected]
GIORNATA DI STUDIO
Alessandria 21 ottobre 2011
“La verifica e l’accertamento tributario
nel contesto internazionale”
Relatore Dott. Marco Bargagli
Guardia di Finanzia, Nucleo Polizia Tributaria di Torino, verifiche complesse
1. Considerazioni introduttive
1.1. Introduzione al tema.
Negli ultimi anni si sta intensificando, da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia
di Finanza, la lotta all’evasione fiscale internazionale, fenomeno molto diffuso e di
particolare pericolosità.
L’evasione fiscale internazionale:
9 sottrae ingenti risorse al fisco: soprattutto in questa delicata fase di interventi finalizzati
al contenimento della spesa pubblica ed al monitoraggio delle entrate dello Stato, tutti i
Governi nel mondo devono introdurre misure finalizzate a contrastare l’evasione e
garantire il gettito fiscale;
9 distorce la concorrenza nei mercati e modifica ingiustamente la pressione fiscale tra
contribuenti;
9 danneggia soprattutto i paesi più poveri, sottraendo risorse da destinare agli aiuti allo
sviluppo ricevuti.
In ambito internazionale i leader G8 e G20 si sono impegnati ad approfondire tutte le
possibili azioni per favorire la cooperazione fiscale internazionale e la lotta all’evasione.
Conseguentemente, è stato approvato un quadro di azione per lo scambio di informazioni
fiscali e la trasparenza a livello mondiale, che:
9 incentivi, in ambito OCSE, l’attuazione delle norme internazionali da parte di tutte le
giurisdizioni;
9 migliori lo scambio di informazioni, con l’aumento del numero, qualità e rilevanza degli
accordi firmati tra paesi in base agli standard internazionali;
9 aggiorni i criteri per definire le giurisdizioni che non hanno ancora applicato in modo
sostanziale gli standard internazionali;
9 incoraggi l’ampliamento del numero di paesi partecipanti al Foro Globale OCSE, in
particolare dei Paesi in via di sviluppo;
9 incentivi l’approfondimento delle contromisure che i paesi potranno usare nei confronti
delle giurisdizioni inadempienti;
9 esorti tutte le giurisdizioni ad aderire agli standard internazionali nei settori della
vigilanza prudenziale, fiscale e contro il riciclaggio e il finanziamento al terrorismo.
Anche il legislatore nazionale, sulla base delle raccomandazioni e degli accordi avvenuti a
livello internazionale è intervenuto introducendo, con il D.L. 1 luglio 2009, n. 78 (la c.d.
manovra d’estate), convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, misure fiscali
particolarmente incisive nella lotta ai paradisi fiscali (tax haven) ed agli arbitraggi
internazionali, contemplate agli articoli 12 e 13 del predetto decreto, in vigore dal 1 luglio
2009.
Le nuove norme, sinteticamente, prevedono:
- per le persone fisiche, un aumento delle sanzioni previste in materia di monitoraggio
fiscale, nonché l’introduzione di una presunzione di redditività in base alla quale: gli
investimenti e le attività finanziarie detenute nei cosiddetti paradisi fiscali, in violazione
delle norme sul monitoraggio fiscale, si considerano come redditi sottratti a
imposizione in Italia, salvo prova contraria del contribuente (art. 12 del D.L. 78/2009);
- per le imprese, un inasprimento delle disposizioni in materia di imprese estere
controllate già contenute nel nostro ordinamento giuridico negli artt. 167 e 168 del
D.P.R. n. 917/1986, la c.d. CFC – “Controlled Foreign Companies taxation” (art. 13
del D.L. 78/2009).
1.2. L’esterovestizione societaria.
Una delle forme maggiormente insidiose di evasione internazionale è sicuramente
costituita dal fenomeno dell’esterovestizione societaria.
Come noto, un soggetto residente nel territorio dello Stato è assoggettato a tassazione per i
redditi ovunque prodotti nel mondo, in quanto la legislazione tributaria nazionale, alla
stregua della maggior parte degli altri ordinamenti fiscali, per i soggetti residenti sottopone
a tassazione, ai fini dell’imposizione personale, tutti i redditi posseduti, in Italia ed
all’estero, in virtù del noto principio della tassazione dell’utile mondiale o “world wide
taxation”.
Ne consegue la possibilità di riscontrare patologiche pratiche evasive consistenti
nell’ubicare formalmente all’estero la residenza fiscale di un soggetto economico.
L’esterovestizione consiste, in estrema sintesi, nella fittizia localizzazione della residenza
fiscale in Paesi o territori diversi dall’Italia (in ambito UE o extra UE), per sottrarsi agli
adempimenti tributari previsti dall’ordinamento di reale appartenenza e beneficiare, nel
contempo, del regime fiscale più favorevole vigente altrove.
Sostanzialmente, si realizza una “dissociazione” tra residenza reale e residenza
fittizia/formale del soggetto passivo (persona fisica o società), che persegue lo scopo di
assoggettare i propri redditi a tassazione in un paese o in un territorio a fiscalità
privilegiata.
Nel nostro ordinamento tributario, mentre le persone giuridiche residenti, in virtù del
principio della tassazione del reddito mondiale, sono assoggettate ad imposizione in Italia
per tutti i redditi ovunque prodotti, relativamente alle società e gli enti non residenti, al
contrario, sono assoggettati ad imposizione in Italia soltanto i redditi prodotti sul territorio
nazionale1.
1
L'art. 151, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986, infatti, sancisce che "il reddito complessivo delle società e degli enti
commerciali non residenti (..) è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli
esenti dall'imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva".
Schema di sintesi: l’esterovestizione societaria.
REALE
RESIDENZA FISCALE
(persona fisica o società)
ITALIA
FITTIZIA
RESIDENZA FISCALE
(persona fisica o società)
ESTERO
RIDUZIONE
DELLA
PRESSIONE
FISCALE
L’ordinamento tributario italiano, come vedremo dettagliatamente nei paragrafi che
seguono, è dotato di specifiche norme che consentono di individuare la residenza ai fini
fiscali dei soggetti passivi (persone fisiche o società), in funzione di concreti elementi,
alternativi tra di loro, che individuano il legame della persona fisica o della società con il
territorio dello Stato Italiano.
In particolare:
2
-
per le persone fisiche, l’articolo 2, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986 (soggetti
passivi), dispone che: “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le
persone che per la maggior parte del periodo d'imposta2 sono iscritte nelle anagrafi
della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la
residenza ai sensi del Codice civile”.
-
per le persone diverse dalle persone fisiche (le società, gli enti, i trust), l’articolo
73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986 (soggetti passivi), dispone che: “ai fini delle
imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior
parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o
l'oggetto principale nel territorio dello Stato. Si considerano altresì residenti nel
territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo
contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, in cui almeno uno
dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel
territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust
istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, quando, successivamente alla loro
costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust
un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la
costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché
vincoli di destinazione sugli stessi”.
183 giorni nell’arco dell’anno, 184 in caso di anno bisestile.
1.3. Gli altri fenomeni affini di evasione fiscale internazionale.
Gli altri fenomeni di evasione fiscale internazionale si possono realizzare mediante:
-
il trasferimento o di materia imponibile all’estero o “travaso” di utili.
In tale ambito si colloca la c.d. normativa sul “transfer pricing” (articolo 110, comma
7, del D.P.R. n. 917/1986), che ha lo scopo di evitare l’artificiosa costruzione dei
prezzi di cessione e/o di acquisto di beni e di servizi, praticati tra imprese appartenenti
allo stesso gruppo (dall’Italia all’estero e/o viceversa), al fine di realizzare una
articolata pianificazione fiscale internazionale.
Le transazioni economiche e commerciali intercorse tra imprese legate tra di loro da
rapporti di controllo e/o collegamento dovranno avvenire, nel rispetto del principio di
libera concorrenza (arm’s length principle), al c.d. valore normale.
Per valore normale si intende, in sintesi, il prezzo che le parti interessati dalla
transazione economica avrebbero praticato nei confronti di un terzo cliente e/o
fornitore indipendente, non appartenente al gruppo.
In articolare, l'articolo 9, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986 definisce come valore
normale "il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della
stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di
commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti
o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione
del valore normale si fa riferimento, per quanto possibile, ai listini o alle tariffe del
soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini
delle Camere di Commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti
d'uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai
provvedimenti in vigore".
In tale ambito le linee guida dell'OCSE sul transfer pricing per le imprese
multinazionali e le amministrazioni tributarie (c.d. “OECD Transfer Pricing
Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations”), costituiscono il
punto di riferimento per l'applicazione del principio "arm's length" che consente di
valutare la congruità, ai fini fiscali, delle transazioni economiche e commerciali
intercorse tra imprese controllate e/o collegate.
Infatti, in una economia globale, nella quale le imprese multinazionali hanno un ruolo
preminente, occorre accertare che non vengano attuati “patologici” fenomeni di tax
planning”, che inevitabilmente erodono la base imponibile.
-
l’abuso delle convenzioni contro le doppie imposizioni (il “treaty shopping”).
Tutti i principali modelli di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni
sui redditi, fanno riferimento alla locuzione “beneficiario effettivo” dei dividendi,
degli interessi, dei canoni percepiti (il c.d. beneficial owner).
In base a tale disposizione ed al fine di evitare eventuali interposizioni fittizie di
soggetti nelle transazioni economiche e commerciali, al solo scopo di ottenere indebiti
risparmi d’imposta, è indispensabile circoscrivere la nozione di beneficiario effettivo
del reddito, che generalmente coincide con il titolare giuridico ed economico del
diritto immateriale oggetto della transazione economica.
I principi antiabuso contenuti nelle convenzioni internazionali sono finalizzati ad
evitare il c.d. fenomeno del “treaty shopping”, ovvero quelle fattispecie
d’interposizione di persona fisica o giuridica in virtù delle quali si realizza una
traslazione impropria dei benefici previsti da una convenzione internazionale per
evitare le doppie imposizioni sui redditi e sul patrimonio.
Al fine di ostacolare pratiche di carattere elusivo, tutti gli accordi contengono una
specifica clausola antiabuso (quella del “beneficiario effettivo del reddito”), contenuta
negli artt. 10, 11, e 12 del Modello OCSE di convenzione, alla quale i principali
modelli internazionali fanno riferimento3.
-
La presenza di una stabile organizzazione (c.d. branch) non formalmente
costituita.
L’identificazione della presenza di una stabile organizzazione in Italia, ai fini delle
Imposte sui redditi, o di un centro di attività stabile ai fini I.V.A., costituisce un
argomento di elevato interesse, in quanto, grazie alla presenza occulta di una stabile
organizzazione, è possibile assoggettare a tassazione i redditi prodotti da parte di un
soggetto non residente in Italia, per il tramite della stabile organizzazione.
Il potenziale intento evasivo/elusivo riconducibile alla “stabile organizzazione”, si
configura quando:
a. un soggetto non residente possiede una sede fissa d’affari “occulta” in Italia;
b. un soggetto residente in Italia “occulta” l’esistenza di una stabile organizzazione
estera, al fine di evitare che il reddito prodotto dalla stessa venga tassato in Italia
in base al c.d. worldwide principle (tassazione su base mondiale)4.
3
4
Per approfondimenti sul tema sia consentito il rinvio a M. Bargagli, “Il regime fiscale delle royalties tra normativa
interna e trattati internazionali sulle doppie imposizioni. Riflessioni sul Treaty Shopping, in “Fiscalità
internazionale” n. 4/2008, pag. 299 e ss.
sul punto si richiama la circolare del Comando Generale della Guardia di finanza n. 1/2008, “Istruzioni sull’attività
di verifica”, Vol. III, Parte VI, Capitolo 7, par. 4, pag. 139, ove testualmente si legge: “Le forme evasive più
pericolose che interessano l’istituto della stabile organizzazione sono individuabili, principalmente, nelle situazioni
in cui: un’impresa estera operi in Italia attraverso una stabile organizzazione non formalmente costituita e,
pertanto, sconosciuta come tale all’Amministrazione finanziaria; un’impresa residente fiscalmente in Italia
disponga all’estero di stabili organizzazioni non dichiarate”.
In merito, il compito del fisco italiano sarà quello di raccogliere tutti gli elementi
probatori comprovanti il centro di imputazione fiscale del soggetto, in base alle
disposizioni contenute nell’articolo 162 del D.P.R. n. 917/1986, che mutua l’articolo 5
del modello di convenzione contro le doppie imposizioni, predisposto dal Comitato
affari fiscali dell’OCSE, al quale si uniformano le convenzioni internazionali stipulate
dall’Italia con gli Stati esteri, che definisce la stabile organizzazione: “una sede fissa
di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”.
-
La distribuzione dei dividendi, provenienti da paradisi fiscali, mediante
l’interposizione di una o più società conduit.
La riforma fiscale del 2004 ha previsto la detassazione al 95% in capo al soggetto
percettore degli utili da partecipazione.
Il principio della parziale esclusione da imposizione dei dividendi corrisposti dalle
società di capitali ha lo scopo di eliminare, o quantomeno significativamente ridurre,
la doppia imposizione degli utili societari.
Tale principio trova una deroga per i dividendi distribuiti da soggetti residenti in Stati
o territori a fiscalità privilegiata, i quali concorrono integralmente alla formazione del
reddito del percettore residente.
Tuttavia, l’interposizione nella distribuzione dei dividendi di “conduit companies”,
non realmente titolari del reddito da partecipazione, potrebbe consentire di aggirare la
disposizione che prevede la piena tassazione dei dividendi “black list”.
Per tale motivo il legislatore, con il D.L. n. 223/06, ha introdotto sia all’art. 47,
comma 4, sia all’art. 89, comma 3, la locuzione “provenienti”, riconducendo, così, a
tassazione piena anche gli utili indirettamente percepiti da un impresa italiana da parte
di paesi residenti in paradisi fiscali.
Le disposizioni hanno la finalità di contrastare le operazioni di “aggiramento” del
regime di tassazione integrale degli utili provenienti da partecipate situate in Paesi a
fiscalità privilegiata, interponendo nella catena societaria un altro soggetto estero
residente in un Paese a regime fiscale non privilegiato.
Conseguentemente, l’attuale disciplina prevede che il regime di tassazione integrale
sia applicabile non solo agli utili e ai proventi equiparati distribuiti direttamente dai
soggetti residenti nel paradiso fiscale, ma anche a quelli (da essi generati) che
giungano alla “madre” italiana tramite società intermedie mere conduit companies5.
5
Per approfondimenti sulla subiecta materia sia consentito il rinvio a M. Bargagli M. Thione, “Tassabilità dei
dividendi provenienti indirettamente da black list: problematiche applicative, in “il Fisco” n. 23/2011, pag. 1-3656.
-
I rapporti economici e commerciali con paradisi fiscali.
L’art. 110, commi 10 e ss., del D.P.R. n. 917/1986, contiene una particolare disciplina
antielusiva relativa ai costi sostenuti per acquisti di beni e servizi da fornitori residenti
in Paesi non appartenenti all’Unione europea, aventi un regime fiscale privilegiato6.
Tuttavia, tali disposizioni non si applicano quando le imprese residenti in Italia
forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività
commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un
effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione7.
-
La normativa CFC.
La disciplina in materia di società controllate estere di cui agli artt. 167 e 168 del
D.P.R n. 917/1986, (c.d. Controlled Foreign Companies), che come detto è stata
inasprita ad opera delle disposizioni recentemente introdotte dall’articolo 13 del D.L.
78/2009, è una norma “anti paradiso fiscale”.
In particolare, al soggetto controllante italiano sono imputati i redditi conseguiti dai
soggetti controllati residenti in paesi a fiscalità privilegiata, a meno che il
contribuente non dimostri, tramite la presentazione di apposita istanza di interpello
preventivo ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del
contribuente), l’operatività delle esimenti previste dall’art. 167, comma 5, del D.P.R.
n. 917/1986, ovvero:
a. la società o altro ente non residente svolga un'effettiva attività industriale o
commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di
insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest'ultima
condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli
impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento8;
b. dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o
territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis.
6
Ai sensi dell’articolo 110, comma 10 del D.P.R. n. 917/1986, non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri
componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori
diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 168-bis.
7
Per approfondimenti sulla rilevanza delle esimenti e sulle regole operative da seguire in caso di rapporti economici e
commerciali con paradisi fiscali cfr. M. Bargagli, “scambi con residenti in paradisi fiscali: deducibilità di costi e
spese, in “Azienda e Fisco” n. 10/2009, pag. 16.
8
Ai sensi dell’articolo 5-bis del D.P.R. n. 917/1986, la previsione di cui alla lettera a) del comma 5 non si applica
qualora i proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50% dalla gestione, dalla
detenzione o dall'investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla
concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla
prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente
non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l'ente non
residente, ivi compresi i servizi finanziari.
La norma, in estrema sintesi, costituisce un valido strumento per contrastare
comportamenti finalizzati ad evadere le imposte, localizzando ingenti redditi all’estero.
Infatti, le imprese partecipate estere, specie se localizzate in paradisi fiscali,
potrebbero non svolgere, in realtà, un’effettiva attività industriale o commerciale
all’estero, ma essere state costituite esclusivamente per localizzare, oltre confine, i
redditi facenti capo a soggetti residenti in Italia.
1.4. Schema di sintesi: le principali forme di evasione internazionale.
Persone fisiche
Esterovestizione
Persone giuridiche
principali
Transfer Price
forme di
evasione
Treaty Shopping
fiscale
internazionale
Stabili organizzazioni occulte
Interposizioni nei dividendi
Scambi economici con paradisi fiscali
Controlled Foreign Companies
2. La residenza fiscale delle persone giuridiche.
2.1.
Normativa nazionale (art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986).
Il tema della residenza fiscale delle persone giuridiche, è strettamente collegato al
fenomeno dell’ “esterovestizione societaria”9.
Presupposto fondamentale per l’assoggettamento ad imposizione in Italia del reddito
conseguito dalla società, è l’esatta individuazione della residenza fiscale del soggetto
passivo.
Il requisito della residenza fiscale per gli enti diversi dalle persone fisiche è
disciplinato dagli artt. 5, comma 3, lett. d) e 73 del D.P.R. n. 917/198610.
Le disposizioni di legge prevedono che la società di capitale è considerata
fiscalmente residente in Italia, quando per la maggior parte del periodo d’imposta ha
9
10
Numerosi gli interventi della dottrina nella subiecta materia. Si richiamano, ex multis, dal più recente: A.Roma,
“Comm. trib. prov. Savona, n. 46 del 10 marzo 2011 - La prova dell’esterovestizione in assenza di presunzioni
legali”, in “il fisco” n. 20 del 16 maggio 2011; M. Thione, M. Bargagli, “Presunzione di esterovestizione e
reiterabilità del meccanismo presuntivo lungo la catena partecipativa”, in “il fisco” n. 18 del 2 maggio 2011; M.
Grazioli, M. Thione, L’esterovestizione societaria, caratteristiche distintive del fenomeno e riflessi penali-tributari,
in “il Fisco” n. 31 del 2010, pag. 1-4994; M. Thione, L’esterovestizione societaria: disciplina sostanziale e profili
operativi, in “il Fisco” n. 4 del 2010, pag. 1-542; M. Bargagli, Residenza fiscale delle società e presunzione di
esterovestizione, in “Azienda e Fisco” n. 11 del 2009, pag. 9 e ss.; I. Caraccioli-P. Valente, Residenza ed
esterovestizione: profili penal-tributari della riqualificazione, in “il fisco” n. 25/2008, fascicolo n. 1, pag. 4488; P.
Valente, Residenza ed esterovestizione. Profili probatori e schema multi-test, in “il fisco” n. 22/2008, fascicolo n.
1, pag. 3975; P. Valente, Residenza e società cosiddette “esterovestite”, in “il fisco” n. 18/2008, fascicolo n. 1,
pag. 3229; M. Pisani, Profili sanzionatori della presunzione di residenza delle holding, in “il fisco” n. 44/2007,
fascicolo n. 1, pag. 6391; G. Sozza, Spunti critici sull’esterovestizione delle società, in “il fisco” n. 41/2006,
fascicolo n. 1, pag. 6343; P. Bertolaso-E. Bressan, Le “esterovestizioni” alla prova della presunzione di
residenza. Alcune considerazioni con particolare riguardo alle holding “statiche”, in “il fisco” n. 36/2006,
fascicolo n. 1, pag. 5617. In altre Riviste: I. La Candia, Esterovestizione: le regole sulla presunzione di residenza
della società, in “Bollettino dell’internazionalizzazione”, novembre 2009, pag. 15 e seguenti; M. Antonini,
Un’ulteriore presunzione in tema di residenza fiscale di società ed enti: l’Amministrazione Finanziaria ancora una
volta sollevata (parzialmente) dall’onere probatorio, in “Riv. Dir. Trib.”, 2009, V, pagg. 49 e seguenti; M.
Greggi, Recenti sviluppi e questioni di compatibilità comunitaria delle disposizioni di contrasto al fenomeno della
cosiddetta “esterovestizione” societaria, in “Rassegna tributaria” n. 1/2009, pag. 105; A. Ballancin, Note in tema
di esterovestizione societaria tra i criteri costitutivi della nozione di residenza fiscale e l’interposizione elusiva di
persona, in “Riv. Dir. Trib.”, 2008, I, pagg. 975 e seguenti; E. M. Bagarotto, La residenza delle società nelle
imposte dirette alla luce della presunzione di “esterovestizione”, in “Riv. Dir. Trib.”, 2008, I, pagg. 1155 e
seguenti; E. Iascone, La residenza fiscale delle società: il caso delle holding di partecipazioni, in “Riv. Dir.
Trib.”, 2008, V, pagg. 173 e seguenti; D. Stevanato, La presunzione di residenza delle società esterovestite: prime
riflessioni critiche, in “Corriere Tributario”, n. 37/2006, pagg. 2952 e seguenti; R. Rizzardi-R. Lugano-E. M.
Simonelli, La residenza fiscale delle società tra esterovestizioni e nuove presunzioni attrattive, in “Rivista dei
Dott. Comm.”, 2006, pagg. 1107 e seguenti; G. Marino, R. Lupi, Quale valore sistematico per le nuove
disposizioni sulla residenza in Italia delle “holding estere”?, in “Dialoghi Dir. Trib.”, 2006, pagg. 1013 e
seguenti.
L’art. 5, comma 3, lett. d) del D.P.R. n. 917/1986 disciplina la residenza delle società di persone e le associazioni,
mentre l’art. 73 dello stesso decreto, precisa la nozione per le società di capitali e gli altri enti. Il contenuto dell’art.
5 è in linea con quello dell’art. 73.
avuto la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel
territorio dello Stato.
La normativa di riferimento ha, pertanto, previsto tre criteri (uno di carattere
formale; gli altri aventi carattere sostanziale), per collegare fiscalmente le persone
giuridiche al territorio nazionale:
-
la sede legale;
la sede dell’amministrazione;
l’oggetto principale.
I presupposti in esame sono fra loro alternativi11: è sufficiente che uno solo di essi
ricorra perché la società (o l’ente) sia considerato fiscalmente residente in Italia e,
conseguentemente, soggetto a tassazione per i redditi ovunque prodotti nel mondo.
Vengono di seguito analizzati i singoli requisiti fissati dal legislatore per individuare
la residenza ai fini fiscali del soggetto passivo.
2.1.1 La sede legale.
La sede legale è un requisito di carattere formale, di derivazione civilistica e
si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto.
In merito, l’art. 2328 c.c. prevede che l’atto costitutivo della società deve
indicare la sede della società e le eventuali sedi secondarie.
Inoltre, anche nelle comunicazioni effettuate presso gli Uffici finanziari e nel
Registro delle imprese deve essere necessariamente indicata la sede legale
della società.
2.1.2.L’oggetto sociale.
L’oggetto esclusivo o principale della società o dell’ente residente é
determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in
forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata.
In particolare, per oggetto principale si intende l’attività essenziale per
realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto
costitutivo o dallo statuto (art. 73, comma 4, del D.P.R. n. 917/ 1986).
In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme,
l’oggetto principale dell’ente residente é determinato in base all’attività
effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica
in ogni caso agli enti non residenti.
11
L’alternatività dei tre criteri è stata ribadita anche dalla giurisprudenza di legittimità. V. Cassazione, Sez. Trib., 26
febbraio 2007, n. 4303; Cassazione, Sez. Trib., 7 novembre 2001, n. 13803.
Il requisito dell’oggetto principale, va individuato oltre che nell’attività prevista
nell’atto costitutivo o nello statuto (requisito formale), nell’attività d’impresa
effettivamente esercitata dalla società o dall’ente giuridico oggetto
d’osservazione (requisito sostanziale).
L’oggetto principale dell’impresa é l’attività concreta esercitata per raggiungere
gli scopi sociali: se tale attività viene svolta in parte in Italia ed in parte
all’estero, l’Amministrazione finanziaria dovrà accertare la prevalenza
quantitativa dell’attività italiana rispetto a quella estera.
In sostanza si dovrà indagare su quale territorio l’impresa localizza il proprio
«core business», la principale attività commerciale, industriale etc..
Avuto riguardo alle holding, con riferimento al luogo in cui viene realizzato
l’oggetto sociale, rileva non tanto quello in cui si trovano i beni principali
posseduti dalla società , quanto la circostanza che occorra o meno una presenza
in loco per la gestione dell’attività dell’ente.
A tal proposito, nella circolare 31 ottobre 2007, n. 67, l’Assonime ha rilevato
che: «la distinzione assume particolare rilevanza per le holding di gestione
delle partecipazioni, per le quali non bisogna confondere, ai fini della
localizzazione, l’oggetto principale dell’attività d’impresa propria del soggetto
controllante con quello delle società partecipate, né tantomeno con la
collocazione dei beni da queste posseduti».
Conseguentemente, l’oggetto principale deve essere individuato nel luogo in cui
le attività di direzione e coordinamento e le altre attività ausiliarie di gestione
operativa vengono effettuate.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 04.08.2006 chiarisce che “in
sede internazionale, ed in particolare nelle osservazioni contenute nel
commentario all’articolo 4 del modello OCSE, l’amministrazione finanziaria si
è, da sempre, preoccupata di salvaguardare i principi di effettività, richiamati
nell’ordinamento domestico, ritenendo che la sede della direzione effettiva di
un Ente debba definirsi non soltanto come il luogo di svolgimento della sua
prevalente attività direttiva e amministrativa, ma anche come il luogo ove è
esercitata l’attività principale”.
Nelle “Holding statiche”, in assenza di una rilevante attività operativa, si deve
fare direttamente riferimento all’oggetto principale, id est alla partecipazione
posseduta, nel senso che la sede della partecipata illumina quella della Holding.
La sede dell’amministrazione nelle Holding è, per certi versi, un dato formale:
mancando il “mercato” si va a verificare da dove affluiscono i dividendi.
L’attività delle Holding statiche si esaurisce infatti nella detenzione delle
partecipazioni e nell’incasso della distribuzione dei relativi utili e nella
partecipazione alle relative assemblee12.
12
Cfr. Simone Covino La funzionalizzazione alla determinazione della ricchezza dei criteri di residenza fiscale in
Dialoghi Tributari 2/2010 – IPSOA Editore, pagina n. 228.
2.1.3. La sede dell’amministrazione.
Molto interessante appare il criterio di collegamento riconducibile alla sede
dell’amministrazione dell’impresa o dell’ente estero.
In merito, prescindendo dagli aspetti formali, occorre prendere in esame la
situazione sostanziale ed effettiva dell’impresa.
Infatti, talvolta il soggetto non residente localizza la sede legale all’estero, ma
in realtà gli impulsi decisionali, le strategie aziendali, la direzione ed il
coordinamento avvengono sul territorio dello Stato Italiano, ove é situato il
«quartier generale» dell’impresa estera.
In tali circostanze, la sede dell’amministrazione della società si identifica nella
«sede effettiva» che, di fatto, non sempre coincide con la sede legale
dell’impresa.
In particolare, la sede dell’amministrazione di una società può definirsi come il
luogo dove si “prendono decisioni” la cui rilevanza investe l’impresa nel suo
complesso, ovvero il luogo nel quale vengono definiti gli indirizzi strategici
dell’azienda e dal quale, di conseguenza, vengono diramate le relative direttive.
Coerentemente, la Corte di cassazione (cfr. sent. 16 giugno 1984, n. 3604), ha
affermato che per «sede effettiva» delle persone giuridiche è da intendere il
luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione
dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente
utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e
degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione
dell’attività dell’ente.
Ancora la Corte di cassazione (cfr. sent. 9 giugno 1988, n. 3910), ha precisato
che la sede effettiva non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della
persona giuridica, ma si identifica con il luogo dove si svolge la preminente
attività direttiva ed amministrativa dell’impresa (in senso conforme cfr.
sentenze della Cassazione n. 2515/1976 e n. 2472/1981).
Infine, ancora con riferimento al concetto di sede effettiva dell’impresa, la
suprema Corte (cfr. sent. 13 ottobre 1972, n. 3028), ha ribadito che la sede
effettiva di una persona giuridica non è semplicemente il luogo ove si trovano i
suoi beni, i suoi stabilimenti e dove si svolge l’attività produttiva, ma quello in
cui abbiano effettivo svolgimento anche l’attività amministrativa e direzionale,
ove cioè risieda il suo legale rappresentante, i suoi amministratori e dove sono
convocate le assemblee societarie.
Quindi, sotto il profilo fiscale, la sede dell’amministrazione (c.d. place of
effective management), coincide con il luogo dove gli amministratori si
riuniscono abitualmente per definire le strategie dell’impresa, da dove
realmente provengono gli impulsi direttivi, ovvero il luogo ove le decisioni
sono realmente assunte.
A titolo esemplificativo, per individuare la sede dell’amministrazione
dell’impresa estera e, pertanto, la residenza ai fini fiscali della società,
assumono rilevanza i seguenti elementi sintomatici:
- l’atto costitutivo e le regole sul funzionamento della società estera;
- dove si riuniscono gli amministratori e l’assemblea dei soci (verbali delle
assemblee dei soci, determinazioni dell’amministratore unico e delibere del
consiglio di amministrazione);
- dove si svolgono con regolarità le attività dell’impresa;
- dove risiedono gli amministratori e se sono in maggioranza italiani o stranieri;
- la disponibilità sul territorio nazionale di conti correnti, da cui la società trae le
provviste per svolgere le attività sociali;
- la disponibilità in Italia o all’estero di contratti ed utenze;
- dove viene svolta l’attività imprenditoriale della società in osservazione (stato
italiano o Stato estero);
- dove risulta localizzata l’organizzazione imprenditoriale (gli uomini, i mezzi e
le risorse finanziarie che permettono lo svolgimento dell’attività d’impresa);
- dove è situato il luogo di recapito delle lettere di convocazione del consiglio di
amministrazione e dell’assemblea dei soci;
- la corrispondenza via fax o e-mail dalla quale emergano elementi idonei a
dimostrare che la sede di direzione effettiva della società è localizzata sul
territorio nazionale.
Per individuare compiutamente il luogo di ubicazione della sede
dell’amministrazione di una società, è necessario compiere un’indagine
specifica e molto articolata, riguardante l’esercizio dei poteri gestionali del
soggetto economico, al fine di determinare quali siano i soggetti cui spetta la
determinazione delle scelte strategiche dell’impresa.
In merito il Commentario al modello di Convenzione Ocse prevede che, anche
nel caso in cui una società abbia più luoghi in cui esplica un’attività di gestione,
uno solo può essere quello in cui effettivamente e stabilmente esercita il
potere di direzione strategica.
La giurisprudenza di legittimità ha confermato la prevalenza di tale criterio
“sostanziale”, rispetto ad elementi formali.
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ritiene che ai fini
dell’individuazione della sede dell’amministrazione, debba prevalere la
situazione sostanziale ed effettiva, assumendo un ruolo secondario il profilo
formale13.
Inoltre, la Cassazione ha stabilito che costituisce sede effettiva di una persona
giuridica “il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e
13
Cassazione, 10 dicembre 1974, n. 4172.
di direzione”, ossia “il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per
l’accentramento (…) degli organi e degli uffici societari in vista del
compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente”14.
Ancora, la suprema corte ha precisato che la sede effettiva di una società “non
coincide con il luogo in cui si trova un recapito della medesima, oppure una
persona che genericamente ne cura gli interessi (…), ma si identifica con il
luogo dove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa
dell’impresa”15.
La Commissione tributaria centrale ha ritenuto che deve essere ravvisata
l’esistenza in Italia della sede amministrativa di un soggetto estero, qualora
l’attività dei rappresentanti della società sul territorio italiano si sostanzi, di
fatto, nello svolgimento dei compiti e nell’esercizio dei poteri tipici degli
amministratori e non di quelli propri dei semplici rappresentanti.
Il giudice tributario ha inoltre affermato che:“qualora una società abbia la
sede legale all’estero, ma abbia in Italia una sede amministrativa avente i
poteri di gestione indipendente con a capo una persona che, ai sensi del codice
civile, rivesta la qualifica di institore, deve prevalere il requisito della sede
amministrativa e quello del centro dell’attività sociale rispetto a quello della
sede legale”16.
Analogamente, la giurisprudenza comunitaria è intervenuta sull’argomento17,
definendo la sede dell’amministrazione come “il luogo in cui vengono adottate
le decisioni essenziali concernenti la direzione generale di tale società ed in
cui si sono svolte le funzione di amministrazione centrale di quest’ultima. Di
conseguenza un insediamento fittizio, come quello caratterizzato da una
società casella postale o schermo, non potrebbe essere definita sede di una
attività economica (…)”.
In relazione al consolidato orientamento giurisprudenziale, la “sede di
direzione effettiva” deve essere pertanto definita come il luogo di assunzione
delle decisioni chiave di natura gestionale e commerciale, mentre il luogo
dove è convocata l’assemblea dei soci, anche se può fornire alcuni elementi di
valutazione, riveste carattere di natura formale.
Infatti, i luoghi in cui si sono svolte le delibere assembleari della società
(consigli di amministrazione e assemblee) possono fornire alcuni elementi
indicativi, ma non sono da soli sufficienti a garantire sostanzialità e certezza al
criterio della sede di direzione effettiva della persona giuridica.
14
Cassazione, 16 giugno 1984, n. 3604.
Cassazione, 9 giugno 1988, n. 3910.
16
Commissione Tributaria Centrale, 10 ottobre 1996, n. 4992.
17
Sentenza Corte di Giustizia Europea, Proc. C-73/06 del 28 giugno 2007.
15
Recentemente, il giudice tributario di primo grado 18 , con particolare
riferimento agli elementi sostanziali che individuano la sede di direzione
effettiva, è giunto alla conclusione che, anche se formalmente residente in
Lussemburgo, la società estera aveva tenuto plurime condotte, che ne
attestavano l’effettivo legame, del tutto preponderante, se non esclusivo con
l’Italia, luogo dove venivano prese tutte le decisioni, conclusi tutti i contratti,
nonché svolte le attività della società.
In particolare, gli elementi che la società dichiarava essere indicativi della
residenza all’estero (in Lussemburgo), erano i seguenti:
- sede formale;
- luogo di verbalizzazione di assemblee;
- luogo di tenuta della contabilità;
- presenza in Lussemburgo di conti bancari e utenze intestate alla società.
Il giudice tributario ha ritenuto assolutamente prevalenti alcuni degli elementi
evidenziati dall’Ufficio nelle proprie difese, attestanti l’assunzione in Italia di
tutte le decisioni effettive sulla vita della società, e in particolare:
- scritture e accordi interni alla società in cui si attribuivano poteri di
gestione esclusivi a soggetti italiani (addirittura con obblighi di semplice
ratifica da parte del CdA);
- obbligo di firma congiunta con l’amministratore italiano per gli
amministratori non italiani della società, a fronte del potere di firma
singola/disgiunta in capo all’amministratore italiano;
- possesso di partecipazioni soprattutto in società italiane;
- stipula e registrazione sempre in Italia di tutti i negozi giuridici e gli atti di
trasferimento di quote in cui era parte la società (in assenza di prova di
contratti stipulati all’estero);
- sottoscrizione di tutti gli atti e contratti della società sempre da parte degli
amministratori italiani e mai da parte di quelli lussemburghesi;
- e-mail spedite dall’amministratore e da un socio ai propri referenti
lussemburghesi, da cui emergeva che in Lussemburgo gli organi formali
della società si limitavano a ratificare ciò che di volta in volta decidevano i
soggetti operanti in Italia.
Inoltre, la Commissione tributaria provinciale di Savona, confermando
l’accertamento dell’ufficio finanziario, ha affermato che: “La documentazione
richiamata, infatti, prova che gli atti di gestione della società e delle
controllate venivano adottati da soggetti italiani, che espressamente
affermavano che le stesse avrebbero dovuto essere ratificate dal Consiglio di
amministrazione, in capo al quale veniva esclusa, pertanto, la sussistenza di un
18
v. sentenza n. 46 del 10 marzo 2011, Commissione tributaria provinciale di Savona.
potere decisionale: ovviamente, in considerazione della complessa struttura
societaria e della pluralità di imprese controllate, è normale che, al fine di
rispettare il requisito formale della sede sociale, all’estero venisse data
esecuzione a decisioni adottate nel nostro Paese. Gli elementi indicati dalla
parte ricorrente non risultano decisivi a provare che la società fosse
effettivamente residente all’estero, assumendo gli stessi, anche in
considerazione della diligente opera di pianificazione fiscale di tale complessa
vicenda, un ruolo meramente esecutivo. L’Amministrazione ha pertanto fornito
indizi gravi precisi e concordanti circa l’effettiva operatività della società. Sul
territorio dello Stato, cui la società ricorrente non ha opposto una diversa
spiegazione”.
2.1.4. Direzione e coordinamento della Holding capogruppo.
Alcuni interessanti problematiche applicative emergono con riferimento alle
società appartenenti a gruppi societari.
Ciò in quanto all’interno dei gruppi il potere decisionale di ciascuna società è
sempre soggetto all’attività di “direzione e coordinamento” della capogruppo,
benché con gradi di intensità diversi.
La “casa madre”, infatti, stabilisce le linee strategiche, definisce l’assetto
organizzativo e decide sulle operazioni di maggior rilevanza per l’intero
gruppo, anche se le stesse sono successivamente poste in essere dalla società
partecipata.
In tale scenario appare evidente che la sede di direzione effettiva non può
coincidere con il luogo in cui vengono assunte le decisioni strategiche del
gruppo; ciò che rileva è, invece, il Paese in cui vengono assunte le decisioni
relative all’amministrazione propria dell’ente partecipato, ossia il luogo in
cui viene gestita e diretta quotidianamente la società “figlia”.
Conseguentemente, occorre attentamente valutare:
- se il caso oggetto di analisi concretizzi una situazione di fatto che radica in
Italia l’esecuzione di una concreta attività di amministrazione/gestione,
presso gli uffici della società holding capogruppo Italiana, della società
formalmente residente all’estero;
- ovvero, se l’attività svolta dalla casa madre sia riconducibile alla mera attività
di orientamento, direzione e coordinamento e, pertanto, la legal entity
estera risulta completamente “svuotata” di ogni autonomia.
In merito, nell’analizzare l’autonomia giuridica di una società, occorre rilevare
fatti e circostanze che comprovino l’assenza di autonomia giuridica,
contrattuale, finanziaria e funzionale della società estera rispetto al soggetto
italiano.
In particolare, tra i requisiti di carattere formale riconducibili all’autonomia
giuridica della società, rilevano ad esempio:
- l’atto costitutivo e le regole sul funzionamento della società estera;
- le delibere relative alle decisioni dei soci e degli organi di amministrazione
(verbali delle assemblee dei soci, verbali del consiglio di amministrazione);
- l’articolazione dei poteri degli amministratori e le deleghe interne;
- la regolarità delle attività relative alla vita sociale.
Sotto il profilo sostanziale, per valutare l’effettiva residenza di una persona
giuridica sul territorio nazionale si deve tenere anche conto dei seguenti
elementi:
- esistenza effettiva dell’attività imprenditoriale (industriale o commerciale)
svolta dalla società estera;
- esistenza effettiva di un’organizzazione di uomini e mezzi idonea allo
svolgimento della predetta attività d’impresa (es. personale dirigente, addetti
commerciali/amministrativi, CFO, Country Manager estero);
- valutazione delle ragioni economiche che hanno indotto il soggetto
controllante italiano, a svolgere attività d’impresa all’estero costituendo la
legal entity.
Ciò posto, si ritiene che l’attività di effettiva gestione manageriale vada
esclusa in favore di quella di direzione e coordinamento, qualora gli
impulsi direttivi impartiti consistano in meri atti di orientamento e direzione
di carattere generale dell’attività di un gruppo societario, non essendo
riconducibili, pertanto, in atti di concreta amministrazione della società
controllata estera.
Conseguentemente, ai fini dell’attività di effettiva gestione, assumeranno
rilievo le attività “ordinarie” caratterizzate da una certa continuità effettuate
dalla casa madre, quali, ad esempio, l’attività di organizzazione e di controllo
dei processi e dei fattori produttivi, la gestione del personale, le attività di
relazione con i terzi, la stipula di contratti inerenti alla gestione ordinaria, gli
incassi e i pagamenti19.
Inoltre, occorre valutare il grado di dipendenza delle filiale estera sotto il
profilo finanziario. Su tale aspetto, rileva la circostanza che il CFO di gruppo
disponga o meno dei poteri di firma e di controllo dei conti correnti delle
società partecipate estere, ovvero si limiti a svolgere solo attività di
19
In merito, alcuni importanti spunti di riflessione sono rinvenibili nella sentenza n. 61/25/07 del 03/12/2007 della
commissione tributaria regionale della Toscana, la quale tratta specificatamente la tematica in commento.
coordinamento finanziario della tesoreria svolta da tutte le società del
gruppo20.
Sul tema dell’esterovestizione societaria, si riporta un’altra sentenza della
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze21.
In particolare, il caso esaminato dai giudici fiorentini ha riguardato un gruppo
d'imprese strutturato con una holding italiana al vertice e una sub-holding
lussemburghese, che deteneva le partecipazioni nelle società operative italiane
ed estere.
L'esame della documentazione acquisita agli atti del controllo fiscale ha messo
in evidenza un’intensa e pressoché totale attività di gestione della società
estera in Italia22.
In conclusione, la Commissione tributaria, nel richiamare le norme italiane che
disciplinano la residenza fiscale, nonché l’articolo 4 del modello di
convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, ha evidenziato,
ancora una volta, come sia la sostanza dei fatti (ovvero il luogo in cui sono
prese le decisioni aziendali) a prevalere sul dato formale (la localizzazione
della sede legale).
2.2. Normativa convenzionale (art. 4 del Modello di convenzione OCSE).
Nel paragrafo precedente è stato evidenziato che la normativa nazionale relativa alla
residenza fiscale delle persone giuridiche prevede la compresenza di un criterio
formale (la sede legale) e di due criteri sostanziali (la sede dell’amministrazione e
l’oggetto principale).
I tre criteri operano autonomamente e, conseguentemente, al realizzarsi di uno dei
requisiti previsti dalla legge, il soggetto passivo sarà considerato residente in Italia.
Si pone adesso il problema di comprendere come gli elementi che individuano la
residenza fiscale possano coesistere tra di loro, in quanto la contestuale presenza di
20
21
22
Cfr. P. Valente, Esterovestizione e residenza, Determinanti e metodologie di supporto, profili probatori e linee di
difesa, 2010, IPSOA Editore, pag. 415.
sentenza n. 108/16/07 del 18 aprile 2007.
L'amministrazione dell'azienda estera veniva posta in essere principalmente dal presidente della società italiana,
che risultava anche essere l'azionista di riferimento della capogruppo. Gli amministratori esteri formalmente
nominati erano invece, in realtà, meri esecutori di volontà altrui, mentre il luogo in cui venivano prese le decisioni
strategiche era situato in Italia. Sotto il profilo probatorio, la Commissione Tributaria Provinciale, nella citata
sentenza, afferma che le conclusioni cui giunge l'ufficio si basano su indizi gravi, precisi e concordanti, non
ritenendo meritevoli di accoglimento le motivazioni addotte dal contribuente in sede di ricorso. In particolare, i
giudici di merito si sono soffermati su alcuni punti determinanti nella costruzione dell'impianto motivazionale
contenuto nel verbale, volti a dimostrare che tutte le direttive e gli impulsi volitivi riguardanti la gestione societaria
provenivano dall'Italia e che l'amministratore nominato all'estero, un consulente sammarinese, era un mero
esecutore di ordini in realtà impartiti dal presidente della società italiana.
più criteri sostanziali, riconosciuti dai diversi ordinamenti giuridici (quello dello
Stato italiano e quello dello Stato estero), potrebbe comportare la possibilità che un
soggetto venga considerato residente in più Stati, in quanto ad esempio ha la sede
dell’amministrazione in Italia, mentre esercita la propria attività, il proprio oggetto
sociale all’estero.
In ambito internazionale, al fine di dirimere ipotesi di conflitto di residenza, il
Modello Ocse di Convenzione sui redditi prevede specifiche disposizioni che
consentono di definire la residenza del soggetto passivo, ai sensi della Convenzione
internazionale. Infatti, gli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui
redditi hanno l'obiettivo di ripartire la pretesa tributaria tra i due Stati coinvolti,
individuando lo Stato della residenza del soggetto passivo ed in via residuale lo Stato
della fonte che, generalmente, si impegna a ridurre ovvero a rinunciare al proprio
potere impositivo.
Le convenzioni internazionali ispirate al Modello Ocse (articolo 4, paragrafo 3),
per individuare la residenza fiscale del soggetto passivo, fanno riferimento al c.d.
criterio della sede di direzione effettiva, rappresentata dal c.d. “place of effective
management”, la cui definizione è rinvenibile nel paragrafo 24 del commentario
O.C.S.E., modificato dal documento “The 2008 update to the OECD Model Tax
Convention” del 18 luglio 2008.
Ciò premesso, nel corso di un controllo fiscale, qualora l’Italia abbia stipulato una
convenzione bilaterale con lo Stato estero dove formalmente risiede la società estera,
l’amministrazione finanziaria dovrà tenere conto del criterio della sede di direzione
effettiva previsto dalla norma convenzionale. Conseguentemente, la convenzione
internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi risolverà il conflitto di
residenza dando prevalenza, tra i due criteri sostanziali (oggetto principale e sede
dell’amministrazione), al criterio del “place of effective management”.
Quanto sopra evidenziato, viene di seguito schematizzato:
Normativa nazionale
Art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986: “ai fini delle
imposte sui redditi si considerano residenti le società e
gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta
hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o
l'oggetto principale nel territorio dello Stato.
Tre criteri alternativi:
-
Sede legale
Sede dell’amministrazione;
Oggetto principale
Normativa convenzionale
Art. 4, paragrafo 3, del commentario OCSE: “Where
by reason of the provisions of paragraph 1 a person
other than an individual is a resident of both
Contracting States, then it shall be deemed to be a
resident only of the State in which its place of
effective management”.
Unico criterio: “place of effective management”,
sede di direzione effettiva.
La sede di direzione effettiva è il luogo in cui sono
prese in sostanza le decisioni importanti di
gestione (key management), amministrative e
commerciali
necessarie per il funzionamento
dell’impresa nel suo complesso.
2.3 Cenni storici ed origine del criterio del “place of effective management”.
Il criterio del “place of effective management”, trova origine in Inghilterra tra la fine
dell’ottocento e gli inizi del novecento e viene fatto risalire ad alcune sentenze della
House of Lords inglese, che individuarono nel Regno Unito la residenza di alcune
società svolgenti attività commerciale in Sud Africa, in India ed in Italia.
Il caso più noto è quello della società De Beers23, esercente l’attività di estrazione e
commercio di diamanti.
Nel 1906, la House of Lords, dovette affrontare il problema di stabilire dove fosse
residente una società:
-
registrata in Sud Africa;
che svolgeva l’attività di estrazione di diamanti in Sud Africa;
che teneva la contabilità in Sud Africa;
con ufficio principale (head office) in Sud Africa;
con assemblee generali dei soci in Sud Africa;
con i consigli di amministrazione che si riunivano sia in Sud Africa, sia nel Regno
Unito;
- avente la maggioranza degli amministratori residenti in Regno Unito (nove su
sedici).
Ebbene, la Corte inglese individuò la residenza fiscale della società nel Regno
Unito, dando maggior peso evidentemente al criterio del luogo da cui la società
riceveva gli impulsi decisionali più importanti, dove si trovava «la prevalente
mente gestionale» della società.
Anche in un’altra sentenza (Calcutta Jute Mills Company del 2 febbraio 1876),
relativa ad una società operante in India, i giudici hanno dato prevalenza al criterio
del luogo di gestione della società, ritenendo fiscalmente residente la società nel
Regno Unito, in quanto registrata in Inghilterra ed in quanto ivi gli amministratori
si riunivano, gestivano e controllavano le operazioni più importanti della società.
Infine, la sentenza Cesena Sulphur Company Limited, anch’essa del 2 febbraio
1876, ha riguardato la residenza fiscale di una società esercente la propria attività
in Italia.
In merito, la Corte inglese individuò la residenza fiscale della società Italiana nel
Regno Unito, anche se gli unici collegamenti con esso erano il luogo di
registrazione della società e il luogo in cui di solito si tenevano le riunioni degli
amministratori24.
23
24
De Beers Consolidated Mines, Limited v Howe.
Per approfondimenti in merito si rinvia a G. Moschetti, “Origine storica, significati e limiti di utilizzo del place of
effective management, quale criterio risolutivo dei casi di doppia residenza delle persone giuridiche”, in “Diritto e
pratica tributaria” n. 2/2010, pag. 245.
2.4.
Sede di direzione effettiva: le proposte di modifica al commentario all’articolo 4
del modello OCSE.
In data 21 aprile 2008, il Centre for Tax Policy and Administration dell’OCSE ha
pubblicato il documento, denominato Draft Contents of the 2008 Update to the
Model Tax Convention, che contiene le proposte di modifica alla versione 2005 del
Modello di Convenzione dell’OCSE e relativo Commentario.
In data 18 luglio 2008, è stato anche pubblicato il documento “The 2008 update to
the OECD Model Tax Convention” che ha recepito i contenuti del “Draft Contents”
e, conseguentemente, ha modificato la versione 2005 del modello di convenzione
OCSE.
2.4.1. La versione 2005 del commentario all’articolo 4.
Ai sensi dell’art. 4, paragrafo 3 del Modello OCSE, nei casi di “dual residence” di
una persona giuridica, questa è “considerata residente soltanto dello Stato in cui si
trova la sede della sua direzione effettiva”.
In relazione a quanto previsto dal paragrafo 24 del Commentario all’art. 4, la “sede
di direzione effettiva” è stata adottata quale criterio preferenziale per la
determinazione della residenza fiscale dei soggetti diversi dalle persone fisiche”
In base alla versione 2005 del commentario, la “sede di direzione effettiva” è il
luogo dove sono sostanzialmente adottate le decisioni principali sul piano della
gestione, nonché quelle necessarie per l’esercizio dell’attività dell’ente.
La “sede di direzione effettiva” è, di regola, il luogo in cui la persona o il gruppo di
persone che esercitano le funzioni di rango più elevato (a titolo esemplificativo, un
consiglio di amministrazione) adottano ufficialmente le decisioni, il luogo in cui
sono prese le deliberazioni dell’ente nel suo complesso.
Inoltre, dal momento che non risulta possibile stabilire una regola precisa in merito,
ai fini della determinazione della sede di direzione effettiva devono considerarsi tutti
i fatti e le circostanze del caso concreto.
2.4.2. Le modifiche al commentario.
Le modifiche al commentario all’articolo 4, prevedono l’eliminazione, dal
paragrafo 24 del seguente periodo: “… La sede di direzione effettiva sarà
ordinariamente il luogo in cui la persona o il gruppo di persone che esercitano le
funzioni di rango più elevato prende ufficialmente le sue decisioni, il luogo in cui
sono adottate le deliberazioni che devono essere assunte dall’ente nel suo insieme
…”.
Parallelamente è stata prevista l’introduzione del nuovo paragrafo 24.1 con la
finalità di indicare nuovi elementi sintomatici che consentono di individuare la “sede
di direzione effettiva” delle società.
Il nuovo paragrafo 24.1 del Commentario all’art. 4, precisa che alcuni Stati
considerano relativamente rari i casi di doppia residenza delle persone giuridiche;
pertanto, essi dovrebbero essere esaminati e risolti singolarmente (c.d. approccio
case–by-case). Inoltre, alcuni Stati ritengono che tale approccio case-by-case sia il
metodo più opportuno per far fronte alle difficoltà che potrebbero insorgere – nella
determinazione della sede dell’amministrazione effettiva delle persone giuridiche –
dall’uso delle nuove tecnologie. Tali Stati hanno, altresì, la facoltà di attribuire alle
autorità competenti il compito di risolvere la questione della residenza delle
persone giuridiche, mediante una previsione alternativa del seguente tenore: “3.
Laddove, ai sensi del paragrafo 1, una persona giuridica risieda in entrambi gli Stati
contraenti, le autorità competenti di tali Stati potranno determinare di comune
accordo in quale dei due Stati la persona giuridica dovrà ritenersi residente,
ponendo attenzione alla sede della direzione effettiva, al luogo di costituzione ovvero
ad ogni altro fattore rilevante. In assenza di accordo, la persona giuridica non ha
diritto ad alcuna esenzione fiscale, se non nei limiti concordati tra le autorità
competenti degli Stati contraenti”25.
A seguito delle modifiche, con l’introduzione del paragrafo 24.1. del commentario
all’art. 4 del modello di convenzione Ocse, per determinare la residenza le autorità
competenti dovranno tener conto, a titolo esemplificativo e non esaustivo, dei
seguenti fattori:
-
il luogo ove si svolgono le riunioni del consiglio di amministrazione;
il luogo in cui il CEO e gli altri senior executives usualmente svolgono le loro
funzioni;
il luogo del day-to-day management della persona giuridica;
il luogo in cui si trova l’headquarter della persona giuridica;
la legislazione applicabile alla persona giuridica;
il luogo in cui è tenuta la contabilità26.
In altre parole, le modifiche al Commentario OCSE introdotte nel 2008 hanno
eliminato dal paragrafo 24 il riferimento al place of effective management come al
luogo in cui i vertici della società assumono le loro decisioni, pur mantenendo un
riferimento generico al luogo in cui sono assunte le decisioni fondamentali per
l’attività dell’impresa, lasciando, pertanto, alle Amministrazioni Finanziarie degli
Stati contraenti la più ampia discrezionalità sul tema.
Secondo quanto previsto dal par. 24 del Commentario, nella sua versione prima delle
modifiche introdotte nel 2008, il criterio della sede di direzione effettiva era stato
adottato quale criterio preferenziale per la determinazione della residenza fiscale dei
soggetti diversi dalle persone fisiche.
25
V. P.Valente, “Modifiche agli artt. 1-5 del modello e al Commentario, in “il Fisco” n. 32/2008, pag. 5782 e ss. R.
Russo, The 2008 OECD Model: An Overview, European Taxation, 2008, p. 459; G. Melis, “La residenza fiscale
delle soceità nell’IRES: giurisprudenza e normativa convenzionale”, in Corr. Trib. n. 45/2008, p. 3653.
26
Per un maggiore approfondimento si cita: Piergiorgio Valente, “Modifiche agli arttt. 1-5 del modello e al
commentario” in “il Fisco” n. 32/2008 – pagina 5782.
Questa sarebbe consistita nel luogo in cui vengono adottate le principali decisioni
concernenti la vita dell’impresa sul piano della gestione, nonché le decisioni
necessarie per l’esercizio dell’attività dell’entità.
La sede di direzione effettiva sarebbe stata, in linea di principio, il luogo di adozione
ufficiale delle decisioni da parte della persona o del gruppo di persone che rivestono
all’interno della gerarchia interna della società funzioni di rango elevato, quali, ad
esempio, quelle svolte dal consiglio di amministrazione, non potendosi, comunque,
prescindere dalla considerazione di tutti i fattori e le circostanze rilevanti nel caso
concreto per l’attribuzione della residenza fiscale.
Tuttavia, anche dopo le modifiche, il precedente concetto di place of effective
management (sede di direzione effettiva), rimane il criterio fondamentale per
risolvere ogni eventuale controversia relative alla doppia residenza (dual
residence)27.
In merito l’Italia ha dichiarato, nel paragrafo 25 delle osservazioni all’articolo 4 del
modello Ocse 2008, che nel determinare la residenza fiscale di una società, oltre al
concetto di “sede della direzione effettiva”, dovrà essere attribuita rilevanza anche al
luogo nel quale viene svolta l’attività principale dell’impresa: “25. As regards
paragraphs 24 and 24.1, Italy holds the view that the place where the main and
substantial activity of the entity is carried on is also to be taken into account when
determining the place of effective management of a person other than an individual”.
2.5.
Dual residence: le procedure arbitrali previste in caso di conflitto tra Stati.
Le problematiche connesse con i casi di doppia residenza di una persona giuridica
(c.d. “dual residence”), derivano dal fatto che il soggetto passivo è considerato
residente in due Stati diversi ai sensi delle rispettive normative nazionali e le
disposizioni convenzionali contenute nell’articolo 4, paragrafo 3, del modello OCSE,
non sono sufficienti ad individuare il luogo ove è ubicata la “sede di direzione
effettiva” della società.
In tale contesto, le procedure arbitrali ed amichevoli previste dalle norme
convenzionali (c.d. MAP Mutual Agreement Procedure), costituiscono un valido
strumento per trovare una soluzione alle due maggiori problematiche riguardanti casi
di doppia imposizione in ambito internazionale (nelle ipotesi di Transfer Pricing e di
esterovestizione societaria).
L’obiettivo delle procedure amichevoli è proprio quello di eliminare i casi di doppia
imposizione.
Si pensi, ad esempio, ai casi di assoggettamento ad imposizione degli stessi redditi,
prodotti dalla medesima società, in due diversi Stati (nel caso dell’esterovestizione
societaria), ovvero ai casi di doppia imposizione che potrebbero derivare dalla
27
Cfr. V. Piacentini “la nozione di residenza nel diritto interno e convenzionale”, Manuale di fiscalità internazionale IV
edizione 2010 IPSOA Editore, pag. 285.
rideterminazione dei prezzi di trasferimento intercompany, (in applicazione della
normativa “transfer pricing”).
In merito, un primo modello utilizzato per risolvere problemi di doppia imposizione,
è previsto dalla Convenzione Italia-Unione Europea 90/436/CEE, ratificata
dall’Italia con la Legge n. 99/1993 (denominata “Convenzione arbitrale”), che
viene utilizzata unicamente per risolvere “l’eliminazione della doppia imposizione in
caso di rettifica degli utili delle imprese associate” (“id est” le problematiche
connesse con il “transfer pricing”).
L’articolo 25 del modello di convenzione OCSE ha invece una portata più ampia,
in quanto si applica anche a tutti i casi in cui un residente di uno Stato contraente
ritiene che le misure adottate da uno o ambedue gli Stati contraenti comportino per
lui un’imposizione non conforme alla Convenzione.
Conseguentemente, tale ultima disposizione riguarda, oltre alle problematiche
connesse con il transfer pricing, anche tutte le altre questioni attinenti la
localizzazione e la tassazione di un reddito nell’uno o nell’altro Stato contraente nei
casi, ad esempio, dell’esterovestizione societaria.
I casi di dual residence di una persona giuridica derivano dal fatto che:
- una società è considerata residente in due Stati diversi, ai sensi delle rispettive
legislazioni nazionali;
- l’applicazione della disposizione convenzionale contenuta nell’articolo 4,
paragrafo 3, del modello di convenzione Ocse non consente, da sola, di stabilire
la sede di direzione effettiva della società.
La speciale procedura amichevole prevista per risolvere i casi di doppia residenza del
soggetto passivo, deve essere avanzata ai sensi del paragrafo 1 dell’art. 25 del
modello di convenzione Ocse.
Tale richiesta deve avvenire entro tre anni dalla notifica dell’atto da cui scaturisce
la presunta doppia imposizione per la persona giuridica.
Infatti, nei casi di problemi applicativi delle norme convenzionali, il paragrafo 1
dell’art. 25 del modello di convenzione OCSE prevede che:“Quando una persona
ritiene che le misure adottate da uno o da entrambi gli Stati contraenti comportano
o comporteranno per essa un’imposizione non conforme alle disposizione della
presente Convenzione, essa può, indipendentemente dai ricorsi previsti dalla
legislazione nazionale di detti Stati, sottoporre il caso all’autorità competente dello
Stato contraente di cui è residente oppure, se il caso ricade nell’ambito di
applicazione del paragrafo 1 dell’articolo 24, a quello Stato contraente di cui
possiede la nazionalità. Il caso deve essere sottoposto entro tre anni dalla prima
notifica della misura che comporta la tassazione non conforme alle disposizioni
della Convenzione”.
Article 25 - MUTUAL AGREEMENT PROCEDURE
“1. Where a person considers that the actions of one or both of the Contracting
States result or will result for him in taxation not in accordance with the provisions
of this Convention, he may, irrespective of the remedies provided by the domestic
law of those States, present his case to the competent authority of the Contracting
State of which he is a resident or, if his case comes under paragraph 1 of Article 24,
to that of the Contracting State of which he is a national. The case must be presented
within three years from the first notification of the action resulting in taxation not in
accordance with the provisions of the Convention”.
L’art. 25 del Modello OCSE, istituisce una procedura amichevole per la risoluzione
delle controversie che insorgono dall’applicazione della Convenzione.
Ai paragrafi 1 e 2, viene previsto altresì che le autorità competenti debbano
impegnarsi per regolare, in via di amichevole composizione, la posizione dei
contribuenti soggetti ad imposizione non conforme alle disposizioni della
Convenzione.
Inoltre, il paragrafo 3 invita e autorizza le autorità competenti degli Stati contraenti a
risolvere, attraverso la procedura di composizione amichevole, le problematiche
relative all’interpretazione o applicazione delle disposizioni convenzionali e, ancora,
a consultarsi per eliminare la doppia imposizione nei casi non disciplinati dalle
stesse.
Con riguardo alle modalità pratiche di attuazione della procedura amichevole, il
paragrafo 4, dell’art. 25, autorizza le autorità competenti a comunicare direttamente
tra loro, non per via diplomatica e, quando opportuno, ad intraprendere uno scambio
orale di opinioni attraverso una commissione congiunta appositamente nominata.
2.6.
Le proposte di modifica all’articolo 25 del modello Ocse e relativo commentario.
Il Draft Contents of the 2008 del 21 aprile 2008, contiene proposte di modifica
all’articolo 25 del Modello di Convenzione dell’OCSE e relativo Commentario.
Il successivo documento “The 2008 update to the OECD Model Tax Convention”
del 18 luglio 2008, recepisce le modifiche del Draft Contents alla versione del 2005
del modello Ocse e il nuovo articolo 25 e relativo commentario.
In particolare, le novità prevedono l’integrazione mediante l’inserimento, all’articolo
25, del par. 5, che contempla la procedura arbitrale.
2.6.1 La procedura arbitrale.
Nel caso in cui le autorità competenti non siano in grado di raggiungere un accordo
ai sensi del par. 2 (la c.d. procedura di accordo reciproco), entro 2 anni dalla
sottoposizione del caso all’autorità competente, la questione potrà essere risolta
mediante ricorso alla procedura arbitrale.
La procedura arbitrale, che come detto riguarda questioni irrisolte sollevate nel corso
della procedura di accordo reciproco (ex. art. 25 del modello di convenzione Ocse),
non funziona in modo automatico, ma è sempre subordinata all’iniziativa del
contribuente.
L’istanza di arbitrato deve:
-
essere inoltrata ad una delle autorità competenti;
contenere tutte le informazioni e la documentazione di dettaglio necessarie a
descrivere compiutamente i fatti e definire i termini della questione da
risolvere.
Entro 10 giorni dalla ricezione dell’istanza presentata dal contribuente, l’autorità
competente ricevente ne invia una copia all’altra autorità competente.
Entro tre mesi dalla ricezione dell’istanza, le autorità competenti interessate devono
definire le questioni da risolvere da parte del collegio arbitrale (i c.d. “termini di
riferimento”).
Successivamente, i termini di riferimento dovranno essere comunicati al contribuente
che ha presentato l’istanza di arbitrato.
Entro tre mesi dal ricevimento dei termini di riferimento, da parte del contribuente
che ha inoltrato l’istanza, ciascuna autorità competente dovrà nominare un arbitro.
I due arbitri nominati con le modalità sopra indicate, dovranno nominare un terzo
arbitro che svolgerà le funzioni di Presidente del collegio.
La procedura arbitrale è applicabile esclusivamente per eliminare una tassazione
non conforme alle norme della Convenzione, ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo
25.
Il collegio arbitrale designato dovrà emettere una decisione vincolante per gli Stati
contraenti entro sei mesi, a meno che questi non risolvano la questione in modo
diverso in questo arco di tempo.
Il Commentario all’articolo 25 del Modello Ocse nell’aggiornamento 2008 chiarisce
che l’arbitrato rappresenta un’estensione della stessa MAP (Mutual Agreement
Procedure) per rafforzarne l’effetto e non una procedura alternativa per la
risoluzione delle controversie inerenti l’applicazione della Convenzione fiscale e che
ne è possibile l’attivazione esclusivamente nei casi in cui le autorità competenti non
riescano a concordare una soluzione conforme alle disposizioni della Convenzione.
Ciò significa che, se le autorità competenti raggiungono un accordo che ritengono
conforme alle disposizioni convenzionali, in entrambi gli Stati contraenti, la
procedura arbitrale non potrà essere avviata a prescindere da qualsiasi giudizio di
merito possa trarre il contribuente dall’accordo.
Si riporta, di seguito la versione ufficiale in lingua inglese del nuovo paragrafo 5
dell’articolo 25:
“5. Where,
a) under paragraph 1, a person has presented a case to the competent
authority of a Contracting State on the basis that the actions of one or both
of the Contracting States have resulted for that person in taxation not in
accordance with the provisions of this Convention, and
b) the competent authorities are unable to reach an agreement to resolve that
case pursuant to paragraph 2 within two years from the presentation of
the case to the competent authority of the other Contracting State, any
unresolved issues arising from the case shall be submitted to arbitration if
the person so requests. These unresolved issues shall not, however, be
submitted to arbitration if a decision on these issues has already been
rendered by a court or administrative tribunal of either State. Unless a
person directly affected by the case does not accept the mutual agreement
that implements the arbitration decision, that decision shall be binding on
both Contracting States and shall be implemented notwithstanding any
time limits in the domestic laws of these States. The competent authorities
of the Contracting States shall by mutual agreement settle the mode of
application of this paragraph28”.
Traduzione, non ufficiale, in Italiano:
“5. Laddove,
a) ai sensi del paragrafo 1, una persona abbia sottoposto un caso
all'autorità competente di uno Stato Contraente, sulla base del fatto
che le azioni di uno o di entrambi gli Stati Contraenti siano state poste
in essere, per quella persona, non in conformità con le disposizioni
della presente Convenzione e,
b) le autorità competenti non siano in grado di raggiungere un accordo
per risolvere il caso, ai sensi del paragrafo 2 entro due anni dalla
presentazione del caso all'autorità competente dell’altro Stato
contraente, ogni questione non risolta sarà sottoposta ad arbitrato se
la persona lo richiede. Tuttavia, tali questioni irrisolte non saranno
sottoposte ad arbitrato se una decisione sulle stesse è già stata
pronunciata da un organo giudiziario o amministrativo di uno dei due
Stati. A meno che una persona direttamente interessata dal caso non
accetti l’accordo reciproco che attua la decisione arbitrale, tale
decisione sarà vincolante per entrambi gli Stati Contraenti e sarà
applicata a prescindere dai limiti temporali previsti dalle legislazioni
nazionali di tali Stati. Le autorità competenti degli Stati contraenti
regoleranno di comune accordo le modalità di applicazione del
presente paragrafo”.
28
In some States, national law, policy or administrative considerations may not allow or justify the type of dispute
resolution envisaged under this paragraph. In addition, some States may only wish to include this paragraph in
treaties with certain States. For these reasons, the paragraph should only be included in the Convention where
each State concludes that it would be appropriate to do so based on the factors described in paragraph 47 of the
Commentary on the paragraph. As mentioned in paragraph 54 of that Commentary, however, other States may be
able to agree to remove from the paragraph the condition that issues may not be submitted to arbitration if a
decision on these issues has already been rendered by one of their courts or administrative tribunals”.
3. Applicazione della presunzione legale relativa in materia di esterovestizione29.
3.1.
Il meccanismo presuntivo introdotto dal D.L. 223/2006.
Nel presente capitolo sarà approfondito il tema della presunzione legale relativa in
materia di esterovestizione ai sensi dell’art. 73, comma 5-bis, del D.P.R. n. 917/1986,
con specifico riferimento alla possibile reiterazione del meccanismo presuntivo
lungo tutta la catena societaria, risalendo la sequenza dei rapporti di controllo tra le
varie sub-holding estere. In particolare, qualora l’Amministrazione finanziaria
applichi efficacemente il meccanismo presuntivo su una società estera, che
direttamente controlla una società italiana, la presunzione potrà essere applicata
anche per la società estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena
societaria. La reiterabilità della presunzione, tuttavia, non rappresenta un
automatismo applicativo, ma richiede il rispetto di precisi “step operativi”,
analiticamente delineati dalla prassi e dalla dottrina.
3.2.
Normativa di riferimento: elementi di sintesi.
Mentre il comma 3 dell’articolo 73 del D.P.R. n. 917/1986 prevede i criteri
sostanziali di collegamento delle società formalmente costituite all’estero, con il
territorio dello Stato Italiano, il comma 5-bis dello stesso articolo 73 è una norma che
riveste carattere esclusivamente procedurale.
Infatti, con l’obiettivo di contrastare “fenomeni patologici” riconducibili alla
residenza fiscale delle società, il legislatore ha introdotto una presunzione legale
relativa che prevede l’inversione, a carico del contribuente, dell’onere della prova,
dotando l’ordinamento tributario di uno strumento che solleva l’Amministrazione
finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede dell’amministrazione di società
o enti che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato.
In merito, l’articolo 73, comma 5-bis, del D.P.R. 917/1986 stabilisce che, salvo
prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede
dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo
(cosiddetto “controllo attivo” diretto)30, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma,
del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in
alternativa:
ƒ sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma,
del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato (“cosiddetto
controllo passivo”);
ƒ sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente
di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello
Stato.
29
Il presente capitolo è tratto dall’articolo redatto da M. Thione e M. Bargagli: “Presunzione di esterovestizione e
reiterabilità del meccanismo presuntivo lungo la catena partecipativa” in “il Fisco” n. 18/2011, pag. 2841.
30
La disposizione contenuta nel comma 5-bis dell’articolo 73 del TUIR, si riferisce al solo controllo attivo diretto
operato dalla legal entity estera nei confronti di un soggetto residente in Italia. Il comma 5-ter dell’articolo 73 del
TUIR, ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, precisa che si deve tener conto
della situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato.
Le fattispecie presuntive previste dalla disposizione normativa operano
alternativamente e rappresentano casi in cui, a giudizio del nostro Legislatore, appare
particolarmente evidente l’esistenza di un attendibile, nonché stabile, collegamento
territoriale della società estera con il nostro Paese.
I requisiti per l’applicabilità della presunzione legale relativa di esterovestizione
sono sintetizzabili negli schemi che seguono.
Schema n. 1: prima fattispecie presuntiva (presenza di contestuale controllo attivo e controllo passivo).
LEGAL ENTITY ESTERA
Controllo ex art. 2359, co.
1, c.c.
(controllo passivo)
Controllo ex art. 2359, co.
1, c.c.
(controllo attivo)
SOGGETTI
RESIDENTI IN ITALIA
SOGGETTI
RESIDENTI IN ITALIA
Soggetti di cui alle lettere a) e
b) del comma 1 dell’articolo
73 del D.P.R. n. 917/1986 (es.
le società, le cooperative, le
società di mutua assicurazione,
gli enti pubblici e privati
diversi dalle società, i trust)
(es. società, enti, ma anche
persone fisiche)
Schema n. 2: seconda fattispecie presuntiva (controllo attivo e maggioranza dei consiglieri residenti).
LEGAL ENTITY ESTERA
Controllo ai sensi art.
2359, co. 1, c.c.
(controllo attivo)
SOGGETTI
RESIDENTI IN ITALIA
Soggetti di cui alle lettere a) e
b) del comma 1 dell’articolo 73
del D.P.R. n. 917/1986 (es. le
società, le cooperative, le
società di mutua assicurazione,
gli enti pubblici e privati
diversi dalle società, i trust)
Il CDA della società estera, risulta
composto in prevalenza da consiglieri
residenti nel territorio dello Stato
italiano.
Stando al tenore letterale della norma,
la presunzione opera anche qualora i
consiglieri di amministrazione, nati
all’estero, risultino residenti nel
territorio dello Stato italiano. Di contro,
qualora il consigliere Mario Rossi, nato
in Italia, abbia successivamente
trasferito
la
propria
residenza
all’estero, la presunzione non trova
applicazione
È stata, così, introdotta, al ricorrere di determinati presupposti, una presunzione
legale relativa la quale, salvo prova contraria, riconduce in Italia la sede
dell’amministrazione dell’impresa estera.
Il legislatore ha, dunque, invertito l’onere di provare la residenza effettiva della
società estera prescindendo, ovviamente, da dove sia ubicata la sede legale.
La finalità delle presunzioni, che sono applicabili a decorrere dal periodo di imposta
2006, è quella da un lato di lato facilitare il compito dei verificatori
nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della sede
dell’amministrazione effettiva, dall’altro lato di valorizzare gli aspetti certi, concreti
e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali31.
Ne consegue che, nel caso di riqualificata residenza fiscale in Italia del soggetto
“esterovestito”, la legal entity estera (rectius: solo formalmente estera, ma
riqualificata come fiscalmente residente in Italia quale conseguenza
dell’applicazione del meccanismo presuntivo) dovrà dichiarare in Italia i redditi
ovunque prodotti, in virtù del world wide principle.
La presunzione relativa in commento, ha acquisito efficacia a decorrere dal periodo
d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto (4 luglio 2006), ovvero,
per la generalità dei soggetti con anno “solare”, dal 1 gennaio 2006.
Ove compatibili, le disposizioni in materia di esterovestizione delle società previste
dall’articolo 73 del D.P.R. 917/1986, commi 5-bis e 5-ter, sono applicabili ai trust
ed in particolare a quelli istituiti o comunque residenti in Paesi compresi nella white
list, per i quali non trova applicazione la specifica presunzione di residenza di cui
all’articolo 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986, nella versione emendata dalla
Finanziaria 200732.
3.3.
Come opera la reiterabilità del meccanismo presuntivo.
La disposizione contenuta nel comma 5-bis dell’articolo 73 del TUIR si applica al
solo controllo attivo diretto operato dalla legal entity estera nei confronti di un
soggetto residente in Italia. In tale ottica, il meccanismo presuntivo può scattare
esclusivamente nei confronti delle società estere:
- che controllano direttamente soggetti residenti in Italia (controllo attivo
diretto);
- che sono controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia ovvero,
in subordine, sono amministrate prevalentemente da soggetti residenti in Italia
(controllo passivo, anche indiretto).
31
L’Amministrazione Finanziaria ha evidenziato tali propositi nella C.M. n. 28/06, nella C.M. n. 11/07 e nella R.M. n.
312/07.
32
In senso conforme la C.M. 48/E del 6 agosto 2007, Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso.
Se è vero che, per espressa disposizione normativa, il controllo attivo può essere solo
diretto, opportunamente la C.M. 28/E del 4 agosto 2006, paragrafo 8.1, ha
evidenziato che la norma potrebbe divenire applicabile anche nelle ipotesi in cui tra i
soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub-holding estere.
Più precisamente, qualora l’Amministrazione finanziaria applichi efficacemente il
meccanismo presuntivo su una società estera che direttamente controlla una società
italiana, la presunzione potrà essere applicata anche per la società estera inserita
nell’anello immediatamente superiore della catena societaria; quest’ultima si troverà,
infatti, a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata
dall’Amministrazione finanziaria residente in Italia.
In sintesi, ciò significa che la presunzione legale relativa può operare “verso l’alto”:
il Fisco, dopo aver efficacemente applicato il meccanismo presuntivo nei confronti
dell’ultimo anello della catena societaria (ossia la società estera che detiene
direttamente partecipazioni di controllo in soggetti italiani ed è a sua volta controllata,
anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato) potrà “risalire”
verificando l’applicazione della presunzione anche nei confronti della sub-holding
controllante il soggetto “esterovestito”.
In merito anche l’Assonime, con la circolare 67 del 31 ottobre 2007, ha
espressamente precisato che tale “interpretazione muove dall’assunto che, una volta
riqualificata in via presuntiva la residenza della sub-holding estera che direttamente
controlla la società residente (…), lo stesso meccanismo presuntivo possa essere
attivato anche nei confronti della holding estera inserita nell’anello immediatamente
superiore della catena societaria, visto che questa si ritroverà, per effetto della
presunzione, a controllare direttamente la sub-holding divenuta, in virtù della
presunzione, residente in Italia. In pratica, il meccanismo presuntivo sarebbe
reiterabile verso l’alto, risalendo la sequenza dei rapporti di controllo tra subholding estere”.
Per fornire un esempio pratico, supponiamo che due società italiane (ITA 1 e ITA2)
detengano il controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, c.c., di una holding
residente in Olanda (FCo 1), la quale possiede il controllo di un’altra holding
Olandese (FCo2) che, a sua volta, controlla una società che opera nel settore
industriale, residente in Spagna (FCo3).
La società spagnola detiene il controllo, ex articolo 2359, primo comma c.c., di una
società residente in Italia (ITA3). Qualora FCo3 non fornisca la prova contraria e
fosse, pertanto, riqualificata come “esterovestita”, la presunzione legale relativa
opererà non solo nei confronti della menzionata società estera (FCo3), la quale
detiene direttamente partecipazioni di controllo in soggetti italiani ed è a sua volta
controllata da soggetti residenti nel territorio dello Stato, ma anche nei confronti
della sub-holding estera “superiore”, attraverso un meccanismo reiterabile verso
l’alto.
Quanto sinora esposto, è graficamente sintetizzabile nello schema n. 3.
Schema n. 3: “reiterabilità” della presunzione nel caso di contestuale presenza di controllo attivo e passivo.
ITA 1
ITA 2
40%
60%
25%
100%
L’inversione dell’onere della prova può
operare per tutte le società estere (FCo
1, 2 e 3) alle seguenti condizioni:
ƒ
ƒ
qualora la società spagnola (FCo 3)
fornisca la prova contraria, la
presunzione per FCo 1 e FCo2 non
opera, in quanto le stesse non
controllano
direttamente
una
società residente in Italia;
qualora la società spagnola (FCo 3)
non fornisca la prova contraria,
la stessa società diviene fiscalmente
residente in Italia, con la
conseguenza che la prova contraria
dovrà essere fornita da FCo2 (in
quanto controlla direttamente una
società che, in via presuntiva, è
considerata residente sul territorio
dello Stato italiano).
Foreign Co. 1
(Olanda)
100%
Foreign Co. 2
(Olanda)
100%
Foreign Co. 3
(Spagna)
ITA 3
75%
Considerazioni analoghe sul tema “reiterabilità” possono essere formulate nel caso
della seconda fattispecie presuntiva, la quale si fonda sulla contestuale presenza del
controllo attivo e della maggioranza dei consiglieri residenti.
Si ipotizzi che due società Italiane (ITA 1 e ITA2), detengano il 30% di una società
Olandese (FCo1), che detiene il 100% di un’altra società Olandese (FCo2) la quale, a
sua volta, detiene il controllo di una società Italiana (ITA3). Nonostante le due
società Italiane (ITA1 e ITA2) non abbiano il controllo ex art. 2359, primo comma,
c.c. di FCo1 (mancherebbe, quindi, il requisito del controllo passivo), il consiglio di
amministrazione delle due società residenti in Olanda (FCo 1 e FCo2), risulta
composto da 5 consiglieri di cui tre residenti in Italia e due residenti in Olanda.
Conseguentemente, sia realizza l’altro requisito alternativo al controllo passivo, in
quanto la maggioranza dei consiglieri societari è residente in Italia. Anche in questo
caso, la presunzione legale relativa opera, in prima battuta, nei confronti della società
estera (FCo2) che detiene direttamente partecipazioni di controllo in soggetti
italiani; tuttavia, qualora questa non fornisca la prova contraria, la presunzione può
trovare applicazione, attraverso il meccanismo della “reiterabilità”, anche nei
confronti di FCo1.
Quanto sinora esposto, è graficamente sintetizzabile nello schema n. 4.
Schema n. 4: “reiterabilità” della presunzione nel caso di controllo attivo e consiglieri residenti
ITA 1
ITA 2
20%
10%
30%
L’inversione dell’onere della prova può
operare anche per la società estera FCo
1, alle seguenti condizioni:
ƒ
ƒ
qualora FCo 2 fornisca la prova
contraria, la presunzione per FCo
1 non opera, in quanto la stessa
non controlla direttamente una
società residente in Italia;
qualora FCo 2 non fornisca la
prova contraria, la stessa società
diviene fiscalmente residente in
Italia, con la conseguenza che la
prova contraria dovrà essere fornita
da FCo1 (in quanto controlla
direttamente una società che, in via
presuntiva, è stata considerata
residente sul territorio dello Stato
italiano).
Foreign Co. 1
(maggioranza consiglieri
residenti in Italia)
100%
Foreign Co. 2
(maggioranza consiglieri
residenti in Italia)
100%
ITA 3
3.4.
Profili procedurali del meccanismo presuntivo.
La “reiterabilità del meccanismo presuntivo”, come visto, non rappresenta un
automatismo applicativo, ma fa parte di un più ampio percorso “a tappe”;
l’applicazione delle presunzione, richiede il rispetto di precisi step, analiticamente
delineati dalla prassi e dalla dottrina33. Il controllo in materia di art. 73, comma 5-bis,
del D.P.R. n. 917/1986, deve, dunque, essere articolato sulla base delle seguenti
principali direttrici:
3.5.
-
acquisizione di idoneo patrimonio informativo al fine di stabilire la sussistenza
dei presupposti applicativi della presunzione (verifica del controllo attivo diretto
da parte della legal entity estera sui soggetti residenti in Italia; verifica del
controllo passivo della società estera da parte di soggetti residenti nel territorio
dello Stato ovvero, alternativamente, della composizione del consiglio di
amministrazione della stessa, al fine di individuare la prevalenza di consiglieri
residenti in Italia);
-
effettuazione del cosiddetto “multi-test”, al fine di accertare l’operatività del
meccanismo presuntivo e l’idoneità della prova contraria fornita dal contribuente;
-
verifica dell’eventuale reiterabilità verso l’alto della presunzione.
Acquisizione del patrimonio informativo.
La verifica dei presupposti di applicabilità della presunzione richiede da parte
dell’Amministrazione, un’approfondita fase investigativa finalizzata a raccogliere
elementi informativi sul gruppo.
L’organo ispettivo deve porre in essere un’idonea attività info-investigativa 34
nell’ambito della fase preparatoria all’avvio della verifica fiscale.
In tale contesto, i funzionari dell’Amministrazione finanziaria dovrebbero effettuare
una preliminare attività finalizzata alla raccolta di dati ed informazioni relative al
soggetto economico da sottoporre a controllo, soprattutto se lo stesso possiede
partecipazioni in imprese estere controllate ovvero se, a sua volta, è controllato da
una società estera.
33
Analoghe considerazioni in materia di “step” procedurali possono essere rinvenuti nella C.M. 28/E del 4 agosto 2006
e nelle autorevoli riflessioni di P. Valente, Modalità di esecuzione dell’attività ispettiva in ipotesi di esterovestizione, in
“il fisco” n. 27 del 5 luglio 2010, pag. 1-4300.
34
Sull’importanza dell’attività info-investigativa preliminare, si veda anche P. Valente, Esterovestizione e residenza,
Determinanti e metodologie di supporto, profili probatori e linee di difesa, 2010, IPSOA Editore, pagg. 370 e ss.. Il
richiamato autore espressamente evidenzia sul punto: “In concreto, sin dalla preliminare attività info-investigativa
posta in essere dai verificatori nella fase preparatoria della verifica fiscale, è possibile individuare comportamenti
contrastanti con l’ordinamento tributario e finalizzati all’elusione o all’evasione fiscale mediante il trasferimento
strumentale o fittizio della residenza fiscale”.
Si rendono, pertanto, opportuni molteplici riscontri finalizzati ad acquisire il
necessario patrimonio informativo relativo all’impresa da verificare.
A titolo meramente esemplificativo, i dati e le notizie relativi al gruppo potrebbero
essere acquisiti:
- dalla consultazione delle c.d. “fonti aperte” (internet, comunicati stampa,
documenti informativi redatti ai sensi del vigente regolamento Consob, giornali
e riviste economiche);
- dall’approfondito esame del bilancio di esercizio, con i relativi allegati (nota
integrativa, relazione sulla gestione, relazione della società di revisione), redatto
dal soggetto economico oggetto di indagine.
Esercitando gli strumenti legislativi previsti dall’ordinamento tributario, nella fase di
avvio della verifica fiscale, l’Amministrazione finanziaria può esercitare poteri di
indagine e verifica presso la sede del contribuente. In merito, ai sensi e per gli effetti
degli artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973, 51, 52 e 63 del D.P.R. n. 633/72, 35 della
Legge n. 4/1929, i funzionari del Fisco possono, nel corso dell’accesso, procedere
all’acquisizione delle scritture contabili e degli altri documenti fiscali la cui
istituzione è obbligatoria per legge; dei documenti extracontabili relativi al soggetto
verificato (es. organigramma del gruppo, conti correnti, contrattualistica, fax,
corrispondenza varia, e-mail, files su supporto informatico quali CD, DVD, hard
disk, memorie esterne, documenti relativi alla convocazione delle assemblee etc.).
La fase di acquisizione documentale, effettuata in sede di ricerca, riveste
fondamentale importanza in quanto, spesso, proprio dai documenti extracontabili
possono essere rinvenuti elementi info-investigativi indispensabili per individuare la
sede dell’amministrazione delle imprese estere controllate e/o collegate con il
soggetto sottoposto a verifica fiscale. In relazione alla presunzione di cui all’articolo
73, comma 5-bis, del D.P.R. 917/1986, un importante elemento, indispensabile per
arricchire il patrimonio informativo del soggetto estero, è costituito dai bilanci delle
imprese estere controllate appartenenti al gruppo. Solo in tal modo, i verificatori
potranno sfruttare l’importante funzione informativa del bilancio d’esercizio, così
ricostruendo la catena societaria e individuando le imprese estere:
- che controllano direttamente soggetti residenti in Italia (controllo attivo);
- che sono controllate, anche indirettamente da soggetti residenti in Italia
(controllo passivo) ovvero, in subordine, che risultano amministrate
prevalentemente da soggetti residenti in Italia (presupposto alternativo al
controllo passivo).
3.6.
Effettuazione del Multi-test per vincere la presunzione legale relativa ed
individuazione dell’interlocutore da parte dell’organo ispettivo.
Una volta realizzati i presupposti giuridici per l’applicazione della presunzione legale
e relativa, si rende necessario instaurare un articolato contraddittorio tra i funzionari
dell’Amministrazione finanziaria ed il contribuente, il quale è tenuto a fornire
adeguata prova contraria, dimostrando che la sede dell’amministrazione della legal
entity estera non è situata in Italia. In ordine alla consistenza della prova contraria, il
contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e
convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non sia in Italia, bensì
all’estero.
Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di
applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a
dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero35.
In merito, al fine di ottenere da parte del contribuente la necessaria prova contraria,
sarà applicato il c.d. schema multi-test 36, ovvero uno strumento che permette di
delineare, sotto il profilo sostanziale, la struttura, l’organizzazione, il tipo di attività
svolta dal soggetto non residente, nonché le reali motivazioni
economiche/imprenditoriali che hanno indotto la casa madre italiana a costituire una
società in un determinato Paese estero.
Il predetto multi-test, è articolato sulla base dei seguenti elementi sostanziali:
-
esistenza/inesistenza all’estero di una concreta ed effettiva attività
imprenditoriale (industriale, commerciale, di servizi) svolta dalla società estera
partecipata dal soggetto italiano nello Stato o territorio estero (c.d. business
activity test);
-
esistenza/inesistenza di un’effettiva organizzazione di uomini e mezzi idonea
allo svolgimento della predetta attività d’impresa (c.d. organization test);
-
esame delle ragioni economiche che hanno spinto il soggetto controllante
italiano a svolgere attività d’impresa all’estero costituendo specifiche società
(c.d. motive test).
A questo punto si pone il problema di individuare il soggetto con il quale
l’amministrazione finanziaria deve effettuare il contraddittorio finalizzato ad ottenere
la prova contraria necessaria a vincere la presunzione.
In merito, si potrebbe ipotizzare che l’interlocutore del fisco in grado di fornire
idonei elementi informativi relativi alla società estera, possa essere individuato nella
società italiana che controlla la società non residente (in genere la holding
capogruppo).
35
Cfr. paragrafo 8.3, C.M. 26/E/2006.
Il multi-test è uno strumento probatorio, elaborato dalla dottrina, con particolare riferimento agli elementi da fornire
al fisco, necessari per vincere la presunzione legale relativa. Per un maggiore approfondimento si veda P. Valente,
Esterovestizione e residenza, Determinanti e metodologie di supporto, profili probatori e linee di difesa, op. cit., pagg.
413 e ss.
36
A tal fine, gli organi ispettivi potranno porre in essere opportuni controlli di coerenza
esterna nei confronti della capogruppo residente, qualora l’attività ispettiva in corso
sia nei confronti di una società residente controllata. Tuttavia, la holding capogruppo
residente potrebbe anche non disporre di tutte le notizie relative all’operatività, alla
struttura, alle peculiarità della società estera.
Appare, pertanto, ipotizzabile rivolgersi direttamente ai legali rappresentanti della
società estera37, nei confronti della quale si realizza l’ipotesi presuntiva ex art. 73,
comma 5-bis, del D.P.R. n. 917/1986, considerato che sarà necessario avviare uno
specifico contraddittorio con il soggetto non residente.
La notifica, in tal caso, dovrà essere eseguita all’estero, presso la sede legale
formalmente dichiarata della società non residente, utilizzando la particolare
procedura convenzionale o consolare prevista dall’art. 142 del c.p.c. 38. In subordine,
saranno attivate le modalità di notifica previste dall’articolo 60-bis del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 (assistenza per le richieste di notifica tra le autorità
competenti degli Stati membri dell’Unione europea).
Ciò posto, il contribuente per vincere la presunzione legale relativa dovrà dimostrare,
con argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società
non è localizzata in Italia, bensì all’estero.
Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante presupposti giuridici di
applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a
dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.
A titolo esemplificativo, la società estera dovrà:
37
-
fornire compiuti elementi descrittivi dell’attività esercitata dall’impresa
estera, quali il numero dei dipendenti (dirigenti, impiegati, operai),
disponibilità di strutture materiali (impianti, macchinari, attrezzature impiegate
nell’attività d’impresa), regolare istituzione e conservazione della
documentazione contabile, dati di bilancio, ecc..;
-
dimostrare la presenza all’estero di un country manager, nonché di un CFO
(chief financial officer), che godano di un certo grado di autonomia
contrattuale, organizzativa e finanziaria nella gestione dell’impresa controllata
estera;
-
evidenziare le apprezzabili ragioni economiche che hanno indotto il gruppo
imprenditoriale italiano ad investire all’estero (motivazioni che non siano
esclusivamente di natura fiscale).
In tale direzione anche la circolare dell’Assonime del 31/10/2007 n. 67, par. 9.4. Nel trattare la presunzione legale
relativa di esterovestizione ex art. 73, comma 5-bis, Tuir, il citato documento avanza perplessità circa l’applicabilità
della disciplina delle notifiche per i soggetti residenti, considerato che il soggetto estero, al momento della notifica
dell’accertamento, è tale solo per presunzione.
38
Per un maggiore approfondimento si veda A. Righini, “Notifiche degli atti tributari all’estero senza ambiguita”, in
“Fiscalità internazionale” n. 4/2010, pagg. 299 e ss.
Infine, al fine di individuare la sede dell’amministrazione dell’impresa estera e,
pertanto, la residenza ai fini fiscali della società, oltre che gli elementi desunti
dall’effettuazione del multi-test, potranno anche essere presi in considerazione i
seguenti elementi:
- l’atto costitutivo e le regole sul funzionamento della società estera;
- dove si riuniscono gli amministratori e l’assemblea dei soci (luogo di redazione
dei verbali delle assemblee dei soci, delle determinazioni dell’amministratore
unico e delle delibere del consiglio di amministrazione);
- dove si svolgono con regolarità le principali attività dell’impresa;
- la disponibilità sul territorio nazionale di conti correnti, da cui la società trae le
risorse finanziarie per svolgere le attività sociali;
- la disponibilità in Italia o all’estero di contratti ed utenze riconducibili alla
società non residente;
- dove viene svolta l’attività imprenditoriale/oggetto sociale della società in
osservazione (stato Italiano o Stato estero);
- dove è situato il luogo di recapito delle lettere di convocazione del consiglio di
amministrazione e dell’assemblea dei soci;
- la corrispondenza via fax o email dalla quale emergano elementi idonei a
dimostrare che la sede di direzione effettiva della società è localizzata sul
territorio nazionale.
3.7.
Prova contraria e reiterabilità lungo tutta la catena societaria.
In relazione alla natura della prova contraria, l’Agenzia delle Entrate nella citata
circolare 28/E/2006, ha affermato che gli elementi alternativi di collegamento con il
territorio dello Stato italiano “devono essere valutati in base ad elementi di
effettività sostanziale e richiedono – talora – complessi accertamenti di fatto del
reale rapporto della società o dell’ente con un determinato territorio”.
In ordine alla consistenza della prova contraria si ribadisce che il contribuente, per
vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e convincenti,
che la sede di direzione effettiva della società non sia in Italia, bensì all’estero.
In merito, Assonime39 ha anche rilevato che “la presunzione deve essere applicata
nel rispetto dei principi comunitari di proporzionalità e di libertà di stabilimento,
consentendo al contribuente di fornire la prova contraria anche attraverso la solo
dimostrazione dello svolgimento all’estero di una effettiva attività economica, ovvero
facendo valere la scarsa significatività dei presupporti della presunzione in
relazione alla specifica situazione operativa”.
Solo dopo che il multi-test sia stato in grado di comprovare la fittizietà della
residenza e, dunque, l’inadeguatezza della prova contraria fornita dal contribuente,
sarà possibile far scattare la reiterabilità.
39
Circolare 67 del 31 ottobre 2007.
La riqualificazione dell’ultimo soggetto della catena come soggetto esterovestito,
infatti, comporta che la sub-holding “superiore” si trovi a controllare direttamente un
soggetto residente, con conseguente possibile applicazione dell’art. 73, comma 5-bis.
L’Amministrazione finanziaria, a questo punto, potrà procedere all’effettuazione di
un nuovo multi - test nei confronti del soggetto estero che controlla il soggetto
divenuto “estero vestito” per effetto dell’applicazione della presunzione legale
relativa.
Gli step operativi sopra illustrati possono essere riepilogati nello schema n. 5.
Schema n. 5: “reiterabilità” della presunzione e step operativi
Acquisizione patrimonio
informativo sul gruppo
e verifica presenza
requisiti di applicabilità
della presunzione legale
relativa
Contraddittorio Fiscocontribuente: multi-test
Necessità di un
nuovo multi-test nei
confronti della subholding
multi-test positivo:
la società non residente è
riqualificabile come società
esterovestita e, pertanto, scatta
la reiterabilità del meccanismo
nei confronti della sub-holding
controllante il soggetto
“esterovestito”.
Esame dati informativi acquisibili da eterogenee
fonti: documentazione extracontabile, e-mail,
supporti informatici, fonti aperte, ecc.
-
business activity test;
organization test;
motive test.
multi-test negativo:
la società non residente
non è riqualificabile come
società esterovestita e,
pertanto, non scatta la
reiterabilità
Come rilevato da autorevole dottrina40, l’inversione dell’onere della prova comporterà per i soggetti
interessati un particolare atteggiamento processuale in sede di contenzioso tributario. Infatti, nella
fase di accertamento, l’Agenzia delle Entrate si avvarrà presumibilmente della sola presunzione
semplice, senza corroborarla con altri mezzi di prova. In tal caso, l’Agenzia dovrà comprovare
adeguatamente in sede di accertamento gli elementi di fatto costitutivi della fattispecie presuntiva
(in particolare il requisito del controllo). Nell’ambito del procedimento contenzioso, il contribuente
– ricorrendone i presupposti – potrà già contestare gli elementi posti a base dell’accertamento
40
V. Manuale di Governance Fiscale – I edizione – P. Valente, IPSOA Editore, Pag. 728.
presuntivo qualora, ad esempio, il requisito del controllo sia stato erroneamente individuato
dall’amministrazione, sia per errori di fatto, che per errori di diritto.
Pur nel caso in cui gli elementi indicati dall’Agenzia siano esatti, il contribuente potrà contrastare la
presunzione con l’indicazione di altri elementi – sempre inerenti la localizzazione della sede
dell’amministrazione – che ne comprovino la presenza all’estero.
3.8.
Cenni sulla nuova presunzione di esterovestizione introdotta dal comma 22
dell’articolo 82 del D.L. 112/2008.
Il D.L. 112/2008 (comma 22 dell’art. 82), ha modificato l’art. 73 del D.P.R. n.
917/1986 aggiungendo al predetto articolo un nuovo comma 5-quater.
La disposizione prevede che: “salvo prova contraria, si considerano residenti
nel territorio dello Stato le società o enti il cui patrimonio sia investito in misura
prevalente in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi di cui all'articolo 37
del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e siano
controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per
interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo è individuato ai
sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, anche per
partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società”.
Conseguentemente, viene presunta la residenza in Italia delle società con sede legale
all’estero «il cui patrimonio sia investito in misura prevalente in quote di fondi di
investimento immobiliare chiusi» se sono controllate «direttamente o indirettamente,
per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in
Italia».
Per quanto attiene alla nozione di controllo il nuovo comma 5-quater dell’articolo
73 del TUIR fa espresso richiamo della nozione di controllo prevista dal primo e
secondo comma dell'articolo 2359 del codice civile anche per le partecipazioni
possedute da soggetti diversi dalle società.
Resta inteso che le società e gli enti non residenti, che sono considerati
fiscalmente residenti in Italia, in forza della nuova presunzione, dovranno essere
considerati tali agli effetti dell’applicazione anche delle disposizioni delle lettere a) e
b) del comma 18 dell’articolo 82 del decreto che individuano i fondi soggetti alla
nuova imposta patrimoniale dell’1 per cento41.
Quindi, non appaiono rilevare le forme di controllo congiunto (non previste dall’art.
2359 c.c.), ancorché realizzate attraverso i familiari come previsto dall’art. 73,
comma 5-ter, il cui campo di applicazione è riservato alla sola presunzione di
esterovestizione disciplinata dall’art. 73, comma 5-bis42.
41
In tal senso v. circolare Ministeriale n. 61/E del 3 novembre 2008, Agenzia delle Entrate – Dir. Normativa e
contenzioso
42
Per un maggiore approfondimento si veda G. Fransoni, “Esigenze sistematiche e finalità antielusive della disciplina
sui fondi immobiliari chiusi”, in “Corriere Tributario” n. 48/2008, pag. 3858.
4.
Modalità di esecuzione di una verifica fiscale nei confronti della società
esterovestita.
4.1.
Premessa.
Analizziamo i principali “step” operativi e procedurali connessi
all’individuazione da parte dell’Amministrazione di un fenomeno di
esterovestizione societaria.
In altre parole, si tratta di definire gli adempimenti che l’Amministrazione
finanziaria è tenuta a porre in essere per avviare, eseguire e concludere una
verifica fiscale nei confronti del soggetto esterovestito.
Quest’ultimo, infatti, è un soggetto formalmente di diritto estero, la cui
residenza fiscale viene “riportata” in Italia dai verificatori attraverso la
raccolta di elementi sintomatici idonei a dimostrare la presenza del cosiddetto
“poem” (place of effective management) sul territorio nazionale.
Ne derivano diverse problematiche di carattere procedurale: come avviare
l’attività istruttoria? Come identificare il soggetto dal punto di vista fiscale?
Dove effettuare l’accesso? Come reperire le scritture contabili del soggetto al
fine di ricostruirne il volume d’affari? Quali violazioni contestare? Come e a
chi notificare la conclusione dell’attività ispettiva e il relativo atto
impositivo? Nei paragrafi successivi saranno proposte possibili soluzioni ai
quesiti formulati.
4.2.
Individuazione di un soggetto esterovestito: il percorso ispettivo.
L’individuazione di un soggetto esterovestito richiede l’effettuazione di
articolate attività di indagine.
In particolare, l’amministrazione finanziaria, per contrastare patologici
fenomeni di evasione fiscale internazionale, dovrà:
-
individuare, già al momento della programmazione dell’attività di
verifica, i soggetti residenti sul territorio dello Stato Italiano che abbiano
costituito all’estero società che presentino potenzialmente le
caratteristiche di soggetti “esterovestiti” (es. la costituzione all’estero di
“holding passive”, in paesi a fiscalità privilegiata, presso professionisti
esteri che rendono prestazioni di mera domiciliazione societaria);
-
organizzare la fase di accesso e di ricerca al reperimento della
documentazione extracontabile relativa ai rapporti economici intercorsi
tra il soggetto verificato e le imprese estere controllate e/o collegate;
-
esaminare, con attenzione, tutta la documentazione acquisita nel corso
delle ricerche effettuate all’atto dell’avvio della verifica fiscale.
Infatti, l’individuazione di un soggetto esterovestito avviene normalmente nel
corso della verifica fiscale eseguita nei confronti di un soggetto residente in
Italia (quale, ad esempio, la holding capogruppo che controlla la società
formalmente residente all’estero).
Più nel dettaglio, per individuare potenziali soggetti esterovestiti è necessario
che il Fisco, prima di avviare la verifica fiscale nei confronti della società
italiana, ponga in essere un’articolata attività info-investigativa, così da
delineare l’intera struttura societaria del gruppo in Italia ed all’estero.
Tale fase preliminare è definita con il termine di “preparazione della
verifica” ed è finalizzata ad ottenere la più ampia conoscenza del
contribuente selezionato, delle specifiche caratteristiche e delle condizioni di
esercizio dell’attività dallo stesso svolta.
Sullo specifico punto la circolare 01/2008 del Comando Generale della
Guardia di Finanza espressamente prevede che, in caso di soggetti costituiti
in forma societaria, la preparazione deve essere finalizzata ad effettuare
un’analisi “della compagine sociale, (…) delle risultanze delle banche dati
relativamente ai soci, ai soggetti titolari di funzioni di rappresentanza
esterna e ad ogni altro soggetto che rivesta cariche o funzioni ritenute
importanti rispetto alle finalità dell’attività ispettiva”43.
Le informazioni possono essere acquisite attraverso più strumenti, quali per
esempio:
-
la consultazione delle c.d. “fonti aperte” (normali canali informativi della
stampa specializzata, internet, comunicati stampa, giornali e riviste
economiche);
-
l’approfondito esame del bilancio di esercizio, con i relativi allegati (nota
integrativa, relazione sulla gestione, relazione della società di revisione).
Successivamente, avviata la verifica fiscale nei confronti della società del
gruppo residente, l’Amministrazione finanziaria può analizzare la
documentazione extracontabile rinvenuta in fase di accesso, esercitando i
poteri di indagine e verifica presso la sede del contribuente (ai sensi e per gli
effetti degli artt. 32 e 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 51, 52 e 63 del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e 35 della L. 7 gennaio 1929, n. 4).
Infatti, i funzionari del Fisco possono, nel corso dell’accesso, procedere non
solo all’acquisizione delle scritture contabili e degli altri documenti fiscali la
cui istituzione è obbligatoria per legge, ma anche dei documenti
extracontabili relativi al soggetto verificato (ad esempio, organigramma del
gruppo, conti correnti, contrattualistica, fax, corrispondenza varia, email, file
su supporto informatico quali CD, DVD, hard disk, memorie esterne,
documenti relativi alla convocazione delle assemblee, ecc.).
43
Circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume I, parte III, capitolo 1, pagg. 107 e ss.
La fase di acquisizione documentale effettuata in sede di ricerca riveste
fondamentale importanza in quanto proprio dai documenti extracontabili
possono essere rinvenuti elementi info-investigativi indispensabili per
individuare la sede dell’amministrazione delle imprese estere facenti parti del
gruppo del soggetto residente sottoposto a verifica fiscale.
In merito, l’attività operativa dovrà essere finalizzata all’acquisizione di
elementi probatori, idonei ad individuare l’effettiva residenza ai fini fiscali
della società, ovvero il luogo in cui si trova la sua “sede
dell’amministrazione” ovvero “l’oggetto principale della sua attività”.
In tale ambito si segnala che:
-
la suprema Corte di Cassazione44 ha precisato che per individuare la sede
effettiva di una società o di un ente, le risultanze degli atti ufficiali
(statuto o atto costitutivo), hanno valore di presunzione semplice e, come
tali, “superabili con ogni mezzo di prova” idoneo a dimostrare la
diversità tra la residenza effettiva e la residenza formale della società;
-
la Commissione Tributaria Centrale45 ha rilevato che: “la residenza, in
quanto situazione di fatto, può essere provata con ogni mezzo e non deve
risultare necessariamente dall’iscrizione nell’anagrafe del comune, alla
quale può riconoscersi il valore di una semplice presunzione, suscettibile
di essere vinta da prove contrarie ..e che deve aversi riguardo.. più che
al dato meramente formale dell’iscrizione anagrafica, alla situazione di
fatto effettivamente esistente”.
Quindi, analizzati gli elementi informativi raccolti,
esterovestizione può derivare in virtù dell’applicazione:
-
di
dell’articolo 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986, secondo cui ai fini
delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che
per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede
dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato46;
44
Sentenze n. 2070 del 24 marzo 1983, n. 791 del 5 febbraio 1985 e n. 8040 del 22 luglio 1995.
45
Sezione XXVI – Decisione n. 1649, del 15 aprile 1996.
46
l’ipotesi
Al fine di evitare la possibilità che un soggetto venga considerato residente in più Stati, intervengono le Convenzioni
internazionali, le quali hanno proprio lo scopo di evitare tali sovrapposizioni. La residenza, pertanto, viene
regolamentata anche dalle norme previste nelle convenzioni bilaterali, così da evitare i “conflitti di residenza” tra due
diversi Stati. Nelle convenzioni stipulate conformemente al modello OCSE, al fine di determinare la residenza fiscale di
una persona giuridica, viene stabilito il criterio unico del “place of effective management”, che, di fatto, coincide con la
sede dell’amministrazione prevista dall’art. 73, comma 3, del Tuir. In particolare, l’art. 4, comma 3, modello di
Convenzione Ocse stabilisce quanto segue: “Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an
individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be a resident only of the State in which its
place of effective management is situated”. Pertanto, nel caso in cui l’Italia abbia stipulato una Convenzione con il
Paese estero in cui è ubicata la presunta società “esterovestita”, l’unico criterio valorizzabile per stabilire la residenza
del contribuente è quello previsto dalla norma pattizia, in quanto quest’ultima, per il principio di specialità, deve
ritenersi prevalente rispetto alle norme dell’ordinamento interno.
-
dell’art. 73, comma 5-bis, del D.P.R. n. 917/1986, disciplinante la
presunzione legale relativa di esterovestizione al verificarsi di specifici
requisiti, con possibilità per il contribuente di fornire, sotto il profilo
sostanziale, la prova contraria.
Il percorso ispettivo sopra descritto può essere sintetizzato graficamente nello schema n. 1.
Schema n. 1: individuazione di un soggetto esterovestito ed emersione di problematiche procedurali
PREPARAZIONE VERIFICA
L’amministrazione
finanziaria
prepara l’avvio di un’attività di
verifica nei confronti di un
soggetto residente facente parte
di un gruppo con legal entity
estere. L’attività di preparazione
consente di acquisire informazioni
sul soggetto da verificare e
sull’intero gruppo.
AVVIO VERIFICA
SOGGETTO RESIDENTE
L’avvio della verifica potrebbe
consentire l’acquisizione in sede
di accesso di ulteriori dati
informativi sul gruppo e sulle
legal entity estere attraverso
l’esercizio del potere di ricerca.
AVVIO VERIFICA
SOGGETTO PRESUNTO
ESTEROVESTITO
Emersione di problematiche
procedurali
INDIVIDUAZIONE DELL’IPOTESI DI
ESTEROVESTIZIONE
È possibile che i dati e gli elementi informativi
consentano di delineare un’ipotesi di
esterovestizione nei confronti di una società estera
del gruppo.
In particolare, il Fisco potrebbe, alternativamente:
Risoluzione delle problematiche
procedurali emerse
ƒ
ricostruire un idoneo quadro probatorio
comprovante che il “poem” della società estera
sia ubicato in Italia;
ƒ
individuare i presupposti di applicabilità della
presunzione legale relativa ex art. 73, comma
5-bis, del Tuir.
Come ricavabile dallo schema, una volta individuato il soggetto esterovestito attraverso gli elementi
sintomatici/probatori/presuntivi di carattere sostanziale previsti dall’ordinamento tributario,
emergono una serie di problematiche di carattere operativo/procedurale, in relazione a ciascuna fase
della verifica fiscale, oggetto di specifico approfondimento nei paragrafi successivi.
4.3.
Le problematiche connesse all’avvio della verifica fiscale.
Come si accennava in premessa, il soggetto esterovestito è, formalmente, un soggetto
di diritto estero, la cui residenza fiscale viene “attratta” in Italia dai verificatori.
Ne conseguono le seguenti problematiche procedurali, singolarmente sviluppate nei
seguenti sottoparagrafi:
4.4.
-
individuazione, nel caso di applicazione della presunzione legale relativa prevista
dall’articolo 73, comma 5-bis del D.P.R. n. 917/1986, dell’interlocutore con il
quale effettuare un idoneo contraddittorio;
-
necessità di identificare fiscalmente il contribuente, in quanto risulta sprovvisto
sia di codice fiscale che di partita IVA;
-
individuazione del soggetto (persona fisica) a cui notificare il provvedimento
autorizzativo ex art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 richiamato dall’art. 33 del D.P.R. n.
600/197347;
-
redazione del processo verbale di verifica descrittivo delle operazioni giornaliere e
consegna del medesimo al contribuente ispezionato;
-
modalità di richiesta delle documentazione amministrativo contabile della società
verificata;
-
individuazione del luogo dove effettuare l’accesso e, conseguentemente, dove
esercitare il potere di ricerca di ogni utile documentazione utile ai fini dell’attività
ispettiva.
Applicazione
della
dell’interlocutore.
presunzione
legale
relativa:
l’individuazione
Come già illustrato nel precedente paragrafo 3.6., delineata l’ipotesi presuntiva ex art.
73, comma 5-bis, del D.P.R. n. 917/1986, si renderà necessario contattare il soggetto
non residente, per effettuare il contraddittorio con il contribuente, teso a rilevare
l’eventuale sussistenza della prova contraria necessaria a vincere la presunzione
legale relativa.
L’Amministrazione finanziaria dovrà rendere edotto il soggetto non residente della
necessità di avviare un controllo nei suoi confronti, finalizzato ad ottenere tutte le
informazioni necessarie per individuare il luogo di ubicazione della sede
dell’amministrazione (autonomia, struttura societaria, organizzazione imprenditoriale,
disponibilità di uomini e mezzi, ecc.), mediante applicazione del multi-test.
In tale ambito, come in precedenza rilevato nel paragrafo 3.6, occorre individuare il
soggetto con il quale il Fisco deve porre in essere il contraddittorio finalizzato a
verificare l’eventuale sussistenza della prova contraria prevista dalla norma.
47
Il foglio di servizio, nel caso in cui la verifica sia svolta dalla Guardia di Finanza, ovvero l’ordine di accesso, nel caso
in cui la verifica sia effettuata da parte dell’Agenzia delle Entrate.
In merito, autorevole dottrina 48 , ritiene che nell’ambito del citato multi-test, il
contribuente italiano (holding capogruppo) possa fornire, al fine di superare la
presunzione legale relativa, i seguenti elementi informativi:
- informazioni dettagli circa il modello organizzativo del gruppo;
- descrizione delle funzioni aziendali necessarie alla conduzione autonoma, da parte
della società estera, del proprio business;
- la presenza di un country manager, effettivamente operante nel Paese e
responsabile del business locale nonché di un CFO responsabile delle attività e
dei flussi di carattere finanziario, entrambi dotati di ampia autonomia di spesa;
- argomentazioni comprovanti che la società estera non è stata costituita all’estero
per “puro artificio”.
In alternativa, occorre rivolgersi direttamente ai legali rappresentanti della società
estera49, nei confronti della quale si realizza l’ipotesi presuntiva ex art. 73, comma 5bis, del D.P.R. n. 917/1986, con i quali sarà effettuato il contraddittorio50.
In merito, per contattare il contribuente estero, è possibile utilizzare:
4.5.
-
l’articolo 60-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rubricato “Assistenza
per le richieste di notifica tra le autorità competenti degli Stati membri
dell’Unione europea”, il quale prevede che: “L’Amministrazione finanziaria
può chiedere all'autorità competente di un altro Stato membro di notificare al
destinatario, secondo le norme sulla notificazione dei corrispondenti atti vigenti
nello Stato membro interpellato, tutti gli atti e le decisioni degli organi
amministrativi dello Stato relativi all'applicazione della legislazione interna
sulle imposte indicate nell'articolo 1 della direttiva 77/799/CEE del Consiglio,
del 19 dicembre 1977, modificata dalle direttive 2003/93/CE del Consiglio, del
7 ottobre 2003, e 2004/56/CE del Consiglio, del 21 aprile 2004”.
-
la particolare procedura convenzionale o consolare prevista dall’art. 142 del
c.p.c.51 .
Attribuzione del numero di partita IVA.
Una volta che si sono verificati i presupposti giuridici per attrarre la residenza del
soggetto estero sul territorio dello Stato, prima di avviare la verifica fiscale occorrerà
attribuire, al presunto soggetto esterovestito, il numero di partita IVA e il codice
fiscale.
48
P. Valente, op. cit., pag. 424
In tale direzione anche la circolare dell’Assonime del 31/10/2007 n. 67, par. 9.4. Nel trattare la presunzione legale
relativa di esterovestizione ex art. 73, comma 5-bis, Tuir, il citato documento avanza perplessità circa l’applicabilità
della disciplina delle notifiche per i soggetti residenti, considerato che il soggetto estero, al momento della notifica
dell’accertamento, è tale solo per presunzione. Per ulteriori dettagli si rinvia al successivo paragrafo 4.15 in materia di
notifica degli atti impositivi nel diritto tributario.
50
Prima di avviare la verifica fiscale, al legale rappresentante della società estera potrebbe anche essere inviato un
questionario, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, n. 2), 3) e 4), del D.P.R. n. 600/1973, con il quale richiedere dati e
notizie relativi all’attività esercitata dall’impresa.
51
Per un approfondimento si veda A. Righini, Notifiche degli atti tributari all’estero senza ambiguità, in “Fiscalità
internazionale” n. 4/2010, pagg. 299 e ss. Inoltre, per maggiori dettagli circa le modalità di notifica degli atti ai soggetti
esterovestiti si rinvia al successivo paragrafo 4.14.
49
L’Amministrazione finanziaria, pertanto, provvederà “coattivamente” ad aprire una
posizione fiscale ai fini IVA (partita IVA) e ai fini delle imposte sui redditi (codice
fiscale) al soggetto (formalmente) non residente, divenuto soggetto passivo
d’imposta per effetto delle disposizioni contenute nell’articolo 73 del Tuir.
Tale soggetto economico, conseguentemente, sarà censito e perfettamente
individuabile dal fisco italiano, come qualunque altro soggetto passivo.
4.6.
La notifica del provvedimento autorizzativo.
Ai sensi dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972, richiamato dall’articolo 33 del
D.P.R. n. 600/1973, “gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre
l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati
all’esercizio di attività commerciali (…). Gli impiegati che eseguono l’accesso
devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata
dal capo dell’ufficio da cui dipendono (…)”.
Conseguentemente, al momento dell’avvio della verifica fiscale, dovrà essere
notificato al contribuente il c.d. “provvedimento autorizzativo”52.
In merito, occorre valutare se gli elementi info-investigativi acquisiti nei confronti
del soggetto non residente, nel corso della fase istruttoria, consentano:
-
di rilevare, con precisione, la sede dell’amministrazione, rectius la sede di
direzione effettiva (place of effective management) del soggetto esterovestito;
-
di individuare il soggetto ovvero i vari soggetti che gestiscono, di fatto, la
società verificata.
Sotto tale profilo, rivestono fondamentale importanza tutti i dati e notizie acquisiti
sul conto del soggetto non residente, divenuto soggetto passivo per effetto delle
disposizioni indicate nell’art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986.
A titolo meramente esemplificativo, si ipotizzi che l’ufficio finanziario abbia
effettuato una verifica fiscale nei confronti di una holding capogruppo, residente in
Italia, che controlla una società formalmente residente all’estero (esempio in
Lussemburgo).
Nel corso delle operazioni ispettive effettuate nei confronti della casa madre italiana,
l’organo verificatore potrebbe avere acquisito dati e notizie, desunti dalla
documentazione extracontabile acquisita alla verifica fiscale, anche su supporto
informatico (file, email), che consentono di delineare con precisione:
52
Si legge testualmente nella circolare 01/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, Vol. I, parte III,
capitolo 1, par. 4, pag. 114: “All’atto dell’avvio dell’ispezione copia del foglio di servizio deve essere consegnata al
contribuente, o a chi in quel momento lo sostituisce, notificando il contenuto del documento e dandone atto nel
processo verbale di verifica; analogamente occorrerà procedere nei casi in cui, verifica durante, si rendesse necessario
procedere all’estensione delle attività ad altri periodi di imposta ovvero ad altri settori impositivi, nonché nei casi in
cui si procede alla proroga delle attività ispettive oltre il trentesimo giorno lavorativo, ai sensi ai sensi dell’art. 12,
comma 5, della L. n. 212/2000”.
-
-
il luogo, localizzato sul territorio dello Stato Italiano, dove hanno concreto
svolgimento le attività amministrative e di direzione della legal entity
lussemburghese;
dove si svolgono, con regolarità, le delibere assembleari e societarie, nonché
dove si riunisce il consiglio di amministrazione (board of directors);
quali soggetti si occupano realmente della gestione, sotto il profilo manageriale,
dell’impresa, formalmente residente all’estero.
In un tale contesto, i funzionari dell’Amministrazione finanziaria, al momento
dell’avvio della verifica fiscale:
-
si recheranno presso il luogo dove ritengono sia ubicata la sede
dell’amministrazione della società esterovestita (che normalmente coincide con
gli uffici della casa madre che controlla la società formalmente estera);
-
notificheranno il provvedimento autorizzativo alla persona che, sulla base
dell’attività istruttoria effettuata, ritengono che gestisca la società sottoposta a
controllo (ossia l’amministratore di fatto53 del soggetto estero).
Talvolta può anche accadere che il consiglio di amministrazione della società sia
composto contestualmente da consiglieri esteri (di solito consulenti, avvocati o
commercialisti, che offrono un servizio di mera domiciliazione societaria) e da
consiglieri italiani.
In tale circostanza, l’amministratore di fatto potrebbe essere uno o più degli
amministratori italiani, che compongono il board of directors della società estera,
ovvero anche altri soggetti, purché gli stessi risultino amministrare la presunta
società esterovestita.
Conseguentemente, il provvedimento autorizzativo sarà notificato alla persona che
sostanzialmente gestisce, sotto il profilo manageriale, la legal entity estera54.
Nel caso in cui non sia possibile individuare con esattezza la presunta sede
dell’amministrazione del soggetto estero, ove effettuare l’accesso, il contribuente
potrà essere invitato a presentarsi presso gli uffici dell’amministrazione finanziaria
per avviare la verifica fiscale, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, nn. 2) e 3) del
D.P.R. 600/1973.
4.7.
Redazione del processo verbale di verifica.
L’articolo 52, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972, prevede che “di ogni accesso deve
essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite,
le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il
verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero
53
Per approfondimenti circa la nozione di amministratore di fatto, anche alla luce delle recente elaborazione
giurisprudenziale, si rinvia al successivo paragrafo 4.13.
54
Ovvero il soggetto che prende le decisioni, colui che assume gli indirizzi strategici dell’impresa formalmente estera,
la persona che sostanzialmente emana le principali direttive.
indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne
copia”.
In questa sede, risultano mutuabili le considerazioni già espresse circa la notifica del
provvedimento autorizzativo nel precedente paragrafo 4.6.
Il verbale, infatti, sarà rilasciato alla persona che, sulla base dell’attività istruttoria
effettuata, si ritiene che gestisca la società sottoposta a controllo (qualificabile come
l’amministratore di fatto del soggetto economico estero).
In particolare, il processo verbale di verifica descriverà le motivazioni di fatto e di
diritto che hanno innescato il controllo fiscale, illustrerà i diritti ed i doveri del
contribuente (in base alle disposizioni di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, c.d.
Statuto dei diritti del contribuente), nonché le operazioni di verifica svolte ogni
singolo giorno di attività ispettiva.
La parte ha diritto a ricevere un esemplare del processo verbale di verifica anche in
caso di rifiuto di sottoscrivere l’atto: se il contribuente dovesse rifiutare l’esemplare a
lui destinato, questo sarà custodito agli atti da parte dell’Amministrazione finanziaria
operante, facendo constatare il rifiuto alla ricezione.
L’esemplare, comunque, potrà essere ritirato dal contribuente anche successivamente
alla conclusione della verifica55.
4.8.
Acquisizione della documentazione amministrativo contabile.
Al momento dell’avvio della verifica fiscale, sarà richiesta alla parte l’esibizione
della documentazione amministrativo-contabile riconducibile al soggetto verificato.
Si ricorda, a titolo esemplificativo, che un’impresa italiana deve istituire la
contabilità ordinaria prevista per i soggetti IRES, di seguito indicata:
55
-
i bilanci d’esercizio;
-
le fatture attive e passive;
-
i libri sociali;
-
il libro giornale di contabilità generale;
-
il registro dei cespiti ammortizzabili;
-
i registri IVA degli acquisti e delle vendite;
-
il libro degli inventari;
Circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume I, parte III, capitolo 3, pag. 140.
-
le dichiarazioni dei redditi (ai fini IRES, IVA, IRAP, nonché il modello 770 per
le ritenute operate).
Tuttavia, le citate scritture potrebbero non essere previste dall’ordinamento
giuridico estero e, conseguentemente, sarà di volta in volta richiesta l’esibizione dei
documenti istituiti dal soggetto verificato, sulla base della legislazione tributaria
estera. In merito, per maggiori approfondimenti circa la validità delle scritture
contabili istituite dal soggetto all’estero ed esibite nel corso del controllo fiscale, si
rimanda alle considerazioni espresse nel successivo paragrafo 4.10, in materia di
ricostruzione del reddito imponibile del soggetto esterovestito.
4.9.
Effettuazione delle ricerche.
Nel corso delle operazioni ispettive, i funzionari dell’Amministrazione finanziaria,
nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o
professionali, possono procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e
ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la
repressione dell’evasione e delle altre violazioni.
Tale facoltà è espressamente prevista dall’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972 e
consiste nella possibilità di effettuare ricerche documentali presso gli uffici
amministrativi e negli altri luoghi a disposizione dell’impresa verificata.
Il percorso ispettivo “tradizionale” attraverso cui è possibile individuare da parte
dell’Amministrazione finanziaria un presunto soggetto esterovestito è stato oggetto
di precedente analisi56.
In particolare, è stato rilevato che, normalmente, il Fisco avvia dapprima un’attività
ispettiva nei confronti di un società residente del gruppo.
Le risultanze emerse in tale contesto poi, eventualmente, possono sfociare
nell’individuazione di un’ipotesi di esterovestizione nei confronti di altra società
(formalmente) non residente del gruppo.
Pertanto, l’attività di ricerca è, in prima battuta, posta in essere presso i locali in cui è
esercitata l’attività d’impresa del soggetto residente sottoposto a verifica (di solito la
holding italiana capogruppo).
In seconda battuta, appare possibile ipotizzare la possibilità per i funzionari
dell’Amministrazione finanziaria di porre in essere una “nuova” attività di ricerca
all’atto dell’avvio della verifica nei confronti del soggetto presunto esterovestito.
Più precisamente, sarà possibile esercitare tale potere presso i locali ove si presume
sia ubicata la sede di direzione effettiva, al fine di reperire eventuali e ulteriori
elementi probatori.
56
Cfr. precedente paragrafo 4.2.
4.10. Esecuzione dell’attività ispettiva: ricostruzione del reddito imponibile ai fini
II.DD. e del volume d’affari ai fini IVA.
Qualora l’Amministrazione finanziaria dovesse contestare, ai sensi dell’articolo 73
del D.P.R. n. 917/1986 l’esterovestizione ad una società formalmente residente
all’estero, tutti i redditi ovunque prodotti, conseguiti dal soggetto esterovestito
sarebbero assoggettati a tassazione in Italia, in base al c.d. worldwide principle.
L’indagine del Fisco sull’attività svolta dell’ente estero, è indirizzata a stabilire, in
primo luogo, se l’imposta sui redditi delle società (IRES) troverà applicazione
secondo le regole proprie:
-
delle società di capitali, ex art. 73, comma 1, lettere a) e seguenti, del Tuir;
-
degli enti commerciali, ex art. 73, comma 1, lettera b), commi 2 e seguenti, del
Tuir;
-
degli enti non commerciali, ex artt. 143 e seguenti del Tuir.
In secondo luogo, è necessario stabilire se le disposizioni ex art. 39, comma 2, lettera
a), lettera c), lettera d), (disciplinanti l’accertamento induttivo extracontabile 57 ),
nonché ex art. 41, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 600/1973 (c.d. accertamento
d’ufficio 58 ) possano trovare concreta applicazione nel caso di accertamenti fiscali
eseguiti nei confronti di società esterovestite. Del resto, la società esterovestita ha,
comunque, istituito la contabilità nel Paese estero, presentando anche la relativa
dichiarazione dei redditi.
In merito, anche il Comando Generale della Guardia di Finanza nella circolare
1/2008, con riferimento al metodo induttivo “puro”, ha affermato che “detto metodo
rappresenta un sistema eccezionale, che si pone evidentemente all’estremo opposto
di quello analitico contabile ed applicabile solo in presenza degli specifici
presupposti indicati”59.
Chi scrive ritiene che nel caso di una società estera presunta esterovestita si possano
applicare le disposizioni previste in materia di accertamento induttivo extracontabile
solo se il soggetto passivo:
-
non abbia istituito all’estero la documentazione amministrativo contabile;
-
non abbia presentato alcuna dichiarazione dei redditi nello Stato dove è situata la
sede legale.
57
Ai sensi della disposizione richiamata, l’ufficio determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie
comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e
dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e
concordanza, quando: il reddito d’impresa non sia stato indicato nella dichiarazione; dal processo verbale di ispezione,
redatto ai sensi dell’art. 33 del D.P.R n. 600/1973, risulta che le scritture contabili siano state omesse o le stesse non
siano disponibili, perché sottratte dal contribuente ovvero per cause di forza maggiore; le omissioni e le false o inesatte
indicazioni accertate, ovvero le irregolarità riscontrate nella contabilità, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere
inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.
58
L’ufficio impositore può avvalersi di presunzioni, anche prive dei requisiti della gravità, della precisione e della
concordanza, procedendo all’accertamento d’ufficio dei redditi, nei confronti dei contribuenti che abbiano omesso la
presentazione della dichiarazione dei redditi.
59
Circolare 1/2008, volume II, parte IV metodologie di controllo, cap. 1, pagina n. 9.
Le considerazioni sopra esposte assumono particolare evidenza nel caso in cui la
società esterovestita abbia la propria sede legale all’interno dell’Unione europea.
Nella specie, dovrebbe ritenersi ingiustificato il mancato riconoscimento delle
scritture contabili, non solo perché le stesse sarebbero esistenti, ma soprattutto
perché le stesse sarebbero state redatte secondo la normativa “armonizzata” di
altro Stato della Comunità. La sempre maggiore armonizzazione delle legislazioni
nazionali degli Stati membri in materia di bilancio, iniziata con l’emanazione della
IV direttiva del Consiglio 78/660/CEE del 25 luglio 1978, ha introdotto nei diversi
Paesi dell’Unione principi e criteri contabili del tutto analoghi a quelli previsti in
materia dal codice civile60.
Ulteriori elementi di approfondimento sono rinvenibili nella circolare dell’Agenzia
delle Entrate n. 28/E del 4 agosto 200661.
La circolare evidenzia che il soggetto estero riqualificato come residente in Italia
“sarà soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l’ordinamento
prevede per le società e gli enti residenti”.
A titolo esemplificativo, gli effetti di più immediato impatto per le sub-holding
esterovestite riguarderanno:
-
i capital gain realizzati dalla cessione di partecipazioni da assoggettare al regime
di imponibilità o di esenzione previsti dagli artt. 86 e 87 del Tuir;
-
le ritenute da operare sui pagamenti di interessi, dividendi e royalty corrisposti a
non residenti o sui pagamenti di interessi e royalty corrisposti a soggetti residenti
fuori del regime di impresa;
-
il concorso al reddito in misura pari al 100% del loro ammontare degli utili di
partecipazione provenienti da società residenti in Stati o territori a fiscalità
privilegiata.
Al contrario, i predetti soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi,
interessi e royalty in uscita dall’Italia e potranno scomputare in sede di dichiarazione
annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di imposta per il quale sono da
considerare residenti, anche se operate a titolo di imposta.
In conclusione, tutta la documentazione acquisita nel corso delle operazioni ispettive
(contabile ed extracontabile) sarà utilizzata dai verificatori per ricostruire, sotto il
profilo economico, il reddito della società, nonché la reale consistenza patrimoniale
della stessa, al fine di proporre, eventualmente, le prescritte misure cautelari a
garanzia della pretesa erariale (ipoteca e sequestro conservativo ex art. 22 del D. Lgs.
n. 472/1997)62.
60
Si veda in merito D. Avolio, B. Santacroce, Esterovestizione: è legittimo il disconoscimento dei costi e delle imposte
estere?, in “il corriere tributario” n. 7 del 2011, ove espressamente si legge: “(…) laddove la società che si asserisce
«esterovestita», abbia la propria sede legale in un altro Stato membro dell’Unione europea - ed abbia correttamente
seguito le regole dettate in tale Stato nella tenuta della contabilità e nella predisposizione del proprio bilancio - non se
ne potrebbe aprioristicamente disattendere il suo contenuto, ai fini della determinazione del reddito imponibile, stante
la comune «matrice» che accomuna le legislazioni dei diversi Stati membri in materia di redazione del bilancio”.
61
Si rinvia, in particolare, al paragrafo 8.2 del citato documento di prassi.
62
L’opportunità di richiedere l’adozione di misure cautelari nei confronti di un soggetto esterovestito trova conferma
anche nella Circolare 01/08 del Comando Generale della Guardia di Finanza, ove espressamente si legge: “(…) si potrà
formulare specifica segnalazione allorquando lo suggeriscano peculiari situazioni di ordine soggettivo; in tal senso, ad
Ciò posto, in questa delicata fase, l’Amministrazione finanziaria dovrà ricostruire:
-
il reddito imponibile ai fini IRES, che dovrà essere determinato secondo le regole
contenute nel D.P.R. n. 917/1986, sulla scorta dei dati risultanti dal conto
economico civilistico redatto dalla società (sostanzialmente, scaturente dalla
somma algebrica dei ricavi e dei costi di esercizio, comprese le scritture di
assestamento di fine anno);
-
la base imponibile IRAP, che dovrà essere determinata con le regole indicate nel
D. Lgs. n. 446/97;
-
il volume d’affari ai fini IVA, individuando tutte le eventuali operazioni rilevanti
ai fini dell’applicazione del tributo, desumibili, in particolare, dall’esame delle
fatture attive e passive della società.
4.11. Conclusione dell’attività ispettiva.
La fase conclusiva della verifica è costituita:
-
dalla redazione del processo verbale di constatazione;
-
dalla sottoscrizione del medesimo da parte dei verificatori e del contribuente;
-
dal rilascio di copia del p.v.c. al contribuente stesso;
-
dal successivo inoltro agli Uffici dell’Agenzia delle Entrate territorialmente
competenti con riguardo al domicilio fiscale del contribuente verificato;
-
dalla valutazione di eventuali profili penali-tributari, scaturenti dalle violazioni
constatate.
L’attività di verifica potrebbe, infatti, anche concludersi con la constatazione di
violazioni penali con la conseguente necessità di informare la Procura della
Repubblica.
Infine, alla fine del procedimento amministrativo, sarà emanato l’atto impositivo
(avviso di accertamento) da parte dell’Agenzia, il quale deve essere notificato al
soggetto esterovestito.
Tali singole tematiche, sintetizzabili nello schema n. 2, sono oggetto di specifico
approfondimento nei successivi sottoparagrafi.
Schema n. 2: conclusione attività ispettiva
Conclusione
attività ispettiva
Redazione e rilascio del processo
verbale di constatazione
Comunicazione di notizia di reato
(eventuale) alla Procura della
Repubblica
Emanazione avviso di
accertamento e notifica
dell’atto al contribuente
esempio, possono rilevare la natura di evasore totale del contribuente verificato”, volume I, Parte III, capitolo 5, pag.
192. Il soggetto esterovestito è, infatti, un evasore totale, avendo omesso di presentare le dichiarazioni obbligatorie.
4.12. Rilascio e contenuto del processo verbale di constatazione.
Al termine delle operazioni ispettive dovrà essere redatto il processo verbale di
constatazione finale, all’interno del quale saranno evidenziate le violazioni
amministrative rilevate dai verificatori, che dovrà essere rilasciato e consegnato in
copia al contribuente.
Sul punto, la circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza 63,
fornisce precise indicazioni: “una volta sottoscritto, tanto dai verificatori, quanto dal
contribuente, una copia del processo verbale di constatazione va consegnato al
contribuente, dandone espressamente atto nel documento stesso; al riguardo, l’art.
12 della L. n. 212/2002 usa l’espressione “rilascio”. Ai fini di questo adempimento,
è necessaria una puntuale e chiara attestazione a verbale che certifichi l’avvenuta
consegna dell’atto, dando espressamente evidenza che la firma apposta da
quest’ultimo nel processo verbale stesso vale anche quale conferma della ricezione
del medesimo; non è richiesta l’osservanza delle formalità previste per la notifica
degli avvisi di accertamento ex art. 60 del D.P.R. n. 600/73, che peraltro potranno
essere adottate nei casi di irreperibilità del contribuente destinatario dell’atto”.
Anche in tale circostanza, valgono le considerazioni già espresse per il processo
verbale di verifica, nel paragrafo 4.7.
In particolare, il processo verbale di constatazione redatto a conclusione dell’attività
ispettiva deve essere rilasciato alla persona che, sulla base dell’attività istruttoria
effettuata nel corso della verifica fiscale, prende le decisioni, assume gli indirizzi
strategici dell’impresa formalmente estera, emana le principali direttive connesse alla
gestione aziendale (ovvero l’amministratore di fatto64).
La circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, in materia di
rilascio del p.v.c., evidenzia l’opportunità che tale atto sia sottoscritto dal titolare
dell’impresa individuale o dell’attività di lavoro autonomo, ovvero nel
rappresentante legale della società, soprattutto allo scopo di consentire al soggetto
nei cui riguardi si producono, in via diretta ed immediata, le conseguenze
dell’attività ispettiva, di conoscerne le relative risultanze, le successive fasi del
procedimento di accertamento, l’eventuale irrogazione delle sanzioni, le sue
possibilità di intervento nell’ambito del procedimento (comunque altrimenti
conoscibili), nonché di formulare osservazioni o richieste di carattere conclusivo.
Nei casi limite, in cui per circostanze contingenti occorra necessariamente procedere
alla chiusura della verifica ed i soggetti dianzi indicati non fossero disponibili, il
documento di prassi della Guardia di Finanza suggerisce di valutare la possibilità di
far sottoscrivere il processo verbale di constatazione ad altro soggetto, sulla base di
un’apposita procura rilasciata dal titolare dell’impresa/attività di lavoro autonomo o
dal rappresentate legale della società e contenente la specifica attribuzione
dell’incarico, in nome e per conto del titolare/rappresentante, di prendere cognizione
del processo verbale di constatazione, sottoscriverlo e riceverne un esemplare e,
63
Circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume I, parte III, conclusione delle verifica
fiscali e dei controlli, cap. 5, pagina n. 180.
64
Circa la recente evoluzione giurisprudenziale sulla figura dell’amministratore di fatto si rinvia al successivo paragrafo
4.13.
infine, sottoscrivere l’eventuale documentazione allegata all’atto.
In ogni caso, anche in detta eventualità, un altro esemplare originale del processo
verbale di constatazione dovrà essere rilasciato appena possibile al
titolare/rappresentante, mediante apposita e formale attestazione di avvenuta
consegna, sottoscritta da questi e dai verbalizzanti.
In relazione alla sottoscrizione del processo verbale di constatazione da parte di una
persona non autorizzata, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6351 del 10
marzo 2008, ha affermato che la suddetta circostanza non può costituire causa di
inutilizzabilità degli elementi e dei documenti acquisiti dai verbalizzanti65.
Inoltre, la Suprema Corte ha ritenuto che la copia del processo verbale di
constatazione possa essere sottoscritta anche da una delle persone identificate in
base ai parametri risultanti dall'art. 139, comma 2, c.p.c., ovvero dalle persone di
famiglia o dagli addetti alla casa, all'ufficio o all'azienda (che si trovino nei luoghi
indicati dall'art. 139 e che accettino di ricevere la copia dell'atto), dovendosi
presumere che le persone legate da vincoli familiari o da rapporti di lavoro, in forza
della solidarietà e della fiducia connessa con tali vincoli, siano idonee a curarne la
sollecita consegna al destinatario, in linea con quanto già sostenuto dalla stessa
Cassazione, con la sentenza n. 5761 del 199766.
Anche nel caso di società esterovestita, valgono le medesime considerazioni: i
funzionari dell’Amministrazione finanziaria dovranno adottare ogni cautela per
cercare di individuare il presunto amministratore di fatto della società che gestisce
l’impresa, allo scopo di consentire al medesimo soggetto di conoscerne le risultanze
dell’attività ispettiva, nonché di formulare richieste e/o osservazioni ai verificatori67.
Nel processo verbale di constatazione finale saranno compendiate tutte le violazioni
riconducibili ai fenomeni di esterovestizione societaria, con l’evidenziazione delle
relative sanzioni, che vengono di seguito indicate.
-
Omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie ai fini IVA/imposte sui
redditi.
Qualora il soggetto non residente non abbia esibito le scritture contabili istituite
all’estero, si rende applicabile la disposizione prevista dall’art. 9, comma 1, del
65
In particolare, la Suprema Corte ha osservato che, sebbene l’art. 52, comma 6, del D.P.R. n. 633/72 preveda che il
processo verbale di constatazione da cui risultano le ispezioni e le rilevazioni eseguite in sede di accesso, le richieste
fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute “deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo
rappresenta”, ove l’atto stesso sia firmato da persona “non autorizzata” (nel caso in specie la figlia del titolare
dell’azienda presso cui è stato effettuato l’accesso), non si determina alcuna invalidità, essendo evidente che il
riferimento al “rappresentante” contenuto nella norma citata, non può avere alcun significato tecnico-giuridico, ma vale
semplicemente a indicare una persona “addetta all’azienda o alla casa” per analogia a quanto previsto dall’art. 139 c.p.c.
in tema di notifica dell’atto in genere.
66
Circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume I, parte III, capitolo 5, pagina n. 179 e 180.
67
Inoltre, il contribuente ha diritto di ricevere un esemplare del p.v.c. anche nell’ipotesi in cui si rifiuti di sottoscriverlo;
ove rifiuti anche di ricevere il documento, questo sarà conservato dall’Amministrazione, nel fascicolo relativo al
contribuente, previa espressa menzione di tale rifiuto nello stesso processo verbale di constatazione, nel quale si darà
altresì atto che l’esemplare destinato al contribuente viene custodito presso l’ufficio, a disposizione della parte che potrà
ritirarlo in qualsiasi momento. Sullo specifico punto cfr. Circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di
Finanza, volume I, parte III, conclusione della verifica fiscali e dei controlli, cap. 5, pagina n. 187.
D. Lgs. 471/1997, che sanziona le violazioni degli obblighi relativi alla tenuta e
conservazione delle scritture contabili.
Di contro, se nel corso delle verifica fiscale, il soggetto verificato abbia esibito
tutta la documentazione amministrativo contabile, anche se istituita all’estero,
occorrerà valutare se l’apparato contabile possa essere considerato attendibile,
per la ricostruzione del reddito e del volume d’affari della società, sulla base
delle considerazioni già espresse nei precedenti paragrafi.
Qualora la contabilità fosse considerata inattendibile, resta salva la possibilità
per l’Ufficio finanziario di procedere all’accertamento induttivo, ai sensi dell’art.
39, secondo comma, del D.P.R. n. 600/1973 (redditi determinate in base alle
scritture contabili), dell’art. 41 del D.P.R. n. 600/73 (accertamento d’ufficio in
materia di imposte sui redditi), articolo 55 del D.P.R. n. 633/72 (accertamento
induttivo in materia di I.V.A.)
-
Omessa richiesta di attribuzione del numero di codice fiscale.
La società verificata, al momento dell’inizio dell’attività, avrebbe dovuto
presentare la domanda di attribuzione del numero di codice fiscale di cui all’art.
4 del D.P.R. n. 605/1973.
Conseguentemente, considerato che il soggetto ispezionato non ha presentato
alcuna domanda di attribuzione del numero di codice fiscale, si rendono
applicabili le disposizioni previste dall’art. 13 del D.P.R. n. 605/1973, che
sanziona l’omessa richiesta, entro i termini prescritti, del numero di codice
fiscale.
-
Omessa presentazione della dichiarazione di inizio attività e del luogo in cui
erano tenuti e conservati i libri, registri, le scritture ed i documenti
obbligatori.
La società verificata non ha effettuato le comunicazioni previste dall’art. 35,
comma 1, del D.P.R. n. 633/72, rendendosi responsabile della violazione
prevista e punita dall’art. 5, comma 6, del D. Lgs n. 471/1997.
-
Omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi ai fini IRES.
L’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, prevista dall’art. 1 e 4
del D.P.R. n. 600/73 e dagli artt. 1, 2 e 3 del D.P.R. n. 322/1998, comporta
l’applicazione della sanzione prevista dall’articolo 1, comma 1, del D. Lgs. n.
471/1997.
-
Omessa presentazione della dichiarazione annuale ai fini IVA.
L’omessa presentazione della dichiarazione IVA, prevista dall’art. 28 del D.P.R.
633/1972, sostituito dagli artt. 3 e 8 del D.P.R. 322/1998, comporta
l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 5, comma 1, del D. Lgs. n.
471/1997.
-
Omessa presentazione della dichiarazione annuale ai fini IRAP.
L’omessa presentazione della dichiarazione annuale IRAP, il cui obbligo è
previsto dall’art. 19, primo comma, del D. Lgs. n. 446/97, comporta
l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 32 dello stesso decreto.
Nello schema n. 3 sono riassunte le violazioni amministrative contestabili al
soggetto esterovestito nel processo verbale di constatazione.
Schema n. 3: violazioni amministrative contestabili al soggetto esterovestito
Descrizione della violazione
Sanzione prevista
Omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie
ai fini IVA/imposte sui redditi.
Art. 9, comma 1, del D. Lgs. 471/1997
Omessa richiesta di attribuzione del numero di
codice fiscale.
Art. 13, comma 1, lett. a), del D.P.R. n.
605/1973
Omessa presentazione della dichiarazione di inizio
attività e del luogo in cui erano tenuti e conservati i
libri, registri, le scritture ed i documenti obbligatori.
Art. 5, comma 6, del D. Lgs n.
471/1997
Omessa presentazione della dichiarazione annuale
dei redditi ai fini IRES.
Art. 1, comma 1, del D. Lgs. n.
471/1997
Omessa presentazione della dichiarazione annuale
ai fini IVA.
Art. 5, comma 1, del D. Lgs. n.
471/1997
Omessa presentazione della dichiarazione annuale
ai fini IRAP.
Art. 32 del D. Lgs. n. 446/1997
4.13. Profili penali tributari: redazione di atti di p.g.
La società “esterovestita” è obbligata ad ottemperare a tutti gli obblighi che
l’ordinamento tributario prevede per le società e gli enti residenti.
Pertanto, tutti i suoi redditi devono essere assoggettati a tassazione in Italia. Sotto il
profilo penale, nel caso di fattispecie riconducibili all’“esterovestizione societaria”,
occorrerà valutare l’effettiva offensività della condotta posta in essere.
Attesa la dichiarata residenza estera e la conseguente omessa presentazione della
dichiarazione nel Paese di effettiva residenza, la dottrina, pur non esistendo una
fattispecie criminosa ad hoc esame ascrivibile all’esterovestizione societaria, ha
unanimemente ritenuto ipotizzabile la fattispecie di reato di “omessa dichiarazione”,
prevista e punita dall’art. 5 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale prevede che:
“1. È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le
imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato,
una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta evasa
è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a lire centocinquanta
milioni (€ 77.468,53). 2. Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si
considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza
del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al
modello prescritto”68.
Il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, recante "Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", con le modifiche apportate dalla legge
di conversione 14 settembre 2011 n. 148, ha abbassato il limite di importo al di
sopra del quale scattano le sanzioni penali per evasione fiscale.
In particolare, è stata ridotta la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione
penale da 77.468,53 euro a 30.000 euro .
Rinviando agli specifici approfondimenti dottrinali in materia 69 , in questa sede
appare opportuno dedicare uno spazio al possibile responsabile del reato, non sempre
facilmente individuabile.
Il soggetto attivo è colui che realizza il fatto conforme alla fattispecie astratta di reato.
Nonostante la norma appaia prima facie destinata a “qualunque soggetto” (chiunque,
al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non presenta una delle
dichiarazioni annuali relative a dette imposte), la dottrina ritiene che l’art. 5
costituisca un reato proprio con riferimento al soggetto che, investito di idonee
qualifiche funzionali, è obbligato alla presentazione della dichiarazione. Tali soggetti
coincidono con chi ha la rappresentanza legale della società ovvero con chi è
investito di specifici poteri e responsabilità.
Nel caso di “società esterovestita” l’eventuale responsabilità penale sarà da
ricondurre ai soggetti che, di fatto, hanno assunto le decisioni relative alla gestione
societaria esprimendo idonei impulsi volitivi.
68
In merito, è stata, altresì, ipotizzata (cfr. sul punto E. Mastrogiacomo, Profili penali del trasferimento fittizio della
residenza all’estero, in “il fisco” n. 41 del 12 novembre 2001, pag. 13328) la potenziale configurabilità del reato di cui
all’art. 11 del D. Lgs. n. 74/2000, “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, nel caso di compimento, a
seguito della riqualificata residenza fiscale, di atti simulati o fraudolenti su propri od altrui beni idonei a rendere in tutto
o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Non appare, invece, configurabile, nel caso in esame, il reato
di omesso versamento di I.V.A, ex art 10-ter del D. Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, considerata l’assenza dell’oggetto
materiale del reato, ossia la dichiarazione presentata (contra cfr. D. Leone, Il nuovo regime presuntivo di localizzazione
per le società esterovestite, in “il fisco” n. 38/2006 pag. 1-597).
69
Per approfondimenti cfr. M. Grazioli, M. Thione, L’esterovestizione societaria. Caratteristiche distintive del
fenomeno e riflessi penali-tributari, op. cit..
Si fa riferimento, quindi, agli amministratori di fatto della “società esterovestita”,
non necessariamente coincidenti con gli amministratori della (formale) società estera,
sovente non dotati di effettivi poteri, ma meri esecutori di direttive provenienti da
soggetti residenti in Italia.
Determinante, pertanto, nell’indagine ricostruttiva dell’origine degli impulsi
decisionali è l’individuazione dei soggetti che effettivamente assumono le decisioni
più importanti relative all’impresa.
Più “defilati”, invece, appaiono quei soggetti che, seppur operanti nel territorio di
riqualificata residenza, collaborano nella gestione societaria.
Questi ultimi soggetti, spesso dirigenti, funzionari o consulenti di società
appartenenti al medesimo Gruppo, potranno eventualmente rispondere a titolo di
concorso ex art. 110 c.p. nel reato di omessa dichiarazione, soprattutto qualora siano
dotati di specifiche competenze tecnico-professionali che inducano a ritenere
integrato l’elemento soggettivo del reato70.
Assume, pertanto, un ruolo chiave la figura dell’amministratore di fatto, sulla
quale si è espressa di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23425 del
10 giugno 2011, ud. del 28 aprile 2011, Sez. III pen..
La pronuncia, benché non riguardante specificatamente un caso di esterovestizione,
offre importanti spunti interpretativi.
Secondo i giudici di legittimità, come espressamente si legge nella massima, “deve
ritenersi ammissibile la configurabilità del concorso dell’amministratore di fatto nei
reati commissivi, ma anche in quelli omissivi propri, nel senso che autore principale
del reato è proprio l’amministratore di fatto salva la partecipazione di estranei
all’amministrazione secondo le regole del concorso di persone nel reato”.
In particolare, per quanto riguarda il reato di omessa dichiarazione, la Cassazione
ritiene che il rappresentante legale della società (che deve sottoscrivere la
dichiarazione) si considera assente non solo quando manchi la nomina, ma anche in
presenza di un prestanome che non abbia alcun potere o ingerenza nella gestione
della società.
Quest’ultimo, pertanto, non è in condizione di presentare la dichiarazione perché non
è in possesso della documentazione contabile tenuta dall’amministratore di fatto.
L’amministratore di fatto, conseguentemente, è il vero autore del reato, mentre
l’amministratore formale può essere eventualmente considerato corresponsabile sulla
base del codice civile.
70
In altre parole, non sempre chi esegue le direttive operative è consapevole di operare in favore di una società
esterovestita in quanto non la gestisce direttamente (essendo un mero esecutore) e non trae un diretto beneficio di
imposta. D’altra parte, nel caso in cui il soggetto conosca la normativa tecnica, è regola di esperienza che possa
rappresentarsi ciò che accade ed accettarlo.
Tale principio è riscontrabile anche per le sanzioni amministrative tributarie ai sensi
dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997, che parifica il legale
rappresentante all’amministratore di fatto. Specifica, infine la Corte, che “il principio
dell’equiparazione dell’amministratore di fatto a quello di diritto è stato
recentemente recepito dal legislatore in occasione della riforma del diritto societario.
Dispone l’art. 2639 c.c. introdotto con il D. Lgs. n. 6 del 2003, che per i reati
societari previsti dal titolo quindicesimo del libro quinto del codice civile al soggetto
formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge è
equiparato chi esercita in materia continuativa i poteri previsti dalle legge”.
4.14. La notifica dell’atto impositivo al soggetto esterovestito.
La disciplina della notificazione degli atti tributari è costituita da un complesso di
norme di carattere procedimentale le quali rinviano alla disciplina delle notifiche del
processo civile, contenuta nel libro primo, titolo sesto, sezione quarta del codice di
rito.
Anche a causa di tale rinvio ad altro ramo dell’ordinamento, non è agevole
l’individuazione della disciplina di riferimento a cui deve essere ricondotto il singolo
caso di specie.
La citata complessità assume ulteriori profili di problematicità nel caso di persone
giuridiche “esterovestite” 71 . Quest’ultime, infatti, benché formalmente abbiano la
sede legale all’estero, vengono riqualificate dall’Amministrazione come soggetti
fiscalmente residenti in Italia. Si pone, dunque, il problema su come procedere alla
notifica dell’avviso di accertamento.
La notifica dell’atto impositivo ai soggetti fittiziamente residenti all’estero
costituisce un tema centrale, alla luce degli eventuali effetti che potrebbero derivare
sul provvedimento conclusivo a causa di una procedura di notificazione non rituale.
È opportuno rammentare, infatti, il disposto dell’art. 6 della L. 27 luglio 2000, n. 212
(Statuto dei diritti del contribuente) secondo cui pesa in capo all’Amministrazione
l’obbligo di assicurare l’effettiva conoscenza al contribuente degli atti a lui
destinati72.
Il citato art. 6 fa salve le ordinarie regole di notifica, prevedendo espressamente che
“restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari”. Il rispetto di
tali regole, dunque, è garanzia di attuazione del principio statutario di “effettiva
conoscenza degli atti”.
71
Sintetiche considerazioni sull’argomento della notifica degli atti ai soggetti esterovestiti sono rinvenibili anche in M.
Thione, L’esterovestizione societaria: disciplina sostanziale e profili operativi, op. cit..
72
Ai sensi della citata disposizione, tali atti devono essere comunicati nel luogo di “effettivo domicilio del contribuente,
quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche
indicate dal contribuente, ovvero nel luogo in cui il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico
procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare”.
Di seguito si procederà all’esame della disciplina della notificazione, sintetizzandone
gli elementi principali, nel tentativo di applicare tali disposizioni al caso di una
contestata esterovestizione da parte del Fisco.
4.15. La notificazione nel diritto tributario: quadro normativo di riferimento.
La “notificazione” è un’attività attraverso cui viene portato a conoscenza del
destinatario un atto giuridico che lo riguarda, mediante la consegna di una copia
dello stesso.
L’art. 42 comma 1 del DPR 600/73 (rubricato “avviso di accertamento”) prevede che
“gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza
dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o
da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.
Il rispetto della ritualità della notifica da parte dell’ente impositore rappresenta un
profilo centrale del procedimento, in quanto alcune patologie della notificazione
possono comportare la nullità dell’atto. Inoltre, la notifica acquista rilievo ai fini
dell’eventuale proposizione del ricorso.
Infatti, l’art. 21 del D. Lgs. 546/92 stabilisce che il ricorso deve essere proposto entro
sessanta giorni dalla notifica dell’atto.
L’art. 60 del D.P.R. 600/73 costituisce la norma di riferimento in tema di notifiche
per l’accertamento delle imposte sui redditi73; tali disposizioni non si applicano solo
agli avvisi di accertamento ma anche agli altri atti che per legge devono essere
notificati al contribuente74.
Lo stesso art. 60 opera un espresso richiamo agli artt. 137 e seguenti del codice
processuale civile, ma con alcune importanti peculiarità75.
Il quadro normativo che ne deriva è quindi eterogeneo, essendo strutturato sull’art.
60 del D.P.R. 600/73, sulle norme del codice processuale civile (fatte salve quelle
espressamente inapplicabili ex art. 60, comma 1, lettera f), D.P.R. 600/73), sulla L.
20/11/1982, n. 890 in materia di notifica a mezzo posta.
Dal citato quadro normativo derivano le varie modalità di notifica degli atti. In
particolare, la notifica può avvenire, per il tramite di messi comunali e di messi
autorizzati dall’ufficio imposte, attraverso le seguenti alternative:
-
73
nelle mani proprie del contribuente: l’art. 138 c.p.c. prevede che il soggetto
legittimato effettua la notifica “di regola mediante consegna nelle mani proprie
In altri settori dell’ordinamento tributario esistono norme specifiche. Ad esempio, in tema di cartelle di pagamento,
occorre fare riferimento all’art. 26 del DPR 602/73.
74
A titolo esemplificativo, gli inviti e le richieste ex art. 32 del DPR 600/73 devono essere notificati ai sensi della
norma in oggetto.
75
L’art. 60, comma 1, lettera f), sancisce, infatti, l’inapplicabilità dei seguenti disposizioni: art. 143 c.p.c. (notifiche a
persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti), art. 146 c.p.c. (notifiche a militari in servizio); art. 150 c.p.c.
(notificazione per pubblici proclami), art. 151 c.p.c. (forme di notificazione ordinate dal giudice).
del destinatario, presso la casa di abitazione oppure, se ciò non è possibile,
ovunque lo trovi” nell’ambito della circoscrizione cui è addetto;
-
presso il suo domicilio fiscale: ai sensi dell’art. 60 co. 1 lett. c) del DPR 600/73,
“salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la
notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario”.
-
presso il domiciliatario eventualmente indicato76;
-
per mezzo del servizio postale: ai sensi dell’art. 149 c.p.c., “se non ne è fatto
espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi anche a mezzo
postale”.
L’art. 14 della L. 890/82 prevede espressamente che gli atti tributari possano
essere notificati per mezzo del servizio postale. In tal caso, secondo il disposto
della norma citata, l’agente notificatore “scrive la relazione di notificazione
sull’originale e sulla copia dell’atto, facendovi menzione dell’ufficio postale per
mezzo del quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con
avviso di ricevimento. Quest’ultimo è allegato all’originale”.
La prova dell’avvenuta notifica deve essere fornita mediante l’esibizione della
cosiddetta “relata di notifica”77 o dell’avviso di ricevimento nelle notifiche a mezzo
posta78.
Quanto finora esposto può essere riepilogato nello schema n. 4.
Schema n. 4: notificazione degli atti tributari
Modalità di notificazione:
-
mani proprie del contribuente;
-
art. 60 del D.P.R. 600/73
-
norme del codice di rito (applicabili ai
sensi dell’art. 60 del D.P.R. 600/73);
-
domicilio fiscale del contribuente;
-
L. 20/11/1982, n. 890)
-
domiciliatario se indicato;
76
Soggetti abilitati:
messi comunali o
messi autorizzati
dall’ufficio
L’art. 141 c.p.c. prevede che la notifica a chi ha eletto domicilio presso una persona o un ufficio può avvenire
mediante consegna di copia dell’atto alla persona o al capo dell’ufficio in qualità di domiciliatario, nonché nel luogo
indicato nell’elezione. La norma prevede che la notifica nelle mani della persona o del capo dell’ufficio equivale a
consegna nelle mani proprie del destinatario. Il rifiuto di ricevere l’atto da parte del domiciliatario non osta al
perfezionamento della notifica (Corte di Cassazione, SS.UU., 26/6/2002, n. 9325).
77
La relata di notifica ha valore di atto pubblico e, pertanto, costituisce una prova legale (art. 2699 c.c.) facendo fede
fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’agente notificatore, per la constatazione dei
fatti avvenuti in sua presenza e per il ricevimento delle dichiarazioni resegli limitatamente al loro contenuto estrinseco.
78
L’art. 4 co. 3 della L. 890/82 statuisce che “l’avviso di ricevimento costituisce prova dell’avvenuta notificazione”.
4.16. Il domicilio fiscale delle persone giuridiche “esterovestite”.
Come rilevato nel sottoparagrafo precedente, ai sensi dell’art. 60, comma 1, lett. c)
del D.P.R. 600/73, “salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie,
la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario”.
Anche per ciò che riguarda le persone giuridiche, pertanto, la notifica deve essere
effettuata presso il loro domicilio fiscale. L’art. 58, comma 3, del D.P.R. 600/73
specifica che le persone giuridiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si
trova, in via graduata:
-
la sede legale;
-
la sede amministrativa;
-
la sede secondaria o una stabile organizzazione;
-
l’esercizio prevalente della loro attività.
L’art. 58 del D.P.R. 600/73 deve essere combinato con l’art. 145 c.p.c., secondo cui
la notifica alle persone giuridiche deve avvenire:
-
nella sede dell’ente;
-
mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata
di ricevere le notifiche, ad altra persona addetta alla sede stessa, al portiere dello
stabile in cui vi è la sede.
La notifica può anche avvenire, a norma degli articoli 138, 139 e 141 c.p.c., alla
persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto ne sia indicata la qualità e dove
risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
Alla luce di tale quadro normativo, pertanto, diviene determinante stabilire dove sia
ubicato il domicilio fiscale del soggetto esterovestito.
Il domicilio fiscale delle persone giuridiche viene fissato, ai sensi dell’art. 58 comma
3 D.P.R. 600/73, “nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la
sede amministrativa; se anche questa manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel
comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione all’estero e
in mancanza nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività”.
Ne consegue che, nel caso di asserita esterovestizione societaria, la fissazione del
domicilio fiscale avviene per mezzo dei medesimi criteri sostanziali che vengono
valorizzati per determinare la residenza dell’ente in Italia, e cioè la sede
dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’attività (luogo in cui l’ente esercita
prevalentemente la sua attività)79.
79
Un approccio interpretativo differente emerge nella circolare dell’Assonime del 31/10/2007 n. 67, par. 9.4. Il
documento avanza dubbi circa l’applicabilità della disciplina delle notifiche per i soggetti residenti, considerato che il
soggetto estero, al momento della notifica dell’accertamento, è tale solo per presunzione. L’Assonime, in particolare,
rileva che una notifica presso il domicilio fiscale “presunto” violerebbe il diritto di difesa, in quanto il soggetto ben
potrebbe risiedere all’estero, e non esser mai venuto a conoscenza dell’accertamento emanato nei suoi confronti.
Secondo l’Associazione, occorrerebbe notificare l’atto presso il rappresentante legale della persona giuridica, così come
stabilito dagli artt. 145 c.p.c. e 60 del D.P.R. 600/73, ovvero, se possibile, utilizzare la procedura di notifica prevista per
i soggetti residenti in paesi comunitari.
Appare opportuno evidenziare che, nel determinare il domicilio fiscale delle persone
giuridiche, il Legislatore ha fatto riferimento al concetto di sede amministrativa, e
non già della sede dell’amministrazione, come invece nella norma che determina i
criteri per stabilire la residenza fiscale del soggetto.
Le due espressioni, del resto, hanno un significato differente: la “sede
dell’amministrazione” si riferisce alla sede di effettiva gestione dell’ente (ossia il
luogo in cui vengono assunte le decisioni necessarie ad amministrarlo), mentre con
l’espressione “sede amministrativa” si intende ogni luogo in cui la società pone in
essere una qualsiasi attività di amministrazione, ad esempio la tenuta della contabilità
sociale od ogni altro servizio di back office.
Ne deriva che la sede dell’amministrazione è sicuramente anche una sede
amministrativa, mentre non è necessariamente vero il contrario.
Tuttavia, si può ritenere che le due espressioni siano utilizzabili, nel caso di specie,
come sinonimi80, in primo luogo “per l’utilizzo dell’articolo determinativo, che fa
intendere l’esistenza di una sola sede amministrativa, cosa che la qualifica in modo
diverso rispetto ad una qualsiasi sede secondaria in cui si svolgano servizi di tenuta
della contabilità o in genere di book keeping”; in secondo luogo “se la sede
amministrativa fosse diversa dalla sede dell’amministrazione, essa rappresenterebbe
necessariamente una sede secondaria, e quindi non vi sarebbe stato bisogno della
specificazione di tale concetto, in quanto già assorbito dal più ampio concetto di
sede secondaria”.
In un tale contesto, la questione del luogo in cui effettuare ritualmente la notifica
dell’accertamento corrisponde al thema probandum oggetto dell’accertamento stesso.
In altre parole, per comprendere se la notifica sia stata validamente effettuata nel
domicilio fiscale della società asseritamente esterovestita, è necessario stabilire se
detta società abbia la propria sede dell’amministrazione in Italia.
L’esame della questione pregiudiziale (la notifica), pertanto, non può non essere
compiuto se non esaminando prima una questione principale e di merito, la cui
soluzione riverbera i suoi effetti sulla questione pregiudiziale: “paradossalmente, in
casi come questo, la questione pregiudiziale (…) perde ogni autonomia, divenendo
irrilevante, in quanto assorbita dalla questione di merito”81.
In materia di notifica dell’atto impositivo alle persone giuridiche esterovestite,
appare opportuno analizzare alcune pronunce di merito e le relative soluzioni
adottate.
Un caso pratico meritevole di approfondimento è costituito dalla sentenza della
Commissione tributaria regionale Toscana, Sez. XXV, 18 gennaio 2008 (3 dicembre
2007), n. 61.
80
Analoga posizione interpretativa è rinvenibile nella Circolare UNGDC n. 7 del 20 maggio 2009, Unione nazionale
giovani dottori commercialisti, La residenza fiscale delle società nell’Ires ed il fenomeno dell’esterovestizione
societaria. Gli stralci riportati nel periodo sono tratti dal citato documento.
81
Il riferimento è a Circolare UNGDC n. 7 del 20 maggio 2009, op. cit..
Gli avvisi di accertamento da cui è scaturita la controversia avevano contestato la
localizzazione italiana della sede amministrativa di una società con sede legale
all’estero (in Olanda, nella fattispecie).
La società olandese, sub-holding del gruppo e su cui si è incentrata la contestazione
di “esterovestizione”, deteneva i pacchetti di controllo di svariate società operative
estere, gestendo le società partecipate e fornendo loro una serie di servizi di
coordinamento, trasmissione di dati e informazioni, nonché assicurando alle stesse
un flusso di finanziamenti e una gestione della liquidità e del marchio. Gli avvisi di
accertamento erano stati notificati presso la direzione generale della società
controllante italiana, cioè della capogruppo, mediante consegna a mani di uno degli
amministratori della società estera.
Secondo l’Ufficio finanziario la società destinataria dell’accertamento, pur avendo la
sede legale all’estero, avrebbe avuto la sua effettiva sede di direzione in Italia e,
dunque, la notifica stessa avrebbe potuto essere effettuata presso la controllante
(evidentemente, sul presupposto che ivi insistesse la sede effettiva della sub-holding
estera). La commissione tributaria provinciale aveva accolto i ricorsi per ragioni
attinenti alla nullità della notifica degli atti di accertamento.
Da qui l’instaurarsi del contenzioso in Commissione regionale.
Quest’ultima dapprima affronta il profilo sostanziale, ritenendo che l’Ufficio non
avesse raccolto sufficienti prove a sostegno della presenza in Italia del “place of
effective management” del presunto soggetto esterovestito ed in particolare, che non
avesse dimostrato, con argomenti convincenti, la sussistenza e la continuità di attività
amministrative e di gestione localizzate in Italia.
I giudici, dopo aver appurato il profilo sostanziale, escludendo che la società
olandese avesse la sede di direzione in Italia, hanno comunque affrontato, con un
certo grado di approfondimento, il tema della notifica, opportunamente rilevando una
stretta connessione tra il profilo sostanziale e quello pregiudiziale: “la questione
preliminare relativa alla notifica è strettamente collegata a quella sostanziale,
perché le obbligazioni tributarie ritenute dall’Ufficio sussistono se ed in quanto la
società abbia la sua sede operativa in Italia”82.
La Commissione regionale si sofferma, dunque, sulle modalità e il luogo della
notifica, evidenziando come, in assenza di una sede amministrativa in Italia e,
dunque, di un “Comune” nel quale eseguirsi la notificazione, l’Ufficio avrebbe
dovuto notificare gli atti di accertamento nella sede legale della società in Olanda.
Del resto, secondo i giudici, tale sede “estera” era ben conosciuta
all’Amministrazione finanziaria, la quale avrebbe potuto avvalersi della notifica a
mezzo posta.
Ciò anche in ossequio alla previsione dell’art. 6 dello Statuto del contribuente,
secondo cui l’Amministrazione deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del
contribuente degli atti a lui destinati, provvedendo a notificarli nel luogo del suo
82
Stralcio della sentenza in esame.
effettivo domicilio, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa
Amministrazione. In particolare, secondo la C.T.R. l’art. 58, terzo comma, del D.P.R.
n. 600/1973 stabilisce che i soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio
fiscale nel Comune in cui si trova la sede legale o, in mancanza, la sede
amministrativa.
Se anche questa manca, tali soggetti hanno il domicilio fiscale nel Comune dove è
stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e, in mancanza, nel
Comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività.
Nel caso di specie i giudici tributari hanno escluso che la sede dell’amministrazione
della società olandese fosse ubicata presso la sede della controllante italiana,
concludendo nel senso che la notifica dovesse essere effettuata all’estero, presso la
sede legale della società olandese.
La dottrina, commentando la pronuncia in esame, ha opportunamente rilevato che “la
questione del luogo di effettuazione delle notifiche, in casi del genere, innesca
comunque un circolo vizioso: per sapere se l’atto di accertamento può essere
notificato in Italia (ad esempio, come nel caso di specie, presso la controllante
italiana) occorre infatti prima stabilire se la società estera ha una sede
amministrativa in Italia, ma ciò è al tempo stesso proprio l’oggetto del contendere.
Si tratta dunque di situazioni in cui l’esame di una questione pregiudiziale non può
essere compiuto se non esaminando prima una questione principale e di merito, la
cui soluzione riverbera i suoi effetti sulla questione pregiudiziale”83.
Ne deriva che la questione pregiudiziale perde, sul piano concettuale, ogni carattere
di autonomia; il tema della notifica viene, pertanto, assorbito dal profilo sostanziale,
ossia dalla questione di merito.
Qualora il giudice accerti che il “poem” della società è localizzato in Italia, la
questione pregiudiziale del vizio della notifica non potrà che essere rigettata (per
ragioni attinenti al merito).
Nel caso in cui, invece, il giudice escluda l’esterovestizione del soggetto non
residente, la decisione della causa dipenderà (anche in questo caso) da ragioni
attinenti al merito, ancorché si tratti di ragioni che possano potenzialmente inficiare
la notifica dell’atto impugnato.
Nelle sentenze della Commissione tributaria provinciale di Belluno 14 gennaio 2008,
nn. 173 e 17484 (nell’ambito delle quali viene confermata l’esterovestizione di una
società con sede legale dichiarata in Germania) il giudice tributario ha avallato
l’operato dell’Ufficio con riferimento alle modalità di esecuzione delle notifiche
degli atti impositivi.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria, agendo “ad abundantiam”, aveva
eseguito le notifiche per il tramite di raccomandate sia all’estero (presso la formale
sede legale della società tedesca), sia in Italia (presso la presunta sede effettiva
83
D. Stevanato, Prova dell’esterovestizione e luogo di effettuazione delle notifiche: viene prima l’uovo o la gallina?, in
“GT - Rivista di giurisprudenza tributaria” n. 5 del 2008, pag. 429.
84
Per un commento delle sentenze in esame cfr. D. Stevanato, Holding statiche e accertamento della residenza fiscale
italiana dell’ente estero, in “Corriere Tributario”, n. 12/2008, pag. 965.
individuata dai verificatori nella sede della controllante italiana), sia presso il
rappresentante legale della società estera (più precisamente presso il suo domicilio
fiscale italiano e il suo indirizzo estero).
Nella sentenza, il giudice tributario ritiene che le modalità di notifica attuate
dall’Ufficio siano conformi alle norme di legge in tema di notificazione degli atti
così come risulta dal combinato disposto dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973 e degli
artt. 136 ss. c.p.c.. La commissione ha quindi considerato applicabile l’art. 145 c.p.c.,
che disciplina la notifica alle persone giuridiche e prevede anche la possibilità di
notificare alle persone fisiche che rappresentano l’ente, non ritenendo, invece,
necessaria la notifica all’estero.
5.
Esterovestizione societaria: l’elenco della giurisprudenza e della prassi
ministeriale.
5.1. Giurisprudenza:
-
di legittimità.
Corte di Cassazione, sentenza 13 ottobre 1972, n. 3028;
Corte di Cassazione, sentenza 10 dicembre 1974, n. 4172;
Corte di Cassazione, sentenza 25 febbraio 1978, n. 969;
Corte di Cassazione, sentenza 28 giugno 1981, n. 650;
Corte di Cassazione, sentenza 2 dicembre 1982, n. 6560;
Corte di Cassazione, sentenza 2 marzo 1983, n. 1567;
Corte di Cassazione, sentenza 24 marzo 1983, n. 2070;
Corte di Cassazione, sentenza 16 giugno 1984, n. 3604;
Corte di Cassazione, sentenza 5 febbraio 1985, n. 791;
Corte di Cassazione, sentenza 13 giugno 1986, n. 3945;
Corte di Cassazione, sentenza 27 giugno 1986, n. 4283;
Corte di Cassazione, sentenza 9 giugno 1988, n. 3910;
Corte di Cassazione, sentenza 26 febbraio 1990, n. 1439;
Corte di Cassazione, sentenza 5 aprile 1990, n. 2831;
Corte di Cassazione, sentenza 8 maggio 1991, n. 5123;
Corte di Cassazione, sentenza 9 dicembre 1991, n. 13226;
Corte di Cassazione, sentenza 22 luglio 1995, n. 8040;
Corte di Cassazione, sentenza 11 marzo 1996, n. 2001;
Corte di Cassazione, sentenza 7 novembre 2001, n. 13803;
Corte di Cassazione, sentenza 21 ottobre 2005, n. 20398;
Corte di Cassazione, sentenza 26 febbraio 2007, n. 4303;
-
di merito.
Commissione Tributaria Centrale, sentenza 10 ottobre 1996, n. 4992;
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sentenza 18 aprile 2007,
n. 108/16/07;
Corte di Giustizia Europea, C-73/06 del 28 giugno 2007
Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sentenze 3 dicembre
2007 – 14 gennaio 2008, n. 173/01/2007 e 174/01/2007;
Commissione Tributaria Regionale Toscana, sentenza 3 dicembre 2007 –
18 gennaio 2008, n. 61/25/2007;
Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, sentenza 25 febbraio
2008 – 12 marzo 2008, n. 26/2/2008;
Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, sentenza 1 luglio
2009 – 11 agosto 2009, n. 197/4/2009;
Commissione Tributaria Provinciale di Savona, sentenza 10 marzo 2011,
n. 46.
5.2.
Prassi ministeriale:
Circolare Agenzia delle Entrate 13 febbraio 2003, n. 9/E;
Circolare Agenzia delle Entrate 4 agosto 2006, n. 28/E;
Circolare Agenzia delle Entrate 16 febbraio 2007, n. 11/E;
Risoluzione Agenzia delle Entrate 5 novembre 2007, n. 312/E.