Risposte alle domande dei partecipanti all`Evento

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Risposte alle domande dei partecipanti all`Evento
 Risposte alle domande dei partecipanti all’Evento “Libertà, Regole e Trasgressioni” del 7 novembre 2014 suddivise per tema Tema: Libertà, potere e controllo. Quale forma di Stato garantisce il maggior rispetto della libertà individuale, e quale invece della libertà collettiva? Occorre metterci d’accordo su cosa intendiamo per libertà. Se libertà vuol dire che uno può fare quello che gli pare e piace, allora la dittatura assoluta è la forma di Stato che consente al monarca (o a pochi oligarchi) di essere libero. Molti ritengono che per sentirsi liberi sia necessario sentirsi sicuri, libertà diventa allora sicurezza dalla paura. Per queste persone la dittatura che rassicura da pericoli esterni può sembrare la forma di Stato idonea finché non provoca altre paure o non scoprono altri bisogni. Se invece intendiamo la libertà come la possibilità di ognuno di poter realizzare sé stesso nella propria diversità e assumere i rischi delle proprie scelte per soddisfare i propri bisogni, ci rendiamo conto che la libertà implica la partecipazione di tutti alla ricerca di scelte condivise e solidali. La democrazia riconosce a tutti l’opportunità di arricchirci delle nostre diversità per avere maggiori e migliori possibilità di scelta individuali e collettive. Così come la libertà di realizzare sé stessi comporta il coraggio di scegliere e agire la via della democrazia richiede il lavoro di tutti i cittadini per assicurare la libertà collettiva oltre la paura. Non è ancora stato detto ma la libertà è responsabilità e per questo a volte non ci si avvale di questa......essere liberi è difficile per molti è molto più facile essere comandati. Secondo lei la responsabilità è un limite alla libertà o un modo di esprimere la libertà? Giorgio Gaber diceva che non possiamo liberarci dalla libertà, è verissimo essere liberi è scomodo, significa dover scegliere. La respons-­‐abilità, intesa proprio come abilità, è la premessa necessaria alla libertà. La responsabilità è lo sforzo di metterci nelle condizioni migliori per agire, l’impegno di cercar di riconoscere cosa fare e assumere le informazioni necessarie, il coraggio di scoprire le paure e le manipolazioni che ci condizionano e di accettare il rischio di sbagliare. Se le trasgressioni favoriscono il progresso, le regole lo limitano? La trasgressione è uno dei più grandi strumenti della libertà? Siamo proprio sicuri che le trasgressioni favoriscono necessariamente il progresso? Il mancato rispetto delle regole civili porta a barbarie e dittature il fatto di averle ciclicamente superate non significa che siano una strada verso il progresso. Perché dobbiamo ancora restare ancorati a un pensiero “binario” ? Sono proprio le regole che ci danno una strada per ricercare il progresso fino a riconoscere di doverle cambiare. L’idea di trasgressione può esser concepita solo rispetto a una regola che offre un altro punto di vista. Fra regola e trasgressione esiste un rapporto dinamico e circolare, le regole permettono tutti i calcoli finché nuove domande non trovano più soluzioni, allora si cambia il paradigma. Copernico ha seguito i calcoli astronomici precedenti per accorgersi che la terra non era al centro dell’universo, allo stesso modo Einstein si è basato sulla fisica newtoniana per arrivare alla relatività. La rivoluzione francese è stato un cambiamento di paradigma perché il “sistema” delle vecchie regole non poteva più soddisfare le esigenze delle nuove prospettive di “libertà uguaglianza e fratellanza.” Il suffragio femminile è stata la risposta a nuove domande sulla parità dei diritti, ma presupponeva l’esistenza della regola del diritto di voto e non avrebbe potuto esser concepito in una monarchia assoluta. La legalità cioè il rispetto delle regole, assicura fiducia e permette di convivere e lavorare fin quando non vengono decisi nuovi paradigmi generati da nuove prospettive che vanno oltre le vecchie regole. Trasgredire come andar oltre i limiti è affascinante, ma se il limite è un burrone prima è meglio costruire un ponte, che vuol dire saperlo immaginare e saperlo costruire. Tema: Liberi, fino a dove? Come si può essere liberi senza danneggiare gli altri? Si può essere liberi senza danneggiare gli altri solo in una società governata da regole, dove la libertà venga garantita per tutti. Le regole sono necessarie perché ci rendono più facile la vita all’interno della nostra società, ci indicano la strada da percorrere e ci rendono responsabili. Essere responsabili non vuol dire perdere la propria libertà ma conoscerla e riconoscerla. Per fare ciò è importante capirne il senso, più si impara, più si è liberi di scegliere. Quando si diventa responsabili perché si è fatta una scelta, ci si sente importanti e le regole non saranno più sentite come un peso né una limitazione, ma una strada per trovare la libertà. Secondo voi troppa libertà fa male? Quando un bambino in culla ha poche regole relativamente ai suoi bisogni, per esempio rispetto le ore di sonno e veglia, dei pasti, o è curato da troppe persone diverse, inizia a prendere a testate la spalliera del lettino. Questo succede perché il bambino cerca un contenimento ai suoi bisogni, cerca un limite che gli faccia capire che può sentirsi sicuro, che ci sarà sempre qualcuno di sicuro ad accudirlo. Questo è un piccolo esempio per dire che tutti abbiamo bisogno di limiti per trovare la nostra strada sicura da percorrere. Il lattante lo manifesta nel modo descritto, l’adulto compiendo azioni che attirino l’attenzione dell’altro. L’atto delinquenziale ne è spesso un esempio, una richiesta laddove non esiste un limite alla propria libertà. Quindi la risposta è che la libertà ha bisogno di regole per essere garantita. Allego un contributo di un detenuto di San Vittore: “Fin da bambino, non ho dato molto senso alle regole di vita, certo, vivere era qualcosa di speciale, mi sentivo come un puledro che, libero di correre nelle praterie, mai avesse dovuto mettere una sella. Ma intanto il tempo passava veloce. Così mi ritrovai adulto, con i sogni e le illusioni di un bambino. Poi incontrai una donna che cambiò la mia vita, il mio primo grande amore, mi sposai. Ma le regole del matrimonio non erano per me. Io desideravo la libertà. Volevo sfuggire alle responsabilità, così che conquistato il divorzio, entrai come Pinocchio nel Paese dei Balocchi. All’inizio era tutto bellissimo, non mi stavo accorgendo che, a poco a poco, la mia vita si stava distruggendo e oltretutto, nessuno mi aveva obbligato, avevo fatto tutto da solo. Ben presto mi trovai a San Vittore. Finita la mia pena, non contento, ci ritornai. E poi ancora, intanto dentro di me si era fatto il vuoto. Non potevo incolpare nessuno, solo me stesso. Dicono che chi semina raccoglie. Ecco quello che ho alla veneranda età di 53 anni. Un pugno di polvere e niente più. Voglio però darvi solo una mia opinione: non buttate via la vostra vita come ho fatto io, datele un senso. La libertà non è vivere senza regole pensando di poter fare tutto quello che si vuole, la libertà è rispetto per noi stessi, per i nostri cari e per tutti quelli che ci circondano. Ora io piango sul mio passato e solo perché non ho saputo dare un senso alla mia vita. Non piango il mio presente perché ho saputo cogliere la mia libertà dietro queste sbarre.” Cosa ne pensa sulla libertà dalle droghe? La liberalizzazione delle droghe è un argomento molto dibattuto che si può affrontare da diversi punti di vista. In questa sede mi piace affrontare l’argomento dal punto di vista sanitario. Prendiamo l’esempio dell’alcool o del gioco d’azzardo. Sono due esempi, una sostanza e un gioco, che possono favorire l’assuefazione e la dipendenza. Vi è un solo limite legale a queste: l’età. Sia l’alcool che il gioco d’azzardo sono vietati ai minori di 18 anni. Purtroppo la piena libertà in cui vengono diffuse inducono una percentuale assai numerosa di soggetti alla dipendenza patologica. Seguendo questo pensiero si presuppone che la liberalizzazione delle droghe non contrasterebbe il suo abuso. Quindi dal punto di vista sanitario la libertà delle droghe non apporterebbe nessuna diminuzione di assunzione di sostanze. Colui che fa uso di droghe al contrario cerca spesso un limite nelle prescrizioni, del medico, dello psicologo, alcune volte anche del giudice. Parlare invece di legalizzazione delle droghe è un argomento molto più interessante perché la legalizzazione della droga o almeno di quella leggera, potrebbe servire ad infliggere un duro colpo al traffico illegale di stupefacenti, sottraendo il lavoro alle organizzazioni criminali. Ma legalizzare non vuol dire liberalizzare, vuol dire dotare lo Stato e gli eventuali assuntori di responsabilità nei confronti dell’uso di sostanze, creando un sistema di regole certe che contrastino il mercato illegale e non ne favoriscano al tempo stesso l’uso e l’abuso. Rendere responsabili gli assuntori non vuol dire criminalizzarli, né tantomeno obbligarli alla cura ma renderli consapevoli del danno che stanno producendo a sé e agli altri. Tema: La morale e la Legge Secondo me si dovrebbe distinguere tra convenzioni sociali e convinzioni morali. Esistendo in un paese diverse concezioni della moralità, si stabilisce che ognuno segua una determinata convenzione… Il nostro sistema di regole, chiamato unitamente legalità, ci consente di poter "convivere" sotto un tetto comune, più che da un punto di vista convenzionale da un punto di vista funzionale al nostro vivere. Bisognerebbe non dimenticare che ciò che qui da noi è legale e convenzionale, è legale e convenzionale qui da noi e non necessariamente altrove, ciò significa che ciò che può sembrare convenzionale sempre va di pari passo con una conquista su un piano di regole di convivenza. Questo rimando alla legalità, intesa come sistema di regole che ci guida tutti e che ci indica come guidare, serve a riflettere anche su quelle che vengono qui chiamate "convinzioni morali". Le nostre convinzioni si formano all'interno dei sistemi in cui viviamo e nel confronto con altri sistemi, in Italia abbiamo la fortuna di poter seguire e praticare diverse "moralità" perché ci sono delle regole, diritti, che ci consentono di muoverci liberamente anche ad un livello convenzionale e morale. La moralità e le convinzioni che ne derivano, in sistemi d legalità convenzionalmente differenti è molto diversa e può essere molto più limitante, si pensi ai paesi dove ancora è ammesso il matrimonio concordato tra famiglie, o addirittura il matrimonio per le bambine. Importante dunque è non perdere la bussola del sistema che regola la nostra convivenza, umana sociale morale, essere consapevoli che si tratta di un sistema migliorabile; con questa bussola è possibile che convivano sensibilità diverse, e che ognuno possa formarsi vivere e cambiare, nel rispetto degli altri, e dei sentimenti degli altri, le proprie convinzioni. Tema: Controllo e trasgressione Secondo lei è corretto che i docenti escano a fumare trasgredendo le regole imposte dallo stato, mentre agli studenti maggiorenni è proibito? La legge non è uguale per tutti? Le regole, se riguardano tutti, dovrebbero essere rispettate da tutti. In alcuni casi però possono esserci distinzioni particolari, anche a seconda dei ruoli ricoperti in un determinato contesto: bisogna quindi sempre leggere con attenzione cosa dice la regola e a chi è rivolta. In ogni caso, chi ha un ruolo educativo dovrebbe costituire un esempio da seguire, se vuole insegnare il rispetto di una regola. Lei non pensa che le regole siano imposte dalla società per tenerci sotto controllo e pertanto abbiamo il diritto di trasgredirle? La società non è un’entità puramente astratta, anche noi ne facciamo parte. Le regole, in una società “orizzontale” e democratica, dovrebbero servire a farla funzionare meglio e garantire i diritti di tutti. Perciò, se noi rispettiamo una regola, diamo il nostro contributo per una migliore convivenza sociale. Se tutti rispettiamo le regole, anche i nostri diritti – e quindi la nostra libertà – sono garantiti. Il diritto di trasgredire le regole non esiste formalmente; esiste però la possibilità di non rispettarle, nel senso che ognuno si assume personalmente la responsabilità delle conseguenze, sia pratiche che giuridiche. Le regole – se sono giuste ed eque – servono quindi per "controllare" (e quindi garantire) il buon funzionamento della società, utile a tutti. Tema: Le origini e l’insegnamento delle regole In base a che criterio tutti gli uomini hanno lo stesso valore? Tutti gli uomini hanno lo stesso valore in quanto tutti abbiamo la stessa dignità, così come recita la nostra Costituzione, le legge fondamentale, all’art.3: “Tutti i cittadini (cioè le persone) hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” Cos’è la libertà? La libertà deve essere insegnata? Come fai ad insegnarla? La libertà è per tutti? Essere liberi non significa non avere regole; la regola è l’altra faccia della convivenza. Ma a molti la libertà fa paura perché pone di fronte alla scelta, che è generatrice di dubbio, ansia, insicurezza che spingono a rifugiarsi spesso nella sottomissione o nell’arbitrio. La libertà richiede un percorso che comprende la responsabilità e l’impegno e consiste nella capacità di determinarsi nel rispetto degli altri e nell’acquisire tutte le competenze e le conoscenze che consentono di essere autonomi. Chi decide se una regola è giusta? Se pensiamo che certe regole siano ingiuste, come possiamo manifestare il nostro disaccordo? Le regole alla fine le hanno scelte le persone…E ci hanno sottomesso alle regole. Che siano giuste o meno, noi siamo stati sottomessi ad un pensiero di altri…E se quello detto fosse ingiusto? Regola, legge, legalità sono termini di per sé neutri, il cui significato può variare notevolmente in base al contenuto. L’elemento esteriore che permette di dire che se ne condivide il contenuto, o di stabilire se una legge va conservata o cambiata, è la cd “giustizia”, il principio di fondo condivisibile dello stare insieme, anch’esso soggetto a cambiamenti. Si può dire che, quanto al contenuto, una regola è giusta in quanto il suo contenuto coincida con quei principi fondamentali propri di ciascuna persona; quanto alla procedura osservata per crearlo, il diritto è giusto perché prodotto dalle istituzioni delegate a farlo (in una democrazia parlamentare una legge è giusta quando emanata dal parlamento). In questo ultimo senso giusto è ciò che la legge dichiara come tale, la giustizia perde il valore di universalità e diventa una conseguenza fino ad arrivare alla giustificazione di qualsiasi contenuto del diritto espresso in nome della maggioranza. Nel tempo le regole sono quindi valutate in base alla loro paternità e in base al suo contenuto, scelto tramite accordo tar tutti i cittadini (oggi si parla di conformità alla Costituzione). Quando una regola viola il valore e la dignità della persona (che è il punto di partenza), è necessario fare appello alla responsabilità individuale e disapplicare una norma esprimendo il proprio pensiero, anche nelle piccole azioni del quotidiano, senza “chiamarsi fuori” ma partecipando e superando la fittizia distinzione cittadini/istituzioni. Il disaccordo può essere manifestato con tutti gli strumenti che la democrazia consente: dialogo, partecipazione, anche politica, referendum, associazionismo. Tema: Gli italiani e le regole Perché all’ estero rispettano le regole più di noi italiani? La risposta più semplice è: “Noi italiani siamo indisciplinati per natura”. Ma questa risposta, anche se non sbagliata, è un po’ superficiale. Infatti, la nostra indisciplina nasce, più che dalla nostra natura, dalla nostra educazione, sotto almeno 3 aspetti. A. Di fronte a noi abbiamo esempi continui di regole non osservate. Con molta difficoltà, quindi, ci adeguiamo, per esempio, alla regola che non si buttano le carte delle caramelle per la strada neanche se vediamo che la strada è già piena di carte di caramelle B. Sentiamo spesso giustificazioni tipo: “Ma lo fanno tutti”. E’ una giustificazione comoda e tranquillizzante e, prima o poi, siamo portati ad accettarla come valida. C. I comportamenti teoricamente vietati vengono in realtà tollerati, per inerzia o per altri motivi, se non addirittura moralmente apprezzati. Tutto ciò ci porta sempre di più verso l’illegalità. Solo se ci soffermiamo a riflettere, capiamo che ognuno deve fare la propria parte (e, quindi, non dobbiamo sporcare la strada, anche se la strada e’ gia’ stata sporcata da altri), che la giustificazione “lo fanno tutti” si basa su un presupposto sbagliato (non e’ vero che “tutti” violano le regole) e che le regole vanno rispettate non solo per il timore di essere “scoperti” e “sanzionati”, ma soprattutto perché garantiscono il reciproco rispetto e la convivenza pacifica. Non dobbiamo guardare ciò che di male fanno gli altri, ma dobbiamo comunque rispettare i nostri doveri, sperando che gli altri seguano il nostro buon esempio. L’ esempio, nel bene come nel male, ha forza trascinante. Perché quando andiamo all’ estero noi rispettiamo le loro regole e invece nel nostro paese non le rispettiamo/seguiamo? L’osservazione che “all’ estero le regole vengono rispettate più che da noi italiani” è valida solo con riferimento ad alcuni paesi civili. Bene, riferiamoci ad essi. La risposta a questa domanda è strettamente collegata alla prima. Se, come ritengo, l’esempio è di fondamentale importanza, va da se’ che nei paesi in cui il senso della legalità è diffuso e le regole sono osservate da tutti, anche i più indisciplinati sono portati ad adeguarsi. Commento all’ art. 3 della Costituzione: “il problema è che la Repubblica non si preoccupa di rimuovere gli ostacoli che opprimono i suoi cittadini, la libertà risulta quindi formale e non sostanziale.” La nostra Costituzione è soltanto in parte una realtà. Per esempio, i principi relativi al diritto di voto (tutti hanno il diritto di voto; il voto è personale ed eguale, libero e segreto) sono attuati. E non si tratta di un principio scontato, visto che, per esempio, fino al 1946 le donne non potevano votare. Ugualmente sono realizzati altri principi, come, per esempio, la libertà di associazione (art. 18), il ripudio della guerra come strumento di offesa e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11), il divieto di privare alcuno, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome. Ma, sotto altri aspetti, invece, la Costituzione è solo parzialmente attuata o non lo è per niente. A ben vedere, proprio questo è il motivo per cui è importante non far finta che il problema non esista, ma affrontarlo. Se tutti i principi Costituzionali fossero davvero attuati in concreto, che senso avrebbe l’impegno di Gherardo Colombo – e di tante altre persone – nelle scuole o in istituzioni pubbliche? E che senso avrebbe la partecipazione di studenti ad incontri e riflessioni su questo argomento? Sarebbe uno sforzo inutile ed insensato, in quanto diretto ad un risultato già raggiunto. Dunque, prendiamo pure le mosse dal presupposto che molti principi costituzionali non sono ancora attuati e che, in particolare, la libertà è oggi solo formale e non sostanziale: dobbiamo tenere presente che la Costituzione, come diceva il giurista Piero Calamandrei, “è un pezzo di carta: se la lascio cadere, non si muove”, “non è una macchina che, una volta messa in moto, va avanti da se’”, “perché si muova bisogna ogni giorno metterle dentro il combustibile, l’ impegno, lo spirito, la volontà di mantenere le promesse, la propria responsabilità”. “La Costituzione si crea giorno per giorno”. La reazione di fronte all’osservazione contenuta nella domanda (“libertà ed uguaglianza di fatto non esistono”) non deve essere di rinuncia (“perciò io mi disinteresso dell’argomento”), ma, anzi, deve essere un maggiore e più profondo impegno. Infatti, il compito di rimuovere gli ostacoli che opprimono i cittadini non spetta soltanto “alla Repubblica”, ma ad ogni cittadino, giovane o adulto, uomo o donna, studente o lavoratore. Ancora Calamandrei:” “Questa è oggi la terribile verità. La salvezza è solo nelle nostre mani. Ognuno di noi, se la nuova guerra verrà, sarà colpevole per non averla impedita… anche con il silenzio, con la passività, con l’astensione, con il sentirsi al di sopra della mischia. Non potremo nascondere la nostra innocenza dietro l’ombra dei dittatori: quando c’è la libertà, tutti sono responsabili: nessuno è innocente”. Se accettiamo una società orizzontale, lo Stato deve compensare le diverse condizioni delle persone e salvaguardare i loro diritti. Lo Stato non riesce però a colmare i divari delle convenzioni sociali, perciò esistono discriminazioni, favoritismi e corruzione. Lo Stato dovrebbe aiutare ad eliminare questi squilibri; considerati retaggio culturale, identità religiosa ed ideali politici è possibile porre ogni individuo sullo stesso piano con gli altri diritti? La domanda prende atto – realisticamente – dell’inadeguatezza dello Stato a colmare le ingiustizie sociali, le discriminazioni, i favoritismi. Ma questo è il punto di partenza del nostro impegno, non il punto d’ arrivo. Non deve essere la conclusione delle nostre osservazioni, che immancabilmente sarebbe “se lo Stato non riesce a svolgere il proprio compito e fallisce non realizzando la giustizia sociale, perché dovrei impegnarmi io, fare sacrifici e rinunciare alla mia tranquillità?” Di conseguenza, si affermerebbero i principi della “desistenza”, della “rinuncia”, della “sfiducia”, del “desiderio di appartarsi”, di “lasciare la politica ai politicanti”. In breve, sarebbe il trionfo del “Ma chi me lo fa fare?” Ma non si può dimenticare ciò che diceva il Presidente Kennedy: “Non devi guardare ciò che lo Stato fa – o non fa – per te. Devi chiederti cosa tu puoi fare per lo Stato”. Non dobbiamo confondere “lo Stato” (cioè l’istituzione, la Repubblica democratica fondata sul lavoro, di cui parla la Costituzione) con la “maggioranza di governo” (cioè un insieme di persone incaricate di fare le leggi e di governare in un determinato periodo storico, che possono anche fare leggi ingiuste o decidere provvedimenti iniqui o omettere di adottare decisioni e leggi giuste, opportune ed eque). Se non teniamo distinti lo “Stato-­‐istituzione” e lo “Stato-­‐governo”, ci troveremo a dover rinunciare al nostro impegno ed a principi fondamentali in nome di errori, iniquità, illeciti, pigrizie, commessi da indegni rappresentanti dello Stato. Tema: Consapevolezza delle regole e libertà di trasgredire Come si può non trasgredire se ognuno ha il proprio pensiero e opinione? Credo che avere un proprio pensiero ed opinione sia la prima e più grande della libertà ma quando si parla di libertà e trasgressione mi piace sempre partire dalla nostra Costituzione, molto più saggia di noi, che ovviamente parla di ciò nel primo articolo quando dice: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Rispetto a questo rimando ad un pezzo di Benigni (dal minuto 46’15’’ a 49’11’’: https://www.youtube.com/watch?v=xZJpsNCaBNs). In questo brano sulla nostra libertà (anche quella di pensiero e di opinione) richiama la storia di Ulisse e delle Sirene: Ulisse si fa legare per non farsi indurre in tentazione dalla Sirene, dalle nostre parti più becere, dalle nostre convinzioni ed opinioni che talvolta ci portano a commettere violenze, ingiustizie, persino atrocità. Lui che è il comandante della nave, il capo, si fa legare. Noi ci siamo legati alla Costituzione: per questo anche le nostre opinioni e pensieri sono “legate” ad essa. Trasgredire la nostra Costituzione vuol dire andare contro alla nostra stessa libertà. Ecco come abbiamo fatto a coniugare le 2 cose che a te sembrano in contrasto: avere il proprio pensiero/opinione e non trasgredire. Ci siamo legati alla Costituzione. Ma trasgredire norme e leggi talvolta invece potrebbe anche andar bene (ed è andato benissimo in molti casi) e qui passiamo alla domanda 2. Secondo lei la trasgressione è una cosa positiva o negativa? Il papa dice di andare controcorrente.. Ma in che modo? Trasgredire significa andare contro corrente? La trasgressione è fare qualcosa che non si può fare ed è bello. Gherardo spesso parla delle leggi razziali nel periodo del nazi/fascismo (erano leggi eppure in molti le hanno trasgredite e per averlo fatto sono considerati adesso degli eroi. Anche don Milani è stato un trasgressore ed invitava altri a trasgredire e per questo è diventato un modello per tantissime persone) e spesso nei suoi interventi ci ha illustrato le sue “regole” rispetto alla disobbedienza civile. La disobbedienza civile per Gherardo è giustificata se: A. incide profondamente in senso negativo sui diritti fondamentali di una persona (danneggia sostanzialmente i diritti più fondamentali di una o più persone) B. non esistono possibilità lecite di cambiarla, C. ci si assume la responsabilità della violazione (evadere le tasse di nascosto non è disobbedienza civile, fare obiezione di coscienza – i primi obiettori andavano in galera per la loro scelta -­‐ sì). Aggiungerei ai 3 punti di Gherardo che sarebbe bello trasgredire e andare contro corrente qualche volta per i diritti di qualcun altro (e non sempre dei miei o dei miei familiari, amici…). Sono un po’ stanco di vedere associazioni per i diritti dei disabili fatti solo da genitori con figli disabili, associazioni per i diritti degli omosessuali fatti solo da persone toccate dal problema. Lo metterei come valore aggiunto il fatto di trasgredire per i diritti degli altri (chi salvava gli ebrei non era ebreo, erano semplicemente uomini non disumanizzati) … In questo senso credo che il Papa inviti ad andare contro corrente. Il Papa forse intendeva anche andare anche contro la corrente non imposta da norme o leggi o regole, ma andare contro corrente rispetto alle abitudini e stili di vita imposti dal consumo, dal mercato, dalla comunicazione di massa. E queste sono le scelte più vicine e più quotidiane per tutti noi. Non partecipare con tutta la classe agli insulti quotidiani rivolti al compagno più in difficoltà; non escludere la compagna che tutte le altre insultano perché non veste alla moda; non rovinarsi di fumo e alcol e quant’altro perché tutta la mia compagnia lo fa … e tante altre scelte quotidiane. Rispetto all’ultima frase poi, ti direi che è vero “la trasgressione è fare qualcosa che non si può fare ed è bello”. Assolutamente vero. Credo sia l’eterna ed inevitabile tensione dialettica che ogni persona vive tra rispettare le regole e trasgredirle. I livelli di trasgressione, di pericolo (per sé e per gli altri), di violenza (per sé e per gli altri), di distruttività … e tante altre variabili credo regolino questa eterna tensione. Penso che perché qualcuno sia portato a rispettare una regola occorre che la capisca...Non ci si può imporre senza dare una motivazione valida Assolutamente vero ed è la cosa che più mi sento dire quando vado nelle scuole. Credo che le nuove generazioni, molto più di noi, abbiano capito l’insensatezza di dare regole senza motivarle. Aggiungo un paio di cose: sarebbe bello co-­‐costruirle (dove e quando possibile) più che motivarle. Ma farlo veramente. Con la possibilità anche, ad esempio in una classe, di sperimentare regole su cui come adulto/prof non sono pienamente concorde (anche qui con tutti i distinguo scritti sopra rispetto a violenza, pericolo, trasgressività…) e avere la possibilità eventualmente di cambiarle se non vanno bene. Quello che scrivi rispetto a capire e motivare le regole mi viene da applicare anche alle sanzioni (i ragazzi e le ragazze che incontro spesso parlano di punizioni, castighi). Credo che le “punizioni” sia a casa che a scuola debbano essere collegate direttamente al “reato” commesso e finalizzate a far capire lo sbaglio (e la regola violata). Se un bambino prende un brutto voto e lo tengo a casa dal calcio perché so di farlo soffrire terribilmente, che senso ha? Per questo adesso molte scuole stanno sperimentando al posto delle sospensioni i cosiddetti “lavori di utilità sociale” per giovani che violano alcune regole. Lo stesso fa lo stato per alcuni reati. Tutto ciò trasferito al tema carcere apre moltissimi interrogativi, che di solito nelle scuole scatenano feroci dibattiti sulla pena di morte e di come sia giusto che chi commette reato venga rinchiuso per sempre ed eliminato dalla nostra società… ma anche in questo caso mi chiedo “a che pro?” “con quale finalità?”. Tema: Libertà e privilegi Non è ipocrita parlare di libertà solo con persone che l'hanno sempre avuta? È importante parlare dell'argomento con coloro che hanno vissuto in condizioni di "non-­‐
libertà". Non conosco persone che abbiano "sempre avuto la libertà". Forse ci sono persone che se lo raccontano, ma io non credo proprio che sia vero che qualcuno ha sempre avuto la libertà. (Ci sono famiglie che hanno sempre avuto dei privilegi, ma questo è un altro paio di maniche.) Sì, avete ragione, è proprio con chi vive in condizioni di non libertà che bisogna parlare di libertà, visto che la libertà è soprattutto una aspirazione (oppure la rivendicazione di chi dice: "sì, sono stato io a scegliere A piuttosto che B e non invece C e l'ho fatto intenzionalmente per questo motivo".) Sulleregole porta le conversazioni sulla legalità e le regole nelle carceri, cioè al reparto La Nave di San Vittore, dove ci sono le condizioni per poter aprire conversazioni con detenuti che, se sono alla Nave, è perchè hanno scelto di aderire al percorso proposto dalla ASL a detenuti tossico-­‐alcoldipendenti, che possono sempre scegliere, se vogliono, di tornare in altri reparti dove i detenuti non devono partecipare ad attività educative o terapeutiche che sono piuttosto faticose. Anche nelle scuole è naturale che gli studenti, tutti minorenni o appena maggiorenni, non siano ancora indipendenti e autonomi e cioè non siano (ancora) pienamente liberi. Noi ci auguriamo che lo diventino e siano sempre più capaci di operare scelte davvero sulla base della propria scelta libera e soprattutto motivata, cioè capace di dare risposte sul perchè delle proprie scelte, cosa che si può chiamare responsabilità. Infatti non credo che la posizione di chi non è libero sia una posizione puramente passiva: sia semplicemente dovuta al "fatto" che ci sarebbe o c'è un "cattivo capo" che toglie la libertà, dà comandi oppressivi o divieti ingiusti ecc., dunque ci sarebbe un colpevole tiranno da qualche parte, mentre gli oppressi sarebbero innocenti vittime che nulla hanno fatto per costruire il potere di chi li opprime. Credo che la questione sia molto più dinamica e complessa di così, sia sotto il profilo storico che educativo. La questione davvero importante e cruciale che viene sollevata dalla domanda però, secondo me, non è tanto la libertà o l'oppressione, ma l'IPOCRISIA. Quello sì che è un affare molto pericoloso e difficile da affrontare. Al proposito voglio condividere con voi un frammento che io ho scritto in verità non per il pubblico ma per qualcuno privatamente (non è importante chi, nè l'occasione, l'unica cosa che dirò è la data: dopo il 9 gennaio 2015). Riguarda esattamente il tema che a voi giustamente interessa: l'ipocrisia come principale ostacolo alla realizzazione del compito indicato dall'art.3 della Costituzione. "E' scritto: “L’Italia ripudia la guerra”. Sono contraria alla censura. Riconosco che entra nella libertà di espressione chi dice: armiamoci e partite (che è diverso da chi lo fa, da chi spara, in silenzio o pregando). Ringrazio chi scrivendolo mi offre l’occasione di dire il mio no al richiamo alle armi, da chiunque firmato. Chi invoca la guerra come mezzo valido per ottenere sicurezza non pensa. Quando impareremo la lezione? Quali fatti basteranno a far vedere che le bombe producono distruzione, disperazione e ulteriori carneficine sempre più armate (oltre a ricchezza per pochissimi)? Gli ultimi 70 anni, che con ipocrisia chiamiamo “pace”, hanno già sentito un’infinità di esplosioni mortali in Palestina, in Africa, nel Medio Oriente, in Afghanistan, praticamente ovunque e ora continuiamo a vedere, senza riconoscerle, le conseguenze seminate dalle guerre: il terrorismo globale, l’uscita dai limiti dei “fronti”. Chiediamoci: chi ha educato i terroristi? Da chi e da cosa hanno imparato a uccidere così, a martirizzarsi e a compiere “sacrifici umani” facendo esplodere anche i bambini come bombe, come già avvenne in Vietnam? È noto che uccidere è proprio degli uomini: il ragno non uccide la mosca, la mangia. Il leone sbranando la preda nutre un’infinità di specie oltre alla sua e preserva la savana dal diventare deserto: non è nemico del suo ambiente, rispetta le leggi ecologiche. L’uomo è unico a uccidere i suoi simili. Ma l’uccidere terroristico non è omicidio, è peggio. Da cosa è originato? Quali sono le premesse che portano come conseguenza ad atti simili? Secondo me il terrorismo è figlio della fede nella guerra, della credenza religiosa che guerre “giuste” o “sante” esistano, siano necessarie, richiedano e meritino il sacrificio della vita per la “gloria” o solo per vendetta. Questa è una fede, visto che non è un dato empirico né scientifico. Non è fede propria di una religione in particolare, può essere creduta da atei e credenti, monoteisti e politeisti. È fiducia che la violenza organizzata, il fare del male non spontaneamente ma con l’intenzione e il fine di eliminare fisicamente i cattivi (anche a costo di "danni collaterali"), sia bene e viatico di bene. La violenza, elevata a sistema ed esercitata senza rabbia e senza paura, nel nome di un’idea, è creduta necessaria e utile, questa è la fede che anima i terroristi. Io sono miscredente, per me è una orrenda superstizione credere che la guerra ci voglia, sia inevitabile. È un errore radicato nell’incapacità di distinguere tra conflitto e guerra, tra conflitto e violenza. I conflitti sono ineliminabili, ovviamente. Ma i conflitti non sono guerre, come si dice confondendo ciò che va distinto. I bambini che litigano, anche se si prendono a pugni per un insulto, come dice il Papa, non fanno la guerra, stanno imparando a litigare e a stare assieme, è difficile che si facciano male per davvero, in modo permanente. Succede che gli amici litighino (quando sono bambini maschi succede che si prendano a pugni, le bambine fanno il muso). Ma rimane un litigio tra bambini, non è guerra: non si ammazzano e non smettono di essere amici e sanno anche giocare “alla guerra” per ridere e divertirsi, senza danno alcuno. Il dolore acceca e per molti distinguere tra violenza e conflitti è davvero difficilissimo. La sacralizzazione della guerra, l’idea che sia possibile uccidere in nome di una “giusta causa” che renderebbe la violenza gloriosa o necessaria, è tutta un’altra cosa rispetto ai litigi infantili e ai conflitti, cioè alle relazioni tra le persone che, visto che sono vive, esprimono interessi e punti di vista anche conflittuali ed evolutivi, non solo armoniosi, il che non significa che allora debbano confondere la forza con la violenza. La violenza è un apprendimento. Si impara a usare la violenza nel tentativo fallimentare di eliminare i conflitti. La violenza si impara quando si subisce violenza ma anche crescendo in ambienti educativi e culturali violenti e ipocriti. La guerra e il terrorismo sono scelte che richiedono un apposito addestramento. Dove c’è terrorismo, statale o di gruppi, c’è educazione a obbedire e a credere che la violenza possa portare al bene, che la violenza sia un “mezzo”, neutro, utilizzabile per fini “buoni”. Bisognerebbe smettere di prepararsi e fare la guerra e cominciare a educarsi alla libertà di pensiero, che è l’antidoto alle superstizioni. Quando in Europa c’era molta più censura era peggio, succedeva che chi aveva qualcosa da dire, cioè vedeva o pensava qualcosa di diverso da quello che generalmente si pensa, non poteva dirlo né scriverlo. Sono molti i filosofi che avendo trasgredito quel divieto sono stati uccisi. Altri decisero di scrivere senza pubblicare, di esercitare sì la parresia, il doveroso parlar chiaro, ma solo tra amici. Affidarono ai posteri le motivazioni sui loro no e i loro sì. Ci vollero secoli per ideare e conquistare la libertà di religione, di stampa, di insegnamento, di scienza. Oggi sembriamo aver dimenticato quella lunga storia e molti credono che libertà significhi licenza, come credono i bambini: “voglio fare quello che voglio”. Non è libertà pubblicare qualsiasi cosa dicibile perché è dicibile (incluse menzogne, insulti, chiacchiere, minacce, sputi, sangue). Libertà di pensiero è la capacità di mettere limiti pensati alla propria scrittura e alla propria azione. È appunto la capacità di avercelo, un pensiero. Non è libero chi è rinchiuso dentro la logica cieca della guerra e crede che la scelta sia un aut aut tra l’impotenza del silenzio e le bombe. Non è libero chi si sente costretto a vendicarsi, chi pensa che l’unica legge comune a tutte le culture sia la guerra, chi crede che i nemici debbano morire affinché gli amici possano vivere liberi. Questa credenza non è un libero pensiero, non è attuale, non è un “istinto” di vendetta. È la legge umana, troppo umana, anticamente attribuita a Lamec, il violentissimo discendente di Caino. Il mio no alla violenza non è assoluto, come quello di don Milani, basato sulla Parola data a Mosè: “non uccidere”. Quello è un no che c’è già, eterno per chi lo crede. Potrebbe non funzionare per chi appartiene a religioni diverse. (Però ha un problema chi si contraddice credendo che: “è proprio per insegnare a non uccidere che bisogna uccidere, però nel nome di dio”.) Il mio no alla guerra non è religioso né fondamentalista. È un no umano come quello che chiunque può dire, senza distinzioni di sesso di lingua di etnia di religione di opinioni politiche di condizioni personali e sociali. È il no che le mamme qualsiasi hanno sempre detto, quando non le hanno zittite, ogni volta che capita un’occasione. " Conoscete un posto dove non esistono regole? Come sarebbe il mondo senza regole? Se tutti rispettassero le regole ce ne sarebbero di meno? Gherardo Colombo apre il libro Sulle regole con un apologo intitolato "un paese immaginario". Praticamente la metà degli abitanti sono autori di piccole corruzioni o trasgressioni, l'altra metà ne sono vittime, salvo poi essere alla prima occasione autori delle prepotenze che rientrano nelle loro opportunità e nella loro apparente immediata convenienza (la convenienza collettiva e di lungo termine non viene percepita nè tematizzata in questo paese). Questo paese immaginario "trasgressivo" non è un paese senza regole, è un paese in cui la regola dominante sembra una, la seguente: puoi fregare gli altri e la legge se ne hai vantaggio e riesci a non essere scoperto, grazie alla collusione collettiva, alla reciproca dipendenza. Infatti un mondo senza regole non può esistere, come non può esistere uno sport senza regole o un gioco senza regole. Sono proprio le regole che danno al gioco o al mondo la loro identità ed esistono sempre nella testa di chi abita o osserva quel mondo e ne interpreta i significati, in accordo o in disaccordo con le comunità cui appartiene. Anche il baro usa le regole del gioco, giocando su due piani: fa credere di stare al gioco condiviso in qual tavolo e in realtà gioca il suo proprio gioco, spesso con la collaborazione di qualche complice secondo accordi segreti. Ma anche un orso bianco solitario su un iceberg, benchè possa apparire sciolto da ogni regola e da ogni relazione, che lo sappia o no, riceve la sua necessaria spinta di Archimede, che anche prima di essere descritta da Archimede e da tutti i successivi scienziati agiva regolando le relazioni tra l'acqua e ciò che su di essa galleggia. Oltre alle "regole eterne" che le scienze descrivono interpretando i fenomeni naturali, ci sono le regole umane che possono anche essere trasgredite da chi non le condivide o non è capace di rispettarle. (O sta imparando, come i bambini che di solito hanno difficoltà con le regole che riguardano il congiuntivo, le operazioni, la bicicletta) Spesso chi appare come trasgressore rispetto a un sistema di regole, ad esempio quelle stabilite dalla Costituzione, in effetti si comporta in modo conforme ad altre regole, diverse, ad esempio le regole imposte dalle organizzazioni criminali. La corruzione ha regole precisissime. La mafia ha regole e sanzioni applicate ai trasgressori con particolare severità. Anche chi va in moto senza casco, in alcuni territori, lo fa non in trasgressione alla regola ma in conformità al divieto della camorra che prescrive che le persone non possano usare il casco perché devono essere sempre riconoscibili: chi va in motorino con il casco dal punto di vista dei camorristi è "certamente" un killer e rischia di essere eliminato. (Che poi qualcuno muoia per una buccia di banana, questo viene considerato "destino"). Tema: Diritti e doveri, obblighi e responsabilità L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Ma dov’è il lavoro? La domanda si riferisce al 1° art. della Costituzione Italiana che dice :l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. E’ importante capire lo stretto legame fra le 3 parole più importanti: repubblica-­‐
democratica-­‐ fondata sul lavoro. Non può esistere la repubblica e soprattutto non può essere democratica se le persone non si impegnano (non lavorano) quotidianamente per realizzarla. Il lavoro quindi non è inteso come un diritto ma come un diritto/dovere di tutti che si realizza con l’impegno. Il lavoro dei giovani è l’impegno nello studio e nello sviluppo del sapere. Il lavoro è intorno a noi, ma certamente richiede impegno e dedizione anche nel rispetto delle caratteristiche di ciascuno. La domanda si riferisce alla ricerca del lavoro in questi anni di difficoltà economica ma la Costituzione nel suo primo articolo si riferisce all’impegno come base per il modello di società che la Costituzione definisce. Alla base della repubblica democratica sta l’impegno e la responsabilità di ciascuno a lavorare per realizzarla. Altra importante considerazione è la volontà di sottolineare che la Repubblica democratica italiana fondandosi sul lavoro cioè sull’impegno di tutti vuole abolire i privilegi e le distinzioni. Questo primo articolo va infatti legato strettamente al 2° e al 3°. Pagare le tasse è una regola. E fregare i soldi ai cittadini italiani? Pagare le tasse non è solo una regola ma un dovere. Possiamo dire che attraverso le tasse lo Stato riesce a garantire i Servizi che servono alla collettività: la scuola, i pompieri, la polizia, gli ospedali, le strade, i musei, le biblioteche, l’università, la ricerca, l’informazione e via così. Certo non sempre, e purtroppo, le persone che operano per garantire questi servizi operano con il massimo di responsabilità. Se i cittadini vedono che ci sono persone che non si comportano secondo le regole e secondo i limiti previsti dal loro ruolo devono intervenire segnalando e denunciando. Esistono anche possibilità collettive per intervenire. Gli abusi e i reati devono essere denunciati. Per poter intervenire è importante sapere e basarsi su fatti e non su supposizioni anche questo è l’impegno chiesto a ciascuno per costruire la Repubblica democratica a cui si riferisce la Costituzione. L’impegno di tutti è il dovere che abbiamo per essere veramente cittadini responsabili e non sudditi. Come si può fermare la trasgressione delle regole senza violenza ma con un dialogo aperto? Le regole sono prodotte da persone e risentono dei tempi in cui sono state fissate . Le regole non sono immutabili. Leggi e regole cambiano a seconda dei tempi e dei luoghi. Non stiamo parlando di regole di matematica, nelle regole dell’addizione decidiamo che 2+2=4 e non discutiamo se è giusto o sbagliato, applichiamo la regola. Le regole del vivere sociale, le leggi possono cambiare a seconda del modello sociale che vogliamo affermare. Nella storia abbiamo avuto trasgressioni che sono servite ad affermare cambiamenti sociali importanti. Pensiamo all’abolizione della schiavitù, della discriminazione per sesso e/o religione. Le regole che non ammettono trasgressione sono quelle che garantiscono diritti non negoziabili (la vita, la dignità, la sicurezza…). Le regole se sono conosciute e soprattutto con-­‐divise difficilmente generano trasgressioni soprattutto se corrispondono alla profonda convinzione della loro utilità per il ben-­‐essere di ognuno. La capacità di dia-­‐logare non è sempre facile perché ognuno può avere idee, principi, modelli molto diversi e può immaginare esistano solo i propri. Il percorso per “incontrare veramente le emozioni” proprie e altrui è una ricerca che cerca di “dare voce” alle cause che rischiano di fare esplodere la violenza. La violenza nasce spesso dalla paura, dal timore di chi non conosco e dalla voglia di affermarsi. Cercare il dialogo significa uscire dal meccanismo di chi ha ragione e chi ha torto ed entrare nella ricerca del che cosa “sentiamo” profondamente, del chi siamo l’uno per l’altro e del che cosa proviamo. Il dia-­‐logo aperto è una conquista che richiede disponibilità ed impegno, possono esistere situazioni in cui non è facilmente raggiungibile. L’alternativa non è mai la violenza. E’ importante impegnarsi per fare in modo che il rispetto, l’eguaglianza e l’inclusione caratterizzino il nostro comportamento verso gli altri. Tema: Scuola ed educazione, ubbidienza e trasgressione Non è che il problema di incomprensione tra studenti e insegnanti sia dovuto a un metodo di insegnamento troppo rigido e che assume un solo punto di vista? E’ innanzitutto necessario non generalizzare: ci può essere incomprensione tra alcuni studenti e alcuni insegnanti, ma può esserci anche il rapporto opposto. Come in tutti gli ambienti in cui la relazione è un aspetto fondamentale, anche nella scuola può accadere che ci siano relazioni distorte. La scuola, inoltre, risente ancora del fatto che si è strutturata nel tempo come una società verticale, divisa tra chi insegna (e spesso intende l’insegnamento come “trasmissione di nozioni”), e chi deve imparare e continuare a riprodurre un sistema che alimenta verticalità: ne è un esempio la struttura delle aule, con la cattedra dietro la quale sta l’insegnante, e i banchi, spesso singoli e in fila, ai quali siedono i ragazzi. Anche nella scuola, però, ci sono docenti che sono consapevoli del fatto che il loro compito è quello di in-­‐segnare, cioè di lasciare un segno, e questo può realizzarsi solo se si intende la scuola come una società orizzontale, in cui le differenze sono di ruoli e compiti, non di posizione gerarchica. Andare nella direzione di una scuola di questo genere, che sia spazio di democrazia e nella quale si sperimentino la cittadinanza e la condivisione, non è solo compito degli insegnanti: la capacità di “assumere un punto di vista diverso dal proprio” e la convinzione che la scuola sia un bene comune che si può costruire insieme, deve anche essere degli studenti. La domanda che insegnanti e studenti si devono fare quotidianamente è: “Come posso oggi, nel mio Istituto, nella mia classe, contribuire alla costruzione di una scuola in cui si costruiscano insieme relazioni e apprendimenti? Quali azioni mi possono portare in questa direzione? In che modo posso essere protagonista e non spettatore? Che cosa posso chiedere agli altri?” Cosa pensa dell'attuale sistema educativo? Bisogna capire che cosa intendiamo per “sistema educativo”, che non è solo il sistema scolastico, ma comprende la famiglia, la scuola, le diverse agenzie che, direttamente e consapevolmente, ma talvolta anche in modo indiretto e inconsapevole, hanno a che fare con la formazione dei bambini e dei ragazzi. Se ci limitiamo alla scuola, e alla scuola italiana, che la Costituzione con gli articoli 33 e 34 riconosce come istituzione a garanzia del diritto fondamentale all’istruzione, che è alla base della libertà di scelta per ciascun cittadino, dobbiamo riconoscere che il suo percorso è simile a quello della Costituzione. Da un lato i principi affermati nella Costituzione e nelle diverse leggi, ultime quelle di riforma sia del I ciclo di istruzione sia del II ciclo, prefigurano una scuola che fornisce agli studenti strumenti culturali e competenze professionali di livello alto (come si può leggere ad esempio nell’art. 2 dei Regolamenti di riordino degli Istituti superiori del 2010); dall’altro la scuola ancora risente in parte di una concezione orizzontale della società, che è necessario cambiare, con il contributo di tutti. Secondo lei conviene rischiare trasgredendo o rimanere sicuri ubbidendo? La trasgressione o l’ubbidienza in sé non sono né positive né negative, trasgredire non è sempre un atto coraggioso e non comporta sempre un rischio, così come obbedire non significa inevitabilmente seguire acriticamente ciò che hanno stabilito altri e non dà necessariamente sicurezza (talvolta in certi ambienti è proprio l’obbedienza alle regole che costituisce un atto controcorrente e di coraggio: per rimanere nell’ambito della scuola, pensiamo ad esempio al non copiare durante una verifica quando si sa che l’insegnante non controlla e che tutti lo stanno facendo). Soprattutto se parliamo di regole intendendo quelle fondamentali, la Costituzione e le leggi, nate per garantire la possibilità di convivere nella società, il loro rispetto (l’obbedienza in questo senso equivale a rispetto, non a cieca sudditanza o a sottomissione) è fondamentale per garantire la libertà di tutti, e in questo senso dà sicurezza al singolo e alla società. Certo, le leggi e le regole sono fatte dagli uomini e corrispondono al comune “sentire” dell’epoca in cui sono state pensate; per questo talvolta, quando cambiano le condizioni della società, bisogna lavorare insieme per cambiarle, “andando oltre” (questo è il significato primario della parola “trasgredire”) e manifestando il proprio disaccordo con gli strumenti, pacifici, offerti dalla democrazia. Gli unici casi in cui la trasgressione, nel senso di mancanza di rispetto di una legge, è necessaria, sono quelli in cui una legge viola i diritti fondamentali dell’individuo, cioè la vita, la dignità, la sicurezza, la libertà. In Italia è accaduto ad esempio durante il periodo del fascismo con le leggi razziali; in quel caso chi le violava, ad esempio proteggendo gli ebrei, rispettava il principio della dignità della persona e si assumeva la responsabilità delle sue azioni e le relative conseguenze (che, lo sappiamo, per molti furono decisamente pesanti). Tema: Libertà e responsabilità Alla fine di tutto qual è la vera definizione per descrivere il vero legame tra queste 3 grandi parole? Libertà, Regole e Trasgressioni hanno qualcosa in comune? La trasgressione e la libertà sono le conseguenze delle regole? Come avviene sul versante letterario, per poter trasgredire le regole, occorre conoscerle, sperimentarle, viverle profondamente anche nelle loro contraddizioni, poi ciascuno di noi, per libero arbitrio, può decidere di trasgredirle se ne è consapevole delle conseguenze. Prima di creare poesie in uno stile trasgressivo, conviene allenarsi a seguire delle rime, a esercitarsi su canoni già percorsi dai grandi poeti. In questo caso il concetto di libertà si traduce nella possibilità di individuare le ingiustizie generate dalle regole esistenti, può essere un’ingiustizia che il tempo o nuove condizioni ha fatto emergere, può riferirsi solo a particolari gruppi sociali e quindi nasce la necessità di calibrare le vecchie regole a situazioni differenti. Il fil rouge tra le parole Libertà, regole e tragressioni è responsabilità, dove responsabilità in questo caso significa sapere vedere se l’applicazione delle regole migliora o peggiora la qualità della convivenza. Se, come è avvenuto per le leggi razziali, legali dal punto di vista formale, ci si trova di fronte a una legge è addirittura discriminante che va a ledere un diritto fondamentale dell’uomo. In questo caso, trasgredire le regole dettate dalla legge vigente diventa illegale, ma se corrisponde a valori profondi che si ispirano a diritti inviolabili, avere il coraggio di trasgredire la legge è un grande atto di responsabilità e va fatto con intelligenza e prudenza a favore di un bene supremo. Quando ti è capitato di trasgredire per rispettare valori per te troppo importanti? Trasgressione e tentazione sono la stessa cosa? Il bello della libertà è avere la possibilità di costruire le regole in prima persona. Ad esempio, ciascuno è libero di fissare delle regole per studiare in modo più efficace, per stare meglio in salute o per allenarsi allo scopo di raggiungere risultati sportivi importanti. Oppure può contribuire a definire delle regole per vivere insieme in un appartamento con uno o più amici o per inventare un gioco da fare in gruppo. E’ bello scoprire come le regole possano dare sicurezza, protezione e libertà e la loro trasgressione, umanamente possibile, possa generare disagio per mancanza di sensibilità verso se stessi o gli altri. Qui si apre il capitolo importante del come si reagisce alle trasgressioni, fatte in prima persona o subite. Le regole calate dall’alto hanno una più alta possibilità di essere trasgredite, proprio perché non sono sentite proprie, non attivano senso di appartenenza, mentre quelle co-­‐costruite difficilmente sono trasgredite. In questo caso la partecipazione civica paga. Ci sono però leggi, regole che esistono già prima della nostra nascita, quindi necessitano di essere conosciute attentamente; è il caso della Costituzione, che è la legge fondamentale sulla convivenza e la cittadinanza attiva. Come entra la Costituzione nella nostra vita, in famiglia, a scuola, nel mondo del lavoro? Cosa significa trasgredirla, quali conseguenze comporta? Queste sono alcune domande da farsi per non considerarla una legge distante dalla quotidianità di tutti i cittadini. Il rispetto delle leggi deve andare a braccetto con il rispetto di se stessi e degli altri e passa dalla condivisioni di alcuni valori fondamentali imprescindibili. L’arte del rispetto verso se stessi e verso gli altri è un’arte che si affina nel corso della vita se vogliamo essere sempre soddisfatti delle nostre scelte, anche quando si è trasgredito, avendo la possibilità di esercitare la responsabilità per recuperare per quanto possibile un errore che appartiene al passato, ma le cui conseguenze ci vedono protagonisti. Se errare è umano, quali risposte siamo in grado di sviluppare per rimediare a questo errore: cosa significa per te, nella tua vita, responsabilità. Se avessimo un concetto di giustizia diverso da quello che ci impongono, cosa sarebbe giusto da seguire: le leggi dello stato o quello che è veramente giusto per noi? Si pensi al passato ad esempio, quante ingiustizie solo per pensieri diversi da quelli dello stato o della Chiesa? Le leggi, le regole non annullano in nessun caso la nostra consapevolezza, la capacità di pensare e di discernere, l’intelligenza di capire se quello che è successo o potrà succedere è congruo rispetto ai nostri valori di riferimento. Se la nostra coscienza è sempre attiva, si interroga, esamina i diversi punti di vista, si confronta e sa sentire profondamente l’eventuale incongruenza delle leggi. Se invece si esegue semplicemente un protocollo in modo inconsapevole, si rispetta pedissequamente una regola, la coscienza può apparire anche pulita, ma proprio perché non è stata utilizzata, e noi risultiamo semplici robot. E’ qui che entra il gioco l’umanità, quella capacità di personalizzare la giustizia come un sarto fa con l’abito per farlo indossare in modo perfetto a ciascun cliente. Non sono ancora maturi i tempi per una giustizia sociale personalizzata, ma in coppia, in famiglia, con gli amici e le piccole comunità questo è possibile e in buona parte già viene fatto. Cosa ne pensi di una giustizia più umana?