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IL MONDO CHE NESSUNO RACCONTA
UCRAINA
INTER
VISTA
E
SCLUSI
VA
all’Ambas
ciatore
in Italia
VENEzUELA
Le prospettive future
SUdEST ASIATICo
Profilo dei Paesi ASEAN
URUgUAy
Il presidente e la Marijuana
INTELLIgENCE
La “nuova” NSA
Copia abbinata a Panorama non acquistabile singolarmente | anno I - n. 3 marzo 2014 | www.lookoutnews.it
Politiche estere e interne,
successi e insuccessi, accordi
e disaccordi. Le due grandi
potenze allo specchio
| anno I - numero 3 - marzo 2014
Società
24
14 Muro contro muro
18 Se Ankara snobba Milano
22 È ancora tragedia greca?
GeopoLitica
amici?
xi e no...
Sisters in islam
Le rubriche
20
a dire iL vero...
È veramente
solo colpa dell’Euro?
60
Los presidentes
“Guerrillerros”
46
do you
Spread?
L’Europa delle banche:
investire o risparmiare?
76
Spy GameS
10 giorni a novembre
78
dura Lex
I pirati del terzo
millennio
24 Amici? Xi e no...
90
90
L’araba fenice
Sisters in Islam
30 L’altra guerra fredda
34 USA TODAY: declino
o riposizionamento?
37 NSA, una poltrona per due
38 La memoria degli elefanti
40 Il salario, come minimo...
42 Tra mediazione
e schizofrenia
43 Fly me to the moon
94
oSServatorio
SociaLe
Pronti
all’azione diretta
96
L’anarchico 2.0
Sorridi, sei anche tu
nell’NSA!
97
un Libro
aL meSe
Intelligence e metodo
scientifico
Sicurezza
60 Los presidentes
“Guerrilleros”
64 Dove cresce l’erba voglio
66 Il buio oltre il chavismo
70 L’odissea colombiana
72 La pax cubana
73 La Santa Muerte
economia
80 Cari amici, vicini e lontani
84 ASEAN: l’ombrello asiatico
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86 La crescente islamizzazione
dell’ASEAN
88 Singapore, prima e ultima
l’aggiornamento quotidiano dal mondo
LOOKOUT 3 - marzo 2014
3
La viGnetta
di
“Y a nuko vi ch f ug g e d a Kie v ”
1914-2014:
un anniversario
pericoloso
di mario mori
M
L’editoriale
entre questo numero
va in stampa il mondo
tiene il fiato sospeso
per quanto sta succedendo in Ucraina.
Dopo l’impeachment del presidente
Yanukovich, la tensione internazionale
è improvvisamente salita per la decisione
della Russia di salvaguardare i propri interessi strategici nella penisola di Crimea, che non solo è popolata quasi integralmente da russofoni ma è sede della
più grande base navale russa, punta di
diamante degli interessi strategici di Mosca verso il Bosforo e il Mediterraneo.
Per questi motivi riteniamo di aver fatto un buon servizio ai lettori raccogliendo l’intervista in esclusiva all’ambasciatore ucraino a Roma Yevhen Perelygin,
che ci ha aiutati con estrema pacatezza e
razionalità a comprendere alcuni dei
nodi da sciogliere per riportare la pace
nella regione. La sua è una voce importante perché chiarisce che non esistono
opzioni militari ma che l’unica strada da
percorrere è quella del doppio dialogo:
il primo bilaterale, tra Mosca e Kiev; il
secondo allargato alla comunità e alle
istituzioni internazionali.
L’ambasciatore ha sottolineato inoltre un punto molto importante che forse è stato messo in secondo piano nelle
cronache giornalistiche, spesso vittime
del sensazionalismo. Tra l’Ucraina e la
Russia si gioca un’importantissima partita economica. Mosca è il primo partner commerciale di Kiev e questo può
forse spiegare la reazione della Russia
alla prospettiva di vedere l’area del mercato comune europeo estendersi fino
alle proprie frontiere. Le prime a capire
la portata del problema economico all’interno della crisi ucraina sono state le
borse, che hanno reagito malissimo alla
caduta di Yanukovich e all’ingresso delle truppe russe in Crimea.
Naturalmente non parliamo solo di
Crimea. In questo momento gli Stati
Uniti non si confrontano soltanto con
la Russia di Putin ma anche con la Cina, all’interno di un confronto strategico nel quale anche il Giappone gioca
un ruolo fondamentale. Il confronto è
difficile perché al di là della sempre
crescente supremazia militare americana nel mondo, la politica estera di Washington raramente sembra all’altezza
della situazione.
Francis Fukuyama, politologo giapponese, all’inizio degli anni Novanta conquistò il suo quarto d’ora di celebrità con
un libro dal titolo suggestivo La fine della Storia, che voleva dimostrare che con
la caduta dell’URSS il confronto globale si sarebbe attenuato sotto le ali della
supremazia americana. Una scorsa al
sommario di questo numero dimostra
quanto egli si fosse sbagliato.
inbox
iL direttore editoriaLe
riSponde
L’Ucraina diventerà
una nuova Jugoslavia?
Penso che l’Ucraina potrebbe diventare qualcosa di più di una nuova Jugoslavia: se diventerà membra dell’UE e gli
USA si faranno venire in mente di installare
dei missili di qualsiasi natura, una nuova
Guerra Fredda non la impedirà nessuno. In
ogni caso, un’Ucraina europea non può
non allarmare la Federazione Russa perché parliamo della contesa su una regione
strategicamente ottima come la Crimea.
ALESSANDRO DE SALVO
Il paragone con la ex Jugoslavia sembra
eccessivo. La disgregazione della Federazione Balcanica ha avuto matrici etniche
e religiose molto forti ed è durata diversi anni.
In Ucraina non sembrano esserci i germi della
guerra civile. Ci sono contrapposizioni politiche
sulle alleanze legate in parte alla matrice russofona delle popolazioni dell’ovest. Inoltre, c’è la
questione della Crimea, area di interesse strategico plurisecolare della Russia, alla quale è appartenuta fino al 1954. La presenza militare
russa in Crimea era garantita dai proficui contratti di affitto di basi navali a disposizione
della marina di Mosca. È difficile oggi capire
cosa succederà, ma se il dialogo e le trattative
tra le parti contrapposte, e tra queste con Mosca
e con l’Europa, non andassero a buon fine con
il ritorno allo status quo, vista l’improponibilità di una soluzione militare si potrebbe prevedere una “opzione cecoslovacca”, ovvero una pacifica spartizione democraticamente verificata
tra le due grandi aree in cui è diviso il Paese.
L’evoluzione o involuzione della crisi in Crimea ha
una sola certezza: nulla tornerà come prima sia in
Ucraina sia nei rapporti tra Russia, Europa e USA
Mi pare che l’Ucraina si sia espressa a favore dell’ingresso nella Ue, quindi democraticamente il suo popolo ha potere di validare una scelta o l’altra.
RAFFAELLA D’AMBRA
Allo stato delle cose, non abbiamo elementi per sostenere che la maggioranza dei cittadini ucraini si sia espressa a favore dell’ingresso nell’Europa. Quel che sappiamo
è che manifestanti molto determinati hanno paralizzato la capitale per settimane
con un crescendo di violenze che hanno portato il presidente Yanukovich alla fuga. Anche
se si guarda con favore alla volontà di una parte dell’Ucraina di aderire all’Europa, per
parlare di scelta democratica le manifestazioni non bastano, ci vogliono le elezioni.
I retroscena dell’attentato nel Sinai
Voi sostenete che l’attentatore suicida si sarebbe fatto esplodere in territorio
israeliano sull’autobus egiziano, ma ciò non è verosimile stante lo stretto controllo
al confine israelo-egiziano.
SAMI BAH
Nell’articolo è scritto che l’attentato è avvenuto a Taba, in territorio egiziano. Noi, sulla
base di informazioni raccolte in Israele, abbiamo sostenuto che era “intenzione” dell’attentatore farsi esplodere nella città israeliana di Eilat. Il fatto che non sia riuscito a portare a termine la missione in Israele, decidendo di farsi esplodere in territorio egiziano, vuol
dire che con ogni probabilità le misure di sicurezza al confine lo hanno scoraggiato.
La lettera di minacce recapitata all’Ansa, i No Tav
e il rischio terrorismo: che sta succedendo?
Nella loro ottica è l’unico modo per farsi sentire, visto che l’informazione è
pilotata dalle banche.
MAURO MATTARELLI
Scrivi a:
[email protected]
[email protected]
facebook.com/LookoutNews
twitter.com/lookoutnews
In piena crisi economica nazionale e internazionale le banche hanno altro a cui pensare
che pilotare l’informazione sulle proteste anti Tav. Banche o non banche, è innegabile che
il movimento No Tav, anche se nella stragrande maggioranza dei suoi aderenti si oppone
pacificamente al progetto dell’Alta Velocità contestandone l’utilità, negli ultimi due anni è stato
infiltrato da nuclei di anarco-insurrezionalisti che hanno tentato di innalzare il livello di scontro con violenze e attentati. La lettera di minacce è credibile e perfettamente coerente con un contesto di crescenti intimidazioni contro chiunque si opponga alle violenze in Val di Susa (come
ad esempio il senatore Esposito), e contro le aziende impegnate nei lavori.
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7
canada
arGentina
SpaGna
iSraeLe
Per mantenere stabile
la crescita economica
(+2,2% nel 2014) il governo
di Ottawa punta tutto sul
petrolio. Pronti tre nuovi
oleodotti per raggiungere
le raffinerie del Golfo
del Messico.
Tempi duri per Buenos
Aires. L’economia
argentina ha appena
subito il sorpasso anche
da parte della Colombia.
In America Latina,
restano stabili in testa
Brasile e Messico.
A febbraio il numero
dei senza-lavoro è calato
dopo 7 anni. Una piccola
boccata d’ossigeno per il
premier Rajoy, anche se la
crisi continua a mordere il
Paese e la disoccupazione
resta al 26%.
A inizio marzo la marina
israeliana ha bloccato
nel Mar Rosso una nave
con a bordo un carico
di armi inviate dall’Iran
a Gaza. Non c’è pace in
Terra Santa e la tensione
è costantemente alta.
Siria
mauritiuS
india
nuova zeLanda
L’OPAC si dice ottimista
sullo smaltimento delle
armi chimiche siriane
entro il 30 giugno. Gli
USA però non si fidano
e l’inviato siriano presso
l’ONU Bashar Jaafari non
può lasciare New York.
Secondo il Global
Competitiveness Report
2013-2014 la piccola
isola dell’Oceano Indiano
è al primo posto nella
top ten dell’Africa subsahariana, al 45esimo
a livello mondiale.
Tra il 7 aprile e il 12 maggio
si svolgono le elezioni
politiche. Favoriti gli
ultra-nazionalisti indù
del Bharatiya Janata Party,
che potrebbero porre fine
al decennio di governo
del Partito del Congresso.
Guai a far arrabbiare
Tuheitia Paki. Il re maori
della Nuova Zelanda
non gradisce più le visite
dalla ex madrepatria
e si è rifiutato di onorare
l’arrivo dei reali inglesi,
William e Kate.
Accadde
oggi
Cos’è
La Tour Eiffel
La Tour Eiffel fu inaugurata
il 31 marzo del 1889 e aperta al
pubblico il 6 maggio dello stesso
anno. Costruita in appena 2 anni,
2 mesi e 5 giorni, con le antenne
della televisione la sua struttura
in ferro (oltre 7.000 tonnellate)
raggiunge i 324 metri di altezza.
Ogni anno qui transitano circa
7 milioni di visitatori.
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1889
2014
L’anniversario
di un simbolo
immortale
francia | di L. Tirinnanzi
È
grazie al genio visionario
di Alexandre Gustave Eiffel se oggi Parigi e la
Francia possono vantare
un simbolo grandioso
della propria identità, la Tour Eiffel.
Se quella grande opera architettonica
non fosse mai stata eretta, magari oggi
l’icona per eccellenza di Francia sarebbero la ghigliottina o la baguette.
Che direbbero i superbi parigini se
fossero conosciuti nel mondo solo per
l’Arc du Triomphe? Roma ne ha di
più belli e di più “autentici”. E se fosse
stata Notre-Dame de Paris? Gli sarebbe stato impossibile surclassare il Duomo di Milano o la maestosità della Basilica di San Pietro. Invece, Parigi può
bearsi di uno dei più riconoscibili simboli identitari che una nazione possegga e festeggiare con giustificato orgoglio l’anniversario dei centoventicinque anni dall’inaugurazione della
Torre (31 marzo 1889).
L’ingegnere più famoso di Francia
non era forse un artista, ma il suo genio fu certo seminale per le future
opere ingegneristiche che ispirarono
le migliori menti di Fin de siècle e oltre.
Eiffel si cimentò presto nelle grandi
costruzioni, specializzandosi nelle
strutture metalliche, grazie anche ai
progressi che stava conoscendo allora
Il manifesto
dell’Expo
di Parigi
del 1889
La prima “Great exibition” fu quella
di Londra nel 1851 e richiamò oltre
14mila visitatori. Fu il marito della Regina Vittoria ad avere l’intuizione
dell’Expo, concepito già all’epoca secondo lo schema dei padiglioni che
rappresentano ogni Paese presente,
per mostrare le meraviglie che ciascuno ha da offrire. Parigi, ancora grande
potenza coloniale, non poteva certo
essere da meno di
Londra e, in seguito,
organizzò altrettanto
straordinarie esposizioni: in quella del
1878, ad esempio,
Gustave Eiffel si emozionò per la testa e la
spalla della futura
Statua della Libertà,
mostrate in anteprima al mondo.
Ma la data che a
noi interessa è il
1889: l’Expo di Parigi
nel centenario della
Rivoluzione Francese, doveva essere e
fu un appuntamento mondiale indimenticabile. È così che giunge a noi la
Tour Eiffel, costruita in meno di tre
anni e che ancora oggi innalza l’orgoglio dei francesi fino a 324 metri verso
il cielo. Se qualcuno aveva previsto
una durata di appena 20 anni, il successo che ebbe la volle imperitura.
Chissà se Milano nel 2015 avrà da offrire simili emozioni. Forse non raggiungerà le vette ottocentesche di Parigi, ma certo è un’occasione che l’Italia non può permettersi di perdere.
la metallurgia. Sua è
ad esempio la “passerella di Bordeaux”, ovvero uno di quei ponti
in ferro che tanta fortuna avranno a New
York e nel resto
d’America.
Pioniere anche oltreoceano, Gustave Eiffel sarà inoltre ricordato per
sempre grazie al suo contributo per
un’altra icona immortale: la Statua
della Libertà. Fu, infatti, uno dei principali ingegneri che permisero a Fredric Auguste Bartholdi di realizzare la
gabbia d’acciaio che sorregge l’anima
interna di “Lady Liberty”, la quale - come noto - venne regalata dalla Francia
agli Stati Uniti come simbolo di amicizia e ricordo dell’indipendenza delle
due nazioni.
Ma quel che è importante sottolineare qui sono lo spirito e
la destinazione della Tour
Eiffel. Nell’Ottocento, l’appuntamento internazionale
DI CUI IO SONO LA LINGUACCIA ELOQUENTE
più importante al mondo
era l’Esposizione Universale, dove ciascuna nazione
partecipante presentava in
anteprima i progressi raggiunti dall’uomo nelle arti e
nelle scienze e dove il comTIRA E TIRERÀ SEMPRE (FUORI)
mercio aveva una parte importantissima (come, in buoGUILLAUME APOLLINAIRE
na parte, è ancora oggi).
CIAO MONDO,
CHE LA TUA BOCCA,
O PARIGI,
DAVANTI AI TEDESCHI
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Faces
I volti più significativi
del mese
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bill Gates Con oltre dieci miliardi di dollari guadagnati nell’ultimo anno, il patron di Microsoft torna ad essere l’uomo più ricco al
mondo, secondo Forbes (con un patrimonio di 72,9 mld di dollari).
carlos Slim Il miliardario messicano di origini libanesi che
controlla America Movil, gigante delle telecomunicazioni in
America Latina, scivola al secondo posto (65,5 mld di dollari).
christy Walton Con un conto in banca di 36,7 mld di dollari, la vedova del patron della catena americano Wal-Mart è la prima donna nella classifica Forbes(al nono posto).
Warren buffett Il tycoon americano, soprannominato
“l’oracolo di Omaha” è al quarto posto dei Paperoni, con un patrimonio di 58,2 miliardi di dollari.
Jan Koum Il giovane ucraino non è nella classifica d’oro
dei più ricchi al mondo, ma con l’accordo da 19 mld dollari con
cui ha venduto WhatsApp a Facebook, certo non se la passa male.
ingvar Kamprad Il discusso fondatore di Ikea ha costruito la propria fortuna sul “fai da te”. E bene ha fatto: il suo
patrimonio oggi ammonta a 50,3 mld di dollari.
Società
ucraina
La crisi in Crimea
turchia
Il “no” di Erdogan
all’Expo 2015
Grecia
L’agonia infinita
UCRAINtAa
iS
interv
ruSSia-ucraina
muro
contro
muro
va
eScLuSi ore
iat
all’Ambasc
in Italia
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/UCRAINA
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ucraina | di Luciano Tirinnanzi
Il vostro presidente è in fuga, i militari russi sono entrati
in Crimea e ora si temono una guerra e la divisione del
Paese. Come uscire da questa grave situazione?
Ci sono alcune condizioni imprescindibili per noi. Come
primo punto, chiediamo al governo di Mosca il ritiro immediato di tutte le forze militari russe dal nostro territorio. Noi
dobbiamo ritornare al giorno precedente l’aggressione della Russia, quando non c’erano in Crimea altre forze se non
quelle previste dall’accordo bilaterale russo-ucraino.
Secondo punto, noi chiediamo di inviare una missione
internazionale in Ucraina, e più precisamente in Crimea,
sia essa sotto l’OSCE o sotto le Nazioni Unite. Al tempo
stesso, noi auspichiamo altre missioni internazionali - a guida del consiglio d’Europa o delle Nazioni Unite o di altre
strutture sovranazionali - per rispondere alla domanda su
come proteggere i diritti umani delle minoranze etniche
nazionali.
Terzo punto, cominciare immediatamente consultazioni
e negoziazioni secondo due direttrici: proponiamo una
consultazione bilaterale russo-ucraina (ma sappiamo che la
Russia non vuole) e una multilaterale, con la partecipazione di più nazioni o organizzazioni, siano esse la Germania,
l’Italia, la Francia o piuttosto Unione Europea e NATO.
Avete già avuto contatti con qualcuno?
Sì, ci sono contatti per promuovere una missione in Crimea e abbiamo ricevuto l’assenso dell’OSCE circa l’invio di
una Commissione. Spero che, per la data in cui uscirà questa
intervista, la missione della Commissione sia già avvenuta e
possa anche aver tratto le prime conclusioni. La nostra posizione, in ogni caso, è descrivibile come “as soon as possible”.
Dopo le violente proteste di piazza
a Kiev e nel resto dell’Ucraina,
il nuovo governo ha promesso le
elezioni a maggio. Ma il presidente
Viktor Yanukovich dal suo rifugio
in Russia grida al golpe, mentre in
Crimea l’esercito russo al comando
di Putin attende gli ordini. Sarà
guerra o compromesso? Il mondo
aspetta e la diplomazia è al lavoro.
Viktor Yanukovich è stato eletto democraticamente. Dopo
le violente proteste di piazza e la sua fuga, il governo ad
interim opera ancora nel contesto costituzionale?
Noi non abbiamo un governo ad interim, il nostro governo è permanente, “tecnocratico” se vuole. Secondo la Costituzione del 2004, è il parlamento e non il presidente a nominare il governo. Una settimana fa, il parlamento ha varato una nuova coalizione di governo tripartita, denominata
“La Scelta Europea”. Tale coalizione ha quindi nominato
un governo, ma la definizione ad interim è relativa soltanto
a descrivere la condizione temporale che condurrà alle elezioni. Legalmente, il governo è nel pieno delle proprie
funzioni e il primo ministro ha la completa autorità.
L’opinione di
yevhen pereLyGin,
Ambasciatore Straordinario
e Plenipotenziario d’Ucraina
nella Repubblica Italiana
Ma Yanukovich grida al golpe e oggi chiede aiuto alla
Russia...
Secondo la legge Ucraina, Yanukovich oggi è solo un cittadino privato. Si prenda l’accordo politico firmato la notte
del 21 febbraio con le opposizioni sotto l’egida di Germania,
Francia e Polonia, per metter fine alle violenze. Se il parlamento adotta una legge a maggioranza, secondo Costituzione il
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Società
presidente non ha diritto di rifiutarla. Se la Russia non recede dalle
Il parlamento ha adottato il provvedi- proprie posizioni, accetterete
mento e l’ha passato al presidente per di cedere una parte del Paese
la ratifica. Ma il presidente da quel per evitare una guerra?
Assolutamente no. Però siamo dimomento è scomparso e il parlamento ha aspettato invano che Yanukovich sposti a valutare ogni possibile accorsi presentasse. Secondo la Costituzio- do per migliorare la condizione dei
ne, se il presidente non firma, il par- cittadini. Alcuni deputati, ad esempio,
lamento ha il potere di rendere effi- discutono sull’introduzione del russo
cace tale legge, attraverso il presi- come seconda lingua e altri hanno
dente della Camera. Dopodiché il proposto l’istituzione di una zona
franca, per stimolare lo sviluppresidente non c’era più,
po economico in Crimea.
non so in quale altro PaeMa io penso che tutto
se un presidente può
debba essere fissato in
sparire per cinque
Quella
un pacchetto di acgiorni. Abbiamo apdi Mosca in
cordi, che poi possopreso dalla confeno anche essere affirenza stampa di Rodati a un consiglio
stov (in Russia, ndr)
si chiama
regionale. Ma prima
dov’era finito. Adesdi
giungere a una siso, noi non abbiamo
aggressione
mile soluzione, dobbiapiù un presidente, ma
mo sapere che cosa vuole
una presidenza ad intela Crimea, ricevere una prorim per svolgere le attività
posta e valutarla.
ordinarie, che ha deciso di nominare nuove elezioni presidenziali
per maggio, visto che queste non Ha mai avuto la sensazione che
possono avvenire prima di novanta piazza Maidan fosse eterodiretta?
No, il problema è sempre stato
giorni.
nell’assenza di fiducia del popolo verCome definirebbe allora i militari so le istituzioni: troppe tangenti e poche risposte sono un problema enderussi in Ucraina?
Il fenomeno si chiama occupazione mico e di lungo corso nel nostro Paedi un territorio indipendente e l’attività se. Poi la mancata firma per l’accordo
con l’Europa, senza peraltro alcuna
svolta da Mosca si chiama aggressione.
spiegazione da parte del presidente,
Se non la guerra, si aspetta un re- ha fatto il resto.
ferendum per l’autodeterminazione
Secondo Lei, perché Yanukovich
o per l’indipendenza?
Yanukovich e la Russia hanno crea- non ha firmato?
Forse ci sono anche altre ragioni ma
to da soli il problema. Anni fa fu proprio il presidente a decidere di non ritengo sia perché la Russia non voleadottare la legge sul referendum lo- va. E lo ha fatto capire dall’estate scorcale, dunque oggi legalmente sa, quando ad agosto ha chiuso le
l’Ucraina non ha la base giuridica frontiere economiche con l’Ucraina e
per tenere questi referendum. Yanu- noi abbiamo perso qualcosa come 3,5
kovich lo fece apposta per il timore miliardi di esportazioni verso Mosca.
che alcune regioni dell’ovest potessero scindersi. Oggi, dunque, la Costi- Teme per l’economia dell’Ucraina
tuzione proibisce il referendum per e per la dipendenza energetica?
L’energia è un problema, ma non il
questioni territoriali. Il referendum
può avvenire solo per organizzare le più grave. Il vero problema è che oltre
un terzo della nostra economia dipende
attività regionali.
crimea
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dal commercio bilaterale RussiaUcraina. Il nostro primo partner commerciale è Mosca, per questo dobbiamo trovare la soluzione insieme a loro. Noi vogliamo anche capire perché
la Russia ha tanta paura della nostra
possibile associazione con l’Europa.
Ma la Russia non spiega, dice solamente che se l’Ucraina fa l’accordo per il libero commercio questo è un problema
per gli interessi russi. Intanto, con
l’Ucraina la politica russa continua ad
essere quella del bastone e della carota.
Per ogni anno che abbassa il prezzo del
gas, l’anno successivo questo raddoppia.
Lei che ne pensa?
Penso che Mosca tema che i prodotti europei giungano in Russia via
Ucraina senza tasse. Ma noi abbiamo
spiegato a Mosca che siamo disponibili a costruire insieme una regolamentazione doganale. Ma questo si fa sedendosi intorno a un tavolo.
Chi è
Yevhen Perelygin
Ambasciatore ucraino a Roma dal
marzo 2013. In Ucraina ha rivestito i
ruoli di direttore dell’ufficio di governo
d’Europa e dell’ufficio per le politiche
d’integrazione. In passato è stato
ambasciatore a Dublino e Strasburgo.
Società
UCRAINA
int
erv
Secondo lei, Putin è disposto
a sedersi al tavolo con voi?
Oggi tutti si chiedono cosa
pensi davvero Vladimir Putin.
Per me, vale quanto disse
quando fu eletto presidente
per la prima volta, e cioè che
il suo più grande dolore era la
dissoluzione dell’Unione Sovietica. Quando è stato ri-eletto nel 2012, ha previsto una
strategia che tra i punti principali prevede l’organizzazione
di una grande unione doganale euro-asiatica. Ecco perché
non vuole l’UE. Lui vorrebbe
rianimare l’Unione Sovietica
coinvolgendo Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan e altri Paesi. Ma sa che senza di noi non
si potrà mai fare.
Voi avete opzioni militari
al momento? Avete avuto
contatti con la NATO?
No, e purtroppo non siamo
parte della NATO. Ma va detto che siamo 45 milioni di abitanti e che il nostro esercito,
pur non grande come quello
russo, dispone di circa 150mila
soldati. Il problema è che non
vogliamo combattere, perché
sarebbe un disastro per tutti.
Ciò detto, per i soldati ucraini
è difficile mantenere la calma
e non subire le provocazioni
della Russia.
Nel bene e nel male,
siamo a un punto di svolta.
Che succede se Mosca
non cede?
Oggi si decide il futuro
dell’Ucraina. Ma resto persuaso che possiamo convincere la
Russia, anche con l’aiuto
dell’Italia. Dobbiamo convincere Mosca che l’Ucraina come
Paese indipendente, democratico e con valori europei, è
un vantaggio per la Russia.
I cittadini ucraini filorussi
non sono essi stessi un
pericolo?
Devo dire che quasi tutti i cittadini delle regioni russofone
non desiderano la reale adesione alla Russia ma solo vivere in
un Paese indipendente. La dimostrazione di questo è nelle
grandi manifestazioni contro
Putin in quelle regioni e gli uomini che si mettono in fila per
arruolarsi come volontari nella
leva dell’esercito ucraino.
Temete nuove proteste
a Kiev?
Adesso possono esserci delle
piccole proteste solo perché il
processo di arruolamento di
tutti i numerosi volontari che
vogliono iscriversi a difendere
il Paese può essere un po’ lento (dice l’Ambasciatore sorridendo, ndr).
Cosa vorrebbe comunicare
al governo italiano?
Apprezziamo molto la posizione dell’autorità italiana sull’integrità. Il ministro degli Esteri Mogherini e altre figure del governo
hanno spiegato chiaramente che
l’Italia, insieme agli altri partner
Divisioni
etniche
in Ucraina
principali, vuole garantire questa
sovranità e ciò è molto importante per noi. Ci aspettiamo che il
governo italiano mantenga un
sostegno permanente e al tempo
stesso contribuisca alla soluzione
del conflitto. Per esempio, spedendo uno o più rappresentanti
in Ucraina nell’ambito di una
missione internazionale e appoggiando la nostra politica filo-europea a Bruxelles.
Il mondo deve capire che noi
stiamo parlando di adesione
all’Unione Europea, che è per
noi una scelta civica, tale per cui
o torniamo al passato dell’Unione Sovietica o facciamo un passo avanti verso un “European
style”. Forse, non saremo membri dell’UE per altri 10 o 15 anni, ma sono sicuro che dobbiamo costruire un sistema europeo all’interno del nostro Paese. Con la Russia non è possibile
costruire un futuro, che sarebbe un passo indietro. Però è il
nostro vicino di ieri, oggi e domani e vogliamo conviverci.
Mosca deve solo capire che la
cooperazione ha una base di parità se si dialoga ponendosi sullo stesso piano. Questo è un
principio fondamentale.
Dove Tymoshenko ha ottenuto
la maggioranza nel 2010
BIELORUSSIA
iSta
eScLuS
iva
all’A
mbascia
tore
in Italia
Percentuale
di popolazione
che parla russo
dalla nascita
≥90
70
50
30
≤10
Dove il deposto presidente
Yanukovich ha vinto nel 2010.
Chernihiv
Sumy
POLONIA
RUSSIA
Kiev
Kharkiv
UCRAINA
Luhansk
Kirovohrad
Dnepropetrovsk
Donetsk
MOLDAVIA
Mykolaiv
Zaporizhia
Kherson
ROMANIA
Odesa
Crimea
Sebastopoli
Fonte: State Statistics Service of Ukraine
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Società
turchia | dal nostro corrispondente a Istanbul, Giuseppe Mancini
Se Ankara snobba Milano
Renzi saprà ricucire i rapporti con Erdogan?
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FOCUS
L
a Turchia non partecipe- premier - o comunque dal suo entourà all’Expo 2015 di Mila- rage - senza consultazioni con altri mino. La notizia è arrivata il nistri, trasmessa a Milano subito dopo
19 febbraio e ha colto di la visita del presidente Abdullah Gül
sorpresa un po’ tutti: per- in Italia. Poi più nulla: la crisi innescata
sino all’ambasciata di Ankara, dove dallo scandalo corruzione e la campa“seppur di poco” l’hanno “appresa gna elettorale per le amministrative del
prima dalla stampa”. E infatti, è stato il 30 marzo hanno impedito ulteriori apquotidiano turco Hürriyet - nella
profondimenti, ma ostacoli di
sua edizione online - a rencarattere economico non
dere noto il ripensamento
ce ne sono. Il commissadel governo turco. “Una
rio Giuseppe Sala ha
L’Italia
decisione inattesa che
però parlato di una
sostiene la
ha scioccato l’Italia” ha
“situazione ampiacandidatura di
aggiunto la nostra Ammente recuperabile”
basciata. Forse l’enfasi
e lo stesso Scarante
è eccessiva: ma l’ambaha auspicato che
per l’Expo
sciatore
Gianpaolo
“questa decisione posScarante ha comunque
sa essere rivista, in linea
2020
lamentato “sconcerto e
con gli eccellenti rappordispiacere”, anche perché la
ti esistenti tra Italia e TurTurchia è stato uno dei primi
chia”. Se c’è ancora margine, il
Paesi - nel 2011, con una lettera di Re- nuovo governo Renzi deve farsi in ogni
cep Tayyip Erdogan a Silvio Berlusconi caso perdonare lo sgarbo di Letta: ma- a confermare la propria presenza, poi gari con un’iniziativa a favore dell’aderatificata con un accordo formale nel sione di Ankara all’Unione Europea 2012. In quell’occasione - a novembre forte e non solo retorica - durante il se- il commissario per il padiglione turco mestre di presidenza italiano.
Burak Gürsel aveva promesso “un
grande impegno”. Ma aveva anche agRecep Tayyip
giunto: “Contiamo sul sostegno dei
Erdogan
Paesi amici - e specialmente su quello
Il premier turco
dell’Italia - per la candidatura di Izmir
prima della
a ospitare l’expo del 2020” (Izmir era
delusione per
già stata in lizza per il 2015).
le Olimpiadi
Esattamente un anno dopo, la doccia gelata: il comunicato di Palazzo
Chigi con l’annuncio del sostegno
italiano non a Izmir ma ad Abu
Dhabi. All’ambasciata turca di Roma non l’hanno presa benissimo.
Si sono però limitati a sottolineare - diplomaticamente - come gli
Emirati Arabi Uniti abbiano acquistato per il 2015 uno dei padiglioni più grandi: particolare confermato, peraltro, nel testo diffuso
dal governo di Roma.
È questa la ragione della rinuncia
turca? Una ritorsione per un comportamento giudicato poco amichevole e
scorretto? Del resto, Hürriyet parla di
una decisione presa direttamente dal
abu dhabi
L’illusione di Istanbul
L
a Turchia puntava alla
doppietta per il 2020:
Olimpiadi a Istanbul, Expo
universale a Izmir. Invece, sono
arrivate solo delusioni: la quinta in
ordine di tempo per Istanbul, la
seconda di fila per Izmir, e chissà se
insisteranno a provarci. Nel
frattempo, cosa ne sarà dei grandi
progetti - impianti e infrastrutture presentati nei dossier di candidatura?
Per Istanbul, nessun problema: le
precedenti candidature avevano già
lasciato in eredità lo stadio olimpico
Atatürk, inaugurato nel 2002, oltre
alla metropolitana per raggiungerlo.
Il piano complessivo dei trasporti
verrà in ogni caso completato: sul
totale di 19,2 miliardi di dollari di
budget, circa 10 erano quelli previsti
- e già stanziati autonomamente - per
realizzare oltre 200 chilometri di linea
ferrata urbana, per giochi pensati “senza
automobili”. E verranno costruiti anche
alcuni degli impianti sportivi minori:
almeno quelli inseriti nel vasto piano
- per tutta la Turchia - dal costo
complessivo di 2 miliardi di dollari, con
415 tra stadi e palazzetti. Sono invece
stati accantonati i progetti per il villaggio
degli atleti, per un’arena capace di
ospitare le cerimonie di apertura e
chiusura, e per il training centre,
pensato come una sorta di università
turca dello sport. Anche a Izmir,
sono i grandi progetti infrastrutturali
quelli che - promesse elettorali del
governo Erdogan - verranno portati
in ogni caso a termine: il tunnel e
viadotto Izkaray per tagliare il golfo
sull’Egeo, nuove linee della
metropolitana, un porto per le navi
da crociera e nove porticcioli per gli
yacht. Non verrà invece trasformata
in parco per l’Expo - secondo il master
plan di Zaha Hadid - la laguna di
Inciraltı. In compenso, rimane ferma
la volontà di istituire un grande
museo dedicato alle civiltà che da
millenni hanno popolato la regione.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
19
a dire iL vero...
iL mondo che neSSuno racconta
di Alfredo Mantici
N
el giugno del 2013 è stato pubblicato un saggio
scritto dall’economista
Antonio Maria Rinaldi
dal titolo inquietante e
significativo: Europa Kaputt. (S)venduti
all’Euro. Come ben dice il titolo, il professor Rinaldi non è un fan entusiasta
della moneta unica alla quale ascrive
non poche delle responsabilità per la
crisi economica che investe alcuni Paesi
dell’Eurozona, a partire dall’Italia.
del Vecchio Continente per inseguire un sogno che si sta rivelando ogni giorno più irrealizzabile dell’unità politica
dei Paesi europei.
Quando nel 1950 nacque il primo embrione della comunità europea, la CECA (Comunità Europea del Carbone e
dell’Acciao), si trattò del primo passo di un processo che
nella mente di De Gasperi, Schumann, Adenauer e Monnet doveva consentire a un continente devastato dalla guerra non soltanto di attuare forme di cooperazione economica per la ricostruzione, ma anche una ripresa del dialogo
politico tra Paesi che fino a pochi anni prima si erano ferocemente combattuti.
Con la nascita della CECA e delle successive aggregazioni
economiche comunitarie, dalla CEE (Comunità Economica
Europea) fino al trattato di Maastricht, l’Europa si è sviluppata
È veramente solo colpa
La terza via
di
Jean
monnet
dell’Euro?
In effetti, dal
2002, quando l’Eusi è affermata
ro ha soppiantato tutin Europa
te le monete nazionali
dell’Unione Europea ad
eccezione della sterlina (gelosamente tenuta in vita dal governo
di Sua Maestà), passata l’euforia iniziale
per il grande passo europeista ci si è resi
progressivamente conto del fatto che la
nuova moneta nasceva già debole, in
quanto frutto non di una strategia di politica economica integrata ma come moneta che per la prima volta non veniva
governata dalla politica.
L’Euro è il sintomo e non la causa
della nostra depressione economica.
È il frutto della incapacità sia dei padri fondatori dell’Europa comunitaria
che dei loro successori di andare al di
là di una concezione mercantilistica
20
LOOKOUT 3 - marzo 2014
lungo una “terza via”, una linea di mediazione tra le due correnti ideologiche sulle quali si sarebbe fondata l’Unione Europea. La prima, quella federalista, mirava a una progressiva integrazione politica da cui far poi discendere un’economia comune. La seconda puntava invece a una semplice cooperazione intergovernativa in campo economico.
La terza via, quella che si è affermata grazie al grande politico francese Jean Monnet, è quella che è stata percorsa
con alterne vicende fino ad oggi: una progressiva integrazione dei Paesi aderenti all’Unione, accompagnata e sostenuta da tentativi di dare omogeneità alla politica economica comunitaria.
L’Euro potrebbe essere definito il simbolo della vittoria
di questa via. Ma così purtroppo non è, perché sull’altro
piatto della bilancia pesa negativamente il fatto che ad
esempio l’Iva non è la stessa per i Paesi aderenti all’Unione
Europea.
Come può accadere che paghiamo un bene con la stessa
moneta e che quel bene possa circolare grazie al Trattato di
Maastricht liberamente in tutti i Paesi dell’Unione, per poi
subire una tassazione diversa a seconda dei singoli Paesi?
PER SAPERNE DI PIÙ
A DIRE IL VERO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
L’Italia, l’Europa e la crisi ai tempi della moneta unica
In questo paradosso si nasconde
uno dei più grandi problemi europei,
vale a dire la carenza di una politica
comune dovuta a un’innegabile deficit di democrazia. Nell’arco dei decenni, trattato dopo trattato in Europa si
è radicata una classe di tecnici e di
funzionari multinazionali e per lo più
sconosciuti. Sono loro che compongono gli uffici, che regolano le attività di
organismi che dettano legge ai governi senza dover rispondere ad alcun
elettorato. D’altronde, l’Europa non è
riuscita neanche a darsi una Costituzione. Oggi tutti parliamo di Costituzione europea. In realtà proprio per il
fallimento della politica la “Carta” ha
dovuto assumere la prosaica denominazione di “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”. Una specie
di regolamento che tuttavia non è riuscito a stabilire un raccordo effettivo
ed efficiente tra un parlamento europeo nominato a suffragio universale e
un organo esecutivo, la Commissione, i
cui membri nominati dai governi non
hanno alcun obbligo di rispondere dei
loro atti né ai governi che li hanno
nominati né al parlamento che
li dovrebbe controllare. È
da una situazione come
questa che viene fuori
la lettera che nell’autunno 2011 venne
inviata (senza alcuna firma) al governo
italiano, contenente precise e a tratti insultanti richieste di spiegazioni sulla politica economica del nostro Paese. È
una lettera che se fosse stata firmata dal
capo di uno Stato, avrebbe comportato
una durissima reazione diplomatica. In
Italia ha provocato la caduta di un governo. Una lettera scritta non si sa da
chi, non si sa da dove ma che grazie al
timbro postale di Bruxelles ha posto
condizioni a uno Stato sovrano.
Questo forse è il problema dell’Euro. Questa disgraziata moneta potrebbe essere in realtà la vittima innocente
di un sistema politico simile alla Repubblica ideale di Platone, solo che al
posto dei filosofi al governo ci sono i funzionari: grigi, sconosciuti e potenti, privi
di qualsiasi controllo politico e di ogni
legittimazione democratica dettano legge a governi che dovrebbero ritenersi sovrani. L’Euro è un sintomo del disagio
economico europeo, non la sua causa.
Jean Monnet
Il politico
francese e
padre fondatore
dell’Europa
è vissuto tra
il 1888 e il 1979.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
21
Società
Grecia | di B. Woods
È ancora tragedia greca?
I
bastioni dell’austerità espansiva disegnati da Alesina e Ardagna nel 2009, si vanno ormai sgretolando. A fronte di
nuove evidenze e di reiterati
appelli di centinaia di economisti, tra
cui diversi premi Nobel, la fortezza
dell’ortodossia rigorista (Commissione, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, altrimenti detto
“Troika”) dovrebbe abbondonare le
politiche monetarie e fiscali restrittive,
decise dal summit del G7 tra i ghiacci
artici di Iqaluit nel febbraio del 2010,
e intraprendere in via prioritaria iniziative atte a riavviare la crescita economica. Insistere sul contenimento
del debito non è solo controproducente, ma rischia di destabilizzare definitivamente le economie dell’UE,
trascinandole in una spirale di recessione-deflazione senza fine, dagli esiti
sociali imprevedibili, che sta velocemente trasformando la crisi economica in una crisi umanitaria senza precedenti: è quello che sta vivendo, nel
colpevole silenzio generale, la Grecia.
Nonostante le manovre draconiane
(tanto per restare in ambito greco) di
contenimento della spesa pubblica, i
massicci licenziamenti e i prestiti europei, la Grecia precipita sempre più nella crisi: il PIL continua a ridursi, seppure con un ritmo inferiore, attestandosi
per il 2013 al -4,2% (-25% rispetto al
2009); la disoccupazione è al 27%; i salari lordi sono diminuiti di un altro 7%
(-20% dal 2010); mentre gli aggiustamenti della bilancia commerciale sono
determinati solo dalla forte riduzione
delle importazioni, conseguenza della
caduta della domanda interna (consumi e investimenti), e comunque insufficienti a colmare il deficit strutturale
compreso tra il 6 e l’8% del PIL.
22
LOOKOUT 3 - marzo 2014
Si stima che il debito pubblico raggiunga presto il 173% del PIL (record)
mentre il rapporto deficit pubblico/PIL
è atteso intorno al 4%. Tuttavia, le misure previste dal piano di rientro della
Troika si stanno rivelando insufficienti,
tanto da rendere ormai certa la necessità di un ulteriore prestito di 4,4 miliardi
nel 2014 e di ben 6,5 miliardi nel 2015,
per evitare la bancarotta. Inoltre, tali misure stanno precipitando la culla della
civiltà occidentale verso un nuovo medioevo fatto di pochissimi ricchi e di
moltitudini di poveri.
La drastica caduta degli investimenti
pubblici in sanità e welfare (-26% nella
spesa per gli ospedali pubblici e riduzione di circa il 35% della spesa farmaceutica tra il 2009 e il 2011) e l’insufficiente spesa privata sostitutiva (il 70%
dei greci dell’Acaia non è in grado di
comprare i farmaci prescritti) hanno
determinato un drastico aumento dei
tassi di mortalità e del tasso di diffusione di malattie trasmissibili come l’HIV.
La prestigiosa rivista Lancet riporta
che nel 2012 in Grecia ci sono stati
ben 116.670 morti, il numero più elevato dal 1949. L’aumento dei decessi
registrato nel periodo 2008-2012 è attribuibile, in particolare, all’incremento dei decessi tra gli ultra ottantenni (+12,5% nella fascia 80-84 anni
e +24,3% negli ultra 85). Inoltre, Lancet afferma che l’aumento della mortalità nella popolazione con un’età maggiore di 55 anni (+2.200 morti) registrato nel biennio 2011-2012, “rappresenta la prima evidente conseguenza
di breve periodo dell’austerità”.
Quello che però sgomenta maggiormente è il dato sulla mortalità infantile: secondo quanto riportato nell’articolo Greece’s health crisis: from austerity
to denialism, le misure di austerità imposte dalla Troika alla Grecia non solo
hanno accresciuto la percentuale di
bambini a rischio di povertà e malnutrizione (dal 28,2% del 2007 al 30,4%
del 2011), ma soprattutto hanno determinato l’esplosione del tasso di
mortalità infantile (neo e post-neonatale), cresciuta del 43% tra il 2008 e il
2010. Questi dati, come chiosa l’articolo di Lancet, indicano come gli effetti collaterali dell’austerità espansiva
siano stati sottovalutati o addirittura
ignorati.
Mortalità in Grecia (2004-2012)
Numero di morti
Fonte: Lancet
Tasso di mortalità per età
120
120.000
115
115.000
110
110.000
105
105.000
100
100.000
95
95.000
90
90.000
0
0
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
aLL neWS
Società
africa
Gli stipendi dei presidenti
cuba
Secondo Jeune Afrique
il capo dello Stato
più pagato in Africa è il
presidente sudafricano
Jacob Zuma, che
percepisce una
retribuzione mensile
pari a 19.765 euro.
Lo stipendio più basso
è invece quello del
collega camerunense
Paul Biya, cui spettano
solo 200 euro.
Saccheggiato il Museo
Nazionale a L’Avana
I
l governo cubano ha confermato il furto di un
numero significativo di dipinti dal Museo Nazionale delle Belle Arti a L’Avana. Si tratta di
quasi un centinaio di opere dal valore di migliaia
di dollari. La maggior parte delle opere sottratte
sono quadri del pittore Leopoldo Romañach.
francia
Accusato di incitamento
al jihad sul web
vietnam
Inaugurato il ponte
a forma di drago
U
n giovane francese è stato giudicato dal Tribunale di Parigi per
incitamento al terrorismo sul
web. Abu Siad Al- Normandia (questo il suo nickname) inneggiava al jihad dal sito internet Ansar Al
Haqq, di cui era gestore. In Francia il reato per cui
è accusato è punibile con cinque anni di carcere e
una multa fino a 45.000 euro.
I
n occasione del 38° anniversario della fine della
guerra del Vietnam, nella città di Da Nang è
stato inaugurato un ponte a forma di drago,
considerato il simbolo del Paese. L’opera (8,1 tonnellate per una lunghezza di 666 metri) è stata realizzata dalla compagnia americana Louis Berger
Group. Costo: 1,7 milioni di dong vietnamiti.
iSraeLe
iraQ
Lezioni di inglese per
i tassisti
Lezione “fatale”
a nord di Baghdad
F
inisce in tragedia un corso di addestramento
per terroristi nei pressi di una base del gruppo
qaedista Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante
(ISIS) a nord di Baghdad. Stando a quanto riferito dal New York Times, nel dare istruzioni su come
le persone arrestate
indossare una cintura imbottita di esplosivo un
per traffico di
comandante si sarebbe fatto esplodere accidentalneonati in Cina
mente uccidendo se stesso e altre 21 reclute.
1.000
I
l sindaco di Gerusalemme, Nir
Barkat, ha proposto ai tassisti lezioni d’inglese (a prezzi modici) per migliorare il servizio offerto ai turisti stranieri. I corsi
si svolgeranno in gruppi da dieci, dureranno
sessanta ore, costeranno 100 shekel (17 dollari) e saranno focalizzati sulla corretta pronuncia delle attrazioni turistiche.
(a febbraio)
LOOKOUT 3 - marzo 2014
23
Xi Jinping, Barack Obama
e Shinzo Abe,
rispettivamente leader della
Repubblica Popolare cinese,
degli Stati Uniti d’America
e dell’Impero del Giappone
24
LOOKOUT 3 - marzo 2014
GeopoLitica
La sfida tra i
“Big two”, i due
giganti Cina e Stati
Uniti, si sposta
nel Pacifico. Dove
il terzo incomodo
si chiama Giappone
Amici?
XI e NO...
La copertina
LOOKOUT 3 - marzo 2014
25
GeopoLitica
cina |
Con Deng Xiaoping, che riceverà
l’eredità del Grande Timoniere, la Cina lancia per la prima volta una vera e
a fondazione della Re- propria politica estera, il cui tratto
pubblica Popolare Cinese principale è l’assenza di ideologizzanel 1949 ad opera di Mao zione. Deng utilizza il pragmatismo
Zedong ha segnato la fine confuciano, una politica che in termidel “Secolo dell’umilia- ni occidentali potremmo definire neozione”, ovvero di quel Grande Impero bismarckiana: attiva ma di basso profidel Centro umiliato da britannici e lo, cooperativa con i vicini (finanche
francesi con le Guerre dell’oppio e con gli Stati Uniti) e funzionale alcon i diktat delle grandi potenze occi- l’obiettivo primario di creare un amdentali. Un’umiliazione accentuata biente internazionale favorevole allo
dal fatto che alle potenze coloniali sviluppo economico nazionale.
Con l’affermarsi della Cina quale
d’Occidente si era aggiunto il Giappone, considerato tradizionalmente dai potenza globale, questa politica estera
cinesi come un piccolo Paese vassallo, subisce alcune trasformazioni: da una
parte diviene multilaterale, per
eppure diventato anch’esso pocui favorisce la crescita del
tenza colonialista. Sarà la
regionalismo asiatico, ma
Cina di Mao a segnare la
dall’altra assume profine di questo “Secolo
Mai come
gressivamente carattedell’umiliazione”.
oggi il
ri intransigenti, creCon la sua morte, tutto cambia. Fino a confucianeSimo ando non poche preoccupazioni nei PaeMao, infatti, la Cina
è così forte e
si vicini. Questo divieaveva sì una grande
sostenuto dalla
ne evidente nel rapstrategia ideologica
leadership
porto tra Tokyo e Peglobalista (il terzomonchino, le cui ferite della
dismo), ma non una vera
cinese
Seconda Guerra Mondiale
politica estera.
una conversazione con Franco Mazzei*
L
a seguire
cina
La strategia globale
e la sfida con gli USA
La sfida per lo spazio
Giappone
L’antagonista
di Pechino
Stati uniti
Il riposizionamento
USA
La nuova NSA
Il salario minimo,
Obama
e i Repubblicani
Quali armi esporta l’Unione Europea in Cina
Valore riferito alle armi prodotte dal 2001 al 2011
Paese di provenienza
Tipo di prodotto
Destinazione
Varie tipologie
1.04 mld
Francia
1.95 mld di euro
Aerei
652 mln
Cina
2.81 mld di euro
Sistemi radar
526 mln
Regno Unito
593 mln
Sistemi elettronici
Italia
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/CINA
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LOOKOUT 3 - marzo 2014
Germania
Rep. Ceca
Olanda
Altri
Munizioni
Semilavorati
Agenti chimici
Navi da guerra
Veicoli corazzati
Altri
Lo schema considera solo articoli a scopo militare
Fonte: Campaign Against Arms Trade
ancora oggi non sono rimarginate: basti pensare che il motivo ricorrente e
foriero di tensioni tra le due principali
potenze asiatiche è relativo a un piccolo gruppo di isolette disabitate (amministrate da Tokyo sin dall’Ottocento)
che, se anche fossero ricche di petrolio
e gas, non giustificherebbero la guerra
che molti analisti paventano.
Se i ripetuti atti di ostilità e provocazione da entrambe le parti appaiono
incomprensibili all’Occidente, essi si
spiegano bene se esaminiamo la politiche dei rispettivi leader, Shinzo Abe
e Xi Jinping. È evidente che nessuno
dei due vuole la guerra, semplicemente perché essa non conviene. Abe e Xi
sono piuttosto impegnati in un gioco
strategico, fatto di bluff e contro-bluff,
che va sotto il nome di “brinkmanship”. È la strategia del rischio calcolato o, se vogliamo, quella del “gioco del
coniglio”, dove perde chi ha paura e
dove l’obiettivo non è la guerra ma
soddisfare rigurgiti nazionalistici.
Questo gratifica i giapponesi, che si
sentono minacciati dalla rapida e straordinaria ascesa cinese, sia economica
sia strategica. Ma gratifica anche i nazionalisti cinesi, che da sempre sognano d’impartire una lezione umiliante
al Giappone. Anche perché in Cina, finito l’ideologismo, oggi è proprio sul
nazionalismo che la nuova leadership
punta per creare il necessario consenso. In sintesi, l’obiettivo di entrambi i
leader altro non è se non gestire il rinascente nazionalismo.
La sfida uSa-cina,
il “big two”
È fin troppo evidente invece la rilevanza che a livello globale e sistemico
contrappone Pechino a Washington.
L’odierna politica globale prevede un
G2, un “big two”, un condominio sinoamericano che dal G7, passando per il
G8 e il G20, si è evoluto sin qui. Oggi
tra le due grandi potenze esiste un
“chain-gang”, ovvero un’alleanza forzata, che li costringe a cooperare: la
Cina, che produce più di quanto consuma, ha bisogno del grande mercato
Popolazione cinese
Dati espressi in milioni e riferiti al 2010
Suddivisione per province
1-20
21-40
41-60
61-80 81-100 >100
Pechino
Shandong
Henan
Shanghai
Guangdong
La crescita dal 1982 ad oggi
≤0
1-20
21-40
41-60
≥81
61-80
Pechino
Xinjiang
Tianjin
Shanghai
Sichuan
Chongqing
Guangdong
Hainan
Popolazione urbana e rurale
1500
1200
Urbana
900
600
300
Rurale
0
1970
1980
1990
2000
Fonte: National Bureau of Statistics China (provincial data);
World Bank (Birth rate, total population).
2010
Confucio
Il nome deriva
da Confucius,
espressione latina
coniata dei primi
missionari gesuiti
in Cina per definire
Kong Fuzi (il Maestro
Kong), il grande
filosofo cinese
vissuto tra il 551-479
a.C. che ancora
oggi influenza il
pensiero e lo stile
di vita in Oriente
LOOKOUT 3 - marzo 2014
27
GeopoLitica
Il dizionario
continente, puntando
unicamente sull’aspetto
commerciale. Così, in
breve, gli Stati africani
hanno iniziato a favorire
il Beijing consensus
rispetto al Washington
consensus. Perché? L’aiuto
cinese non pone altre
condizioni se non quelle
La presenza cinese in
Africa è pesantissima,
ma non si tratta di
colonialismo, piuttosto
dell’aver colmato il vuoto
lasciato nell’Africa subsahariana dall’Occidente.
Nonostante i molti limiti,
col suo intervento, la Cina
ha energizzato l’intero
americano per le esportazioni.
Mentre gli USA, che consumano più di quanto producono,
hanno bisogno che la Cina
compri buoni del Tesoro per finanziare l’ingente debito. Questa particolare relazione tra
USA e Cina, cruciale per il sistema internazionale attuale , è
la dimostrazione che oggi l’interdipendenza economica, e
quindi la geo-economia, prevale sulla geo-politica. Il problema è: fino a quando durerà?
Molti studiosi, a cominciare
dagli analisti del Dipartimento
di Stato, sono preoccupati e si
chiedono come la Cina gestirà
l’ingente potere che sta progressivamente accumulando. Sarà
un attore responsabile? La Casa
Bianca è convinta che la Cina sia
una potenza fondamentalmente revisionistica, come la Germania guglielmina o hitleriana o
l’Italia mussoliniana, ovvero
Washington
vede la Cina
come una potenza
revisionistica
una potenza non soddisfatta
del sistema internazionale esistente e che, per tale ragione,
desidera modificarlo. Se fosse
vera tale ipotesi, la Cina diventerebbe necessariamente lo
sfidante degli Stati Uniti.
In realtà, per tutto il periodo
post Guerra Fredda, gli USA
hanno sempre considerato la
Cina una potenza amica-nemica. Non c’è dubbio che l’ascesa
straordinaria cinese sia alla base della strategia recentemente
adottata da Obama: quella del
“pivot-to-Asia”, che ha spostato
verso il Pacifico il baricentro
geostrategico degli Stati Uniti,
ricalibrando e rivedendo al ribasso gli interessi (e la presenza) di Washington nel Medio
Oriente, sempre meno interessante per gli USA.
In concreto, l’obiettivo di
questa nuova strategia di Obama “pivot-to-Asia” è consolidare
un ruolo che gli Usa hanno
sempre svolto in quest’area,
cioè l’offshore balancer, un bilanciatore esterno. Il problema
è che una parte della leadership
cinese vede in questa strategia
USA una minaccia all’unico
punto veramente vulnerabile
della Cina dal punto di vista
geostrategico: il blocco dei porti
cinesi e/o delle rotte dello stretto di Malacca. Colpire Pechino
qui, significherebbe la fine della
Cina per strangolamento. A tale
Taiwan, la “provincia ribelle”
a Repubblica di Cina, meglio nota come Formosa
o Taiwan, pur rivendicando la propria autorità
sulla Cina continentale sin dai tempi della
sconfitta di Chiang Kai Shek e del Kuomintang, non è
più un problema capitale per il pragmatico governo di
Pechino. La Cina, non essendo uno Stato-nazione, ma
piuttosto uno Stato-civiltà con duemila anni di esistenza
alle spalle, è capace di accettare la convivenza di più
entità contemporaneamente: “uno Stato e più sistemi”.
Così, se oggi in Cina coabitano serenamente due
sistemi - il sistema Hong Kong e il sistema Pechino in futuro potrebbe aggiungersi anche il sistema Taipei.
L
28
LOOKOUT 3 - marzo 2014
dettate dall’economia,
rispetto all’Occidente
che mira anche a imporre
le proprie idee, culture e
modelli. Mentre la Cina, che
è essa stessa un insieme
di più modelli e culture,
parte dal presupposto
della diversità e punta solo
ai vantaggi reciproci.
esercito
Soldati 130.000
Tank 1.100
Artiglieria 1.600
marina
Sottomarini 4
Cacciatorpedinieri 4
Fregate 22
aeronautica
Caccia 388
Bombardieri 22
Pivot-to-Asia
La nuova
politica
americana
nel Pacifico
Stretto
di Malacca
Il vero punto
debole
della Cina
Il National
Taiwan Democracy
Memorial Hall, già
Mausoleo di Chiang
Kai Shek (Taipei)
GeopoLitica
Addestramento dell’esercito cinese
scopo, la leadership cinese ha elaborato
una nuova strategia che mira per l’appunto a neutralizzare questa minaccia
modernizzando le proprie forze armate,
segnatamente la marina, e sviluppando
una tecnologia missilistica avanzata.
In realtà, però, a una più approfondita analisi, emerge che a Pechino non
conviene seguire una politica di tipo revisionistico. Del resto, oggi le rotte sono
sicure e la Cina non risente di limiti
geopolitici o problemi geo-economici.
Anzi, a differenza dei giapponesi, che
sono stati pesantemente danneggiati da
questo sistema, Pechino sguazza volentieri nella globalizzazione, dalla quale
ha avuto tutto ciò di cui aveva bisogno
per la sua straordinaria crescita economica: capitali, tecnologia, mercati per
le esportazioni e materie prime.
Perché dunque modificare la struttura
del sistema internazionale? Perché ammazzare “la gallina dalle uova d’oro”? Il
problema è forse allora come l’Occidente legge se stesso in confronto alla Cina:
con la “transizione del potere” da Ovest a
Est (effetto combinato della “ascesa” dell’Asia - prima trainata dal Giappone e poi
dalla Cina - e della globalizzazione) è finita l’epoca dell’egemonia culturale occidentale, iniziata due secoli fa; ma non
sembriamo averlo capito. Se l’Occidente
in questo momento è incapace a comprenderlo, i cinesi invece - che ci studiano a fondo - sanno bene che il nostro
punto debole è proprio la capacità di accettare la diversità.
Un problema, questo, che non affligge
certo la Cina e che, nonostante i segnali
d’arroganza di Pechino, non porta a ritenere credibile una Cina come potenza
revisionistica. Se dietro l’Occidente c’è
ancora una visione eurocentrica e di dominio, dietro alla Cina c’è invece Confucio: siamo tutti sulla stessa barca, facciamo parte di un unico grande Tao. Infatti, mai come oggi il Confucianesimo è
così forte e sostenuto dalla leadership cinese. Si può parlare a ragione di un
neo-Confucianesmo del XXI secolo.
* Esperto di Relazioni Internazionali, Professore
emerito di Storia e Istituzioni dell’Estremo Oriente
Le truppe americane in Asia
Personale militare attivo in Asia Orientale e nel Pacifico (aggiornato a dicembre 2013).
Totale forze impegnate all’estero, in migliaia
Asia Orientale e Pacifico
2009 Marzo
Giugno
Settembre
Dicembre
2010 Marzo
Giugno
Settembre
Dicembre
2011 Marzo
Giugno
Settembre
Dicembre
2012 Marzo
Giugno
Settembre
Dicembre
2013 Marzo
Giugno
Settembre
Dicembre
15%
16%
18%
17%
16%
16%
15%
15%
14%
26%
27%
26%
25%
29%
30%
31%
31%
31%
40%
40%
44.4
45.0
48.0
47.2
47.3
46.7
44.0
44.5
43.7
53.9
55.7
51.2
49.1
53.5
52.4
59.5
57.5
57.7
57.5
57.8
Totale
293.7
285.8
262.8
284.1
301.1
297.5
297.3
291.7
305.3
207.7
205.1
196.2
193.1
184.8
173.9
193.7
184.6
186.2
145.6
145.8
Totale Asia Orientale e Pacifico 57,797
Totale Giappone 54,885
*Territori britannici nell’Oceano Indiano, 521; Thailandia, 337;
Australia, 327; Singapore, 286; altri, 272.
Filippine 1,169
Altri* 1,743
Fonte: U.S. Department of Defense
LOOKOUT 3 - marzo 2014
29
GeopoLitica
L’altra
guerra fredda
Nel Pacifico, l’unico Paese
che si contrappone
all’espansione cinese è
il Giappone di Shinzo Abe
Giappone | di Marco Giaconi
Il Giappone ritiene invece che il
nuovo asse della sua sicurezza sarà
proprio dalle Senkaku fino alle isole
di fronte alla Siberia a Nord. E gli USA
cosa fanno? Certamente, malgrado le
speranze di Pechino, non hanno alcuna intenzione di abbandonare l’area e
sguarnire il Giappone, proprio ora
che Washington, dopo le azioni in Afghanistan, sta riposizionando il suo
potenziale strategico intorno alla Cina
e ai margini meridionali della Federazione Russa.
Inoltre, per Tokyo ci sono altri due
nodi strategici: la Corea del Nord nucleare, minaccia vitale per il Giappone, in correlazione strategica con la
Cina, e l’area del Sud-Est asiatico, in
stabile relazione politico-commerciale
con Pechino.
La Cina gioca alcune carte di rilievo:
il suo PIL nel 2013 è quasi il doppio di
quello giapponese, e la Cina ha superato il Giappone già nel 2010 come
seconda economia mondiale. La spesa
militare di Pechino sarà dunque, già
da oggi, legata alla modernizzazione
(la Quarta, secondo l’elenco di Deng
Xiaoping) delle sue forze navali e aeree, che controllano direttamente il sistema di scambi e di proiezione di potenza tra Oceano Indiano, Mar Cinese
Meridionale e Oceano Pacifico.
Pechino sta impostando un nuovo
sistema di relazioni bilaterali con gli
USA, che nella visione cinese porterebbero a un indebolimento dello storico
L
a Cina ha reagito male alla visita del premier
Cina
Seconda
giapponese Shinzo Abe, il 26 dicembre scorso,
economia
al monastero shinto di Yasukuni, dove peraltro
mondiale
vanno anche le reclute della “Forza di Autodifesa” giapponese. Una testimonianza di Abe in
Giappone
ricordo di tutti i soldati giapponesi morti nell’“area di coTerza
prosperità” che il Giappone aveva costruito durante l’Asse
economia
con Roma e Berlino. Ma la questione è più ampia: Abe
mondiale
spenderà 240 miliardi di dollari per il buildup militare nei
prossimi cinque anni, e ha concluso un accordo per le nuove tecnologie d’arma con la Gran Bretagna nel luglio 2013.
Le nuove direttive militari di Tokyo portano il Giappone
fuori dalla logica di demilitarizzazione forzata che era il
portato della Costituzione imposta dagli USA nel
1947. La Cina non accetta certo questo stato di
cose. L’area di Identificazione Aerea di PechiIl Giappone
no comprende le isole Diaoyu-Senkaku (tre
spenderà
delle quali comprate nel 2012 dal governo
giapponese) e ormai il Giappone ha risposto 306 volte con i suoi aerei alle azioni cinedi dollari per il
si nell’area.
Le tensioni strutturali tra i due Paesi sono
buildup militare
ormai chiare: la Cina è quasi completamente
nei prossimi
dipendente, per il suo sviluppo economico, dal5 anni
la sicurezza delle linee marittime, e la tutela giapponese delle Senkaku-Diaoyu interrompe la linea di
controllo di Pechino che va dalle isole Ryukyu a Taiwan, che
è ancora obiettivo primario per una “unificazione lenta”
con la Cina continentale, con o senza azioni militari sulle
sue coste, fino alle Filippine e agli oceani Indiano e Pacifico. Senza questa “collana di perle” che cinge la costa della
Cina, Pechino vede a rischio sia il suo sviluppo economico
che la sua sicurezza territoriale (senza dimenticare le eventuali reazioni di Tokyo ad una “annessione” di Taiwan).
240 mld
30
LOOKOUT 3 - marzo 2014
GeopoLitica
Le isole contese e la zona di difesa
aerea autoproclamata dalla Cina
COREA DEL NORD
Pechino
Mar
cinese
orientale
COREA DEL SUD
Tokyo
GIAPPONE
CINA
Shanghai
Zona
difesa
aerea
Oceano Pacifico
Okinawa, Giappone
Taipei
TAIWAN
200 miglia
200 km
ISOLE CONTESE
Rivendicate da e conosciute come:
Isole Senkaku in Giappone
Isole Diaoyu in Cina
Tiaoyutai a Taiwan
Fonte: Reuters; Xinhua news agency
legame strategico tra Washington e Tokyo. Ma certamente, lo ripetiamo, gli USA non accetteranno di abbandonare il Giappone al suo destino.
Fra l’altro, la Cina ha giocato finora, contro il Giappone, la carta del “ritorno del fascismo” e a Davos il
ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha paragonato la
visita di Abe a Yasukuni all’apologia ufficiale del nazismo in Europa.
Il Giappone risponde con un rafforzamento
dell’asse con Washington. L’articolo 5 del Trattato
di Sicurezza Giappone-USA può riguardare infatti
le Diaoyu-Senkaku, e Pechino deve stare attenta a non correre il rischio di un’azione di supporto USA al Giappone, nelle more di un attacco cinese all’arcipelago. L’Abenomics del
primo ministro giapponese, poi, ha avuto
finora scarsi effetti: la previsione di crescita dell’economia è di +1,1% nel 2014. Ma
se Abe abbandona il nanismo militare a cui
il Giappone è stato costretto, gli USA dovranno ripensare a una nuova presenza autonoma nell’area, che di per sé non sarà affatto pro-cinese.
Le probabili future tensioni tra la Cina
comunista e Taiwan, poi, priverebbero
Washington di un alleato-chiave nell’area,
e non è pensabile che gli USA si isolino
completamente in un quadrante per loro decisivo come il Pacifico asiatico, che controlla
anche la linea oceanica verso le coste Ovest
degli Stati Uniti.
Le strategie
militari di Cina e
Giappone oggi
L’ultima e probabilmente
più importante
modernizzazione che Deng
Xiaoping aveva in mente era
quella militare. L’obiettivo
oggi resta quello disegnato
nelle cartine segrete
del Comitato Centrale
del PCC fin dagli anni ‘50:
estensione del potere
cinese fino al Giappone,
riunione con Taiwan,
controllo diretto del Sud-Est
asiatico, penetrazione
cinese in Asia Centrale
fino ai confini con l’India.
Sul piano dottrinale,
l’asse della nuova strategia
globale giapponese è invece
l’India. Si tratta di una linea
che Pechino legge,
giustamente, come
una strategia di
accerchiamento della
Cina. La linea di Tokyo
è inoltre quella di
riorientare la difesa
giapponese verso la
Corea: un’eventuale
tensione nucleare
nella penisola
coreana vedrebbe
Tokyo in correlazione
strategica con
la Corea del Sud.
L’obiettivo di
Shinzo Abe è,
comunque, quello
di mantenere una
relazione bilaterale
forte con gli USA e
riequilibrare il nesso
politico-militare tra
Tokyo e l’Australia. Un
altro “accerchiamento”,
di secondo livello, nei
confronti della Cina. (M.G.)
Corea del Nord:
se Pechino
è ostaggio
di Pyongyang
di Francesco Sisci
Poco tempo fa,il leader
coreano Kim Jong Un non
ha esitato a far giustiziare il
potente zio Jang Song-thaek,
uccidendo insieme a lui altri
centro tra parenti e stretti
collaboratori in quella che
è apparsa come una vera e
propria purga feudale. Jang
era l’uomo della dirigenza
nordcoreana più vicino
a Pechino, ma ciò non è
bastato a salvargli la vita.
Lo schiaffo per la Cina è
stato enorme, ma le opzioni
per il presidente Xi Jinping
non sono molte. Invadere
la Corea del Nord non è
realistico e anche la Corea
del Sud, nonostante
i proclami, intende evitare
un conflitto poiché ne
subirebbe le conseguenze
dirette e vedrebbe affossata
la sua economia per
decenni. In questo scenario,
paradossalmente la Cina è
ostaggio del Nord. Questa
condizione di non
belligeranza è comunque
migliore rispetto a ciò che
in passato è accaduto in
Iraq o Afghanistan,
considerato anche l’alto
livello di follia del regime
nordcoreano e il fatto che
Pyongyang possiede missili
balistici e testate nucleari.
E di ciò, una volta tanto, va
dato merito agli Stati Uniti.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
31
GeopoLitica
Un mondo di armi
Solo nel 2010, le cento più grandi
aziende produttrici di armi al mondo,
escluse quelle cinesi, incassavano
qualcosa come 410 miliardi di
dollari grazie alla vendita di
materiale bellico e relativi servizi,
segnando una flessione di 7 punti
rispetto al +8% del 2009 (ma
ottenendo uno straordinario +60%
rispetto al 2002). Oggi la cifra
si attesta intorno ai 400 miliardi.
Senza la Cina, i primi dieci
produttori al mondo di armamenti
sono, in ordine di grandezza:
Lockheed Martin (USA, 36 miliardi
di dollari); Boeing (USA, 27,6 mld);
BAE Systems (Regno Unito, 26,8
mld); Rayeton (22,5 mld); General
Dynamics (USA, 21 mld); Northrop
Grumman (USA, 19,4 mld); Airbus
Group (UE 15,4 mld - ex EADS);
United Technologies (USA, 13,4 mld);
Finmeccanica (Italia, 12,5 mld); L-3
Communications (USA, 10,8 mld).
Spese per la difesa dalla crisi finanziaria del 2008
150
140
Cina
130
Russia
120
Brasile
Giappone
India
110
100
Francia
USA *
90
Germania
UK
80
Italia
70
60
50
2008
2009
2010
2011
Le grandi nel Pacifico
cina
2.285.000
1.903
1.190.000
1.430
247.450
uSa
2.338
(Tank)
23.866
cina
7.430+
(Tank)
Giappone
Giappone
Fonte: The Military Balance 2014
(Veicoli Corazzati)
uSa
uSa
2013
Per ogni Paese, i livelli di spesa per la difesa (secondo le valute correnti) sono state
aggiustate per l’inflazione e ricalcolate con indice 100, fatto 100 il livello del 2008.
*Budget base
cina
2012
552
2.900
(Veicoli Corazzati)
Giappone
777
(Tank)
817
(Veicoli Corazzati)
cina
12.367+
uSa
6.477
Giappone
1.776
GeopoLitica
I primi 15 Paesi per spesa militare
Budget 2013 in miliardi di dollari
Percentuale rispetto al PIL nazionale
Cina
112.2
USA
$ 600.4
Arabia Saudita
8.0%
Australia
7.2%
Israele
6.0%
Iran
4.1%
USA
3.7%
Russia
3.1%
Corea del Sud
2.5%
68.2
Russia
59.6
Arabia Saudita
57.0
Regno Unito
52.4
Francia
Regno Unito
2.4%
51.0
Giappone
Francia
1.9%
44.2
Germania
India
1.8%
36.3
India
Brasile
1.4%
34.7
Brasile
Cina
1.2%
31.8
Corea del Sud
Germania
1.2%
26.0
25.2
Australia
Italia
Italia
1.2%
18.2
17.7
Israele
Iran
Giappone
1.0%
Fonte: The Military Balance 2014
uSa
cina
112
77
(TOTALE)
11
1
22
62
0
17
14
(Cacciatorpedinieri)
(Fregate)
700
(Portaerei non operative)
(SAM - Air Defence)
2
(Incrociatori)
62
Giappone
2
cina
(Incrociatori)
(Cacciatorpedinieri)
(Fregate)
(SAM - Air Defence)
(TOTALE)
(Portaerei non operativa)
(Incrociatori)
1.281+
47
(TOTALE)
(Portaerei)
uSa
Giappone
302
30
(Cacciatorpedinieri)
(SAM - Air Defence)
13
cina
65
(combattimento)
211+
(pattugliamento)
uSa
72
(combattimento)
41
(pattugliamento)
(Fregate)
Giappone
18
(combattimento)
6
TESTATE NUCLEARI
(pattugliamento)
uSa
7.650
(di cui 2.150 attive)
cina
240
Giappone
0
GeopoLitica
Zio Sam
Citato per la
prima volta nel
1812, divenne
un’icona
americana
grazie al
manifesto del
1917, disegnato
da James
Montgomery
Flagg,
utilizzato per
reclutare i
soldati durante
la prima e la
seconda guerra
mondiale.
Fonte di
ispirazione
per Flagg fu il
cartellone
“Lord Kitchener
Wants You”
dell’esercito
britannico,
in cui era
raffigurato il
generale
Horatio Herbert
Kitchener.
34
LOOKOUT 3 - marzo 2014
GeopoLitica
USA TODAY:
declino o
riposizionamento?
meno marines, più terminators:
la strategia militare americana nel prossimo decennio
prevede snellezza, agilità e presenza in Asia.
I documenti della “Dottrina Obama” dal 2012 al 2014
uSa | di Ottorino Restelli
I
l 5 gennaio 2012 fu presentato
al Pentagono il rapporto “Sostenere la leadership americana globale: priorità per la Difesa del XXI
secolo”. Nell’introduzione di
quel “Libro bianco” che aveva il pregio della brevità (otto pagine) e della
chiarezza, il Presidente Obama affermava che il suo Paese dovrà emergere
dalle guerre del passato decennio
“più forte e in grado di preservare, insieme alla leadership mondiale […]
la superiorità militare” di fronte alle
“sfide attuali e a quelle che potranno
emergere”.
Si trattava di un’affermazione candidamente neo-imperialista e di disarmante chiarezza: a rileggerla oggi,
sembrerebbe che gli Stati Uniti considerino ormai impresso nel proprio
Dna il diritto a intervenire anche militarmente in tutti gli scacchieri nei
quali la loro supremazia possa essere
messa in discussione, con particolare
riferimento all’Asia e alle regioni del
Pacifico (pivot to Asia). Eppure, qualcosa non torna.
La nuova “dottrina” (ogni presidente ne ha elaborata una), pur non
mettendo in discussione la fedeltà
americana agli impegni assunti nella
difesa europea, segnalava anche l’esi-
genza di “un’evoluzione dell’impegno in Europa che tenga conto della
parallela evoluzione dell’orizzonte
strategico”, anche alla luce di una
nuova circostanza: “la maggior parte
dei Paesi europei da consumatori di
sicurezza si sono trasformati in produttori di sicurezza”.
Pare di capire che l’Europa - e tra
le righe il Mediterraneo, Medio
Oriente compreso - verrà progressivamente abbandonata. Ciò vorrebbe dire anche che nel prossimo decennio
il Vecchio Continente dovrà affrontare il problema e i costi della propria difesa, senza contare sull’ombrello americano. In tale prospettiva, l’Amministrazione Obama si dovrebbe concentrare con maggiore
attenzione sul rapporto con la Russia,
cercando “di costruire relazioni più
strette nelle aree di mutuo interesse
strategico” e, cioè, nell’Asia centrale.
Quanto è accaduto sinora di questo
“Libro bianco”? In buona parte, il
programma è stato pienamente rispettato: l’Europa, più che con le basi
militari - sempre più costose - viene
ormai presidiata “a distanza” (ossia
spiata attraverso la NSA); il Nord
Africa e Medio Oriente sono pressoché lasciati in balia di se stessi (dal
dietrofront in Siria allo stop di aiuti e
forniture militari all’Egitto, passando
per la Libia, dove i costi maggiori sono in capo a Francia e Regno Unito);
infine, la Russia. Qui è forse l’unico
punto non rispettato, come da programma. Ma le ragioni di un mancato miglioramento dei rapporti tra le
due superpotenze è probabilmente
dettato più dalla radicata diffidenza
dei russi nei confronti degli Stati Uniti e dalla politica aggressiva di Vladimir Putin (vedi l’Ucraina), che dai
proponimenti di Barack Obama.
In ogni caso, dice il “Libro bianco”,
il decennio che si concluderà nel
2020, vedrà spostarsi il baricentro degli interessi americani e degli impegni
politico-militari del Pentagono decisamente verso l’Est, per giungere a un
confronto, anche serrato, con i due
Paesi che il Pentagono ritiene le controparti più impegnative: l’Iran nuclearizzato e la Cina in costante espansione. Anche questo si è compiutamente verificato: nel primo caso, il dialogo con Teheran è andato persino oltre le aspettative e ciò ha creato (e
crea) non pochi malumori da parte di
alleati importanti, come Israele e Arabia Saudita. Eppure, facendo essi parte
della casella “Medio Oriente”, anche
qui come da programma strategico, sono stati cinicamente trascurati per
quella che si potrebbe a buon diritto
chiamare ragion di Stato. L’Iran, insomma, oggi vale di più. Con la Cina,
invece, probabilmente non basterà il
2020 per traguardare i risultati significativi, ma l’avvicinamento è certamente in corso d’opera.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
35
GeopoLitica
Esercito americano nel mondo
EUROPA
114,864
Canada
133
USA
1,230,468
Guantanamo
886
NORD AFRICA,
MEDIO ORIENTE
E ASIA DEL SUD
Germania 152,452
UK
9,221
90,958
Italia
9,665
Honduras
397
CANADA
E AMERICHE
1,491
Paesi / territori
che ospitano
truppe USA
Afghanistan
97,000
Diego
Garcia
261
AFRICA SUBSAHARIANA
E OCEANO INDIANO
277
Corea del Sud
25,374
Giappone
35,598
Guam
2,985
Delta Force
ASIA DELL’EST
E PACIFICO
64,444
Note: i dati sono relativi a tutte le truppe americane, considerate anche quelle che hanno lasciato l’Iraq,
ad eccezione di un piccolo contingente militare lasciato a difesa dell’Ambasciata americana a Baghdad
Coerentemente con quanto racconta
la cronaca internazionale, gli strumenti
nuovi sui quali s’impernia la “dottrina
Obama” sono con ogni evidenza: un’intelligence adeguata alle esigenze di
lotta anche paramilitare e forze armate “leggere”, elastiche, in grado di intervenire rapidamente su tutti i fronti.
Dalla lotta anti-terrorismo (che proseguirà anche con le eliminazioni mirate dei nemici dell’America, leggi i droni) al cyber spazio, dallo spazio alle
aree strategiche dove in qualche modo la supremazia americana teme di
essere messa in discussione. Anche
qui il “Libro bianco” non mentiva.
Nel febbraio 2014, però, il Pentagono,
attraverso il Segretario alla Difesa, Chuck
Hagel, ha sentito il bisogno di aggiornare il pamplhet di otto pagine, annunciando in mondovisione la progressiva riduzione delle forze armate convenzionali
(in parte già cominciata parallelamente
al “Libro bianco”) fino “ai livelli precedenti la seconda guerra mondiale”. Un
salto indietro di 74 anni, per “concentrarci sulle sfide strategiche del futuro:
36
LOOKOUT 3 - marzo 2014
Fonte: The Military Balance 2014
Forze speciali
americane
nuove tecnologie, nuovi centri di potere
e un mondo per certi aspetti con maggiori minacce per gli Stati Uniti”. A cosa
alludesse Hagel con la seconda parte
della frase non è molto chiaro, ma che
tale riduzione del personale si renda necessaria è spiegabile con il peso ormai insostenibile delle buste paga, dell’assistenza sanitaria, del mantenimento delle
basi militari nel mondo. In una parola,
“meno Marines, più Terminators”.
Questo nuovo annuncio non è tecnicamente in contraddizione con la “dottrina Obama” che abbiamo visto. Una
dottrina per alcuni versi più aggressiva
di quella Bush - vedi l’uso spregiudicato dei droni - che tuttavia dovrà fare i
conti con una politica estera tout court
che a tutt’oggi si è dimostrata ondivaga
e traballante. Il punto è, infatti, politico
e non militare: dalla Siria all’Iran, dalla
Russia alla Cina, ancora sfugge il disegno generale del commander in chief.
Non diteci che dalla “esportazione della democrazia” della famiglia Bush, gli
Stati Uniti oggi si stanno rintanando
nella “democrazia al risparmio”.
Nata nel 1977, è una forza
d’élite dell’esercito americano
specializzata in operazioni
di antiterrorismo, largamente
impiegata in Iraq e Afghanistan.
Armi ed
equipaggiamento
M4 carabina
con lancia
granate
Pistola 9mm
MP5 9mm
mitragliatrice
PSG-1
fucile
da cecchino
Mine
direzionali
Occhiali
per visione
notturna
Codifica
del segnale
radio
Navy SEALs
Le Sea, Air and Land Forces
sono le forze d’élite della marina
statunitense, molto utilizzate
in Vietnam, Iraq e Afghanistan.
GeopoLitica
uSa | di Alfredo Mantici
D
a quando circa nove
mesi fa le rivelazioni
prima e la fuga poi di
Edward Snowden hanno messo in crisi l’NSA
(National Security Agency), la più
grande e costosa macchina spionistica
americana, il presidente Barack Obama sta tentando con molte difficoltà di rimettere insieme i
cocci di un sofisticato organismo di intelligence.
Se le rivelazioni sull’intensa
attività di spionaggio elettronico
ai danni di capi di Stato stranieri, anche amici e alleati, hanno
inferto un duro colpo alla credibilità dell’amministrazione americana nelle relazioni internazionali, le altrettanto dannose rivelazioni sullo spionaggio e sui
controlli illegali - non solo di cittadini americani ma anche di
membri del Congresso - rischiano di imbrigliare il gigantesco
Golia cibernetico in una maglia di divieti e di controlli congressuali che ne potrebbero paralizzare l’attività.
In una recente audizione di fronte
al Congresso, il vice ministro della
Giustizia James Cole ha dovuto ammettere che la NSA probabilmente ha
intercettato le telefonate di membri
del Congresso o di loro assistenti, affermando con un imbarazzo ai limiti
del comico: “Noi probabilmente lo
facciamo (cioè intercettiamo le telefonate, ndr), ma non siamo autorizzati
ad ascoltarle a meno che non abbiamo ragionevoli sospetti che questi
membri del Congresso siano collegati
a minacce terroristiche”.
Queste dichiarazioni hanno portato
all’interno del Congresso acqua al
mulino di quelle forze parlamentari
che guadagnano ogni giorno più influenza, determinate a ridimensionare i poteri di spionaggio del presidente e dell’NSA. Per questo motivo, Obama sta tentando di correre ai ripari
cambiando la governance dell’Agen-
NSA, una poltrona
per due
Cambio al vertice dell’agenzia di spionaggio americana.
La direzione va a un militare e a un civile
Michael Rogers
Il contrammiraglio
è neo direttore
dell’Agenzia
Richard Ledgett
Affiancherà
Rogers come
vicedirettore
zia. Così, il direttore dell’NSA, Keith
B. Alexander, è stato rimosso e al suo
posto è stato nominato il contrammiraglio Michael Rogers. La scelta non è
stata gradita dal Congresso, che si
aspettava che dopo gli scandali la leadership militare dell’Agenzia venisse
sostituita con un direttore civile.
Molto probabilmente, Obama non
se l’è sentita di contrastare il suo ministero della Difesa, che non voleva perdere il controllo di una struttura spionistica così potente. Ma non solo. Forse,
per venire incontro alle richieste pressanti dei lobbisti del Pentagono, ha
consentito a Rogers di cumulare la carica di direttore dell’NSA con quella di
comandante dello United States Cyber
Command (USCYBERCOM), l’unità di
guerra elettronica che coordina tutte
le operazioni militari nel cyber spazio. A favore di Rogers c’è la circostanza che non è stato coinvolto nelle intercettazioni illegali o inopportune che hanno scosso l’NSA. A suo
favore hanno giocato anche la cono-
scenza e l’esperienza accumulate
sulle capacità di
guerra elettronica
della Cina, il più
grande avversario
degli Stati Uniti nelle cyber war.
Per venire incontro alle richieste che
volevano un civile a capo dell’NSA,
Obama ha poi nominato vicedirettore
Richard Ledgett, che non è un militare ma proviene dai ranghi dell’Agenzia. Egli era infatti capo della Divisione
S3, il Signals Intelligence (SIGINT).
Questa nomina potrebbe tuttavia incontrare l’opposizione del Congresso,
perché Ledgett ha diretto le più aggressive unità di intelligence di penetrazione dei computer all’estero, comprese quelle di politici stranieri, e gestiva i programmi di acquisizione illegale o
illecita di informazioni Prisme e Fairview,
quelli che le rivelazioni di Edward
Snowden hanno di fatto smascherato.
Insomma, secondo alcuni parlamentari, Obama ha fatto due passi
avanti e uno indietro. Ha sostituito un
direttore travolto dagli scandali con
una diarchia che non tranquillizza né
all’interno né all’esterno, motivo per
cui la nuova NSA avrà vita difficile nel
Congresso di Washington.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
37
GeopoLitica
La memoria
degli
elefanti
Stati uniti | di B. Woods
L’
opposizione repubblicana, in maggioranza alla
Camera dei Deputati, ha
tentato in tutti i modi di
contrastare le politiche
sociali del presidente, in nome del rigore dei conti e degli eccessi della spesa pubblica. L’Amministrazione Obama, tuttavia, ha avuto gioco facile nel
dimostrare l’inconsistenza delle argomentazioni conservatrici: la quota di
dipendenti pubblici è cresciuta nel corso delle recessioni sia del 1981 (Reagan), 1990 (H.W. Bush) e 2001 (G.W.
Bush), mentre si è ridotta di 600mila
unità proprio a partire dal 2008 (prima
Amministrazione Obama). Inoltre, il
deficit pubblico, dopo il picco raggiunto nel 2009 (con 1.400 miliardi di dollari, pari al 10% del PIL), si è ridotto a
845 miliardi di dollari (4,1% del PIL)
38
LOOKOUT 3 - marzo 2014
nel 2013 e, secondo il
pubblico statunitense in
Congressional Budget Ofmano straniera può rapfice (CBO), è atteso scenpresentare una minaccia
dere a 514 miliardi di dolalla sicurezza nazionale, si
lari (3% del PIL) nel 2014,
è rivelata alquanto incoein linea con la media degli
rente. Come riportato dal
ultimi quarant’anni.
Dipartimento del Tesoro,
Le critiche repubblica- repubbLicani circa il 35% del debito
ne si sono allora indirizza- Secondo loro americano è detenuto da
te verso l’entità del debito
soggetti esteri e tra questi
il debito
federale che ha superato i
la Cina che, superando il
è un’ipoteca Giappone, nel 2013 è di17.300 miliardi di dollari,
pari al 107,4% del PIL, risulla crescita ventata il primo investitore.
spetto al 30,6% dell’ammiL’idea che la Cina, con una
nistrazione Carter, al 53% della secon- massiccia vendita del suo 8% di titoli,
da amministrazione Reagan e al 77% possa minacciare la stabilità finanziaria
della seconda amministrazione G.W. degli Stati Uniti innescando una spiraBush (vedi grafico). Per i Repubblicani, le di disinvestimenti con conseguente
un debito pubblico così elevato rap- caduta dei corsi, è pura fantasia.
presenta una formidabile ipoteca sulla Come ha chiarito lo stesso Pentagono,
crescita, sul benessere delle generazio- non solo la quota in mano alla Cina è
ni future e sulla sicurezza nazionale.
troppo modesta per avere effetti signiCiò nonostante, anche la tesi secon- ficativi sull’economia statunitense (in
do cui un’elevata quota del debito quattro anni la Federal Reserve ha
FOCUS
La crescita
del debito pubblico
S
e negli anni Ottanta del secolo scorso la critica alla
crescita del debito pubblico s’incentrava sull’effetto spiazzamento (crowding out), ovvero
sulla diversione degli investimenti dagli impieghi privati verso i titoli del debito pubblico, nella
prima decade degli anni Duemila
tale critica si è concentrata sull’esistenza di un limite massimo nel
rapporto debito pubblico/PIL, superato il quale la crescita economica di medio termine sarebbe
irrimediabilmente compromessa. Sennonché Reinhart e Rogoff, i due famosi economisti dell’università di Harvard che - sulla
base dell’esame di dati storici hanno identificato nel 90% questo limite, non solo sono incorsi
in banali e forse non innocenti
errori di calcolo nel trattamento
dei dati utilizzati (Herdon, Ash e
Pollin: Does High Public Debt Consistently Stifle Economic Growth? A Critique of Reinhart and Rogoff, Political Economy Research Institute Worriversato nell’economia quattro volte frenare la crescita economica cinese.
king Paper 2013/322) ma sono stail valore dei titoli in mano cinese), ma In queste condizioni, pensare ad azioti smentiti anche da studi più rel’effetto di vendite massicce di titoli ni di terrorismo finanziario tramite la
centi, secondo cui è la crescita
USA comprometterebbe l’intera eco- vendita massiccia di titoli pubblici staeconomica debole a determinare
nomia cinese. Almeno nel medio pe- tunitensi, francamente non appare
alti livelli di debito e quindi le poriodo, fino a che cioè la Cina non avrà ipotizzabile nemmeno nell’armamenlitiche di austerità sono inapprocompiuto quel ri-orientamento della tario del Dottor Stranamore!
priate, quando non destasua economia dalla dobilizzanti. Per Pescatori,
manda estera a quella
Debito Pubblico americano in relazione al PIL Sandri e Simon (Debt and
interna (come indicato
Growth: Is There a Magic
dal Terzo Plenum del
150
Threshold? IMF Working Pa1940s
1950s
1960s
1970s
1980s
1990s
2000s 2010s
Comitato Centrale del
per 2014/34) non esiste
Partito Comunista Cine120
una relazione tra livello
se nel novembre 2013),
del debito e crescita di mein quel della Città Proidio periodo, mentre vicebita dovranno guardarsi
90
versa appare determinante
dalla crescita dei prezzi
la traiettoria temporale del
e dei salari, dalla riduzio60
debito pubblico: Paesi con
ne della domanda interdebito elevato ma con un
nazionale e dall’esplosiotrend decrescente hanno
ne dei debiti delle im30
avuto una crescita compaprese private (attualrabile
a quella di Paesi
mente ben oltre il 140%
0
con
basso
debito.
Fonte: White House Office of Management and Budget
del PIL) che potrebbero
LOOKOUT 3 - marzo 2014
39
GeopoLitica
Il salario,
come
minimo...
Obama ha
messo a segno
per decreto
una delle
sue bandiere
elettorali.
10 dollari
l’ora è il
nuovo salario
minimo
garantito
Quantitative
easing (QE3)
La politica
monetaria espansiva
è passata dagli 85
miliardi di dollari di
acquisti sul mercato
secondario di
novembre ai 65
miliardi di dollari di
gennaio, ultima
operazione dell’era
Bernanke
40
Stati uniti | di Ottorino Restelli
propri dipendenti da 7,25 a 10,10 dollari l’ora, a partire dal prossimo gennaio.
L’incremento della disuguaglianza
sociale - solo parzialmente mitigato
confortanti dati sulla ripresa economica e il sucdalle politiche redistributive finanziate
cesso del ridimensionamento della politica mocon l’imposizione - non è altro che
netaria espansiva (quantitative easing QE3), hanuna delle conseguenze indotte dalla
no indotto il presidente Barack Obama a rompepolarizzazione dei redditi, causata dalre gli indugi e affrontare direttamente il tema del
la concentrazione della qualità del lasalario minimo e della disuguaglianza sociale.
voro (bassa e alta) e della progressiva
Dopo aver anticipato nel Discorso sullo Stato dell’Unione
perdita di rilevanza della classe media.
alcune importanti proposte di politica sociale (ripristiIl declino della classe media verso
no dei sussidi per i disoccupati di lunga durata, rioccupazioni a bassa retribuduzione del divario di genere nelle retribuzione (ristorazione, pulizioni, promozione dell’istruzione prescoRipresa
zia, servizi alle persone,
lare e della formazione professionale), il
USA
etc.) procede speditapresidente ha lanciato la campagna
mente da oltre un
TEN-TEN perché ovunque negli Stati
ventennio, in conseUniti il salario minimo sia portato a
guenza delle trasfor10,10 dollari l’ora. Va ricordato che
(IV trimestre 2013) mazioni
indotte nei
l’ultimo aggiornamento del salario
processi
produttivi
minimo è avvenuto nel 2009 e che il
dalla sostituzione delle
suo valore reale si è ridotto di oltre il
mansioni di routine con
20% dai tempi di Reagan, rappresentando
(PIL 2013)
la cosiddetta computer tecosì un’intollerabile minaccia alle condizioni
chnology. Ma con la Grande
di vita dei lavoratori più deboli (come i dipenRecessione ha subito una violenta accedenti di fast-food, mense, lavanderie o i disabili). Forte
lerazione. Di conseguenza, il mito della
delle sue prerogative e senza attendere l’approvazione
Terra delle Opportunità, cioè del Paedel Congresso a maggioranza Repubblicana, il 12 febbrase dove le possibilità di successo di un
io Obama ha firmato il decreto che impone alle aziende
giovane dipendono solo parzialmente e
con appalti federali di aumentare il salario minimo dei
I
LOOKOUT 3 - marzo 2014
+3,2%
+2%
GeopoLitica
non in modo determiche fu istituito nel
nante dalla condizione
1975 e più volte rifieconomico-sociale della
nanziato, assicurando
sua famiglia, ha iniziato a
un credito d’imposta
La riforma ha
vacillare.
del 45%, pari a 6.143
il “volto” del
La decisione del predollari
sui
primi
primo Segretario 13.430 dollari guadasidente Obama di auLo studio Black and Devereux
mentare il salario minignati da una famiglia
al Tesoro
(Recent Developments in
mo, nonostante appaia
con tre o più bambini,
Intergenerational Mobility,
più che legittimata dal contesto ecoe che rappresenta il più importante
2013), ha mostrato
nomico e sociale, ha innescato un
programma di sussidio degli Stati
inequivocabilmente come
la mobilità sociale
esteso dibattito nella società statuniUniti.
intergenerazionale negli Stati
tense. Da una parte un numeroso
Secondo questi commentatori, i
Uniti, non solo è inferiore
gruppo di economisti - oltre seicento,
programmi di assistenza sociale sono
a quella di altri Paesi
tra cui diversi premi Nobel come J. Stiin grado di fornire un valido supporindustrializzati ma, anche
glitz, M. Spence, R. Solow, T. Schelling,
to alle famiglie in difficoltà, senza riladdove persista, varia
E. Maskin, P. Diamond e soprattutto
durre l’incentivo a trovare un lavoro
fortemente da un’area
Kenneth Arrow, il padre della modere precipitarle nella cosiddetta “Trapmetropolitana a un’altra.
na assiomatizzazione dell’economia
pola del Benessere” (Welfare Trap).
Ciò in ragione di più fattori:
la segregazione razziale e
politica (ma dove sono gli italiani d’olPeccato però che simili programmi,
reddituale, la disuguaglianza
treoceano?) - che, in una lettera indinonostante la benedizione di econosociale, la qualità del sistema
rizzata ai vertici del partito democratimisti della Scuola di Chicago come i
scolastico, lo sviluppo
co, ha sostenuto come i recenti sviluppremi Nobel G. Stigler e M. Frieddel capitale sociale e della
pi della letteratura scientifica consenman, abbiano un elevato costo per il
struttura familiare (ragazzi con
tono di affermare che “l’effetto di un
bilancio federale, che difficilmente
genitori sposati hanno tassi di
aumento del salario minimo sull’occul’amministrazione Obama riuscirebmobilità sociale più elevati se
pazione è estremamente limitato [...]
be a far approvare dal Congresso a
vivono in comunità con poche
Esso tuttavia, la può far crescere dumaggioranza repubblicana.
famiglie monoparentali).
rante periodi di debole domanda di lavoro. Le ricerche suggeriscono che un
aumento del salario minimo potrebbe
costituire uno stimolo, seppure limitaTrend dei 12 TASSO DI DISOCCUPAZIONE
to, per l’economia a causa della spesa
disoccupati 10
addizionale dei percettori di bassi salari che farebbe crescere la domanda e
USA 8
6.6%
quindi l’occupazione”.
6
Il tasso di
Dall’altra, troviamo invece la stampa
disoccupazione
conservatrice - da Bloomberg a Forbes
4
è sceso al 6,6%
e una sparuta pattuglia di economisti
2
a gennaio 2014.
quali D. Neumark e W. Wascher, J.
La percentuale
0
Meer e J. West e altri - che, sulla base
2008
’09
’10
’11
’12
’13
2014
di disoccupati
della teoria classica dei prezzi, ritensenza lavoro per
gono che un aumento delle retribusei mesi o più è
LA DISOCCUPAZIONE SECONDO LA DURATA
zioni minime determinerà un aumenpari al 37,7%
100
e la durata media
to del prezzo dei beni e servizi che
27 settimane o più 35.8%
80
di disoccupazione
quel lavoro produce e, quindi, una riè
scesa
a
35
duzione della loro domanda a vantag60
settimane.
da 15 a 26 settimane 16.6%
gio di possibili sostituti.
40
Curiosamente, gli oppositori del deda 5 a 14 settimane 23.8%
creto presidenziale ritengono che sa20
meno di 5 settimane 23.9%
rebbe più producente rafforzare i pro0
grammi federali di assistenza sociale
2008
’09
’10
’11
’12
’13
2014
Fonte: U.S. Labor
Department
come l’EITC (Earned Income Tax Credit),
hamilton
La mobilità
sociale
negli States
LOOKOUT 3 - marzo 2014
41
GeopoLitica
il
punto
di
vista
Tra mediazione
e schizofrenia
uSa | Giovanna Botteri*
intervistata da Rocco Bellantone
L’
Chi è
Dalai Lama
Sua santità il XIV Dalai
Lama è Tenzin Gyatso,
monaco buddista e
leader spirituale del
Tibet. Nato il 6 luglio
1935 a Taktser, Amdo,
nel nord-est del Tibet,
a soli due anni viene
riconosciuto come la
reincarnazione del XIII
Dalai Lama, Thubten
Gyatso.
I Dalai Lama sono
ritenuti manifestazione
di Avalokiteshvara o
Cenresig, il Bodhisattva
della Compassione e
santo patrono del Tibet.
I Bodhisattva sono
chiamati gli esseri
illuminati che hanno
rinviato il proprio nirvana
e scelto di rinascere
per servire l’umanità.
42
LOOKOUT 3 - marzo 2014
ultimo segnale
nel confronto
tra Washington
e Pechino l’ha
lanciato Barack
Obama, il quale a fine febbraio
non ha esitato a ricevere nella
Map Room della Casa Bianca il
Dalai Lama nonostante la prevedibile reazione negativa da
parte di Pechino. È un messaggio forte nei confronti del governo cinese, anche se gli Stati
Uniti hanno tenuto a precisare
che la loro è una presa di posizione esclusivamente a sostegno dei diritti umani dei tibetani in Cina, e non per l’indipendenza del Tibet.
D’altronde, la sfida tra USA
e Cina soprattutto in questo
momento non può che giocarsi su due livelli. C’è un primo
livello, che è quello mediatico,
in cui a turno i contendenti alzano i toni. Sta accadendo soprattutto per ciò che riguarda
la questione siriana, con Pechino che, spalleggiata da Mosca, blocca sistematicamente
in sede del Consiglio di Sicurezza ONU ogni tentativo
d’intervento da parte degli
Stati Uniti. C’è poi però anche
un secondo livello, vale a dire
quello diplomatico. È qui che
entra in gioco l’aspetto economico, il nodo cruciale di questo
confronto. La Cina, di fatto,
con le sue esportazioni ha inglobato e sommerso il mercato
americano, possedendone in
pratica il debito. Obama ne è
consapevole e sa anche perfettamente sin dove può spingersi. Lo stesso vale per certi aspetti nel Pacifico, dove ultimamente si è respirato vagamente
un clima da Guerra Fredda.
Qui gli USA sostengono il
Giappone contro la Cina e la
Corea del Sud nelle sue dispute con Pyongyang. Ma, in tempi di austerity, con i tagli che
presto interesseranno anche
l’esercito americano, la soluzione migliore è lavorare sulla
mediazione. Assistiamo perciò
a una relazione schizofrenica, i
cui alti e bassi sono strettamente connessi agli interessi economici di entrambe le parti.
*Responsabile sede RAI a New York
GeopoLitica
Fly me to the moon
Spazio |
N
ella grande corsa dell’uomo
nello spazio, c’è
l’Ulisse di Omero e la canoscenza di Dante, ci sono i sogni di
grandezza di Alessandro Magno
e il coraggio degli Argonauti.
C’è la scienza moderna e la gloria dell’uomo, la vanità mescolata al bisogno di misurarsi con
l’infinito. E, da Yuri Gagarin in
poi, c’è una lunga serie di progressi tecnologici, innestati nell’epico e ardimentoso confronto-scontro tra USA e Russia.
Oggi, però, anche Pechino si
affaccia alla corsa spaziale, a dimostrazione che anche la Cina
ambisce a comparire in quel club
esclusivo. Fin dagli anni Settanta gli scienziati mandarini iniziano a studiare e copiare le
mosse della NASA, cercando di
carpire quanti più segreti tecnologici possibile, nella speranza di competere un giorno con
gli USA. Speranza che si è
spenta a febbraio, quando il
“Coniglio di Giada”, primo rover cinese spedito sulla luna, ha
smesso di funzionare. “Down
but not out”, è fermo ma non
morto, hanno replicato gli orgogliosi tecnici della CNSA, l’agenzia spaziale cinese. Sarà. Ma se
la Cina ha ormai raggiunto e
superato gli USA in numerosi settori, il divario tra le due superpotenze in campo
aerospaziale resta siderale.
Il Programma spaziale cinese - timeline dei lanci
1960
1970
1980
1990
2000
Shenzhou 5
2003, primo volo
spaziale umano
Chang’e 1
2007, primo
orbitaggio lunare
Senza
equipaggio
Con
equipaggio
T-7A
1965, inviati otto
topi vivi
nello spazio
Dong Fang
Hong 1
1970, primo
satellite cinese
Fanhui Shi
Weixing 0-2
1975, satellite
di recupero
Fengyun 1A
1988, satellite
metereologico
Tiangong 1
Space
2011, prima
tappa della
stazione
spaziale
Chang’e 3
Lunar (Coniglio di Giada)
2013, allunaggio
Fonte: China National Space Administration; NASA
2010
Corea del Nord
Kim Jong Un
non rappresenta un
pericolo reale per
Pechino. Pyongyang
è soltanto una sorta di
satrapia, sostenuta da
qualche aiuto cinese e
dalle rimesse che
i coreani del nord
espatriati in Giappone
mandano a casa.
Basta osservare il
Paese dallo spazio
(foto) per capire
l’arretratezza in cui
versa: molte luci al
sud, quasi nessuna
al nord. Essa mantiene
ancora un ruolo
internazionale grazie
alla minaccia nucleare
ma, anche in questo
caso, le provocazioni
del giovane leader Kim
si possono derubricare
a un bluff. Il rischio
c’è, ma non per la Cina
o il Giappone,
ed è determinato solo
dal fattore umano.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
43
GeopoLitica
L’opinione
Come si
svilupperà
il confronto
tra Usa e Cina
nel Pacifico?
maurizio molinari
Corrispondente de La Stampa
da Gerusalemme
I
l confronto è duplice. Da un lato c’è il contrasto tra
la Cina e il Giappone sulle risorse marittime delle
isole Senkaku/Diaoyu. Si tratta di un contenzioso
che Pechino ha, in altre aree dell’Estremo Oriente,
con più nazioni: dalle Filippine al Vietnam fino alla
Malesia. La Cina ha bisogno di sempre maggiori risorse per
sostenere la propria crescita interna e ciò la porta a innescare contrasti con i suoi vicini. È una situazione di tensione destinata ad aumentare perché Washington è determinata nel sostenere i diritti dei Paesi della regione, al fine di
contenere la Cina, mentre la Russia al contrario è a fianco
di Pechino, anche per difendere il controllo delle Kurili,
strappate al Giappone negli ultimi giorni della seconda
guerra mondiale. L’altro aspetto di questa crisi è ancora
più esplosivo perché ha a che vedere con la guerra di intelligence tra Pechino e Washington. Se infatti la Cina ha esteso la propria zona di sicurezza aerea sopra le isole contese,
è perché ciò le consente di ostacolare i voli degli aerei americani per la sorveglianza elettronica, ovvero una delle più
importanti fonti di intelligence USA sulla Repubblica Popolare. È questo il motivo per cui il Pentagono ha spedito
un B-52 sui cieli delle Senkaku poche ore dopo l’annuncio
cinese. Da qui la previsione che entrambi i fronti di crisi
nel Mar della Cina Orientale produrranno scintille in
quantità.
44
LOOKOUT 3 - marzo 2014
francesco Sisci
Giornalista e commentatore
da Pechino per Asia Times
A
ttorno alle isole Senkaku/Diaoyu e nel Mar
Cinese Meridionale, Pechino sta registrando
dei successi. Questo serve anche per il rafforzamento della politica interna del presidente
Xi Jinping, che così ha dalla sua parte uno
strumento in più per farsi valere sull’ala del partito comunista cinese posizionata più a sinistra. Sulle Senkaku la Cina ha ottenuto un risultato importante perché è riuscita a
ottenere l’appoggio di Taiwan e Corea del Sud, riuscendo
di fatto a isolare il Giappone, su cui invece avevano puntato
gli Stati Uniti. Passi in avanti rispetto a quattro-cinque anni
fa la Cina li ha fatti anche nel Mar Cinese Meridionale, dove l’unico vero scoglio è rappresentato dalle Filippine,
mentre la resistenza di Vietnam e Malesia è molto più morbida. Così la Cina gradualmente si sta allargando verso il
Pacifico, forzando quella cintura di sicurezza che per decenni l’aveva tenuta bloccata. Questo processo assume forma concreta con la nascita di una delle marine potenzialmente più grandi del mondo. Le distanze sul piano militare (tecnologico e di prospettiva) rispetto agli Stati Uniti rimangono incolmabili. Ma l’operazione di sfondamento ormai è iniziata e Washington dovrà tenerne conto, considerato anche che la deriva nazionalista di Tokyo in questo
momento non favorisce affatto la sua strategia.
aLL neWS
GeopoLitica
Scozia
turchia
Verso il referendum
per l’indipendenza
Erdogan attacca
l’impero di Gulen
Secondo un recente sondaggio
pubblicato dal Guardian, il 57%
degli scozzesi voterà “no”
al referendum sull’indipendenza
dal Regno Unito in programma
a settembre. I “Sì” sono fermi
al 32%.
D
opo aver respinto nuove accuse di corruzione a suo carico, nella notte tra il 26 e 27
febbraio il primo ministro turco Recep Tayyip
Erdogan ha fatto approvare dal parlamento una
legge per la chiusura di 4mila istituti privati. Duro
colpo per il suo oppositore Fetullah Gulen, considerato che mille di queste scuole sono controllate
direttamente dal suo movimento, la confraternita
islamica Hizmet.
arGentina
Caccia: Tel Aviv non
si fida di Buenos Aires
Libia
Il fiasco della nuova
Costituzione
S
i è concluso con un esito molto al di sotto delle aspettative il voto del 20 febbraio per la nomina dei membri del “Comitato dei Sessanta”,
incaricato di redigere la nuova Costituzione. Alle
urne si sono recati solo 500mila elettori (su 3,4 milioni di aventi diritto al voto). Le elezioni, contraddistinte da disordini e attentati in alcuni seggi, sono
state boicottate dalle minoranze Amazigh e Tebu.
R
ischia di saltare l’acquisto da parte di Buenos
Aires di 18 aerei da combattimento israeliani Kfir Block 60. Sulla chiusura della trattativa pesa soprattutto la scarsa affidabilità della Fabrica Argentina de Aviones Brigadier San Martin, che deve
già saldare debiti nei confronti delle americane Honeywell e Hercules, della francese Turbomeca e della tedesca Grob.
afGhaniStan
Libano
Hezbollah nel nuovo
governo libanese
Il ricambio
generazionale
di Al Qaeda
S
42.618
econdo un rapporto pubblicaopo dieci mesi di stallo politico, il premier
to dall’ONU Al Qaeda starebbe
libanese Tammam Salam è riuscito a forringiovanendo i vertici e la base dell’organizmare un nuovo governo. All’esecutivo,
zazione. Si va dalle reclute sempre più giovani
composto da 24 ministri, partecipano il Movi(addirittura sin da 12 anni) a capi di livello memento 8 marzo, guidato da Hezbollah, e il Mogli immigrati
dio o inferiore che in media non superano i
vimento 14 marzo, di Saad Hariri. Per il futuro, il
sbarcati in UE nel
trent’anni, molto più capaci rispetto agli anziacandidato favorito per il ruolo di primo ministro
terzo trimestre
ni predecessori di sfruttare le nuove tecnologie
2013
è il generale Michel Aoun, vicino al Partito di Dio.
per fare propaganda e arruolare nuove leve.
D
LOOKOUT 3 - marzo 2014
45
do you Spread?
voci daL mercato GLobaLe
L’Europa delle banche:
investire o risparmiare?
di B. Woods
L
o scorso dicembre la Volcker rule, dal nome dell’ex
presidente della Federal
Reserve, Paul Volcker (dal
1979 al 1987), chairman
dell’Economic Recovery Advisory Board e consigliere del presidente Barack
Obama, è stata definitivamente approvata dal Congresso degli Stati Uniti. La
Volker rule, parte integrante del DoddFrank Wall Street Reform and Consumer
Protection Act, approvato dal Congresso
nel 2012 dopo le devastazioni prodotte
dalla crisi dei mutui sub-prime, diventerà pienamente operativa nel 2015 e fa
parte di quell’insieme di provvedimenti, come la creazione del Consumer Financial Protection Bureau (CFPB), l’agenzia indipendente di vigilanza sul rispetto delle norme di trasparenza nei mercati finanziari, che dovrebbero ristabilire l’ordinato e corretto funzionamento
dei mercati e proteggere le famiglie
americane da pratiche e comportamenti non equi, quando non da vere e proprie frodi, come quelle messe in atto
prima del 2008 dalle grandi banche.
Va ricordata in quest’ambito tanto
l’azione penale intrapresa del Dipartimento della Giustizia attraverso il Procuratore Nazionale di New York contro
JP Morgan, Goldman & Sachs, Bank of
America e altre - ritenute colpevoli di
comportamenti illeciti - quanto i recenti patteggiamenti miliardari volti a evitare l’incriminazione: ad esempio, JP
Morgan il 19 novembre 2013 ha sborsato ben 13 miliardi di dollari.
46
LOOKOUT 3 - marzo 2014
La riforma Volcker separa ora l’attività di trading proprietario dalle attività
condotte come banche commerciali
per conto dei clienti: in particolare limita al 3% del capitale proprio gli investimenti altamente speculativi (compravendita di titoli, valute e derivati),
il private equity e l’hedge funding. Come
ha recentemente chiarito lo stesso
Paul Volcker in una lezione tenuta agli
studenti dell’università di Princeton,
lo spirito della riforma è quello di “ricondurre al centro della cultura delle
banche la tutela degli interessi dei
clienti e non la logica dei profitti a
ogni costo e al di là di ogni rischio”.
Buona ultima, anche l’Unione Europea sta discutendo sulla riforma
strutturale del proprio sistema bancario sulla base delle raccomandazioni
(ottobre 2012) del gruppo di esperti
guidato da Erkki Liikanen, ex-governatore della Banca di Finlandia. Il
Rapporto Liikanen suggerisce di separare legalmente l’attività di trading
proprietario da quello di banca commerciale e punta al rafforzamento dei
coefficienti patrimoniali sulla base del
riadeguamento degli indici di rischiosità degli impieghi, ben oltre i livelli
indicati da Basilea III. Tuttavia, secondo il Financial Times, che ha dichiarato
di aver avuto accesso all’ultimo documento redatto dalla Commissione
(Europe set to soften bank split reforms),
Bruxelles sembrerebbe intenzionata a
lasciare un ampio margine discrezionale alle autorità nazionali (Banche
Centrali) nella definizione del grado
minimo di separazione delle attività
PER SAPERNE DI PIÙ
DO YOU SPREAD? - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
Paul Volcker
Economista statunitense,
già presidente
della Federal Reserve
sotto i presidenti
Carter e Reagan
Nel tondo:
Paul Volcker
bancarie, visto il livello di criticità e di
affanno raggiunto dai sistemi bancari
nazionali.
In quest’ottica, le banche francesi e
tedesche appaiono vulnerabili e fragili: per la ridotta capacità di assorbire
le perdite (svalutazioni dell’attivo) in
presenza di crisi; per l’esiguità del capitale proprio a fronte degli impieghi
(rapporto di leva finanziaria o leverage
ratio compreso tra 30 e 40, o ancora
più elevato come sembra nel caso della Deutsche Bank); e, ancora, per la
scarsa redditività degli impieghi
tradizionali, soprattutto in
una fase di credit-crunch.
Per altri Paesi - come
Spagna, Italia e sorprendentemente anche l’Austria - è
l’esplosione delle sofferenze e dei crediti
inesigibili a rendere
difficile il ridimensionamento degli investimenti altamente speculativi (150 miliardi di dollari in Italia, pari al 7,7% dell’attivo; ben 197
miliardi di dollari in Spagna, pari al
13,7% dell’attivo, nonostante il prestito europeo del 2012; decine di miliardi di esposizione verso i Paesi dell’Est della Hypo Alpe Adria, già nazionalizzata dal governo austriaco nel
2009).
L’aspetto comune di tutte le riforme è la necessità di operare, attraverso la costituzione di barriere patrimoniali e/o legali, una scissione tra
la raccolta del risparmio (retail) e
l’attività di banca d’investimento (investment). Questa indicazione rappresenta la presa d’atto formale del fallimento del modello di banca universale, affermatasi negli anni Novanta
nei mercati finanziari mondiali in
nome della profittabilità. Non si è
ancora al ritorno della divisione tra
banche commerciali e banche d’investimento, come stabilito dalle leggi
bancarie degli anni Trenta, ma se la
prospettiva non è quella di un ritorno al doppio circuito, almeno si intravede la necessità di affermare
un modello che rimandi al
gruppo polifunzionale.
Quali altre alternative praticabili si offrono alle autorità internazionali, di fronte
alla scarsa efficacia
di provvedimenti come l’European Market
Infrastructure Regulation o l’istituzione delle
Controparti Centrali nei
mercati asiatici e statunitensi,
che si sono rivelati incapaci di contenere l’attività di investimento nei
mercati non regolamentati (Over the
Counter o OTC)?
Val la pena di ricordare che nel giugno 2013 il valore nozionale dei contratti derivati ha raggiunto i 693mila
miliardi di dollari, di cui oltre il 40%
concentrato in JP Morgan, CityBank,
Bank of America e Goldman & Sachs, superando ampiamente i 595mila miliardi di dollari del 2007. Ovvero, tutto come prima, anzi peggio di prima!
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raSSeGna Stampa
internazionaLe
europa
media Watch
Can Italy’s young political stars deliver?
Le nuove star
della politica italiana
di Alan Johnston, corrispondente per la BBC in Italia
“
Dall’articolo
apparso
su BBC News
il 24 febbraio 2014
S
paventosamente a corto di esperienza”. Alla vigilia
del voto di fiducia, Alan Johnston definisce così
il neo premier matteo renzi (nella foto).
“Sebbene - prosegue il corrispondente della BBC egli non sia certamente a corto di fiducia in se
stesso”. E ancora: “Il suo discorso al Senato segna l’apice di
una straordinaria ascesa al potere. Renzi, infatti, non è mai
stato eletto al parlamento, passando in un sol colpo dalla
carica di sindaco a quella di primo ministro”.
“È chiaro che non ci si potessero aspettare troppi dettagli
dal suo primo discorso”, osserva Johnston. “Al contempo,
tuttavia, fino a quando non emergeranno tutti i particolari
del suo programma, sarà difficile credere che Renzi riuscirà effettivamente a realizzare tutto ciò che dice di poter fare”. Insomma, continua l’autore, anziché illustrare al suo
uditorio, anche sommariamente, da dove verranno i soldi
per questa o quell’altra riforma, il più giovane premier nella storia d’Italia ha sfruttato l’occasione per rendere nota
agli italiani per l’ennesima volta la sua vision.
Non manca, naturalmente, il riferimento all’altrettanto
giovane squadra di governo, dall’età media di 47 anni. I sedici ministri - metà dei quali sono donne - incarnano, secondo Johnston, proprio quel cambio generazionale che
costituisce forse l’aspetto più significativo dell’era renziana. “Ma - torna a rimarcare il corrispondente della BBC c’è un sentimento diffuso che il nuovo team sia a corto di
esperienza, proprio come il suo primo ministro”. Non resta che attendere, conclude Johnston, se
questo governo sarà o meno
in grado di produrre risultati.
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raSSeGna Stampa
internazionaLe
africa e
medio oriente
media Watch
Al Sisi il nuovo Nasser?
No, grazie
di Jamal Khashoggi, giornalista e politologo saudita,
collabora con Asharq Al Awsat e Al Hayat
U
Dall’articolo
apparso
su Al Hayat
il primo
marzo 2014
n altro governo è caduto il mese scorso in
Egitto. Dove ha fallito? Ancora una volta è
stato incapace di varare riforme economiche per far uscire il Paese dalla crisi sociale
che attraversa dalla destituzione di Hosni
Mubarak in poi. È questa l’opinione di Jamal Khashoggi,
secondo il quale in tanti rivedono nel generale Abdel Fattah Al Sisi il fantasma del glorioso Abdel Nasser. Ma “per il
bene dell’Egitto ciò non è assolutamente auspicabile” scrive il giornalista.
Se davvero l’Egitto intende risorgere, il futuro presidente
non dovrà commettere gli stessi errori di Nasser. Il suo
compito sarà piuttosto quello di partire da un piano di riforme necessario per rimettere in piedi un sistema economico che Nasser aveva contribuito a sgretolare e che né la
politica della “porta aperta” di Sadat, né la Trickle Down
Theory applicata da Mubarak hanno saputo risollevare.
Il deficit egiziano ammonta a quasi 35 miliardi di dollari,
pari al 14% del PIL nazionale nell’ultimo anno. L’ardua
impresa di pareggiare questi due indici sarà possibile solo
liberando il Paese dall’eredità nasseriana, contraddistinta da una massiccia spesa pubblica, da un esercito eccessivamente costoso, da sussidi pubblici salatissimi e
da un’ingiustizia sociale cronica.
“Qualcuno - conclude Jamal Khashoggi - potrà
chiedersi come abbiano fatto il dittatore Pinochet
e il generale golpista Evren a compiere dei miracoli economici in Cile e Turchia (pur se pagando un elevatissimo costo umano). Ma Nasser
non è il modello giusto a cui guardare”.
Il destino dell’Egitto è adesso nelle mani di Al Sisi: riuscirà a sfruttare il regime
individualistico che ha creato per impostare la rinascita economica del Paese?
Nella foto:
il generale egiziano
abdel fattah
al Sisi
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raSSeGna Stampa
internazionaLe
aSia
media Watch
Losing Faith
Perdere la speranza
di Zoher Abdoolcarim, direttore dell’edizione asiatica
di Time Magazine
“
Dall’articolo
apparso
su Time Magazine
il 3 marzo 2014
Nella foto:
il primo ministro
della Malesia
najib razak
L
a Malesia dovrebbe essere un esempio di tolleranza religiosa. Sta dimostrando il contrario”.
Così inizia l’articolo di Zoher Abdoolcarim
che ha sollevato non poche reazioni in Malesia, le cui autorità minacciano adesso di prendere provvedimenti. Il direttore dell’edizione asiatica di
Time Magazine sarebbe colpevole di aver sottolineato il
progressivo deterioramento dell’equilibrio interreligioso
nello Stato federale del Sudest asiatico. “La Malesia spiega Abdoolcarim - è importante perché, più dell’Indonesia e della Turchia, rappresenta un esempio di come un Paese può o non può riconciliare l’Islam con la
contemporaneità. Il problema è che recentemente ha
fatto degli enormi passi indietro in tal senso”.
Abdoolcarim punta il dito contro il premier Najib Razak, il quale per placare i conservatori sunniti del suo
partito, l’UMNO (United Malays National Organization),
avrebbe ceduto alle richieste di una politica più intransigente nei confronti delle minoranze non musulmane, intaccando così gli equilibri interni su cui sinora si è poggiata la stabilità della società malese.
Abdoolcarim cita in proposito gli arresti arbitrari di alcuni sciiti e il divieto dell’uso della parola Allah, in riferimento a qualsiasi Dio che non sia quello musulmano.
E a conclusione cita le parole del Corano: “non c’è coercizione nella religione”, e ancora “in qualsiasi cosa tu sia
diverso, spetta a Dio giudicare”. La risposta del governo
malese? Il suo articolo è al vaglio di un’unità speciale del
ministero dell’Interno e la rivista è finita sotto inchiesta.
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raSSeGna Stampa
internazionaLe
americhe
media Watch
Presidente cubano conversa con antiterrorista Fernando González
Cuba accoglie
“l’eroe antiterrotista”
N
Dall’articolo
apparso
su Tribuna
de La Habana
il 28 febbraio 2014
el 1997 un’ondata di terrorismo colpì Cuba. Diversi hotel vennero colpiti da attacchi
terroristici e in un’esplosione morì anche
un turista italiano. Per fermare le violenze
l’allora presidente Fidel Castro creò un
gruppo antiterrorismo a cui affidò il compito di sorvegliare
i cubani dissidenti residenti all’estero, in modo da scongiurare nuovi attacchi. Nacquero così i “Cuban Five”, noti anche
come “Los Cinco”, guidati da fernando González
(nella foto).
Nel 1998, però, tutti i membri del gruppo vennero arrestati dall’FBI in Florida con l’accusa di associazione criminale, cospirazione e possesso di identità false. Da quel momento, per gli Stati Uniti e per il resto del mondo, i “Cuban
Five” sono diventati delle pericolose spie, mentre a Cuba il
governo ne ha fatto degli eroi nazionali.
Il 27 febbraio, dopo quindici anni di carcere, Fernando
González è stato rilasciato. Giornali, tv e radio hanno ovviamente dato ampio risalto al ritorno del loro eroe in patria.
“Il presidente cubano Raul Castro - si legge nella cronaca
riportata dalla Tribuna de La Habana - ha ricevuto l’antiterrorista Fernando González da poco tornato nell’isola
dopo aver scontato integralmente una condanna in un
carcere statunitense che non meritava”.
Toni celebrativi sono stati usati anche da altri quotidiani locali, per quella che sull’isola è stata definita
come la fine di una lunga ingiustizia. “Gli altri agenti cubani - prosegue l’articolo - dovranno restare
ancora dietro le sbarre, nonostante le tante campagne di solidarietà organizzate in diverse parti
del mondo per la loro liberazione. Perché i Los
Cinco, è bene ricordarlo, sono stati arrestati
mentre davano la caccia a gruppi sovversivi
che complottavano contro Cuba in territorio
statunitense”.
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raSSeGna Stampa
internazionaLe
oceania
media Watch
Parliament to probe Manus Island riot
Inchiesta sui disordini
di Manus
di Michael Gordon, Sarah Whyte e David Wroe,
giornalisti del Canberra Times
I
Dall’articolo
apparso su
The Canberra Times
il 5 marzo 2014
disordini registrati tra il 17 e il 18 febbraio nel centro di detenzione per richiedenti asilo dell’isola di
Manus, in Papua Nuova Guinea, saranno oggetto di
un’inchiesta da parte del parlamento australiano. Il
bilancio di quella notte di violenza fu di un morto,
il cittadino iraniano Reza Barati, e sessanta feriti. “Dopo
aver ottenuto il sostegno del partito laburista - spiegano i
giornalisti Michael Gordon, Sarah Whyte e David Wroe, autori di un servizio per The Canberra Times - la senatrice dei
Verdi Sarah Hanson-Young ha i numeri per veder approvata la richiesta di effettuare degli interrogatori all’interno
del centro”.
Oltre ai migranti, verranno ascoltate anche le guardie
della compagnia privata G4S, responsabile della sicurezza
della struttura, gli agenti della polizia della Papua Nuova
Guinea e i funzionari del governo australiano. “Dalle prime dichiarazioni rilasciate dai detenuti - sottolineano i
giornalisti - risulta che alcuni imprenditori locali avrebbero invaso il centro, dopo che i detenuti avevano organizzato una protesta non violenta per avere risposte
sulle loro richieste di asilo. E pare che già siano
emersi i primi particolari sull’identità dell’uomo
che ha ucciso Reza Barati”.
Non è la prima volta che il centro di Manus finisce
al centro delle polemiche. Già lo scorso anno diversi
migranti avevano denunciato di aver subito abusi sessuali
e torture. Gli occhi adesso sono puntati sulla condotta del
ministro per l’Immigrazione e la Protezione delle Frontiere,
Scott Morrison, esponente del partito liberale del premier
Tony Abbott. E per il governo potrebbero arrivare
nuovi problemi. Già in passato l’ONU aveva ritenuto l’Australia colpevole di violazioni del diritto internazionale per aver detenuto 46 rifugiati per oltre quattro anni.
Nella foto:
il ministro
australiano per
l’Immigrazione
e la Protezione
delle Frontiere
Scott
morrison
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Places
Immagini
dai luoghi meno
conosciuti al mondo
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riad, arabia Saudita Il principe Carlo indossa l’abito
tradizionale saudita per la danza “Arda”, durante il festival di
Janadriya (19 febbraio).
changde, cina Un pompiere tenta di domare il fuoco
divampato da mucchi di canne accatastate in una fabbrica di
carta, nella provincia di Hunan (17 febbraio).
Kolkata, india Un operaio al lavoro in una fabbrica che
ricava dalle pelli di cuoio materiali che poi diventeranno fertilizzanti (3 marzo).
Gorenichy, ucraina Un uomo siede nell’appartamento dell'ex procuratore generale ucraino Viktor Pshonka, durante l’assalto alla residenza di Yanukovich (24 febbraio).
Stati uniti Una foto rilasciata dallo US Army Edgewood
Chemical Biological Center (ECBC) mostra le apparecchiature
per neutralizzare gli agenti chimici e le sostanze tossiche.
Londra, regno unito L’inondazione di febbraio ha
innescato la più grande operazione di salvataggio in Inghilterra
dalla seconda guerra mondiale. (febbraio).
Sicurezza
uruGuay
I presidenti
e la guerriglia
L’economia
della marijuana
venezueLa
Cosa rischia il Paese
di Maduro
coLombia
Il difficile dialogo
con le FARC
Los pre
“Guerr
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Sicurezza
Il Paese sudamericano
e il suo bizzarro presidente sono
il volto del nuovo corso politico
che attraversa il continente,
dove ai vertici dello Stato
siedono oggi molti di quelli
che ieri combattevano le istituzioni.
I casi di Brasile, Ecuador, El Salvador
sidentes
illeros”
uruGuay | di Mariana Diaz
J
osè Pepe Mujica è il presidente di un Paese, l’Uruguay, dove ci sono più mucche che
persone, ben 13 milioni di
bestie contro 3,2 milioni di
abitanti. È stato lui stesso ad affermarlo
nel corso di un summit delle Nazioni
Unite in Brasile, dimostrando il suo carattere informale e il suo singolare modo d’esprimersi. Nel 2010, poco prima
di diventare presidente, aveva affermato: “L’Uruguay è un grande Paese, peccato che sia pieno di uruguayani”.
Questo è Pepe Mujica, un capo di
Stato che non indossa cravatte, ama la
terra e parla da contadino. “Uno dei
vantaggi di essere vecchio è che si può
dire ciò che si vuole”, ripete spesso.
Guida ancora un Maggiolino Volkswagen del 1987 (costato appena 1.900
dollari), non ha conti in banca né debiti e spesso si presenta agli incontri
formali in ciabatte.
Ma Mujica ha anche un passato da
guerrigliero e oggi questa pesante eredità deve coesistere con la necessità di
dare sicurezza agli uruguayani e al
mondo. Perciò deve dimostrare che,
nonostante i quattordici anni trascorsi
in prigione, ha ancora la testa salda e
che l’esperienza della galera non gli
ha fatto perdere la ragione. Ma Pepe è
uomo forte e, non a caso, il suo discorso alle Nazioni Unite del 2012 è già diventato un classico ed è persino stato
nominato dagli internauti come il
“più bello del mondo”.
Settantotto anni e un po’ di sangue
italiano - i nonni materni erano emigrati dalla Liguria, da un paese in provincia di Genova - dopo il ciclismo, si
appassiona alla politica e negli anni
Sessanta, a 24 anni, entra a far parte
dell’appena nato Movimiento de Liberacion Nacional - Tupamaros (MLN-T),
divenendone in poco tempo il leader.
Non erano tempi facili: l’Uruguay allora era sommerso dalla crisi finanziaria e dalla scarsa capacità di azione del
sistema politico, ma più in generale
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Sicurezza
Salvate El Salvador!
L’Uruguay di Mujica e il Brasile della Rousseff
non sono gli unici esempi in America Latina
dove ex guerrilleros sono diventati
presidenti. Nel Salvador, la campagna
elettorale ha visto lo scontro fra l’esponente
della destra ARENA, norman Quijano, e
Salvador Sanchez cerén del Frente
Farabundo Martí para la Liberación Nacional
(FMLN), ex gruppo di guerriglieri diventato
poi partito politico e che già nel 2009 vinse le
presidenziali con Mauricio Funes. Con la
vittoria di Salvador Sanchez Cerén (al momento
in cui scriviamo i due leader sono ancora al
ballottaggio), El Salvador sarà il
terzo Paese ad avere un ex
guerrigliero come presidente.
Nel 1980, mentre Mujica scontava
gli ultimi cinque anni in carcere,
nasceva il FMLN. Il contesto
geopolitico internazionale diviso
in due dalla Guerra Fredda, fece sì
che El Salvador divenisse terreno
fertile per la lotta sociale contro
le oligarchie che detenevano
la ricchezza del Paese (il FMLN
era in guerra contro le Forze
Armate, sostenute dagli USA).
Sanchez è stato uno dei principali
comandanti di una guerriglia
durata dodici anni - una lotta
armata conclusasi con un saldo di
75mila morti - ma è stato anche
uno dei firmatari degli accordi di
pace promossi dall’ONU nel 1992,
che permisero il passaggio del
Frente Farabundo Martí da gruppo
rivoluzionario a partito politico.
La visita di Barack Obama nel 2011 e
l’incontro con l'allora presidente Funes,
primo esponente di sinistra al potere (FMLN),
è stata catalogata come un segnale storico
per la riconciliazione tra i due Paesi.
Così come storico è stato l’abbraccio tra
Sanchez Cerén e Jose Mujica nel 2012,
in occasione della visita ufficiale in Uruguay
del salvadoregno. Quell’abbraccio è diventato
il simbolo di due nazioni che si riconoscono
nel passato dei propri leader.
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Norman Quijano
leader del Partito
della destra Arena
Salvador
Sanchez Cerén
il nuovo presidente
ed esponente
dell’FMLN
(sotto, il simbolo)
ha un passato
da guerrigliero
Sicurezza
Dilma schedata dalla polizia brasiliana
era tutto il Latino America a risentire del peso di appartenere
al “cortile di casa degli Stati Uniti” e, a fine anni Sessanta, i partiti socialisti e i movimenti estremisti erano ormai spuntati in
quasi ogni Paese. Come in Brasile, dove una giovane Dilma
Rousseff entrava a formar parte della POLOP (Organizazione
dilma rousseff, classe 1947 e figlia di un
Politica Operaria) e in El Salvador, dove erano in corso una seemigrato bulgaro (il vero cognome è infatti Rusev),
rie di rivolte popolari che portarono il Paese alla guerra civile.
si trovò a dover fare una scelta di vita, poco più che
ventenne: abbracciare la rivoluzione sociale
I Tupamaros, in quel contesto, ebbero molto spazio per organizattraverso il dialogo o attraverso la lotta armata?
zare, attraverso la lotta armata, la loro idea di sviluppo sociale.
Dilma scelse la seconda. Fu così che entrò a far
Ma il tempo passa per tutti e molti dei giovani leader di allora
parte del Comando de Libertação Nacional (Colina)
oggi sono arrivati al potere, hanno sostituito ai fucili le parole, e
e della Vanguarda Armada Revolucionária Palmares
si sono dati un aplomb istituzionale. Eppure, non tutti sono di(VAR-Palmares).
ventati presidenti del “Paese dell’anno”, come il settimanale britannico The Economist ha recentemente definito l’Uruguay.
Poi arrivò il colpo di Stato in Brasile. Il regime militare
Nel caso di Mujica, la lotta armata è stata parte della sua vita
durò dal 1964 al 1985 e nei documenti della dittatura
- mantenuti sotto segreto di Stato per quarant’anni e causa di ripetuti arresti. Come la prigionia nel carcere di
si parlava anche del ruolo della “Giovanna D’Arco dei
Punta Carretas, a Montevideo, dove fu rinchiuso nel 1970.
rivoluzionari”, ovvero proprio la Rousseff. Dilma fu
Chissà che penserà oggi il “presidente più povero del mondo”
rinchiusa per tre anni nel carcere Tiradentes (1970) a
del fatto che al posto del carcere (dove visse anche un paio
San Paolo, con l’accusa di partecipazione nelle attività
d’anni in isolamento dentro a un pozzo) adesso qui sorge un
svolte dai gruppi guerriglieri (anche se lei ha sempre
lussuoso centro commerciale, dove il marmo dei corridoi è ilnegato il coinvolgimento nelle azioni armate,
luminato dallo scintillio delle vetrine dei negozi. Eppure, 43
ha ammesso di essere stata alla testa del gruppo).
anni fa a Punta Carretas, Mujica e altri 111 uomini attraversarono quegli stessi passaggi - che allora non erano altro che un
L’esperienza nella lotta armata, il carcere e le torture,
forgiarono nell’acciaio il carattere di questa
buco fra muri marci e fatiscenti - e fuggirono dal cardonna, che decise di restare in politica
cere, compiendo un’impresa che tuttora viene ridiventando, nei Duemila, ministro
cordata come “straordinaria”.
dell’Energia dell’ex presidente Lula da
Nel 1973, dopo il golpe che diede inizio
Molti dei
Silva, quindi capo di gabinetto, per
alla
dittatura uruguayana, Mujica venne
proseguire l’ascesa fino all’attuale
nuovamente arrestato. Ma questa volta
presidenza.
dietro le sbarre ci rimase fino al 1985
quando, con il ritorno della democrazia, il
di allora sono
presidente conservatore del Partito ColoBandiera
rado, Julio Maria Sanguinetti, promosse
oggi al potere
Tupamaros
l’amnistia che liberò Mujica e altri prigionieri
politici. Di quell’esperienza, Mujica ricorda oggi: “Ero in totale isolamento e non parlavo con nessuno. C’era talmente tanto silenzio che ho sentito le formiche urlare”.
In ogni caso, il passato da guerrigliero e la loquacità dell’ex
tupamaro,
sono serviti non poco al presidente. È grazie a quelAdios?
l’esperienza, ad esempio, che le FARC (Forze Armate RivoluPepe Mujica
zionarie della Colombia) si sono progressivamente fidate di lui
e hanno infine accettato una sua mediazione - anche se non
Secondo la Costituzione uruguayana
formalmente - nel delicatissimo processo di pace con il goverun presidente può candidarsi una volta
soltanto e deve attendere altri cinque
no colombiano di Juan Manuel Santos, attualmente in corso a
anni prima di ripresentarsi (art.152).
Cuba. Mujica stesso aveva espresso il desiderio di contribuire al
Alle prossime elezioni del 26 ottobre,
processo di pace “più importante dell’America Latina”. Dopodunque, al posto di Pepe si presenterà
tutto, è stato proprio il dialogo e l’abbandono delle armi ciò
l’ex presidente Tabarè Vasquez
che alla fine degli anni Ottanta permise ai Tupamaros di en(contro i candidati del partido Nacional
trare
a far parte della politica “ufficiale”, all’interno della coay Partido Colorado).
lizione
di sinistra Frente Amplio, che nel 2005 arrivò alla preÈ la conclusione di un governo
sidenza dell’Uruguay con Tabarè Vasquez.
emblematico per l’America Latina.
Presidente
e pasionaria
Giovani
Leader
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La legge
sulla marijuana
in Uruguay
Sicurezza
Dove cresce l’erba voglio
Americhe a confronto: viaggio in Uruguay, in Colorado
e nello Stato di Washington, dove l’acquisto e il consumo
di marijuana per uso ricreativo è appena diventato legale
america |
di Dario Scittarelli
I
l 10 dicembre 2013 l’Uruguay ha dato il via libera alla legalizzazione della marijuana. A partire dall’aprile
di quest’anno i maggiori di
18 anni la potranno acquistare regolarmente in farmacia. Ma c’è un
limite: 40 grammi al mese, e per
controllare questo tetto le autorità
imporranno ai consumatori di cannabis l’iscrizione a un apposito registro. Per fare concorrenza al narcotraffico, il prezzo della marijuana legale dovrebbe essere di circa
un dollaro al grammo: la stessa cifra alla quale viene spacciata oggi
in Uruguay (dove, per avere un
termine di paragone, un litro di
latte costa in media 75 cent). Al
momento, dunque, la finalità del
governo di Mujica non è rimpinguare le casse statali con le imposte, né attirare turisti come nei
Paesi Bassi (tant’è che la vendita
agli stranieri non è consentita) ma,
come ha dichiarato lo stesso presidente, “colpire il mercato nero attraverso lo stesso mercato”.
Diverso, invece - più liberal e ovviamente più business oriented - l’approccio negli Stati Uniti, dove con
il referendum del 6 novembre 2012
si è detto di sì alla legalizzazione della
recreational marijuana in Colorado
e a Washington. Stati dove, per inciso, l’utilizzo della cannabis per uso
terapeutico era consentito già 15
anni fa. Sono infatti ben 21 le entità federali americane in cui la medical marijuana è legale, metà delle
quali - come la California, prima
fra tutte ad approvare nel 1996
l’uso della canapa a scopi curativi hanno abbinato al provvedimento
anche la depenalizzazione del consumo personale.
Ma parlavamo di business. Ebbene,
in Colorado, dal 1° gennaio 2014,
la marijuana può essere liberamente acquistata dagli over 21 negli oltre 120 esercizi commerciali che
hanno aperto al pubblico, il cui
numero - erano solo una trentina il
primo dell’anno - sta crescendo di
giorno in giorno. Qui l’erba si vende in once (poco più di 28 grammi), che è il quantitativo massimo
che un residente del Colorado può
comprare presso un singolo negozio. Non che vi siano, beninteso, limiti giornalieri o mensili come in
Uruguay - così come non c’è schedatura dell’acquirente - ma è vietato avere con sé più di un’oncia di
marijuana a meno che non si sia in
possesso di una prescrizione medica. Detto questo, il consumatore di
tipo recreational potrà andare a casa
sua, “farsi una fumata”, e ritornare
Marijuana
In Uruguay
la vendita
parte
ad aprile,
mentre in
Colorado è
già nei pot
shop da
gennaio.
Apriranno
a giugno
i negozi di
cannabis
nello Stato di
Washington.
Ogni individuo può coltivare
fino a 6 piante di marijuana,
per un raccolto annuale non
superiore ai 480 grammi.
Un istituto supervisionerà le
licenze di produttori
e venditori e il registro dei
consumatori.
Le farmacie possono vendere
fino a 40 grammi mensili di
cannabis a persona. La
vendita agli stranieri è proibita.
È permesso l’uso per fini
terapeutici.
Per uso medico serve la ricetta.
Nella foto:
panetti
di erba
accatastati
È possibile consumare
cannabis in club privati con un
numero massimo di 45 membri.
Non si può guidare se la soglia
di THC* nel corpo è superiore
alla soglia consentita.
La vendita fuori dai canali
autorizzati è illegale.
64
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* Il tetraidrocannabinolo (THC),
è il principio attivo della cannabis.
Sicurezza
anche allo stesso pot shop ad acquistare
un’altra oncia. I visitatori provenienti
da altri Stati americani o da altre nazioni sono i benvenuti e potranno acquistare un quarto di oncia per volta
(7 grammi).
Veniamo ora ai prezzi. L’unità di misura base per la marijuana in USA è
l’ottavo di oncia, pari a 3 grammi e
mezzo. Per questo quantitativo il prezzo nelle strade americane si aggira tra
i 20 e 25 dollari. Ma, ora che è sugli
scaffali dei negozi, si arriva a pagarla anche 70 bigliettoni, ovvero 20
dollari per un grammo (e un litro di
latte negli States costa più o meno
quanto in Uruguay). Un po’ è la legge universale della domanda e
dell’offerta - maggiore è la richiesta
più alto sarà il prezzo - e il resto sono tasse: il 25% per l’esattezza, più
un 3% di altre imposte. Per quest’anno si stima che dalla vendita di
marijuana il Colorado incasserà più
di 100 milioni di dollari. E verso giugno anche lo Stato di Washington aprirà i suoi liquor store specializzati in erba:
saranno 334, a fronte delle 2.206 richieste di licenza pervenute per la sola
vendita. Sono invece quasi
5.000 le domande presentate
al governo statale per la produzione e per la lavorazione della canapa. E anche questo
è business.
17,4
Insomma - per dirla con Jeffrey Miron,
ricercatore in economia alla Harvard
University - l’equazione è semplice: legalizzare vuol dire ridurre i costi di arresti e processi e aumentare le entrate fiscali. Nel suo lavoro del 2010, The Budgetary Impact Of Ending Drug Prohibition,
l’autore stima che - con la legalizzazione
di tutti gli stupefacenti, e quindi anche
cocaina, eroina e droghe sintetiche - gli
Stati Uniti risparmierebbero annualmente circa 41,3 miliardi di dollari, di
cui 8,7 miliardi ascrivibili alla sola marijuana. E, se si adoperasse, come in Colorado, un sistema di tassazione simile a
quello già in uso per gli alcolici, le cifre
sarebbero analoghe per gli introiti fiscali:
46,7 miliardi, di cui 8,7 provenienti dalle
imposte sulla cannabis. Tralasciando per
un attimo gli 88 miliardi di dollari che
deriverebbero - tra risparmi e tributi dalla legalizzazione di soft drugs e
hard drugs insieme, l’impatto
complessivo della sola legal
weed sulle casse degli Stati
Uniti sarebbe pertanto il
seguente: + 17,4 miliardi di dollari
all’anno.
miliardi
di dollari
la stima dei proventi
annuali derivanti
dalla legalizzazione
della marijuana in USA
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/URUGUAY
Il consumo di marijuana in Uruguay
Prevalenza nella popolazione
Frequenza d’uso negli assuntori abituali
Tra i 15 e i 65 anni
Dati 2011
2001
20
2006
2011
Una sola volta
20%
Una volta all’anno
15
8,3%
10
Una volta al mese
29,9%
25,2%
4,9%
5
Fonte:
Osservatorio
Uruguaiano
sulle Droghe
(OUD)
8,7%
Una volta alla settimana
21,1%
0
Ha provato
una volta
Negli ultimi
12 mesi
Nell’ultimo
mese
Una volta al giorno
14,6%
LOOKOUT 3 - marzo 2014
65
Sicurezza
Il buio oltre
il chavismo
L’instabilità
è l’unica costante
che contraddistingue
la fase sociale, politica
ed economica che sta
attraversando il Venezuela.
Il presidente Nicolas
Maduro per il momento
resiste. Ma fino a quando?
Quanto guadagnano
i presidenti in America Latina
venezueLa | di Hugo
Enrique Peña Nieto, Messico
20.409 dollari
D
opo le elezioni generali di aprile 2013 non
era un’esagerazione affermare che il Venezuela stava entrando in
una vera crisi politica: si certificava infatti la fine dell’era di Hugo Chavez e
cominciava un processo di lento deterioramento generale. Ciò che non si
sapeva (e che non si sa nemmeno oggi) è quanto tempo resta prima di
un’implosione definitiva del regime di
Nicolas Maduro.
Tale processo di crisi è ormai in procinto di minare seriamente la governabilità del Paese e se ne sono avute le prime
avvisaglie durante le elezioni comunali di
dicembre e con le violenze di piazza di
questi giorni. Analizzando i risultati elettorali, il “chavismo” aveva i suoi motivi
per essere moderatamente ottimista ancora ad aprile 2013, quando conquistò
98 Comuni, mentre già nella tornata di
dicembre ne ottenne appena 75. Questo
significa che fra un’elezione e l’altra i
66
LOOKOUT 3 - marzo 2014
chavisti hanno perso 23 Comuni e, probabilmente, alcuni di questi sono stati
conquistati unicamente sull’onda emotiva della dipartita prematura di Chavez.
In ogni caso, le ragioni della pur ridotta vittoria chavista non risiedono
tanto nella tenuta del governo ma nelle debolezze proprie dell’opposizione.
L’errore politico fondamentale è consistito nell’analisi errata dei rapporti
di forza elettorali: le opposizioni hanno contato troppo sul cosiddetto “plebiscito contro Maduro” e aver preso
come punto di riferimento i dati delle
elezioni di aprile e dicembre per supporre la definitiva capitolazione del
governo, si è rivelato un errore tattico.
Così, all’interno dell’opposizione si
sono presto scontrate due strategie: lanciarsi in un altro processo elettorale (appello lanciato dall’ex candidato Henrique Capriles) per capitalizzare il logoramento del governo oppure scegliere la
via del cambiamento radicale e affrontare il chavismo nelle strade, facendo leva
Michelle Bachelet, Cile
15.042 dollari
Jose Mujica, Uruguay
12.500 dollari
(il 90% devoluto in beneficenza)
Dilma Rousseff, Brasile
11.764 dollari
Cristina Kirchner, Argentina
10.000 dollari
Juan Manuel Santos, Colombia
10.000 dollari
Horacio Cartes, Paraguay
8.587 dollari
Rafael Correa, Ecuador
7.000 dollari
Nicolas Maduro, Venezuela
6.188 dollari
Ollanta Humala, Perù
5.500 dollari
Evo Morales, Bolivia
2.167 dollari
Sicurezza
FOCUS
Anche gli studenti hanno manifestato
malcontento. Tale sentimento è dovuto a
più fattori: insicurezza (80 omicidi ogni
100mila abitanti); scarsità di alimenti;
inflazione (56,2% nel 2013);
regolamentazione dei prezzi;
deterioramento dell’economia nazionale;
corruzione.
Rivolta in Venezuela:
il bilancio
Proviamo a fare un bilancio dei
cambiamenti prodotti da queste
giornate che stanno sconvolgendo
lo scenario politico venezuelano:
- Molti di coloro che si aspettavano
cambiamenti in grado di portare
benefici tangibili, cominciano
ad ammettere che con Chavez
si è costruito un progetto
ad personam, che ha rinforzato
solo il clientelismo tradizionale,
la dipendenza dal petrolio
e l’inefficienza statale.
- Chavez ha politicizzato tutte
le fasce della popolazione (fino
a quel momento marginalizzate)
in un’ottica populista.
Per questo motivo, il confronto
politico ha in breve polarizzato
il Paese, generato antagonismo,
indebolito le istituzioni statali ed
eroso le libertà civili e politiche.
- Con Maduro, tale strategia non ha
fatto altro che rendersi ancora più
evidente. Potrebbe persino dirsi
che Maduro non è altro che una
“vittima” delle decisioni precedenti
di Chavez.
sul diffuso malcontento dei cittadini.
Leopoldo Lopez, leader del partito centrista Voluntad Popular e arcinemico di
Maduro (ora in carcere per istigazione
alla violenza nelle strade, associazione a
delinquere, intimidazione pubblica, lesioni gravi, omicidio e terrorismo) ha
fatto di questa seconda ipotesi la propria bandiera. Al contrario, l’antagonista politico Henrique Capriles ha prudentemente preferito non prendere
parte alle manifestazioni, optando piuttosto per rinforzare la presenza dell’opposizione nei governi locali.
L’atteggiamento di Capriles è stato
definito “insurrezione pacifica progressiva”, mentre il presidente Nicolas Maduro lo chiama senza mezzi termini
“colpo di Stato in corso” e continua ad
accusare i dirigenti dell’opposizione e i
diplomatici statunitensi di promuovere
le manifestazioni antigovernative.
- All’autoritarismo del governo si
aggiunge oggi la debolezza del
modello economico centrista.
Ma la differenza fra le proteste
attuali e quelle degli anni
precedenti, è che adesso il
governo non trova un’alternativa
alla repressione e, in questo,
l’aggressività dell’opposizione
diviene funzionale.
- Si sta producendo anche una
lotta interna per la leadership
all’opposizione: Henrique Capriles
privilegia la strada delle elezioni
mentre Leopoldo Lopez
dal carcere promuove la
radicalizzazione dello scontro.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
67
Scenari poSSibiLi
Il futuro incerto
del Paese
I
l processo ribellistico appena
cominciato in Venezuela può
essere contenuto momentaneamente, ma se il governo
continua lungo la stessa linea
economica e politica, sarà inarrestabile. Al momento, tutti gli scenari sono
aperti e molto dipenderà dalla disponibilità del governo al cambiamento.
Un patto Maduro-Capriles aprirebbe
uno scenario diverso in Venezuela. Ciò
nonostante, esistono varie possibiltà:
1
Il conflitto venezuelano si dirige
verso uno scenario distruttivo.
La definitiva esplosione sociale
non ha ancora una data certa e
dipende sia dalle azioni che intraprenderà il governo in materia
economica sia dalle azioni politiche dell’opposizione. Ma anche
dalla saggezza della Forze Armate
e da imprevedibili fattori internazionali. Questo senario è altamente probabile.
2
La strategia di Lopez di rovesciare il governo attraverso la lotta
nelle strade sembra difficile
mentre le Forze Armate, la metà
della popolazione e i governi di
Brasile, Argentina, Ecuador, Bolivia, Nicaragua e Cuba, sostengono il presidente. Se lo scopo è ottenere uno scontro interno e fare poi appello internazionale alla NATO o all’UE, il piano dovrà
aspettare quantomeno la risposta del governo. possibile.
3
Se vengono realizzate le riforme
necessarie all’economia, il processo “callejero” sarà più lento.
Al netto della capacità di Maduro di rinnovare il sistema ereditato, qui il presidente si gioca il
suo futuro. improbabile.
Breve termine
Rinforzo
dell’opposizione
Insurrezione
pacifica
Deterioramento
dell’economia
Scoppio
della rivolta
Divisioni all’interno
delle Forze Armate
Agitazione interna
Guerra Civile
Scomparsa
del Chavismo
Altamente probabile
68
LOOKOUT 3 - marzo 2014
Medio termine
Probabile
Lungo termine
Sicurezza
Commenti
È la prima volta che l’opposizione si manifesta apertamente contro il governo.
Henrique Capriles tenta di opporsi all’ala radicale che esige l’uscita di Maduro
e annuncia che incontrerà il presidente per trovare una via d’uscita alla crisi.
Il processo d’insurrezione pacifica avrà successo se le classi popolari si
sommeranno ai manifestanti (ma l’opposizione non ha controllo di quei settori).
La scarsità di beni di prima necessità non ha avuto un alto impatto poiché il
governo aveva creato una rete parallela di rifornimento (questo fa parte del piano
politico “populista e clientelare”).
Nonostante gli sforzi di Maduro, la classe media non lo segue più. I consensi
che Maduro si aspettava di ottenere offrendo “una garanzia alla classe media per
l’accesso ai consumi e ai servizi” si sono volatilizzati in seguito alla minaccia
di nuove espropriazioni alle aziende che oltrepassano la soglia del 30% di ricavi.
La “escalada” del conflitto
Punto di non ritorno
.................................................................
Andam
ento d
el
Conflitto aperto
Per adesso l’unità della Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) sembra
indissolubile ma, mentre l’economia si addentra in una profonda crisi, le prime
defezioni all’interno delle FANB potrebbero portare i vertici militari a non sostenere
più un presidente improduttivo. Consapevole di ciò, in meno di un anno Maduro
ha nominato 400 nuovi ufficiali in cariche di alta responsabilità “fuori dall’ambito
castrense” (cioè cubano), ma anche 11 ministri e 10 viceministri militari. Tale
militarizzazione dello Stato risponde al sospetto secondo cui l’esercito potrebbe
rovesciare l’ultimo presidente chavista.
conflit
to
Un governo che militarizza l’economia, cerca di silenziare i dissidenti, dichiara la
guerra economica agli imprenditori (con l’aumento delle espropriazioni, controlli
e prezzi bassi), censura i social network e i media, e minaccia il giornalismo
indipendente con frasi come “arriverà la vostra ora”. Sono tutti fattori che
conducono alla resistenza civile e allo scoppio di nuove rivolte.
CONTENERE
RISOLVERE
PREVENIRE
Contenimento
L’attuale “insurrezione pacifica” dimostra che la situazione in qualsiasi momento
potrebbe oltrepassare la leadership dei partiti e diventare una minaccia per la
governabilità. I gruppi di sicurezza del governo paventano l’anarchia e terrorizzano
la società civile con scenari apocalittici e con l’uso della violenza. Questa deriva
contribuisce all’agitazione interna.
Da regime ibrido o pseudo-democratico, la situazione è degenerata in una dittatura
del terrore fomentata dai collettivi (gruppi armati sostenuti dal governo), dalla
violenza della Guardia Nacional Bolivariana e dalla Policia Nacional Bolivariana.
Maduro opta per rendere partecipi delle manovre conservative anche le Forze
Armate. A loro si aggiungono, nelle periferie, circa 40mila consulenti cubani
e organizzazioni come il Frente Francisco de Miranda, che in periodo elettorale
è uso mettere sotto pressione gli elettori.
Anche se l’attuale regime scomparisse, il chavismo come partito politico (PSUV)
e movimento sociale resterà una componente politica ancora a lungo. Durante
gli anni di governo, si sono infatti create reti sociali forti e il chavismo manterrà
una base elettorale solida nei prossimi anni. La scomparsa definitiva del chavismo
è oggi un’ipotesi altamente improbabile.
Improbabile
La “escalada” (aumento) si ha
quando il conflitto cresce a causa di:
- un innalzamento del livello
di coinvolgimento emotivo
dei partecipanti;
- un numero di persone che
si aggregano al conflitto, senza
aver avuto esperienze precedenti;
- un crescente uso della violenza;
- un’espansione delle zone
territoriali in cui si sviluppa.
Il pericolo della “escalada”
è dato dal fatto che, generalmente,
risulta quasi impossibile invertire
il processo.
Altamente improbabile
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Sicurezza
L’odissea
colombiana
coLombia | di V. Perugia
L
Guerra e pace si
alternano in questa terra
da quasi mezzo secolo.
Se oggi la pacificazione
tra governo e FARC è più
vicina, le recrudescenze
della parte più retrograda
del Paese sono quasi
una certezza
e Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC)
sono ancora oggi la più
organizzata, attiva e pericolosa formazione guerrigliera operante in Colombia. Protagoniste da quasi cinquant’anni di una
guerra civile che ha causato decine di
migliaia di vittime, dal 2012 le FARC
hanno accettato di avviare un dialogo dei proventi derivanti dal traffico di
con il governo del presidente Juan droga e dalle estorsioni, pena l’estinManuel Santos e, in quest’ambito, zione “per fame”.
Pur essendo un gruppo fortemente
hanno partecipato a incontri che si sono tenuti a Cuba, con rappresentanti politicizzato in senso marxista-leninista, durante gli anni della Guerra
delle istituzioni di Bogotà.
Stando alle indiscrezioni fatte filtra- Fredda le FARC non hanno mai ricere da esponenti di ambedue le parti, i vuto supporto diretto o fondi né da
colloqui cubani starebbero registran- Cuba né dall’URSS, riuscendo comundo qualche timido progresso e spin- que ad autofinanziarsi sempre.
Nonostante i colloqui di pace, angendo verso una soluzione pacifica
che di recente in diverdel conflitto interno.
se regioni della ColomTuttavia, le FARC oggi
bia si sono registrate
contano circa 3mila miazioni dei guerriglieri
liziani e 8mila combatFARC contro mezzi di
tenti rurali, il cui mantrasporto pubblico, imtenimento costa alla
pianti petroliferi, edififormazione rivoluzioci governativi. Gli attacnaria qualcosa come
chi sono stati effettuati
200 milioni di dollari
Juan manueL
con automobili imbottil’anno.
SantoS
te di esplosivo, granate
Per questo, anche se
l’organizzazione ha no- Le proiezioni danno e bombe rudimentali.
tevolmente diminuito il presidente al 25%. Tali azioni sono opera
dei comandanti rurali
il ricorso ai sequestri di
Il voto di
dei distaccamenti delle
persona come fonte di
maggio dovrebbe FARC, dei veri e propri
autofinanziamento, non
“signori della guerra”:
riconfermarlo
ha potuto fare a meno
70
LOOKOUT 3 - marzo 2014
ignoranti, violenti e abituati al controllo assoluto del territorio e delle
popolazioni soggette, sono coloro che
solo difficilmente potranno accettare
la richiesta di smobilitazione generale
che potrebbe anche scaturire dai colloqui di pace.
Le bande armate rurali delle FARC,
infatti, specie dopo il successo della
politica antidroga del governo - che
ha portato allo smantellamento dei
cartelli di Cali, Medellin e della Valle
del Nord - sono oggi diventate ancora
più potenti che in passato, perché
hanno occupato lo spazio lasciato vuoto dalle grandi organizzazioni del narcotraffico. Secondo la stragrande
maggioranza di osservatori e analisti,
è presumibile dunque che, qualora i
colloqui tra i vertici delle FARC e il governo colombiano dovessero avere esito positivo, gli accordi di pace saranno
maldigeriti e continueranno a essere
Cronologia essenziale
delle FARC
1964 Nascono le Fuerzas Armadas
Revolucionarias de Colombia, note
anche con la sigla FARC-EP, ovvero
Ejército del Pueblo.
1985 Le FARC e alcune formazioni
politiche di sinistra fondano il partito
Unión Patriótica, che ottiene un discreto
successo alle elezioni l’anno successivo.
Migliaia dei suoi membri verranno
tuttavia uccisi nel corso degli anni da
gruppi paramilitari di destra e i suoi
leader costretti all’esilio. Il partito
sparirà dalla scena politica nel 2002.
1998 Il presidente Andrés Pastrana
osteggiati proprio da quelle centinaia di
distaccamenti rurali che oggi vivono (e
sopravvivono) grazie ai traffici criminali.
In caso di esito positivo dei colloqui,
dunque, le FARC potrebbero subire
un processo di frammentazione che le
trasformerebbe in una miriade di piccole formazioni armate paramilitari e autonome, le quali continuerebbero - per pura necessità di sopravvivenza nei loro traffici criminali.
In altri termini, è difficile
essere ottimisti in merito ai
colloqui di Cuba. Le FARC, o
le micro formazioni nate dalla
loro possibile polverizzazione,
continueranno a costituire un problema con il quale sarà necessario fare i
conti ogni qualvolta si discute di sicurezza in quelle aree della Colombia, come la Valle del Cauca, dove sono tuttora presenti e fortemente operative.
FARC & ELN
Le Fuerzas Armadas
Revolucionarias de
Colombia e l’Ejército
de Liberación Nacional
sono le due formazioni
ribelli operative in Colombia
dal 1964. Nonostante la
massiccia repressione
delle forze armate abbia
drasticamente ridotto
le loro unità, sono oggi
stimate rispettivamente
in circa 8.000 e 3.000
uomini. Le due formazioni
sono considerate
organizzazioni terroristiche
da Stati Uniti
e Unione Europea.
demilitarizza e cede al controllo delle
FARC un’area nel sud della Colombia di
42.000 km2 con l’obiettivo di persuadere il
gruppo a intraprendere negoziati con il
governo. I colloqui di pace inizieranno
l’anno successivo, ma ben presto le
FARC abbondonano le trattative.
2002 Il presidente Álvaro Uribe
Vélez rimilitarizza il territorio
precedentemente ceduto alle FARC in
conseguenza del rapimento, ad opera
dello stesso gruppo, del senatore
Jorge Eduardo Gechem Turbay. Il
senatore, insieme ad altri esponenti
politici sequestrati nello stesso periodo,
verrà rilasciato nel 2008. Ha inizio una
massiccia offensiva militare contro le
FARC, condotta da Uribe fino al termine
del suo mandato nel 2010.
2008 Alfonso Cano diventa leader
delle FARC con la morte di Manuel
Marulanda Vélez, capo storico e
fondatore del gruppo. Cano verrà ucciso
nel 2011 nel corso dell’Operación
Odiseo delle forze armate colombiane.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
71
Sicurezza
coLombia
| di Mariana Diaz
S
La pax cubana
tando alle cifre fornite dal
Centro Nacional de Memoria Historica di Colombia
(CNMH), dalla nascita delle
Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) nel 1964,
sono stati 5,7 milioni gli sfollati, Il governo colombiano e le FARC potrebbero trovare
220mila i morti, 25mila i desaparecidos
e 30mila i sequestri. Da oltre due de- a L’Avana l’accordo decisivo per porre fine a mezzo
cenni il governo colombiano cerca di secolo di conflitto.
raggiungere degli accordi con i guer- L’intervista all’esperto carlos prieto
riglieri, senza però ottenere risultati
soddisfacenti. L’ultimo negoziato, iniziato nel 1998 e durato tre anni, si è bilancio delle forze era invece
concluso senza esiti concreti.
favorevole alle FARC”.
Nel 2012 i colloqui di pace sono riMa la vera sfida per i colompresi a L’Avana, e sembra che questa biani arriverà quando gli acpotrebbe essere la volta buona. In Co- cordi saranno siglati: come
lombia sono in molti a essere ottimisti, verranno inclusi nel nuovo
come conferma Carlos Prieto, ricerca- processo politico i guerriglieri
tore della Fundacion Ideas para la Paz e come si comporterà lo Stato
di Colombia (FIP), centro di studi co- con gli eventuali gruppi di rilombiano specializzato sul conflitto ar- belli che rifiuteranno gli acmato condotto dalle FARC in questi
cordi? Sono questi gli inanni. “Mai prima d’ora si era
terrogativi attorno a
progrediti così tanto nelle
cui ruota l’attuale
negoziazioni - spiega dibattito pubNel 2012
Due risultati sono stati
blico in Coraggiunti, quello sulla
sono ripresi a
lombia. “I citredistribuzione delle
tadini - sottoterre e quello sulla
linea Prieto - si
partecipazione poliaspettano che i
i colloqui di pace
tica dopo il conflitto.
guerriglieri depontra governo
Ancora restano in sogano le armi. È proe ribelli
speso temi come la giubabile che vi saranno
stizia per i familiari delle
dei dissidenti, specie in
vittime, ma la sensazione è
quei segmenti della guerriVittime
che da adesso non si tornerà più
glia che ha maggiori legami con il
Si calcola
indietro”.
narcotraffico”.
che la guerriglia
In Colombia sembra che persino il
La questione della partecipazione
abbia prodotto:
tempo sia favorevole alla risoluzione politica rimane invece legata al prooltre 200mila
del conflitto. Infatti, a differenza del- cesso giudiziario che verrà avviato al
vittime;
5,7 milioni
le precedenti trattative, questi nego- termine delle trattative. L’ultima pasfollati;
25mila
ziati sono stati molto più veloci. “Con- rola, però, spetterà ai cittadini.
desaparecidos;
siderando il ritmo delle negoziazioni “Il patto che verrà firmato a Cuba 30mila sequestri.
continua Prieto -, penso che possiamo conclude Prieto - dovrà essere ratificaaspettarci una conclusione forse già to dai colombiani attraverso un refeentro la fine di quest’anno. Adesso lo rendum. Ma se non si troverà un comStato è in grado di porre delle condi- promesso sul disarmo, difficilmente l’aczioni ai guerriglieri. Dieci anni fa il cordo verrà accettato dalla gente”.
L’avana
72
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Sicurezza
La Santa Muerte
massimo canevacci,
antropologo dell’Università di Sao Paulo,
spiega origini e globalizzazione dei culti
religiosi in Centro e Sud America
i maGGiori
ricercati aL mondo
di Rocco Bellantone
N
el meltin pot etnico
che contraddistingue
le tante culture latinoamericane, c’è un
mondo a sé che giace
sospeso tra questa vita e l’aldilà, per
conoscere il quale di certo non basta
specchiarsi nei corpi tatuati dei narcos
messicani. La dimensione in questione è quella della morte, un “viaggio”
frutto di un’esperienza mistico-religiosa a cui ha avuto il privilegio di partecipare l’antropologo italiano Massimo
Canevacci, da quattro anni visiting
professor presso l’Università di Sao
Paolo. Ecco la sua testimonianza.
Quanto dista il nostro concetto
di morte da quello delle culture
latinoamericane?
Rispetto ai monoteismi di cristianesimo e Islam, in diverse culture dell’America Latina tra la vita e la morte
non vi è un dualismo irriducibile. Piuttosto che scontrarsi, queste due dimensioni si rincorrono sino a transitare l’una
nell’altra. Qualche tempo fa ho partecipato a un funerale in una comunità indigena Bororo, nella regione brasiliana
del Mato Grosso. E ho avuto modo di vedere quanto sia complesso il rituale della
morte. Dopo un trattamento che dura
circa un mese, al momento della luna
piena il cadavere della persona deceduta
viene spellato fino a lasciarne solo le ossa
(e poi lavato dal coniuge). Il teschio, che
nella nostra cultura rappresenta il tetro
destino della morte, viene lavato e purificato, colorato con tinte vegetali. La
morte diventa così un rituale danzato e
cantato, digiunato e alterato fino al fenomeno della trasfigurazione.
Qual è, invece, la storia
della messicana Santa Muerte?
In Messico il giorno del ricordo dei
morti è vissuto come una festa e non
come un lutto. Qui, però, la divinità
della morte ha assunto le sembianze
della famosa Santa Muerte (foto), principalmente perché in questi luoghi, soggetti in passato a lunghe dominazioni, il
rapporto tra l’uomo e Madre-Terra è
sempre stato profondissimo. Poi ci sono state la globalizzazione e le migrazioni di massa, che hanno comportato
il graduale stravolgimento di questo
culto.
Come si è arrivati alla
“narcotizzazione” di questo culto?
Non solo i cartelli della droga del
Messico ma anche la mafia siciliana o
la ’ndrangheta calabrese affermano la
loro egemonia sul territorio, oltre che
con la forza e le armi, anche attraverso i simboli religiosi. Attraverso questa
legittimazione sacrale, i narcos condividono così con le organizzazioni criminali internazionali lo stesso linguaggio simbolico. Ovviamente, però, così
facendo la loro religione da sacra diventa dissacrata.
Perché questa ossessione
per il teschio e lo scheletro?
Santa Muerte ha una fortissima
connotazione feticista. Il suo volto è
serafico, le sue ossa seduttive. È una
morte viva che per certi aspetti si ricongiunge all’uomo attraverso la
pratica dei tatuaggi. È dunque una
morte sorridente, ormai lontana
dai famosi Tristi Tropici di Levi
Strauss.
ismael zambada
“el mayo”
5,000,000 $
nazionaLità
Messicana
(El Álamo, stato di Sinaloa)
Gruppo di
appartenenza
Cartello di Sinaloa
capo di
imputazione
Traffico internazionale di
droga. Numero due del cartello
di Sinaloa fino all’arresto
del “Chapo” Joaquin Guzman.
note
66 anni, narcotrafficante dagli
anni Ottanta sotto Miguel Angel
Félix Gallardo (“Il padrino”)
ed Ernesto Fonseca Carrillo.
Dal 2001 diventa l’ombra di
Guzman. Gestisce i contatti
con i produttori colombiani
della cocaina diretta negli USA.
Vive in un ranch tra le montagne,
ha due figli in carcere
negli Stati Uniti e una moglie
con cui ha fondato un rifugio
per ragazze madri chiamato
“Niño Feliz”. Secondo il goveno
messicano è una copertura
per riciclare denaro sporco.
Nella foto, “El Mayo” (a sinistra) insieme
a “El Chapo” Guzman (col cappello)
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73
Sicurezza
L’opinione
Cosa resta
oggi
del socialismo
in America
Latina?
rocío montes
Giornalista cilena per Revista Caras
e autrice del libro Hijas de General
N
on è più possibile parlare di socialismo in
America Latina secondo i parametri classici.
Ogni Paese ha la propria realtà. Nel caso
del Cile, è stata appena rieletta la socialista
Michelle Bachelet, anche se durante la campagna elettorale la nuova presidente ha preferito prendere
le distanze dal chavismo, che non è affatto visto di buon occhio dai socialisti cileni. La Bachelet ha alcuni elementi in
comune con Cristina Fernandez Kirchner, con l’Uruguay
di Jose Mujica e con il modello venezuelano, ma il socialismo cileno segue una linea molto diversa.
I governi di sinistra che abbiamo avuto dal 1990 - interrotti dalla parentesi conservatrice di Sebastian Piñera,
presidente dal 2010 al 2013 - non hanno proposto un modello socialista nel senso stretto del termine, bensì un modello neoliberale con diversi elementi di protezione sociale, come il superamento della povertà e la riduzione della
disuguaglianza.
Invece, in altri Paesi ci sono state delle riforme radicali,
come ad esempio in Argentina. Ma in Cile in nessun caso
verrà statalizzata un’azienda straniera, sarebbe disastroso.
La politica che propone Micelle Bachelet si avvicina piuttosto al modello brasiliano di Dilma Rousseff.
74
LOOKOUT 3 - marzo 2014
miguel angel bastenier
Giornalista per El País e insegnante per
Fundación Nuevo Periodismo Iberoamericano
I
l socialismo è un’illusione del passato? Dipende da
cosa intendiamo per socialismo. Per quanto riguarda l’America Latina, nei Paesi “bolivariani” non c’è
socialismo né un progetto socialista, ma vi sono
semmai dei modelli assistenzialisti.
In Venezuela, ad esempio, lo Stato non intende trasformare il capitalismo ma vuole che esso gli “ubbidisca”. Cuba,
seguendo la linea del modello cinese, sta invece progressivamente abbandonando il socialismo. In Bolivia si parla dell’adozione di un socialismo comunitario, pre-colombiano e
indigeno, ma per adesso è solo fantasia. In Ecuador, il presidente Correa vuole uno Stato sviluppato e moderno, su
cui intende applicare un impianto socialdemocratico. Anche qui, però, siamo fermi alle buone intenzioni.
Insomma, il socialismo del XXI secolo non è altro che uno
slogan. Ed è terribile che tutti gli sforzi - che indubbiamente
hanno migliorato la qualità della vita delle classi meno abbienti - si paghino con gravi limitazioni alla libertà di espressione. Nell’universo bolivariano una relativa giustizia sociale
non è compatibile con la libertà politica. Anche se, è bene
sottolineare, nessuno di questi Paesi oggi è una dittatura.
aLL neWS
Sicurezza
arabia Saudita
Cambio ai vertici dell’intelligence
Il principe Bandar
Bin Sultan non è più
il capo dei servizi segreti
sauditi. A sostituirlo è stato
il ministro dell’Interno
Mohammed Bin Nayef,
che ha da subito assunto
la piena responsabilità
delle operazioni militari a
sostegno dell’opposizione
al regime siriano di Bashar
Assad. C’è chi vede lo
zampino della CIA in questa
sostituzione.
Stati uniti
L’esercito si consola
con il “fucile intelligente”
D
opo i tagli annunciati da Barack Obama,
l’esercito americano prova a consolarsi
con l’acquisto dei prototipi di un nuovo
fucile dotato di un sistema che impedisce al grilletto di fare fuoco se l’obiettivo non è perfettamente
allineato al mirino. L’arma è inoltre dotata di un
computer con sistema operativo Linux in grado di
calcolare 16 variabili, tra cui la temperatura, il movimento rotatorio del proiettile e la direzione del
vento.
eGitto
Stati uniti
Il Cairo mette fuori
legge Hamas
A processo i leader
di Al Qaeda
L
È
a corte egiziana ha messo fuorilegge Hamas,
vietando tutte le sue attività nel Paese e ordinando il sequestro della sua sede al Cairo.
L’accusa, mossa nei confronti del movimento radicale palestinese, è di aver complottato per compiere
attentati nella penisola del Sinai, al confine con Israele, servendosi dell’appoggio dei Fratelli Musulmani.
iniziato il 3 marzo a New York il processo al kuwaitiano Suleiman Abu
Ghaith, genero di Osama Bin Laden. Arrestato nel 2013 in Giordania,
l’ex portavoce di Al Qaeda è accusato di
aver organizzato un attentato per dirottare un volo Parigi-Miami nel dicembre del
2001. Nello stesso mese, di fronte alla corte
americana, sono finiti altri due noti esponenti qaedisti: Mustafa Kamel Mustafa, alias Abu Hamza Al
Masri, e il libico Abu Anas Al Libi.
ruSSia
Cresce l’impero
delle basi militari
corea deL nord
Rimpatriato il cargo
sequestrato a Panama
M
osca ha avviato le trattative con Cuba, Venezuela e
Nicaragua per installare nuoopo mesi di attesa, il governo nordcoreano
ve
basi
militari
per il rifornimento dei propri bomottiene il rientro della nave fermata nelbardieri.
Ma
non
solo. Dopo i contratti per le forl’estate scorsa all’ingresso del Canale di
niture
militari
firmati
con Egitto e Algeria, il
Panama con a bordo armi provenienti da Cuba.
Cremlino
guarda
anche
all’Oceano Indiano e
Per il rilascio, Pyongyang ha dovuto pagare una
le vittime totali del
al Sudest asiatico. Il ministro della Difesa russo,
multa di 693mila dollari, senza però ottenere la
conflitto tra Boko
Sergei Shoigu, ha confermato i contatti con
restituzione delle 10mila tonnellate di zucchero
Haram e il governo
Vietnam,
Seychelles e Singapore.
sequestrate.
nigeriano
D
5.000
LOOKOUT 3 - marzo 2014
75
Spy GameS
Storie di SpionaGGio e controSpionaGGio
10 giorni
a novembre
Nel 1983, per un gioco di guerra, il mondo
rischiò l’olocausto nucleare
N
OLEG GORDIEVSKIJ
Nato a Mosca nel 1938,
dopo la laurea presso
l’Istituto di Stato per
le Relazioni Internazionali,
entra nel KGB. Assegnato alla
residenza di Copenaghen,
nel 1972 diventa un agente
dell’MI6 inglese. Dopo
essere stato scoperto nel
1985, fugge in Occidente.
Oggi vive in Inghilterra.
76
LOOKOUT 3 - marzo 2014
el 1983 Hollywood
produsse un film di
grande successo intitolato War Games
in cui si raccontava
di una gravissima crisi nucleare tra Stati
Uniti e Unione Sovietica innescata da
un super computer stuzzicato da un giovane hacker. Gli spettatori che nei cinema di tutto l’Occidente seguivano il crescendo di tensione, di suspense e di
colpi di scena, non immaginavano
che negli stessi momenti fuori dalle
sale stava andando in onda una crisi vera e propria, una crisi che ha
portato vicinissimi Washington e
Mosca allo scontro atomico.
Dopo l’insediamento di Ronald
Reagan alla Casa Bianca nel gennaio 1981, mentre un Leonid
Breznev molto ammalato reggeva
le redini dell’URSS, la dialettica
tra le due superpotenze registrò un crescendo di toni, di accuse reciproche, di
minacce e di insulti decisamente impressionante dando inizio a quella che
gli storici definirono poi la seconda
Guerra Fredda.
Il KGB diretto da Yuri Andropov, allarmato dal mutamento di linea politica
nel passaggio dall’amministrazione
Carter, debole e incerta, all’amministrazione Reagan, spavalda e aggressiva,
decise di avviare la più costosa e impegnativa operazione di spionaggio mai
attivata dai russi in Occidente: l’operazione “RYaN” (“Attacco nucleare missilistico”).
Dal maggio del 1981 “RYaN” vide tutte le residenze del KGB in Occidente
mobilitate nella ricerca di ogni minimo
indizio che indicasse un’accelerazione
delle politiche militari NATO verso la
guerra. Tutti gli agenti sovietici dovettero abbandonare le attività di routine
per dedicarsi a uno sforzo informativo
volto a identificare e monitorare tutti
gli indicatori, anche i più banali, di una
mobilitazione occidentale: dall’aumento delle quantità di sangue da trasfusione alla costruzione di nuove infrastrutture come ad esempio le metropolitane da utilizzare come rifugi antiaerei,
dall’analisi di tutte le parole dei leader
politici occidentali ai messaggi degli alti esponenti del clero.
Del tutto ignara dell’operazione
“RYaN”, e delle motivazioni paranoidi
che ne erano alla base, il Pentagono
decise autonomamente di iniziare a
“scherzare col fuoco” con i russi, per
dare ai sovietici una dimostrazione
della nuova policy dell’amministrazione che intendeva trattare la controparte a muso duro. Cominciarono così sortite improvvise di caccia e di
bombardieri americani all’interno degli spazi aerei sovietici e aggressive
puntate sottomarine ai confini marittimi del Patto di Varsavia e nelle vicinanze delle basi della marina rossa.
Queste provocazioni nei mari e nei
cieli si accompagnavano a una guerra
di parole tra le leadership contrapposte
sempre più spregiudicata e violenta. Se
sulla stampa russa Reagan veniva ripetutamente paragonato a Hitler e quotidianamente accusato di soffiare sul fuoco della guerra, il presidente americano
il primo marzo del 1983 non esitava a definire l’Unione Sovietica “l’impero del
male” per sentirsi accusare da Andropov,
nuovo presidente dell’URSS, di essere
un “malato di mente e bugiardo”.
Il primo risultato drammatico della guerra delle parole e
delle “punzecchiature aeronavali” si ebbe il primo settembre
del 1983, quando un caccia sovietico abbatté senza preavviso
un boeing 747 sudcoreano che era penetrato nello spazio aereo della penisola della Kamchatka, uccidendo 246 passeggeri e membri dell’equipaggio. Secondo il ministro della Difesa
russo, Nikolai Ogarkov, il volo “Kall-007” (mai sigla fu più disgraziata) era impegnato in una missione di spionaggio aereo
per conto degli Stati Uniti. Subito dopo Andropov accusò
esplicitamente e pubblicamente gli Stati Uniti, diffondendo
una dichiarazione di questo tenore: “Ritengo necessario informare il popolo sovietico e tutti gli altri popoli della terra
che la politica estera dell’amministrazione Reagan è da considerarsi come una seria minaccia alla pace mondiale”.
È in questo clima esasperato che i militari americani decidono di lanciare un war game, un’esercitazione denominata
“Able Archer” durante la quale si doveva sperimentare in primo luogo la capacità delle forze dislocate in Europa di lanciare un rapido attacco nucleare all’Unione Sovietica. I segreti
dell’operazione finirono subito sul tavolo di Andropov che visto il clima, e aspettandosi un sicuro attacco nucleare, ordinò
una contromobilitazione delle forze balistiche sovietiche.
Gli americani, privi di buoni agenti nell’Unione Sovietica,
interpretarono le proteste russe come “pura propaganda” e le
cose sarebbero sicuramente finite male se il mondo non fosse
stato salvato da una spia. Oleg Gordievskij era in quel momento il numero
due del KGB a Londra e da oltre dieci
anni lavorava per l’MI6 inglese, che per
tutelarlo al massimo non ne aveva rivelato l’esistenza alla CIA, che era quindi
ignara dell’operazione “RYaN”.
Dal flusso dei messaggi che arrivavano alla residenza di Londra, Gordievskij convinse, attraverso i suoi controllori, Margaret Thatcher della realtà.
Un gioco di guerra era stato preso
troppo sul serio e stava per portare a
una guerra vera. La lady di ferro reagì
da par suo e dopo aver voluto incontrare Gordievskij si mosse senza perdere tempo per convincere Reagan che i suoi war games stavano per scatenare una
reazione nucleare sovietica. Il presidente americano si convinse della gravità della situazione e “Able Archer” venne interrotta. Confermando la saggezza della risposta che nel
film War Games il computer recita alla fine della crisi: “L’unica mossa vincente è non giocare”.
Gli ultimi combattenti
della Guerra Fredda
Yuri Andropov dopo essere stato ambasciatore
a Budapest durante l’insurrezione ungherese del
1956, ha scalato i vertici del KGB fino a diventarne
presidente. Nel 1983, ai tempi del confronto con
Reagan, era presidente dell’URSS. Ronald Reagan,
ex attore ed ex governatore della California, dopo
aver battuto Jimmy Carter nelle elezioni del 1980,
avviò un confronto con l’URSS che avrebbe
portato alla sconfitta dei falchi sovietici. Il suo
progetto di difesa antimissile conosciuto come
“Guerre Stellari” provocò indirettamente una
catastrofe in Unione Sovietica nel vano tentativo
di rincorsa tecnologica. Dopo la morte di Andropov
e la presa del potere da parte di Gorbaciov,
la crisi sovietica diventa irreversibile e si conclude
con la caduta di tutti i regimi comunisti europei
nel biennio 1989-91.
Alfredo Mantici
Capo del dipartimento analisi del Sisde fino al 2008,
oggi è il direttore editoriale di LookOut News
LOOKOUT 3 - marzo 2014
77
dura Lex
Sotto La Lente deL diritto
di Giusi Landi
S
e ne stanno rintanati nei
punti di passaggio obbligato
per le navi. Al di là della cintura delle lagune, nelle gole
propizie agli agguati, dietro
petrose barriere. I nuovi predoni del
mare si addensano lungo gli stretti di
Bab El Mandeb, Hormuz, Malacca o
nelle acque prospicienti le coste di Benin o del Puntland, dove i moderni filibustieri si preparano a rastrellare come niente imbarcazioni ed equipaggi. A bordo di barchini, rapidi come
gli jinn, i banditi somali, armati di
La più antica forma di criminalità organizzata incarna la
prima forma imprenditoriale di ateismo operativo: là dove
“Dio non vede”, tutto è possibile. Questo scenario è puntellato da Stati instabili, istituzioni pericolanti, politiche criminofile, disordine economico e malessere sociale. In simili
contesti, occorrono regole giuridiche chiare e macchine
giudiziarie efficienti. Peccato che il lessico giuridico, al riguardo, suoni approssimativo e lacunoso. L’art. 105 della
Convenzione di Montego Bay stabilisce che ogni Stato, in
alto mare, può sequestrare navi o aeromobili, catturati con
atti di pirateria e tenuti sotto il controllo dei pirati, e arrestare coloro che si trovano a bordo requisendone i beni.
Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro hanno facoltà di giudicare gli autori dei crimini di
pirateria fermati nelle acque internazionali presso i propri
tribunali nazionali e di infliggere loro una pena.
Ma per diventare regola positiva, la norma internaziona-
I pirati del terzo
millennio
kalashnikov e granate, abbordano petroliere, navi commerciali, o semplicemente da diporto.
La pirateria del terzo millennio è
una criminalità dalle tecniche agguerrite. Da impresa di artigianato criminale a strapotente holding privata. La
bête noire allunga mille tentacoli, si appropria dei proventi degli arrembaggi, e accumula colossali profitti. Mira al midollo
economico e commerciale del mondo.
Gli reggono la coda negoziatori, intermediari, attori non statali, finanziatori propensi a pianificare strategie - e
sponsor - disponibili a rimediare barche veloci, carburante, armi, sistemi
di comunicazione e altro.
78
LOOKOUT 3 - marzo 2014
le ha bisogno di essere incardinata nei vari ordinamenti statuali. Il travaso postula però atti legislativi interni che ratifichino i protocolli, rendendoli esecutivi. Solo così è possibile produrre, all’interno di ciascun Stato ratificante, le sottostanti norme punitive e istituire un sistema repressivo a
maglie fitte. Ora il fatto è che gli Stati, de facto, non hanno
mai provveduto a creare una normativa interna che introiettasse le norme di matrice internazionale.
Va poi segnalato un secondo incaglio. La trama narrativa
non prevede alcun obbligo di giudicare. L’articolo 105 della Convenzione contempla invece un uso facoltativo della
giurisdizione, con l’effetto che i sopraffattori passano indenni nella ragnatela legale. Catturati e poi lasciati liberi, il
più delle volte non subiscono alcun processo e non patiscono alcuna pena. Dunque, la legislazione internazionale in
materia di pirateria è materia vecchia, polverosa e affetta
da vizi congeniti. E siccome tocca al diritto internazionale
Attacchi in
mere nel 2013
- 264 arrembaggi
- 202 navi
abbordate
- 22 colpite con
armi da fuoco
- 12 sequestrate
con poco più
di 300 marinai
presi in ostaggio,
dei quali 21 feriti
e alla legislazione nazionale
cooperare per oliare i meccanismi giudiziari, ipotesi auspicabile sarebbe quella di metter mano a uno “Statement of Principles”, una specie di protocollo
aggiuntivo universale, volto a
integrare le attuali norme di diritto internazionale.
Insomma il mare, malgrado le
numerose convenzioni internazionali, è una specie di giungla.
Soppesati i diagrammi esponenziali degli attacchi e delle perdite
secche, le compagnie di navigazione sillogizzano che solcare le
rotte marittime, dove la malavita
del mare ha diritto d’asilo, è
un’impresa imprevedibile. I noleggi sono aumentati e i premi assicurativi pure (fino a dieci volte
sui carichi trasportati e sulle navi
mercantili). Tatticisti per necessità, gli utenti del mare vagliano tragitti alternativi, pianificano spossanti gincane per dribblare gli
sgherri del mare. Piuttosto che
entrare nel golfo di Aden, meglio
fare il giro dell’Africa. O, mal che
vada, pagare il riscatto e risparmiarsi “quarti d’ora di Rabelais”.
Gli interventi di cooperazione tra
Stati sono solo propositi declamati - per ora - e il diritto convenzionale è embrione ancora informe.
Come si dice: mentre il medico
elucubra, il paziente muore.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
79
economia
LEE HSIEN LOONG
PRIMO MINISTRO SINGAPORE
THEIN SEIN
PRESIDENTE MYANMAR
fiLippine
Terra di opportunità?
aSean
L’analisi dei dieci
Paesi membri
BENIGNO AQUINO III
PRESIDENTE FILIPPINE
NGUYEN TAN DUNG
PRIMO MINISTRO VIETNAM
Cari amici,
vicini e lontani
Il Sudest asiatico è sempre più centrale nelle rotte
geo-economiche del XXI secolo. Nonostante
le molte diversità dei Paesi di quest’area,
loro scopo comune è attirare l’attenzione
dell’Occidente e i suoi capitali. L’Italia è pronta?
80
LOOKOUT 3 - marzo 2014
SUSILO BAMBANG
YUDHOYONO
SHINZO ABE
PRIMO MINISTRO GIAPPONE
PRESIDENTE INDONESIA
NAJIB RAZAK
PRIMO MINISTRO MALESIA
SAMDECH HUN SEN
NIWATTHAMRONG
BOONSONGPAISAN
PRIMO MINISTRO CAMBOGIA
HASSANAL BOLKIAH
SULTANO DEL BRUNEI
fiLippine |
di Giorgio R. Fanara*
D
al cockpit, il Comandante del
volo Emirates
diretto a Manila, nel presentare l’equipaggio multinazionale,
afferma di essere in grado di
soddisfare le esigenze dei passeggeri presenti, in ben 16 lingue diverse. Perché? Tra culture differenti, babele di linguaggi, distanze enormi, fusi
THONGSING THAMMAVONG
RAPPRESENTANTE THAILANDIA
PRIMO MINISTRO LAOS
orari a iosa quanti i giorni di
una settimana, la compagnia
aerea relativamente giovane
di un Paese piccolo ma non
povero, vuole in questo modo
sorvolare le barriere esistenti
- storiche, culturali, sociali,
politiche, religiose ed economiche - e raggiungere uno
scopo: lo sviluppo degli affari
attraverso la porosità dei confini di questa grande regione.
La definizione “confini porosi” fu coniata dalla professoressa Seyla Benhabib (Yale
University) nel saggio I diritti
degli altri. Nel dibattito intellettuale, che si articola più sulle sfumature che sulle asserzioni nette e che evolve trasformandosi in continuità secondo i contesti storici e non
in maniera deterministica,
Benhabib individua interessanti matrici di causa/effetto.
Il Sudest asiatico si presta molto agevolmente a fungere da
modello per questa definizione.
E l’ASEAN in particolar modo.
L’acronimo citato si riferisce
14 dicembre 2013
I leader dei Paesi
ASEAN nella tipica
posa mano nella
mano, che comunica
fratellanza. La foto
è stata scattata
durante il Summit
ASEAN-Giappone
tenuto presso
l’Akasaka
State Guesthouse
di Tokyo.
LOOKOUT 3 - marzo 2014
81
economia
FOCUS
Italia:
volere volare
La visione e il coraggio
imprenditoriale della nostra azienda
di servizi per il controllo e
regolamentazione degli spazi aerei
- ENAV è la società per azioni
interamente controllata dal
Ministero dell’Economia e delle
Finanze italiano e vigilata dall’Ente
nazionale per l’aviazione civile
responsabile - sta ottenendo
ottimi risultati.
E se per quei Paesi è valsa la pena
superare migliaia di chilometri e
innumerevoli fusi orari per sfidarci
(e vincere) su campi ad altissimo
valore aggiunto tecnologico che
noi consideriamo nostra prerogativa,
perché non potremmo fare
altrettanto? Siamo pur sempre gli
eredi del veneziano Marco Polo, o
definitivamente questo non vale più?
Nelle foto: il dottor Mauro
Iannucci, CEO di Enav Asia
Pacific consegna il simbolo
societario al Vice Presidente
della Repubblica delle
Filippine, presidente di turno
del Rome Asean Committee
(Manila, febbraio 2014)
82
LOOKOUT 3 - marzo 2014
Brunei nel 1984, Vietall’Associazione delle
nam nel 1995, Laos e
Nazioni del Sudest asiaMyanmar - all’epoca
tico: un immenso arciBirmania - nel 1997 e
pelago ancorato sul
Cambogia nel 1999)
continente a sud della
hanno saputo e voluto,
Cina e proiettato a est
nonostante diversità apverso l’oceano Pacifico
parentemente insanabia incontrare prima di
li, coniugare storie e
noi ogni nuovo giorno.
dopo i Trattati
culture differenti con
Dieci Paesi sovrani,
una moltitudine di per- di Roma, dall’altra contrasti economici difperequabili.
sone diverse, un mercaparte del mondo ficilmente
Basta soffermarsi sulto enorme di più di 600
nasceva l’ASEAN le principali religioni
milioni di persone, un
praticate (cattolicesilaboratorio da seguire
e un’opportunità di dialogo e collabo- mo, buddismo e islamismo, di cui qui
razione al momento assolutamente si ha la maggiore concentrazione al
inesplorata (almeno da noi). La sua mondo) oppure sui palesi contrasti di
nascita segue di dieci anni il Trattato accumulazione delle ricchezze e delle
di Roma - l’origine della nostra Comu- desolanti povertà (nell’anno della
nità Europea poi approdata a Unione fondazione dell’ASEAN, il Pil procapi- e, con tutti i distinguo del caso, segue te dell’Indonesia era di 50 dollari
la stessa traccia: dal soddisfacimento mentre quello Singapore era di 550),
di una percepita esigenza di armoniz- per rendersi conto di quanto formidazazione dei commerci verso un’inte- bile sia stato e continua ad essere lo
grazione politica e di sicurezza, ido- sforzo e la determinazione di questi
nea a rafforzare gli interessi dei Paesi popoli verso l’integrazione.
Il lungo percorso temporale e le sinmembri verso l’esterno e a regolare
con il dialogo le eventuali controver- gole date di adesione sono lì a testimoniare le vicissitudini e i travagli, a
sie all’interno.
Non c’è spazio in questa sede per volte dolorosissimi, di ognuno dei
approfondire il tema se la nascita di Paesi per ottenere indipendenza, staquesta aggregazione fu favorita dalle bilità e miglioramento economico.
potenze interessate a contenere Fattori che in ogni caso sembrano
l’espansione del mondo comunista aver generato il successivo bisogno di
dell’epoca o se invece fu creata - a par- solidarietà e comunanza, sia stato esso
tire da un’intuizione indipendente utilitaristico o meno.
Secondo la teoria degli Shared Values,
delle classi dirigenti dei Paesi fondatori - per costituire un blocco capace di traducibile nell’insieme degli elementi
assicurare la stabilità politica dell’ae- della cultura orientale costituenti i valorea e il miglioramento delle condizio- ri asiatici, ciò ha molto influenzato l’atni di vita delle popolazioni (come si teggiamento di tutti i Paesi dell’intero
evince dalla lettura della Dichiarazione continente asiatico. Politici, storici, sodi Bangkok dell’8 agosto 1967) senza ciologi e filosofi l’hanno utilizzata per
l’interferenza delle grandi potenze del- dimostrare che il relativismo in essa
l’epoca, che dismettevano via via gli ul- contenuto serviva a giustificare dittatutimi scampoli di pretese colonialistiche. re e compressione dei diritti civili, altri
Ciò che vale affermare qui è che i invece come l’indispensabile alimento
primi cinque Paesi fondatori (Indone- per sostenere l’identità asiatica e difensia, Malesia, Filippine, Singapore e dere così i propri interessi strategici riThailandia) e poi gli altri cinque che spetto al mondo occidentale.
Troppo poco spazio in questa sede
ne completarono l’attuale configurazione nell’arco di 32 anni (nell’ordine: per approfondire tale affascinante
10 anni
economia
scorcio d’interpretazione storica. Utile può essere riflettere
su quanto affermato da Kim
Dae-Jung, premio Nobel per la
pace nel 2000. La traduzione
italiana può liberamente enunciarsi così: “L’Asia deve certamente rafforzare la democrazia e
consentire il godimento dei diritti
umani, ma l’ostacolo non è la sua
peculiarità culturale che presenta
certamente differenze con la cultura occidentale, piuttosto la pervicacia di certi poteri forti che supportano regimi indifferenti alle libertà
individuali”. E conclude meravigliosamente: “L’armonia delle
differenti culture e credenze non
sarà per forza il nostro destino, ma
la democrazia, sì”.
Volendo consapevolmente
precipitare da tali altezze culturali per le quali si avverte un
senso di vertigine soffocante,
viene da chiedersi: ma l’Italia,
tra un Jobs Act e un Milleproroghe, ha mai pensato di rafforzare decisamente la presenza in quell’aera?
In fin dei conti, la nostra tolleranza e pressoché assente
volontà di dominio, ci consentirebbe di occupare uno spazio collaborativo reale nel processo d’integrazione economica dell’ASEAN. Magari riusciremmo a evitare loro di ripetere gli errori commessi, candidandoci a un ruolo di interfaccia e dialogo con potenze con
le quali manteniamo ottimi
rapporti e che in quell’area
cercano di misurare la propria
forza e capacità di deterrenza
da Stati Uniti, Cina e Russia
(e, a seguire, Giappone e Australia). Davvero per noi sarebbe obiettivo che non vale
la pena cogliere?
Investimenti ASEAN di Cina, Giappone e USA
Nel 2012 gli investimenti diretti del Giappone verso l’ASEAN hanno raggiunto
la cifra record di 1.55 migliaia di miliardi di yen, il doppio dell’anno precedente
Investimenti esteri diretti di Giappone e Cina (in miliardi di yen)
771
628
1,549
1,005
ASEAN
Cina
2010
2011
198
332
41
64
558
352
288
150
Thailandia Singapore Indonesia Vietnam
91
43
115
81
Malesia
Filippine
Fonte: Japan’s Ministry of Finance
INVESTIMENTI DIRETTI CINESI E IL CONFRONTO
CON GLI USA (in miliardi di dollari)
IL VOLUME DI COMMERCIO TOTALE DELLA CINA
CON L’ASEAN (in miliardi di dollari)
15
500
USA
Cina
12
400
9
300
6
200
3
100
0
2009
2010
0
2011
'01 '02 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13*
Note: *dati fino a giugno 2013.
Fonte: ASEAN; ASEAN-China Centre; China Ministry of Commerce;
China National Administration of Customs.
IL VALORE DELLE ECONOMIE ASEAN
(secondo il PIL pro capite in dollari)
Corea
dell Sud
de
Sud
Myanmar
848.9
Cina
Thailandia
5,848
Partecipanti
Giappone
Vietnam Filippine
2,462
1,523
Laos
1,454
I 10 Paesi ASEAN
Australia
Cina
Brunei
38,801
Cambogia
934
Indonesia
3,660
Malesia
10,578
Stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI) 2012
* Ceo di FANARA - SPEI, Studio
di Politica Economica Internazionale
I dati sono
aggiornati tra
dicembre 2012
e giugno 2013
India
Giappone
Nuova Zelanda
Singapore
49,936
Russia
Corea del Sud
Stati Uniti
Fonte: IMF’s World Economic Outlook Database (October 2012),
Association of Southeast Asian Nations
LOOKOUT 3 - marzo 2014
83
economia
ASEAN:
l’ombrello
asiatico
Kuala Lumpur,
Malesia
I capi di Stato
simbolo delle
differenze tra i Pesi
ASEAN: Il presidente
delle cattoliche
Filippine, Benigno
Aquino, assieme al
primo ministro
Najib Razak e
al re Abdul Halim
dell’islamica
Malesia
84
indoneSia |
l 2015 sarà un anno cruciale
per i Paesi del Sudest asiatico.
La creazione della Comunità
Economica dell’ASEAN e la
maggiore apertura dei mercati dei dieci Paesi membri favorirà nuove opportunità di scambio e di maggiore cooperazione anche sul piano
politico che l’Europa e l’Italia devono
cogliere. Ma, allo stesso tempo, tutta
I
LOOKOUT 3 - marzo 2014
l’area sarà chiamata ad affrontare nuove
sfide, sia sul piano di politica interna ai
singoli membri dell’organizzazione, che
sul piano economico e diplomatico e
della sicurezza nel contesto regionale,
soprattutto per quanto riguarda l’evolversi dei rapporti con la Cina. L’ASEAN
costituisce al momento un forum per
dibattiti sulle questioni regionali ed in
quanto tale ha le potenzialità per contribuire alla diminuzione delle tensioni e
alla stabilizzazione dell’area.
economia
indoneSia
fiLippine
T
ra i Paesi fondatori dell’Associazione del
Sudest Asiatico, le Filippine hanno davanti a loro un
futuro pieno di sfide. Gli
obiettivi dell’ASEAN, quello della creazione di una comunità economica e una
politica e di sicurezza entro
il 2015, potrebbero incontrare degli ostacoli che al
momento il Paese non è in
grado di superare. A fine dicembre, il Dipartimento del
Commercio e dell’Industria
filippino, pur dichiarando il
Paese in grado di mantenere
una generale competitività
in un regime di integrazione
economica (quale quello
previsto dall’ASEAN), ha riconosciuto che in alcuni
settori, tra cui quello dell’agricoltura, tale competitività potrebbe venir meno a
causa dell’abolizione delle
tariffe e del regime protezionistico. L’economia filippina, inoltre, deve ancora riprendersi dagli effetti del tifone Hayan che in dicembre
ha assestato un duro colpo
al Paese.
Anche sul piano politico
e della sicurezza, il processo
verso la creazione dell’APSC (ASEAN Political Security Community) è già in
salita: il governo è oggi impegnato nella lotta al traffico di armi e droga e, recentemente, Manila è riuscita a
raggiungere anche un importante accordo con il
Fronte di Liberazione Islamico Moro (MILF), per pacificare la regione di Mindanao. Rimane invece in sospeso la questione dell’ammodernamento della difesa - a
fronte delle minacce cinesi
nel Mar della Cina Meridionale e di un possibile coordinamento con gli altri Paesi
dell’area - per una strategia
comune. Infine, le peculiarità etnico-religiose delle Filippine (unico Paese democratico e a maggioranza cattolica dell’area) potrebbero incidere negativamente e creare nuove frizioni con gli altri
membri dell’ASEAN, come
già avvenuto in passato.
Cos’è
ASEAN
L’Association of South East Asian Nations, è
stata creata allo scopo di contribuire allo sviluppo
economico, sociale e culturale dei Paesi del Sudest
asiatico, assicurando al contempo la stabilità
dell’intera regione. Fu costituita nel 1967 da Filippine,
Indonesia, Malesia, Singapore e Thailandia, cui si
sono aggiunti Brunei nel 1984, Vietnam nel 1995,
Laos e Myanmar (ex Birmania) nel 1997 e la Cambogia
nel 1999. Ha sede a Giacarta.
L’
Indonesia rappresenta la
maggiore economia del
Sudest asiatico. La crescita sostenuta degli ultimi anni - con una media
superiore al 6% tra il 2008 e il 2012 e
il minor impatto della crisi del 2009
sull’economia rispetto al generale
contesto internazionale - ha fatto
dell’Indonesia un punto di riferimento per le altre economie emergenti
della regione e la candidata al ruolo di
leadership all’interno dell’ASEAN.
L’Indonesia può inoltre vantare un
Filippine
sistema politico stabile, con una deMaggioranza
mocrazia che a livello internazionale
etnica:
viene
considerata consolidata, anche
Tagalog 28%
se rimangono dei punti interrogativi
per quanto riguarda la sicurezza (a
Religione
maggioritaria:
causa della presenza di gruppi radicali
Cattolicesimo
islamici legati ad Al Qaeda, contro i
83%
quali però il governo lotta con determinazione e con risultati apprezzabili).
Indonesia
La buona performance dell’ultimo
Maggioranza
decennio
e la capacità di mediazione
etnica:
dimostrata nella risoluzione di varie
Giavanese 40%
dispute tra gli altri membri dell’ASEAN,
in particolare tra Cambogia e ThailanReligione
maggioritaria:
dia, hanno conferito a Giacarta autoIslam 86%
revolezza e credibilità sul piano inter(la Sharia è
nazionale. Proprio per questo è amammessa solo
piamente corteggiata da Stati Uniti,
nei tribunali
Giappone
e Cina, ossia le maggiori poreligiosi locali
tenze che per espandere la propria inche regolano
fluenza hanno incrementato l’attenil diritto
zione
nei confronti dell’ASEAN. Un
di famiglia)
gioco delle grandi potenze, questo,
che rischia ora di frammentare l’organizzazione e di creare dei blocchi contrapposti che invece di rafforzare la
cooperazione regionale potrebbero
acuire i punti di conflittualità.
L’Indonesia potrebbe assumere
dunque la leadership dell’organizzazione, ma dovrà avere, a questo riguardo, una politica di fermezza, soprattutto nei confronti della Cina, con la quale intrattiene stretti rapporti commerciali. Ma su questa sua capacità sono in
pochi, al momento,
PER SAPERNE DI PIÙ
a scommettere.
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/INDONESIA
LOOKOUT 3 - marzo 2014
85
economia
La crescente
islamizzazione dell’ASEAN
Burma,
Birmania o
Myanmar?
maLeSia e brunei
al colpo di Stato
del 1988, il regime
dittatoriale impose
al Paese il nome di Myanmar
ritenuto neutrale rispetto
alla forma precedentemente
utilizzata (Burma) legata,
secondo la propaganda
ufficiale, all’etnia
maggioritaria dei
Bamar e in quanto tale
discriminatoria.
Sia come sia, Myanmar
oggi è sempre più vicino
allo Sri Lanka: i due
ministeri degli Esteri in
una nota congiunta
affermano di condividere
le piattaforme internazionali
comuni in seno alle
Nazioni Unite, il piano di
Colombo, il Dialogo per
la Cooperazione in Asia,
il Forum regionale
dell’ASEAN e il Movimento
dei Paesi Non Allineati.
I
n vista delle elezioni generali malesi del maggio 2013,
gli esperti davano per scontato un cambiamento nelle
politiche interne dell’UMNO (United Malays National Organization), il principale partito della
coalizione Barisan Nasional, che
guida il governo malese sin dalla sua
indipendenza. Questo cambiamento si renderebbe necessario tanto
per le dinamiche interne - dato il
rafforzamento dell’opposizione alle
precedenti elezioni del 2008 - quanto
per logiche macroregionali. Una più
ampia base di sostegno popolare,
che si potrebbe ottenere solo attraverso una più attenta politica etnica
tendente al livellamento del gap tra
le varie minoranze nazionali, conferirebbe al Paese quell’immagine di nazione democratica funzionale a primeggiare dentro e fuori l’ASEAN.
La Malesia si è, infatti, sempre distinta per l’azione catalizzatrice all’interno dell’Associazione degli
Stati del Sudest asiatico: prima come Paese mediatore nel conflitto
cambogiano, poi con la proposta
dell’ex primo ministro Mahathir
Mohamed di avviare una cooperazione economica che oggi sopravvive nell’EAS (East Asia Summit).
Tuttavia, il cambiamento auspicato non sembra prendere forma.
In apparente contraddittorietà rispetto alle precedenti linee guida
del governo, da fine dicembre
l’UMNO è andato cercando una
sempre maggiore comunanza di vedute con il suo storico rivale islamista, il PAS (Parti Islam SeMalaysia,
più conservatore), fino alla recente
decisione di implementare il Diritto
86
LOOKOUT 3 - marzo 2014
penale islamico secondo le leggi
hudud (che prevedono pene corporali per i reati di furto, adulterio,
consumo di alcolici e apostasia).
Probabilmente, la mossa è stata
fatta sulla scia di quanto già attuato
nel vicino Stato del Brunei. Qui il
Sultano Hassanal Bolkiah ha proceduto a ufficializzare le pene hudud
lo scorso ottobre, rendendo il Brunei il primo Stato asiatico a introdurre la Sharia come Codice penale nazionale (fino ad allora la legge
islamica veniva applicata solo nel
Diritto civile e di famiglia). Anche
se le pene si applicano solo alla popolazione musulmana (circa i due
terzi dei 415mila abitanti), la mossa
rientra nel processo di progressiva
islamizzazione del Brunei, che ha
già reso obbligatoria l’educazione
religiosa nelle scuole e che impone
oggi agli esercizi pubblici anche
l’obbligo di chiusura il venerdì.
In questa mossa poco chiara, che
estenderebbe su scala nazionale
leggi prima riservate esclusivamente ai tribunali civili federali malesi,
l’UMNO sembra dunque abbandonare la sua vocazione etno-nazionalistica per assumere adesso una connotazione pseudo-islamista, che di
certo non verrà incontro alle esigenze delle minoranze cinesi e indiane, pur numerose in Malesia.
Questo amplificherà la polarizzazione sociale, anche per la netta posizione presa nei confronti della corrente dell’Islam sciita che il ministro degli Affari Interni, nonché vice presidente del partito di governo, Ahmad Zahid Hamidi, ha
escluso categoricamente dalla rappresentanza dell’UMNO. (M.P.)
D
Brunei
Maggioranza
etnica:
Malese 66%
Religione
maggioritaria:
Islam 67%
(ufficiale)
Malesia
Maggioranza
etnica:
Malese 50%
Religione
maggioritaria:
Islam 60%
(ufficiale)
Myanmar
Maggioranza
etnica:
Birmana 68%
Religione
maggioritaria:
Buddismo
89%
La Golden
Rock Pagoda
di Yangon,
Myanmar
economia
thaiLandia
L
EI
UN
BR
a Thailandia potrebbe assumere un ruolo guida nel quadro della nuova Comunità Economica (AEC) dell’ASEAN, che dovrebbe entrare in vigore nel 2015. Tra tutti gli Stati membri, infatti, la sua forza economica potrebbe
garantirgli il maggior successo. Eppure, c’è una variabile:
la crisi politica. Le proteste vanno ormai avanti da mesi e
Fonte: Centre for
International Law, National
tutti i tentativi della premier Yingluck Shinawatra di sedare
University of Singapore;
le violenze in strada sono andati a vuoto. Né sono bastate
Middlebury College;
National Geographic
le dimissioni e l’annuncio
Le rivendicazioni territoriali del Sudest Asiatico
di nuove elezioni a riportaIsole
re la stabilità.
Senkaku/
Territori contesi
Brunei
Diaoyu
Malesia
La radicalizzazione delle
Filippine
piazze e lo shutdown della
Vietnam
“Linea dei nove segmenti” (contesa tra Cina e Taiwan)
capitale hanno avuto un
TAIWAN
CINA
impatto consistente sulla
VIETNAM
fiducia
di investitori e turiIsole
Pratas
LAOS
sti. Ma i timori maggiori riguardano le prospettive di
sviluppo nel lungo perioIsole
Paracel
do: la Thailandia, infatti,
THAILANDIA
Scarborough
Shoal
una delle “tigri asiatiche”,
lo scorso anno ha avuto
Mar cinese
CAMBOGIA
meridionale
una crescita media intorno
al 3%, troppo modesta se
Isole
paragonata a quella di altri
Spratly
FILIPPINE
Paesi asiatici, quasi tutti in
forte espansione (Malesia
5%, Indonesia 5,4% e FiMALESIA
200 miglia
lippine 6,4%).
200 km
MALESIA
Il persistere delle agitazioni rischia di comproINDONESIA
mettere il raggiungimento
Thailandia
del 4%, come auspicato dalla Camera di Commercio di
Maggioranza
Bangkok, mentre è ormai irrealistico l’obiettivo del goveretnica:
no del 7%. La paralisi della politica ha bloccato anche il
Thai 75%
massiccio piano d’investimenti di Shinawatra: 70 miliardi
di dollari per l’ammodernamento delle infrastrutture,
Religione
principalmente trasporti, fondamentali per uno Stato che
maggioritaria:
ambisce a diventare perno dell’area economica della regioBuddismo 95%
ne e punto di riferimento per i rapporti Cina-ASEAN.
(ufficiale)
Con una percentuale di popolazione anziana in crescita,
una forza lavoro poco specializzata, una moneta in caduta
Laos
libera e disordini interni, il cui ipotetico spillover (l’impenMaggioranza
nata dei prezzi di alcuni prodotti) preoccupa gli Stati conetnica:
finanti come il Laos, stanno rendendo la Thailandia meno
Lao 55%
attraente per gli investimenti, ma soprattutto poco competitiva in un mercato integrato. Con queste premesse e senReligione
za un cambio di rotta immediato sul fronte politico, diffimaggioritaria:
Buddismo 67%
cilmente Bangkok potrà assumere una leadership regionale. Il che sarebbe un’occasione mancata. (C.E.)
LaoS
N
el processo di emancipazione dai blocchi
strutturali imposti per
decenni dalle dittature
comuniste dell’Indocina, la Repubblica Popolare Democratica del Laos è rimasta più di altri Paesi ostaggio del proprio passato. Dalla
conquista del potere da parte del Partito Rivoluzionario del Popolo nel
1975, il Paese è arroccato in un sistema statalista, aperto al libero mercato
solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Il +7% di crescita media annua registrata tra il 2008 e il 2013 non deve però illudere: l’economia continua a dipendere quasi esclusivamente dall’agricoltura (dove è impiegato il 75% della
forza lavoro), mentre le entrate illegali
derivanti dalla produzione di oppio
(insieme a Myanmar e Thailandia, il
Laos fa parte del celebre “Triangolo
d’Oro”) sono sempre meno rilevanti. Il
leader Choummaly Sayasone, a capo
del governo dal 2006, punta sulle fertili
pianure alluvionali del fiume Mekong,
dove è in fase di sviluppo un sistema di
dighe per la produzione di energia
idroelettrica da vendere alla Thailandia. La più importante è la Nam Theun
e nell’arco di venticinque anni frutterà
al Paese circa 2 miliardi di dollari.
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/LAOS
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87
economia
Singapore,
prima e ultima
È
stato ed è il porto la grande fortuna di SingapoVietnam
re. Da sempre passaggio obbligato di tutte le rotMaggioranza
etnica:
te che andavano dall’Oceano Indiano al PacifiKinh 85%
co, quest’isolotto 50 x 25 Km situato all’estremo
sud della Malesia divenne base commerciale delReligione
la Compagnia Britannica delle Indie Orientali fin dal 1819. È
maggioritaria:
bastato questo, unitamente a una rigidissima politica di conBuddismo 9%
trollo in ogni settore, a fare della piccola città-Stato il principale hub commerciale, finanziario e tecnologico
del Sudest asiatico. O - per usare le parole di Lee
Kuan Yew, primo ministro di Singapore dalla fiNella classifica
ne dell’era coloniale nel 1959 al 1990 mondiale, Singapore è
“un’oasi di primo mondo in una regione di
terzo mondo”.
E in effetti i quasi 5 milioni e mezzo di
abitanti della giovane repubblica (è indiper libertà di stampa
pendente dalla Malesia dal 1965) possono
(Reporters
vantare un PIL pro-capite tra i più alti del
sans Frontières)
pianeta, superiore anche a quello dei vicini di
Hong Kong e della Svizzera. Per avere un’idea
della sua forza economica, basta dire che dal 2009
Cambogia
Singapore figura costantemente nella top three del World
Maggioranza
Economic Forum per quanto attiene a competitività globaetnica:
le. Ed è oggi, e negli otto anni precedenti, l’economia più
Khmer 90%
business-friendly al mondo secondo la World Bank.
Ma se da un lato Singapore è un esperimento di free-market
Religione
economy perfettamente riuscito con livelli di criminalità e cormaggioritaria:
Buddismo 96%
ruzione pressoché nulli, dall’altro le sue statistiche eccellenti
(ufficiale)
sono del tutto rovesciate per quanto riguarda democrazia, libertà di stampa e diritti umani. Un graffito su un muro, ad
esempio, può costare tre mesi di carcere e vari colpi di bastone. Sì, perché le pene corporali - il caning, in questo caso - sono legali e diffuse, specie in ambito militare, scolastico e detentivo. Del resto a Singapore vige la pena di morte, basta esser sorpresi a spacciare qualche grammo di cocaina. Ma il consumo di stupefacenti è praticamente inesistente, così come
quello delle gomme da masticare, bandite dal 1992 perché rovinano strade e marciapiedi. Politiche da regime, insomma,
seppur “ibrido”. Così l’Economist Intelligence Unit categorizza
Singapore per il suo livello di democrazia, posizionando questo Paese - da sempre governato dai conservatori del People’s
Action Party - accanto a Ucraina e Turchia, a una manciata di
punti dai regimi più autoritari. (D.S.)
150esima
88
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camboGia
e vietnam
L
a dittatura di Pol Pot e dei
Khmer Rossi (1975-79) e
l’occupazione vietnamita
(1979-89) sono ormai un
lontano ricordo per il regno della Cambogia. Nel suo ventennio al potere, il pragmatico Hun Sen
ha messo da parte gli ultimi retaggi
del comunismo, aprendo agli investimenti delle società straniere. Nonostante i segnali di crescita degli ultimi
anni, secondo i suoi detrattori Sen
avrebbe però svenduto il Paese, considerato che ancora oggi cinque dei
quindici milioni di cambogiani sopravvivono con meno di un dollaro al
giorno.
A seguito della rimozione dell’embargo statunitense nel 1994, anche il
partito comunista vietnamita ha iniziato ad aprire l’economia del Paese al libero mercato. Dopo una leggera flessione, nel 2013 le esportazioni hanno
registrato un +13% rispetto al 2012,
trascinate dall’imponente industria
del caffè (incremento del 49% negli
ultimi cinque anni), seconda al mondo solo al Brasile. Numeri positivi, che
permettono al primo ministro Nguyen
Tan Dung, in carica dal 2006, di mantenersi saldamente al potere nonostante le recenti agitazioni sociali.
aLL neWS
economia
Stati uniti
india
La centrale solare più grande
del mondo
Nuova Delhi cerca
fortuna a Riad
I
2,2 miliardi di dollari
spesi per la costruzione
a Ivanpah, in California,
della più grande centrale
termica a concentrazione
solare del mondo.
Tra i più importanti
investitori figura Google.
l governo di Nuova Delhi ha bisogno di almeno 150 miliardi di dollari di investimenti per
ammodernare le proprie infrastrutture nei
prossimi cinque anni. Parte di questa cifra potrebbe arrivare dall’Arabia Saudita. Riad possiede un
budget di 500 miliardi di dollari da dirottare in
progetti esteri, senza dimenticare che qui lavorano
stabilmente quasi tre milioni di indiani. Contatti
sono stati avviati anche con Kuwait, Emirati Arabi,
Marocco, Tunisia e Sudan.
Stati uniti
panama
Riprendono i lavori
per l’ampliamento
del Canale
Lo shale gas americano
sbarca in Europa
N
on solo Ucraina nel confronto tra USA
e Russia. Secondo fonti interne alla ConocoPhillips, presto importanti compagnie americane come Exxon saranno in grado vendere gas naturale liquido (LNG) agli Stati europei,
aprendo anche interessanti prospettive per ciò
che concerne lo shale gas. Dopo le batoste in Siria
e Crimea, magari per Washington potrebbe essere
arrivata l’ora di una rivincita.
D
opo settimane di stallo nelle trattative,
l’Autorità del Canale di Panama (APC) e
il consorzio che gestisce i lavori, il Grupo
Unidos por el Canal (GUPC) di cui fa parte anche
l’italiana Impregilo, hanno raggiunto un compromesso per terminare l’ampliamento dell’opera entro il 2015. I lavori verranno finanziati in parte dalla compagnia Zurich, garante del progetto (400
milioni di dollari), e in parte da GUPC e APC, che
sborseranno a testa 100 milioni di dollari.
ue-ruSSia
paKiStan
Gas: rotte contese tra
Tap e South Stream
Area di libero scambio
tra Islamabad e Pechino
I
l 19 febbraio è partita la seconda fase
dell’espansione
del TAP (Trans-Adriatic Pipeompromessi i rapporti con gli Stati Uniti, il
line),
il
corridoio
energetico progettato per il
Pakistan cerca un nuovo fornitore energetitrasporto
di
gas
dall’Azerbaijan
all’Europa, pasco. Occhi puntati su Teheran e, soprattutto,
sando
per
Grecia,
Albania
e
Puglia.
In risposta
Pechino, con cui recentemente il governo di NaGazprom,
titolare
di
South
Stream,
costruirà
una
waz Sharif ha firmato una serie di accordi per lo
diramazione
del
suo
gasdotto
di
59
chilometri
le
banche
USA
sviluppo di un corridoio economico condiviso e
che hanno chiuso
per far arrivare il gas russo a Bulgaria, Turchia,
la costruzione di un centro di ricerca congiunto
negli ultimi
Grecia
e Macedonia.
nel settore idrico. Prossimo obiettivo: la creazione
dieci anni
di un’area di libero scambio tra Pakistan e Cina.
C
3.200
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89
L’araba fenice
donne, Società e i tanti voLti deLL’iSLam
Sisters in Islam
Il caso del femminismo islamico in Malesia
di Marta Pranzetti
Wadud, nota per la sua rilettura del Corano in prospettiva
femminile - Zainah intraprende la strada dell’ermeneutica
come strumento di conoscenza ed emancipazione, per rillahu a’lam”, “E Dio ne leggere i concetti coranici più controversi in chiave non
sa di più”. “I grandi Ulema
misogina.
del passato erano soliti
Siamo nel contesto di quello che è considerato l’Islam
concludere così le loro “periferico”, nonostante la Malesia ospiti quasi i due terzi
asserzioni, a differenza dei 29 milioni di abitanti di fede islamica e l’Indonesia codi quelli contemporanei che non am- stituisca la più grande nazione musulmana al mondo, con i
mettono la fallibilità del pensiero suoi oltre 210 milioni di fedeli (ovvero l’86% della popolaumano e pretendono di parlare
zione locale, secondo i dati della CIA). L’Islam, prein nome dell’Islam”. È
valentemente di colorazione sunnita, penetrò in
quanto asserisce Zainah
questi arcipelaghi nel XIII secolo. Poi, nel corLe donne
Anwar nota attivista
so della rivolta imperialista del XIX secolo si
sono il
malese per i diritti
rivelò un importante collante identitario in
della donna, che infavore della ribellione anticoloniale.
tende ricondurre la
Dopo l’indipendenza, forti tensioni ingiustizia affermata
terne hanno però creato una dicotomia
nel Corano all’interfra l’aspetto religioso e quello più prodegli studenti
no della sfera politica
priamente politico dell’Islam. La rapida
nelle università
e sociale del suo Paeislamizzazione degli anni Settanta ha fatto sì
se, sostenendo che “non
che venisse acuito il gap tra musulmani e gli
pubbliche
è l’Islam a reprimere le
altri gruppi etnici della federazione malese. Il
donne quanto piuttosto l’inprocesso d’islamizzazione è stato poi incrementato
terpretazione maschio-centrica del negli anni Ottanta con i due partiti islamisti - BN (Fronte
Corano unita ai valori di una società Nazionale) e PAS (Partito Islamico Malese) - saliti alla ribalpatriarcale che ha fatto della religione ta nella scena politica nazionale. Campagne per la moralizislamica un’ideologia di potere”.
zazione dei costumi e la produzione di norme tradizionaliStudiosa di tafsir (esegesi coranica) ste hanno toccato anche l’apparato giuridico e, tra il 1984 e
presso l’Università islamica interna- il 1987, anche il Codice di Famiglia (fino ad allora abbazionale di Kuala Lumpur - dove è stata stanza progressista su questioni come il divorzio, la poligaallieva dell’icona di quello che è defi- mia e l’eredità) è stato modificato a netto sfavore delle
nito il “femminismo islamico”, Amina donne.
“
A
65%
90
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Negli anni, la Sharia si è sovrapposta gradualmente alle
leggi federali malesi ma il processo è divenuto evidente solo alla fine degli anni Novanta quando un eclatante arresto
di tre modelle, accusate di aver partecipato a un concorso
di bellezza, rese noto a tutti i malesi che il governo ha nel
frattempo adottato un “Atto sui crimini contro la Sharia”
(Syariah criminal offences) contenente articoli in aperto contrasto con i principi democratici e le libertà fondamentali
garantite dalla Costituzione federale. Nel 1997 viene addirittura istituito il Jabatam Kamajuan Islam Malaysia
(JAKIM), il Dipartimento Religioso incaricato di preservare la purezza della fede e gli insegnamenti dell’Islam,
tramite il quale lo Stato diviene ufficialmente controllore
del codice morale.
Attiviste come Zainah - impegnata sin dal 1989 a organizzare campagne di sensibilizzazione attraverso l’associazione Sisters in Islam (SIS) - non contestano i precetti
islamici o l’autorità degli Ulema, quanto invece il
fatto che lo Stato lasci “a una minoranza autoritaria l’interpretazione e l’implementazione
di una forma di Islam discriminatoria, repressiva e ingiusta, del tutto contraria alla
tradizione con cui la Malesia ha nutrito la propria civiltà”. Un problema che, secondo Zainah, dipende anche dalla recente storia economica del Paese, che ha reso i malesi poco inclini al dissenso nei confronti dello Stato, da cui dipendono
economicamente. La stessa ininfluenza del Dicastero
per gli Affari Femminili - le cui Ministre, Shahrizat
Abdul Jalil prima e Rohani Abdul Karim adesso, come
nota ancora Zainah, sono definite “delle politiche prima
ancora di essere donne” - mostra chiaramente come
prevalga la tendenza al mantenimento dello status quo.
Sukarnoputri
e la peculiarità
indonesiana
L
a vicina Indonesia ha una
storia femminile del tutto
peculiare: lo statuto di alcune isole considerava legittima
la successione al trono in via matrilineare e alcune aree dell’arcipelago - tra tutte, Aceh, oggi baluardo degli estremisti - sono state governate da sultane sin dal
XV secolo. Megawati Sukarnoputri, Presidente del Paese tra il
2001 e il 2004, è una delle poche
donne ad aver guidato una nazione musulmana.
Anche qui, l’ascesa dell’Islam
si lega alla lotta anticoloniale e al
contesto politico del post-indipendenza: negli anni Novanta,
alle dimissioni del dittatore Suharto, i movimenti islamisti e le
frange più radicali assumono il
potere, strumentalizzando la presenza femminile a proprio vantaggio. Alla montante ondata islamista - con il suo carico di leggi discriminatorie e ferrato controllo
morale - corrisponde dunque, paradossalmente, tanto l’affermarsi del femminismo indonesiano quanto lo sviluppo
di un’estesa partecipazione femminile a questi partiti conservatori.
(M.P.)
Chi è
Zainah Anwar
Fondatrice di
Sisters in Islam
e direttrice
di Musawah,
movimento
globale per
l’uguaglianza
e la giustizia
nella famiglia
musulmana,
fondato in
Malesia nel 2009.
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91
Rages
Le principali
manifestazioni di rabbia
e dissenso in giro
per il mondo
92
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tripoli, Libia Ecco come si presentava il parlamento libico
il 3 marzo, dopo l’irruzione armata di manifestanti che protestavano chiedendo lo scioglimento di questa istituzione.
donetsk, ucraina Protestanti filorussi manifestano in
sostegno all’occupazione della Crimea da parte delle Forze Armate della Federazione Russa (1 marzo).
rio delle amazzioni, brasile Guerrieri indigeni
Munduruku tengono in ostaggio un cercatore d’oro abusivo nel
loro territorio (17 febbraio).
Gerusalemme, israele Palestinesi lanciano pietre verso i poliziotti israeliani durante scontri nel quartiere arabo di Ras
al-Amud, a Gerusalemme Est (28 febbraio).
San cristobal, venezuela Una donna trascina via la
sua bambina dagli scontri a sud di Caracas, durante le proteste
antigovernative contro Maduro (27 febbraio).
mazatlan, messico Il più grande narcotrafficante ricercato al mondo, Joaquin “El Chapo” Guzman, viene scortato dai
soldati a Città del Messico (22 febbraio).
oSServatorio
SociaLe
monitoraGGio dei principaLi
eventi e fenomeni ribeLLiStici
ed everSivi neL noStro paeSe
Pronti all’azione diretta
L
a lotta all’Alta Velocità sta
diventando mese dopo
mese il punto focale
dell’opposizione antagonista in Italia. Il 19 febbraio
è stata la volta dei Nuclei Operativi Armati, che hanno fatto recapitare all’ANSA di Torino una lettera di minacce in cui vengono emesse quattro
“sentenze di condanna a morte” ad alcuni personaggi connessi con i lavori
in Val di Susa. Sono quattro, proprio
come sono quattro i No-TAV arrestati
il 9 dicembre 2013: Stefano Esposito,
senatore del PD (che già a gennaio
aveva trovato delle molotov sul pianerottolo del suo appartamento torinese), Giuseppe Petronzi, capo della DIGOS di Torino (e responsabile degli
arresti del 9 dicembre), Massimo Matteucci, presidente della CMC (Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna) e Maurizio Bufalini, direttore dei
lavori della LTF (Lyon Turin Ferroviaire).
Entrambe le aziende menzionate sono
naturalmente impegnate nei lavori
dell’Alta Velocità.
Ma non si tratta solo di una lettera
minatoria. La missiva costituisce un
vero e proprio appello a tutto il movimento anarchico a colpire la TAV e gli
altri “esecutori della strategia repressiva”, siano essi la stampa nemica, le forze dell’ordine o la magistratura. Nel
testo, recapitato anche presso altre sedi regionali dell’ANSA (a dimostrazione della ramificazione nazionale dei
movimenti antagonisti), si parla infatti
esplicitamente di “azione diretta”: un
vero e proprio via libera, insomma,
per gli anarchici (oggi non più organizzati in strutture gerarchiche come
negli anni di piombo, ma operanti attraverso una rete diffusa di piccoli
“nuclei di affinità”) ad agire alla prima
occasione utile.
timeLine
deGLi eventi
6 febbraio piacenza
Imbrattata una sede del PD
con scritte No-TAV.
8 febbraio roma
Occupati per due giorni
alcuni stabili vuoti nella zona
di Villa Gordiani.
9 febbraio padova
Irruzione all’Istituto
Oncologico Veneto da parte
di militanti dell’Animal
Liberation Front.
13 febbraio torino
Imbrattata una sede del PD
con scritte contro i Centri di
Identificazione ed Espulsione.
19 febbraio torino
Recapitata all’ANSA una lettera
di minacce firmata Nuclei
Operativi Armati in cui sono
emesse quattro “sentenze di
condanna a morte” (contro
Stefano Esposito, Giuseppe
Petronzi, Massimo Matteucci
e Maurizio Bufalini).
21 febbraio torino
Sabotati 32 sportelli bancomat
di Intesa Sanpaolo in un’azione
di solidarietà con i quattro
No-TAV arrestati il 9 dicembre
2013. Il gruppo bancario
è considerato finanziatore
dell’Alta Velocità.
28 febbraio torino
Manifestazione nell’aula bunker
del tribunale in favore di 53
militanti No-TAV imputati delle
violenze in Val di Susa nell’estate
2011. Le proteste sono
avvenute durante un’udienza.
6 marzo milano
Intercettata busta con proiettili
indirizzata a Luis Alberto
Orellana e Lorenzo Battista,
senatori espulsi dal M5S.
94
LOOKOUT 3 - marzo 2014
feb-mar
2014
Aggiornato al 7 marzo 2014
MILANO
PADOVA
TORINO
PIACENZA
ROMA
attentati
Lettere o pacchi bomba
incidenti di piazza
rapine o aGGreSSioni
riSchi o minacce
L’anarchico 2.0
PER SAPERNE DI PIÙ
Storie poLiticamente Scorrette
Sorridi, sei
anche tu nell’NSA!
di Tersite
L’
acquisizione Facebook di
WhatsApp porta nei superserver NSA anche i
54 miliardi di messaggi
al giorno dei suoi 460
milioni di utenti. Nonché, incidentally,
(il termine tornerà) rubriche, immagini e video che WhatsApp si incamera
all’iscrizione. Per la NSA una catena
infinita di correlazioni.
Facebook è infatti nel programma
d’intercettazione PRISM della NSA da
marzo 2009, dopo Microsoft (2007) Yahoo (2008) Google (2009). E poi PalTalk, YouTube, Skype, AOL ed Apple. Ma
non possono ammetterlo perché vincolati al segreto.
Se si rifiutasse il prelievo (un server
NSA sulle linee), l’Attorney General,
ovvero il Ministro della Giustizia, può
richiedere un decreto alla FISC - Foreign Intelligence Surveillance Court che, se disatteso, porta al reato di oltraggio. Cioè grandi guai. Senza la corte FISC le richieste della NSA,
amministrative, sarebbero
opponibili davanti a una
corte, non segreta. Guai
per l’Amministrazione.
Una grande idea far
controllare le attività
segrete da una corte
segreta, vincolata al
segreto cui vincola
chi segretamente le
viene sottoposto. Un
paradosso da romanzo,
come in “Comma 22”.
In 30 anni di garanzia la
FISC ha prodotto opposizioni
96
LOOKOUT 3 - marzo 2014
DIETRO LO SPECCHIO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
risibili alle richieste d’intercettazione. Richieste che, in
barba a basilari principi di diritto, sono discusse senza controparte. E, per di più non riguardano singoli, ma blocchi
di numeri, aree geografiche (bulk collection). Una Corte di
casa delle agenzie federali sottomessa all’Attorney General,
cioè all’esecutivo.
Non bastasse, da anni la FISC è soggetta a disposizioni
non discusse dal Congresso. Come la validità delle autorizzazioni, portata a 6 anni dai già esagerati 5, e i target dilatati
ben oltre la categoria terrorismo. Critiche mosse da un suo
ex-giudice, James Robertson, dimessosi nel 2005 per le
pressioni sulla Corte dell’Amministrazione Bush.
La procedura standard vorrebbe un supervisore a verificare, al 51% di certezza, che il target sia uno straniero all’estero. Ma, oltre a quel 49%, se il target straniero contatta
un cittadino americano, anche questi finisce intercettato. E
sarebbe ingenuo credere che, una volta verificato il suo
contatto con un sospetto, anch’esso non passi sotto sorveglianza elettronica. Stanno lì a fare le spie, non a recitare i
diritti della Miranda.
Queste intercettazioni di cittadini americani sono incidental collections; mantenute però per 5 anni. E in inglese incidental vale anche per beneficio collaterale. Ed è proprio perché la NSA sfrutta questi benefici collaterali - nonostante il IV
emendamento voglia un mandato - che il senatore Rand
Paul (repubblicano Kentucky) ha avviato in febbraio una
class action contro Obama e NSA. Evidentemente non convinto dalle poco veritiere parole di Obama del dicembre
scorso sui limiti posti alla NSA (causa il Datagate).
Ma se questa causa può non preoccupare l’Amministrazione, ben più problematica e nel cuore dell’eterna
contraddizione federale, è la legge presentata in Tennessee per non fornire supporto all’agenzia federale.
Parliamo del caso acqua ed elettricità alla base NSA di
Oak Ridge che, per la voracità dei suoi supercomputer,
consuma quanto un altoforno.
La legge Fourth Amendment Protection Act è stata presentata
a gennaio da un altro senatore repubblicano - non dai radical, ma dai conservatori sui valori americani - e altri stati
potrebbero seguire: Washington, Arizona, Indiana, Oklahoma, California. Mentre misure interdittive sono pendenti in Kansas e Missouri.
L’aggiunta dei 54 miliardi di messaggi di WhatsApp aumenteranno la richiesta di elettricità dei server NSA. Finché gli Stati gliene forniranno. Cioè finché non sarà definita la battaglia di questo secolo tra il diritto all’arbitrio
(nella permanente emergenza), negato dalla Costituzione
ma perseguibile di fatto dall’Esecutivo, e il diritto alle libertà, vantato dalla Costituzione e preteso dai cittadini.
un Libro aL meSe
eLezioni imminenti
UNGHERIA
AFGHANISTAN
Intelligence e metodo
scientifico
di Dario Antiseri
e Adriano Soi
Rubbettino
2014
pp. 128
12,00 euro
È
possibile ricondurre un mondo così
complesso e affascinante come quello
dell’intelligence esclusivamente ai
dogmi di un rigoroso metodo scientifico? Probabilmente no, o meglio non del tutto, e gli
angoli meno perlustrati - ma comunque determinanti - della Storia dall’inizio del Novecento
a oggi ce lo dimostrano. È pur vero, però, che
quasi sempre quel misto di istinto, coraggio e
spregiudicatezza che spesso in passato hanno
permesso di portare a termine importanti operazioni di spionaggio, ha prodotto risultati eccellenti perché preceduto e fortificato da un
meticoloso lavoro di analisi su dati e indizi. Su
quest’ultimo aspetto si sofferma il volume Intelligence e metodo scientifico, scritto dal prefetto
Adriano Soi e dal professore Dario Antiseri.
“Goethe diceva che ‘nulla è più funesto dell’ignoranza attiva’ - spiega il professor Antiseri -,
motivo per cui le informazioni che i servizi segreti forniscono ai decisori politici per avere efficacia devono essere necessariamente elaborate con metodo scientifico. Il processo si risolve
in tre fondamentali passaggi: analizzare il problema, prendere coscienza della sua presunta
teoria esplicativa e verificare quanto essa sia valida al punto da smascherarne eventuali crepe.
È solo arrivati a questo punto che tali informazioni saranno realmente utili”. Insomma, l’intelligence non sarà una scienza esatta ma di
certo i suoi “cicli” devono essere affrontati con
coerenza logica e un costante controllo delle
informazioni che si maneggiano. Altrimenti il
rischio è di rimanere prigionieri dei sospetti,
che a poco servono per garantire la sicurezza
dei cittadini.
@roccobellantone
MACEDONIA
ALGERIA
IRAQ
INDONESIA
05
Afghanistan
06
Ungheria
09
Indonesia
apr Presidenziali
apr Assemblea Nazionale
apr Parlamento
13
Macedonia
17
Algeria
30
Iraq
apr Presidenziali
apr Presidenziali
apr Parlamento
riSuLtati daLLe urne
El Salvador
Presidenziali - 2 febbraio 2014
45,7%
4.955.107
2.266.171
astenuti
votanti
Affluenza
alle urne
Salvador SÁNCHEZ CERÉN 48.93%
Norman QUIJANO 38.96%
54,3%
Antonio SACA 11.44%
2.688.936
voti validi
Costa Rica
Presidenziali - 2 febbraio 2014
33,2%
1.022.049
astenuti
3.078.321
votanti
Luis Guillermo SOLÍS Rivera 30.64%
Rolando ARAYA 29.71% (ritirato)
Affluenza
alle urne
67%
2.055.472
voti validi
LOOKOUT 3 - marzo 2014
97
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anno I - numero 3 - marzo 2014
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