Abramo, uomo dell`uscire

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Abramo, uomo dell`uscire
1. Abramo. L’uomo dell’uscita
(Gen 12,1-4)
Il Testo
1Il
Signore disse ad Abram:
«Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre,
verso il paese che io ti indicherò.
2Farò di te un grande popolo e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione.
3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno
maledirò
e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
4Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui
partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran.
Il Contesto
Con il ciclo di Abramo inizia la storia dei patriarchi. Il testo
proposto, collocato all’inizio del dodicesimo capitolo, è
solitamente indicato come “La vocazione di Abramo”. La
figura di Abramo è presentata negli ultimi versetti del
capitolo undicesimo (Gen 11,31-32), nei quali veniamo a
conoscenza che egli è figlio di Terach, un nomade di Ur (città
della Mesopotamia) e ha una moglie, Sarai.
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La Lectio
«Il Signore disse ad Abram».
La storia inizia con un comando di Dio ad Abramo; senza la voce
di Dio l’uscita di Abramo non sarebbe stata nulla di eccezionale
dato che il clan di Terach era nomade e gli spostamenti
rientravano nella consuetudine del loro stile di vita. È evidente
che Dio chiama ad un movimento diverso.
«Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre».
Abramo è l’uomo dell’uscita. Probabilmente non potremmo
comprendere la profondità della sua fede se non ci rifacessimo
costantemente al suo muoversi da un luogo ad un altro. A tal
proposito un rabbino, Berekjah, disse: «A cosa somiglia nostro
padre Abramo? Ad un’ampolla di balsamo chiusa ermeticamente,
il cui odore non si diffondeva finché era posto in un angolo, ma
che si diffondeva quando si spostava».
La prima parola che Dio rivolge ad Abramo è “Vattene”; le diverse
traduzioni dimostrano come il termine originario, lekh lekha,
possa assumere sfumature differenti:
- la versione greca della Settanta traduce con “Esci” - “va verso di
te”, “rientra in te stesso”
- è anche un dativo di vantaggio, esprimibile in “è meglio che tu
vada, ti conviene andare”.
Abramo è in movimento verso se stesso, un movimento
necessario alla sua vita. Nel suo invito/appello Dio non chiama
Abramo a rivolgersi e a piegarsi verso di Lui, come imporrebbe un
sovrano di questo mondo: lo invita invece a volgersi alla storia
comprendendola con Lui e in Lui. Dio lo strappa dal nulla,
liberandolo dall’anonimia di una vita senza storia.
Da dove “esce” Abramo? Il testo ce lo dice: «dalla tua terra, dalla
tua parentela e dalla casa di tuo padre»: Abramo rinuncia alle
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garanzie del passato. Il rabbino Selig Bamberger sottolinea come
il verbo usato designa l'abbandono totale, il distacco interiore da
tutto. Abramo è chiamato a «disinteressarsi di ogni altra cosa,
non preoccuparsi di null'altro che di partire, perdersi, percorrere il
proprio cammino».
Egli deve separarsi da tutto ciò che gli appartiene. Le rinunce
richieste aumentano progressivamente di intensità, infatti per tre
volte gli viene richiesto di “lasciare” ciò che è suo: “lascia il tuo
paese”, cioè tutti i legami economici, sociali, politici e
sentimentali con la madrepatria; “lascia la tua famiglia” e infine
“lascia la casa di tuo padre”, il focolare che determina l'origine
sociale e l'appartenenza.
«Verso il paese che io ti indicherò».
Dove deve andare Abramo? Non c’è una destinazione definita. La
storia di Abramo inizia con uno “spaesamento”, egli è chiamato
– in questo momento e in altri della sua storia – a ricominciare da
capo, a mettersi in cammino verso qualcosa di ignoto. Egli,
quindi, rinuncia non solo alle garanzie del passato ma anche alle
promesse del futuro. Non c’è il nome di un luogo o di una terra, il
Luogo è Dio e se stesso. Il problema qui non è tanto sapere dove
sta andando Abramo, quanto cogliere ciò che capita lungo il
cammino e come mettersi in cammino.
«Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo
nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti
benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno
benedette tutte le famiglie della terra».
Alle tre rinunce (terra, parentela e padre), Dio affianca tre
promesse: un grande popolo, un nome grande e l’essere una
benedizione. La berākāh (benedizione) comprende in sé la forza
della fecondità. Dio promette ad Abramo una vita feconda,
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secondo un raggio d’azione che si allarga progressivamente fino a
“tutte le famiglie della terra”. L’uscita intesa come “rientrare in se
stesso” è lontana da forme di chiusura e ripiegamento su di sé.
L’apertura verso l’altro (che è vera fecondità di vita!) è infatti
sempre presente: Abramo è benedetto da Dio e sarà benedizione
per gli altri. Ancor di più, l’azione benedicente di Dio raggiunge la
sua meta e la sua pienezza proprio con l’inclusione di tutte le
famiglie della terra.
«Allora Abram partì». Abramo non risponde, solamente
obbedisce alla Parola ricevuta. Perché? Nel silenzio del Patriarca
potremmo cogliere il riconoscersi integralmente compreso,
sostenuto e abitato nella/dalla Parola che gli viene rivolta. La
Parola di Dio lo interpreta in modo così radicale da permettere al
Patriarca di accedere a se stesso e al suo desiderio più profondo
come mai gli era accaduto nella sua esperienza. Prima che la
Parola si rivolgesse a lui, Abramo non “sapeva” chi fosse. In
questo senso – si può pensare – l’intervento divino lo lascia
letteralmente senza parole. Tuttavia egli non è affatto passivo,
poiché viene detto che Abramo “partì”. Abramo, ascoltando la
Parola di Dio, si sente riconosciuto in modo unico, e può quindi
mettersi in movimento! Il silenzio di Abramo, inoltre, è uno
spazio offerto ad ogni uomo che guardando all’esperienza del
patriarca può leggere la propria esperienza: il suo silenzio può
comprendersi come lo spazio libero per una risposta personale, in
modo che ciascuno possa prendere la “propria” posizione dinanzi
a Colui che lo chiama. Nel dialogo con Dio nessun uomo può
rispondere al posto di un altro. In questo senso, il patriarca è
generativo di umanità in ogni uomo, egli infatti non si appropria
del cammino altrui, ma coinvolge l’ascoltatore in una risposta che
egli non può dare al suo posto.
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La Meditatio
“Va’ verso di te, va’ a tuo vantaggio, va’ tu stesso!”. La chiamata
fatta ad Abramo può essere interpretata, su tre livelli: (1) è un
invito ad andare verso se stesso, assumendosi la responsabilità
del proprio cammino personale; (2) è liberazione da una
situazione limitante, quasi – potremmo dire – da un destino già
deciso; (3) è riconoscimento di come questo impegno possa
essere benedizione per altri, per le generazioni che verranno. In
questi vari momenti, accolti da Abramo con fiducia, il patriarca
inizia la [sua] storia: e con ciò stesso accompagna l’umanità verso
la storia. Infine, la risposta alla chiamata condurrà Abramo a
comprendersi sempre più profondamente per gli altri, per il bene
di coloro che seguiranno.
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