testo di approfondimento distribuito in cartellina
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testo di approfondimento distribuito in cartellina
Alla ricerca del bene comune … per custodire il patrimonio dell’umanità ________________________________________________________________________________ Per una cultura dell’acqua come “Bene Comune” Contributo a cura di Rosario Lembo Presidente Comitato Italiano Contratto Mondiale sull’Acqua - Onlus ( www.contrattoacqua.it ) 1. Cosa sono i “beni comuni”? Se si vuole affrontare un approfondimento “politico e culturale” su cosa rappresenta oggi, alla fine del primo decennio del XXI secolo, la risorsa acqua e su quale sarà il suo futuro non si può prescindere dalla necessità di dare una risposta a due domande: che cos’è l’acqua? Come è concepita la risorsa acqua dalla Comunità internazionale, dai Governi, dai cittadini e dalle comunità locali? Due sono le culture che oggi a livello planetario si confrontano, o meglio si scontrano: la convinzione di una minoranza è quella che l’acqua è un bene comune, cioè un diritto per tutti. L’affermazione della maggioranza e delle politiche messe in atto dalla comunità internazionale è che l’acqua è una merce, cioè un servizio a cui si accede pagando. Dal momento che l’acqua costituisce un elemento indispensabile per la sopravvivenza di ogni essere umano, ed è quindi un elemento indispensabile per “vivere insieme”, come possiamo arrivare a far classificare l’acqua come un bene comune di tutti? Per affrontare la nostra riflessione sui beni comuni, vediamo di partire dal senso, di precisare meglio cosa intendiamo per “beni comuni”, per poi approfondire le “modalità” con cui gestire l’acqua come “bene comune” ed esaminare quali sono gli atteggiamenti prevalenti da superare. Nella categoria dei “beni comuni” rientrano infatti i valori (dignità umana, libertà, giustizia) le istituzioni (la democrazia), i beni della natura (le foreste, l’acqua, la terra, l’aria), i mezzi e le regole condivisi (la ricchezza nazionale, la fiscalità ridistribuiva, la sicurezza). Beni comuni, nel senso più ampio, sono l’insieme di beni, in primis le risorse naturali, associate alle regole che una società, una comunità, si è data, nel corso della storia dell’umanità per “vivere insieme”. A livello accademico, l’economista Paul Samuelson, che ha dato la prima definizione di “beni comuni” ha definito tali tutti i “beni pubblici” in opposizione al concetto di “beni privati”. Per Wolfgang Sachs (Wuppertal Institut) “i beni comuni sono tante cose: quelli naturali, ma anche l’architettura, le arti, le scienze”. A suo giudizio la politica pubblica dovrebbe essere di supporto non solo all’economia, ma anche a tutela dei beni comuni, anch’essi fonte di ________________________________________________________________________________1 CONVEGNO AMU, 5–6 marzo 2011 Alla ricerca del bene comune … per custodire il patrimonio dell’umanità ________________________________________________________________________________ ricchezza. “Nessuno ha mai chiesto ai mercati di occuparsi di giustizia, bellezza, onestà … non lo sanno fare. Tocca ai cittadini, ai governi, a tutti noi assicurare una tutela ai beni comuni”. Per Riccardo Petrella “I beni comuni sono quei beni essenziali alla vita individuale e alla vita collettiva, cioè al vivere insieme ”, senza i quali non si può ipotecare il futuro. Secondo la dottrina sociale della Chiesa, i “beni comuni” hanno un carattere d’inclusività e sono legati ai diritti inerenti alla dignità della persona umana, diritti che sono universali, inviolabili e inalienabili. I “beni pubblici” e “i beni comuni”, sono dunque quei beni che devono essere accessibili a tutti e che si caratterizzano per l’affermazione dei principi di “non rivalità” e di “non esclusione”. A questa classificazione del concetto di “bene pubblico”, è possibile associare quella sulle caratteristiche intrinseche di un “bene comune” e cioè: 1) Essenzialità del bene, cioè la sua insostituibilità per la vita individuale e collettiva (l’acqua è l’esempio per eccellenza) e quindi l’accessibilità a tutti senza esclusione (diritto universale). 2) La responsabilità del bene pubblico che risiede nella responsabilità collettiva, cioè si fonda sull’etica della solidarietà, della corresponsabilità della comunità a livello locale e mondiale rispetto alla salvaguardia del bene che non è privato, perché è bene di tutti. 3) Il governo del bene: un bene per essere comune presuppone che sia protetto da regole, dalla presenza di un’autorità pubblica, cioè di un potere politico legale in grado di tutelare il bene e di conferire sanzioni. 4) Le modalità di gestione: proprietà e controllo di un bene comune devono essere pubbliche, ricadere sotto la responsabilità dei poteri pubblici e prevedere il controllo e la partecipazione dei cittadini e della società civile. 2. L’evoluzione del concetto di “bene comune” Il concetto di bene comune, era già presente al tempo dell’impero romano ed identificato con il termine “res-pubblica”; le legioni romane conquistando le altre popolazioni si appropriavano dei beni e delle risorse ed imponevano con la forza (occupazione) le loro regole e la realizzazione di opere collettive, tra queste la costruzione degli acquedotti per garantire l’accesso all’acqua per tutti, strutture ancor oggi presenti in molti paesi e città. Poi con la rivoluzione francese la legittimità dell’autorità politica per la gestione dei beni comuni viene associata alla partecipazione dei cittadini e l’accesso ai beni viene equiparato al riconoscimento della parità dei diritti di base (uguaglianza, fratellanza, libertà). L’accesso ai servizi di base diventa “diritto” garantito dallo Stato/Nazione a tutti i cittadini attraverso la finanza pubblica. ________________________________________________________________________________2 CONVEGNO AMU, 5–6 marzo 2011 Alla ricerca del bene comune … per custodire il patrimonio dell’umanità ________________________________________________________________________________ Con la nascita dello Stato/Nazione il concetto di res-pubblica si associa a quello di “sovranità nazionale”. È lo Stato che si fa carico di garantire la proprietà, la gestione, il controllo dei beni comuni pubblici, ed attraverso le politiche del welfare-state, cioè coprendo i costi con la fiscalità generale, vengono assicurati a tutti i cittadini quei principi di universalità ed accessibilità che devono caratterizzare l’accesso ad alcuni servizi di base come: la salute, l’istruzione, l’acqua, il lavoro, la sicurezza. Dopo la seconda guerra mondiale, con la nascita delle Nazioni Unite e l’approvazione della Dichiarazione dei Diritti umani (1949), gli Stati/Nazione affidano all’assemblea delle Nazioni Unite il mandato di estendere l’accesso ai diritti di base, riconosciuti come “diritti universali”, a tutti i cittadini del mondo. Nasce cosi la cooperazione internazionale e le politiche di solidarietà internazionale attraverso la messa a disposizione da parte degli Stati di risorse pubbliche (1% del PIL per lo sviluppo). La gestione collettiva e solidale di “beni comuni” e l’accesso universale attraverso le politiche sociali a livello nazionale ed a livello internazionale (aiuti per lo sviluppo) ha concorso a creare la ricchezza nazionale, il ben-essere individuale e collettivo delle comunità nazionali (diritto alla vita, alla salute, alla istruzione), nel corso del XIX secolo. La gestione dei diritti umani da parte della comunità internazionale, associata alle politiche del “welfare-state” praticate dagli Stati nazione ha consentito di garantire i cosiddetti diritti di cittadinanza ed il concetto di sicurezza nazionale, ma anche la pacifica convivenza tra i popoli. Con l’avvento dei processi di globalizzazione, che si succedono ai processi di internazionalizzazione e di modernizzazione delle società, si assiste ad una progressiva riduzione della sovranità degli Stati che si è andata affermando a livello internazionale. Si diffonde così un nuovo atteggiamento da parte della comunità internazionale rispetto alla gestione dei cosiddetti “beni comuni”. I beni naturali messi a disposizione dalla natura ed affidati agli Stati, con l’avvento della globalizzazione sono diventati oggetto di politiche di mercificazione dei beni comuni e di privatizzazione della gestione di questi servizi. In nome dei principi della globalizzazione (liberalizzazione, semplificazione delle norme, competizione, efficienza, efficacia) la gestione dei beni comuni, ed in particolare i principali diritti umani di base, sanciti negli stessi obiettivi del Millennio, a partire dalla Conferenza di Johannesburg (2002), viene delegata dagli Stati, ma anche dalla Comunità internazionale, agli operatori del mercato globale. Oggi la gestione dei così detti “beni comuni” non è più improntata alla protezione e salvaguardia dei beni, ma a principi e logiche di sfruttamento economico dei beni e delle risorse collettive. L’acqua, la terra, i mari, l’aria non sono più considerati beni comuni a disposizione delle comunità, ma diventano beni a valenza economica, quindi “servizi industriali” affidati al ________________________________________________________________________________3 CONVEGNO AMU, 5–6 marzo 2011 Alla ricerca del bene comune … per custodire il patrimonio dell’umanità ________________________________________________________________________________ “mercato globale” e le imprese dovrebbero essere gli attori capaci di gestirli con criteri di efficacia, efficienza, economicità. I beni comuni che madre natura mette a disposizione di tutti, ma anche i principali servizi pubblici, gestiti dallo Stato, finalizzati a garantire l’accesso ai diritti di base, messi a disposizione degli imprenditori e del mercato, non soltanto sono diventati “merci”, ma sono gestiti senza i principi di precauzione, di salvaguardia e di sostenibilità che devono caratterizzare la gestione di beni comuni. Equiparati a merci, molti beni comuni sono oggi diventati sempre più “rari”, assumono valore economico rilevante e rischiano di diventare strumenti di speculazione finanziaria da parte del capitale finanziario internazionale, quindi beni affidati alle borse e alle banche e agli stessi fondi di investimento. Si pensi alle speculazioni finanziarie costruite sull’accesso ai beni comuni come la casa, le terre coltivate, la gestione di servizi pubblici come l’energia, il clima, l’acqua, il mercato delle quote di riduzione del CO2. 3. La globalizzazione La globalizzazione ha sicuramente modificato il tenore di vita in gran parte del pianeta, ma purtroppo in peggio soprattutto rispetto all’accesso ai fondamentali diritti di base. E’ cresciuto infatti il divario tra ricchi e poveri. L’accesso all’acqua, alla salute, all’istruzione, al cibo non sono più garantiti o accessibili a tutti sulla base del principio della pari opportunità (di accesso) e, in funzione dei costi crescenti, alcuni beni come cibo/pane stanno determinando crisi sociali e ribellioni dei cittadini. L’affidamento dei beni comuni al mercato e la trasformazione dei diritti collettivi in diritti soggetti (individuali) ha determinato l’esproprio della gestione dei patrimoni comuni agli Stati/Nazioni o alle stesse comunità locali e l’assoggettamento dell’economia ai vincoli della finanza internazionale. Questo XXI secolo, nel suo primo decennio si è caratterizzato per il susseguirsi di ciclici crisi economiche e finanziarie, ma soprattutto per una profonda crisi di civiltà, cioè una crisi di convivenza, una crisi che si presenta con due precise conseguenze: una crisi economica perché questo modello di economia capitalista (economia = regole di ogni casa, di ogni comunità), fondato sulla crescita economica e sulla speculazione finanziaria, è entrato in stallo e non è più perseguibile; la conseguenza è che si cresce indebitandosi. una crisi di valori perché le singole comunità, ma anche i cittadini hanno via via perso i valori comuni che stanno alla base della pacifica convivenza, del vivere e stare insieme. ________________________________________________________________________________4 CONVEGNO AMU, 5–6 marzo 2011 Alla ricerca del bene comune … per custodire il patrimonio dell’umanità ________________________________________________________________________________ Questo modo di organizzare il vivere insieme, le relazioni stesse fra cittadini, fra uomo ed ambiente, basato sullo sfruttamento dei beni della natura, ma anche degli esseri umani, è un modello di economia che non è più sostenibile, non è più tollerabile. Dei 6 miliardi di abitanti del pianeta terra, solo 1,7 miliardi oggi fanno parte di questa società di fortunati, di consumatori. Per soddisfare la domanda crescente di beni e degli attuali livelli di consumi e per garantire a tutti parità di accesso ai diritti di base, si stima che sarebbero necessari 2 o forse 5 pianeti come la Terra. Tutto ciò non è possibile, non è più sostenibile. La difesa dei beni comuni, la costruzione di nuove modalità di gestione dei beni del pianeta terra, quindi nuove forme di economia sono possibili solo se si associano al risveglio delle comunità locali ed alla volontà di adottare nuovi comportamenti. Sono le comunità, cioè i cittadini che devono essere capaci di promuovere e realizzare una gestione di questi beni comuni e creare le premesse per costruire un altro mondo fondato non sulla competitività e lo scontro, ma sul vivere insieme. Come aveva già affermato Wolfgang Sachs, definendo i beni comuni, la loro difesa non può essere affidata al mercato. Sono solo i cittadini che possono difendere e governare la gestione dei beni comuni. ________________________________________________________________________________5 CONVEGNO AMU, 5–6 marzo 2011