pdf - Fondazione Internazionale Menarini

Transcript

pdf - Fondazione Internazionale Menarini
n° 376 - luglio 2016
© Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie
Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Edificio L - Strada 6 - Centro Direzionale Milanofiori
I-20089 Rozzano (Milan, Italy) www.fondazione-menarini.it
I Vermeer del dubbio
Johannes Vermeer: Veduta di Delft - L’Aia, Mauritshuis
L’incredibile storia di Han Van Meegeren, uno dei falsari più geniali
della storia, e del caos in cui gettò il mondo dell’arte
Poche le notizie su Johannes Vermeer
(1632-1675): viveva a Delft, portava
avanti le molteplici attività ereditate
dal padre ed era un meticoloso pittore che, pur a stretto contatto con la
grande arte olandese – membro della
Gilda di San Luca e apprendista presso
Carel Fabritius, a sua volta allievo di
Rembrandt – cercava con scarso successo un suo spazio nel mondo dell’arte.
Gli undici figli avuti dalla moglie Catherina Bolnes, lo costrinsero a combinare l’aspirazione artistica con un’ingombrante gestione familiare e con-
tinue difficoltà economiche, le stesse
che gli fecero lasciare un’eredità ricca
di debiti. La morte poi, lo confinò
nell’oblio, in quell’oscurità riservata a un artista poco stimato, forse
osservato più per una tecnica singolare, che per un effettivo riconoscimento di valore. Pare, infatti, che si
avvalesse della camera ottica: un metodo che senza schizzi preparatori permetteva minuziose riproduzioni. Nonostante utilizzasse i materiali migliori – il suo blu era rigorosamente
oltremare, ottenuto dal prezioso lapislazzuli – appariva troppo “fotogra-
2
fico” e poco creativo per comunicare
emozione artistica, e così alla sua morte
le luci di una notorietà che poco si allontanava dalla città di Delft subito
si spensero. La riscoperta avvenne alla
metà del XIX secolo, e fu un vero atto
d’amore. Fu merito del critico francese Théophile Thoré che, in visita al
museo Mauritshuis dell’Aia, rimase
così impressionato dalla bellezza della
grande Veduta di Delft di Vermeer da
dedicarsi completamente alla ricerca
dello sconosciuto pittore, la cui opera,
purtroppo, era dispersa in tutta Europa, perfino ad abbellire palazzi reali
magari con attribuzioni errate. Thoré
fece di tutto per riportare la luce sul
nome di Johannes van der Meer, viaggiò incessantemente, recuperò e riconobbe diversi quadri, pubblicò articoli e infine riuscì nell’impresa convincendo Isaac Péreire, accreditato
collezionista, ad acquistare Il geografo:
si aggiunse così un nuovo nome nell’olimpo dell’arte.
Il riscatto dell’opera di Vermeer è nato
con difficoltà e non ha mai avuto vita
facile. Poche informazioni, sparizioni,
dubbie attribuzioni, clamorosi furti
e falsificazioni hanno confuso e complicato il lavoro di ricostruzione.
A tutt’oggi il mondo dell’arte si divide su certe autenticazioni, e vive
nell’attesa della scoperta di nuove
opere, tra le quali pare manchi all’appello anche un autoritratto. Negli
anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso, audaci furti confusi tra azioni paramilitari riferite all’IRA e “colpi” da cinema d’azione hanno messo in crisi
anche il patrimonio certo. Quasi tutte
le opere sono state recuperate, ma de
Il concerto a tre ancora non c’è traccia.
L’episodio più clamoroso comunque
resta quello dei falsi, un fatto che ha
lasciato una pesante eredità: il dubbio. Si tratta del caso di Han Van Meegeren, uno dei falsari più abili della
storia. Un aspirante artista che vedendo sfumare la carriera nel disprezzo
della critica, per un desiderio di rivalsa ordì una straordinaria vendetta
nei confronti del mondo dell’arte.
Desiderava dimostrare l’inaffidabilità dei cosiddetti “esperti” traendoli
in inganno con un falso perfetto. Doveva farlo autenticare, venderlo a un
Johannes Vermeer: Cristo in casa di Marta e Maria - Edimburgo, National Gallery of Scotland
prezzo altissimo, esporlo al pubblico,
attendere l’acme dell’entusiasmo, e
poi rivelare la verità per sconfessare
pubblicamente i sedicenti “guru” e
mostrare, invece, la propria grandezza.
Organizzò il piano nei minimi dettagli: scelse il XVII secolo olandese,
utilizzò tele autentiche, preparò i pigmenti alla maniera del periodo, studiò un sofisticato sistema per riprodurre le piccole spaccature che il tempo
crea sulla superficie pittorica, e riuscì a simulare anche la polvere, i danni
accidentali e i grossolani restauri di
trecento anni.
Vermeer si rivelò l’artista più adatto,
avvolto com’era da un alone di mistero; in più, tutti si aspettavano nuovo
materiale visto l’esiguo numero di
pitture attribuitegli. Quasi tutte opere
erano di carattere profano, solo una
faceva eccezione, il Cristo in casa di
Marta e Maria, e proprio per questa
se ne cercavano altre di soggetto re-
3
Han Van Megeeren: Cristo in Emmaus - Rotterdam,
Museum Boijmans Van Beuningen
ligioso.
È a questo punto che Van Meegeren diventa geniale. Sarebbe stato
troppo facile smascherare un falso
nello stile consolidato e conosciuto
di Vermeer, così si risolse a “inventare” il Vermeer mancante, quello atteso, quello dei soggetti religiosi, un
Vermeer “prima maniera”, talmente
sconosciuto da far perdonare anche
eventuali sbavature stilistiche. Un
Cristo a Emmaus, il soggetto scelto.
Era il 1937 e sfruttando il delicato
periodo storico, costruì una cortina
di discrezione intorno a una fantomatica famiglia olandese e alla necessità di vendere alcuni pezzi di una favolosa collezione. L’operazione andò
in porto: un nuovo Vermeer fu ritrovato.
Oggi quell’attribuzione desta stupore,
ma la grande abilità di Van Meegeren fu proprio di natura psicologica:
fece vedere agli esperti ciò che volevano vedere, non la realtà. Si permise
anche delle ardite licenze: un volto di
Cristo in autentico stile Van Meegeren, ma il desiderio di scoprire un
Vermeer era tale che i critici colsero
solo la possibilità di gloria e posero il
loro sigillo sull’opera.
Seguì un nevrotico parossismo fatto
di articoli, conferenze, esposizioni,
esaltazioni, emozioni, che accompagnò l’ascesa dell’opera, mentre Van
Han Van Megeeren: Cristo e l’adultera - Amsterdam,
Instituut Collectie Nederland
Meegeren si preparava a smascherare
l’inganno. L’eminente e odiato esperto
Abraham Bredius scrisse: La bella
firma […] e il punteggiato sul pane che
Cristo benedice non sono indispensabili per convincerci che ci troviamo davanti a un capolavoro di Johannes Vermeer di Delft […] Straordinario è il
viso di Cristo, che riflette serenità e tristezza […].
La somma ottenuta dalla vendita,
però, incrinò l’“onestà” dell’artista:
valeva la pena di rivelare l’imbroglio?
Forse non avrebbe avuto la sua rivincita, ma l’aspetto economico poteva
comunque consolarlo. Prese così inizio la sua carriera di falsario.
Più falsificava e più allentava la perfezione, ma nessuno pareva accorgersene e i prezzi lievitavano. Il periodo
bellico paradossalmente lo aiutava:
pochi controlli e opere acquistate in
modo “riservato”, laddove sia preferibile tenere nascosta tanta disponibilità di denaro e si investa contro
la svalutazione.
Durante l’occupazione, dipinse il Cristo e l’adultera. Il quadro, forse tra i
meno precisi – addirittura usò blu
cobalto al posto del prezioso oltremare – per il quale decise di cambiare
intermediario. A sua insaputa però,
il nuovo mediatore, aveva contatti
con gli occupanti nazisti. Avere un
legame sia pur indiretto con gli inva-
pag. 4
dall’alto in senso orario
Johannes Vermeer: Donna in azzurro che legge una lettera
Amsterdam, Rijksmuseum
Van Meegeren mentre dipinge per dimostrare di essere capace di produrre
un Vermeer
Un “Vermeer” di Van Megeeren
sori e rischiare che un falso prendesse
la via della Germania non rientrava
nei suoi piani, tuttavia non riuscì a
bloccare la trattativa: i tedeschi, sempre a caccia di capolavori, non si lasciarono sfuggire un’opera del genere.
Il Cristo e l’adultera finì nella collezione personale di Hermann Göring.
In un decennio circa, otto falsi venduti permisero a Van Meegeren di vivere nel lusso e di accrescere la personale collezione di “autentici”. Nel
1943 smise di dipingere, ma nel ‘47
finì sotto processo. Alla fine della
guerra, infatti, le indagini condotte
intorno ai membri delle SS e della
Gestapo, illuminarono il nome di
Van Meegeren, abbiente cittadino di
Amsterdam verso il quale venne mossa
l’accusa di collaborazionismo e traffico illegale di opere d’arte.
L’accusa di falsificazione era meno
grave, perciò Han Van Meegeren, decise di confessare. L’ammissione, in
tutti i sensi, deflagrò come una bomba:
Siete un branco di imbecilli, voi come
gli altri! Io non ho mai venduto nessun
grande tesoro nazionale! L’ho dipinto
io stesso!
Una dichiarazione tutta da provare,
poiché nessuno metteva in dubbio
l’autenticità del dipinto. Così iniziò
uno strano processo, dove l’imputato
faceva di tutto per dimostrare la propria colpevolezza. Mentre Van Meegeren conquistava la simpatia del pubblico, partì la trafila degli accertamenti necessari, tra i quali anche quello
di dipingere “in diretta” un altro Vermeer.
Intanto il caso gonfiava, gli interessi
e i falsi crescevano, e le polemiche
prosperavano: complice, genio, truffatore? Sulle prime pagine ovviamente,
finì tutto il mondo della cultura e
della critica d’arte, e dopo una serie
di imbarazzanti testimonianze il processo si concluse. Colpevole. Con la
pena minima a un anno e la domanda
di grazia accolta, però, Van Meegeren morì poco dopo. Con sé portò
via verità e segreti, lasciò il caos nell’opera del maestro olandese, ma riuscì a ritagliarsi un piccolo spazio di
gloria con tanto di fan e collezionisti.
francesca bardi