Sesso, cibo e risate, Sausage Party lancia la sfida dei cartoni

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Sesso, cibo e risate, Sausage Party lancia la sfida dei cartoni
Sesso, cibo e risate, Sausage Party lancia la sfida dei cartoni
animati per adulti
wired.it/play/cinema/2016/10/28/sausage-party-cartoni-animati-adulti/
28/10/2016
Basta un’occhiata al materiale promozionale – dal w ürstel in erezione sulla locandina al feroce massacro che
inzacchera di ortaggi e altri alimenti il trailer – per capire che Sausage Party non è il solito film d’animazione per
famiglie. E una buona ragione sta nei credits: distribuito negli Usa con il divieto ai minorenni non accompagnati
da adulti, in arrivo in Italia il 31 ottobre (sottotitolo: Vita segreta di una salsiccia), Sausage Party è l’ultima creatura
del team di produttori/sceneggiatori/attori formato da Seth Rogen, Evan Goldberg e Jonah Hill. Gente dalla
fantasia piuttosto irriverente, da cui sono scaturite commedie come Molto incinta, Suxbad – Tre metri sopra il pelo,
Strafumati, Facciamola finita e The Interview.
“Alla domanda su quale fosse il loro progetto successivo, a un certo punto Seth, Jonah ed Evan hanno iniziato a
rispondere ‘Sausage Party!’“, ci racconta Conrad Vernon, regista del film assieme a Greg Tiernan, che
Wired ha incontrato alla View Conference di Torino (il suo evento è venerdì 28 ottobre alle 17:30).
“Si trattava di uno scherzo. Almeno fino a quando non hanno pensato: ‘ehi, il titolo non è così male. Quale potrebbe
essere la sua storia? Magari quella di un hot dog che vuole farsi un panino?'”.
Cosa hai pensato quanto ti hanno contattato con un’idea del genere? Che fossero matti?
“Tutt’altro! Ho sempre sognato di fare un film d’animazione rated R [l’etichetta che negli Stati Uniti permette agli
under 18 di vedere il film accompagnati da una persona adulta: è il penultimo livello prima del divieto assoluto ai
minori, nda]. Fin da bambino, dal giorno in cui ho scoperto il trailer di Heavy Metal e mia mamma mi ha impedito di
vedere il film intero perché troppo violento. A convincermi è bastato il primo copione che mi hanno fatto leggere:
ovviamente non mancavano le battute a sfondo sessuale, ma c’era anche una storia ed era bella solida. Ti veniva
voglia di fare il tifo per i due protagonisti e di aver paura del cattivo. Era fantastico. E poi non potevo mica dire a
Seth ed Evan che erano pazzi e che un film del genere non avrebbe mai ricevuto finanziamenti: loro mi avrebbero
mostrato il dito medio e l’avrebbero proposto a qualcun altro!”.
A proposito di finanziamenti, sono arrivati subito?
“No, c’è voluto parecchio tempo. Per tre anni abbiamo girato da una casa di produzione all’altra, ricevendo solo
rifiuti. Negli Stati Uniti non era mai stato realizzato un film in animazione Cgi con il bollino R. Nel mondo dei cartoni
animati c’era un precedente illustre, South Park, ma si trattava della versione per il cinema di una serie tv di
successo: si partiva con la garanzia di avere un po’ di pubblico. Noi non avevamo la più pallida idea di quale
sarebbe stata la risposta a Sausage Party. Per fortuna abbiamo incontrato Megan Ellison della Annapurna Pictures,
che è rimasta entusiasta dell’idea: loro sono i produttori di Her di Spike Jonze e The Master di PT Anderson, hanno
sempre cercato di seguire vie alternative ed erano contenti di fare un film d’animazione diverso da tutti gli altri.
Quando Amy Pascal della Sony ha visto le prime immagini ci ha detto: ‘adesso capisco cosa volete fare!‘. E anche
la Sony ci ha dato il suo supporto”.
A modo suo – e cioè sempre tenendo altissima l’asticella dell’irriverenza e della provocazione – Sausage
Party tratta numerosi temi delicati: dalle differenze di orientamento sessuale alle tensioni tra Israele e
Palestina, per arrivare fino a vere e proprie questioni teologiche…
“Non potevamo riempire 80 minuti con la storia di un salsicciotto che vuol far l’amore con un panino. Così abbiamo
iniziato a farci delle domande sui personaggi. Cosa pensano i cibi in vendita al supermercato. In cosa credono?
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Cosa immaginano che possa succedere al di fuori dell’unico mondo che conoscono? Cosa c’è dopo? In fondo, sono
domande simili a quelle che ci facciamo noi umani. Da lì, abbiamo sviluppato l’idea di tante regioni diverse: uno
scaffale per i cibi tedeschi, uno per quelli italiani, uno per quelli greci, uno per quelli asiatici. Ogni area con le sue
credenze, simpatie e antipatie. Quindi ci sono venuti in mente i prodotti non deperibili, quelli che non scadono mai:
creature quasi immortali, memoria storica del supermercato, perfetti nel ruolo degli inventori di una religione
secondo cui gli esseri umani sono dei e al di fuori delle porte del supermercato c’è il paradiso. Un racconto che i
nostri protagonisti scoprono essere ben lontano dalla realtà”.
Nel film ci sono diverse situazioni che mettono alla prova lo spettatore. Senza spoilerare troppo, si passa
più volte dal food porn al food splatter. C’è qualcosa che avevate pensato di inserire e poi non l’avete fatto,
perché persino per voi sarebbe stato troppo?
“C’è una sequenza su cui abbiamo fatto dietrofront. Durante la lavorazione del film abbiamo organizzato una
proiezione test a New York. Eravamo ancora al livello degli storyboard: li mostravamo al pubblico tenendo delle
videocamere puntate sui volti per studiare le reazioni. A un certo punto c’era una scena in cui Douche, il cattivo,
decide di torturare un altro personaggio. In quella versione, lui è alla guida di una gang di ratti e la tortura consiste
in… beh, diciamo che Douche infila un dito nel fondoschiena del topo più grosso e quindi in bocca alla sua vittima.
Avanti e indietro, avanti e indietro. Il pubblico era sconvolto, i volti paralizzati. Ci sono voluti dieci minuti e molte
altre scene perché la gente tornasse a divertirsi. Allora abbiamo capito che forse era meglio tagliare quella
sequenza: eravamo andati un po’ oltre”.
In Sausage Party si notano parecchie citazioni, a cominciare da una scena in cui riuscite a trasformare uno
scontro di carrelli della spesa in remake del crudissimo sbarco in Normandia in Salvate il soldato Ryan.
Quali sono le altre fonti d’ispirazione?
“Il grande cinema ci è venuto in aiuto soprattutto quando abbiamo deciso di concepire il supermercato come un
mondo: non una semplice sequenza di scaffali, ma un insieme di realtà l’una diversa dall’altra. Innanzitutto, abbiamo
creato un forte distacco tra il mondo dei cibi e quello degli esseri umani. Il primo è coloratissimo, il secondo – più
grigio e cupo – deve molto a Mean Streets di Martin Scorsese. Per la zona messicana, l’ispirazione principale è
arrivata dai film di Sergio Leone, in particolare Il buono, il brutto e il cattivo e Per qualche dollaro in più. In generale,
abbiamo cercato di dare un respiro epico a molte parti del film, prendendo come riferimento anche le opere di
Stanley Kubrick e Steven Spielberg”.
Tu hai oltre vent’anni di esperienza nel campo dell’animazione (soprattutto in area DreamWorks: Shrek,
Madagascar, Mostri contro alieni). Pensi che Sausage Party possa aprire una crepa nella diga che confina
questo genere al pubblico delle famiglie e dei ragazzi?
“Una crepa? Noi vogliamo abbattere la diga! Io e Greg Tiernan speriamo di ricevere un successo tale da generare
una vera e propria alluvione di film d’animazione R-rated. Potenzialmente c’è un mercato enorme da esplorare. Non
solo quello delle commedie: film romantici, drammatici, horror, si potrebbe fare di tutto. Senza nemmeno premere
sull’acceleratore della provocazione come in Sausage Party. Ogni tanto mi chiedo perché di South Park non siano
stati fatti altri film. Forse all’epoca il pubblico non ha risposto come si sperava. Ma oggi secondo me le condizioni
sono cambiate. È il momento giusto perché gli studios si lancino in esperimenti in questa direzione”.
Compreso un Sausage Party 2?
“Ne abbiamo parlato, ma Evan Goldberg mi ha detto che si farà solo se troveremo un’idea fottutamente buona.
Penso che abbia fottutamente ragione”.
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