Vermeer il secolo d`oro dell`arte olandese
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Vermeer il secolo d`oro dell`arte olandese
Vermeer il secolo d’oro dell’arte olandese Vermeer e l’Italia: il percorso dell’artista e le sue affinità con la tradizione italiana. Testo in catalogo di Sandrina Bandera1 La pittura di Johannes Vermeer, apparentemente priva di cambiamenti o influenze, segue in realtà uno sviluppo culturale e un itinerario poetico che da un lato è l’espressione di una crescita personale, dall’altro va riferito al particolare contesto storico, sociale e artistico in cui l’artista visse. In questo testo si vuole approfondire quanto la cultura italiana può aver influenzato l’artista che, sembra, non compì viaggi in Italia restando apparentemente estraneo a quanto avveniva nelle città italiane e in particolare a Roma, punto di riferimento tradizionale per gli artisti stranieri. GOLDEN AGE Egli fu l’espressione più alta di un particolare fenomeno storico che prende il nome di Golden Age olandese: un momento di grande floridezza economica sviluppatasi intorno alla metà del XVII secolo dopo una lunga guerra iniziata nel 1559 e continuata nella Guerra degli Ottant’anni per l’indipendenza dalla Spagna. Si salvarono solo poche città, che, contro ogni aspettativa, nel 1609 crearono un nuovo stato. I limiti geografici e politici furono a lungo incerti, poiché non aveva confini naturali se non il mare, e si fissarono solo nel 1648, con la pace definitiva con la Spagna. Si trattava di un nuovo stato diverso dalle grandi monarchie nazionali caratterizzate da forme di potere centralizzato: nessun legame storico tra le città del nuovo stato, e nessuna forma qualificata di politica estera (in quanto a diplomazia e difesa). L’apparente impotenza politica del nuovo stato si rivelò in realtà la chiave del suo successo. Il dominio dell’Olanda perdurò dal 1618, cioè dall’epoca del dominio degli Orange, al 1672, anno dell’invasione francese. In questo periodo l’Olanda fu uno dei paesi più stabili. Delft, la città di Vermeer, fu simbolo di questa lotta per l’indipendenza dalla potenza spagnola, poiché essa era la residenza prediletta di Guglielmo d’Orange, detto il Taciturno, anima della rivolta contro la sovranità iberica. Se le città che costituivano il nuovo stato erano tra loro molto differenti, tutte parteciparono alla crescita economica dell’intraprendente paese che seppe sviluppare l’economia forse più fiorente dell’Europa del tempo. Uno sviluppo vario ed articolato in molteplici direzioni. Trainante fu il commercio di grano dal Baltico, che veniva stoccato ad Amsterdam e poi rivenduto a compratori esteri. Ma si commerciava burro, formaggio, carne, pesce. Leida e Haarlem furono centri di industria tessile. L’economia più vivace era comunque sviluppata nelle città marittime, mentre quelle più interne presentarono un ritmo più lento. A questa economia mercantile si aggiunse proprio in questo periodo di scoperte pre-industriali quella agraria, che fu realizzata grazie al drenaggio del mare e alla creazione di nuovi terreni coltivabili, in crescita a dismisura per le capacità lavorative del popolo olandese. Questo fenomeno creò non solo un cambiamento economico, ma di società, che fu marittima e anche agraria (con notevoli riflessi anche nella pittura di paesaggio). LE CITTA’ OLANDESI. L’IMPORTANZA DELLA DIMENSIONE URBANA Nonostante l’intensità del commercio che era sviluppato soprattutto nelle città costiere, si può affermare che la società olandese fu profondamente urbanizzata, cioè concentrata nelle città. Amsterdam con 200.000 abitanti era la città più grande, e molte città di circa 25.000 abitanti godevano di un sistema fiorente, come Doordrecht, Delft, Guoda e l’Aia. Anche molte altre città di circa 20.000 abitanti presentavano una società più che rispettabile. Il legame tra questi centri veniva assicurato attraverso un florido mercato e una buona rete di comunicazioni. Ogni città aveva una produzione identitaria che caratterizzava la propria industria specializzata, Leiden e Haarlem l’industria tessile ecc., per es. Delft la ceramica. L’Aia era invece capitale amministrativa. ECONOMIA MERCANTILE Caratteristiche poi furono le colonie olandesi, che diversamente da quelle spagnole o portoghesi, non erano fondate sulla forza militare, ma sul mercato. Le due forze dominanti da questo punto di vista erano, verso Oriente, la VOC Compagnia delle Indie d’Oriente, e a Occidente la WIC, Compagnia delle Indie occidentali, cioè Africa e America. L’economia correva soprattutto 1 Soprintendente per il Patrimonio Artistico Storico, Artistico ed Etnoantopologico di Milano attraverso il trasporto marino, utilizzando un tipo di nave, il fluit, disegnato apposta per correre sul mare con trasporti pesanti, ma facili prede delle scorrerie dei pirati. Allo scopo fu creata una flotta speciale per la loro difesa, che per quanto fosse attrezzata era praticamente impossibilitata a difendere l’enorme quantità di imbarcazioni commerciali che effettivamente correvano molti rischi. DELFT In quest’ambiente stimolante si sviluppò l’arte di Vermeer, che si intrecciò singolarmente con la storia del suo paese e in particolare con quella di Delft, piccolo centro che visse un breve sviluppo tanto veloce quanto fragile proprio come la breve vita del grande artista. Durante i due decenni tra il sesto e l’inizio dell’ottavo decennio Delft, che era stata già all’inizio del secolo stimolata dall’immigrazione proveniente dal Sud delle Fiandre, ma che artisticamente era vissuta a lungo all’ombra dell’Aia, dalla quale distava poco più di sei miglia, dopo la morte prematura nel 1650 del giovane Willam II d’Orange, in cui venne meno forzatamente l’influenza tipica delle corti d’Europa, divenne uno straordinario e moderno centro artistico. Fu il centro più importante dell’Olanda, che attirò da Amsterdam e Haarlem pittori quali Paul Potter, Carel Fabritius, Pieter de Hooch. Alla morte di Vermeer, nel 1675 a 43 anni, questo splendore era tramontato: alcuni di questi pittori erano già morti, come Carel Fabritius, nell’esplosione della polveriera che nel 1654 distrusse parte delle città, altri erano partiti, come Pieter da Hooch o de Witte, così che la città ricadde nella sonnolenza provinciale da cui l’immigrazione l’aveva svegliata un secolo prima. Non restò se non l’industria della tradizionale ceramica bianca e azzurra. LA LIBERTA’ RELIGIOSA IN OLANDA Questa particolare società visse in modo singolare il rapporto con la religione, distinguendosi profondamente dal resto dell’Europa, e creando conseguentemente un contesto che fu determinate per lo sviluppo artistico, per le scelte dei soggetti dei dipinti, per l’identità dei committenti, fino al formato e alle dimensioni ei dipinti commissionati. Poiché veniva data maggior importanza ai valori che potevano indurre alla pace piuttosto che all’uniformità religiosa, le religioni erano praticamente tutte sopportate: Chiesa Riformata, Protestanti, Cattolici ed Ebrei. I Cattolici non potevano esprimersi pubblicamente e soffrivano di un inconscio senso di superiorità. Sebbene fossero tollerati, non godevano della possibilità di praticare pubblicamente il culto. Verso la metà del Seicento le missioni cattoliche, per lo più dei gesuiti, erano comunque più o meno complete. Circa un terzo della popolazione sembra essere stato cattolico. La maggior concentrazione si trovava nel North Brabant. I Cattolici erano sì liberi, ma era loro impedito di praticare pubblicamente le loro liturgie e in alcune province, sebbene non in Olanda, di iscriversi nelle ghilde. Essendo costretti a praticare il culto in segreto, le chiese esistenti erano nascoste. Vi era in conseguenza un forte controllo da parte della forza pubblica, che sostanzialmente sopportava attraverso compensazioni in pagamenti in denaro. Anche i protestanti e gli Ugonotti furono sopportati, e anche a loro era impedito di praticare. Per questo motivo l’Olanda divenne sede di molti rifugiati per ragioni religiose: Cartesio visse molti anni nella Repubblica olandese. Spinoza nacque in una comunità ebraica di Amsterdam. Vi era dunque nella Repubblica olandese un grado di libertà religiosa, che potremmo dire unico in tutta Europa e che favorì il formarsi di una cultura artisticamente molto sviluppata. Questo contesto è tanto più importante se si pensa che Johann Vermeer, di famiglia pretestante al momento del suo matrimonio nel 1653 assunse la religione cattolica. DIFFERENZE CULTURALI NELLO STATO OLANDESE Vi fu una netta differenza tra l’Olanda (comprendente anche le provincie marittime) e le province della terraferma (dell’interno). Tanto quanto la prima era progressista e appoggiata su un’economia in crescita e progresso continui, tanto le altre erano conservatrici: Jan de Vries e Ad van der Woude considerano questa esperienza il primo esempio di economia moderna. Fondamentalmente la differenza si basava proprio sulla differenza religiosa. La rivolta iconoclasta, fomentata dal clero protestante nel 1566 si era diffusa con grande velocità, creando una enorme distruzione di dipinti e immagini sacre, che fu particolarmente acceso a Delft, proprio nel mese di agosto di quell’anno. La distruzione delle chiese nelle province meridionali cattoliche favorì, quasi per assurdo, un fiorire di attività artistica. Nuovi e ampi progetti apportarono un notevole incremento di attività nella bottega di Rubens e di altri artisti, per esempio. Al Nord, tuttavia, la reazione protestante alle immagini di devozione ebbe come esito il sorgere di un’arte destinata alle case private. Si assiste così allo sviluppo di dipinti di piccolo formato, di soggetti profani o di temi 2 tratti dalla bibbia. I testi di Calvino incitavano gli artisti a celebrare la natura in tutte le sue forme, incoraggiando così l’arte profana. Ma la spaccatura tra Nord e Sud non deve essere sovrastimata. La stessa arte di Vermeer è la prova di una relativa assimilazione sul posto durante e oltre tutta la prima metà del Seicento. Il Protestantesimo si diffuse lentamente in una serie di espressioni differenti, essendo l’Olanda un paese dove si viveva sostanzialmente una notevole libertà religiosa. Delft assunse all’inizio una certa rigidezza, arrivando a obbligare i cattolici alla segregazione. Vermeer che attraverso il matrimonio con Catharina Bolnes (aprile 1653) divenne cattolico ebbe casa in Papenhoek, il cosiddetto quartiere “papista”, dove il culto cattolico, altrove bandito, veniva permesso. Via via, nel tempo, prevalse una sempre maggiore disponibilità ad accettare ufficialmente il cattolicesimo. VITA DI VERMEER COME TOPOS DELLA SOCIETA’ OLANDESE La vita di Vermeer è a suo modo un caso esemplare del contesto in cui visse. Classe sociale mediocre. Suo padre fu locandiere e, come poi anche il figlio almeno per un certo tempo, mercante d’arte, con vari problemi con la giustizia, appartenente alla classe sociale degli artigiani e degli operai proprietari di case, godette con un certo agio, seppure fragile. Aveva iniziato come tessitore. Dopo aver acquisito una locanda, la trasformò in ostelleria, dove si svolgeva, come era abitudine a quel tempo, anche un certo mercato di opere d’arte. A differenza del resto dell’Europa, gli artisti olandesi avevano raramente l’occasione di ottenere grandi commissioni pubbliche, e quasi nessuna possibilità di impiego stipendiato. Sicché il mercato artistico era inondato da una marea di quadri da cavalletto di dimensioni ridotte, i prezzi erano abbastanza contenuti, la concorrenza durissima, e gli artisti costretti da ogni sorta di ripieghi per vendere i loro lavori e arrotondare di qualche modo le entrate. I quadri venivano proposti alle fiere e sui mercati pubblici, affidati ai venditori ambulanti, messi in palio nelle lotterie e battuti nelle aste. Soprattutto gli artisti dovevano legarsi contrattualmente con i mercanti d’arte, spesso a condizioni disastrose. Le gilde, che erano ancora esistenti, facevano il possibile per eliminare le difficoltà, organizzando e legalizzando aste e vendite di opere d’arte, e limitando severamente la concorrenza straniera. Molti artisti cercarono rimedio in un secondo lavoro. Non solo, come Rembrandt e Vermeer, nel commercio di quadri, ma in occupazioni estranee al loro mestiere. Jan van Goyen faceva l’agente immobiliare e il coltivatore di tulipani; Aert van der Neer possedeva una locanda ad Amsterdam, Jan Steen una birreria a Delft e un’osteria a Leyda, Jan van de Cappelle mandava avanti la tintoria paterna, Jacob Ruisdael faceva il barbiere-cerusico, Joos ven Craebeek il fornaio; Philips Koninck possedeva una compagnia di navigazione interna. Per via di questa attività il padre dell’artista entrò in contatto con importanti artisti, come Balthasar van der Ast, specialista in nature morte raffinate e arcaizzanti, Egbert van der Poel, pittore di notturni, e con Leonaert Bramer (1596-1674), famoso pittore cattolico, anch’esso noto per le scene notturne, che, reduce da un’intensa esperienza in Francia e in Italia, anche a fianco di Agostino Tassi, ebbe una lunga esperienza e Delft, dove nel 1629 entrò a fa parte della Corporazione di San Luca di Delft e ne fu ripetutamente a capo fino agli anni Cinquanta. Ricoprì anche il ruolo di sergente nella Guardia Civica e acquisì il contratto per il mantenimento dei dipinti nell'edificio del Doelen (sede della Guardia Civica). Fu tra i rari pittori di affreschi: affrescò il Prinsenhof di Delft, e ricevette importanti incarichi per le nobili dimore del Principe d’Orange, presso Delft, e del conte di Nassau. Vermeer poi, grazie al suo matrimonio e alla costante presenza della suocera, la longeva e abile Maria Thins, poté godere anche di un ruolo sociale più alto rispetto alla famiglia paterna. Con tutto ciò non raggiunse una particolare elevatezza economica e alla sua morte l’inventario dei beni testimonia una relativa immobilità sociale. DELFT CAPOLUOGO ARTISTICO Sicuramente l’artista viaggiò ampiamente nel suo paese, facilitato come doveva essere dall’esistenza di un sistema di trasporti attraverso le vie d’acqua molto efficiente. Una delle correnti artistiche più sviluppata in Olanda doveva essere il Caravaggismo, importato molto presto, da artisti come Hendrick ter Bruggen, a Roma tra il 1604 e il 1614. Questa influenza è particolarmente visibile nei dipinti, per citare i più noti, di Gerard van Hontorst, di Hendrick ter Bruggen, di Leonaert Bramer e di di Dirck Baburen. Anzi la suocera dell’artista doveva sicuramente possedere un dipinto di quest’ultimo rappresentante La Mezzana, ora al Museum of Fine Arts di Boston, che appare in due dipinti di Vermeer, Ragazza seduta al Virginale, della National Gallery di Londra, ca. 1675, e Concerto, già all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, del 1664 circa. Utrecht divenne il centro dei caravaggisti che praticavano la pittura di genere, ma non disdegnavano scene mitologiche e bibliche. Essi si appoggiavano a esempi italiani, 3 in quanto a taglio figurativo e distribuzione delle figure, combinando questi caratteri con il realismo tipico dei pittori del Nord Europa: mimica facciale caricata, luce a bagliori o scene a lume di candela. Non si esclude che la scuola dei caravaggeschi di Utrecht fosse legata al teatro, alla pantomima o al teatro satirico. Faceva parte del gruppo anche Abraham Bloemaert, cattolico, che è indicato da alcuni come un possibile maestro dell’artista e tramite per il suo avvicinamento alla famiglia della futura moglie. Dipinti come Cristo nella casa di Marta e Maria, National Gallery di Edimburgo, del 1654-55, oltre a mostrare l’adesione alla visione classicheggiante di Erasmus Quellinus e di Christiaen Couwenberg come indica chiaramente un dipinto eseguito ad Anversa dallo stesso soggetto, ora al Musée dex Beaux Arts di Velenciennes, testimoniano infatti, che nel suo apprendistato il giovane Vermeer dovette conoscere da vicino la scuola di Utrecht, della quale esistevano numerosi esempi nelle collezioni di Delft. L’attività artistica di Delft raggiunse l’apice negli anni in cui il giovane Vermeer fu accolto all’interno della gilda di San Luca (1653). A quell’epoca l’industria della porcellana era al suo massimo splendore. Se alcuni artisti, come Jacob van Velsen, lasciarono la piccola città, molti altri vi furono richiamati, tra i quali merita sicuramente di essere citato Carel Fabritius, allievo di Rembrandt, in una continua ricerca di una pittura sempre più chiara e limpida, che morì nell’esplosione che distrusse Delft nel 1654. Altri artisti vanno ricordati, che si trasferirono a Delft per lavorarvi, come Pieter de Hooch, Abraham van Beyern (che dipinse marine e nature morte), Emmanuel de Witte. Diversamente da Vermeer questi artisti abbandonarono negli anni seguenti la piccola Delft: de Hoovh, van Beyeren e de Witte, se ne allontanarono intorno al 1662, quando Vermeer potè entrare nella Gilda di Dan Luca. VERMEER: DA UNA FORMAZIONE NON ACCADEMICA A UNA PERCEZIONE INTRISA DI NEOPLATONISMO Diversamente dalla tradizione italiana, che dalla fine del Cinquecento aveva istituito le accademie per la formazione dei giovani artisti, che divennero centri di cultura classica, dove si svolgevano insegnamenti pluridisciplinari, estesi anche alla mitologia e alla storia, impostato sulla tradizione classica del disegno e della scultura antica, Vermeer andò semplicemente a bottega, per apprendere tecniche ed espedienti, ma non frequentò ambienti accademici. Non solo, ma le sue opere giovanili, come la Mezzana, 1656 (Dresda, Gemäldegalerie) lasciano intendere una conoscenza diretta di pittori caravaggeschi, per il soggetto, che fa pensare all’iconografia tipica di Caravaggio, come “bari” o “buona ventura”, soggetti diffusi da lui stesso e dai suoi seguaci (manfrediana methodus). Oltre all’ipotesi di una formazione presso Fabritius, è stata avanzata quella di una formazione presso i caravaggeschi della Scuola di Utrecht. Ma in realtà non vi è in Vermeer una simile e sostanziale propensione alla visione caravaggesca, così che in realtà la formazione dell’artista rimane ancora oscura. Ciò che è assolutamente certo è il suo interesse sviluppatasi negli anni Cinquanta chiaramente visibile nelle primissime opere di soggetto non religioso, che divenne poi basilare per la rappresentazione spaziale e prospettica. Questa ricerca si basava su una tradizione pittorica di visioni spaziali diffuse a Delft da alcuni artisti come Fabritius, si ricordi per es. Il venditore di strumenti musicali, con veduta prospettica di Delft, Londra, National Gallery, 1652, e come Daniel Vosmaer, si veda per esempio la Veduta di Delft attraverso una loggia immaginaria (L’aia, Istituto Collectic Nederland) del 1663. E’ molto probabile che Vermeer abbia raggiunto i risultati degli anni Sessanta, evidenti nella Veduta di Delft al Mauritshuis dell’Aia del 1661-63 attraverso l’uso della camera oscura, anche se nell’inventario dei suoi beni, essa non è citata, ma è anche evidente che egli ne fece un uso non passivo, ma piuttosto la utilizzò quasi per approfondirne gli effetti. Fu forse un personaggio di grande levatura, che frequentava ambienti artistici e scientifici, a far conoscere a Vermeer le potenzialità della camera oscura, Costantijn Huygens, la cui casa all’Aia fu un vero centro artistico e letterario. Egli fu quasi una figura mitica, umanista e conoscitore della letteratura neo-latina, fu diplomatico a Venezia e Londra, in grado di parlare in sei lingue, era attratto dagli studi classici, metafisici e scientifici, soprattutto dall’ottica. Fu anche corrispondente di Cartesio. Sappiamo che fu fra gli artisti in contatto con Rembrandt, van Honthorst, Jordaens, Rubens, van Dyck. Sebbene per ora non si sia trovato alcun documento circa i suoi rapporti diretti con Vermeer, la critica è molto propensa a ritenere che l’artista e il letterato dovette avere una frequentazione. Padre del famoso fisico Christian e di Constantin Jr., che nel 1690 annunciò al fratello , scrivendo da Londra, di essere entrato in possesso del famoso “Codice Huygens”, già attribuito anche a Leonardo, che raccoglie la grande tradizione leonardesca dell’ottica rinascimentale, Costantin senior (1596-1687) è stato considerato da Svetlana Alpers in un testo fondamentale sulla civiltà artistica olandese il padre della moderna cultura olandese. Attraverso la sua poco nota autobiografia scritta in latino, iniziata nel 1629 dove si appella a Francesco Bacone e a Cornelis Drebbel, scienziato esperto in microscopi, e attraverso un lungo 4 poema con commento in prosa dedicato alla moglie, come elogio della vita quotidiana, del 1630, il Daghwerk, egli ebbe il merito di imporre seppure indirettamente le basi della visione artistica del suo paese. Scienza dell’ottica e vita intima familiare sono espressioni, secondo Constanijn Huygens del sapere stesso. Per quanto l’interpretazione della Alpers possa oggi apparire superata in nome di altri modi di leggere l’arte olandese, sia filologico sia connesso alla documentazione archivistica sia simbolico, sia spirituale, essa costituisce comunque un passo fondamentale nel cammino della comprensione della cultura scientifica di Vermeer. Con la sola eccezione in Italia di Galileo, l’Europa del Nord fu il centro della nuova tecnologia ottica. Seppure la ricchezza culturale di Constanijn Huygens lasci molti quesiti senza risposta, è doveroso considerare la sua particolare personalità come centro propulsore fondamentale anche per la comprensione di Vermeer. La biografia di Vermeer, per quanto, come s’è detto, non possa avvalersi di alcun documento da cui dedurre se egli possedesse una “camera oscura” offre spunti interessanti sulle conoscenze scientifiche dell’artista. Sappiamo infatti che la figlia dell’artista, Cornelia Vermeer (se è verosimile l’identificazione proposta dal Montias), frequentava una libraia di Delft, certa Margareta Huybrechts (rappresentante di una categoria sociale totalmente assente nel mondo femminile italiano ed europeo), che possedeva, stando a un inventario stilato nel 1671 (quando Vermeer era ancora vivo), Le due regole di prospettiva di Giacomo Vignola, l’Archetipa di Jacob Hoefnagel e un libro italiano di geometria oltre a una serie di volumi sulle simbologie religiose, come La vita di Santa Teresa, Il Libro dei martiri cattolici. L’opera di Vermeer che più rappresenta questa cultura diffusa da Constanijn Huygens, nella quale si intracciano l’ambizione artistica e il saper scientifico, è sicuramente l’Allegoria della Pittura del 1666-68 ora presso il Kunsthistorisches Museum du Vienna da considerarsi il testamento poetico dell’artista. Per la dimensione particolarmente grande in relazione alle altre sue opere, per la ricercata simbologia e per lo studio prospettico questo straordinario capolavoro, in cui egli dipinse se stesso visto di spalle nel proprio atelier viene considerato la summa della sua arte di pittore e delle sua conoscenze. L’invenzione della visione attraverso uno specchio e l’auto-rappresentazione di spalle rappresenta uno straordinario colpo di genio quasi teatrale, che Vermeer ha ripetuto mutatis mutandis anche in altri dipinti come nella Lezione di musica (1662-63) delle collezioni reali inglesi, dimostrandosi degno parallelo di altri contemporanei appartenenti ad altre lontanissime tradizioni culturali, come lo fu Diego Velasquez nel suo capolavoro Las Meninas (1656. E’ ancora marcatamente evidente nello strato di colore appena sotto l’estremità del bastone inferiore della mappa sotto la mano destra della modella il punto di fuga della prospettiva centrale. Ma al di là dello straordinario impegno nella resa della prospettica e della luce, è importante notare come Vermeer abbia voluto dar conto della sua capacità di uomo di cultura non tanto per la presenza di una serie di volumi in-folio sparsi nella scena rappresentata, ispirati a quelli che lui stesso possedeva, come è emerso nell’inventario della sua morte, ma per il modo di affrontare l’impegnativo soggetto. La Pittura infatti è la rappresentazione di Clio, musa della Storia, identificabile per la tromba e la corona di alloro, secondo l’immagine diffusa da Dirk Pers nella sua traduzione in olandese (1644) della Iconologia di Cesare Ripa. La rappresentazione sul fondo di una carta geografica particolareggiata in ogni ondulazione, secondo una precisa applicazione delle leggi dell’ottica, sembra sottolineare come la musa della storia possa garantire un futuro quasi eterno all’arte: ars longa, vita brevis secondo il famoso detto di Ippocrate. Comunque la preoccupazione di Vermeer per la prospettiva, le proporzioni e il sottile aggiustamento del campo visivo, come è stato notato, sono probabilmente indice non tanto e non solo delle sue conoscenze dell’ottica, ma di come la sua preparazione gli permettesse di attingere alla speculazione filosofica, di introdurlo dentro la visione neoplatonica dell’armonia delle misure del mondo. CRESCITA DEI RAPPORTI CON L’ARTE ITALIANA Diversamente dagli artisti italiani o partecipi delle vicende dell’arte italiana che hanno nella pittura accademica un costante riferimento, il percorso di Vermeer segue un itinerario differente, ma in fondo parallelo. Delle 35 opere comunemente attribuite alla breve carriera dell’artista, che era molto lento e meditativo nelle sue esecuzioni, solo pochissime sono datate: la Mezzadra a Dresda del 1556, l’Astronomo a Parigi del 1668 e il Geografo a Francoforte del 1669, un lasso di tempo di poco più di dieci anni, nel quale pur senza apparenti cambiamenti o spostamenti Vermeer mostra una capacità notevole di trasformarsi e soprattutto di saper esprimere attraverso una nitida percezione ottica non tanto la realtà quanto un’idea etica, un massaggio di ampie vedute e, attraverso una lettura interiore dei personaggi rappresentati, l’estrema sintesi di un pensiero filosofico. 5 Fase iniziale All’interno della sua produzione, che è raggruppabile in tre principali categorie, soprattutto la prima è testimonianza della conoscenza diretta di Vermeer dell’arte italiana, utilizzata come fonte di ispirazione più formale e superficiale che sostanziale. Questa prima fase inizia con la Santa Prassede firmata, comunemente datata al 1655, della coll. Johnson, che è copia perfetta, anche nelle misure, da un dipinto del pittore fiorentino Felice Ficherelli ancora esistente e oggi in coll. privata a Ferrara, del quale riprende anche gli schemi della suppellettile sacra, che, a lui di formazione protestante dovevano essere del tutto ignoti. Sappiamo che tra Firenze e l’Olanda esistevano effettivamente rapporti commerciali e politici, che furono coronati da un famoso viaggio compiuto da Cosimo III de’ Medici nei Peasi Bassi meridionali e settentrionali condotto tra il mese di dicembre 1668 e il gennaio 1669, dal quale ottenne la Veduta del Municipio nuovo di Amsterdam di Jan van der Heyden del 1667 che ora si trova agli Uffizi. Non va dimenticato che nel Seicento parecchi pittori olandesi, seguendo Paul Brill e altri fiamminghi, cercarono fortuna in Italia e soprattutto a Roma, dove soggiornarono a lungo. Si sa che il loro quartiere prediletto era la zona dove si praticava il commercio d’arte, come via Margutta e via del Babuino. Questi artisti costituirono un gruppo che prese il nome di Bentveugels. Si tratta di una vera associazione, con finalità di mutuo soccorso, nel quale, forse per lo spiccato senso di convivialità, tutti avevano un soprannome. Fra loro il più famoso era Pieter van Laer (1599 – post 1642), detto il Bamboccio, tanto che poi tutti i pittori del gruppo furono chiamati Bamboccianti. Nei Paesi Bassi i “paesaggi” di questi pittori venivano considerati italianizzanti per la tavolozza che, rispetto ai pittori in patria, era molto più luminosa. Lo stile di questi pittori è molto preciso e si distingue per i soggetti narrativi. Nella Repubblica olandese furono molto amati i paesaggi italiani di Cornelis van Poelenburg (1586-1667), che aveva trascorso in Italia un lungo periodo dal 1617 al 1625, e che successivamente si stabilì a Uthrecht. Insieme a lui va ricordato anche Bartolomaeus Breenberg (1598-1657), che con lui fu probabilmente fondatore dei Bentveugles. La critica sostiene che i “paesaggi” di questi pittori per il tono esotico fossero destinati in particolare a collezionisti nordici. Essi in Italia si dedicarono in particolare a “paesaggi”, “nature morte” e pittura “di genere”, cioè a soggetti che normalmente non praticavano, o praticavano meno, mentre al loro ritorno si dimostravano perfettamente in grado di dipingere quadri di “storia”. Non entrarono mai nell’Accademia di San Luca, e si ponevano in concorrenza. Per avere un’idea di questi gruppi di artisti presenti a Roma e delle loro specificità, è molto utile la lettura della Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini, scritte intorno al 1620 circa. Qui egli, distinguendo tra vare categorie, esamina un tipo di pittura, visibile nelle fiere che lui chiama “tedesche” e quindi nordiche, dove accenna alla pittura “di genere”. Essa si distingue dal quadro di “storia” perché non vi sono rappresentate azioni e perché il loro soggetto non è particolarmente “ponderoso”, cioè speculativo (ossia non filosofico né letterario). Il Mancini sostiene che questi quadri sono destinati al mercato. Tra l’altro in un altro passaggio egli dedica parole di simpatia al pittore caravaggesco Gerrit van Hontorst conosciuto prima del rientro a Utrecht, del quale si è parlato prima, per il suo carattere civile e cortese, per la melanconia che lo contraddistingueva e per il buon carattere spiritoso. Il dipinto con la Santa Prassede di Vermeer reca addirittura due firme una delle quali conferma la sua derivazione da un dipinto del maestro fiorentino Felice Ficherelli detto Felice Riposo [Ver]mer N[aar] R[ip]o[s]o. Per quanto alcuni studiosi siano scettici, e sebbene alcuni siano propensi a ritenere il dipinto opera di Jan Van der Meer di Utrecht, la critica sembra sempre più favorevole ad accogliere nel catalogo del nostro artista questo raffinato dipinto italianizzante. La conferma deriva, oltre che dalle firme, da alcuni fondamentali aspetti tecnici, come la stesura dello strato preparatorio del colore (imprimitura), che è tipica della pittura olandese e anche dello stesso Vermeer. Molti elementi pittorici, soprattutto nella stesura dei pigmenti e delle velature di superficie, poi, riconducono ad altri dipinti giovanili, come Cristo in casa di Marta e Maria di Edimburgo e a Diana e le Ninfe dell’Aia. La differenza iconografica testimonia evidentemente un’autonomia e sembra testimoniare la volontà e la richiesta specifica di un committente, da individuarsi nell’ambiente cattolico, per lo più gesuita, frequentato dalla suocera. Santa Prassede, fu cristiana dell’antica Roma del II secolo, vissuta in un’epoca di persecuzioni, era venerata per essersi presa cura dei martiri cristiani. Era sorella di santa Prudenziana, raffigurata sulla destra, e figlia di Pudenzio, discepolo di San Paolo. E’ rappresentata mentre strizza una spugna inzuppata nel sangue dei martiri cristiani. Rispetto al modello toscano, tuttavia, la santa tiene in mano un crocifisso, la cui presenza sembra un’allusione all’unione tra il sangue dei cristiani e quello di Cristo. Nell’ambiente dei cattolici olandesi il dipinto doveva sicuramente essere un’allusione alle persecuzioni inflitte dai protestanti. Nulla fa pensare che Vermeer sia stato in Italia, sebbene i numerosi documenti che percorrono la sua vicenda biografica presentino delle lacune, in 6 particolare poco dopo il 1650. Ed è forse possibile che Leonard Bramer con il quale Vermeer ebbe vari contatti gli abbia consigliato un viaggio di studio in Italia, come quello che lui stesso aveva effettuato. Esiste comunque anche la possibilità che il dipinto fiorentino si trovasse in Olanda, ma sembra impossibile che sia trovasse a Delft. L’esame scrupoloso degli inventari delle collezioni locali, condotto negli archivi di Delft da John Michael Montias, ha individuato solo cinque dipinti italiani presenti a Delft, tutte copie, che per quanto non interessanti ai fini dello studio della Santa Prassede di Vermeer costituiscono un’importante testimonianza della presenza di un mercato di arte italiana. Un florido mercato di arte italiana era presente in città non lontane, come Utrecht e Amsterdam. Il mercante Johannes de Renialme di Amsterdam, che possedeva una Visita al sepolcro di Vermeer, andata perduta, ma citata nel suo inventario, possedeva dieci dipinti italiani (tra cui una copia da Tiziano di Cornelis van Poelenburg (1586-1667). Dal momento che lo stesso Johannes de Renialme era anche registrato, come mercante, presso la Corporazione di San Luca di Delft e frequentava il notaio della famiglia dell’artista, Willem de Langue, non si può escludere a priori che questi dipinti potessero circolare anche a Delft. In ogni caso il nostro artista doveva conoscere l’arte italiana, e gli doveva essere riconosciuta anche una buona conoscenza, tanto che nel 1672, come si dice più avanti in questo stesso testo, fu convocato all’Aia, insieme a Johannes Jordaens di Delft per valutare un gruppo di dipinti italiani: per quanto l’esito sia stato negativo, poiché egli senza mezze parole ne diede un giudizio pessimo, l’accaduto e la sicurezza del suo giudizio sono la riprova della frequentazione di Vermeer di collezioni con dipinti italiani. Sicuramente il periodo iniziale dell’attività dell’artista, più sperimentale, è ricco di derivazioni, tra cui molte italiane o italianeggianti assorbite attraverso ciò che circolava nel mercato antiquario locale o attraverso informazioni provenienti da artisti che avevano viaggiato in Italia come i caravaggeschi di Utrecht o Gerard Ter Borch. Questo primo periodo è caratterizzato da composizioni basate sui codici tradizionali italianizzanti e baroccheggianti rappresentato, per esempio, da Diana e le Ninfe (1653-54, L’Aia) e Cristo in casa do Marta e Maria (1654-55, Edimburgo). Nella Mezzana (1656, Dresda), e soprattutto nella prima della versione Giovane Donna addormentata del Metropolitan Museum databile al 1656-57, che mostra attraverso le radiografie la presenza di due bicchieri e di un uomo (di evidente ispirazione erotica), poi annullati a favore di una versione più addolcita (come si dice più sotto), è molto chiara l’adesione ai modi caravaggeschi. Seconda fase Anche la seconda fase fu senza dubbio contrassegnata da una profonda, anche se meno appariscente, conoscenza dell’arte italiana. Non è esente infatti da questa lettura nemmeno il dipinto che per soggetto e taglio scenico segna nettamente il distacco dalla prima fase, la Lattaia del Rijksmuseum di Amsterdam, databile intorno al 1658, che indica chiaramente le caratteristiche della nuova fase della vita artistica di Vermeer riconoscibile per la rappresentazione intimistica di matrice olandese (simile a quanto dipingevano Nicolaes Maes e Pieter de Hooch), per il soggetto di genere e per l’importanza data a una semplice figura femminile in un atteggiamento domestico come protagonista unica. Esso è anche il primo dipinto caratterizzato da una composizione figurativa posta a ridosso della parete di una stanza, con una finestra verso sinistra (poi ripetuta dall’artista con continuità) che illumina la figura di un bagliore intenso e graduato tanto realistico quanto ricco di psicologia soffusa e di melanconia. Ma la sicurezza del corpo squadrato e delle forme pure geometriche in cui spalle e volto sono trasformati e quasi trasfigurati, il modo con cui la figura campeggia da vera protagonista nello spazio angusto della stanza, il senso di eternità del gesto e del flusso del liquido, come se la scena fosse al di fuori del tempo e dello spazio, ma anche l’essenzialità della scena, resa ancora più semplice attraverso l’eliminazione di alcuni particolari inizialmente dipinti sul pavimento (visibili nella riflettografia) rendono il dipinto veramente esemplare del percorso poetico dell’artista. Nella lettura che nel 1995-96 ne ha fatto Walter Wheelock, veramente illuminante, la composizione è messa in rapporto in modo molto calzante con un’opera del pittore ligure Domenico Fiasella, databile al 1645 circa, in collezione privata; ma non sappiamo quale sia stata la vera fonte d ispirazione, tanto che viene il dubbio che sia stata un’opera classicheggiante. Questa seconda fase riunisce una serie di grandi capolavori dell’artista, nei quali emergono definitivamente le sue specificità sia formali sia tecniche si di introspezione psicologica: scene di interni, intimità, dialogo serrato tra le figure (Giovane donna con bicchiere di vino di Braunschweig, del 1659-60), rappresentazioni di sentimenti (Giovane donna con bicchiere di vino, di Berlino, del 1658-59), luce che filtra attraverso vetrate (Lattaia), rappresentazione della vita della società del tempo (Giovane donna interrotta, Frick collection, 1658-59), rappresentazioni di 7 dettagli rdettagliati secondo le leggi dell’ottica moderna (Stradina, Amsterdam, 1659-61). Si ratta di un vocabolario in parte condiviso anche da altri suoi conterranei, come Gerrit Dou, Gerard ter Borch, Gabriel Metsu e Nicolaes Maes. Tale tendenza, come detto all’inizio di questo testo, fu molto favorita dal fatto che questi dipinti, diversamente dalla contemporanea produzione pittorica del resto dell’Europa e di quella italiana in particolare, non erano destinati a chiese o palazzi nobili, ma alle case della borghesia e degli artigiani (uno dei collezionisti di Vermeer fu un facoltoso fornaio), potendo così godere di un’enorme favore sociale. Scrive John Evelyn nel 1641 che il 31 agosto si trovava alla fiera Rotterdam: ”Arrivammo tardi a Rotterdam dove c’era il mercato annuale, ossia la fiera così ricca di pitture (specialmente paesaggi e “drolleries” come chiamano qui queste rappresentazioni comiche) che ne ero sorpreso. Ne ho comperate alcune, le ho spedite in Inghilterra. La ragione dell’abbondanza di pitture e del loro modico prezzo sta nella mancanza di terre in cui impiegare il denaro, così che è comune trovare qualsiasi contadino che investe in questi beni due o tremila sterline. Le loro case sono piene e vendono alle fiere con grandi guadagni”. Ancora in questa fase si sente viva, per quanto percepibile solo attraverso pochissimi particolari appena visibili, l’influenza della pittura veneta, non sappiamo esattamente come e perché a Vermeer nota. La Donna addormentata del Metropolitan del 1657, che inizialmente, come si evince dalla presenza di due bicchieri di vino e di un uomo visibili attraverso la radiografia, doveva rappresentare una scena concentrata sugli effetti del vino (forse con istanze caravaggesche poi annullate), per altro sottolineata dalla presenza di un dipinto alle spalle raffigurante un Cupido altre volte rappresentato dall’artista, nella versione finale, epurata dalla presenza dei bicchieri e dell’uomo, presenta un senso di intimità e di melanconia, accentuato dal tono rosso e caldo della cromia generale, che sembra far pensare ai personaggi femminili (Sant’Elena o Sant’Orsola) di Paolo Veronese, pittore molto amato nel Nord Europa, a partire da Rubens, che nella sua casa di Anversa si era circondato di opere e copie di Tiziano e Paolo Veronese. Quest’ultimo dipinto costituisce in realtà la prima importante prova della capacità di Vermeer di saper rendere, attraverso i dettagli, la psicologia, l’anima, la sottile e dolce melanconia dei personaggi dipinti. Fonte di ispirazione per questi straordinari raggiungimenti dovette essere proprio l’arte italiana e in particolare la conoscenza dell’arte veneta, della quale egli riprese chiaramente il tono rossastro e caldo della preparazione di base. Sicuramente Vermeer ebbe modo di conoscere l’arte di Paolo Veronese, noto nel Nord Europa, tanto da essere l’artista preferito della Regina Cristina di Svezia, che nella sua collezione, trasferita a Roma nel 1655, possedeva straordinarie tele del Veronese, e di meditare sui personaggi femminili del Caliari, come potrebbe essere questo Sogno di Sant’Elena della National Gallery di Londra. Terza fase Dall’inizio degli anni Sessanta Vermeer, a esclusione di due straordinari dipinti di esterni, la Stradina (1659-61) di Amsterdam e la Veduta di Delft (1661-63) all’Aa, Vermeer esegue costantemente interni, fedele alla rappresentazione di spazi limitati, molto essenziali, di pochissime figure, rappresentate come fermate in posa, bloccate nel momento in cui il guizzo di un sentimento ne caratterizza i volti (amore, passione, melanconia, ricordo, speculazione del cielo, senso di incertezza). Per quanto le opere di questa fase siano inserite nella storia e nella realtà contemporanea dell’artista, per quanto i paesaggi siano quelli di Delft e per quanto gli interni siano quelli delle abitazioni borghesi dell’Olanda della metà del Seicento, arredate con mobili e dipinti assolutamente realistici, per quanto Vermeer sviluppi in queste opere la sua conoscenza delle leggi dell’ ottica, probabilmente usando la camera oscura, vi è nei suoi dipinti la capacità di trasformare le sue rappresentazioni in visioni assolute e universali. Eppure i suoi dipinti rispecchiavano fedelmente la realtà della vita quotidiana. Una prova emerge dall’inventario stilato alla fine di febbraio 1676, poco dopo la morte dell’artista della sua casa, che risulta essere senza ombra di dubbio il comune denominatore di tutte le opere dell’artista, lo sfondo rappresentato con precisione di dettaglio. La casa era composta di un seminterrato e di un primo piano formato da un vestibolo, una grande sala, una piccola camera adiacente alla sala, una cucina interna, un piccolo retro-cucina, una cucina per la cottura, una cucina con gli acquai e un corridoio, a cui va aggiunto un ulteriore piano con due stanze, una delle quali era lo studio di Vermeer. La casa comprendeva anche un bagno, una piccola stanza stenditoio e una soffitta. Al piano superiore dovevano trovarsi anche una o due stanze riservate alla suocera Maria Thins. Tra i mobili dell’artista l’inventario cita una sola lettiera e quattro letti incassati nel muro, uno dei quali da bambino, mentre non sono indicati letti nel vestibolo e nella grande sala, ambienti utilizzati evidentemente per ricevere ospiti e clienti dell’artista, un letto con coperte e cuscini è citato invece nella cucina interna, uno nella cucina e un terzo al piano seminterrato. La lettiera e il letto da 8 bambino si trovavano nella stanza adiacente alla sala grande; due culle, una nella stanza sul retro al piano superiore e una in soffitta. I dipinti erano distribuiti ovunque, ma soprattutto nel vestibolo, nella sala grande e nella cucina interna (che forse fungeva da una sala da pranzo), nello scantinato e nelle due stanze al piano superiore. I figli più piccoli dormivano probabilmente nella piccola stanza adiacente alla sala e nella cucina per la cottura, che conteneva anche una sedia da bambino e sei vecchie sedie, oltre a piatti in stagno, boccali da birra e vasellame), ma che era senza dipinti. Gli adulti e la figlia più grande dormivano nella cucina interna e nel seminterrato, dove erano appesi alcuni dipinti, tra i quali una grande Crocifissione, da identificare con quella che riveste il fondale della Allegoria della Fede del Metropolitan. Una tipologia di casa molto differente dai palazzi della nobiltà italiana, indice della presenza di un’attiva borghesia, ceto che caratterizza la modernissima Olanda del Seicento. Per quanto alcune di questi dipinti, come la nota Fanciulla con l’ orecchino di perla dell’Aja (1665-67), Ragazza col cappello rosso (1665-1667) di Washington o Donna in azzuro che legge una lettera di Amsterdam (1663-64), siano stati considerati, per la pochezza della rappresentazione ridotta al minimo, come prove di commissioni limitate a causa della crisi che iniziava a ledere l’economia olandese, Vermeer raggiunse in questa fase l’apice delle sue capacità espressive. Anche nelle vedute esterne Vermeer riesce a entrare nel cuore delle immagini: la sua straordinaria tecnica, che in queste due opere è in grado di rendere le differenze anche minime delle diverse superfici, come tegole e muri scabri e rugosi, o macchie di verde sfumate nei minimi particolari, non ha come fine la rappresentazione del dettaglio (tanto che gli studiosi hanno elaborato fiumi di pagine per la identificazione dei luoghi), ma qualcosa di più profondo, paragonabile ai sentimenti che quelle vedute possono ispirare nello spettatore. E’ interessante anche la tecnica con cui Vermeer riusciva a rendere questi straordinari effetti. Attraverso le indagini svolte in anni recenti su una trentina di dipinti, pubblicate nel 1968 da Herman Kün e attraverso una serie di altri aggiornamenti è emerso che egli usava gli stessi pigmenti utilizzati dagli artisti olandesi contemporanei: preparava la tela con uno strato chiaro, a volte tinto leggermente di giallo, marrone e grigio, usava per i pigmenti bianco di piombo, ocre gialle e ocre rosse, vermiglione, rosso di robbia, terre per i marroni e un misto di blu e giallo o terra per i verdi. Egli aveva una tecnica estremamente varia non basata su formule tradizionali. Il suo pigmento preferito da lui usato con estrema frequenza per rendere il colore blu o l’oltremare, era il prezioso lapislazzulo (non nell’opera giovanile Cristo in casa di Marta e Maria, dove egli usò il meno caro indaco), ciò che rendeva le sue opere particolarmente costose nella media dei prezzi del mercato del tempo. AFFINITÀ INTELLETTUALI CON LA CULTURA ITALIANA In questo ultimo periodo Vermeer dipinse opere di fondamentali, ricche di simboli nascosti, nelle quali è condensata una particolare ricchezza culturale e intellettuale. Tra questi è sicuramente l’Allegoria della Fede (1670-1672), probabilmente destinata a qualche personaggio religioso che frequentava la casa della suocera, attiva nell’ambito delle missioni gesuite che tenevano viva la fede nell’Olanda protestante. E’ solo il caso di ricordare alcuni frammenti della storia della religione nei paesi non cattolici e in particolare in Olanda, significativi per capire anche l’opera dell’artista, che lo ricordiamo, appartenente per nascita a una solida famigli protestante, si convertì al cattolicesimo per espressa richiesta della suocera Maria Thins, al momento del matrimonio ( aprile 1653). L’ostilità dei protestanti di Delft nei confronti dei cattolici raggiunse l’apice nel periodo 1640-45: Fabio Chigi, nunzio papale a Colonia riferì al cardinale Barberini a Roma che i cattolici avevano dovuto ricorrere alla giustizia locale per difendersi dalle angherie. Per mantenere l’ordine locale, la magistratura proibì la presenza di religiosi a Delft. Sappiamo tuttavia che la tolleranza continuò, tant’è vero che dal 1650 in poi si ha notizia del fatto che nelle due chiese locali si continuavano a celebrare liturgie, seppure i cattolici (“papisti”) fossero poco tollerati da parte della maggioranza protestante. E’ tra l’altro molto probabile che i due sposi, Vermeer e Catharina Thins, almeno intorno al 1660 siano andati a vivere con la madre di lei nel quartiere dei papisti, vicino alla Piazza grande del mercato, nei pressi della Chiesa Vecchia, dove nel 1660 fu sepolto un figlio dell’artista. L’opera, che è l’unica con significato religioso tra quelli oggi noti della maturità dell’artista, è ricca di simboli carichi di intenso significato religioso probabilmente per richiesta della committenza, tanto che nell’insieme risulta comprensivo in tutta la sua intensità solo se letto non attraverso il vocabolario di immagini che caratterizzano le sue opere di pittura di genere e di intimità domestica, ma attraverso una chiave di lettura dotta per capirne la sottile simbologia. La donna che rappresenta la Fede, seppure derivata dalle immagini e dal testo dell’Iconografia del Ripa del 1644 di un purismo che sembra ricordare il classicismo Guido Reni, e della sua scuola o di Cagnacci, è stata giustamente accostata da Liedtke alla protagonista del capolavoro di Vermeer 9 alla National Gallery di Dublino, Donna che scrive una lettera in presenza della sua domestica, del 167071. I simboli evidenti, calice, serpente, crocifisso, mela, libro della Bibbia aperto, sono anche espedienti prospettici, noti alla pittura fiamminghi fin dai capolavori di Jan van Eyck e dei pittori quattrocenteschi locali che l’artista doveva conoscere, tra cui anche, è il caso di ricordare, il Maestro della Virgo inter Virgines, pittore di Delft attivo alla fine del XV secolo. Come in tutti i dipinti dell’artista il quadro sul fondo, che in questo caso rappresenta una Crocifissione, è essenziale per una più profonda comprensione del soggetto. Il dipinto rappresentato doveva trovarsi, come per altri casi analoghi, nella casa dell’artista tra i beni appartenenti alla suocera. Per altro non deve stupire che esistesse in casa di una persona cattolica praticante legata all’ambiente dei gesuiti, come era Maria Thin, una rappresentazione della Crocifissione di Cristo tema molto sentito nel Seicento negli ambienti frequentati dai gesuiti, che, com’è noto, insieme agli Oratoriani di San Filippo Neri favorirono non solo una particolare sensibilità spirituale, ma anche il tema delle estasi. Come ha già indicato Arthur Wheelock, le meditazioni intorno al tema della crocifissione di Sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali, che costituiscono probabilmente la devozione religiosa più praticata, anche a livello privato, in tutta l’ Europa del Seicento, offrono un piano di comprensione del dipinto ancora più profondo: “Immagina che Cristo nostro Signore sia davanti a te, sulla croce. Parla con lui di come Egli, essendo il creatore, si sia fatto uomo e di come, pur possedendo la vita eterna, si sottomise alla morte terrena morendo per i nostri peccati. Il dipinto alle spalle, come la critica unanimemente concorda, è riferibile a una pala di Jacob Jordaens degli anni Venti attualmente in collezione privata. E’ il caso di ricordare che il fratello minore di Maria Thin (suocera di Vermeer), Willem Wilemsz, era stato pittore attivo a Roma nella colonia dei fiamminghi, dove era morto ventiseienne nel 1623. Un altro soggetto che si distingue dalle tematiche usuali di Vermeer è quello dell’uomo di scienze, rappresentato dal dittico dell’Astronomo di Parigi e del Geografo di Francoforte, del 1668 e 1669, che appartiene a un genere a se stante, quello della rappresentazione degli omini di scienze, degli scrutatori dell’infinito, dei filosofi, caro, nell’Europa del Nord contemporanea, e in particolare a Rembrandt, ma nato in ambiente classico e diffuso nell’antichità greca e romana, passato attraverso Donatello e attraverso la Stanza della Segnatura di Raffaello, di cui sicuramente dovevano circolare le incisioni anche in Olanda. Il carattere speculativo dei due dipinti, che pure rappresentano figure appartenenti a una categoria di scienziati effettivamente esistente nel paese che faceva della conoscenza delle terre e del cielo la fonte primaria della propria economia, è dichiarato da alcuni particolari, come il libro aperto sul trattato di Adraen Metius, Institutiones Astronomicae & Geograficae, Amsterdam 1621, di cui probabilmente l’artista possedeva una copia, che costituiva una breve manuale dell’arte del navigare, ricco di citazioni classiche. Uno dei più noti tra questi riferimenti è un passo tratto da Flavio Giuseppe relativo all’importanza di appoggiare il sapere sulla tradizione degli antichi patriarchi, che la critica pone in rapporto al dipinto posto alle spalle dell’Astronomo, rappresentante il Ritrovamento di Mosè, figura biblica che nell’immaginario olandese rappresentava il simbolo e l’archetipo del più antico geografo. E’ sicuramente interessante, per lo studio dei rapporti con l’arte europea e italiana di Vermeer ,scorrere l’inventario dei suoi beni post mortem del 1667, dove tra l’altro risulta la presenza di un dipinto rappresentante un Putto, che effettivamente è dipinto in due tele, Donna addormentata del Metropolitan Museum e Donna che suona il virginale in piedi della National Gallery di Londra. Si tratta di un’opera la cui origine iconografica risale alla classicità, diffuso nel Cinquecento italiano anche da Tiziano e poi inserito nel repertorio dell’Iconografia di Cesare Ripa, con chiare allusioni all’Amore. Un altro importante passaggio della conoscenza di Vermeer dell’arte italiana avvenne nel 1672, quando, nell’occasione della sua seconda nomina a sindaco della gilda di San Luca di Delft, egli fu mandato all’Aia, insieme a Johannes Jordaens, artista anch’esso attivo nella medesima gilda di Delft più anziano di lui, che aveva lavorato anche in Italia. Si trattava di una partita di dodici dipinti e alcune statue che nel 1671 era stata offerta in vendita al Grande Elettore di Brandeburgo Federico Guglielmo, presso il quale erano state depositate in attesa della decisione definitiva all’acquisto. Prima dei due artisti di Delft le opere in questione erano già state visionate da altri pittori, Varel Dujardin e Whilelm Dodijn che dichiararono che gran parte dei dipinti erano imitazioni o copie di grandi maestri, Michelangelo, Tiziano, Tintoretto, Giorgione, Jacopo Palma e Holbein, ai quali erano stati attribuiti. Dopo questo primo sopralluogo, altri artisti, allievi di Rembrandt, Gebrandt van den Eeckhout e Philip de Koninck, insieme al pittore italianizzante Johan Lingelbach, dichiararono invece che i dipinti avevano dei pregi e che meritavano di figurare in una collezione di arte italiana. Ma la serie delle attribuzioni in un senso e in altro continuò anche a seguito dell’esposizione delle opere nei locali della gilda di san Luca di Amsterdam. Tra coloro che dovettero essere implicati nella questione appare anche Costantin Huygens, il celebre statista e 10 collezionista di libri pregiati olandese già sopra nominato (per altro convintissimo dell’autenticità delle opere).Vermeer e il collega Jordaens, che videro i dipinti esposti presso la gilda di Amsterdam, dichiararono che le opere “non solo non erano dipinti italiani di grande qualità , ma al contrario erano croste e cattivi dipinti che non valevano neppure lontanamente la decima parte del grande prezzo che era stato loro attribuito. Il giovane elettore riuscì a restituire le opere e tenne per sé solo una Testa di san Giovanni di Ribera e alcune sculture. Le ricerche condotte per individuare i dipinti hanno confermato la giustezza dell’attribuzione di Vermeer. Quanto dell’arte italiana Vermeer conoscesse, non potremo in realtà mai sapere, ma è certo che la sua pittura della realtà, la sua adesione alla cultura olandese dell’epoca d’oro, la sua capacità di mostrare gli interni e la società del suo tempo erano non tanto il fine, ma uno strumento, come se il suo itinerario mentale affondasse nelle fonti dell’umanesimo, come se il suo sviluppo artistico fosse un fatto di natura intellettuale. Alla pari di tanti artisti italiani di tradizione classica, in primis Raffaello, egli si dimostrò portato a dipingere attraverso l’osservazione e attraverso la conoscenza l’applicazione dell’ottica non tanto la realtà ma le leggi armoniche che governano la realtà, anche quella quotidiana. Questo percorso di identificazione delle leggi armoniche con la realtà si fonda su una serie di processi: la semplificazione, la tecnica, la capacità di rendere la diffusione anche materica della luce, la compattezza smaltata delle superfici. Naturalezza, comprensibilità, grandezza che fanno dei dipinti di Vermeer non delle rappresentazioni domestiche, ma immagini universali, astratte quanto l’opera di Raffaello, ma nello stesso tempo moderne, in quanto capaci, per la ricchezza psicologica che le caratterizza, di saper esprimere il concetto cardine della classicità di ogni epoca dell’ut pictura poesis e riuscire a dialogare con espressioni culturali lontane e diverse come la letteratura di Marcel Proust, la pittura di Giorgio Morandi e il cinema Ingmar Bergman. 11