Tesi_definitiva

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Tesi_definitiva
INTRODUZIONE
Nel periodo più bello
della vita
L’anima soffre grandi tormenti
che calpestano la spensieratezza
e soffocano il cuore.
E tu, non puoi
rimuovere il peso
che sottomette la mente
perché non conosci
il tuo nemico
e non puoi amarti, conosci soltanto
il suo vertice
distruttivo
che ti trascina verso
un’inquietudine eterna.
(Amonas)
Quando penso gli anni della mia adolescenza mi viene un senso
di nostalgia e di malinconia per quel meraviglioso periodo che
non tornerà più.
Adesso quel periodo della vita è avvolto da una fitta nebbia e
ricordarlo non è facile
Stare accanto e guardare negli occhi un adolescente è un po’
come rivivere la mia adolescenza, ma non è mai semplice
ricordarla: probabilmente temo di percepire le nuove ansie e i
drammi; anche i momenti di felicità, che mi ritornano
spontaneamente, sembrano radi e isolati, magici come un raggio
di sole che illumina quel cielo nebuloso.
Essere adulti più o meno felici dipende molto da come abbiamo
vissuto gli anni adolescenziali, come sono stati i nostri rapporti
con i genitori o con il mondo che ci circonda.
Sicuramente l’adolescenza è il periodo della vita più ricco di
emozioni, anche se sicuramente non pieno di felicità. Quest’età
porta una “magia” senza precedenti, gli affetti, i giochi, la voglia
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di compiere nuove esperienze o di “rischiare” e le prime
esperienze amorose.
In questa fase della vita avviene lo sviluppo dell’identità, la
capacità di relazione con gli altri e quindi la preparazione alla
vita adulta, attraverso una sorta di conoscenza e competenza in
tutti gli ambiti della vita.
Ma quest’età ha anche dei lati oscuri come i litigi e le
incomprensioni che avvengono abbastanza di frequente con i
genitori o con gli insegnanti.
Queste esperienze, in parte, sono paragonate a quelle infantili,
però durante l’infanzia, la protezione di mamma e papà, gli
affetti che si provavano per gli amichetti o per la maestra delle
elementari che si adorava erano qualcosa di acquisito e che non
eravamo consapevoli.
Dopo la quiete degli anni infantili intorno agli 11 anni scoppia
dentro di noi una tempesta che non ci rendiamo nemmeno conto;
il corpo assume proporzioni deformi e a volte piuttosto
imbarazzanti, gli ormoni si sviluppano ed i nostri organi sessuali
iniziano a funzionare. Anche i nostri rapporti con i coetanei e i
genitori si modificano.
Durante questo periodo nasce dentro di noi quella particolare
coscienza del nostro esistere, la coscienza che ci siamo anche noi
in questo mondo. Sono le nuove esperienze, affrontate ora con
prorompente vitalità ed entusiasmo ma anche con quello spirito
di sofferenza che ci entra dentro e si fissano profondamente
nell’anima e nella mente.
Noi diventiamo consapevoli dei numerosi cambiamenti che
avvengono in noi, in questa avventura è bello pensare che tutto
possa accadere e di avere il mondo nelle nostre mani. Se mi
guardo indietro, e ripenso alla mia avventura, mi accorgo che è
stata irripetibile e unica per me. Oggi ne rimane soltanto un
lontano ricordo.
Nel primo capitolo sono descritte le principali teorie psicologiche
che hanno studiato il periodo dell’adolescenza.
Il secondo capitolo analizza lo sviluppo dell’identità, che è un
compito fondamentale durante l’adolescenza, inoltre sono presi
in esami i valori dei ragazzi e la questione della libertà.
A partire dal terzo capitolo vengono affrontati i principali
cambiamenti che avvengono nell’adolescenza partendo dai
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sviluppi corporei e cognitivi, viene preso in esame la questione
della scuola, dell’amicizia e i nuovi rapporti affettivi. Viene
inoltre posta l’attenzione su argomenti come la sessualità e la
famiglia.
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CAPITOLO PRIMO
TEORIE DELL’ADOLESCENZA
L’adolescenza costituisce un periodo della vita che solo in
un’epoca recente è stato oggetto di studio e d’analisi. Le ragioni
di questo ritardo sono essenzialmente due.
Da un lato si è pensato che l’esperienza personale fosse
sufficiente, infatti, per secoli si è ritenuto che il fatto di essere
stati bambini e adolescenti, di avere attraversato questi periodi
vivendoli dall’interno, offrisse una conoscenza diretta, intuitiva,
sufficientemente adeguata delle loro caratteristiche essenziali,
delle trasformazioni che vi accadono.
In questi anni si riteneva che la conoscenza fondata su ricordi
personali potesse poi essere integrata e completata attraverso la
diretta osservazione di bambini o adolescenti.
La ricerca psicologica ha dimostrato che questa convinzione
manca di fondamenta. Discipline come la psicoanalisi e la
psicologia dello sviluppo cognitivo hanno dimostrato, quanto sia
lacunoso il nostro ricordo dei primi anni di vita e quanto sia
difficile penetrare nel mondo mentale infantile. Questo che
abbiamo detto sull’infanzia vale anche per l’adolescenza.
Sebbene l’età adulta è tutto sommato abbastanza vicino
all’adolescenza e la convinzione di averne un’adeguata
conoscenza fondata sull’esperienza personale poteva essere
giustificata. Ma anche i ricordi relativi alla propria adolescenza
non costituiscono una base affidabile, per un’adeguata
conoscenza dell’adolescenza in generale.
È, infatti, difficile rivivere da adulto, quando ormai la propria
vita mentale ha assunto caratteri di stabilità e di chiarezza,
l’instabilità e la forte emotività che caratterizzano gli anni
adolescenziali.
Gli stati psicologici contrassegnati da incertezza e da forti
tensioni emotive sono ormai stati superati da qualche tempo e
non possono essere rivissuti.
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Si è persa anche quell’intensità di sentimenti ed emozioni che
caratterizzava gli anni dell’adolescenza.
La difficoltà che incontra un adulto nel ricostruire la propria
esperienza psicologica d’adolescente è dovuta anche ad altre
ragioni.
Crescendo si è formato e consolidato in noi una certa immagine
ideale di noi stessi. Non solo dunque è difficile rievocare molti
aspetti della propria adolescenza, ma quelli di cui conserviamo
un ricordo possono avere subito un processo di rielaborazione e
di razionalizzazione.
Se fosse possibile rivivere senza lacune la nostra adolescenza (e
fosse possibile riviverla con la ricchezza di sentimenti allora
presenti), sarebbe impossibile estendere agli altri la nostra
personale esperienza. Le differenze individuali, relative al sesso,
alle condizioni fisiche, psicologiche nelle quali è avvenuto lo
sviluppo, possono essere così grandi che una generalizzazione
della propria personale esperienza risulta del tutto ingiustificata.
La seconda ragione del ritardo con cui si è affrontato lo studio
dell’adolescenza sta nel fatto che essa si è venuta imponendo
all’attenzione solo in un periodo storico relativamente recente.
Mentre per la vecchiaia la ragione del suo emergere come
problema psicologico è nel numero molto maggiore di persone
che raggiungono la terza età, e nel notevole prolungamento di
quest’ultima, conseguenti ai miglioramenti nella qualità della vita
e alle scoperte nel campo medico, per l’adolescenza essa sta
anche nel fatto che il progresso tecnologico verificatosi
nell’ultimo secolo ha posto gli adolescenti in misura molto
maggiore e in modo assai più generale problemi di preparazione
scientifica, tecnica, un tempo assai meno impegnativi o
circoscritti a poche persone. N’è dunque derivato un
allungamento del periodo di scolarità, e quindi anche del periodo
durante il quale un adolescente, che ha ormai acquisito le
caratteristiche fisiche e le strutture intellettuali di un adulto, resta
in condizioni di dipendenza giuridica, economica e morale nei
confronti di altri adulti (genitori e insegnanti).
Lo sviluppo scientifico e tecnologico dell’ultimo secolo impone
al ragazzo scelte più numerose e più difficili, e perciò anche la
necessità di un maggior numero d’esperienze.
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A queste ragioni che hanno preso in esame il problema
dell’adolescenza, se ne sono accompagnate altre che hanno posto
nuove problematiche inerenti a questo periodo della vita.
In Italia nel 1968 a causa delle numerose rivolte e contestazioni
giovanili hanno dato origine ad una varietà di movimenti come il
movimento femminista, il quale ha messo in evidenza il diverso
trattamento che, sulla base delle differenze sessuali, veniva
riservato ai maschi e alle femmine sia sul piano educativo, sia poi
sull’inserimento lavorativo e la partecipazione alla vita sociale e
politica.
In Italia, come del resto anche in altre parti dell’Europa e del
mondo hanno fatto la comparsa dei valori nuovi, ispiratori nel
processo di formazione dell’identità. Questi valori sono d’ordine
religioso, sociale o politico.
Alcuni sono pienamente accettabili ed hanno ispirato
manifestazioni di massa cui hanno partecipato decine di migliaia
di giovani: la difesa della pace, la difesa dell’ambiente, altri assai
discutibili come la conquista di posizioni economicamente solide
attraverso una competizione spregiudicata, o la violenza assunta
come metodo di lotta politica.
La nascita di nuovi mezzi di comunicazione come il motorino o il
telefono hanno reso più facile agli adolescenti restare in contatto
fra loro anche al di fuori della scuola e hanno permesso loro di
moltiplicare tali incontri rinsaldando vecchie amicizie e
partecipando ad attività collettive. Tutto questo ha favorito il
graduale sviluppo di una cultura giovanile.
Tenendo conto di tutte queste ragioni si può comprendere perché
il problema di uno studio scientifico dell’adolescenza si sia posto
solo all’inizio del 1900.
In questo primo capitolo descriverò le principali teorie che hanno
influito la storia della psicologia dell’adolescenza. (Peter, 1990)
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1.1 STANLEY HALL
Il primo studioso che abbia affrontato lo studio dell’adolescenza
è l’americano Stanley Hall. All’inizio del secolo scorso Hall
insieme a dei collaboratori della Clark University, utilizzando la
tecnica dei questionari, raccolsero una grande quantità di dati
relativi al mondo mentale infantile ed a quello dell’adolescente.
Questi dati, integrati con altri racconti da altri studiosi (e relativi,
ad esempio ai fenomeni dello sviluppo fisico, alla crescita delle
singole parti del corpo, ecc.) costituirono le basi per l’opera che
Stanley Hall pubblicò nel 1904 che si intitolava “Adolescence”.
Quest’opera ha un importanza fondamentale nello studio di
questo periodo.
Non è soltanto il primo trattato sull’adolescenza ma giunge a
proporre per la prima volta un’interpretazione generale del
significato che questo periodo ha nella vita dell’uomo.
Hall è stato il primo che ha colto un cambiamento graduale nella
natura dello sviluppo umano provocato da un fattore socioeconomico rilevante come quello che accade negli Stati Uniti D'
America.
Le Working families in cui i bambini lavoravano con i genitori
nei campi e nelle fabbriche cominciarono a sparire perché
l'incremento della produttività industriale creava nuovi surplus
consentendo a milioni di ragazzi di stare al di fuori del mercato
del lavoro. Gli Stati uniti, stavano diventando una società
industriale ed urbana che richiedeva inserimenti tali che solo
l'educazione secondaria sembrava poter garantire.
Il concetto di adolescenza utilizzato da Hall rifletteva un
cambiamento reale della rappresentazione sociale della vita
umana.
L'autore all'interno del proprio orientamento positivistico
riteneva di poter identificare tale natura in una fenomenologia
comportamentale spiegata in base a una trasformazione
biologica. L'adolescenza per questo autore è una seconda nascita
perché si verifica, nel corso di essa, un rinnovamento di tutti gli
aspetti della personalità . Questa affermazione è sostenuta da un
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continuo confronto fra il mondo del bambino e quello
dell'adolescente. Il bambino è tutto interessato al mondo esterno
ed ai suoi fenomeni come il tramonto, la pioggia ecc..mentre
l'adolescente è orientato soprattutto a sviluppare una vita
interiore che si realizza attraverso un’elaborata capacità di
introspezione e di autoesplorazione, per il bambino i fenomeni
hanno un valore per se stesso e suscitano semmai qualche
interesse per le modalità del loro verificarsi, mentre per
l’adolescente essi non sono altro che un simbolo ed una
manifestazione degli stati d’animo e dei sentimenti ora
entusiastici ed ora tristi, ora tesi ad aprirsi sulla realtà, ora chiusi
e depressi, ora dolci, vissuti nella vita di ogni giorno.
Per il bambino la realtà, a una delimitazione spaziale e temporale
quasi prossima, mentre per l’adolescente le delimitazioni spaziotemporali si allargano sino ad essere, in alcuni momenti ed in
corrispondenza di certi sentimenti, aperte all’infinito.
Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza avviene in modo
drammatico e la stessa epoca adolescenziale è piena di sentimenti
contradditori, di stati d’animo ora dolorosi ora entusiasti.
L’adolescenza è l’età delle tempeste emozionali, degli
innamoramenti irrazionali e ciechi, della fiducia smisurata nelle
proprie forze e della disperazione per i propri limiti, della
voracità intellettuale e della rinuncia romantica.
Hall si basa sulla teoria evoluzionistica di Darwin, secondo cui lo
sviluppo di ogni organismo riassume, ripercorrendo in misura
sommaria, i momenti dello sviluppo della specie cui l’organismo
stesso appartiene.
Nello sviluppo psicologico dell’individuo si ripetono l’una dopo
l’altra le varie fasi successivamente percorse dalla razza umana
nel corso della sua evoluzione. Per esempio il bambino che tende
a sopraffare nel gioco un altro bambino, ad esempio, non fa altro
che riproporre il livello proprio dell’uomo non ancora civilizzato.
La teoria di Hall ha influenzato a fondo molte iniziative di tipo
educativo o pedagogico. (Palmonari, 1979)
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1.2 APPROCCIO ANTROPOLOGICO
Un secondo contributo allo studio della psicologia della
adolescenza fu dato da Margaret Mead che partì dal presupposto
che il decorso dell’adolescenza sia influenzato da circostanze
sociali e che determinati processi si possono manifestare in modo
assai diverso secondo la cultura di appartenenza. Se l’età
adolescenziale è caratterizzata da inquietudini e conflitti è dovuto
secondo la Mead da fattori sociali e culturali. (Jan de wit, 1993)
Questa autrice ha condotto una ricerca in una società primitiva,
tra le ragazze dell’isola di Taw nell’arcipelago di Samoa
(Pacifico meridionale).
In questa ricerca l’autrice è riuscita a dimostrare che lo sviluppo
delle emozioni in età adolescenziale è condizionato dalla cultura
di appartenenza e non esclusivamente dalla concomitanza dello
sviluppo fisiologico.(Palmonari, 1997)
La Mead cercò di spiegare la sua ricerca rilevando delle
differenze fra la cultura occidentale e quella Samoana, e le
differenze che riguardano la struttura sociale e l’educazione.
Nella cultura occidentale è d’uso che l’allevamento dei bambini
piccoli avvenga essenzialmente all’interno della famiglia.
Nelle Samoa le cose vanno diversamente e il bambino viene
allevato inizialmente da un gran numero di adulti. Gia fin dalle
prime settimane il neonato passa di mano in mano. La
conseguenza di ciò è, sostiene la Mead, che il bambino non
apprende a legarsi fortemente ad una sola persona, perciò non si
instaurano legami personali stretti fra genitori e figlio e pertanto
il processo di distacco dai genitori nell’adolescenza non
rappresenta un compito difficile. (Jan de wit,1993).
Gli adolescenti della Samoa godono di grande libertà sessuale e
hanno molte occasioni in cui sperimentano relazioni sessuali che
comporterebbero pochi problemi nello sviluppo sessuale.
I bambini della società occidentale hanno poche responsabilità al
di fuori delle famiglie, quando nell’adolescenza viene richiesto a
loro un comportamento responsabile, ciò può creare uno
squilibrio.
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Viceversa la responsabilità nella cultura della Samoa inizia
intorno ai cinque anni quando vengono affidati ai bambini
compiti significativi per la sopravivenza della società compiti di
cui essi debbono assumersi delle responsabilità. Crescendo,
crescono anche le loro responsabilità e simili cambiamenti
graduali non possono causare molta confusione, in quanto per
ogni età vi sono regole chiare dettate dalla tradizione.
Nella società occidentale un ragazzo può essere facilmente
frustrato e succube dell’autorità paterna. A Samoa si può sfuggire
facilmente a una famiglia frustrante e autoritaria andando presso
altri parenti.
Le conclusioni della Mead sono che l’adolescenza è un fenomeno
culturalmente specifico, non universale e che le difficoltà
dell’adolescenza nei paesi occidentali potrebbero essere alleviate
seguendo l’esempio di Samoa. (Palmonari, 1997)
1.3 LA PSICOLOGIA TEDESCA DEGLI ANNI VENTI
Identica è la funzione delle teorie psicologiche sull’adolescenza
che vengono formulate in Germania dopo la prima guerra
mondiale. Prima si scriveva poco sui giovani perché non
ponevano problemi alla società. Negli anni Venti, invece, la
situazione cambiò: la crisi economica, le lotte della classe
operaia, stimolata dalla vittoria della rivoluzione bolscevica in
Russia, provocarono la politicizzazione di molti giovani proletari
e di una parte della gioventù borghese che partecipò alla lotta di
classe. Il sistema scolastico entrò in crisi e la classe dominante
sentì la necessità di riformarlo per riprendere il controllo sui
giovani. La psicologia accademica fornì loro gli strumenti
ideologici necessari a questa impresa, presentando una teoria
normativa dell’adolescenza. Lo scopo ideologico di questa
psicologia era esplicito: il marxismo è disprezzato, si danno ai
genitori consigli per togliere le idee rivoluzionarie dalla testa dei
giovani, si esalta il ruolo della religione, presentata come un
sentimento innato che si manifesta con intensità proprio durante
l’adolescenza. L’oggetto degli studi era quasi esclusivamente la
gioventù borghese, quella dei ginnasi e dei Wandervogel,
presentata come ideale, una gioventù introversa, ripiegata su se
stessa, romantica, amante della natura, disimpegnata e
disinteressata dalle lotte sociali e politiche.
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Negli anni Venti si moltiplicano i libri sulla psicologia dei
giovani: citiamo tra i più noti quelli di Ch. Büehler (1927) e di
Spranger (1929). I metodi utilizzati per la ricerca sui giovani
erano funzionali agli scopi ideologici di questi psicologi, metodi
storici e asociali, rivolti a un individuo astratto che non vive in
una società determinata, né fa parte di una classe sociale ben
precisa.
Certi autori, come Spranger, avevano un orientamento idealista,
non si preoccupavano di fare ricerche empiriche ma elaboravano
una psicologia a tavolino sulla base di idee filosofiche
preconcette con qualche dato selezionato come prova. Per loro, lo
sviluppo psichico non dipende da condizioni storiche concrete
ma da uno scopo inerente ad ogni individuo. Nel raggiungimento
di questo scopo, ogni stadio ha un senso e un compito specifico.
L’adolescenza è dominata dal valore dell’io che viene scoperto
nella solitudine e fuga dal mondo. La presa di coscienza di sé
porta necessariamente a un conflitto con la società.
La stessa sottovalutazione delle condizioni sociali si ritrovano in
autori di orientamento biologico come Büehler (1927) e Kroh
(1944). Per la prima, ad esempio, tutti i sentimenti dei giovani –
il sentimento di solitudine, il distacco dai genitori, l’odio contro
l’ambiente, la curiosità sessuale e lo slancio, sono un bisogno
biologico che subisce poco l’influsso dell’ambiente.
Questa psicologia accademica venne tuttavia contestata da
insegnanti, lavoratori sociali e scrittori in contatto coi giovani
operai che non ritrovavano nei libri universitari la realtà
giovanile che essi conoscevano. A loro volta, scrissero libri sui
giovani attenendosi ai fatti senza però tentare di inquadrarli
all’interno di una teoria sistematica. I libri sono basati su ricerche
empiriche e danno una visione più realistica dei giovani. Li
descrivono antitetici a quelli dei volumi della psicologia
accademica, giovani che hanno il senso della realtà, delle cose
pratiche, che non sono inclini alla melanconia e alla religiosità,
che non hanno alti ideali, eccetto una minoranza impegnata nella
lotta di classe, che sono scontenti della loro formazione e del loro
lavoro e hanno paura della disoccupazione, che hanno buoni
rapporti in famiglia, soprattutto con la madre.
Questo movimento di protesta della prassi contro la teoria
(Friedrich e Kossakowski, 1962) non riuscì a influenzare la
psicologia accademica e venne spazzato via dall’avvento del
nazismo nel 1933.
Durante l’era nazista la psicologia accademica divenne una teoria
normativa, una specie di teologia del fascismo: le teorie
biologistiche e endogenistiche degli anni Venti costituivano una
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base adatta per la fascistizzazione della psicologia
dell’adolescenza. Un certo numero di psicologi universitari si
misero al servizio del nazismo e denunciarono la “judeizzazione”
della psicologia del decennio precedente mentre altri, come
Bühler e Katz, emigrarono negli Stati Uniti, e altri ancora, come
Busemann, rinunciarono all’insegnamento. Jaensch (1939),
diventato presidente della società tedesca di psicologia, propose
una tipologia dei giovani: quelli nobili e integrati, identificati con
i giovani hitleriani, e gli altri, disintegrati e decadenti, tra i quali
gli ebrei. Il tipo del giovane nazista, eroico combattente, che
trovava in Hitler il suo ideale, fu celebrato, mentre le ragazze
erano sminuite in queste pubblicazioni e erano ridotte alla loro
funzione riproduttrice di futuri eroi. (Lutte, 1987).
1.4 L’APPROCCIO DELLE SCIENZE UMANE
Secondo Spranger (1882- 1963) in nessuna fase della vita l’uomo
ha un così forte bisogno di comprensione come negli anni
giovanili. È come se potesse essere aiutato solo da una profonda
comprensione della propria natura in evoluzione. ( Spranger,
1925).
Lo sviluppo è visto da quest’autore come un dispiegarsi dal
didentro che porta ad una maggiore strutturazione interna.
L’adolescenza è un periodo in cui avviene lo sviluppo dalla
struttura infantile alla struttura stabile e completamente evoluta
dell’adulto. Per Spranger lo sviluppo si divide in tre fasi:
1. la scoperta dell’io (la persona ricomincia a riflettere su se
stessa)
2. la nascita graduale di un progetto di vita
3. l’inserimento nei diversi campi della vita, che implica
l’acquisizione di armonia interna e la formazione di un
personale sistema di valori.
Nella prima fase l’adolescente scopre dentro di sé numerose
nuove facoltà, ma scopre contemporaneamente anche svariati
sentimenti e tendenze contrastanti. L’adolescente può essere
portato ad occuparsi molto di se stesso e diventare alquanto
suscettibile.
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Il suo sentimento di sé, l’esperienza di essere, unico, diverso
dagli altri ad avere un proprio valore è piuttosto vulnerabile.
Mettendo se stesso alla prova in vari modi il sentimento di sé
acquista gradatamente maggiore stabilità. Per esempio “il
giovane può ad esempio vagabondare con un ritmo insensato per
stabilire per se stesso quanto lontano può arrivare. Dal punto di
vista psicologico è indifferente se una simile passione si esprime
nello sport, nel collezionismo, nello scrivere trattati. Perché la
cosa più importante è avere qualcosa di proprio, un campo in cui
gli altri non hanno nulla da insegnarli.”
In questo processo cresce l’autoaccettazione dell’adolescente ed
inizia così la seconda fase dell’adolescenza. Sulla base
dell’autoaccettazione l’adolescente può da un lato adottare
diversi valori della cultura e dall’altro stabilire la propria rotta.
Così nasce gradualmente un progetto di vita.
Nella terza fase è caratterizzata secondo Spranger da una
partecipazione più cosciente e attiva alla vita sociale, in cui è
essenziale darsi attivamente un senso personale.
Il pensiero di Spranger ha dato un contributo notevole alla
psicologia evolutiva, come la teoria di Erikson sull’identità. (Jan
de wit, 1993)
1.5 TEORIE DELL’APPRENDIMENTO
I teorici dell’apprendimento concordano che il comportamento
venga appreso e che l’ambiente esterno abbia una notevole
influenza sull’comportamento dell’adolescente.
I principali elementi di queste teorie sono. Lo stimolo, il
comportamento e le conseguenze del comportamento.
Ci sono due tipi di correnti il behasaviorismo classico che
delimita la definizione di comportamento a comportamenti aperti
e osservabili, e le teorie dell’apprendimento sociale che usano
una definizione più ampia di comportamento e rivolgono
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particolare interesse ai processi sociali di apprendimento e a
come essi si presentano nelle relazioni fra persone.
La teoria dell’apprendimento sociale considera l’evoluzione
umana come una concatenazione di processi d’apprendimento: la
persona fa una serie di esperienze e come risultato inizia a
comportarsi diversamente e acquisisce la possibilità di
comportarsi in modo diverso.(Gross e levin, 1987).
Ci sono quattro tipi di apprendimento: il condizionamento
classico, il condizionamento operante, l’apprendimento tramite
osservazione diretta e l’apprendimento tramite autocontrollo.
I primi due tipi sono del condizionamento classico gli ultimi due
sono dell’apprendimento sociale.
Condizionamento classico
La teoria del condizionamento classico riguarda il
comportamento riflesso, autonomo e non intenzionale che segue
uno stimolo. In questo tipo di condizionamento il riflesso
originario viene associato a uno stimolo diverso da quello che
naturalmente provoca tale comportamento, per esempio il
condizionamento classico può essere all’origine del terrore di un
adolescente per il dentista. Basta che in passato abbia subito un
trattamento doloroso dal dentista: il presentarsi insieme allo
stimolo condizionato (il dentista) e dello stimolo incondizionato
(il trattamento doloroso) porta ad una risposta condizionata,
precisamente il terrore del dentista. (Jan de wit, 1993).
Condizionamento operante
Il comportamento viene appreso prevalentemente tramite le
conseguenze associate alle attività dell’individuo.Questo tipo di
condizionamento è messo in evidenza nell’addestramento degli
animali dove i comportamenti suscitati tramite uno stimolo
proveniente dall’ambiente vengono insegnati per mezzo di
ricompense e associati alle situazioni che originalmente li hanno
evocati.
Skinner ritiene che i principi di apprendimento operante
individuabile negli animali siano egualmente rilevanti per lo
sviluppo umano.
La relazione fra caratteristiche osservabili dell’ambiente (stimoli)
e il comportamento direttamente osservabile dell’adolescente è
sufficiente per spiegare il presentarsi di determinati
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comportamenti. Il comportamento di un adolescente è
strumentare in quanto provoca effetti da parte dell’ambiente:
provoca il rinforzo. Ad esempio quando l’adolescente ottiene ciò
che desidera grazie alle proprie lamentele, cresce la possibilità
che vi faccia ricorso nuovamente in futuro.
Da questo si può dedurre che il comportamento seguito da un
rinforzo positivo viene generalmente ripetuto più di frequente,
invece il comportamento seguito da uno stimolo negativo verrà
ripetuto meno spesso.
Quando le conseguenze sono tali che il comportamento viene
rinforzato, si parla di ricompensa, quando il comportamento
viene indebolito, si parla di punizione. Si ha il rinforzo positivo
quando il comportamento viene chiaramente premiato e seguito
da esiti desiderati invece si parla di rinforzo negativo quando non
si presentano esiti indesiderati.
Questa teoria dedica molta attenzione agli avvenimenti sociali
che fungono da rinforzo al comportamento come la lode,
incoraggiamento o gli insuccessi. È molto importante il modo in
cui gli atteggiamenti e i modi di comportarsi dell’individuo
vengono condizionati. Se le esperienze infantili portano il
ragazzo a modelli comportamentali che lo preparano bene alle
esigenze e alle attese del periodo adolescenziale allora ci saranno
pochi problemi. Ad esempio i bambini sufficientemente premiati
dai genitori per il loro comportamento autonomo avranno pochi
problemi quando durante l’adolescenza ci si aspetterà da loro un
comportamento ancor più indipendente. Invece quando le
esperienze di apprendimento sociale del bambino hanno condotto
soprattutto ad un rinforzo del comportamento dipendente, allora,
durante l’adolescenza, ci si possono attendere alcune difficoltà.
L’effetto del rinforzo dipende dal modo in cui l’adolescente
concepisce la relazione tra i comportamenti e le loro conseguenze
e da quanto ritiene che determinate conseguenze siano probabili.
Per esempio un adolescente affronterà facilmente dei rischi se
pensa che le sue acrobazie pericolose in motocicletta gli
procureranno molta ammirazione e che la possibilità di un
incidente sia bassa.(Jan de wit, 1993).
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Apprendimento tramite l’osservazione diretta
Secondo questa teoria per apprendere un determinato
comportamento non è necessario un rinforzo da parte
dell’ambiente ma si impara anche tramite l’osservazione del
comportamento altrui.(Bandura, 1977)
Guardare gli altri rende possibile apprendere nuove forme di
comportamento e scoprire come possono combinarsi determinati
elementi del comportamento stesso e rende la persona sensibile
alle conseguenze di un dato modo di comportarsi per esempio se
il comportamento di un alunno nei confronti del insegnante ha
successo, esso verrà presto adottato anche dagli altri alunni.
Apprendere tramite autocontrollo
L’idea che il comportamento venga determinato dalle sue
conseguenze può essere estesa alle reazioni dell’individuo al
proprio comportamento.
La natura di queste reazioni è legata a ciò che l’individuo esige e
attende da sé. Se un comportamento corrisponde alle attese e alle
regole autoimposte, viene rinforzato. Se ciò non si verifica, non
si avrà rinforzo e la frequenza dello specifico comportamento
diminuirà.
Bisogna ricordare che le regole e le aspettative che l’adolescente
pone a se stesso sono apprese e dunque mutabili tramite processi
d’apprendimento.
Ad esempio, un adolescente grazie ai compiti svolti a casa,
ottiene voti che soddisfano le sue attese, allora il comportamento
“eseguire i compiti” viene rinforzato. Se nonostante molto
impegno continua ad ottenere voti inferiori a quelli che pone
come regola per se stesso, si scoraggerà e inizierà a porsi
domande sulle proprie capacità. Il risultato è che dedicherà meno
tempo ai compiti, cosa che non migliorerà le sue prestazioni
scolastiche Questo processo può essere invertito qualora
l’adolescente apprenda a adottare norme diverse che sono
raggiungibili. (Jan de wit, 1993).
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1.6 L’APPROCCIO PSICOANALITICO
Nell’ambiente culturale tedesco si sviluppano, dalla fine del
secolo XIX, le prime teorie psicoanalitiche che all’inizio però si
occuparono poco degli adolescenti.
Freud era convinto che la strutturazione della personalità
avvenisse nei primi cinque anni dell’esistenza e che
l’adolescenza non fosse altro che la ricapitolazione delle
esperienze infantili. Lo psicoanalista viennese utilizza poco il
termine “adolescenza” e si riferisce soprattutto alla pubertà. In
“Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905), egli presenta la sua
teoria sul raggiungimento della maturità genitale e sul distacco
dai genitori. Afferma che nella pubertà lo sviluppo psicosessuale
dei maschi e delle femmine, derivante dalle differenze
anatomiche tra i sessi, divergono: quello maschile sarebbe più
coerente mentre ci sarebbe un’involuzione di quello femminile.
La teoria freudiana sulla psicosessualità femminile venne
approfondita da Jones (1922) che afferma che l’individuo nel
secondo decennio di vita, ricapitola ed espande le fasi dello
sviluppo attraversate nei primi cinque anni: in particolare fra i
due e i cinque anni appaiano importanti precursori
dell’organizzazione successiva.
Deutsch (1945) che, accentuando le ipotesi di Freud, presenta
un’interpretazione biologica della passività femminile mentre
Horney (1939; 1953) interpretò in termini sociali e culturali i
vissuti psicologici della donna.
Per molto tempo, gli psicoanalisti non hanno approfondito il
tema dell’adolescenza perché erano convinti che l’analisi andava
contro le esigenze di sintesi della personalità in cui vedevano il
compito fondamentale di quest’età.
Aichhorn, con il suo libro, La gioventù traviata (1925), fu tra i
primi ad affrontare i problemi concreti dei giovani. Ma la prima
analisi sistematica dell’adolescenza è dovuta alla figlia di Freud,
Anna, la quale riprende l’idea del padre sulla pubertà come
ricapitolazione del periodo pregenitale in cui risplodano i
conflitti a causa dell’aumento delle pulsioni, contro le quali
l’adolescente si protegge utilizzando vari meccanismi di difesa,
in particolare l’ascetismo e l’intellettualizzazione.
Nel 1958 A. Freud affronta di nuovo l’analisi dell’adolescenza
che per lei “costituisce l’interruzione di una crescita pacifica” e
“assomiglia ad una varietà di altre turbe emotive e si avvicina
molto alla formazione sintomatica di ordine nevrotico, psicotico
e sociale” Per difenderci dall’angoscia derivante dalla rottura dei
21
legami con i precedenti oggetti di amore, l’adolescente ricorre
alla fuga dalla famiglia, all’investimento dell’affetto sul gruppo
dei coetanei, all’inversione di libido su se stesso con conseguenti
fantasie di potere illimitato. È normale che per un lungo periodo
l’adolescente si comporti in modo incoerente e imprevedibile. Al
sesto congresso di psichiatria infantile A. Freud (1969) tenne una
relazione del titolo significativo: “l’adolescenza come disturbo
evolutivo “ nella quale propose un elenco delle varie alterazioni
del carattere e della personalità che possono manifestarsi durante
questo periodo.
Un ulteriore contributo allo studio della psicoanalisi
adolescenziale fu dato da Peter Blos. Per quest’autore il carattere
è “quell’aspetto della personalità che modella le risposte di ogni
individuo agli stimoli che provengono sia dall’ambiente sia dal
Sé.” (Blos, 1962).
Il carattere inizia a formarsi nel corso dell’infanzia per arrivare
ad avere una struttura stabile nell’adolescenza.
Blos, nella formazione del carattere riscontra quattro sfide: la
prima sfida è quella denominata secondo processo di
individuazione, in questa prima sfida l’autore si riferisce alla
teoria dello sviluppo infantile di Margaret Mahler secondo cui il
bambino evolve da un’indifferenziata esperienza di sé ad uno
stato di separatezza del mondo fisico della realtà che non implica
peraltro mancanza di relazioni con esso. (Mahler, 1975)
Anche quest’autore afferma che l’adolescente allenta i legami
con il genitore interiorizzato che è stato fondamentale nel periodo
falico e di latenza dello sviluppo, e permette all’adolescente di
stabilire nuovi attaccamenti extra-familiari.
Lo sviluppo riguarda l’acquisizione di un Sé stabile e di precisi
confini fra il Sé ed il mondo oggettuale; la perdita di rigidità e di
forza da parte del Super-Io edipico; una maggiore stabilità degli
stati d’animo e dell’autostima per la minore dipendenza delle
fonti esterne di sostegno.
Soltanto se il ragazzo è in grado di rivivere il contatto con le
pulsioni infantili, la ristrutturazione psichica dell’adolescenza
può realizzarsi., viceversa il soggetto può godere delle
gratificazioni pulsionali senza ricadere nelle relazioni oggettuali
infantili di cui si è liberato.
Secondo Blos le condotte regressive più comuni sono:
un ritorno all’azione invece che al linguaggio verbale,
l’ammirazione per pop-star e attori famosi (ricordo
dell’idealizzazione infantile dei genitori)
22
L’attivazione di stati emozionali simili alla fusione nel rapporto
con gruppi religiosi o di impegno civile che può sopperire alla
perdita dell’oggetto.
La seconda sfida è la rielaborazione ed il controllo dei traumi
infantili L’adolescenza è un momento fondamentale per la
riformulazione del carattere e per il superamento dei traumi
infantili ed ogni successo nel controllo dei traumi incrementa
l’autostima del soggetto.
La terza sfida da affrontare per giungere ad una formazione
ottimale del carattere è la continuità del io, che produce, infine
l’ultima sfida è quella che riguarda l’identità sessuale cioè la
capacità del soggetto ad avere relazioni sentimentali al di fuori
della famiglia.
Molti altri autori di approccio psicoanalitico hanno dato il loro
contributo allo studio dell’adolescenza.
Erikson (1950, 1968) vede lo sviluppo come un prodotto
dell’interazione fra fattori biologici, psichici e sociali. Per lui, il
problema centrale dell’adolescenza è l’acquisizione di un’identità
socialmente riconosciuta. Questo periodo, per questo autore, è
una fase necessaria, una “moratoria”psicosociale” che la società
offre ai giovani perché possano sperimentare ruoli diversi e
integrare le identità degli anni precedenti in una prospettiva più
vasta che quella familiare. Solo l’individuo che ha un’identità
sociale ha raggiunto la maturità.
Anche Redl (1969) sottolinea l’incidenza dei fattori socioeconomici e dell’appartenenza a una classe sociale sui vissuti
adolescenziali. Accetta e riconosce anche lui la necessità di una
moratoria sociale ma fa notare che nella realtà essa è soffocante e
infantilizza gli adolescenti anche perché la società non offre più
alla maggior parte di essi prospettive professionali interessanti.
Meltzer (1968), che si riconosce nella scuola kleiniana, si spinge
ancora oltre nella revisione della teoria freudiana affermando che
il problema fondamentale degli adolescenti non è di natura
sessuale benché conoscitiva.(Lutte, 1987).
1.7 RICERCHE SOCIOLOGICHE
La psicologia classica dell’adolescenza, nei suoi indirizzi
prevalenti nella prima metà del secolo, quello biologistico
europeo e quello social positivista statunitense, era diventata
sterile dal punto di vista teorico e non permetteva di affrontare in
modo pratico i problemi dei giovani. In questo vuoto si sviluppò
23
rapidamente la sociologia della gioventù che rispondeva
maggiormente alle attese delle autorità politiche.
In Germania, dopo la seconda guerra mondiale, ad esempio, lo
stato presentava ricorso ai sociologi per conoscere la condizione
dei giovani e finanziava le loro ricerche (Friedrich e
Kossakowski, 1962).
Se escludiamo alcuni rari interventi e studi di impostazione
prevalentemente antropologica, dobbiamo risalire al 1940, e
precisamente a Linton, per avere un primo attento richiamo
all’importanza delle classi di età nello studio delle società.
Ma è soltanto con Parsons (1942, 1963) che la gioventù viene
presa in esame per essere studiata all’interno della società.
Quest’autore, seguendo il suo orientamento strutturalfunzionalista e riferendosi specificatamente alla società
americana, riscontra in essa un contrasto fra i modelli normativi
che presiedono alla organizzazione e integrazione dei ruoli
familiari e dei ruoli professionali.
Secondo Parsons il modello particolaristico della famiglia non
aiuta il giovane ad acquisire un’autonomia affettiva consona
all’ingresso nel mondo delle professioni dominato da un modello
universalistico. Il sociologo americano sottolinea soprattutto la
sempre maggior astrattezza delle norme che regolano la divisione
del lavoro sociale e quindi la maggiore difficoltà che incontrano i
giovani, rispetto al passato, ad integrarsi consapevolmente nella
società adulta.
Questo tema del rapporto funzionale (o disfunzionale) tra
famiglia e società viene ripreso da Eisenstadt (1956), nel suo
ampio studio comparativo tra i diversi tipi di struttura sociale.
Secondo questo autore, i gruppi di età giovanili fanno la loro
apparizione nelle società universalistiche, nelle quali la famiglia
e le relazioni di parentela non si pongono più come condizioni di
appartenenza alla società globale. Nelle loro analisi sia Parsons
sia Eisenstadt tendono privilegiare gli aspetti di stabilità del
sistema sociale e i giovani vengono visti in funzione della
“riproducibilità” del sistema attraverso il processo di
socializzazione. I gruppi giovanili assolvono fondamentalmente
questa funzione di integrazione tra modelli contrastanti, anche se
occasionalmente, e per ragioni comunque esterne al sistema
stesso, essi possono dar luogo a manifestazioni conflittuali nella
sfera della devianza.
Anche Coleman (1961) vede nella gioventù americana, e
soprattutto negli studenti, un centro di tensione come risposta alle
difficoltà del diventare adulti, ma anziché fare ricorso alla
nozione di ambiguità del sistema di ruoli o alla pressione
24
contrastante dei modelli culturali, insiste piuttosto sulle difficoltà
di apprendimento che si impongono in una società molto
differenziata, e quindi sull’esigenza di un’istruzione formale
molto prolungata. Alla famiglia si sostituisce la scuola, come
luogo privilegiato in cui si compie la socializzazione. In questa
situazione il giovane vive la maggior parte del suo tempo a
contatto con altri giovani della sua stessa età, dando luogo ad una
specie di società “separata” all’interno della società globale.
Alla “società degli adolescenti” l’industria dei teen-agers si
rivolge per sollecitare tendenze di consumo e di occupazione del
tempo libero, contribuendo così alla formazione di una vera e
propria “su-bcultura giovanile”.
In una posizione critica rispetto allo struttural-funzionalismo
ortodosso si pone Matza (1961), secondo il quale i giovani sono
rispetto agli adulti in una posizione di ambivalenza di fronte al
sistema di norme imposto dalla società. Secondo questa
impostazione gli adolescenti, e in particolare gli studenti, si
trovano in una condizione educativa più tollerante che in passato
e nello stesso tempo in una situazione di dipendenza sociale
prolungata, di marginalità e incertezza di status, il che permette
l’emergere di forme culturali devianti quasi convenzionali
rispetto al modello culturale dominante. Il giovane delinquente, il
rivoluzionario, secondo Matza, sono soltanto le forme estreme di
un comportamento di non accettazione delle norme sociali che
trova i suoi corrispondenti conformistici nella cultura dei teenagers che valorizza la gratificazione immediata e lo spirito di
avventura; nell’esistenzialismo piccolo-borghese alla ricerca di
un’autenticità dell’esperienza di vita fuori dalle condizioni di
alienazioni imposte dalla società centralizzata; nel “radicalismo”
politico in cerca di prospettive di trasformazione del mondo
sociale ed economico.
In una posizione analoga si muove anche Goodman (1960),
secondo il quale i sociologi studiando i giovani attraverso il
processo di socializzazione considerano sostanzialmente il
dissenso e la devianza come se fossero difetti di funzionamento o
di comunicazione in un sistema statico dato per condiviso e
accettato acriticamente. La crisi giovanile e i comportamenti di
ribellione possono invece essere letti come rifiuto dei modelli
culturali imposti dalla Grande Organizzazione, che tende ad
occupare spazi vitali sempre più vasti, lasciando ai margini
coloro che non intendono integrarsi in essa. I giovani delinquenti,
che accettano integralmente i fini imposti dal sistema
rifiutandone i mezzi, e i beats che se ne allontanano
25
richiudendosi in una forma di ribellione alla pari del sistema che
li produce.
Fino alla fine degli anni Sessanta l’orientamento teorico
prevalente è decisamente struttural funzionali, a parte alcune
eccezioni, la maggior parte delle ricerche sono incentrate sul
problema della socializzazione tra integrazione e devianza.
L’accento è posto sulle difficoltà che il giovane incontra nel suo
inserimento sociale, e la devianza è vista, in genere, come
risultato di un cattivo funzionamento dei meccanismi di
socializzazione. Ad eccezione di Goodman, per il quale
l’emergere di alcuni fenomeni di “crisi” giovanile vanno
ricondotti a precise cause sociali e, soprattutto, al dominio
incontrastato della società ultra organizzata, l’analisi si ferma,
nella maggior parte dei casi, alla considerazione degli aspetti
intrinseci della condizione giovanile, prescindendo dai conflitti
sociali, economici e ideologici che caratterizzano un dato
momento storico. (Luttle. 1980)
26
1.8 KURT LEWIN
Kurt Lewin parte dalla constatazione che tutti gli studiosi hanno
interpretato il comportamento adolescenziale privilegiando ora i
fattori biologici, ora i fattori psicologici o quelli sociali.
Il problema non è quello di stabilire quale di questi fattori sia più
importante, ma è piuttosto utile analizzare una situazione
concreta che si verifica in un contesto ben preciso e tentare di
individuare quali sono le condizioni che intensificano o rendono
più sfumati certi fenomeni definiti tipici della condizione
d’adolescente.
Gli autori fino ad ora studiati anno definito l’adolescenza come
un periodo di transizione: Hall parla di “nuova nascita”; la Mead
ne indica le caratteristiche diverse fra la cultura occidentale e la
cultura di Samoa; Hollingshead vede differenze fra le culture
tipiche delle diverse classi sociali; Anna Freud sottolinea i
conflitti tra Io e Es. Si può quindi dare un’interpretazione di tale
periodo di transizione indagandone aspetti diversi.
Si può vedere l’adolescenza come un cambiamento
nell’appartenenza a gruppi. Il soggetto non si considera più un
bambino e non vuole più essere trattato come tale; prova ad
entrare nella vita adulta ponendosi nella prospettiva di
un’occupazione e di uno stile di vita adulto. Ciò comporta non
solo la modifica della situazione momentanea del soggetto, ma
tutto il suo contesto di riferimento. Questa nuova situazione gli
consente di compiere nuove attività precedentemente vietate
come uscire la sera. Ma esistono per gli adulti certi tabù che non
esistono per il bambino.
Il passaggio dal gruppo dei bambini a quello degli adulti è un
passaggio ad una posizione più o meno sconosciuta sul piano
cognitivo.
Il soggetto non sa che cosa bisogna fare e che cosa bisogna
evitare per raggiungere certi obiettivi come l’approvazione degli
adulti. Ogni azione, per la mancanza di un quadro cognitivo
chiaro, è ambigua, conflittuale: il soggetto non sa se l’azione che
27
si accinge a compiere lo avvicina e lo allontana dalla meta che si
è posto, perciò è incerto se impegnarsi o no.
L’incertezza è maggiore quanto più l’individuo è stato tenuto
fuori dal mondo adulto ed all’oscuro delle regole che lo
governano. Una situazione come quella della Samoa è certamente
meno conflittuale e carica di ansia che non una situazione tipica
della cultura occidentale ove in ogni classe esistono regole,
norme e valori generalmente non resi comprensibili ai bambini.
L’incertezza e la conflittualità adolescenziale, non possono in
nessun caso essere fatte risalire direttamente, nella dinamica
causale, alla maturazione biologica del soggetto.
Il corpo è un oggetto molto importante sul piano psicologico.
Chiunque conosce a sufficienza il proprio corpo, sa quali reazioni
e prestazioni può aspettarsi da esso in certe circostanze. La
pubertà con i suoi cambiamenti fa sì che il soggetto si senta
disturbato dal proprio corpo: si verificano delle esperienze
(sviluppo dell’altezza, cambiamenti di aspetto e di motricità che
vi sono connessi, l’investimento genitale delle pulsioni sessuali)
che lo fanno percepire estraneo e sconosciuto, anche se è una
parte così prossima dello spazio di vita.
Queste nuove esperienze scuotono necessariamente la fiducia del
soggetto, sulla stabilità del “terreno” su cui poggia e forse anche
sulla stabilità del mondo in senso lato. Da questa serie di dubbi
può derivare un incremento dell’incertezza, ed anche
dell’aggressività, di molte reazioni dell’adolescente. Non sono le
modificazioni fisiche che mutano il comportamento neanche le
norme sociali ma è l’esperienza attuale e diretta del cambiamento
fisico e dell’investimento libidinale che può togliere la sicurezza
più fondamentale.
Il radicalismo rilevato nelle idee politiche e nei giudizi di molti
adolescenti è collegato al fatto della gran plasticità mentale
propria di questo periodo di cambiamento, come tutti i periodi di
cambiamento.
Nell’adolescenza vi è un allargamento dello spazio di vita che
concerne sia l’ambiente geografico (desiderio di conoscere nuovi
luoghi) sia l’ambiente sociale (interesse più preciso a gruppi
politici e sociali) sia la dimensione temporale. Eventi futuri
influenzano il comportamento presente possono avere il carattere
di attese più o meno precise.
28
Il passaggio dall’infanzia allo status adulto può essere molto
rapido oppure può avvenire gradualmente in un contesto in cui i
gruppi “bambini” e “adulti”non sono nettamente separati. Ma
quando vi è un adolescenza difficile ci si trova spesso di fronte a
una terza situazione: bambini e adulti costituiscono gruppi ben
separati, l’adolescente non vuole più fare parte del gruppo dei
bambini, ma sa anche che non è pienamente accettato nel gruppo
degli adulti. In questo caso si trova in una situazione simile a
quella definita dall’“uomo marginale”. Sintomi caratteristici del
comportamento dell’uomo marginale sono l’instabilità emotiva e
la sensibilità. Mostra comportamenti squilibrati, o violenti, o
timidi ed esibisce una grande tensione e frequenti scivolate fra gli
estremi del comportamento contraddittorio. Il marginale mostra
un’avversione tipica per i membri meno privilegiati del suo
gruppo. In qualche modo anche l’adolescente mostra gli stessi
sintomi: è ipersensibile, passa da un estremo all’altro, è molto
sensibile ai limiti dei compagni più giovani.
L’adolescenza può essere definita in base ad alcune precise
proprietà dinamiche da cui possono essere tratti concetti adeguati
per spiegare comportamenti e atteggiamenti degli adolescenti.
L’adolescenza può essere caratterizzata come un cambiamento da
una posizione psicologica ad un’altra posizione psicologica.
L’adolescente può avere una posizione sociale fra l’adulto e il
bambino, come quella di un uomo marginale. Da una tale
rappresentazione si possono derivare concettualmente tutti quei
sintomi comportamentali che nelle ricerche citate sono stati
individuati: la timidezza, l’aggressività, l’instabilità del terreno
sociale, il conflitto più o meno permanente fra diversi
atteggiamenti, i valori, stili di vita e ideologie che derivano dalla
situazione di marginalità dell’adolescenza. Se la struttura e le
forze del campo sociale, in cui il soggetto in età adolescenziale si
trova non hanno le caratteristiche che abbiamo delineato il
“comportamento adolescente”non avrà luogo.La particolarità e la
caratterizzazione di tale comportamento dipenderanno
dall’intensità delle forze in conflitto fra loro. (Palmonari, 1979).
29
1.9 LA TEORIA DELLA DESATELLIZZAZIONE DI
AUSUBEL
La teoria di D.P.Ausubel (1952; 1954; 1958) che si incentra sullo
sviluppo dell’Io, nucleo della personalità.
L’intento dell’autore era di elaborare una teoria dello sviluppo
normale e anormale che potesse concorrere con le teorie
freudiane riguardo all’ampiezza del campo dei fenomeni
interpretati, tenendo conto delle ricerche empiriche che le teorie
psicanalitiche non prendevano in considerazione. Ausubel è
anche tra i primi autori che presentano modelli diversificati dello
sviluppo psichico e che insiste sulla molteplicità dei fattori da cui
dipendono. Secondo quest’autore, lo sviluppo psichico inizia con
una fase di onnipotenza (che fa la sua apparizione dopo
l’emergenza di un Sé funzionale verso i sei mesi d’età e
durerebbe fino ai due anni e mezzo) che sarebbe seguita da una
prima crisi di crescita alla quale il bambino può dare varie
soluzioni. Quella più comune e più vantaggiosa consiste nel
satellizzarsi attorno ai genitori ossia nel cercare uno status
derivato dalla loro accettazione, nel fondare la stima di Sé su
questa accettazione. Questa soluzione tuttavia non è possibile per
i bambini che sono rifiutati dai loro genitori o che sono
strumentalizzati da essi e non accettati per Sé. Lo sviluppo si
indirizza quindi in direzioni diverse in funzione della
satellizzazione o della non satellizzazione. Quest’ultima
predispone l’individuo a contrarre più tardi disordini specifici
della personalità. Per accedere allo status adulto, il bambino
satellizzato deve diventare autonomo dai suoi genitori.
Questo processo di autonomizzazione, chiamato da Ausubel
“desatellizazione”, è il compito principale dell’adolescenza.
Richiede un capovolgimento della struttura della personalità e la
conquista di uno status autonomo, fondato non più
sull’accettazione da parte dei genitori ma sulle realizzazioni del
giovane. Vari fattori, di ordine personale e sociale, sono
all’origine di questo cambiamento. Alcuni sono già all’opera
prima dell’adolescenza: lo sviluppo sociale e cognitivo, la
possibilità di frequentare ambienti diversi dalla famiglia come la
scuola o il gruppo di coetanei, le richieste di maggior
responsabilità fatte al giovane, lo spingono verso la
desatellizazione. Tuttavia la società rifiuta agli adolescenti lo
status autonomo al quale aspirano, facendo di questo periodo
dell’esistenza una fase di tensioni e di instabilità emotiva e
spingendo i giovani alla ricerca di forme transitorie e marginali
30
di status, specie nel gruppo dei pari e nella devianza. Anche in
questa fase dello sviluppo possono manifestarsi fallimenti che
l’autore attribuisce soprattutto a errori nell’educazione
precedente, quali l’iperprotezionismo, la sottovalutazione, l’iper
o sottodominazione, ecc.
Il non satellizzato, invece, non deve ricercare l’autonomia
volitiva perché non vi ha mai rinunciato.
Il bisogno imperioso di status autonomo, che lo contraddistingue,
rende meno frequenti i fallimenti dello sviluppo durante
l’adolescenza. Questi modelli di sviluppo sono tipici della cultura
industriale. ( G. Lutte, 1987).
1.10 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Gli studi più recenti hanno messo in evidenza come
l’adolescenza possa costituire un’esperienza relativamente
semplice e gratificante o profondamente difficile e problematica
proprio a secondo della biografia dell’adolescente, del suo modo
di costruire gli eventi e del contesto sociale in cui egli è inserito.
“La nozione di interdipendenza tra quadro socio-culturale e
adolescenza deriva dalla riflessione sviluppatasi dalla fine degli
anni ’60 nell’ambito della “life-span developmental psychology”
(Baltes, Reese e Lipsitt, 1980; Lerner, 1982; Tubman e Lerner,
1991).
Si tratta di un approccio allo studio del comportamento umano
che enfatizza lo sviluppo e il cambiamento della persona lungo
l’intero arco della sua vita, rappresentandoli come sequenza di
eventi strettamente intrecciati tra loro e con il contesto biologico,
sociale, storico e culturale ove l’individuo opera. Questo
orientamento di studio, che promuove metodologie di ricerca di
carattere longitudinale studiando definisce in questo modo i
termini dell’interazione individuo-ambiente.
Gli individui sono definiti come “attori del loro sviluppo” che
interagiscono, in modo selettivo e motivato, con l’ambiente,
contribuendo così a costruire le proprie specifiche traiettorie di
inserimento sociale.
L’ambiente è concepito come un insieme di fonti di influenza di
differente natura, di fronte alle quali le persone debbono
schierare e cercare di assumerne il controllo. Vengono
considerate in genere tre classi di influenza ambientali:
a) le influenze normative legate all’età consistono nelle
determinanti biologiche e ambientali
31
che sono correlate con l’età cronologica (per esempio, gli eventi
puberali o l’inizio della scuola).
Hanno un carattere normativo nel senso che di norma riguardano
tutti gli individui di una certa età in una stessa cultura.
b) Le influenze normative legate ad un particolare periodo storico
si riferiscono alle determinanti biologiche e ambientali che in un
dato periodo storico riguardano la maggior parte degli individui
di una stessa coorte. Definiscono in altre parole il contesto di
sviluppo di un certo insieme di persone. Si possono citare, al
riguardo, situazioni di crisi economica, pratiche d’allevamento
dei figli in una certa classe sociale, modifiche del sistema
formativo, cambiamenti nelle aspettative connesse ai ruoli
sociali.
c) Le influenze di tipo non normativo sono distribuite in modo
casuale tra le persone di un certo gruppo sociale e hanno una più
alta variabilità individuale (momento di comparsa, durata,
pervasività, ecc.). Esempi di tale tipo di fattori possono essere:
un’improvvisa malattia,
l’interruzione degli studi, il divorzio dei genitori, la necessità di
cambiare città, ecc.
Questi fattori di ordine ambientale non operano in modo
automatico come forze misteriose che premono sull’individuo.
Essi costituiscono piuttosto insiemi di compiti, di richieste e di
vincoli di fronte ai quali il soggetto mette in atto strategie di
diagnosi, selezione e intervento per continuare a costruire un
proprio percorso di crescita personale. Da questo punto di vista
l’adolescente non è necessariamente posto in una condizione di
crisi e di difficoltà poiché le determinanti ambientali e biologiche
con cui deve interagire possono costituire anche opportunità di
sviluppo ovvero stimoli a nuove forme di differenziazione e di
arricchimento personale, anche se non progettate in anticipo.”
(Palmonari, 1997; ).
Vi è quindi la necessità, secondo la prospettiva interazionista, di
ripensare il comportamento dell’adolescente come una funzione
congiunta delle caratteristiche personali e degli elementi di una
determinata situazione e lo sviluppo individuale come il risultato
della continua e reciproca influenza di molteplici variabili
(biologiche, culturali, relazionali e situazionali) sui quali la
persona, sia bambino che adolescente o adulto, esercita sempre la
propria attività regolatrice e modificatrice.
Ecco che i diversi eventi che caratterizzano l’età adolescenziale
come ” l’uscita” dalla famiglia e la ricerca di nuovi rapporti con i
coetanei in primo luogo e con altre figure adulte come gli
insegnanti, il desiderio di fare nuove e diversificate esperienze e i
32
tentativi di costruirsi nuovi valori, possono essere compresi
solamente se non vengono più attribuiti a fattori intrapsichici o a
cause esterne che hanno “spinto” l’individuo ad agire in un
determinato modo.
Il comportamento di una persona è sempre il risultato di un
processo di mediazione nel quale le informazioni situazionali
vengono selezionate e interpretate in relazione: a) alle
caratteristiche cognitive, alle caratteristiche emozionali, affettive
e motivazionali dell’individuo; b) ai significati attribuiti alla
situazione in cui l’individuo si trova ad agire; c) a colui che
osserva e che è quindi impegnato a fare inferenze attributive
contestuali su se stesso in qualità di osservatore e sull’individuo
che è oggetto dell’osservazione. Le stesse inferenze sono il
prodotto di un processo socialmente e culturalmente mediato che
riflette anche le teorie implicite e gli scopi conoscitivi
dell’osservatore.
Quest’impostazione non nega per nulla il valore dei fattori
individuali, degli schemi endogeni e delle predisposizioni innate,
né rifiuta apporti di ricerca volti a comprendere il significato
delle peculiarità individuali. Ma è evidente come gli stessi fattori
endogeni e predisponesti, riletti in chiave interattiva, assumano il
significato non di qualità a sé stanti, ma di funzioni che
consentono la regolarità e la prevedibilità del comportamento
sociale, dalla cui assenza deriverebbe l’impossibilità di
sopravvivenza e di adattamento agli altri partner sociali.
33
CAPITOLO 2
L’ADOLESCENZA: IDENTITÀ, VALORI,
LIBERTÀ
2.1 LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ
Tutte le teorie che studiano il problema dell’identità, sottolineano
l’importanza degli altri nella costruzione dell’identità
individuale. Per George Mead, benché l’individuo sia capace di
spontaneità ed innovazione personale, grazie alla specificità della
sua soggettività, il suo comportamento non potrebbe comunque
risultare comprensibile prescindendo da quello collettivo.
Per Ervin Gofman l’immagine che riusciamo a dare di noi agli
altri è addirittura una delle poste in gioco più importanti nel
campo delle relazioni umane.
Anche la psicoanalisi s’interessò allo studio dell’identità
evidenziandone l’importanza delle relazioni familiari e
dell’ambiente di vita.
Heinz Kohut (1976) descrisse un tipo di personalità piuttosto
diffuso nell’epoca contemporanea, che egli definì l’”uomo
tragico” che è caratterizzato da un io carente e da disturbi
narcisistici, ossia da un bisogno continuo di centralità associato a
sensazioni di vuoto e di in autenticità. All’origine di questo tipo
di personalità ci sarebbe una madre che, sola e abbandonata dal
marito, riversa sulla prole attenzioni soffocanti, ma
emotivamente distaccate. Con un padre marginale, o assente, e
una madre che organizza la vita fin nel minimo dettaglio, con
34
uno zelo meticoloso che inibisce lo spirito d’iniziativa e annienta
le potenziali risorse d’autonomia, il bambino matura, secondo
Kohut, la sensazione di non avere una “mente propria”.
Atri autori come Donalt Winnicott (1997), hanno spiegato come i
bambini possono sviluppare un falso Sé, ossia crescere alienati
dal proprio Sé autentico, se le loro figure di attaccamento non
convalidano con i propri comportamenti, approvazioni e
incoraggiamenti, il loro vero Sé. Sia nel male che nel bene, i
genitori hanno un ruolo rilevante nella costruzione dell’identità
dei loro figli: essi rappresentano quell’alterità che predispone
l’accoglienza. Prima della nascita un bambino esiste già
nell’immaginario dei suoi genitori, i quali si domandano di che
sesso sarà, se assomiglierà al padre o alla madre, scelgono il
nome, fanno progetti e anticipano il suo futuro.
Dopo la nascita lo osservano, gli attribuiscono tratti del carattere,
intenzioni e attitudini, incoraggiano, guidano, propongono.
Contribuiscono con i loro interventi all’impostazione della sua
identità. Secondo Bowlby “elementi costitutivi dell’identità del
figlio sono le percezioni che i genitori hanno di lui. Il Sé si
rispecchia negli atteggiamenti genitoriali e il tramite è la
relazione di attaccamento.” Un neonato non ha la coscienza della
propria identità, crescendo ed interagendo con il mondo
circostante, egli impara a riconoscersi come individuo avente
un’identità propria. Questa consapevolezza avviene
principalmente con la conoscenza del corpo. Il bambino impara a
localizzare le tensioni, emozioni nel loro corpo e a distinguere
ciò che è interno da ciò che è esterno: la mano dal giocattolo, gli
stimoli della fame dal cibo. Verso i 18 mesi i bambini imparano
anche riconoscersi la propria immagine allo specchio e
successivamente ad usare il pronome “io”. È fondamentale in
questo periodo la nozione di “oggetto permanente”: il bambino è
consapevole che un oggetto può restare identico a se stesso,
mantenere le sue proprietà specifiche e continuare ad esistere
anche se il contesto in cui si è inserito si modifica, oppure se
l’oggetto si sposta e sparisce dietro al campo visivo. Per esempio
un pupazzo che scompaia dietro ad una porta, non è più visibile
ma per un bambino di 13-14 mesi esso continua ad esistere con
tutte le sue caratteristiche inalterate. Per Winicott questo
processo è molto importante nell’interazione che il bambino, nei
35
primi mesi di vita, ha con la madre. Se il rapporto con lei è
buono, il piccolo potrà in seguito tollerale le separazioni per
periodi sempre più lunghi: l’oggetto mamma, infatti, continuerà
ad esistere anche quando non sarà presente. La distanza che si
crea tra lui e la sua figura di attaccamento può essere colmata da
“oggetti transizionali”come una copertina o un pupazzo.
Nella costruzione dell’identità ha un ruolo fondamentale
l’identificazione. I bambini s’identificano con i genitori, i fratelli,
la famiglia ed assimilano norme e modelli di comportamento.
La formazione dell’identità personale è dunque una conquista
che si realizza grazie ad un processo di crescita. All’inizio il
bimbo sente in modo confuso di far parte di un’unità
indifferenziata con il mondo che lo circonda. Corpi, odori luci. I
primi progressi del suo sviluppo psicologico, cognitivo ed
emotivo, lo portano man mano ad acquisire la consapevolezza di
essere altro da, un’entità differenziata, sia fisicamente che
psicologicamente, con tutti gli oggetti che lo circondano.
Ma affinché la conquista della propria identità possa avvenire in
modo sereno e completo, è necessario che il bambino sia
circondato da persone che lo sostengono e lo aiutino in questo
compito evolutivo, trasmettendogli messaggi verbali e non
verbali, che possono rinforzare la sua sensazione di essere un
individuo unico e differente dagli altri. Quest’acquisizione deve
essere accompagnata da sensazioni gradevoli, che trasmettono
messaggi dotati di una connotazione positiva. Questi messaggi
direbbero “ti vedo, ti sento, mi piaci” grazie a questa convalida
che riceve dall’esterno, il bambino incomincia a sviluppare
un’identità positiva, il bambino sperimenta la sensazione di stare
bene con se stesso, la soddisfazione del proprio modo di essere e
del proprio modo di entrare in relazione con gli altri. Per tutta
l’infanzia la famiglia ha un notevole influenza sullo sviluppo
dell’identità del bambino. In questa fase lui s’identifica con i
modelli che trova in famiglia. Inoltre i bambini s’identificano con
le persone che hanno dei legami forti. Identificarsi significa
diventare simili a quelle persone, acquisendo i valori, di
esprimersi e di pensare. Durante l’infanzia l’identità passa
attraverso una serie di identificazioni che promuove la crescita
psichica. Il concetto d’identità deve avere un senso di unicità
personale (in base cui ci si percepisce distinti dagli altri e da un
36
mondo esterno che comprende altre identità), quello di continuità
personale (anche se ci sono delle interruzioni e dei cambiamenti
nello stile di vita, la memoria ci consente di mantenere una
coerenza sulla nostra individualità.) e quello di autonomia
personale (la percezione di possedere il controllo dei propri
pensieri e delle proprie azioni). (A.O.Ferraris, 2002).
2.2 L’IDENTITà SECONDO ERIKSON
E. H. Erikson (1968) rappresenta una figura chiave tra gli
scrittori che si sono occupati dello studio dell’acquisizione
dell’identità da parte dell’adolescente. In particolare, egli concepì
la vita di un individuo come una successione di fasi, ad ognuna
delle quali corrispondeva una particolare funzione evolutiva di
natura psicologica.
Pur accettando le nozioni di base della teoria freudiana: strutture
psicologiche, conscio, inconscio, pulsioni e stadi psicosessuali,
Erikson allarga tale teoria sviluppando una serie di otto stadi
psicologici che si estendono lungo tutto l’arco della vita,
studiando lo sviluppo dell’identità ed elaborando metodi che
vanno al di là della situazione psicanalitica strutturata in uso con
gli adulti. Il lavoro che Erikson svolse esaminando varie culture
lo convinse che fosse necessario aggiungere una dimensione
psicosociale alla teoria sullo sviluppo psicosessuale di Freud.
Erikson è stato colui che per primo ha sottolineato come
nell’adolescenza la problematica della ricerca della propria
identità diventi particolarmente acuta, soprattutto a seguito di un
certo numero di fattori.
Tra questi sembra ragionevole includere il concetto di autostima
connesso alla problematica di essere in grado di saper valutare sé
stessi, positivamente o negativamente. Nel primo caso tale
valutazione comporta un’immagine di sé soddisfacente, con
conseguente fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità, mentre il
modo di percepirsi è radicalmente diverso per chi possiede
un’immagine di sé negativa, che può tradursi in un vero e proprio
«sentimento di inferiorità»
37
Nel formulare la teoria Erikson parte dal presupposto che gli
adolescenti siano consapevoli dei numerosi cambiamenti che
avvengono in loro, ma grazie al processo di integrazione dello
sviluppo personale, ai mutamenti nella posizione sociale e nelle
attese rivolte al futuro, finiscano per trovare un proprio stile di
vita.
Il punto di partenza del pensiero di Erikson è che lo sviluppo
psichico del periodo adolescenziale fa vacillare l’immagine che
l’adolescente aveva di sé e della propria vita. Questo porta a
cambiamenti nell’aspetto, nel comportamento e negli
atteggiamenti, questi mutamenti subiscono l’influenza
dell’ambiente sociale.
Lo sviluppo psicosociale che consiste nell’adeguamento del
bambino nella cultura in cui vive, è dipendente dalla cultura in
due modi: in primo luogo, anche se i bambini di tutte le culture
passano attraverso gli stessi stadi, ogni cultura rivela un modo
idiosincratico di guidare e promuovere il comportamento del
bambino ed in secondo luogo, la relatività culturale, dovuta ai
cambiamenti negli usi, nei costumi, certe situazioni, istituzioni ed
usanze che corrispondono ai bisogni di una generazione possono
mostrarsi inadeguate per quelle successive. Con la maturazione il
bambino passa attraverso una serie di crisi psicologiche o
problemi espandendo la gamma delle relazioni sociali
significative, e la personalità diventa sempre più differenziata ed
organizzata gerarchicamente man mano che si dischiude un
particolare ambiente da cui riceve forma. Secondo Erikson il
bambino possiede leggi di sviluppo innate che creano una serie di
potenzialità nelle interazioni significative con chi ha cura di lui,
la maturazione e le aspettative sociali creano otto crisi o problemi
che il bambino deve risolvere. L’autore statinutense descrive
ciascuna crisi nei termini di una dimensione in cui sono possibili
sia conseguenze positive che negative, qualora le crisi d’infanzia
non hanno avuto una soluzione soddisfacente, la persona
continuerà a combattere le stesse battaglie anche in seguito,
anche se per Erikson non è mai troppo tardi per risolvere
qualsiasi crisi. Per quanto riguarda l’integrazione degli stadi
successivi, ogni stadio si costruisce sulla base degli stadi
precedenti e influenza la forma degli stadi successivi
Descrizione degli stadi:
38
1. fiducia fondamentale contro sfiducia fondamentale (0-1
anno)
Per un dispiegamento ottimale della personalità è necessario che
il bambino nel primo anno di vita sviluppi un fondamentale senso
di fiducia verso il proprio ambiente sociale.
La fiducia nasce da esperienze connesse alle cure e alla
nutrizione ricevute dalla madre. Sono molto importanti il calore e
l’affetto che il bambino riceve ma deve imparare a tollerare che
l’attenzione concessa ha natura discontinua.
Se vengono a mancare il calore e l’affetto e le esperienze
sopraccitate, può insorgere un sentimento di sfiducia di base che
può dare origine ad un atteggiamento depressivo. La forza vitale
che idealmente si sviluppa in questa fase è la speranza nella
raggiungibilità dei desideri primari, nonostante le delusioni in cui
si è andati incontro.
2. autonomia contro vergogna, dubbio (2-3 anni)
Il secondo e il terzo anno di vita sono importanti per la nascita
di un senso di competenza e fiducia in se stessi, che Erikson
indica col termine “autonomia” che comporta da una parte che
il bambino si consideri come un essere umano indipendente,
dall’altra che abbia imparato a conoscere i propri limiti e sia
in grado di richiedere l’aiuto e la guida degli altri.
Dice Erikson “Per sviluppare questo sentimento di autonomia
è necessario che il bambino senta che può fare delle scelte in
prima persona, per esempio il bambino deve avere il diritto di
scegliere se preferisce stare in piedi oppure seduto, di andare
in bagno o bagnarsi i pantaloni. Contemporaneamente deve
imparare che ci sono dei limiti alla possibilità di fare a modo
suo. I genitori hanno il compito di porre dei limiti realistici,
d’impedire proibizioni che il bambino finisca in varie
situazioni pericolose, nonché di sostenere nel suo desiderio di
reggersi sulle proprie gambe. Quest’ultimo aspetto è
indispensabile se non si vuole che il bambino si vergogni per
aver mostrato qualcosa di se stesso o dubiti qualcosa del
proprio valore.
39
La forza vitale che idealmente si sviluppa in questo periodo è la
forza di volontà la sensazione che si può; raggiungere qualcosa
se si desidera.
3. iniziativa contro colpa. (4-5 anni)
Il bambino all’età di 4-5 anni vuole scoprire che tipo di persona
può diventare. In questo periodo egli è intraprendente e molto
fantasioso. In questo periodo si è formato nel bambino, la
coscienza morale: proibizioni e punizioni sono diventate nel
bambino una voce interiore che critica il suo comportamento ed i
suoi pensieri. A quest’età è molto importante incoraggiare le
iniziative del bambino, la sua fantasia e la sua immaginazione:
troppe punizioni e proibizioni portano ad una coscienza troppo
severa. La forza vitale che si raggiunge in questo periodo è la
finalità, la convinzione che si può; operare per raggiungere un
obiettivo.
4. costruttività contro inferiorità. (6 anni-pubertà)
La quarta fase inizia all’incirca nel sesto anno di vita e dura fino
ai 11 anni. In questo periodo è importante per il bambino,
l’esperienza di essere impegnato costruttivamente in un compito,
sentire di avere delle abilità e di poter cooperare con gli altri.
La forza vitale o virtù che idealmente si sviluppa in questa fase è
la capacità il sentirsi in grado di fornire delle prestazioni.
5. identità contro confusione d'identità. (adolescenza)
Nell’adolescenza l'ambiente sociale si attende e pretende un
comportamento sempre più autonomo. L'adolescente stesso ha
bisogno d’autonomia, egli tenta di agire sempre come un
individuo che fa proprie scelte, che prende iniziative e decisioni.
L'ambiente sociale apprezza e appoggia i tentativi
dell'adolescente in questa direzione ed a volte lo protegge dai
rischi imprevisti. Se quest’interazione non accade, si hanno
disturbi nello sviluppo della personalità. Ci può accadere quando
il giovane non sente il bisogno di agire autonomamente oppure
40
non né in grado in seguito a disturbi nello sviluppo legati ai
periodi precedenti
L'ambiente sociale non valuta positivamente l'agire in modo
autonomo non è offerto alcun sostegno e alcuna protezione.
La virtù che si sviluppa nella fase dell'adolescenza è la fedeltà
l'essere fedele agli obblighi che nascono dalle proprie scelte.
6. intimità contro isolamento. (prima età adulta)
Dopo lo sviluppo dell'identità si presenta al giovane adulto il
bisogno di contatti personali, intimi. L'intimità comporta che il
coinvolgimento emotivo diventi una base per relazioni personali
durevoli. L'intimità sessuale è solo una parte di tutto questo.
L'esito corretto di questa fase si può; trovare nell’amicizia,
nell'amore o nel matrimonio, l'esito negativo porta ad isolarsi e a
rifuggire le relazioni interpersonali. La virtù che si può;
sviluppare è l'amore inteso come coinvolgimento e rispetto
reciproco.
Secondo Erikson la nascita dell’identità dell’io è condizione
molto importante per avviare relazioni intime. L’intimità
significa l’unione di due personalità autonome.
7. generatività contro stagnazione (età adulta media)
Dove per generatività s’intende “l’interesse a fondare e guidare la
generazione successiva, attraverso l’allevamento dei figli o
imprese creative o costruttive”. I prerequisiti di questo stadio
sono: fede nel futuro, credere nella specie e abilità ad occuparsi
degli altri, la mancanza di questi aspetti produce l’indulgere su di
sé, la noia e la mancanza di crescita psicologica.
8. integrità contro disperazione (tarda età adulta)
Dove una persona vive con quanto ha costruito durante tutta una
vita, idealmente si è raggiunta l’integrità, che comporta
l’accettazione dei limiti della vita, la sua antitesi è la
disperazione, cioè il rimpianto per non aver fatto abbastanza, la
paura della morte e il disgusto di se stessi.
41
Erikson definisce l’adolescenza come una “moratoria sociale”
perché in quest’età viene concessa l’opportunità di sviluppare la
propria identità, parzialmente al riparo dalle varie responsabilità
degli adulti. Il ruolo tipico della fase adolescenziale che il
giovane assume nell’interazione con l’ambiente sociale è indicato
da Erikson coi termini “identificazione” e “sperimentazione”.
L’identificazione è paragonata all’apprendimento tramite
osservazione ed ha il significato di occupare il posto dell’altro.
Identificazione vuol affermare che si fanno propri i
comportamenti, le norme e altri aspetti di una determinata
persona.
Nel periodo evolutivo fino all’adolescenza inclusa la persona si
può identificare per breve o per lungo tempo con vari aspetti dei
genitori, insegnanti o coetanei.
Nell’adolescenza le identificazioni sono accompagnate da un
processo più o meno consapevole di scelta. Gli adolescenti
sviluppano uno stile di vita proprio conservando, tra le
identificazioni attuali e passate, quelle che sentono come più
adatte. Nasce una composizione unica che determina lo stile di
vita individuale della persona adulta. Condizione per lo sviluppo
di quest’aspetto individuale e relazionale dell’identità è che negli
anni dell’infanzia e dell’adolescenza si abbia rapporti con
persone con i quali è possibile identificarsi.
Quando l’identità è in formazione, un giovane può trovare
identità transitorie in personaggi dello spettacolo, dello sport,
della musica, ossia in tutti quei personaggi pubblici in cui è
possibile trovare qualche motivo di ammirazione e di
identificazione. Il che spiega il gran successo che hanno presso il
pubblico giovane attori, sportivi e cantanti. Un adolescente è alla
ricerca di modelli alternativi ai genitori tenta di entrare in una
sfera diversa da quell’infantile.
Nella fase di “moratoria”, l’identità la forniscono anche il gruppo
e gli amici, linguaggi e storie simili che unendosi trovano la forza
per fronteggiare lo strappo dell'’identità infantile e prendere le
distanze dai genitori senza sentirsi in colpa. (A.O.Ferraris, 2002).
La sperimentazione è paragonabile all’apprendimento
strumentale. Sperimentare dei ruoli sociali significa partecipare
temporaneamente a determinate attività o comportarsi secondo
42
determinate regole, in accordo alle aspettative di un determinato
settore dell’ambiente sociale. Importante è il fatto che Erikson
intende la sperimentazione come un’attività consapevole, tramite
la quale l’adolescente comprende che cosa si addice. Un
adolescente può sperimentare i ruoli di “collaboratore in un
gruppo d’azione”. La sperimentazione implica il tentativo di
comportarsi in conformità alle aspettative delle persone con cui si
viene in contatto e l’apprendimento attivo della propria
possibilità e volontà di adempiere certi ruoli.
Erikson ha dato molta importanza al gioco definendolo come un’attività
comune sia ai bambini che agli adulti e sta a significare l’uso
dell’immaginazione per adattarsi al mondo, per esprimere emozioni o per
sviluppare nuovi modelli di esistenza passati, presenti o futuri. Problemi che
non possono essere risolti nella realtà si possono risolvere nel gioco
attraverso la drammatizzazione, lo sport, l’arte e così via. Il tema centrale
della vita secondo Erikson è dunque la ricerca dell’identità, che è la
comprensione e l’accettazione sia del sé che della propria società. ( J.De
Wit,1996)
43
2.3 LA FORMAZIONE DELL’IDEA DI SÈ
La formazione dell’“idea di Sé” non inizia e si esaurisce con
l’adolescenza ma è un processo che ha inizio nei primi anni di
vita, e pur raggiungendo una fase di relativa stabilità (l’età
adulta), non termina mai, vede momenti di rielaborazione lenta
(invecchiamento), talvolta rapido (un radicale cambiamento nello
status lavorativo o sociale).
Ed è un processo che vede anche un graduale mutamento del
peso specifico che assumono come componenti dell’“idea di sé”,
la rappresentazione del passato e quella del futuro: mentre un
adolescente è proiettato verso il futuro, vive soprattutto se stesso
come è e come vorrà divenire, una persona anziana è più rivolta
verso il passato, a ciò che è riuscita ad essere e a fare.
Sebbene questo processo ha inizio durante l’infanzia, subisce
nell’adolescenza una notevole accelerazione, vede ormai in gioco
tutte le componenti dell’idea di sé e può essere caratterizzato da
forti tensioni emotive.
Per capire meglio che influenza ha l’idea di Sé nel periodo
adolescenziale è necessario descrivere brevemente le fasi di
questo lungo processo che ha origine nell’infanzia.
Il primo periodo è circoscritto ai primi 12 anni di vita che Peter
lo definisce come un “identità vissuta”, in questa fase che vede
già l’apparire di alcune componenti fondamentali dell’idea di sé.
Intorno ai 2 anni il bambino giunge a prendere coscienza di
essere un’individualità a sé stante, separata da quella della madre,
con una volontà propria, con proprie capacità di autonomia.
Fra i 3 e i 6 anni i bambini diventano consapevoli della propria
identità sessuale e di avere un corpo che, benché simile per molti
aspetti a quello degli altri, è tuttavia diverso riconoscibile per
qualche qualità tipiche (il colore dei capelli o la voce).
Durante il periodo della scuola primaria emerge, nel bambino
(soprattutto grazie al continuo confronto con gli altri bambini) la
consapevolezza di possedere delle abilità di tipo fisico e
psicologico. Un bambino può viversi come “più veloce di altri
nella corsa”, “il più bravo nel disegnare”, e può viversi come più
timido, più impacciato con le persone sconosciute.
44
Il fatto che la presa di coscienza di queste varie componenti
dell’idea di sé è dovuto al carattere prevalentemente
“vissuto”dell’esperienza che di esse compie il bambino. Un
bambino si sente “veloce” o “timido” e non giunge con facilità e
spontaneamente a riflettere su queste caratteristiche, cosa che gli
permetterebbe di porle in relazione l’una con l’altra e di costruire
poco per volta la rappresentazione del suo Sé. Nel periodo della
scuola primaria la presa di coscienza di queste “capacità” è il
risultato di situazioni in cui il bambino si viene a trovare
indipendentemente dalla sua volontà. Ad esempio, viene
organizzata nel cortile della scuola una gara di corsa, e lui scopre
di essere il più veloce del gruppo; gli viene insegnato a leggere, e
si accorge di riuscire a farlo con più facilità di altri.
Un secondo periodo definito come “identità cercata che copre la
fase della preadolescenza, avvengono sostanzialmente due
progressi essenziali.
Con la marginalità psicologica volontaria vi è una ricerca sempre
più attiva, da parte di un ragazzo, di situazioni nuove in cui
“provare se stesso”, saggiando le proprie capacità fisiche e
psicologiche e confrontandole con quelle degli altri.
In secondo luogo egli giunge a prendere coscienza di tali abilità,
ed anche a metterle consapevolmente in rapporto fra loro
sviluppando così dei tentativi di sintesi, che sono certo ancora
limitati alle richieste poste dalle situazioni specifiche ma che
permettono di superare la fase dell’esperienza di sé “per qualità
sparse”. Per esempio “ per uscire da questa situazione di
difficoltà ci vorrebbe una certa forza fisica, e io non ce l’ho, però
posso supplire con l’intelligenza, trovando una via più indiretta, o
con spirito di iniziativa, andando a cercare qualcuno che mi aiuti,
aspettando che arrivi qualcuno” ecc,
Nel terzo periodo chiamato “identità riflessa”, coincide con
l’adolescenza ed è caratterizzato da una riflessione centrata sulla
propria persona e da una ricerca attiva di sintesi, ovvero di una
immagine di sé unitaria.
Continua ad esservi come nei periodi precedenti ricerca di
situazioni nuove in cui “provarsi” ma si tratta non solo delle
capacità fisiche o mentali, bensì anche delle “capacità sociali” (la
capacità di sapersi fare ascoltare), dei tratti di carattere (giocosità,
45
malinconia), delle qualità che entrano in gioco nei rapporti
sentimentali e nella vita sessuale (tenerezza, gelosia e fedeltà).
L’adolescente riflette più a lungo che in precedenza, cercando di
metterle in rapporto fra loro e di elaborare una complessiva
immagine di Sé.
In quest’immagine l’adolescente tenta di cogliere in forma
riflessa (e non più solo di vivere) le luci e le ombre.
Frequentemente prevalgono le ombre, gli aspetti negativi, infatti,
gli adolescenti vivendo in modo molto emotivo l’autoanalisi
tendono a dare del valore a quelle qualità che non hanno ed ha
sottovalutare quelle che hanno, attraversando periodi di
depressione ed elaborando un immagine di sé pessimistica.
Le critiche che i ragazzi si rivolgono sono soprattutto riguardanti
il loro aspetto corporeo. Molti ragazzi ad esempio criticano il
naso o le gambe diverse.
Queste critiche e giudizi negativi diminuiscono con il progredire
dell’età, quando è aumentata una graduale accentazione del
proprio corpo. Molti soggetti riconoscono che le preoccupazioni
di un tempo erano, in effetti, esagerate.
Anche per quello che riguarda la personalità la situazione è
caratterizzata da insoddisfazione e tensione al cambiamento.
Soggetti che si sentano timidi, poco sicuri di se stessi, oppure
poco intelligenti.
Devo sottolineare che questi stati d’animo sopraccitati,
frequentemente sono causati dal giudizio degli altri, per gli
atteggiamenti che assumono, i giudizi che esprimono e le
impressioni che si pensa potrebbero avere.
Ecco alcune testimonianze.
I 16 anni sono stati per me gli anni più critici: non mi piacevo
assolutamente, mi sarebbe piaciuto essere diverso, o meglio
avrei tanto voluto piacere a tutti. Avevo l’impressione che gli
altri non sentissero assolutamente la mia presenza.
Ho cercato di combattere la mia timidezza, e adesso mi
giudicano estroversa, anche se continuo a vivere abbastanza
emotivamente molte situazioni. Ora non considero più la
timidezza come un difetto, forse perché anche diverse persone,
46
mi hanno aiutato a capire, sebbene non debba farmi dominare
dalla timidezza, devo in ogni caso non essere falsa e rimanere
me stessa, non è un disastro diventare rossa. Ricordo però che
intorno ai 15 anni temevo di essere destinata a rimanere per
sempre una ragazza banale e senza personalità se non fossi
riuscita a diventare estroversa.
Gli adolescenti quando sono consapevoli di non avere certe
qualità altamente desiderabili possono indurre con più frequenza
di prima un soggetto a contrapporre ad esse, altre qualità che
sente di possedere pienamente. Per esempio “ s o n o
fondamentalmente timida, non sono capace di imporre la mia
persona agli altri, di entrare in un gruppo senza essere
esplicitamente invitata, e quindi mi è difficile farmi degli amici in
questo modo; però sono capace di stare ad ascoltare gli altri, di
interessarmi ai loro problemi, e ho anche notato che, grazie a
queste mie qualità, sono gli altri che prima o poi mi cercano, per
sfogarsi, per confidarsi, qualche amicizia si è venuta formandosi
così”.
La personalità del ragazzo è influenzata anche dal suo passato
che è legato al suo presente, infatti, nel riflettere sul proprio
passato, un adolescente può riconoscere che certe scelte o certe
azioni che ha compiuto alcuni anni prima, sono proprio sue: qui
si nota la continuità, anche sul piano psicologico, fra ciò che si è
e ciò che si è stati.
Tuttavia accanto a questa continuità si può manifestarsi delle
dissonanze, riconoscersi gli stessi che in anni precedenti hanno
compiuto certe esperienze, ma di essere anche diversi per il fatto
di avere ora una visione della realtà più ampia e articolata e
nuovi interessi.
Nello sviluppo del Sé, si fa strada nell’adolescente la
consapevolezza che l’immagine che egli ha di se stesso è in larga
misura determinata dalla quantità e dalla qualità dei rapporti
interpersonali che egli ha con gli altri: l’essere membro di un
gruppo o il rapporto con i coetanei.
La dimensione sociale del sé non è un fenomeno soltanto
adolescenziale poiché anche il bambino vive un legame molto
intenso con i suoi genitori ma nell’adolescenza, lui è consapevole
47
di queste “appartenenze”, di conservare i ricordi delle esperienze
compiute, può riflettere e decidere.
Un ulteriore componente dell’immagine di sé è l’idea di ciò che
si vuole diventare, la rappresentazione cioè di un insieme più o
meno ricco di possibilità con le quali ci si commisura, e di cui
una o alcune qualità possono gia emergere con forza, assumere
un primato. Abbiamo visto, quindi, che l’immagine di sé è legata
al passato ma è aperta verso il futuro assumendone il carattere di
dinamicità.
Mette cioè in rilievo, e fa sentire con maggiore intensità, certi
limiti personali (tratti di carattere o ai rapporti con gli altri) così
l’esigenza di superare tali limiti, e pone anche le premesse
necessarie per la realizzazione di un certo “progetto di vita”.
Abbiamo gia detto che lo sviluppo dell’sé inizia nei primissimi
anni di vita, questo processo è condizionato da alcuni fattori: le
esperienze personali, il giudizio degli altri e i modelli di
riferimento.
Per quanto riguarda le esperienze personali è molto importante
per il bambino vivere un ampia gamma di esperienze attraverso
ad esse il bambino può sperimentare la presenza di certe qualità
personali (la paura in certe situazioni, leggere, scrivere oppure il
senso di essere non essere capace di fare bene certe cose).
Quando il bambino cresce anche l’esperienze che egli fa
cambiano sia nelle modalità con qui l’individuo compie queste
esperienze, sia le modalità con le quali elabora il proprio impatto
con esperienza.
Da queste esperienze che il bambino e l’adolescente ricevono di
volta in volta una sorta di “giudizio di realtà”: è l’incontro o lo
scontro con la realtà e con certe sue specifiche richieste che dice
loro se sono adatti, e preparati, per fare certe cose, oppure no.
È evidente i danni che può produrre, anche per lo sviluppo del
Sé, un’atmosfera iperprotettiva, che riducendo le occasioni di
affrontare con le proprie forze situazioni che presentano qualche
difficoltà riduce anche di molto questi “giudizi di realtà”. I
genitori possono favorire lo sviluppo nel bambino dell’idea di sé
garantendogli anzitutto la possibilità di una ricca e varia gamma
di esperienze personali in condizioni in cui proprio dalle cose, dai
risultati giungano al bambino indicazioni utilizzabili, oltre che
per la conoscenza della realtà, anche per la conoscenza di sé.
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Al giudizio della realtà è molto importante anche il giudizio degli
altri.. Tutti i giudizi che riceviamo dagli altri influiscono
decisamente sulla personalità. I giudizi possono essere positivi
come la lode, l’incoraggiamento oppure negativi, svalutativi
come “tu non sei ancora capace” “tu sei un timido”. Noi finiamo
col sentirci ciò che gli altri pensano e dicono di noi, soprattutto se
essi sono concordi nei loro giudizi come gli insegnanti.
I mutamenti in funzione dell’età riguardano qui soprattutto la
natura di questi interlocutori. Nell’infanzia essi sono i genitori e
gli insegnanti; nell’adolescenza accanto a questi adulti, cresce
l’influenza di altri interlocutori esterni alla famiglia come i
coetanei e il gruppo che funge da “specchio”per ciascuno dei
suoi membri.
Nel corso dello sviluppo cambiano anche i modelli di
riferimento, nell’infanzia sono i genitori i quali vengono
idealizzati, a volte gli insegnanti se amati e ammirati, nella
adolescenza queste figure tendono ad essere sostituite dagli amici
delle stessa età o superiore. (Peter, 1992)
2.4 L’IDENTITÀ SESSUALE
La determinazione del sesso non è soltanto quella biologica che
si determina con la nascita ma l’identità sessuale è un processo
che viene elaborato nella mente attraverso processi inconsci, a
partire dall’infanzia.
La formulazione dell’identità sessuale si scontra con lo sviluppo
affettivo e sessuale del figlio all’interno della famiglia, infatti,
sono i genitori i primi modelli in cui ciascuno di noi si può
riconoscersi o che può rifiutare identificandosi o meno nella
figura del padre e della madre.
Quest’identificazione o rifiuto non riguardano solo le persone
reali dei genitori ma anche le loro rappresentazioni interiori che
ognuno ha dentro di sé dai primi anni di vita.
L’identificazione nel maschio o nella femmina non segue mai un
processo unidirezionale: anche quando si identifica in modo
predominante nel padre, il maschio tende quasi sempre a
integrare nella sua personalità anche aspetti femminili presi dalla
49
madre, mentre la bambina può riconoscersi in alcune
caratteristiche del padre che corrispondono al suo ideale di io.
In questa alternanza di identificazioni entra anche in gioco i
sentimenti e le emozioni che ciascuno di noi ha vissuto nel
“triangolo familiare” (complesso d’Edipo).
L’amore appassionato ed esclusivo per uno dei genitori non è
mai privo di forti pulsioni aggressive, suscitate non solo dalla
gelosia, ma dalla paura del rifiuto e dell’abbandono, mentre i
sentimenti di ostilità e di invidia per il rivale sono spesso
temperati dall’ammirazione e dal desiderio di emulazione. Se, ad
esempio, nel legame con la madre prevalgono le pulsioni
aggressive, può succedere che la figlia si identifichi molto di più
nel padre senza che a questa “identificazione invertita”
corrisponda anche un inversione delle tendenze sessuali
Nell’identità sessuale di ciascuno di noi confluiscono sia
elementi maschili che femminili come affermava Freud “ in
nessun individuo di normale costituzione, maschile o femminile,
mancano tracce dell’apparato dell’altro sesso.”
È nella capacità di innamorarsi e di provare attrazione per l’altro
sesso che il desiderio d’amore trova il suo sbocco più naturale e
completo. Un amore eterosessuale in cui la soddisfazione dei
desideri affettivi e delle pulsioni erotiche coincide con la
procreazione. La differenza sessuale viene vissuta nel segno di
una reciproca mancanza che si contempla e si integra a vicenda
nell’amore.
Le pulsioni affettive ed erotiche vengono investite su persone
dell’altro sesso, mentre vengono rimosse le componenti
autoerotiche e omosessuali, senza scomparire del tutto, infatti,
permane una bisessualità interiore che permette la comprensione
e l’attrazione fra i due sessi. Come diceva Freud, “nell’amore si è
sempre in quattro: non solo lui e lei, ma anche il doppio
femminile e maschile che ciascuno di noi nasconde dentro di sé”.
Nel maschio il primo amore è e resta la madre: una figura dalla
quale la figlia è invece costretta a staccarsi per potersi avvicinarsi
al mondo maschile e trovare nell’amore del padre la conferma
della propria femminilità. Anche per il maschio la sofferenza è
molto aspra ed i sentimenti di rivalità e odio nei confronti del
padre sono molto forti ma non rappresentano né un abbandono o
un tradimento come avviene per la figlia.
50
Nell’adolescenza il desiderio infantile di prendere il posto del
padre accanto alla madre viene sostituito dalla spinta a essere
come lui: una forma di emulazione che agisce quasi sempre in
modo sotterraneo, come se il codice maschile che il ragazzo sta
elaborando dentro di sé fosse completamente scisso da quello
paterno che spesso contesta apertamente. Questo modo di
comportarsi può portare il sorgere di conflitti tra il ragazzo e il
padre, soprattutto quando l’adulto non tollera lo sguardo critico
del figlio su di sé e lo ricambia guardandolo in modo altrettanto
critico. Nonostante questa sfida l’adolescente cerca di prendere
dal padre le qualità virili che suscitavano la sua ammirazione
anche da bambino: come la forza interiore, la sicurezza,
l’autorevolezza e il suo muoversi nel mondo ed assume dal padre
un carattere morale: un atteggiamento verso la vita e le relazioni
con gli altri. L’identificazione con il padre appare più difficile
quando il padre è un uomo debole, dall’identità irrisolta che
esprime valori contradditori. Quando la figura paterna è
ininfluente sia perché è dominata da quella materna o per il suo
carattere onnipotente e timidatorio; il ragazzo può cercare altre
figure maschili dove identificarsi. Ai modelli alternativi
dell’infanzia come i nonni, uno zio ora si aggiungono nuove
figure di riferimento che il ragazzo trova all’interno del gruppo,
fra gli insegnanti: persone che ammira e si affeziona ottenendo in
cambio un affetto e una stima che rafforzano la sua fiducia in se
stesso e nelle proprie capacità.
Oltre alla figura paterna anche quella materna influenza in modo
particolare la personalità del ragazzo. Gli effetti sia positivi che
negativi della figura materna sulla personalità del ragazzo
dipendono in parte dal carattere e dagli atteggiamenti della madre
reale, e in parte dalle proiezioni fantastiche che il figlio fa su di
lei, a cominciare dall’infanzia.
La rappresentazione della madre nell’inconscio non è uniforme a
quella della realtà essa appare come una figura minacciosa che
può portare dell’inquietudine e mette in evidenza quello che la
coscienza nega. Quando appare spesso la figura materna come
una “strega” e quasi mai di fata benefica è probabile che nella
vita reale del figlio la madre rappresenta una minaccia e non di
affetto e di protezione. Di conseguenza il ragazzo tende a
51
rimuovere dalla coscienza gli aspetti più ambivalenti del rapporto
con la madre.
La conquista dell’identità femminile avviene con l’abbandono e
del tradimento del primo oggetto d’amore, la madre. Pur avendo
rinnegato la figura del suo primo oggetto d’amore, la figlia
continua a desiderare e avere nostalgia di quella figura protettiva
dell’infanzia. Questo conflitto edipico per la ragazza può essere
molto tortuoso e difficile al punto di mettere in gioco la sua
femminilità nella conquista del mondo maschile.questo può
succedere quando la paura di perdere la madre è più forte del
desiderio di conquistare la propria femminilità oppure quando la
madre rivive nel legame con la figlia i propri conflitti irrisolti.
Anche una figura paterna troppo debole può impedire alla figlia
di fare il salto dall’universo maschile a quello femminile,
dall’amore della madre a quello per il padre. Questo comporta
per l’adolescente entrare nel gioco della femminilità
assumendone un carattere femminile e in molti casi tenderà a
rinviare i primi amori e il rapporto con l’atro sesso sarà soltanto
di amicizia.
La figura materna può influire in maniera decisiva sull’identità
femminile attraverso processi di identificazione o di rifiuto. in
questo rapporto si sviluppa la personalità della ragazza. Può
succedere quando nella figura reale della madre si accentuano le
caratteristiche meno positive della figura materna:come la
volontà di possesso sulla figlia, per esempio quando il rapporto
madre/figlia è più coinvolgente nel bene e nel male di quello col
padre bloccando il passaggio alla fase edipica dello sviluppo.
L’identità femminile può perciò strutturarsi come un “complesso
materno” . il più evidente è lo sviluppo di una ipertrofia delle
componenti materne,con la tendenza a considerare l’uomo come
un accessorio, uno strumento di riproduzione e a immedesimarsi
negli altri con forme di altruismo e la volontà di possesso
rischiano di prevalere in modo del tutto inconsapevole
sull’amore.
La figura materna può influire sulla personalità della figlia in
modo opposto a quello ipertrofico provocando una specie di
paralisi dell’istintuità femminile non solo sul piano erotico ma
anche su quello materno. È il caso dell’adolescente che continua
a vivere all’ombra della madre:una figura inaccessibile, alla
52
quale guarda con devota ammirazione e un profondo senso di
inferiorità, al punto da evitare qualsiasi esperienza che la ponga
sul suo stesso piano, a cominciare da quelle sessuali.
Per difendersi da una figura materna troppo possessiva,
soffocante, la figlia può reagire rifiutando ogni componente
materna della sua identità e accentuando la dimensione erotica
del potere femminile.
È la figlia edipica eterna rivale della madre, che non abbandona
mai le fantasie incestuose infantili.
Il suo scopo non è quello di trovare un (oggetto d’amore), ma di
portarlo via a un'altra, l’eterna rivale. Di qui la tendenza a
innamorarsi quasi sempre di ragazzi già impegnati e di uomini
sposati.
Anche in questo caso, a condizionare il destino della figlia
continua a essere la figura materna: non è per se stessa che vive
la sua intensa vita erotica, ma contro la madre.
Il legame tra madre e figlia oscilla spesso fra un eccesso di
vicinanza, e un eccesso di lontananza e di rifiuto. In alcuni casi
può indurre la figlia a una presa di distanza siderale da tutto ciò
che rappresenta la figura materna, da cui è necessario fuggire. È
la figlia che costruisce la sua identità femminile per contrasto
rispetto alla madre: può essere tutto tranne come lei. Se i conflitti
non vengono superati a questa età, quando ogni trasformazione
dell’identità sessuale e della struttura della personalità è ancora
possibile, il riferimento materno continuerà a influenzare, sia
pure “al negativo”, il suo destino di donna, inducendola
inconsciamente a fare le sue scelte non tanto per se stessa ma
contro la madre.
La resistenza a fare propri gli aspetti più concreti della figura
materna può tradursi in una scarsa abilità manuale, nella
tendenza a “combinare disastri” quando maneggia gli oggetti o i
occupa della casa.
Privilegiando la razionalità, la figlia sviluppa un’identità che
appare più vicino meno estranea al mondo maschile. E questo la
rende nell’adolescenza come nella vita adulta, la compagna
ideale del ragazzo o dell’uomo . con il tipo di ragazza che appare
più “figlia del padre”che della madre forse non nasconde grandi
passioni. Può nascere invece un rapporto d’amore in cui i partner
53
ritrovano anche quei sentimenti di fiducia e lealtà reciproci che
caratterizzano l’amicizia virile. ( Veggetti Finzi, 2000)
2.5 LIBERTÀ E VALORI IN ADOLESCENZA
Le cronache del nostro tempo portano alla ribalta un numero
sempre maggiore di episodi sconcertanti che riguardano i
giovani: adolescenti pieni di rabbia, frustrati e disagiati si
sfogano in lanci di pietre dall’alto dei cavalcavia, o uccidono per
impossessarsi di uno scooter o per una maggiore libertà, o
altrettanto tragicamente, rivolgono la violenza contro se stessi,
usando droghe o intraprendendo comportamenti rischiosi; per
esempio l’uso di sostanze stupefacenti o in guide spericolate.
Bisogna domandarsi che cosa c’è dietro tale malessere giovanile?
Gli adolescenti non sembrano avere consapevolezza dei propri
doveri rispetto a se stessi e agli altri, né progettano di far valere i
propri diritti. Spesso non sanno perché sono arrabbiati con il
mondo intero. Ma una motivazione del loro disagio esiste. È la
forte preoccupazione di non saper verso quale meta stiano
procedendo.
54
Forse perché la società attuale è povera di valori , priva di
contenuti. Ecco allora i ragazzi più fortunati fanno sport,
navigano in internet, quelli meno fortunati stazionano davanti ai
bar, invidiano quelli che hanno di più, si annoiano per lunge ore
in attesa di qualche cosa di molto speciale. Pochi intravedono una
meta per cui valga la pena impegnarsi. I ragazzi non conoscono
risposte accettabili agli interrogativi che pone loro la realtà e non
riescono a pianificare percorsi di vita affascinanti e coinvolgenti.
Spetta agli adulti esser credibili, capaci di proporre modelli e di
offrire insegnamenti coerenti in grado di far scoprire ai giovani le
risposte autentiche che la condizione adulta richiede. (Crosera,
1999)
L’adolescenza è il periodo delle incertezze e delle scelte rischiose
riguardanti la scelta della scuola superiore, dell’lavoro e
dell’amore. I ragazzi amano compiere dei rischi, come le guide
spericolate in motorino, non indossare il casco oppure passare
con il semaforo rosso. In cerca di una nuova libertà, di
autonomia, di una nuova emancipazione dalla famiglia. Ma è
questa la vera libertà che cercano i ragazzi? Il fuggire nel ignoto
della notte, o il chiudersi in discoteche assumendo sostanze
stupefacenti come l’estasi, oppure per farsi notare non trovano di
meglio se passare con il semaforo rosso sfidando la morte.
Vivere con i ragazzi di 13-14 anni per un genitore è scuramente
difficile ed impegnativo. Diminuisce il tempo del dialogo, in
quanto i ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo fuori
casa (a scuola, attività sportive) e rincasano solamente alla sera. I
genitori si lamentano e si preoccupano di questi comportamenti
dei propri figli, ma la preoccupazione non è esclusivamente
inerente all’ora che rientrano in casa ma dove hanno trascorso il
tempo e con chi?
Nei ragazzi aumenta la spinta verso una maggiore libertà e
autonomia e nuove esigenze che incrementano la preoccupazione
nei genitori come le uscite serali, l’acquisto del motorino o
andare in vacanza da soli. Si tratta di stabilire nuove regole,
permessi e divieti. E non sempre è facile sono ragazzi abituati fin
dall’infanzia ad avere tutto. Forse troppo. E non si aspettano che
gli venga negato qualcosa, proprio ora che non chiedono oggetti,
55
beni di consumo, ma nuovi spazi di libertà, di autonomia, di
indipendenza.
Il desiderio di emancipazione costituisce una spinta vitale che
assume un profondo significato esistenziale. L’adolescente è
consapevole di essere di fronte a una tappa importante della sua
vita, che egli deve vivere in tutta la sua complessità se vuol
lasciarsi alle spalle il mondo protettivo dell’infanzia e diventare
adulto. Lo scenario familiare appare sempre più limitato: i
ragazzi vogliono uscire,mettersi alla prova, rischiare pur di non
rimanere fermi nell’immagine del buon figliolo.
D’ora in poi i legami familiari possono apparire in contrasto con
le naturali esigenze della crescita, se non cambiano la loro natura
adeguandosi alle trasformazioni in atto nella piena adolescenza:
una stagione nuova della vita, il clima affettuoso e protettivo
contano molto meno del desiderio di libertà, con tutti i rischi che
comporta.. le manifestazioni di affetto, di cura, di tutela non
hanno più il segno positivo che avevano nell’infanzia, ma
appaiono inopportune e controproducenti per l’adolescente. I
ragazzi vogliono lasciare la famiglia allontanarsi dallo sguardo
amorevole e apprensivo dei suoi genitori. E per far questo,
allontanarsi, prendere le distanze, vivere in prima persona la
propria vita, è necessario mobilitare le energie aggressive. È
questo il compito più importante della crescita la separazione dai
genitori.
Per i genitori le nuove esigenze di libertà appaiono quasi sempre
eccessive , rischiose. Ma nell’allontanarsi da casa i ragazzi non
sono quasi mai così sprovveduti come sembrano: soprattutto se
hanno costruito dentro di sé, nei lunghi anni dell’infanzia e della
prima adolescenza, una sicurezza di base che infonde loro fiducia
e speranza.
Durante gli anni dell’infanzia i bambini chiedevano di poter
uscire ma la loro richiesta avveniva soprattutto nel periodo estivo
e d’era concentrata in poche ore e in luoghi vicini a casa. Adesso
la richiesta non è più di alcune ore ma si tratta di far tardi. Per i
ragazzi la festa comincia a partire dalle ore piccole. Molti ragazzi
non sanno dove trascorreranno il loro tempo, prima di decidere
cosa si fa stasera il gruppo passa una quantità di tempo a vagliare
le possibilità, qualunque cosa decidono faranno sempre tardi. È
necessario, per i genitori, fissare un orario che possa essere
56
presubilmente rispettato. E revocare temporaneamente il
permesso di uscita serale, quando la regola viene trasgredita.
Senza sentirsi offesi da questa trasgressione: quando si pone un
divieto, è inevitabile che avvenga. Meglio attardasi con i coetanei
a sfidare la punizione dei genitori, piuttosto tornare a essere il
bambino che corre a casa per paura di mamma e papà.
Un ragazzo è veramente cresciuto finché è in grado di fare
qualche cosa che i suoi genitori non approverebbero.
L’importante è che trasgredisca non solo per il gusto di
trasgredire, ma perché sente di essere nel giusto. ( Veggetti Finzi,
2000)
Per molti ragazzi la notte è sinonimo di discoteca o di
intraprendere comportamenti rischiosi per sé e per gli altri, vivere
le esagerazioni di queste notate è l’occasione per uscire
dall’anonimato, per soddisfare un bisogno di protagonismo
esasperato: si prova un momentaneo senso di onnipotenza, ci si
sente paradossalmente “vivi” mentre si rischia di morire. La
discoteca è il luogo in cui ci si stacca da tutto, dal sistema del
quotidiano, dalla scuola, che per quanto interessante rappresenta
un percorso rigido. In discoteca luci e colori sono diversi, tutto
sembra dettato da una fantasia pura, astratta. La musica dà un
senso di esaltazione, per poter ballare fino a non poterne più, per
rompere ogni legame con il quotidiano, per essere liberi, per
uscire dalla “tomba” della settimana. Questa libertà, molti
ragazzi la trovano nella musica che gli faccia dimenticare il senso
di vuoto. È qualcosa da consumare “qui e subito”, come i
rapporti, la moda, l’alcol, l’ecstasy perché la parola futuro copre
solo la distanza tra un fine settimana e l’altro. (Crepet, 2001)
Occorre dare ai figli regole chiare, un orario di rientro che deve
essere rispettato, una paga settimanale adeguata e da gestire bene,
per far capire il valore del denaro, no alle richieste “voglio tutto
e subito.”
Per buona parte dei ragazzi di oggi. Il fascino della notte si è
accentuato. Certo, sono meno controllati dai genitori, ma
probabilmente il giorno insinua in loro una forma di sottile
disagio, fa emergere una difficoltà di relazione con il mondo
adulto. Amano la notte perché è l’unico momento della loro vita
in cui gli adulti sono assenti. La notte è un tempo svincolato
dall’ansia, dalle richieste. Quando viene la sera gli adulti
57
finalmente dormono. E loro possono respirare. Iniziano le ore in
cui il giudizio è sospeso. La notte è lo spazio dove le emozioni
vagano più libere, come la fantasia. Di notte si può sperare di non
essere riconosciuti, soppesati e analizzati.
Si va in discoteca per abitudine:essa rappresenta un luogo di
incontro e di scambio di sensazioni, al quale la società non offre
alternative. Le discoteche non sono tutte uguali: si distinguono
per il tipo di musica che si ascolta e di conseguenza per il tipo di
frequentatori,poiché ciascun gruppo giovanile si riconosce in un
particolare genere musicale. Rumore molto forte, stordante come
quello delle discoteche può portare seri rischi ai ragazzi; i
giovani sono sempre più esposti a livelli sonori traumatizzanti a
causa delle sofisticate tecnologie di ascolto musicale dove
vengono superati i 100 decibel per più ore, mentre il limite
massimo di tollerabilità per l’orecchio umano è di 102 decibel
per soli 30 minuti. Lo stress acustico può sommarsi poi agli
effetti della stanchezza fisica, dell’assunzione di stupefacenti e di
alcolici e contribuire sensibilmente al verificarsi di incidenti
talvolta molto gravi. (Crosera, 1999).
Gli adolescenti devono intraprendere un nuovo rapporto con il
denaro e questo nuovo rapporto non è mai facile . tanto meno per
i ragazzi che verso i quindici anni chiedono una somma tutta per
sé, da amministrare secondo il proprio desiderio, senza dover
render conto ai genitori. Il valore del denaro consiste per
l’adolescente non nella capacità d’acquisto ma nella possibilità di
ottenere margini di autonomia. Le spese possono essere anche
inutili,questo non è importante, sono comunque compere che ha
fatto lui, senza chiedere permesso a nessuno,e che non intendono
fornire delle giustificazioni.
Fino ai quattordici anni i soldi personali sono un optional elargito
dai genitori e dai familiari per esempio la paghetta settimanale.
La situazione cambia con l’inizio delle scuole superiori quando i
ragazzi rimangono fuori per gran parte della giornata e le loro le
esigenze aumentano come la compera dell’abbonamento
dell’autobus. Anche i fine settimana si fanno più impegnativi. Le
uscite al cinema o nei pub sono frequenti. È a questo punto che si
pone la questione del denaro. Non si tratta solo di un problema
economico da valutare in base a precisi dati di realtà: le
possibilità dei genitori e le esigenze dei ragazzi. Invece di
58
contrattare ogni volta la somma di cui hanno bisogno, è meglio
stabilire ogni anno una cifra settimanale o mensile da concordare
insieme , in base alle nuove esigenze del figlio oltre che del
reddito familiare, evitando gli eccessi. Se si danno al ragazzo
troppi soldi lo si abitua allo spreco, se gliene si danno troppo
pochi lo si costringe all’avidità , oltre a rendere necessari
continui aggiustamenti. Quando la cifra viene attribuita
dall’padre spesso la madre non si ritiene vincolata all’accordo. E
si sente libera di arrotondare la cifra quando i ragazzi glielo
chiedono.
Il buon uso del denaro s’impara attraverso prove ed errori, può
accadere che i ragazzi spendono male i loro soldi e bisogna
evitare assurde e inutili minacce del tipo “non ti do più i soldi
tanto li butti via!” meglio aiutarli a comprendere l’errore
commesso senza farli sentire degli incapaci. Anche se sembrano
sicuri di sé sino alla sfrontatezza, in realtà sono ancora molto
fragili: basta un giudizio senza attenuanti per precipitarli
nell’insicurezza e nella sfiducia . Ciò che non si può monetizzare
sono gli affetti. Il denaro compera molte cose ma non tutte. E
questo i ragazzi sono i primi a capirlo, contrastando la logica
della società che pone il potere dei soldi al di sopra di tutto.
Un ulteriore problema che può portare ansia e inquietudine nei
genitori sono le vacanze estive, in quanto il solito luogo di
villeggiatura non basta più. Ora invece vogliono fare un viaggio
da soli, con nuovi compagni scelti da loro, non è una questione di
soldi: spenderanno pochissimo. Il vero problema è l’ansia dei
genitori di fronte a questa nuova richiesta di libertà, di
autonomia. Non è importante se hanno fatto esperienze
preparatorie come un campeggio scout, quando viene meno la
presenza organizzativa degli adulti e il progetto passa
completamente in mano ai ragazzi, i genitori provano spesso una
sensazione di strano sgomento. Nascono numerose paure nei
confronti dei ragazzi, grazie alla loro ingenuità o immaturità. I
ragazzi per far contenti i genitori non mancheranno di andare in
vacanza dove sono sempre andati: ma solo per poco, magari per
ritrovare gli amici che avevano. Ma quello che desiderano ora è il
fascino del viaggio, l’ebbrezza della libertà. È il gruppo
eterosessuale che sta per intraprendere il viaggio la massima
preoccupazione per i genitori, soprattutto per le ragazze
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considerate indifese in balia dei compagni maschi. In realtà i
ragazzi sono poco propensi agli eccessi erotici immaginati dai
genitori, quando nel gruppo tende a prevalere un clima
amichevole. Non si tratta di proibire il viaggio, ma di valutare
bene la compagna e il programma , sollecitando il senso di
responsabilità che sempre si accompagna all’autonomia. Inutile
attendere che chiamino tutti i giorni per raccontare tutti i loro
spostamenti, essi chiameranno raramente per non cadere
attraverso le parole in quella forma di dipendenza dalla quale si
stanno svincolando.
Si può domandarsi se è una fortuna avere dei figli che non
chiedono nulla, che fanno sempre le stesse cose, senza avanzare
alcuna rivendicazione di libertà e di autonomia. Ai genitori non
chiedono nulla di più di quanto ricevono. Questo comportamento
passivo contraddice le tumultuose metamorfosi dell’adolescenza.
Questo comportamento ha radici nell’infanzia , quando ogni
piccola manifestazione di autonomia veniva frustrata e repressa
invece di essere accolta dai genitori con orgoglio ed entusiasmo.
Se i genitori non sono in grado di stimolare e sostenere con un
sufficiente appoggio emotivo questa esigenza fondamentale dello
sviluppo, ma tendono invece a soffocarla con atteggiamenti
ansiosi e iperprotettivi, esercitano una funzione d’inibizione sul
rapporto del figlio con il mondo esterno.non sempre la tendenza a
inibire la spinta innata verso l’autonomia e l’indipendenza si
esprime attraverso divieti espliciti diretti: basta che il figlio
colga sul volto della madre un’espressione terrorizzata non
appena prende una sua iniziativa per sentirsi bloccato.
Per sconfiggere insieme alla paura lo stato d’inedia che ne deriva,
il ragazzo può a volte passare improvvisamente dall’inibizione
dello spirito d’avventura al suo eccesso, ponendosi in situazioni
di reale pericolo: le esperienze rischiose gli consentono, infatti, di
allontanare da sé la profonda percezione di essere un individuo
fragile e incapace. ( Veggetti Finzi, 2000)
Il desiderio della moto è una di quelle eventualità che gettano i
genitori nel panico. Causa di questa perplessità e derivata dalle
statistiche degli incidenti stradali.
Le ragioni del loro desiderio non sono esclusivamente di tipo
pratico (andare a scuola) o consumistico (ce l’anno tutti). Ma il
motorino diventa un mezzo per spaziare liberamente per la città,
60
e di allontanarsi il più possibile da casa è proprio questo
l’esigenza principale nel desiderare il motorino l’emancipazione
dalla famiglia. Senza questo mezzo i ragazzi si sentirebbero
esclusi dl gruppo. Bisogna imporre delle regole inderogabili: uso
del casco, conoscenza del codice della strada, divieto di caricare
amici. Sono regole che non ammettono trasgressione: se il
ragazzo le infrange, tornerà alla vecchia bicicletta.
Purtroppo le recenti indagini statistiche hanno dimostrato
un’ostilità verso l’uso del casco. Chi ne fa uso, inoltre, lo utilizza
per ripararsi dalla pioggia e dal freddo più che per proteggersi in
caso di caduta. I ragazzi non si rendono nemmeno conto dei
pericoli che vanno incontro nel mancato utilizzo del casco. Le
spiegazioni danno a questo comportamento sono di tipo estetico
(il casco è antiestetico), vado piano, a che mi servirebbe il casco,
ignorando che anche una caduta a 10 km l’ora può essere fatale,
oppure d’ordine pratico (il casco è scomodo da indossare).
Alla fine i ragazzi danno una moltitudine di risposte, ma resta il
fatto che l’elemento sicurezza è quasi del tutto assente.
Eppure il casco sarebbe un mezzo estremamente semplice e poco
costoso per prevenire gli incidenti o almeno le possibili
conseguenze.
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Dov’è finito il dialogo con i ragazzi, forse durante la settimana
corriamo troppo immersi nelle nostre faccende quotidiane, il
tempo dedicato ai figli è sempre meno. Cosi facendo
costringiamo i ragazzi chiudersi nella propria stanza a cercare
falsi interlocutori attraverso internet e le chatt, oppure a
progettare dei piani diabolici, aspettando il sabato sera dove
finalmente si può uscire dalla solitudine della settimana, per
cercare nuove esperienze e per farsi notare quello che non si è
riusciti durante la settimana. Finito il sabato sera ecco ancora
piombare nella routine quotidiana fatta ancora di noia e di
solitudine.
Bisogna recuperare la Domenica, come un giorno da vivere in
famiglia, aperto al dialogo ma soprattutto all’ascolto, anche
durante la settimana è necessario ritagliare nell’arco della
giornata un po’ di tempo per dedicare ai figli, in famiglia è
indispensabile ritrovare il dialogo, che i ragazzi possano aprirsi
liberamente e che possano trovare nei genitori degli interlocutori
validi.
C’è una cosa, infatti, che i genitori temono di parlare a propri
figli del dolore e della morte. Si ricordano soltanto quando
compaiono all’improvviso come evento misterioso, tragico e
inevitabile.
In adolescenza si viene a creare un rapporto di repulsione e
attrazione con un fenomeno che dovrebbe avere carattere
naturale, comunque mai per opera volontaria dell’uomo.Sembra
che molti giovani concepiscono la morte in modo diverso. L’atto
di uccidersi o di uccidere possono essere considerati una sfida,
una prova di coraggio e di forza. È evidente il disagio di fronte a
un insegnamento che gli adulti si affannano a trasmettere: il
valore e la bellezza della vita.
Forse varrebbe la pena recuperare il valore dei cimiteri: oggi ci si
reca solo raramente a visitare le tombe dei propri cari, non ci si
va più con la famiglia o con i bambini. Ma di che cosa si ha
paura? Forse del silenzio? Nel cimitero non si può continuare a
correre: ci si deve fermare e si è portati a riflettere. Educare e
educarsi ad andare al cimitero tutti insieme e con regolarità può
diventare, un’occasione formativa in cui passato e presente
s’incontrano soprattutto grazie alla curiosità dei bambini. Nel
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scambiarsi le curiosità tra genitori e bambini emergono nuove
risposte nella continuità della vita che si scandisce nella
successione padri, figli e nipoti. La morte non sarà più soltanto
un evento crudele.
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CAPITOLO 3
ADOLESCENZA: L’ETÀ DEL CAMBIAMENTO
3.1 IL CORPO CHE CAMBIA
Come se la forma
della sua infanzia si
rivoltasse, in una lotta
drammatica,
prima di cedere alla sua
impazienza di crescere
( E.Morante)
Prima d’iniziare a descrivere i principali cambiamenti che
avvengono nell’adolescente è opportuno soffermaci su alcuni
termini come pubertà, preadolescenza e adolescenza.
• Pubertà: è la prima fase di sviluppo fisiologica, dove,
accade, l'attivazione di complessi sistemi ormonali grazie
ai quali l'individuo acquisisce nuove forme corporee,
cresce in altezza e sviluppa quelle caratteristiche sessuali
proprie dell'uomo o della donna. Al termine della pubertà
il ragazzo o la ragazza sarà in grado di procreare.
• L'adolescenza: è il passaggio dallo status sociale del
bambino a quello dell'adulto e varia per durata, qualità e
significato da una società all'altra e, all'interno della stessa
società, da un gruppo sociale all'altro. Fattori sociali
(condizioni nutrizionali e igienico-sanitarie) influenzano
certamente anche l'inizio della pubertà.
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• Il termine "preadolescenza" non è così utilizzato (almeno
in ambito psicologico) come gli altri due, o è utilizzato in
maniera riduttiva come una fase preliminare che precede
l'adolescenza stessa. (Palmonari, 1997)
È opportuno iniziare con lo sviluppo del corpo non tanto per la
sua visibilità ma per le notevoli ripercussioni psicologiche che
ha sui ragazzi.
La Doito definisce quest’età come una seconda nascita. Al
momento del parto il bambino viene separato dalla madre con il
taglio del “cordone ombelicale”. Ci si dimentica spesso che tra
madre e figlio esiste un legame straordinario: la placenta. La
placenta fornisce al bambino tutti gli elementi essenziali per
vivere e la sua protezione. Senza la placenta prima della nascita
non era possibile alcuna forma di vita ma, una volta nati, per
poter vivere è assolutamente indispensabile abbandonarla.
Durante l’adolescenza è necessario dire addio all’infanzia ed
abbandonare la protezione familiare, in altre parole tagliare il
legame con l’infanzia, come un tempo si è abbandonata la
placenta con il taglio del cordone ombelicale. Lasciare l’infanzia,
cancellare il bambino che è in noi, è una mutazione. (Dolto,
2001).
Talvolta si ha l’impressione di morire. È una mutazione veloce,
in alcuni casi troppo veloce. La natura lavora secondo ritmi
propri. Bisogna sopravivere e non sempre si è preparati.
L’addio all’infanzia non è indolore, ma reca sofferenza e
inquietudine nell’ragazzo perché si sa quello che muore, ma
ancora non si vede verso che cosa si sta procedendo.
In adolescenza il corpo varia alla velocità della luce. Ragazzi e
Ragazze cambiano nel giro di poco tempo e i segnali di questa
trasformazione sono davvero numerosi. Queste trasformazioni
fisiologiche sono difficili da vivere in quanto queste
trasformazioni si susseguono in rapida successione. Ragazzi e
Ragazze cambiano nel giro di poco tempo.
Questa metamorfosi comporta nei ragazzi, il non riconoscersi
più, si ricordano com’erano; di quell’aspetto così grazioso che
avevano da bambino, invece adesso si trovano in un corpo
sproporzionato difficile da gestire e sembrano dei “piccoli
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mostricciatoli”, ma soprattutto si scoprono non più bambini!
(D’agostini, 1996)
Grazie allo sviluppo degli ormoni ora il loro corpo è sessuato ed
esprime sensazioni nuove, mai provate, durante gli anni infantili
dove non c’era distinzione tra i sessi, sia i bambini che le
bambine vestivano allo stesso modo e le sensazioni di gioia e di
dolore e la percezione della propria tristezza era qualcosa che ci
adattavamo automaticamente, ma che sentivamo esterna a noi e
dalla quale potevamo solo difenderci. Il cambiamento che viene
nell’adolescenza non è l’unico, in quanto anche i bambini
crescono ma essi non sono consapevoli del loro sviluppo, invece
adesso gli adolescenti devono lasciare le attività, i giochi infantili
e la protezione della famiglia ma essi sono coscienti di
quell’enorme cambiamento che sta accadendo in loro, è questa
l’enorme differenza che c’è con l’infanzia, essi prendono
coscienza delle nuove sensazioni ed emozioni che il corpo
esprime. (Pellai, 2002)
Per la prima volta i ragazzi e le ragazze avvertono l’odore della
propria pelle e della sudorazione.Un odore che non sa più di
bambino, non è più tenero e indifferenziato ora evidenzia gli
umori, le secrezioni, di un corpo il cui sesso si rivela attraverso
l’olfatto. Questo nuovo aspetto del corpo reca nei ragazzi un
senso d’imbarazzo, un sentimento che bambini e bambine
reagiscono in modo diverso, lei è più attenta all’igiene personale
e alla cura del corpo invece il bambino tende a trascurare il
proprio corpo immergendosi nel suo odore, fino a perderne la
percezione.
In fondo sta semplicemente avvenendo quello che i bambini
avevano tanto atteso e desiderato diventare “grandi” avere un
corpo simile a quello di mamma e papà, ma ora che il sogno si
sta avverando si sentono presi alla sprovvista, come se non
fossero ancora pronti a questo grande evento.(Veggetti Finzi,
2000).
I pensieri non sempre sono capaci di sostenere il ragazzo nel
complesso processo di dare significato a quello che succede e
soprattutto a volte non lo aiutano a tenere insieme un’idea
coerente e positiva di sé. Per tutti è un momento tanto bello
quanto impegnativo; si sperimenta la sensazione che i
cambiamenti siano fuori d’ogni possibile controllo e per questo
66
potenziamene ansiogeni. I mutamenti che sperimenta durante la
pubertà non riguardano solo il fisico bensì tutte le sue emozioni e
il suo modo di pensare varia il suo modo di percepirsi e nello
stesso tempo si modificano i suoi modi di pensare alle persone
che gli stanno intorno, amici e famiglia e agli ambienti in cui
vive. (Pellai, 2002)
Ogni giorno l’adolescente s’interroga sul suo aspetto esteriore
come la fatidica domanda“chi sono io?”. I ragazzi cercano la
propria risposta nello sguardo e nell’giudizio altrui, che non sono
più i genitori ma i coetanei. Ecco che la ragazzina si sente
apprezzata e guardata in modo diverso da un compagno di classe
e si scopre attraente.
I giudizi positivi che riceviamo dagli altri ci danno la carica per
affrontare la vita e migliorare la nostra stima.
In quest’età si scoprono nuove sensazioni come la vergogna,
infatti, si arrossisse e sì a paura di confrontarsi e di essere
giudicati, ci si sente a disaggio con il corpo che sembra a sfuggire
al proprio controllo e a quell’immagine che si era andata
costituendosi negli anni. I ragazzi si sentono guardati e giudicati
in modo diverso, che non è più la famiglia ma sono i coetanei e il
gruppo è questo la paura del giudizio che gli fa arrossire poiché
temono di mettere a nudo le proprie sensazioni e di riconoscersi
ancora bambino in un corpo sessuato che sta procedendo a gran
velocità verso l’età adulta.
La crisi puberale può essere fonte d’ansia e di preoccupazione
per gli adolescenti ed in particolar modo per le ragazze: la
menarca compare improvvisamente senza che la ragazza sia
adattata alle sue trasformazioni corporee. La mestruazione viene
vissuta non come segno del proprio sviluppo, ma in modo
traumatico e considerata causa di imbarazzo, per esempio la
ragazza può sentirsi oggetto d’osservazione da parte dei
compagni di classe e vivere in modo ossessivo l’idea che sugli
abiti risulti traccia della propria condizione fisica.
Nei maschi la maturazione sessuale è un fatto meno drammatico.
I cambiamenti sono graduali e non comportano crisi. .(Veggetti
Finzi, 2000).
67
Cosa succede nella femmina?
Normalmente il primo segno di sviluppo puberale è rappresentato
dallo sviluppo delle ghiandole mammarie che inizia
generalmente verso i 10,5 - 11 anni. Lo sviluppo successivo del
seno è regolare ed è caratterizzato da un progressivo
ingrandimento delle ghiandole, dal delineamento del capezzolo e
dal raggiungimento della forma definitiva adulta al
completamento della pubertà.
Il seno rappresenta per la ragazzina il simbolo della sua
femminilità: un aspetto di sé che contribuisce a rafforzare non
solo la sensazione di essere bella e attraente, ma anche la sua
identità. Le ragazze osservano con grande interesse lo sviluppo
del seno suggerito dalla moda.
La consapevolezza di aver un bel seno compensa la ragazza del
disappunto provato da bambina nell’accorgersi che i maschi
avevano “qualcosa in più” e accentua la tendenza, già emersa
nell’infanzia, a spostare il valore fallico dell’immagine di sé dai
genitali all’intero corpo. La convinzione che il seno non
corrisponde al modello ideale, provoca spesso complessi di
inferiorità del tutto sproporzionati all’entità della presunta
imperfezione fisica. Quindi la ragazzina cerca di porre rimedio,
per esempio, la ragazzina convinta di avere un seno troppo
piccolo lo imbottisce pur di non offrire al mondo un’immagine di
sé così poco femminile e attraente, mentre la ragazzina che ha il
seno abbondante cerca di evidenziarlo il meno possibile.
Nonostante i vari stratagemmi messi in atto per ingrandire e
rimpicciolire il seno, resta nell’adolescente l’insoddisfazione per
il suo corpo e di non accettarsi come è e di piacersi come donna.
La ragazzina con il seno piatto tende spesso a sentirsi deprivata
di qualcosa d’importante: una mancanza che revoca la
castrazione infantile, non più fallica, ma femminile favorendo
un’immagine mascolinizzata.Viceversa chi ha un seno
abbondante ha più difficoltà di riconoscersi nel corpo, così
vistosamente diverso da quello infantile.
Tuttavia il senso di vergogna o di mancanza che un seno troppo
scarso o troppo florido suscita nelle ragazze si attenua nella piena
adolescenza quando si rafforza la stima di sé, la ragazza non
considera più la carenza o l’eccesso di seno come un grave
difetto, ma come un aspetto di sé che contribuisce a renderla un
68
tipo particolare, soprattutto se si accorge di piacere agli altri, sia
pure non riuscendo a piacersi completamente.
Le ragazze di solito non sono orgogliose dei loro organi genitali
esterni, le adolescenti hanno una scarsa conoscenza del proprio
corpo, evitano di guardarsi come “se ci fosse qualcosa di osceno
in quella zona del corpo” e se lo fanno provano un senso di
disgusto che può sconfinare nella vergogna e nella repulsione.
Sentimenti che difficilmente vengono provati da bambina quando
le differenze fra i sessi non esiste. Solo più avanti, man mano che
si sviluppa una maggiore integrazione fra mente e corpo gli
organi genitali esterni cesseranno di suscitare nella ragazza
sentimenti come vergogna e oscenità e verranno pensati come
qualcosa di naturale.
A facilitare questa nuova rappresentazione mentale del proprio
corpo nella sua interezza sarà l’incontro con l’altro sesso:
soprattutto quando dall’innamoramento nascerà una passione
amorosa che aumenterà il senso e il valore della differenza
sessuale.
L’attenzione delle ragazzine è maggiormente rivolta verso la
percezione degli organi interni: una nuova consapevolezza che
spinge a visualizzare la propria femminilità dedicando maggior
attenzione al proprio aspetto esteriore.
È difficile che nella pubertà le ragazzine trovino subito uno stile
personale, scegliendo la pettinatura il trucco o l’abbigliamento
più adatti a evidenziare le qualità e a nascondere i difetti.
Le adolescenti passano periodi dove tentano di strafare ad altri in
cui si lasciano andare a una trascuratezza che le fa apparire goffe
o deformi, oscillando fra i desiderio di esibire il proprio corpo e i
sentimenti di timore, pudore e vergogna che ancora suscita la
nuova immagine sessuata.
In questo periodo riemerge la vanità della bambina che verso i tre
anni si sforzava in tutti i modi di piacere a papà che assumeva le
sembianze del suo primo uomo dove poteva trovare la capacità di
essere amata e ammirata. Con la Pubertà, i sogni e le pulsioni
edipiche devono essere abbandonati per essere dirottate
all’esterno verso un mondo maschile pronto ad accogliere la
nuova femminilità della ragazza non più con l’atteggiamento
giocoso del padre ma con un coinvolgimento erotico che spesso
va oltre le stesse attese della ragazzina ancora legate alle fantasie
69
infantili piuttosto che al desiderio di una vera iniziazione
sessuale.
Le adolescenti sono molto vulnerabili al giudizio degli altri
soprattutto delle coetanee e la svalutazione dei compagni sarà
una ferita sulla stima di sé molto dolorosa soprattutto per chi da
bambina è stata considerata graziosa e che la pubertà l’ ha
trasformata in un “mostricciatolo” privo di particolari attrattive.
Non è facile abbandonare un’immagine infantile di sé centrata
sulla bellezza, valorizzando altri aspetti della propria personalità:
in particolare quando l’intima sofferenza provocata da una
trasformazione puberale non all’altezza delle aspettative infantili
è confermata anche dalla delusione dei genitori abituati ad essere
gratificati da una figlia bellissima della quale ora si sentono
traditi. Delusione che la ragazza avverte soprattutto nei confronti
del padre, che ora sembra guardarla senza vederla, come se il suo
corpo poco aggraziato fosse diventato invisibile o la guardo solo
per sottolineare i suoi aspetti negativi. Anche se si tratta solo di
una fase transitoria le delusioni per la trasformazione del corpo e
la ferita narcisistica torneranno a riaffiorare nella vita adulta.
Che cosa succede nel maschio?
Il primo avvenimento che contraddistingue la pubertà nel
maschio è la comparsa del liquido seminale che permette di
contraddistinguere la sua identità maschile. L’eiaculazione è la
conferma visibile di una capacità procreativa che coinvolge
l’interno del corpo e il suo organismo: sotto l’influenza degli
ormoni sessuali, i testicoli sono ora in grado di produrre gli
spermatozoi.
Il ragazzo si trova d’affrontare un evento imprevedibile
l’erezione che a differenza dell’infanzia ora si conclude con
l’emissione del liquido seminale suscitando spesso sentimenti
d’imbarazzo e di vergogna.
Il ragazzo s’accorge che qualsiasi emozione e stimolo può
evocare un desiderio che porta all’erezione. Un imbarazzante
trasformazione che può avvenire ovunque e in qualsiasi
momento.
Il ragazzo a desideri sessuali nuovi non più rivolti su se stesso
come avveniva nell’infanzia ma verso gli altri.Le pulsione del
ragazzo trovano sfogo nella masturbazione ed il raggiungimento
70
dell’eiaculazione, simbolo della procreazione, ora del piacere
solitario proietta il ragazzo nel mondo della sessualità adulta.
L’immaginario erotico del ragazzo comincia a riempirsi di nuove
fantasie da cui ogni riferimento familiare viene sostituito con
meccanismi dello spostamento o della sostituzione di persona.
In quest’immaginazione erotica c’è ancora poco spazio per le
coetanee. Oltre a svilupparsi più tardi di loro, il corpo
dell’adolescente continua a mantenere le caratteristiche un po’
goffe della fase prepuberale. Nella realtà ad attrarli non sono le
coetanee né le ragazze più grandi e non quelle che sostituiscono
la figura materna ma figure femminili che evocano una sessualità
e che non sono coinvolti sentimentalmente come la pornostar dei
fumetti che guardano da soli o con gli amici.
Anche per il maschio l’imprevedibilità del corpo presenta un
problema poiché esso sfugge al controllo della mente per seguire
i suoi impulsi.
Questa metamorfosi del corpo coincide anche con il massimo
delle pulsioni ormonali, non è facile per il ragazzo gestirle senza
sentirsi in preda a forme di ansia. È la fase in cui il bisogno di
controllo su ciò accade nel proprio corpo viene proiettato
all’esterno. Suscita nel ragazzo una particolare attenzione
all’ordine esteriore per il proprio aspetto per i propri oggetti o per
il proprio spazio vitale la cameretta.
Sebbene il ragazzo, viceversa che la femmina, trascura la pulizia
personale non esita di compiere qualche rituale estetico, che
richiede ogni giorno lo stesso tempo per esempio se pure con un
ritardo a scuola deve lasciare i capelli con il gel.
È il periodo delle grandi collezioni e degli hobby, delle vaste
conoscenze tecnologiche e informatiche.
Per il ragazzo collezionare significa riprendere possesso di
qualcosa che sostituisce il corpo che lo rappresenta e nello stesso
tempo fa da ponte con la realtà esterna. Un ruolo che svolge
spesso il computer con le sue regole prestabilite i suoi messaggi
puntuali che informano il ragazzo quando qualcosa non va, il
computer rappresenta una realtà virtuale che non tradisce mai il
ragazzo come invece fa il corpo con le sue pulsioni.
Il disordine caratterizza questa fase evolutiva del ragazzo
soprattutto nella cameretta con indumenti, giornali sparsi
dovunque ma è proprio in questo ambiente che il ragazzo si trova
71
a suo agio. E se qualcuno cerca di sovvertire questa situazione
per esempio rimettendo in ordine la camera il ragazzo si
arrabbierà e non riuscirà più trovare nulla. Mentre nell’infanzia
l’intrusione della madre era vista come un espressione d’amore
adesso suscita sospetto e rabbia come se volesse mantenere il
controllo sul figlio.
Esistono modi migliori per controllare e conoscere i figli che
rovistare fra le sue cose: come la capacità di prestare attenzione
al suo dialogo ed ascoltarlo.
Un altro problema che può far vivere l’adolescente un periodo
d’inquietudine è la statura per esempio il ragazzino troppo
piccolo si sente meno bello e attraente di altri e la può superare
soltanto se abbandonerà quell’immagine che si era creata negli
anni passati e da cui nasce una perdita di quell’uomo che sperava
di diventare e il ragazzo può compensare in diversi modi per
esempio diventare il più bravo a scuola o imparare a suonare uno
strumento.
Il ragazzo può cercare la compensazione anche fuori di sé
stringendo amicizie con ragazzi più forti della cui gesta
diventano complici fino a sfiorare dei comportamenti antisociali.
72
Questo handicap “statura” si riflette anche sulla personalità del
ragazzo c’è chi diventa litigioso, provocatorio o assume
l’atteggiamento di buffone del gruppo o chi mantiene
atteggiamenti infantili attirando su di sé la protezione altrui o al
contrario assume atteggiamenti d’adulto diventando il più maturo
del gruppo. .(Veggetti Finzi, 2000).
Le trasformazioni nell’età adolescenziale coinvolgono anche le
grandi funzioni fisiologiche come il cuore che aumenta di
volume, la frequenza del polso diminuisce, queste trasformazioni
coinvolgono anche l’apparato respiratorio, i polmoni aumentano
di volume e sì ampia il torace, diminuisce la frequenza del
respiro e aumenta la capacità vitale.
Le discussioni dei ragazzi sono sempre più centrate sull’aspetto
fisico, sulla bellezza.
Il corpo esprime i propri conflitti attraverso comportamenti
devianti come difficoltà di esprimersi, scarsa accettazione di sé
fallimenti scolastici ed insuccesso scolastico.
I ragazzi non parlano del proprio corpo, esso parla per loro
attraverso il modo di presentarsi: trucchi pesanti e stravaganti,
tatuaggi e piercing.
A questa esibizione si accompagna spesso una scarsa disinvoltura
e un disaggio profondo a esibire il proprio corpo.
Sembra che l’adolescente non apprezzi una delle poche libertà
dell’essere umano: l’essere irripetibile, assolutamente diverso
dagli altri. La diversità viene vista come una colpa, va coperta
d’indumenti identici a quelli degli altri.
Ho apportato una tabella dove sono descritti i principali
cambiamenti adolescenziali.
73
Sviluppo puberale maschile
Sviluppo puberale femminile
PRODUZIONE DI
TESTOSTERONE
Dai 10 ai 18 anni entrano in
funzione le ghiandole sessuali:
nei testicoli viene prodotto il
testosterone, l'ormone specifico
maschile.
PRODUZIONEDI
ESTROGENO E
PROGESTERONE
Dai 10 ai 18 anni vengono
prodotti l'estrogeno e il
progesterone, gli ormoni
specifici femminili.
MATURAZIONE DEI
GENITALI mediante
- pigmentazione e rugosità
dello scroto
- aumento volumetrico dei
testicoli;
- aumento del pene.
COMPARSA DELLA PRIMA
MESTRUAZIONE O
MENARCA
Talvolta l'irregolarità delle
mestruazioni, che tanto
preoccupano alcune ragazze,
sta semplicemente a indicare
un'immaturità degli organi
sessuali e, in mancanza di
disturbi organici, si supera con
il tempo.
PRIMA EMISSIONE DI
LIQUIDO SEMINALE
(eiaculazione)
COMPARSA DEI PELI
- nella zona pubica
nella zona ascellare
nella zona facciale (barba,
baffi)
SVILUPPO DEL SENO
caratterizzato da:
- comparsa del bottone
mammario
- formazione del tessuto
ghiandolare e comparsa del
capezzolo e dell'aureola.
CAMBIAMENTO DELLA
VOCE
dovuto alla trasformazione
della laringe (comparsa del
pomo di Adamo)
COMPARSA DEI PELI
- nella zona pubica
- nella zona ascellare
74
3.2 SVILUPPO INTELETUALE
Nel passaggio dall’infanzia alla pubertà si assiste all’evoluzione
di un nuovo modo di pensare, più maturo, più razionale e
astratto: il pensiero logico formale o ipotetico deduttivo, un tipo
di pensiero che ha molteplici riflessi sull’attività scolastica, sui
rapporti con gli adulti e sulla rappresentazione che un ragazzo ha
di sé e del proprio futuro. (Peter, 1990).
Un grosso apporto che si è avuto nello studio del pensiero è da
attribuire all’epistemologo svizzero Jean Piaget.
Piaget descrive lo sviluppo dell'intelligenza “come la costruzione
di un sistema o insieme di strutture logiche da parte del soggetto
che interagisce con l'ambiente”. La funzione dell'intelligenza è di
permettere all'individuo di adattarsi all'ambiente. (Palmonari,
1996).
Questo adattamento consiste in un equilibrio tra l'assimilazione
(la persona influenza l’ambiente e lo modifica per adattarlo alle
proprie possibilità) e l'accomodamento (la persona si adatta
all’ambiente, si lascia influenzare dall’ambiente e perviene a
nuove forme di comportamento.)
Per assimilazione Piaget intende le iniziative prese dal soggetto
per cercare di integrare l’ambiente nelle strutture già esistenti nel
proprio organismo.
Gli oggetti e le idee nuove vengono comprese e assimilate alla
luce delle idee e dei concetti già acquisiti. Per esempio si ha
assimilazione se una bambina di cinque anni, agli occhi della
quale gli uccelli sono esseri viventi che volano e hanno il becco e
le ali, vede uno struzzo allo zoo e lo assimila al suo concetto di
uccello.
75
Se la bambina viene disorientata dalle dimensioni dello struzzo e
dal venire a sapere che lo struzzo non vola, allora la confusione
che la bambina prova poiché non sa bene se lo struzzo è un
uccello o non, la mette in quello che Piaget chiama uno stato di
disequilibrio.
L’accomodamento accade quando le caratteristiche dell’ambiente
non si armonizzano bene con i concetti già esistenti nel soggetto.
L’accomodamento consiste nel modificare i propri concetti in
risposta alle esigenze poste dall’ambiente.
Riferendoci all’esempio di prima la bambina potrebbe
accomodare le informazioni nuove acquisite sullo struzzo
procedendo nel modificare il proprio concetto di uccello:
potrebbe decidere che non tutti gli uccelli volano. Per effetto
dell’accomodamento la bambina potrebbe venire a trovarsi in
uno stato temporaneo di equilibrio nel senso che i suoi concetti e
le sue esperienze vanno d’accordo.
Per Piaget tutti gli organismi lottano per raggiungere uno stato di
equilibrio. E ogni volta che questo equilibrio viene turbato
quando ad esempio ci si imbatte in qualcosa di nuovo, entrano in
campo i processi di assimilazione e di accomodamento per
ripristinarlo.
L’assimilazione e l’accomodamento operano sempre insieme. Da
prima il bambino tenta di comprendere un’esperienza nuova
ricorrendo a idee e soluzioni vecchie (assimilazione), qualora
queste non funzionino, il bambino si trova obbligato a modificare
la propria struttura o modalità di interpretazione della realtà.
(accomodamento). (Mussen, 1994)
Secondo Piaget lo sviluppo procede in modo discontinuo e si
articola in quattro fasi (vedi schema):
• Lo stadio sensomotorio (dalla nascita ai 18 mesi)
• Lo stadio preoperativo (dai 18 mesi ai 7 anni)
• Lo stadio delle operazioni concrete (dai 7 ai 12 anni)
• Lo stadio delle operazioni formali (dai 12 anni)
La sequenza dei stadi è universale e con il passaggio da una fase
a quella successiva ha luogo una riorganizzazione fondamentale
delle modalità di costruzione e di interpretazione della realtà. Il
bambino quando passa da una fase a un’altra, acquisisce modalità
qualitativamente nuove di comprensione del mondo.
Anche se l’ordine in cui le fasi si presentano non varia, esistono
molte differenze individuali nella velocità con la quale i bambini
le percorrono. Per esempio ci sono dei bambini che raggiungono
una fase prima e altri sensibilmente più tardi.
76
Lo stadio sensomotorio è caratterizzato da una progressiva
differenziazione e coordinazione di schemi motori e si conclude
quando il bambino ha raggiunto il concetto di permanenza di
oggetto, di spazio, tempo e casualità. Nei primi 2-3 mesi di vita il
bambino segue un oggetto con gli occhi finché non esce dal suo
campo visivo, a questo punto smette di cercarlo. Tra i 3 e i 6
mesi ha inizio la coordinazione tra la vista e il movimento del
braccio e della mano. I bambini cercano di afferrare gli oggetti
che vedono, ma non quelli fuori dal loro campo visivo. Tra i 9 e
i 12 mesi cercano di raggiungere un oggetto nascosto alla loro
vista se hanno potuto vedere dove veniva nascosto. Per esempio
se un bambino ha osservato un adulto mettere un giocattolo sotto
le coperte lo andrà a cercarlo. Secondo Piaget l’evoluzione del
concetto di permanenza dell’oggetto dipende dalle interazioni
che il bambino ha avuto in precedenza con gli oggetti.
Nel secondo stadio si caratterizza come fase preparatoria alla
formazione delle prime strutture concettuali. Il bambino possiede
la funzione simbolica, che già cominciava ad apparire al termine
del primo stadio e le cui manifestazioni come il linguaggio, il
gioco simbolico e le immagini mentali. Mancano in questo
periodo le operazioni reversibili. Quelle di conservazione di
numero, peso e quantità di liquido.
Nel terzo stadio il bambino diventa capace di strutture concettuali
di tipo operatorio. I bambini sono flessibili e possono compiere
operazioni reversibili per esempio se un bambino preleva un euro
da un salvadanaio capirà che questa azione può essere invertita
inserendo un euro nel salvadanaio. In questo stadio c’è la
capacità di decentramento vale a dire la capacità di focalizzare
l’attenzione su diversi aspetti di un oggetto o di un evento, il
bambino capisce che un oggetto ha più di una dimensione peso e
grandezza.
Nel terzo stadio c’è il passaggio dal primato dei dati percettivi
all’uso dei principi logici come il principio d’identità e il
principio di equivalenza.
Il bambino diventa così capace di compiere classificazioni di
classi l’una nell’altra e seriazioni cioè di concatenazioni di
relazioni transitive asimmetriche in un sistema.
Ciò che gli manca ancora è la capacità di generalizzare le sue
esperienze cose che lo porta verso i 12 anni ad una conservazione
di sostanza, peso e volume.
Nel quarto stadio si giunge all’acquisizione del pensiero
scientifico. Il ragazzo è diventato capace di ragionare per
ipotesi,sia sul piano verbale che su quello pratico. Il pensiero non
procede più ora dal reale al teorico, ma comincia dalla teoria per
77
verificare le effettive relazioni che esistono nella realtà. (
Giovanelli, 1993)
Periodo
Età
Periodo
0-2
senso-motorio
Periodo pre 2-7
operatorio
Caratteristiche
Il bambino comprende il mondo agendo su di
esso in modo esplicito. Le sue azioni motorie
riflettono schemi sensomotori insiemi
generalizzati di azioni che servono per conoscere
il
mondo,
come
lo
schema
di
suzione.Gradualmente gli schemi si
differenziano e si integrano, e alla fine del
periodo il bambino ha formato delle
rappresentazioni mentali della realtà.
Il bambino è in grado di usare le
rappresentazioni invece delle sole azioni motorie
per concepire gli oggetti e gli eventi. Il pensiero
ora è più veloce e flessibile ed efficiente. È
limitato dall’egocentrismo, dall’attenzione agli
stati percettivi, dal fatto che si basa sulle
apparenze piuttosto che sulla realtà sottostante, e
dalla rigidità (mancanza di reversibilità).
Il bambino acquisisce le operazioni –sistemi di
azioni mentali interiori che sono alla base del
pensiero logico. Queste operazioni reversibili e
organizzate gli permettono di superare i limiti
del pensiero preoperatorio. Vengono acquisiti
concetti relativi alla conservazione, alla
inclusione in classi e ad altri concetti. Le
operazioni possono esser applicate solo agli
oggetti concreti, presenti o rappresentati
mentalmente.
Periodo
operatorio
concreto
7-11
Periodo
operatorio
formale
11-15 Le operazioni mentali possono essere ora
applicate al possibile e ipotetico oltre che al
reale, al futuro oltre che al presente, e alle
affermazioni puramente verbali o logiche.
L’adolescente acquisisce il pensiero scientifico,
con il ragionamento logico con il ragionamento
inter-proposizionale, ed è in grado di capire i
concetti molto astratti.
78
Una delle caratteristiche più importanti del pensiero
dell’adolescente è la capacità di utilizzare un ragionamento non
più soltanto delle situazioni reali, constatabili dall’esperienza, ma
anche da situazioni immaginate, che possono essere diverse dalla
realtà percepita. (Peter, 1990).
I ragazzi iniziano pensare per ipotesi, di interessarsi al domani, di
progettare il proprio futuro, nasce una netta divisione fra reale e
irreale, ma i ragazzi si accorgono che esistono anche le cose
possibili. E l’età in cui capiscono cosa sono le speranze, in cui
comprendono che esistono fatti che possono realizzarsi come la
vincita a una lotteria.
Il pensiero dei ragazzi è deduttivo si tratta di un pensiero il quale
partendo da certe ipotesi, trae delle conseguenze in conformità a
rapporti che gli sono noti e che permettono di collegare, nella
forma ad esempio dell’implicazione (oppure della incompatibilità
(se..allora non..)
Questo nuovo modo di pensare ha un riscontro immediato nella
relazioni con i genitori e i coetanei, ma i primi ad accorgersi di
questo cambiamento sono i genitori, in quanto qualsiasi
argomento che viene affrontato in famiglia è origine di
discussioni impegnative, i ragazzi sono decisi a far valere le
proprie idee e i propri concetti, utilizzando ragionamenti spesso
molto complessi e originali.
I ragazzi iniziano a porsi delle domande inerenti ai grandi temi
della vita come la morte, la vita, la sessualità. Iniziano ad
interessarsi alla lettura di romanzi e racconti che evidenziano i
sentimenti, i pensieri che emergono dalla trama.
Anche lo sviluppo cognitivo non è indolore in quanto la capacità
appena acquisita di manipolare le proposizioni astratte attraverso
combinazioni logiche e trasformazioni ideative esige una
precisione del linguaggio che contrasta con la tendenza a
generalizzare tipica della prepubertà.Questo cambiamento nel
modo di pensare aiutano il ragazzo a superare l’ansia derivante
dalle trasformazioni fisiche.
79
In questo periodo il ragazzo cerca di far valere i propri desideri e
tramontano le aspettative che i genitori avevano su di lui. È il
periodo di ribellione verso i modelli imposti dai genitori. La
bambina che aveva seguito diligentemente i corsi di danza
classica, ora non vuole più saperne. E pur essendo la migliore del
corso si rifiuta di partecipare al saggio finale. I genitori vengono
a sapere, che questa attività alla quale la figlia si dedica non lo
interessa più.Non solo. Non l’ ha mai interessato. I genitori
chiedono in continuazione “ma perché non ce l’ hai detto
prima?”. Erano così fieri di potergli offrire delle possibilità che
loro non avevano mai avuto.
E non riescono a capire perché mai il bambino abbia finto per
anni un interesse che non aveva mai avuto. è lui per primo a non
sapere il perché. Di sicuro avverte che qualcosa è cambiato nel
rapporto con i genitori. Il tempo dei genitori ideati e onnipotenti
della primissima infanzia è finito adesso gli vede con occhio
critico e con una maggiore autonomia di giudizio, agisce di
conseguenza senza più conformarsi passivamente ai desideri
familiari, come avviene dai 5 ai 10 anni.
Durante la fanciullezza i bambini e le bambine erano attente a
non deludere le aspettative dei genitori per timore di perderne la
stima e l’affetto, questo timore non scompare con l’adolescenza
ma adesso i ragazzi cercano di abbandonare la protezione
familiare per intraprendere con i genitori una sfida “vediamo se
mi vogliono ancora bene, se mi capiscono e mi accettano così
come sono e non come desiderano che io sia”. Inizia così per
l’adolescente una appassionata ricerca di una nuova affermazione
che non avviene più all’interno della famiglia ma al di fuori.
(Vegetti, 2000).
L’influenza di questo nuovo modo di pensare si nota anche
all’interno della scuola, dove fanno la comparsa materie come la
filosofia e la biologia. All’interno della scuola vi sono
spiegazioni relative ad eventi complessi, che possono essere
comprese solo quando un ragazzo diviene capace di un pensiero
“col doppio se” ovvero “per ipotesi multiple”. Per esempio in
geografia astronomica, un’esauriente spiegazione dell’alternarsi
delle stagioni. Occorre, infatti, qui formulare l’ipotesi che il
punto della terra in cui si trova l’Italia, in estate a causa
dell’inclinazione dell’asse terrestre riceve i raggi del sole quasi
80
perpendicolarmente e si tratta qui di “immaginarci” sia come
collocati in un punto esterno al sistema “sole-terra” così da poter
considerare da lontano i rapporti fra questi due corpi celesti, con
l’appoggio di una rappresentazione grafica, sia anche come
collocati “in quel punto della superficie terrestre” con dunque il
sole, a mezzogiorno, quasi a picco sulla nostra testa. (Peter,
1990)
3.3 SVILUPPO PSICO SOCIALE
Vorrei che la gente non mi guardasse
vorrei che la gente non mi criticasse
per come mi comporto o per come vesto
vorrei che non mi chiedesse sempre “dove vai?”
potrei esausto rispondere:
“vado a dare un sorriso dove voi avete lasciato solo pianto”
L'adolescente si trova in una situazione particolare: non è più
bambino e non è ancora adulto. Deve essere in grado di
confrontarsi con i profondi cambiamenti che gli altri si aspettano
da lui: l'ambiente sociale pretende che egli si comporti da adulto
e quindi si dovrà preparare ai ruoli sociali legati a quella
posizione e dovrà acquisire le abilità sociali a questa collegate.
L'ambiente con cui l'adolescente ha a che fare non è qualcosa
d’univoco, ma è costituito da diversi gruppi di riferimento
(coetanei, associazioni giovanili o subculture) e istituzioni sociali
(famiglia e scuola) che da lui non si aspettano le stesse cose.
In adolescenza si assiste a tutta una serie di debutti nei campi più
diversificati della società. È, infatti, praticamente inevitabile
intraprendere nuove relazioni come avere un gruppo d’amici,
nuove esperienze d’amore, condotte trasgressive. Esperienze di
questo tipo accadranno sicuramente anche negli anni successivi
ma soltanto in questo periodo che è un susseguirsi di “prime
81
volte” regala all’adolescenza una qualità affettiva del tutto
speciale.
In questa fase della vita si abbandonano i vecchi “oggetti
d’amore” come i genitori o i fratelli per intraprendere nuove
relazioni verso nuovi “oggetti d’amore”: l’amico del cuore, il
piccolo gruppo d’amici dello stesso sesso. Si tratta di provare
nuove emozioni con soggetti circa della stessa età ed estranei alla
famiglia. Gli amori e le amicizie che avvengono durante gli anni
adolescenziali non si scordano mai più anche perché ci si ostina a
replicarli senza stancarsi di ricercare l’emozione originaria.
Gli adolescenti sono chiamati a superare delle prove che sono
precedute da stati di concitazione, di confusione e d’incertezza.
Queste prove accadono in tutti i contesti sociali, nella quale
avviene la trasformazione da bambino a quello di soggetto avente
un corpo sessuato dotato di nuovissime competenze biologiche,
cognitive e relazionali.
Quando l’adolescente fa il suo primo incontro ed invaso e
dominato da un nuovo e originale bisogno che però è anche in
parte desiderio, e sperimenta quel sentimento che prelude
all’amicizia con un coetaneo dello stesso sesso che nominerà
“amico del cuore”, sa che si tratta di una novità, ma non ne
rimane sorpreso perché ne conosce l’esistenza ed era già un po’
di tempo che si chiedeva quando sarebbe successo anche a lui di
riuscire ad avere “l’amico”come gli altri, come i fratelli più
grandi.
Gli adolescenti riconoscono consapevolmente di superare le
prove che sono spinte motivazionali provenienti dal mondo
interno. Ma non il metodo e sono indotti a sospettare di non avere
un talento adeguato.Perciò partono per le vacanze estive con il
presentimento obbligatorio di costruire delle relazioni speciali.
Però non sanno se supereranno la prova perché non sono sicuri di
possedere gli strumenti: non si può certo più fare a quest’età
come sì faceva da bambini quando si scendeva in cortile e si
chiedeva “posso giocare con voi”. A quest’età non si può fare
una richiesta così esplicita, le manovre d’avvicinamento, sono
più sofisticate perché la posta in gioco è altissima. Per esempio
ad un bambino non succede nulla se un altro gli dice di no e
fugge dalla mamma per timidezza o per paura dell’estraneo,
invece un adolescente deve tutelarsi dell’eventualità che i
82
coetanei gli dicano di no poiché non si tratta di giocare assieme
ma di affrontare assieme la vita.
In questo periodo non si cerca il semplice divertimento per
esempio durante la ricreazione o il gioco di squadra, ma si ricerca
la capacità di costruire dei legami sociali e si è disposti a far
fronte a numerosi rischi e l’adolescente è consapevole sull’effetto
devastante che può avere sulla propria autostima una raffica di
“no”provenienti dai “nuovi oggetti”. Oltre al dolore quasi
insopportabile della mortificazione narcisistica, l’insuccesso del
proprio debutto manomette la rappresentazione di sé nelle nuove
vesti. Un insuccesso nel giorno del debutto non è mai senza
conseguenze gravi e comporta il rischio di provocare un grave
ritardo anche nella realizzazione delle altre prove, e nella scelta
dei tempi più adatti per effettuare gli altri incombenti debutti
suggerendo di rimanere fermi ove ci si trova o avventurarsi su
prove ardue superando le quali ci si rimette alla pari e si avanza.
(Charmet, 2000).
Durante gli anni dell’adolescenza la sensazione di essere soli è
frequente. In quest’epoca il ragazzo è solo apparentemente
proiettato all’esterno, nel mondo circostante e nella vita. Ed è un
periodo dove l’adolescente si ascolta interiormente e cerca
d’interpretare le proprie emozioni ed è difficile confidarsi
esprimere i propri sentimenti per paura di non essere ascoltati o
capiti o peggio ancora trattati come bambini.
L’adolescenza è un’età difficile proprio per questo. Manca il
dialogo e gli interlocutori in un momento in cui ci sono tante
domande da fare e tante risposte da trovare. Non ci sono più
punti di riferimento stabili perché quelli dell’infanzia e le
certezze degli anni magici della fanciullezza, sono scomparsi o
non sono più sufficienti. Il mondo degli adulti è ancora lontano
ed inaccessibile. È possibile desiderarlo ma intanto bisogna
negarlo e rifiutarlo.
Il gruppo dei pari, gli amici e i compagni di scuola, e qualche
volta l’amico del cuore, quello che raccoglie le intimità e i
desideri, le trasgressioni effettuate e quelle possibili, sono un
naturale rimedio alla solitudine dei giovani.
Essi hanno la funzione di supportare e di permettere
l’esplorazione di nuovi confini e nuovi spazi che sono sia
83
territoriali sia emotivi e relazionali. Nasce da questo il bisogno di
appartenere a un gruppo con cui praticare insieme delle attività,
come uno sport, o semplicemente trascorrere lunghe ore al
telefono.
L’adolescenza è l’età dell’incoerenza, l’epoca degli opposti, dei
contrari. C’è la voglia di fare tutto e subito, di risolvere i grandi
problemi dell’esistenza. Ma ci sono anche la paura e lo sconforto,
l’angoscia di non capire ancora come va il mondo.Alla gioia e
all’entusiasmo si sostituisce la malinconia e la tristezza. E poi c’è
la delusione di non essere presi sul serio dai grandi, di essere
sottovalutati. Così le discussioni diventano infuocate. Gli scontri
in famiglia frequenti. Gli si chiede di capire, di essere grande, di
rinunciare agli atteggiamenti concessi fino a poco prima e nello
stesso tempo si squalificano le sue idee. L’impressione di non
essere compreso e aiutato si fa spazio e il senso di solitudine
riempie la mente.
In questo paragrafo esaminerò in che maniera influiscono
sull’identità del ragazzo la scuola, il gruppo, l’amicizia e
l’amore.
3.3.1 LA SCUOLA
L’esperienza scolastica è molto importante per il processo di
crescita della persona e nella maggior parte dei casi l’impegno
scolastico accompagna il soggetto dall’infanzia all’età adulta.
In questo periodo l’adolescente confronta i propri risultati con
quelli ottenuti da altri coetanei presenti nello stesso ambiente. Il
riconoscimento che gli viene fornito circa la capacità di essere
all’altezza del compito e di saper trovare strategie adeguate alla
risoluzione delle difficoltà incontrate incide sul processo di
costruzione della propria identità da parte dell’adolescente.
Costruire un’immagine positiva di se stesso, intesa come
“insieme strutturato di elementi e di informazioni significative,
ricevute dagli altri e contemporaneamente costruite
dall’individuo a proposito di se stesso”.
84
L’immagine di sé elaborata nel quadro dell’esperienza scolastica
s’incrementa attraverso l’interazione prolungata con alcuni adulti
significativi (gli insegnanti) e il confronto con alcuni coetanei
che mostrano di superare con maggiore o minore difficoltà i
diversi problemi posti dalla scuola: e rispetto a loro che il
soggetto valuta i propri risultati.
I rapporti che s’instaurano tra l’insegnante e i ragazzi sono molto
importanti, queste relazioni a volte sono tempestose,
caratterizzate da paura e da tensioni, invece a volte splendide ed
entusiasmante.
Nell’analizzare questi rapporti si può verificare un parallelismo
con i rapporti tra ragazzi e genitori. A differenza che con i
genitori, non si è verificato quel processo di svalutazione che
tende a verificarsi in concomitanza con il riattivarsi del
complesso edipico e con l’esigenza di un suo superamento
attraverso lo spostamento dell’energia libidica su persone esterne
alla famiglia e la ricerca di altri modelli come gli insegnanti. Con
i quali non si è stabilito un sistema di rapporti affettivi/emotivi,
analogo a quello che si è sviluppato nei confronti delle figure
genitoriale, da cui un preadolescente tende a liberarsene. (Peter,
1990)
Durante gli anni della scuola elementare il bambino ha imparato
a leggere, scrivere e far di conto, inoltre ha imparato ad interagire
con i compagni. Ha appreso come si fa studiare, memorizzare e
stare attento alla lezione anche quando la curiosità del bambino
non è più attratta dall’argomento. Durante il periodo scolastico
che precede le medie, l’insegnante rappresenta per lui una specie
di padre o di madre che guida i suoi progressi nello sviluppo.
Oltre a fornire all’alunno le nozioni è attento e s’interessa allo
sviluppo della sua persona.
Con lo sviluppo del pensiero ipotetico/deduttivo sorge nel
ragazzo un interesse per alcune discipline, come la filosofia o la
matematica.
Può accadere che l’insegnante in difetto di una preparazione
adeguata in quel campo o per mancanza di un vivo interesse
personale per problemi epistemici, non riesca a soddisfare
attraverso il suo insegnamento questi interessi nuovi che restano
solo in forma germinale e non sviluppino interesse nei ragazzi. I
85
quali rimangono estranei a tali argomenti, considerati lontani
dalla loro vita e ai loro bisogni di crescita.
Il pensiero deduttivo suscita nel ragazzo il desiderio di poter
partecipare, attraverso una discussione alla pari, alla verifica
delle affermazioni che l’insegnante fa ed anche a certe scelte che
riguardano i contenuti dello studio, le modalità con cui affrontarli
o certi aspetti più generali dell’attività scolastica.
Il docente dovrebbe essere aperto al dialogo ed ascoltare i ragazzi
non solamente valutarli come fossero un numero o una lettera
perché deve porsi sul piano stesso degli allievi, guardare le cose
con i loro occhi e imparare a parlare il loro stesso linguaggio se
vuole essere veramente compreso, deve cioè essere dentro il
gruppo come un amico fra amici ma deve porsi al di fuori e al di
sopra del gruppo. Questo succede anche alla scuola elementare.
L’insegnante diventa una persona alla quale il bambino vuole
bene ma di cui prova un certo timore.
Ci dobbiamo ricordare che l’insegnante delle medie è oggetto di
stima e anche spesso di ammirazione investendo questi nuovi
oggetti dell’amore che un tempo era destinato ai genitori.
Assistiamo a vere e proprie passioni degli alunni per l’uno o
l’altro docente. Accade che i maschi s’invaghiscono della
professoressa giovane e carina, permettendosi di indugiare lo
sguardo sul corpo femminile adulto, di seguire le morbide curve,
i movimenti rivelatori come non avrebbero mai potuto fare con la
propria madre.
Oppure che avvertono il fascino di una figura maschile diversa
dal padre, magari più tollerante e comprensiva, portatrice di una
visione della vita rassicurante più idonea a sostenere la loro
spinta verso l’autonomia e l’indipendenza. (Veggetti Finzi, 2000)
L’adolescente sente il bisogno di essere valorizzato soprattutto in
questo periodo che è caratterizzato da incertezze circa la propria
identità psicologica dalla ricerca di esperienze a favorire
l’autoconoscenza e vi è un acuta sensibilità per i giudizi degli
altri. La valorizzazione si realizza attraverso i giudizi positivi e le
forme di incoraggiamento ma anche semplicemente attraverso il
fatto di accordare attenzione, fiducia, credito o certe affermazioni
che possono venire vissuti come segnali indiretti.
Purtroppo nella scuola si sentono spesso frasi che esprimono
giudizi negativi come “tu non sarai mai….” O “tu sei solo un….”
86
Che hanno l’unica funzione di incrementare i dubbi che un
adolescente aveva già per proprio conto su di sé o riattivare i
sensi di colpa sopiti e avere risonanze psicologiche dolorose sul
futuro dell’adolescente.
I primi anni di liceo sono stati contrassegnati da grandi difficoltà
di rapporto umano con gli insegnanti, un rapporto di cui ho
sempre sentito forte la necessità. Al secondo anno di ginnasio fui
bocciata per motivi che esulavano dal campo scolastico. Furono
anni di continua umiliazione, e dopo la bocciatura inaspettata
usci con un trauma di cui ancora oggi porto le conseguenze. Ho
vissuto a lungo con la sensazione di non valere nulla, di non
essere in grado di fare più nulla.
I ragazzi hanno bisogno anche di comprensione: comprensione di
una situazione di difficoltà, talvolta di affaticamento e
saturazione con caduta dell’impegno, o di temporaneo
smarrimento dovuto a molteplici problemi di tipo personale che
si sono affacciati quasi contemporaneamente o di momentanea
assenza di interesse di motivazione ad affrontare certi temi.
Comprendere non significa accettare come cosa naturale la
temporanea caduta dell’impegno, le assenze, i compiti fatti in
fretta e male e così via. Comprendere significa esprimere di
senso ma senza drammatizzare e significa dare per lo meno la
possibilità di giustificare un risultato non soddisfacente, pur
discutendo poi l’accettabilità della giustificazione data.
Molti insegnanti sono invece portati a ridurre sul piano della
valutazione del rendimento, lo spazio che dovrebbe essere dato a
questo aspetto del rapporto personale, consistente nella
comunicazione delle eventuali difficoltà incontrate. Un esempio
può essere la frase “non voglio sentire scuse” pronunciata quando
un’interrogazione si conclude in modo insoddisfacente.
L’impossibilità di esternare in qualche modo questi stati d’animo
oltre a dare un carattere impersonare al rapporto con l’insegnante
induce anche una certa condizione di tensione che non può non
avere un effetto negativo sulle prestazioni intellettuali che lo
svolgimento del lavoro richiede.
I rapporti che ho avuto con gli insegnanti, soprattutto delle
medie, sono stati assai deludenti, scialbi, e non costruttivi. Non
mi sono mai impegnata molto proprio perché li sentivo distaccati
87
da me, sapevo che non facevano niente per capirmi e aiutarmi.
Non mi davano stimolazioni, non mi sentivo mai utile alla classe
e per questo ne sono sempre stata al di fuori.
Gli insegnanti delle medie e delle superiori devono fare fronte ad
un grosso dispendio di energia psichica da parte degli
adolescenti.
La perdita dell’energia deriva dal fatto dal presentarsi quasisimultaneo nei loro allievi di tutta una serie di problemi personali
(relativi alla crescita fisica, all’aspetto del corpo, alle prime
attività sessuale) che assorbono una grande parte di quella
energia psichica che in precedenza durante il periodo della scuola
elementare era invece riservata allo studio, alle proposte della
scuola.
Un adolescente può essere fisicamente in aula, al suo banco ma il
suo pensiero è spesso altrove (ad un litigio col padre, ad un
commento ironico di un compagno a proposito della sua forma
del naso).
Molta energia psichica se ne va cioè nella direzione di questi
problemi personali che assumono rilevanza al punto di divenire
dominanti nel campo psicologico (proprio come può accadere a
un adulto che colpito da gravi preoccupazioni, perde
temporaneamente l’interesse per il lavoro e gli hobbies).
Un insegnante oltre ad avere la preoccupazione di ampliare il
patrimonio delle conoscenze, di stimolare lo sviluppo di certi
atteggiamenti generali e di promuovere il processo di
socializzazione; ha anche il problema di trovare il modo di
indirizzare nuovamente verso le attività di studio quella parte
dell’energia psichica che si è indirizzata nella direzione delle
problematiche personali, con la conseguente caduta di interesse e
di impegno per lo studio.
Per far fronte a questi problemi di perdita di energia e di dare
loro in modo non intrusivo un aiuto per i loro problemi personali
proprio mentre si parla alla classe e di “cose di scuola”, si può
proporre dei temi che mentre sono rilevanti nella
programmazione, presentano anche per certi aspetti del loro
contenuto e per le modalità con cui vengono affrontati un
collegamento circa diretto con certi problemi personale presenti
negli allievi.
88
Per fare alcuni esempi: il libro di narrativa può venire scelto da
un insegnante indipendentemente da ogni considerazione dei
problemi personali che i ragazzi vivono, e solo sulla base delle
sue qualità letterarie, per esempio ci sono insegnanti che
scelgono per la terza media i promessi sposi e cioè un opera che
richiederebbe una più alta maturità nei lettori e non sollecita
processi di identificazione, col risultato di ottenere un impegno
modesto, in altre parole la canalizzazione solo di una piccola
quantità di energia. Il risultato è diverso se viene scelta un’opera
la quale pur possedendo in misura minore pregi letterari, presenta
ai ragazzi problemi e atmosfere del loro tempo nei quali essi
possono identificarsi con facilità. In tal caso l’impegno profuso
nella lettura è assai maggiore, e maggiore risulta anche la sua
efficacia formativa.
Un insegnante potrebbe individuare nel programma e poi
privilegiare quelli per i quali è più agevole stabilire un
collegamento diretto con i problemi personali ed esistenziali
presenti nei suoi allievi.
Un'altra possibilità è nel proporre temi e attività che costituiscono
un’occasione per esperienze di vita di gruppo, sia dentro la
scuola sia soprattutto nelle ore extrascolastiche il bisogno di
trovarsi in condizioni di relativa indipendenza dagli adulti, può
fornire l’energia necessaria per affrontare con impegno tematiche
che altrimenti avrebbero uno scarso potere di coinvolgimento.
(Peter, 1990)
Per esempio è importante introdurre nella scuola l’animazione
teatrale che è una straordinaria messa in scena che permette ai
ragazzi di rileggere se stessi, i propri conflitti, drammi e fantasie.
Si respira un clima particolare: c’è il senso del riunirsi, del
convenire in un posto per incontrare, per raccontare se stessi. È
proprio questo che cercano i giovani: un’occasione per
comunicare al di fuori delle regole e degli spazi precostituiti, un
opportunità per sentire l’altro oltre la convenzione, oltre una
banale ritualità.
Lavorando tutti assieme fra loro e con gli adulti riescono a
trovare le note giuste per dire ciò che nessuno ha mai voluto
ascoltare, ciò che gli altri hanno solo sfiorato. Lì allora tirano
fuori da sé la rabbia, ne parlano, la agiscono. E quella rabbia si
riempie di senso, produce significati: contamina anche chi ha
89
voluto scartarla. Coetanei che non volevano capire o non
riuscivano a farlo, proprio perché le loro parole non trovavano
codici interpretativi comuni, si trovano inevitabilmente coinvolti
e perdono ogni timidezza.
E il teatro svela l’oscuro, supera lo stupore dell’imbarazzo.
Una ragazzina da mesi non mangia e non ha più le mestruazioni:
è più utile per lei un ora di letteratura italiana? O uno spazio in
cui il linguaggio del suo corpo martoriato finalmente si
manifesta?
Il teatro non lo intendo certo come un ennesimo compito da
eseguire, ma come scelta libera e creativa, in cui il testo è il
mondo culturale dei giovani: ciò che hanno da dirci.
Un ulteriore possibilità è offerta dalla discussione di gruppo, in
cui un insegnante cerchi di far emergere e porre a confronto più
opinioni, sollecitando prese di posizioni. La partecipazione alla
discussione può soddisfare i bisogni di autonomia. (Crepet, 2001)
Uno dei passaggi più significativi dell’adolescenza è costituito
dall’ingresso alle superiori. I ragazzi stessi lo avvertono e si
accostano ad esso con un’apprensione che non avevano provato
tre anni prima, nel transito dalla scuola elementare a quella media
inferiore.
Le medie superiori operano una vera rottura con il passato e non
è casuale che molte dispersioni scolastiche avvengono proprio in
questo momento.
Una delle grandi difficoltà di questo periodo è la scelta
dell’indirizzo scolastico e ben pochi sono preparati a una
decisione così importante. L’ideale sarebbe che fossero i ragazzi
stessi a compierla ma, risultano quasi sempre incapaci di
esprimere le proprie preferenze, sia perché non conoscono i
percorsi e gli sbocchi professionali, sia perché non sono in grado
di valutare da soli le proprie attitudini e i propri interessi. Poiché
si tratta di una decisione molto importante, il corso di studi da
intraprendere non dovrebbe essere una questione dell’ultimo
minuto ma porsi per tempo, attraverso un confronto tra il
ragazzo, i genitori e gli insegnanti. L’orientamento è un compito
lungo e progressivo, non un colloquio estemporaneo. Permane in
tutti i casi una certa enfasi sulla scelta della scuola superiore ma,
a ben vedere, le condizioni esterne, come l’ambiente familiare,
sociale e culturale sono spesso decisive.
90
In questo periodo sorgono, nei ragazzi, delle domande del tipo
“perché studiare?”. Durante le elementari i bambini non si
chiedono il perché? La loro morale si basa soprattutto
sull’obbedienza ai genitori.
Alle medie i ragazzi sono più interessati ai rapporti con i coetanei
che con gli insegnanti. La loro identità si costituisce
sull’appartenenza al gruppo di cui condividono le regole e i
modelli di comportamento. Nelle scuole superiori invece i
ragazzi si confrontano con motivazioni autonome rispetto
all’attesa degli adulti. La domanda “perché mai dovrei star
seduto per mezza giornata nel banco? Diventa frequente. Spesso
non scordino alcun nesso tra il sapere e il saper fare e tutto allora
è inutile e noioso.
Il camino per raggiungere l’identità personale non è facile e sono
sempre possibili fissazioni, dispersioni o rinvii. La scelta degli
studi superiori avviene a livello psicologico su tre modalità: la
prima le aspettative familiari, poi l’influenza dei compagni e
dell’immagine ideale di sé. ( Veggetti Finzi, 2000)
3.3.2 L’AMICIZIA
Amici ne abbiamo nel corso di tutta la vita, ma la parola amico
nell’periodo adolescenziale a un significato del tutto speciale;
senza precedenti. (D’Agostini, 1996).
Il bisogno di amicizia durante l’adolescenza è qualitativamente
nuova espressione dello sviluppo della personalità in tutti i suoi
aspetti.
L’intimità e la confidenza reciproca permettono all’adolescente
di conoscersi meglio, di capire le trasformazioni della sua
persona specchiandosi in un altro. L’identificazione con un
amico può essere una tappa del processo di formazione di
identità, facilitato dal fatto che l’adolescente, proiettando la
propria immagine ingrandita su un’altra persona, la osserva
riflessa e meglio la capisce. (Erikson, 1968).
L’amicizia è anche un potente aiuto nel processo di distacco dai
genitori e dagli adulti, non solo perché, sul piano emotivo,
91
trasferisce sui coetanei molti bisogni affettivi ma anche perché
permette, come il gruppo, di stringere alleanza, confidare le
proprie perplessità, i propri sentimenti ed i segreti. Anche quelli
che si preferiscono tenere oscuri dai genitori. “prima di affrontare
un argomento con i miei genitori lo chiarisco con la mia amica”
dichiara un adolescente. (Peter,1990).
In quest’età dominato da incertezza e da insicurezza, l’amicizia
riconforta perché da un senso di importanza. Se l’amico mi ama e
mi rispetta significa che non sono senza valore. Con lo scambio
intimo dei sogni ad occhi aperti, delle illusioni, delle paure, dei
sentimenti, l’adolescente ha una conferma del proprio valore
perché si vede negli occhi di un altro da cui non si sente diverso.
Per esempio “cercavo qualcuno che mi potesse ascoltare e farmi
tirare fuori tutto quello che avevo dentro e che angosciava la mia
esistenza”.
L’amicizia risponde anche ai bisogni cognitivi degli adolescenti,
permette loro di discutere delle problematiche inerenti al senso
della vita, degli aspetti politici, sociali o religiosi. Consente di
capire meglio gli altri. “attraverso l’altro, dice un ragazzo,
conosco la vita, faccio altre esperienze che mi aiutano a capire
molte cose della vita”.
L’amicizia da anche la possibilità di sviluppare la capacità di
intrattenere relazioni intime con un’altra persona, di dare una
soluzione al dilemma intimità-isolamento, ed è un prerequisito
per poter più tardi avere rapporti d’amore con altre persone.
L’amico aiuta a crescere, critica, consiglia e viene ascoltato
perché le sue parole sono dettate dalla benevolenza “dalle mie
amiche ho avuto consigli per migliorare nei rapporti sociali e con
me stessa perché mi aiutavano a chiarire cose che da sola non
riuscivo a rendere evidente”.
Il rapporto di amicizia risponde ad altri bisogni come offrire una
compensazione ai limiti della propria persona, assicura aiuto e
favori, alleanze contro eventuali pericoli. (Lutte, 1987).
Nei comportamenti più evidenti maschi e femmine sembrano
vivere la stessa adolescenza. Sono vestiti allo stesso modo, hanno
gli stessi interessi, frequentano gli stessi luoghi di ritrovo e
appaiono ugualmente liberi di vivere la propria sessualità e
protesi verso forme di affermazioni sociale molto simili. Ma il
modo di vivere l’amicizia e la vita sentimentale è profondamente
92
diversa tra maschi e femmine. È una differenza che emerge sia a
livello comportamentale, nel modo di vivere l’amicizia nei suoi
aspetti sociali, sia a livello più profondo, come forma di
educazione affettiva e sessuale che proietta gli adolescenti in una
dimensione di vita adulta.
Le amicizie femminili
Nelle ragazze svolge un ruolo molto importante il linguaggio,
infatti, con la parola diventa lo strumento privilegiato per parlare
di sé, raccontarsi e confidarsi. E’ questa un'altra grande
differenza tra maschi e femmine perché se da un lato i ragazzi si
stupiscono di quante cose abbiano da dirsi le coetanee, le ragazze
si meravigliano invece di quanto poco spazio venga dato alla
parola, all’analisi di sé nei rapporti maschili.
Il legame privilegiato di quest’età è l’amico del cuore, è questa la
relazione più adatta alle confidenze, ai segreti, e agli scambi di
idee e alla condivisione di progetti, che consente a entrambe di
proseguire la ricerca di quella affermazione di sé e delle proprie
capacità che aveva caratterizzato le prime amicizie infantili.
L’amica continua a essere lo specchio in cui riflettersi, il doppio
in cui riconoscersi, ma nello stesso tempo è una persona diversa,
dotata di qualità che all’altra mancano e che può cercare di
assimilare attraverso l’emulazione.
L’amico è colui con il quale abbiamo condiviso la nostra lotta
contro gli adulti oppressori, colui al quale abbiamo confidato i
nostri pensieri, che non potevamo più dire ai genitori, e sul quale
riversavamo i nostri problemi ascoltandone poi l’opinione.
Confidare le fantasie sessuali e dei piccoli grandi segreti di
famiglia, in cui l’una affida all’altra la parte di sé che nessuno
altro conosce.
In questo periodo assume una funzione molto importante il
telefono che ci permette di non perdere il contatto con l’amico
neanche per mezza giornata. L’amico è un po’ un altro se stessi,
uno specchio in cui guardarsi e criticarsi e rincuorarsi. (
D’agostini, 1996).
Nel confronto con l’amica del cuore che le ragazze cominciano a
fare progetti su se stesse e il proprio futuro, attingendo in parte
dal passato, dalle aspettative, le capacità emerse nella seconda
93
infanzia, e in parte dal presente: dalle esperienze che giorno per
giorno aprono nuove prospettive nuove possibilità in un
alternarsi di delusioni e di conferme dei propri desideri e dei
propri sogni.
Con l’amica si discute non solo dei meccanismi della seduzione,
quali strategie adottare per far presa su quel ragazzo che piace
tanto, ma anche dall’enigma del desiderio: perché si è attratte da
lui e non da un altro, come affrontare il debutto sessuale, come
comportarsi in un’eventuale relazione.
La ragazzina comincia a pensare il proprio corpo a prenderne
mentalmente possesso. Le lunghe chiacchierate sul proprio
aspetto a cui si dedicano le due amiche riguardano argomenti
apparentemente superficiali come il truccarsi o il vestirsi. Ma
attraverso queste chiacchiere senza importanza che cominciano a
prendere confidenza con il nuovo corpo, di cui individuano pregi
e difetti specchiandosi nello sguardo dell’amica.
È sempre fra amiche che si cerca di capire che cosa si vuole fare
“da grandi”, questo tema è già stato affrontato da bambini,
quando si cercava di individuare le proprie inclinazioni, le
proprie passioni culturali e sportive. In quest’età le due amiche
cominciano a verificarsi le inclinazioni e i desideri emersi
durante l’infanzia per cercare d’individuare delle nuove risorse e
passioni.
Un avvenimento molto importante è il passaggio dalla scuola del
obbligo alle superiori che evidenzia il desiderio di affermazione
di sé della ragazza. È una scelta che deve essere autonoma da
parte della ragazza, la quale confronta i dubbi, le incertezze, le
aspettative con il suo grande amico, non solo per la fiducia che
ripone in lui, ma perché sta vivendo lo stesso dilemma.
È importante, infatti, che, nonostante l’inevitabile immaturità che
caratterizza questa fase di passaggio, l’adolescente non venga più
trattato dai genitori “come un bambino”, imponendogli le scelte
che si ritengono a torto o a ragione più opportune per lui.
Naturalmente la maggior libertà di cui gode l’adolescente in tutti
i campi comporta anche un maggior margine di rischi: che però
fanno parte della vita, della sua dinamicità. E vanno affrontati di
volta in volta accumulando così una serie di esperienze, positive
e negative, che aiutano l’adolescente a crescere.
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La capacità di non influenzare troppo i figli con i propri consigli
e le proprie opinioni è un segno di rispetto e di stima che rafforza
la fiducia dell’adolescente in se stesso e lo sostiene nel portare a
termine il percorso di crescita che già sta affrontando con l’amica
del cuore. .(Veggetti Finzi, 2000).
AMICIZIE MASCHILI
Mentre le ragazzine sotto i quattordici anni privilegiano
l’amicizia a due, nei maschi esplode la voglia di una compagna
allargata: un gruppo di coetanei con cui ritrovarsi ogni giorno,
dopo la scuola, per giocare, chiacchierare e discutere.
Il gruppo è formato da nuovi compagni di scuola, vecchi amici
delle elementari, vicini di casa, ragazzi di quartiere, riflette il
nuovo desiderio di libertà e di autonomia nella scelta delle nuove
relazioni.
La libertà è la caratteristica dominante della vita di gruppo:
proprio come nell’amicizia, non c’è nulla di imposto.Si sta
insieme perché lo si desidera. Finché non si trovano altri gruppi
che meglio corrispondono ai propri desideri di comunicazione e
di scambio.
Avvertono all’interno del gruppo un compagno che corrisponde
all’amica del cuore per le ragazze. Il terreno su cui si sviluppa
questo legame privilegiato non è quello delle confidenze, dei
segreti e dei sentimenti come avviene nelle amicizie femminili.
Per i ragazzi l’amico del cuore ha la funzione di compagno di
strada: si stabilisce così fra i 2 ragazzi una relazione in cui
ciascuno fa da spalla all’altro nella scoperta del mondo che li
circonda. Adesso, che non sono più bambini, l’esplorazione è più
facile in quanto iniziano ad allentarsi i divieti e le imposizioni
che in molti casi si opponevano al naturale impulso infantile a
esplorare il mondo circostante. I 2 ragazzi si allontanano dal
mondo familiare per esplorare l’ambiente senza più limiti
geografici precisi stabiliti dai genitori. Esplorano i luoghi fin
d’ora proibiti: il centro della città, in cui si affolla una variopinta
umanità multietnica la piazza dove s’incontrano ragazzi e
ragazze più grandi.
In questo vagabondaggio a due, gli obiettivi sociali sembrano
prevalere sugli aspetti affettivi, che hanno portato a scegliere
95
proprio quel compagno di strada e non un altro. È un legame
basato sul azione comune più che sul comune sentire.
I confini oltre cui vanno i due amici nell’esplorazione di territori
sconosciuti sono geografici, sociali e culturale.
Le loro escursioni li portano alla scoperta di nuovi ambienti,
quartieri, città e paesi dove entrano in contatto con realtà diverse
da quelle familiari che fino a questa età ci erano state fornite dai
genitori o dai mas media. L’amico del cuore riveste un ruolo
affettivo, interiore essenziale in quanto senza un compagno con
cui condividere le nuove esplorazioni per il ragazzo sarebbe più
difficile forse impossibile non solo avventurarsi negli angoli
segreti del suo quartiere, della sua città ma anche trasformare in
pensiero ciò che va scoprendo, ed elaborare così una
rappresentazione simbolica delle esperienze che sta vivendo,
attribuendo loro un senso e un valore, positivo o negativo, che lo
induce a farle proprie, ad approfondirne le possibilità o al
contrario lasciar perdere.
I due ragazzi possono discutere se è davvero il caso di unirsi agli
altri, e provare la prima sigaretta o il primo spinello. Se è il caso
di continuare la scoperta di tutti gli aspetti della società, oppure
se conviene fermarsi, e a volte tornare sui passi inattesa di aver
sviluppato migliori strumenti di conoscenza e maggiori risorse
interiori per decidere su che cosa fare.
Il desiderio di crescere e di diventare un soggetto sociale,
consapevole di “come va il mondo”e soprattutto di “come si fa a
vivere” spinge il ragazzo a trovare un amico che lo affianchi nel
suo percorso di crescita di cui la loro relazione rappresenta il
primo grande passo.
L’ampliamento dello spazio sociale e lo spirito d’avventura che
anima i due ragazzi hanno le loro fondamenta nell’rapporto con
la madre e nel distaccarsi da lei, per affermare se stesso e la
propria individualità; un distacco che non riguarda solo la madre
ma da tutto ciò che la rappresenta, a cominciare dalla casa e dalle
abitudini familiari. È proprio questo desiderio di separarsi dal
mondo materno che gli consentono di far fronte ai rischi che
l’avventura comporta.
Il rischio è legato al livello di dipendenza dalla madre: quanto più
teme di essere ancora succube del suo magico potere, vissuto
nello steso tempo come rassicurante, tanto più alto sarà il rischio
96
che il ragazzo si impone di affrontare, per potersi sentire davvero
indipendente.
Con la complicità dell’amico il ragazzo può invece avventurarsi
nel mondo superando insieme ai confini familiari anche la
barriera dell’ansia materna. È proprio per agire in piena libertà,
senza più il timore infantile di far qualcosa che “dispiace alla
mamma” che i due amici tengono nascoste le loro imprese.Solo
più tardi, la madre ne verrà a conoscenza. E si accorgerà che la
sua crescita è stata segnata da quei particolari eventi che le sono
stati tenuti nascosti.
Ora il ragazzo insieme all’amico comincia a rivolgere lo sguardo
non solo alle donne più grandi, ma anche alle coetanee, nasce
così il desiderio d’incontro più ravvicinato con l’altro sesso, che
sulla spinta di emozioni condivise dai due ragazzi tende a
focalizzarsi sulla stessa ragazza. Iniziano così i primi litigi
competitivi e i primi riti di corteggiamento per esempio insieme
l’accompagnano a casa da scuola, seguendola un po’ a distanza,
finché di solito è lei a rivolgere loro la parola.
La corteggiano insieme non perché hanno paura di farlo da soli.
Ma perché anche l’innamoramento, a quest’età, fa parte delle
esperienze condivise dai due amici, inseparabili persino nelle
vicende sentimentali.
L’amico del cuore può piacere o no ai genitori. Il ragazzo spesso
sceglie il proprio amico al di fuori della cerchia familiare di
conoscenze. Gli aspetti che possono suscitare dubbi e perplessità
per i genitori sono di natura caratteriali o sociali oppure
riguardano il look.
Come sappiamo l’amico è il passepartut per uscire di casa, per
trovare nuove amicizie, per soffrire di meno quando hanno dei
problemi. E guai se qualcuno lo disprezza e lo critica, così
facendo lo avvicineremo ancora di più all’amico criticato.Inoltre
aumenteremmo il loro desiderio di allontanarsi da casa, poiché
sentirebbero dolorosamente che noi li consideriamo ancora dei
bambini. Se poi gli vietiamo di frequentarlo, allora per loro sarà
drammatico perdere quell’amico e non ce lo perdoneranno: li
costringeremo a sentirsi di nuovo soli e smarriti, ricacciati nel
mondo infantile. ( D’agostini, 1996).
In questo periodo un grande rischio che ricorrono numerosi
ragazzi è quello della solitudine. I rapporti che si intraprendono
97
con l’amico del cuore spianano la strada verso il grande gruppo
quello della piena adolescenza, non più solamente maschile, ma
aperto ai rapporti con le ragazze e alle prime relazioni d’amore.
Ma c’è anche chi rimane imbrigliato nei confini familiari,
domestici, da genitori che continuano a tenere il ragazzo “sotto
chiave” persino nei primi anni che seguono la pubertà,
telefonandogli a casa per sapere non “come sta” ma “che cosa sta
facendo”.
Questa apprensione è la stessa che durante l’infanzia costringe in
casa molti bambini questo a causa non della sfiducia dei figli, ma
per la paura dei rischi del mondo esterno come la pedofilia, alla
droga, ai furti e alla violenza o episodi drammatici che
avvengono a distanze molto ravvicinate, nello stesso condominio
o quartiere.
Anche se le recenti indagini hanno dimostrato che la maggior
parte di reati avvengono proprio nell’ambiente considerato più
protetto, quello familiare. È sempre fuori di noi, che si proietta il
mostro, uno sconosciuto, la cui ombra minacciosa aleggia fuori
di casa, e in cui i bambini e i ragazzi potrebbero imbattersi in
ogni momento.
I rischi naturalmente esistono, in casa e fuori. Ma fanno parte
della crescita e vanno affrontati di volta in volta, sia pure
mantenendo un certo margine di sicurezza e di controllo.
Questa tendenza a proiettare fuori il male induce molti genitori a
prolungare lo stato di dipendenza infantile del figlio anche dopo
la pubertà, quando il desiderio e la necessità di lasciare la
famiglia diventano più forti.
Si dimentica così che il ragazzo chiuso in casa si trova immerso
in uno dei mali più angoscianti a quest’età, la solitudine. Che in
assenza di spinte emotive condivise con un amico è creativa e
genera noia e angoscia. È questo il pericolo che corrono i ragazzi
costretti a rimanere a lungo dentro i limiti familiari dell’infanzia,
che rischia di essere pericolosa se gli si proibisce di assecondare
la spinta fisiologica che lo spinge “lontano da casa”, in un
viaggio di scoperta e di formazione insieme all’amico del cuore.
(Veggetti Finzi, 2000).
98
3.3.3 IL DIARIO
In questa fase della crescita fa la sua comparsa il diario:un
scrigno che sostituisce la “scatola dei segreti, dove la bambina
teneva nascosti piccoli oggetti che acquistavano un significato
particolare proprio perché appartenevano solo a lei e che non
dovevano essere scoperti da nessuno.Il diario è il nuovo scrigno
in cui vengono custoditi gelosamente i pensieri più intimi, più
segreti. Attraverso la scrittura i sogni , le angosce che
nell’infanzia trovavano espressione nel significato inconscio del
gioco e del disegno ora vengono filtrati dalla coscienza e
trasformati in riflessione registrando non solo quanto accade
nella realtà esterna, ma anche dentro di sé, nel proprio mondo
interiore.
Il diario rivela un nuovo importante passo avanti nello psichico
della bambina: la capacità d’introspezione. Scrivendo ciò che
pensa di se stessa e del mondo la ragazzina dimostra un desiderio
di guardarsi dentro. Nonostante la segretezza che circonda il
diario,può succedere che la ragazzina lo lasci ben in vista, nella
sua camera, come se inconsciamente desiderasse che la mamma
vi dia una sbirciatina, per poi accusare di spiare fra le sue cose. E
avere un buon motivo per arrabbiarsi con lei. Meglio quindi non
cadere nel tranello:anche se il diario sembra messo lì per farsi
leggere,l’unica lettrice autorizzata è l’amica del cuore. Che ha il
privilegio di aggiungere le sue note a margine, continuando sulle
pagine del diario il dialogo segreto che lega le due amiche. Nel
distacco estivo delle vacanze può perfino succedere che si
avventurino in esperienze nuove solo per il gusto di avere un
segreto inedito da scrivere all’amica come il primo bacio.
.(Veggetti Finzi, 2000).
99
3.3.4 I GRUPPI
Nell’adolescenza cresce il bisogno di ridefinire le relazioni con
alcune entità sociali significative come la famiglia e di
intensificare il rapporto con altre entità sociali, in particolar
modo i coetanei.
Sherif (1964) “definisce il gruppo dei pari come un laboratorio
sociale nel quale il ragazzo e la ragazza possono sperimentare
scelte e comportamenti autonomi; i coetanei vengono identificati
come il più importante oggetto di confronto sociale nella
costruzione dell’identità dell’adolescente”.
Abbiamo visto che durante la pubertà predilige il rapporto a due,
con l’amico/l’amica del cuore, formato da soggetti dello stesso
sesso. Nei confronti dell’amico del cuore, gli adolescenti si
dimostrano molto esigenti, chiedendo fedeltà, aiuto e
comprensione.
Secondo alcuni autori i ragazzi cercano di attribuire a questi
amici speciali le caratteristiche positive attribuite nell’infanzia ai
genitori, proprio nel momento in cui tentano di prenderne
psicologicamente le distanze. (Douvan e Adelson 1966).
Gli adolescenti fin verso i 13- 14 anni s’incontrano con i coetanei
per fare delle cose, è numerosa lo loro partecipazioni ad
associazioni di stampo educativo, religioso e sportivo più in
genere ad attività di gruppo organizzate dagli adulti.
Verso la fine della scuola dell’obbligo, gli adolescenti
sperimentano modalità di aggregazione spontanea; ad attività non
gestite dagli adulti come un giro in bicicletta o un uscita al
cinema.
I rapporti tra amici tendono a modificarsi nell’età della piena
adolescenza, con la partecipazione ad esperienze aggregative
tende a calare in corrispondenza con i primi anni della scuola
superiore.
Acquisita una maggiore autonomia negli spostamenti, l’ampliarsi
delle relazioni con i coetanei e il desiderio di una maggiore
libertà da regole prestabilite sembrano condurre i giovani verso
100
gruppi informali, diminuendo così la partecipazione a gruppi
formali di tipo socio-educativo.
Mi sembra opportuno soffermarmi sulla distinzione di questi 2
grandi tipi di gruppi:
• I gruppi informali
• I gruppi formali
I gruppi informali
Questi gruppi di formazione volontaria, sembrano rispondere
meglio a certi bisogni tipici di un preadolescente o di un
adolescente, come risulta con chiarezza da questa testimonianza:
Con i miei compagni di classe sono generalmente andata
d’accordo alle medie come alle superiori, sia con i ragazzi che
con le ragazze. Inoltre frequentavo gruppi parrocchiali e anche li
avevo occasioni di fare amicizia. I miei migliori amici erano
però, allora come adesso, alcuni ragazzi che frequento da anni.
Nonostante la distanza avevo la possibilità di incontrarli anche
durante il resto dell’anno e sapevo di poter sempre contare su di
loro; soprattutto con una ragazza, che considero la mia migliore
amica, potevo parlare d tutto, anche se talvolta solo per telefono
o lettera, e lei faceva lo stesso con me, quindi ci siamo
appoggiate l’una all’altra per anni e ancor oggi, anche se in
misura minore, lo facciamo. ( Peter,1990)
Questi gruppi sono caratteristici dei ragazzi della seconda
adolescenza, vi partecipano ragazzi di 15-17 anni. Queste
relazioni costruite quotidianamente per strada, nei bar ai giardini
pubblici, impegnano molto tempo ed energia da parte
dell’adolescente, anche se il significato di tante ore passate
insieme apparentemente, senza fare niente, risulta di difficile
comprensione per gli adulti.
Questi gruppi sono composti da tutte le classi sociali: studenti,
lavoratori, maschi e femmine.
La composizione di questi gruppi è omogenea , provenienza
sociale, look esteriori, linguaggio, modalità d’interazione e stili
di comportamento.
Questa omogeneità di provenienza e di esperienza è uno dei
principali fattori che entrano in gioco nella formazione naturale
del gruppo; ciò significa che gli adolescenti si cercano e si
101
aggregano su basi di caratteristiche precise, scegliendo gli amici
del gruppo sulla base della somiglianza.
Le specificità che favoriscono la formazione del gruppo
diventano progressivamente elementi di differenziazione fra quel
gruppo ed altri gruppi, con caratteristiche diverse, presenti nello
stesso contesto sociale.
Come in tutte le interazioni sociali anche la vita di gruppo
informale comporta delle regole, percepite dai membri con
diversi gradi di consapevolezza, ma fondamentali per il
funzionamento quotidiano e per il processo di identificazione.
Anche in queste aggregazioni nate spontaneamente si definiscono
dei ruoli fra i membri del gruppo. Il prolungarsi dell’interazione
fra i partecipanti porta alla costruzione di regole normative di
comportamento che risultano determinanti per la vita del gruppo.
Alcune ricerche italiane hanno dimostrato che il gruppo non è
facilmente disponibile all’ingresso di nuovi membri e non
ammette fluttuazioni dei suoi membri da un gruppo ad un altro.
Netto appare il rifiuto nei confronti di coetanei che cercano di
proporsi come leader all’interno del gruppo. All’interno del
gruppo c’è un forte bisogno di solidarietà che si esprime in
un’intensa attività comunicativa all’interno della compagna. Lo
stare insieme e di parlare rappresentano le attività più importanti
e più cariche di significati emotivi del gruppo.
Il gruppo costruisce la propria coesione sulle piccole esperienze
concrete vissute collettivamente e questa esperienza comune
induce un bisogno quotidiano di frequentazione. Non poter
partecipare a tutti i momenti di incontro viene considerato una
“perdita”sul piano personale.
Gruppi formali
Questi gruppi si costituiscono come emanazione di istituzioni o
movimenti o di organizzazioni politiche e culturali. Sono
accomunati dal richiamo esplicito a precisi valori di riferimento e
dalla condivisione dell’impegno a svolgere attività concrete, essi
mettono a disposizione dei loro membri uno spazio fisico di
incontro che rappresenta un elemento di identificazione
simbolica e prevedono alla partecipazione alla vita del gruppo di
figure adulte (educatori,allenatori) che garantiscono la continuità
dello sforzo di perseguire gli scopi sociali. Questi gruppi sono
102
formati da una moltitudine di esperienze che chiamano in causa
attività di valori assai diversi (dalla fede religiosa allo sport) ed è
possibile la contemporanea partecipazione ad un gruppo formale
e a quella di un nucleo amicale di tipo spontaneo.
I ragazzi e le ragazze consumano il proprio tempo libero in
maniera diversificata, alternando momenti di divertimento con
persone diverse e momenti di impegno all’interno di contesti
differenti.Tuttavia non tutte le stesse relazioni amicali rivestono
lo stesso significato, così come non tutte le attività richiedono lo
stesso investimento di tempo ed energia da parte
dell’adolescente. (Palmonari, 1997)
I leader adolescenziali
Secondo Ausuber il leader è la persona che spinge il gruppo
all’azione,che ha maggior influsso nel processo di decisione e di
realizzazione di un progetto,per cui il gruppo gli riconosce
l’esperienza e le capacità di organizzare per il meglio le attività
corrispondenti ai suoi scopi e bisogni.
Nella scelta di un leader influiscono non solo le qualità che
rendono una persona gradita ma anche la capacità organizzativa
del capo.
Ausuber classifica nel modo seguente le qualità più spesso
rilevante per i maschi:
• Aspetto fisico, forza o abilità atletica
• Intelligenza
• Capacità di prendere decisioni, giudizio discriminativi,
poca suggestionabilità e immaginazione
• Maturità e varietà degli interessi
• Estroversione, dominanza, vitalità e sportività
Il leader esercita senz’altro un potere sul gruppo ma non di tipo
dittatoriale perché deve esser capace di realizzare ciò che il
gruppo si aspetta da lui, deve rispettare gli scopi e le tradizioni
del gruppo e più di qualsiasi altro deve adempiere
scrupolosamente agli obblighi del suo ruolo. Spesso nei gruppi il
potere è distribuito tra vari adolescenti che si addestrano quindi a
comandare e a sottomettersi. Si preparano in tal modo ad entrare
nel mondo gerarchizzato degli adulti.(Lutte, 1980)
103
“LA BANDA”
Un gruppo sociale molto diffuso nell’adolescenza è la banda , la
partecipazione ha questa compagna è volontaria. Già durante
l’infanzia vi era una certa vita di gruppo in situazioni
extrascolastiche al di fuori di strutture organizzate. Durante
l’adolescenza, i bisogni sono in larga parte diversa, e non
consistono più solo nel desiderio di trovare condizioni favorevoli
per giochi che richiedano la partecipazione di più bambini, ma
comprendono anche quei desideri di esperienze nuove da
compiere al di fuori del controllo degli adulti, di scoperta e
verifica delle proprie abilità, di elaborazione in parità delle nuove
conoscenze ed emozioni.
La banda è formata da ragazzi dello stesso sesso. Certi elementi
di affinità personale, certi rapporti di simpatia ed una certa
disposizione ad accettare le norme presenti nel gruppo che
agiscono nel selezionare i membri della banda.
La banda è un microcosmo sociale:figli di operaie di
professionisti, di famiglie povere e di famiglie agiate, prendono
parte in gruppo alle stesse attività o frequentano gli stessi
ambienti con il consenso o nonostante il divieto dei familiari
adulti.
Le esperienze che i componenti di una banda possono compiere
sono numerose e riconducibili ad alcuni tipi fondamentali. Esse
riguardano , la conoscenza di posti nuovi e situazioni nuove che
comportano alcune difficoltà.
L’essere in gruppo permette di affrontare direttamente anche
situazioni,che per il loro carattere insolito suscitano spesso
sentimenti di paura e di insicurezza. Il fatto di essere in gruppo
aumenta la vigilanza contro i potenziali pericoli, riduce l’ansia e
attenua i sentimenti di colpa. Inoltre in gruppo le idee e le
iniziative si moltiplicano, le esperienze risultano più numerose e
più varie.
Quando la banda diventa un branco
104
Nel gruppo i ragazzi possono naturalmente dar sfogo anche alle
pulsioni aggressive nel modo più spontaneo,
gridando,schiamazzando, rincorrendosi, minando la lotta come si
sentono irresistibilmente portati a fare a questa età.
Non mancano i casi in cui si organizzano bande dedite ad atti di
vandalismo o piccoli furti. I ragazzi hanno uno scarso interesse
per le loro vittime e siano consapevoli della gravità dei loro atti e
tanto meno delle possibili implicazioni giuridiche penali.
“volevamo solo divertirci, fare casino” dicono quando vengono
colti sul fatto. E in fondo, l’aspetto più preoccupante di queste
imprese è proprio il totale assenza di significato che rivestono per
chi le compie,sia dal punto di vista psicologico che etico. Tutto si
riduce a una bravata di gruppo, a un’azione compiuta così, tanto
per fare qualcosa di diverso, che spazi di noia dei lunghi
pomeriggi sempre uguali regolando per qualche istante emozioni,
il brivido del rischio e la soddisfazione di averla fatta franca. La
bravata diventa così una rottura con la routine quotidiana.
Di recente alcuni episodi di cronaca hanno visto come
protagonisti dei giovani, adolescenti, ma che cosa gli ha spinto a
compiere atti cosi gravi, come il furto, la violenza o l’omicidio.
Un barbone si appisolò sulla panchina sbagliata nel momento
sbagliato. Quando riaprì gli occhi, svegliato di soprassalto da
uno spintone, ebbe appena il tempo di capire di essersi
trasformato in preda di un branco. Non di lupi affamati, ma di
uomini: 4 giovani, a spasso per un giardino di Brindisi, lo
accerchiarono e lo picchiarono fino ad ucciderlo.
«Il vagabondo» spiegarono gli investigatori «si era rifiutato di
alzarsi quando i teppisti glielo avevano ordinato. Per questo lo
hanno "punito"».
La massa crea l'alibi.
Ma si può uccidere per un motivo così? Si può accoltellare una
suora per noia. Come è successo in Valchiavenna qualche mese
fa? O aggredire per sfida una prostituta o un extracomunitario?
E’ improbabile se ad agire è un singolo individuo. Ma quando a
muoversi è un gruppo, sostengono gli studiosi, la forza e il
105
"coraggio" si moltiplicano e si innescano meccanismi simili a
quelli che esistono fra gli animali: la fedeltà reciproca,
l'obbedienza, la difesa del territorio, l'assalto alla preda. Non a
caso il termine branco, negli ultimi anni è stato preso in prestito
dalla zoologia per indicare bande di giovani criminali:
adolescenti, per lo più. Provenienti da famiglie più o meno benestanti, senza precedenti penali, ma che all'improvviso si
trasformano in vandali o assassini. Perché? «Ci sono due aspetti
da considerare: la violenza e appunto, la dinamica del gruppo»
spiega Marisa Mammano, psicoterapeuta ed esperta di psicologia
giuridica. «La violenza è una caratteristica tipica dell'adolescenza
un modo per comunicare, per chiedere ascolto.
Generalmente termina alle prime sfuriate dei genitori. Ma se il
ragazzino che ruba la cioccolata al supermercato o picchia il
compagno di classe la fa franca un po' di volte, magari perché la
famiglia è disattenta, comincerà a sentirsi abile, appagato da
quelle esperienze. E continuerà a comportarsi così».
Poi il gruppo «L'uomo è un animale sociale» continua Mammano
«e fin dall'adolescenza sente il bisogno di inserirsi in contesti diversi da quelli familiari dove mettersi alla prova. Un giovane che
abbia superato la fase violenta sceglierà la pallacanestro, la
parrocchia, gli scout. Uno che invece vi abbia trovato
soddisfazione potrà più facilmente entrare in contatto con
coetanei che hanno vissuto positivamente analoghi episodi di
trasgressione. Insieme potrebbero decidere di proseguire su
quella strada». Niente di più facile, d'altronde: un'indagine della
Cospes, un osservatorio sul mondo dei giovani, compiuta qualche
anno fa su oltre 10 mila adolescenti italiani tra i 14 e i 19 anni,
ha, infatti, messo in luce risultati sconcertanti- Il 14% degli
intervistati confessò di frequentare tossicodipendenti; il 7%
spacciatori; il 7 % persone che erano state in carcere; quasi il 3%
gente che si prostituiva.
Nasce il branco, dunque. All'inizio, quasi per gioco, ci si dedica a
insignificanti atti di vandalismo. Molte volte se ne parla e basta.
Ragazzini che incendiano i cassonetti delle immondizie,
picchiano i compagni più deboli. O chiedono il pizzo ai coetanei,
come è successo di recente a Tivoli (Roma), dove tra bambini ci
si minacciava di morte per poche decine di migliaia di lire. Casi
più frequenti di quanto si creda. Ma si arriva al punto in cui tutto
106
questo non è più sufficiente. Il gruppo deve misurarsi in imprese
sempre più "importanti": la vetrina in frantumi, il furto, lo stupro.
Talvolta è sufficiente il reclutamento di un nuovo associato
perché tutto il branco decida di sottoporsi a una prova di coraggio: un modo per rinforzare il legame (ci si sente più uniti dopo
aver vissuto insieme un’emozione forte) e per verificare fino a
dove la nuova leva sia disposta ad arrivare. Forse qualcosa di
simile è accaduto a Leno (Brescia) pochi mesi fa, quando cinque
giovani hanno violentato e ucciso la piccola Desirèe.
Un gesto terribile, ancora senza spiegazioni. Spiega Geraldo
Caliman, docente di sociologia dell’emarginazione e della
devianza all'università Salesiana di Roma: «Ciascun membro
trova nel gruppo la forza per esprimersi. Nessuno di loro, preso
singolarmente, sarebbe capace di fare del male».
In questo modo il branco cresce e al suo interno, come gli
psicologi hanno dimostrato, comincia a crearsi una sorta di
gerarchia. Una vera e propria scala di potere. Uno dei membri
prende la leadership: può essere il più esperto, o il meno giovane,
o il più autorevole. Ma anche la persona alla quale gli altri, i
gregari, delegano tutta la responsabilità delle azioni compiute. A
lui non si può disobbedire: farlo significherebbe proporsi quale
capo alternativo. Il leader può anche scegliersi un vice: è un suo
sottomesso, un debole di carattere, non ha alcun potere all'interno
del branco, il leader, d'altronde, non può circondarsi di
personalità forti: rischierebbe che queste prendano il sopravvento. Un'altra figura comune nei gruppi è quella del
gregario più popolare: non è un capo - neppure lui può dare
ordini - ma una sorta di confessore. Tutti i membri del gruppo lo
reputano un amico, una persona con la quale ci si può confidare,
potendo sempre ricevere un consiglio o una parola di conforto.
Poi c'è il gregario carismatico, ovvero il membro del branco al
quale tutti ritengono che il capo dia ascolto. Una sorta di anima
nera, insomma. E non ha importanza se questo corrisponda alla
verità o meno: ciò che importa è quello che le persone
immaginano. Infine, i gregari comuni, gli ultimi arrivati, i più
giovani e meno esperti.
II branco è ormai una piccola comunità. Quando è unito, è come
un unico individuo, in cui il coraggio è moltiplicato per il numero
dei suoi membri. Esistono riti, consuetudini: i saluti, il
107
reclutamento dei nuovi adepti, i posti frequentati. Ogni azione è
standardizzata. Che cosa, d'altronde, potrebbe irrobustire
l'identità del gruppo se non i riti? Anche lasciare il branco
diventa sempre più difficile. «Per un gregario» continua Mammano «abbandonare il collettivo potrebbe significare l'emarginazione, la rinuncia a tutto ciò in cui si era creduto fino a quel
punto. Ed è molto più facile, per un giovane, assecondare la
violenza del gruppo che non rinunciare a una parte di sé».
Ma, come nelle squadre più affiatate, anche nel branco possono
verificarsi episodi di disobbedienza. In realtà, precisa Mammano,
sono davvero poco frequenti i casi in cui un gregario osa mettere
in discussione la volontà del capo, anche quando si tratta di
uccidere. Il fatto è che, col passare del tempo, la differenza tra
bucare la gomma di un'auto e commettere un omicidio si riduce
quasi a zero: in entrambi i casi si tratta di una prova di fedeltà
che il leader chiede ai propri uomini. Compiere il gesto è un
modo per realizzarsi e per rafforzare il senso di appartenenza. Se
qualcuno vi si oppone è fuori dal gruppo. Per andare avanti, non
serve essere degli psicopatici: i componenti della banda che nel
dicembre del '96 lanciarono da un cavalcavia vicino a Tortona il
sasso che colpì a morte Maria Letizia Bordini erano ragazzi
assolutamente sani di mente.
L'unico modo perché una missione ad alto rischio non venga
compiuta è che a contrastare il capo siano il gregario più
popolare o quello più carismatico. In questo caso, alcuni degli
associati potrebbero lasciarsi coinvolgere, spaccando il gruppo o
destituendo il leader. Ma attenzione: ciò non significherebbe per
forza l'annullamento dell’azione, perché lo stesso leader, che
quasi certamente non accetterà di fare retromarcia, potrebbe
trovarsi nuovi alleati e tornare in pista. Prima o poi, però, la
banda cessa di esistere. In Italia (negli Usa le cose funzionano in
modo diverso) raramente si riscontrano gruppi di teppisti con età
superiore ai 30 anni. «Sono bande estemporanee» dice Caliman
«agiscono per noia e scompaiono in fretta». Tre sono le vie che
possono aprirsi. La prima: la criminalità è diventata la principale
ragione di essere del branco. I membri entrano in grandi
organizzazioni o correggono i loro obiettivi puntando su rapine o
altre azioni in grado di procurare profitti. La seconda è la più
frequente: i membri del gruppo si responsabilizzano con l'età e,
108
presi da altri interessi (il lavoro, la famiglia, lo sport), sciolgono
il legame. La terza, forse la più inquietante: il branco viene
scoperto dalla polizia e i suoi membri arrestati. Il branco muore
fisicamente, ma idealmente può rimanere in vita. «Il leader, infatti, difficilmente si rassegnerà a pentirsi e a riconoscere le
proprie colpe: si era assunto tutte le responsabilità e ora
disconoscere il passato sarebbe come distruggere una parte di sé»
prosegue Mammano. Un gregario, diversamente, potrà rompere il
patto di fedeltà e riconoscere i fatti, ma è probabile che
scaricherà tutte le colpe sul leader o negherà o, tra mille paure,
cercherà fragili giustificazioni a quanto è stato compiuto; "Il
barbone? Era inutile", "II marocchino? Un posto di lavoro in
meno per noi", "La prostituta? Chiedeva soldi, era immorale", "E
poi non ero da solo".
109
3.4 SVILUPPO AFFETTIVO
CANTICO DEI CANTICI
Mi baci con i baci della tua bocca!
Si, le tue carezze sono più dolci del vino.
Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi,
profumo olezzante è il tuo nome,
per questo le giovanette ti amano.
Attirami, dietro a te, corriamo!
(cap.1, vv.2-4)
Durante la scuola materna o quella elementare, è sicuramente
capitato a tutti di sperimentare un interesse particolare per
qualche amichetto o amichetta. Compagni con cui non ci si
stancava mai di giocare insieme, da cercare e abbracciare
spontaneamente tutte le volte che se ne aveva voglia. Ciò che
caratterizza principalmente questi gesti era la loro totale
naturalezza. Durante il periodo dell’infanzia i bambini non hanno
coscienza del proprio sesso, maschi e femmine vivono più o
meno negli stessi luoghi e sono ancora legati ai propri genitori, in
cui trovano protezione e affetto. I bambini non si vergognano e
difficilmente arrossiscono. Tutti i bimbi sono pronti a citare
candidamente il nome della propria fidanzatina, davanti alle
richieste di qualche zia o amico di famiglia. Uomini e donne in
miniatura che a quattro anni iniziano a raccontare le loro storie
d’amore.
Nella mia classe di catechismo, una terza elementare, un
bambino ha espresso il suo amore verso una bambina della
medesima classe, citandone il nome con una naturalezza e
spontaneità, senza temere il giudizio dei compagni e senza paura
110
di essere rifiutato o acetato, come fosse un gioco. Quello che mi
ha impressionato di più è stata la sua totale naturalezza.
Durante l’adolescenza, le cose funzionano un po’ diversamente.
Il corpo si è trasformato, adesso è sessuato e in grado di
procreare.
È il fantastico periodo dove le energie esplodono e la voglia di
stringere rapporti intensi è fortissima.
Ciascuno certo deve fare i conti con il suo carattere e può vivere
più o meno facilmente questa esperienza di apertura.
La tensione affettiva che si sperimenta in adolescenza non ha
eguali. Ci si sente capaci di amare il mondo intero. Si inizia a
provare il desiderio di stare sempre con i propri amici e si scopre
la diversità dell’altro.
È il periodo delle grandi emozioni, dei primi amori e delle
amicizie che non si scordano mai.
I Ragazzi fanno anche l’esperienza straordinaria
dell’innamoramento. Non è qualcosa di spiegabile in poche
parole in quanto evento estremamente variabile nell’esperienza di
ciascuno
Quando uno è innamorato, in casa lo si capisce subito, è allegro,
un po’ sognante, distratto, usa molto il telefono e soprattutto si
cura in modo eccessivo nell’igiene personale e nel vestire.
Se ha un buon rapporto con i genitori: dopo un po’ porterà il suo
amore in casa cercando approvazione: tutto sommato pensa di
portare un dono ai genitori, un simbolo della propria maturità che
invece spesso, i genitori, lo prendano molto diversamente: lo
banalizziamo, lo osteggiamo, gelosi. Spesso ne parlano con amici
e parenti, rompendo la segretezza nella quale erano stati
coinvolti; la rabbia per essere considerato per l’ennesima volta
come un bambino può portare alla decisione di non ripetere
l’esperienza e seppur con dolore, girare alla larga da casa.
Prima di giudicare i ragazzi dei figli, ricordiamoci che siamo stati
noi il loro amore: il papà per la figlia e la mamma per il maschio,
e che la scelta non può essere disgiunta da questa antica
infatuazione. Pensiamo allora che chi arriva in casa è il risultato
della ricerca di qualcuno o qualcuna con qualche caratteristica in
comune con mamma e papà. Può essere la fotocopia, dei genitori,
fisicamente o nel modo di pensare, per lo meno per come
vengono visti dai genitori o può essere diversissimo, l’opposto
111
dei genitori, ma qualche tratto comune sarà sempre riconoscibile.
In ogni caso sarà sempre utile chiederci il perché di quella
particolare scelta. (D’agostini, 1996).
L’amore scatta indipendentemente dalla volontà dell’innamorato
e soprattutto può avere tempi e manifestazioni diversi.
A volte può scattare nei confronti di un perfetto sconosciuto con
cui si scambiano poche parole, altre volte scatta nei confronti di
un amico con cui abbiamo già condiviso un sacco di cose. Inoltre
può succedere che la sensazione di sentirsi innamorati non sia
immediatamente consapevole. Concretamente il sentirsi
innamorati è un efficacissimo motore per aprirsi all’esperienza
della conoscenza profonda dell’altro.
Se il sentimento è ricambiato si crea tra gli innamorati
un’alleanza che abbassa momentaneamente le difese e soprattutto
alza moltissimo il livello di accettazione dell’altro così com’è.
Ci si convince che la persona con cui si sta uscendo è
meravigliosa, si gode il piacere puro del sentirsi uniti e in perfetta
sintonia. Ovviamente questo è uno stato totalmente provvisorio.
Questa magia svanisce nel giro di poco tempo e più o meno di
colpo si scoprono aspetti dell’altro che ci mettono in difficoltà e
con i quali non sappiamo rapportarci.
Questa è un’evoluzione assolutamente sana che consente di
passare all’esperienza dell’amore vero, quello dove si impara ad
affrontare e ad accettare la diversità. Il legame creato
nell’innamoramento diventa la base per “sopportare” gli
inevitabili conflitti che l’intimità genera e soprattutto
l’accettazione che l’altro non sia esattamente come ce lo
aspettavamo. Si deve imparare a litigare. Discutere bene aiuta la
coppia ed è una solida base su cui fondere un’unione che dura nel
tempo. Sperimentare la paura di provare attrazione per persone
dello stesso sesso o sentirsi travolto dall’eccitamento fisico e
mentale sono esperienze diffuse con le quali ciascuno deve
confrontarsi per trovare un proprio equilibrio. Rispetto alla
modalità con cui ciascuno decide di vivere la propria sessualità
può succedere di fare scelte sbagliate, di sperimentare esperienze
o pensieri che poi lasciano l’amaro in bocca. Se uno inciampa
significa comunque che sta camminando. Quando invece uno è
sempre per terra, allora ci troviamo di fronte a una situazione
particolare che va capita a fondo. Ma quando uno cade e poi si
112
rialza e si rimette a camminare, molto probabilmente sarà più
attento e soprattutto avrà ancora più voglia di andare avanti.
Peccato che molto spesso sia difficile trovare qualcuno con cui
raccontare i motivi delle cadute.
In adolescenza si devono fare i conti con un energia esplosiva
interiore che non è semplice controllarla. La cosa fondamentale è
non avere paura e soprattutto trovare il coraggio di parlare, con
qualcuno di cui ci si fida, delle situazioni che ci mettono a
disaggio.
L’adolescenza è il periodo della segretezza, dei primi rossori, del
senso di vergogna e di timidezza che caratterizzano così spesso
l’adolescente nelle relazioni.
Lo sguardo esterno può essere vissuto come giudizio definitivo
sulla propria persona. Per la fragilità del confine che separa il
mondo interno da quello esterno, l’adolescente percepisce il
rischio che lo sguardo dell’altro abbia la capacità di penetrare nel
suo mondo sconvolto, di percepire la confusione e la pericolosità.
Teme di essere visto per come è davvero ed in particolare corre il
rischio che venga scoperto dall’adulto tutto quanto concerne le
nuove sensazioni e competenze del corpo sessuato che devono
rimanere gelosamente segrete.
La segretezza è una dimensione particolarmente importante che
non ha unicamente lo scopo di nascondere all’altro o condividere
solo in una ristrettissima intimità il proprio sapere, ma che
rappresenta una vera e propria garanzia di solidità per potersi
tenere insieme. In questo senso va letto il mutismo e il silenzio
dell’adolescente che fanno nascere sentimenti di frustrazione
nell’adulto.
Nasce in questo periodo un vero e proprio bisogno di non parlare
o di non dire tutto che richiede attenzione e rispetto da parte
dell’adulto e che non va banalizzato né trasformato in problema.
(Fabbrini,2000).
È questo un grosso problema della nostra società, ormai virtuale,
dove anche le sensazioni e i sentimenti sono virtualizzati.
L’affettività degli adolescenti si è profondamente trasformata.
Alcuni di loro descrivono il desiderio sessuale come una
necessità fisiologica da soddisfare nel più breve tempo possibile
e con il minor coinvolgimento emotivo e sensoriale: come
estrarre una coca cola dal frigo e berla d’un fiato senza nemmeno
113
sentirne il sapore. Secondo Crepet i nostri adolescenti sono
diventati degli “analfabeti delle emozioni” deprivati dei sensi
come tanti piccoli autistici.
L’alfabetizzazione delle emozioni non può che partire dalla piena
riacquisizione di tutti i nostri sensi. La famiglia e la scuola
devono aiutare il bambino a prendere possesso di questa sua
enorme potenzialità, troppo spesso inibita e rimossa.
I bambini e i ragazzi passano molto tempo guardando la
televisione o navigando su internet strumenti comunicativi in
grado, nel migliore dei casi, di sviluppare solo due dei 5 sensi: la
vista, e l’udito. I ragazzi imparano a dire “ti voglio bene” o
esprimere i propri sentimenti attraverso i messaggi con il cellulari
o le e-email. Stratagemmi, emotivamente più semplici da usare
perché mancano gli interlocutori, se non quelli virtuali, quindi si
evita il giudizio degli altri come avessero paura dei propri
sentimenti e non sanno più esprimere le proprie emozioni.
Quando si chiede ha un ragazzo che cosa ha provato in quella
determinata situazione, lo mettiamo in crisi. Un aiuto ad
affrontare questa situazione può essere fornita dai genitori o dai
insegnanti, per esempio se invece delle solite frasi che un
insegnante e un genitore rivolgono ai ragazzi “come è andata a
scuola?” oppure “come va?” domande che si rispondono in fretta
prima di andarsi a chiudere in camera o sedersi davanti alla
televisione, si domandassero come vanno i tuoi rapporti con gli
amici, con i fratelli o con mamma e papà, o come ti trovi con
quella determinata insegnante. I ragazzi si sentirebbero
valorizzati e imparerebbero ad esprimere i propri sentimenti e le
proprie sensazioni e aumenterebbe la propria autostima. (Crepet,
2001)
Nello sviluppo affettivo sviluppa un ruolo fondamentale il
donare, riportando un esempio di Crepet: un signore ha un
rapporto un po’ difficoltoso con suo figlio;nell’raccontare
quest’episodio lui si sofferma su un piccolo avvenimento
quotidiano che lo ha incuriosito: da qualche settimana il suo
ragazzo, ogni mattina prende il telefono del padre e scrive “papà
ricordati motorino”. L’uomo si ricorda anche che qualche sera
prima, mentre stava sdraiato sul divano a vedere la televisione,
ha avuto la sensazione che qualcuno sfiorasse la sua lunga barba.
114
Si era girato di scatto e aveva visto suo figlio in piedi vicino al
divano. Era anni che lui non accarezzava più suo figlio.
Il ragazzo avrebbe voluto scrivere sul telefono un altro
messaggio. “papà ricordati di me” o “papà fatti accarezzare”. È
più facile chiedere un motorino o una carezza? E quanto tempo ci
vuole per comprare un motorino, quanto per accarezzare o farsi
accarezzare se per anni non lo è accaduto?.
Il rito del donare è complesso, a volte lo si fa con spontaneità ,
altre volte il dono maschera una necessità ricattatoria: donare non
è gratuito, richiede sempre qualche altra cosa in cambio.
Se un genitore invece di comperare un oggetto costruisce
alternative che implicano la propria diretta disponibilità, si
accorgerebbe che molte volte la richiesta di un dono non è che la
richiesta di una presenza affettiva. Il regalo è dunque spesso la
forma più semplice ed efficace per tacitare questa richiesta. I
doni spesso si fanno proprio perché non richiedono molto a chi li
fa solo i soldi.
Se i ragazzi crescono vedendo elusa ogni richiesta attraverso il
dono di un oggetto, saranno portati a idolatrare gli oggetti a
scapito delle relazioni. Anzi, le temeranno al punto di volerle
evitare. Si potrebbe dunque regalare qualcos’altro, la
disponibilità del nostro tempo ad esempio: un piccolo regalo
capace di produrre un’enorme emozione.
Nella nostra cultura, gli oggetti sostituiscono il sentire, l’intuire e
l’emotività; ogni affetto si dissolve nella semplificazione
terrificanti di silenzi esistenziali dove risuona solo il valore del
denaro. Impossibile comprendere turbamenti, sensi di ribellione ,
linguaggi trasversali usati per dire quello che non si riesce.
Nessuno comprenderà più la diversità dell’altro, i suoi dolori, le
sue paure e il suo desiderio d’affetto. (Crepet,2001)
115
3.5 LA SESSUALITà NELL’ ADOLESCENTE
I ragazzi che si amano si baciano
In piedi contro le porte della notte
I passanti che passano se li segnano a dito
Mai ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
E se qualcosa trema nella notte
Non sono loro ma la loro ombra
Per far rabbia ai passanti
Per far rabbia, disprezzo, riso
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Sono ancora lontano più lontano nella notte
Più in alto del giorno
Nella luce accecante del loro primo amore
( J.Prèvert)
L’accostamento dei termini “adolescenza” e “sessualità” non è
certo una novità nella letteratura pedagogica, perché da sempre
l’adolescenza è stata considerata come momento decisivo per la
maturazione sessuale e caratterizzata da questo tipo di
maturazione in modo non marginale.
La componente sessuale all’interno dello sviluppo adolescenziale
è interessata sia come fattore non marginale della trasformazione
interiore,dell’immagine di sé e della relazione affettiva, sia come
punto di pressione sociale che oggi è diventato di particolare
violenza. Nella nostra società si assiste ad uno sfruttamento
dell’adolescente da parte dell’industria dei consumi, riguardante
non solo la sfera alimentare, del vestiario e dello sport, ma anche
della cura del corpo e della prestanza fisica e sessuale (letteratura
specifica per l’adolescenza, films) il bisogno di amicizia,
profughi da famiglie narcisistiche o abbandonati a se stessi da
116
genitori non curanti a motivo dell’impegno lavorativo, la ricerca
della prestanza fisica: tutto viene utilizzato dalla società dei
consumi per indurre desideri e bisogni crescenti.
Si avverte la necessità che la famiglia e la scuola intervengono
attivamente nell’educazione anche sessuale degli adolescenti
nella consapevolezza che questo tipo di educazione non debba
risolversi in una manipolazione dell’adolescenza, ma sia un
momento di proposta globale e positiva capace di orientare gli
adolescenti nell’elaborazione di un progetto di vita.
La maturazione sessuale della femmina:
Il primo segno della pubertà nelle ragazze di solito è l‘inizio
dello sviluppo dei seni, che può manifestarsi tra gli otto e i dieci
anni. Nella prima fase di questo sviluppo si nota solo una piccola
sporgenza nel tessuto (il cosiddetto "bocciolo del seno"), ma pian
piano il capezzolo e l‘areola si ingrandiscono e i seni diventano
complessivamente più prominenti. Alcune ragazze hanno seni del
tutto maturi già all‘età di dodici anni, altre invece non
raggiungono questo stadio prima dei diciannove anni o più. Lo
sviluppo dei seni dipende dal livello degli estrogeni e da fattori
genetici. La comparsa della peluria pubica (dapprima solo
lievemente pigmentata e piuttosto scarsa, poi gradualmente più
scura e consistente, increspata e abbondante) si verifica di solito
poco dopo l‘inizio dello sviluppo dei seni. A questo punto anche
la vagina ha iniziato ad allargarsi e l‘utero è leggermente più
grande. Il menarca compare in genere quando lo sviluppo dei
seni si è completato e quando si è manifestato il culmine della
crescita improvvisa dell‘adolescente. È interessante notare che
circa un secolo fa il menarca compariva a un‘età media di 16
anni; da allora su basi decennali la soglia è andata gradualmente
abbassandosi. Influiscono sull‘età del menarca fattori
socioeconomici, climatici ed ereditari, oltre al numero dei
componenti la famiglia, il tipo di alimentazione e altri fattori.
Quasi certamente il recente abbassamento dell‘età del menarca è
dovuto alle più omogenee condizioni nutritive.
Alcuni studi hanno rivelato che l‘inizio della mestruazione può
avvenire solo quando nel corpo è presente almeno una
percentuale minima di grasso. Questa teoria è confermata dal
fatto che molte atlete e ballerine hanno un menarca molto
117
ritardato e a volte, in condizioni di stress fisico, sono addirittura
soggette ad amenorrea ( Mancanza totale del flusso mestruale),
come le giovani adolescenti affette da anoressia nervosa, una
malattia che ha come tipica manifestazione la sospensione della
mestruazione.
L‘età del menarca varia notevolmente da una ragazza all‘altra e
va dagli otto ai sedici anni. Nel primo anno di mestruazioni il
ciclo può essere molto irregolare e di solito non vi è ovulazione
anche se è possibile, tuttavia, che l‘ovulazione inizi fin dal primo
ciclo.
Un altro aspetto della pubertà femminile, di cui spesso non si
parla, è l‘aumento delle secrezioni vaginali dovuto al mutamento
dello stato ormonale. Parte della lubrificazione vaginale avviene
per l‘eccitamento sessuale causato dai sogni, dalle letture o
dall‘attività sessuale stessa, ma questa lubrificazione può anche
comparire spontaneamente, senza alcun collegamento con
pensieri o azioni sessuali. La sensazione di "bagnato" a livello
della vagina può risultare strana alla ragazza, piacevole,
disdicevole oppure preoccupante.
La maturazione sessuale del maschio:
Anche i mutamenti fisici del ragazzo sono controllati da
variazioni ormonali, ma nei maschi la pubertà inizia
generalmente uno o due anni più tardi che nelle femmine. Il
primo segno è la crescita dei testicoli, causata dalla stimolazione
dell‘ormone LH e dalla conseguente produzione di testosterone,
il cui aumento stimola anche la crescita del pene e degli organi
sessuali accessori (prostata, vescicole seminali ed epididimo).
L‘eiaculazione non è possibile prima della pubertà perché la
prostata e le vescicole seminali non funzionano finche non
ricevono gli appropriati segnali ormonali. I maschi iniziano a
svilupparsi a livello genitale a un‘età media di 11,6 anni per
raggiungere la totale maturazione intorno ai 14,9 anni. In alcuni
lo sviluppo genitale avviene rapidamente (in circa un anno)
mentre in altri può durare fino a cinque anni e mezzo. La
produzione di sperma (che inizia in età infantile) si stabilizza del
tutto durante la pubertà; il ragazzo diventa quindi fecondo. Non
esiste nel maschio alcuna caratteristica paragonabile al menarca,
ma pare che i sogni con eiaculazione abbiano per lui la stessa
118
importanza psicologica. Circa un quarto dei ragazzi di quattordici
anni e i due terzi di quelli di diciassette anni prova questa
esperienza; tuttavia molti ragazzi in età puberale si sorprendono
di queste eiaculazioni notturne, ne fanno un problema e magari si
spaventano.
L'eiaculazione stessa, oppure la sensazione di bagnato e di
appiccicoso può svegliare il ragazzo e può, proprio come avviene
alla ragazza che nota la sua prima mestruazione, far nascere in lui
il timore di essere ammalato. Che sia o no informato su questa
esperienza il ragazzo in età puberale cercherà di nascondere il
lenzuolo o il pigiama sporchi per evitare l‘imbarazzo o le
domande dei genitori. La crescita della peluria pubica avviene
contemporaneamente allo sviluppo genitale ed è seguita,
generalmente a distanza di un paio d‘anni, dalla comparsa della
barba e dei peli sottoascellari. I primi peli sul viso sono molto
importanti perché i segnali iniziali di crescita puberale nel
maschio sono di solito meno visibili che non lo sviluppo dei seni
nella ragazza; così la crescita della barba rappresenta un segno
visibile del diventare uomo. Questi peli spuntano anzitutto sopra
il labbro superiore e hanno uno strano aspetto di rada peluria;
poco dopo si infittiscono e diventano veri e propri baffi dalla
consistenza più ispida. Compare quindi la barba sulla parte
superiore delle guance, appena sotto il labbro inferiore e per
ultimo sul mento. Durante la pubertà appare anche una certa
peluria sul corpo; quella sul petto continuerà a svilupparsi per
circa un decennio. Un altro cambiamento che avviene durante la
pubertà riguarda la voce, che diventa più profonda a causa della
stimolazione della laringe a opera del testosterone. Durante lo
sviluppo della laringe, la voce del ragazzo può subire, per un
certo periodo, strane variazioni timbriche, assumendo toni ora
rauchi ora striduli, la qual cosa crea spesso un notevole
imbarazzo.
Nel ragazzo si può manifestare in questo periodo anche un certo
gonfiore delle mammelle (ginecomastia), ma si tratta di un
fenomeno transitorio. La differenza ormonale tra i maschi e le
femmine di questa età determina anche alcune diversità della
forma del corpo. Per esempio, il ragazzo di diciassette - diciotto
anni ha un corpo più magro e muscoloso della ragazza sua
coetanea. Infatti, gli estrogeni causano un accumulo di grasso
119
sottocutaneo mentre il testosterone stimola lo sviluppo
muscolare. Anche la struttura delle ossa pelviche si diversifica
nei due sessi, per esempio nella femmina il bacino diventa più
largo per creare un adeguato canale al parto.
Il comportamento sessuale degli adolescenti ha subito, negli
ultimi anni, profondi cambiamenti, parallelamente sia al
modificarsi dei costumi sessuali di tutta la società, sia
all’innaturale prolungarsi, ai nostri tempi, della durata
dell’adolescenza stessa. Tra le possibili cause di questo
fenomeno vi è, ad esempio, la proposta continua ed ossessiva di
immagini erotiche e di comportamenti sessuali sproporzionati
rispetto allo sviluppo fisico e psichico dell’adolescente, da parte
dei mass-media e dell’industria dell’divertimento, impedisce al
ragazzo/a di conservare un proprio spazio in cui la maturazione
può venire in modo sereno. È aumentato il numero degli
adolescenti che hanno rapporti sessuali con coetanei o con
partner più adulti e le inevitabili conseguenze ad esso legate, tra
cui l’incremento del numero delle gravidanze tra le adolescenti e
di conseguenza il numero delle interruzioni volontarie di
gravidanza, le conseguenze dell’uso di tecniche contraccettive e
la diffusione di malattie sessualmente trasmesse.
Ma che cosa spinge l’adolescente a intraprendere dei rapporti
sessuali precoci ed assumersi le responsabilità ad esso collegate?
È cosciente dei rischi inerenti al suo comportamento ma
soprattutto ne è informato?
Le cause di questo fenomeno sono molteplici ed accanto a fattori
endogeni (curiosità per l’altro sesso, attaccamento affettivo ad un
ragazzo, o di una ragazza; il desiderio di sentirsi più grandi)
proprio dell’adolescenza, vi sono altri fattori esogeni (modelli
erotici presentati dai mass-media, maggiore indipendenza dai
genitori, più ampia possibilista di privacy).
Le cause che sembrano prevalere è il desiderio di precorrere le
tappe dell’emancipazione del bambino ad adulto, sostenuti anche
dall’idea onnipotente di se stessi per cui si pensa che tutto possa
essere fatto e nulla possa accadere, dall’altra il desiderio di
emulare il comportamento degli altri coetanei. È importante
rilevare come siano gli stessi adolescenti a sottolineare il divario
tra l’età reale in cui si ha il primo rapporto e l’età in cui si pensa
120
che sia adeguato averlo:molti adolescenti pensano di non essere
sufficientemente maturi per un esperienza sessuale ma di farlo
perché se ne è presentata l’occasione.
Queste esperienze sono spesso occasionali come un
“iniziazione”, di un nuovo modo di interpretare e vivere i riti
puberali, che fanno entrare nel mondo degli adulti, di esperienze
al di fuori di una relazione stabile. Lo stesso rapporto sessuale
viene vissuto come una sorta di prova che abilita ad entrare nel
mondo degli adulti e questa idea è radicata che all’interno del
gruppo il ragazzo o la ragazza ancora “vergini” vivono un
complesso di inferiorità rispetto a chi non lo è più.
Nell’esperienza della “prima volta” incombe la paura di rivelarsi
impotente per il ragazzo invece per la ragazza il dolore della
deflorazione e la e la scoperta attraverso il “vero orgasmo”.
Un’attesa che non di rado viene delusa, come succede alle
ragazze che si accorgono poi, con meravigliato stupore, di non
aver “provato nulla” né dolore, né piacere, solo una vaga,
sfumata, quasi inafferrabile percezione di entrambi. Resta solo
quella macchia di sangue da nascondere, quando si torna a casa,
proprio come in molti casi è successo anche per le prime
mestruazioni. Con l’impressione che i genitori si accorgono, solo
guardandole in faccia, che per la prima volta hanno fatto l’amore.
E si stupiscono nel rendersi conto che invece no “non si vede”
come se non fosse accaduto nulla d’importante. Eppure il rito è
compiuto.
Spesso l’esperienza della “prima volta” è di molto inferiore alle
aspettative e l’unica soddisfazione o insoddisfazione deriva
dall’aver fatto o dal non aver fatto “una bella figura” con il
proprio partner. E le conseguenze di tale rapporto potrebbero
essere decisive per la propria vita sessuale, soprattutto in caso di’
insuccesso.
A questo si aggiungano le frequenti sensazioni spiacevoli
soprattutto nelle ragazze che sono state abbandonate subito dopo
l’esperienza o che sono state forzate ad avere rapporti sessuali al
di là della loro disponibilità. Non si può mettere in secondo piano
che gli adolescenti cercano nel rapporto con l’altro sesso affetto e
comprensione: in una situazione complessivamente povera di
rapporti significativi con gli adulti e con i coetanei.
121
Le prime conseguenze….
Una prima conseguenza della precocità sessuale è costituita dalle
gravidanze tra le adolescenti.
La gravidanza può avere conseguenze con la comparsa di
problemi di tipo psicologico legati alla maternità con
ripercussioni psicologiche per la giovane madre.
In questo momento la ragazza ha allora bisogno della presenza
attiva di tutta la famiglia perché l’aiuti ad affrontare la
gravidanza ed il trauma del parto, consentendole poi
l’inserimento del bambino in famiglia: atteggiamenti
tardivamente o inutilmente “moralistici” non faranno altro che
incrementare la disperazione della giovane madre spingendola a
gesti folli (infanticidio o abbandono di neonati).
Allo scopo di evitare l’insorgenza di gravidanze non desiderate si
fa uso di contraccettivi, ma dobbiamo ricordare che questi ultimi
non sono sicuri ed innocui ma possono avere conseguenze nella
vita sessuale futura.
Basti pensare alla pillola estroprogestinica che può provocare un
blocco irreversibile e di lunga durata dell’ovulazione, con
conseguenti problemi di sterilità.
Anche il profilattico ed il diaframma, che pur non
compromettono la salute e proteggono in qualche misura dalle
malattie sessualmente trasmesse, vengono rifiutati
dall’adolescente: il diaframma viene poco ricercato in quanto il
suo uso deve essere preceduto da una visita medica per stabilirne
la misura adatta, mentre il profilattico provoca spesso riduzioni
della sensibilità del glande e della piacevolezza dell’atto sessuale.
In conclusione possiamo dire che nessuno dei metodi
contraccettivi di cui si dispone è adatto alle particolari esigenze
dell’adolescente, a cui naturalmente non si addice neanche l’uso
dei metodi diagnostici della fertilità, in forte contrasto, non solo
etico, con un uso prematrimoniale del sesso.
Pur ritenendo opportuno l’uso della contraccezione per evitare
l’insorgenza di una gravidanza, la maggior parte degli
adolescenti, all’atto pratico, ha difficoltà ad utilizzarla per diversi
motivi, tra cui la paura che un atto sessuale contraccettivo non sia
gradito al partner e perda la sua spontaneità o di essere scoperti
dai genitori. Di conseguenza si affidano al caso, non utilizzando
122
contraccettivi o ricorrendo alla pratica del coito interrotto, con
tutte le titubanze e le incertezze che ne possono derivare.
Le resistenze all’uso della contraccezione sono determinate da
diversi fattori sia esogeni che endogeni. Gli impedimenti esteriori
alla pratica dei contraccettivi degli adolescenti sono, la paura di
una consultazione ginecologica, la difficoltà di procurarsi i mezzi
necessari, la scarsa conoscenza della fisiologia del proprio corpo
per mancanza di istruzione su tale argomento.
Non è soltanto per la scarsa informazione che gli adolescenti non
usano i contraccettivi ma anche a fattori legati alla mentalità del
adolescente che ha difficoltà ad impedire una capacità
fecondativa non ancora sperimentata, o si sente a disagio di
fronte al riconoscimento di essere sessualmente attivo, o ha paura
delle eventuali modificazioni corporee indotte dai contraccettivi,
o considera il rapporto un fatto spontaneo da vivere in modo
intenso e completo senza alcun genere di interferenze.
Spesso l’adolescente non è in grado di quantificare le
conseguenze della propria condotta e, ancora immerso nel
pensiero magico, tende ad essere fiducioso affidandosi alla buona
stella, da cui al convinzione che per un motivo o per l’altro, la
donna in quel caso non può concepire.
E poiché il rifiuto della contraccezione non si accompagna a
comportamenti più casti, è frequente, l’insorgenza di una
gravidanza, nel quel caso gli adolescenti sono disposti a sposarsi,
anche se una buona percentuale considera l’aborto come l’unica
soluzione possibile.( Di Pietro, 1994)
Una conseguenza dell’aumentato numero di adolescenti
sessualmente attivi è la maggior diffusione di malattie trasmesse
per via sessuale (MST): infatti anche se i rapporti tra adolescenti
non sono per lo più promiscui, perché si è fedeli ad un solo
partner alla volta, però questo partner viene cambiato spesso e le
possibilità di contagio aumentano così in maniera esponenziale.
La diffusione delle MST tra gli adolescenti ha suscitato notevoli
preoccupazioni in quanto accanto alle malattie veneree classiche
come la sifilide e vi è la possibilità di contagio per altre malattie
gravi come l’AIDS.
Causa l’insorgere di queste malattie è salita l’età media del primo
rapporto sessuale e questa tendenza continua ad avanzare. Ciò è
dovuto anche alle difficoltà che ha posto l’AIDS su questa strada.
123
I ragazzi ne sono perfettamente informati e preoccupati.
Certamente molto più preoccupati dei genitori ai quali,nonostante
le informazioni comunicate dai mass media, sembra che interessi
solamente che i ragazzi non mettano al mondo figli. Le
informazioni sulla sessualità, pur abbastanza diffuse, sono meno
conosciute dell’AIDS, al quale i ragazzi cercano di fare
attenzione. Ma devono fare i conti con la loro impulsività, il
desiderio di trasgredire, e l’esigenza di provarci anche nelle
situazioni di rischio.
Quando ci si innamora, chi ha il coraggio di dimostrare sfiducia
nell’alto? Per fortuna il preservativo serve anche a non procreare,
e con questo alibi si può stare tranquilli.Del resto controllare a
vicenda gli esami sembra poco carino. Così si finisce con il
trasgredire e quanto forse ci si era ripromessi e allora nascono le
preoccupazioni, le ansie, i drammi.
Bisogna domandarsi quanti genitori si rendono conto di questi
problemi e quanti sono disposti ad accettare che i figli gliene
parlino? Non sono i malati di aids, sono ragazzi normali e sani
che hanno un grosso problema in più, hanno l’impossibilità di
essere tranquilli quando fanno l’amore.
I genitori si possono informare e cercare di capire il problema;
così si può parlarne con i ragazzi, cosicché loro sapranno che, se
ne avranno bisogno, potranno contare sulla comprensione dei
genitori. (D’agostini, 1996).
124
3.6 LA FAMIGLIA
Quella che
Quella che ti
Quella che
Quella che ti
Quella che ti fa
Quella che vuole
Quella che ti offre
Quella che ti
F
A
M
I
G
L
I
A
unge da ancora di salvezza
iuta nei momenti peggiori
otiva quando sei depresso
ncoraggia quando sei stanco
ioire quando sei disperato
a tua felicità
l sorriso quando sei tutto è perduto
ma sempre ed incondizionatamente
Questa dovrebbe essere la famiglia.
Gli adolescenti e la famiglia oggi: un tema sempre attuale, alla
ribalta della cronaca per l’intensificarsi d’episodi di violenze
efferate e di crimini che coinvolgono e sconvolgono quelle che
sembrano da sempre le relazioni più salde, quelle familiari.
I mass-media mettono in risalto episodi sconcertanti come
omicidi o violenze compiuti da adolescenti nell’ambito familiari.
Quello che stupisce maggiormente che questi delitti avvengono
all’interno delle famiglie definite per bene. A questo punto mi
domando chi sono queste famiglie? Che cosa vogliono questi
ragazzi? Forse esprimono un malessere della società.
I genitori devono convivere con i numerosi cambiamenti
puberali: il corpo che cambia, nuove esigenze e nuovi desideri ed
i primi amori; questi mutamenti rompono l’armonia dei
movimenti che i ragazzi avevano durante l’infanzia e la
fanciullezza. Questo può portare a reazioni negative da parte dei
familiari che possono interpretare questo modo di muoversi in
loro presenza come una mancanza di riguardo nei loro confronti.
I genitori prendono coscienza da un giorno all’altro che quel
bambino ubbidiente che gli idealizzava, ora è cresciuto e
irrequieto. Adesso il bambino ha il desiderio di lasciare i genitori
e non bisogna sorprenderci se all’improvviso diventano inquieti,
non gli va mai bene quello che si fa per loro e tendono lasciare il
125
“focolare domestico” lo stesso che gli dava protezione durante
l’infanzia per intraprendere nuove esperienze come andare in
vacanza da soli.
Secondo la psicoanalisi, in questo periodo si riattiva il complesso
d’Edipo, e uno dei compiti fondamentali, in quest’età, secondo
Anna Freud è di realizzare in modo definitivo il superamento
della situazione edipica, spostando il loro investimento libidico
dalla figura di uno dei genitori verso una figura esterna al mondo
familiare e sottraendosi ad un’identificazione quasi completa con
l’altro genitore (quello dello stesso sesso) attraverso il tentativo
d’essere diversi nelle valutazioni, negli atteggiamenti e nei
comportamenti.
L’adolescenza è sicuramente il periodo più critico fra genitori e
adolescenti come afferma Scabini, l’adolescenza è un evento
critico normativo della vita familiare. L’adolescenza di un
ragazzo mette alla prova le capacità dell’intera organizzazione
familiare di adattarsi, mutando spesso in modo veloce le forme di
relazione tra i componenti.
Il processo di separazione riguarda sia i genitori che i ragazzi,
anche i genitori devono separarsi dai figli, accettare che
diventino adulti e aiutarli nel loro processo d’emancipazione.
Il modo in cui i genitori vivono questo distacco è destinato ad
avere effetti consistenti sull’andamento del processo di crescita e
d’autonomia dei ragazzi.
Le relazioni che sorgono tra genitori e figli sono molto
importanti, dalla qualità di queste relazioni dipende la fiducia e la
stima di sé che i ragazzi ottengono in questo passaggio da uno
status di bambino a quello d’adulto.
La famiglia deve incoraggiare l’autonomia e l’indipendenza dei
figli, la forza dei legami familiari e il sostegno offerto e
disponibile per gli adolescenti.
I genitori hanno un ruolo fondamentale nel sostenere il figlio
nelle grandi scelte che deve compiere, nell’orientare le sue
aspirazioni per il futuro. Nella famiglia è importante allora che
l’adolescente trovi un ambiente aperto al dialogo che gli consenta
l’espressione dei suoi desideri e delle sue aspettative e la
possibilità di individuare percorsi per realizzare tali desideri.
Per un genitore è sicuramente difficile convivere con un figlio
adolescente. La vicinanza quotidiana rischia di ostacolare il
126
processo di riconoscimento d’alcuni segnali di crescita, non solo
psicologica ma anche fisica. Ci si accorge quasi con stupore delle
dimensioni fisiche diverse del figlio, della necessità di cambiare
taglia dei vestiti. Cambiano i gusti a tavola, nelle scelte musicali.
I genitori scoprono di avere di fronte una persona nuova, che
ragiona con la sua testa, che emette giudizi categorici.
I genitori possono avere reazioni d’orgoglio che il figlio sia
cresciuto e timore verso le conseguenze di quest’autonomia
specialmente nel campo dell’amore e sessuale.
I genitori possono sentirsi inutili con dei figli che sembrano non
avere più bisogno di loro e che sono alla ricerca di una completa
autonomia.
Le difficoltà che possono sorgere rispetto alla propria integrità
fisica e intellettiva: possono subentrare nei genitori gelosie più o
meno consapevoli per le opportunità, l’idealismo, senza contare
che l’adolescenza dei figli può risvegliare nei genitori la propria
adolescenza.
Le maggiori incomprensioni fra genitori e figli sono inerenti al
gusto, stili d’abbigliamento o preferenze musicali. La
spiegazione che si può fornire al riguardo è che relativamente a
questi aspetti il gruppo dei pari esercita un’influenza maggiore,
perciò diventa più sensibile il disaccordo tra adulti e giovani.
Questo mutamento d’atteggiamento si traduce anche in
manifestazioni verbali di scarsa stima, di critica e d’insofferenza:
“Ma voi siete vecchi”, “non capite niente” valutazioni di questo
tipo addolorano genitori che non siano stati preavvertiti di questo
generale e per così dire fisiologico mutamento d’atteggiamento
nei loro confronti. Esse danno luogo a reazioni varie che spesso,
invece di essere caratterizzate da tolleranza e senso d’umorismo
sono di sconforto o anche di repressione e a loro volta suscitano
nei figli sentimenti di colpa e situazioni conflittuali. Queste
tensioni si attenuano con il progredire dell’età e si ha un
riavvicinamento ai genitori e i rapporti affettivi si ricompongono
su una diversa base.
L’esigenza dell’adolescente è, infatti, duplice: da un lato,
desidera uscire dall’atmosfera familiare per ampliare le proprie
esperienze in nuovi contesti, dall’altro l’esigenza di poter
rientrare in tale atmosfera qualora sia necessario.
127
Il bisogno d’autonomia non esclude il bisogno di sicurezza
affettiva che gli consente di sperimentare e ricercare anche
altrove valori, modelli e nuove modalità relazionali. (Zani,2003)
Comunicazione in famiglia
La comunicazione è considerata una delle dimensioni
fondamentali delle relazioni genitori-figli soprattutto durante il
periodo dell’adolescenza. Quando la comunicazione è buona la
famiglia è più unita e più flessibile nell’affrontare e risolvere i
problemi familiari.
Oggi nelle famiglie si dialoga sempre di meno e questo è a danno
della comunicazione. In questo periodo che i ragazzi stanno
crescendo sia sul piano fisiologico che quello psicologico
avrebbero bisogno di comunicare i propri sentimenti, gli stati
d’animo ma soprattutto hanno la necessità fondamentale di essere
ascoltati, in questa società che di certo non facilita il dialogo ma
regna la solitudine, ragazzi che hanno paura di confidarsi in
famiglia.
Si dovrebbe recuperare la conversazione e il dialogo con i propri
ragazzi. Di che cosa si discute nelle nostre famiglie cosiddette,
per bene? Un esempio emblematico è la cena. Il tempo medio in
cui si sta in tavola a sera è di tredici minuti al lordo di tutto,
telegiornale compreso. Terminata la cena, papà va a sdraiarsi sul
divano in salotto a vedere la televisione, mamma va in cucina a
finire di sfaccendare, l’adolescente si chiude nella sua tomba
tecnologica, la stanza da letto, a telefonare o chattare con gli
amici. Di che cosa si può parlare in tredici minuti a tavola con
mamma e papà? Si sceglierà di parlare di soldi e di scuola,
argomenti al primo posto della classifica, e si eviterà di affrontare
le questioni sentimentali che ovviamente prenderebbero troppo
tempo e che, infatti, sono all’ultimo posto tra gli argomenti
trattati.
È dunque evidente che, se questa è diventata la comunicazione
quotidiana in molte famiglie italiane, diventa difficile poter
prevedere, sentire e intervenire quando i nodi esistenziali degli
adolescenti rischiano di aggrovigliarsi: ovvero quando stanno
crescendo.
128
Parlare di sentimenti e d’emozioni non solo risponde alle
aspettative dei nostri ragazzi, ma mette in grado un adulto di
capire quanta serenità ci sia in quella vita che si snoda, quanta
capacità di far fronte agli eventi negativi, quanta autostima.
Molti ragazzi possiedono nella propria camera il computer, la
playstation e il telefono: ciò vuol dire da una parte che gli adulti
vogliono segregarli, isolarli in un piccolo ghetto privilegiato dove
lasciarli fare ciò che vogliono; dall’altra che anche i ragazzi non
cercano contatti con i loro familiari. La nostra collettività sta
costruendo una forma d’autismo reciproco: genitori e figli ignari
gli uni degli altri, coabitanti con superficialità e convenzioni. Il
tutto per convincerci di essere belle famiglie per bene. (Crepet,
2001)
Un altro argomento che scotta che è quasi sempre assente dalla
comunicazione in famiglia è quello legato alla sessualità e alla
contraccezione.
I genitori riferiscono di aver fornito ai figli informazioni in
proposito, ma sottolineano anche la difficoltà di trovare modalità
adeguate di stabilire un dialogo su argomenti più intimi; spesso
vi è poca padronanza di un lessico appropriato e poca
dimestichezza a verbalizzare sensazioni ed emozioni. È difficile
affrontare contemporaneamente gli aspetti “scientifici”
dell’educazione sessuale e quelli affettivi e relazionali, proprio
quando l’adolescente, alle prese con la maturazione fisica e
quella psicologica, richiederebbe un aiuto concreto per integrare i
diversi aspetti del suo sviluppo.
La socializzazione sessuale inizia durante l’infanzia: è nei primi
anni di vita che i bambini apprendono le prime nozioni di
sessualità, sia indirettamente, attraverso il modo in cui sono
accuditi, grazie alle numerose domande mosse dalla curiosità
rivolgono ai genitori.
Inoltre, gran parte della comunicazione sulla sessualità avviene in
modo indiretto, non verbale, dall’esercizio dell’esercizio
dell’autorità, dalla trasmissione d’opinioni più che dalla
discussione diretta su certi argomenti. La comunicazione può
avere carattere impersonale, con lo scopo di trasmettere valori e
indicazioni sui comportamenti appropriati.
Hepburn (1983) ha evidenziato l’esistenza di tre livelli di
comunicazione. Il primo livello viene definito “il grande
129
discorso”: è la prima vera conversazione sulla sessualità che
coinvolge madre e figlia, durante la quale la madre spiega le
mestruazioni, la riproduzione e il rapporto sessuale. Questa
comunicazione avviene in genere quando la figlia ha 8-12 anni,
spesso in seguito a domande poste dall’adolescente, di norma
prima della comparsa del menarca.
Nel secondo livello, definito “tea talks”in quanto caratterizzato
da scambi come quelli che avvengono il pomeriggio bevendo una
tazza di tè: la ragazzina è più grande e vuole condividere e
discutere informazioni apprese a scuola o dalle amiche. Il
carattere di queste conversazioni si modifica, da privato diventa
sempre più pubblico, in quanto si affrontano temi generali, riferiti
a comportamenti d’altre persone come la prostituzione.
L’ultimo livello è rappresentato dalle discussioni su temi sociali;
gli scambi non sono più interpersonali, ma coinvolgono l’intera
famiglia: lo stimolo che li determina può essere un articolo di
giornale, un fatto di cronaca o un servizio televisivo. In questa
fase intervengono anche i padri, attivi nell’insegnare valori e
atteggiamenti sessuali, anche se quasi assenti nella trasmissione
d’informazioni.
Può essere utile tener presente l’esistenza di questi livelli di
comunicazione familiare, diversi per i temi trattati e per la
profondità con cui vengono affrontati, scanditi attraverso fasi
temporali distinte e che si intrecciano in modo complesso con le
influenze altrettanto importanti dei compagni o della scuola.
Nel corso di questi scambi gli adolescenti costruiscono
ricostruiscono continuamente la propria rappresentazione della
sessualità, risolvendo eventuali contraddizioni, lacune,
incongruenze. (Zani,2003)
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CONCLUSIONI
Ciascuno di noi deve essere consapevole del fatto che il proprio
significato risiede nella comunicazione con l’altro: non solo nella
comunicazione fredda e razionale, ma anche e soprattutto in
quell’affettiva.
I giovani di oggi sembrano sicuri ma hanno tanti bisogni affettivi
e la loro paura maggiore è quella di rimanere soli, di essere
estromessi dal gruppo e dai legami sociali, se sono riusciti a
costruirne di buoni.
E allora qual è il regalo più grande che si può fare a loro?
Dedicare loro un po’ di tempo! Solo per loro e quando lo
desiderano. Anche se questo apre un nuovo problema: quando lo
desiderano? Quale sarà il momento giusto?
Questo lavoro è stato piuttosto impegnativo ma allo stesso tempo
molto affascinante, poiché mi ha coinvolto in prima persona.
Nello scrivere quest’elaborato ho rivissuto la mia adolescenza, i
rapporti che ho avuto con la mia famiglia o con i miei compagni
di classe e con i miei coetanei. Questo periodo è stato per me
molto bello ma anche ricco di lati oscuri fatti d’incomprensioni e
tensioni.
Credo che l’adolescenza sia un periodo fondamentale nella vita
di ciascuno di noi poiché il vissuto di questa fase influenza in
maniera decisiva la vita adulta. In questo periodo si costruisce la
propria identità, e impariamo a conoscersi ed accettarsi. Ma
quest’autoaccettazione è un processo molto lungo e impegnativo.
I giudizi positivi o negativi che riceviamo dal mondo esterno, i
genitori, i coetanei o i professori, finiscono per incrementare o
diminuire in modo decisivo la stima che ognuno ha di sé.
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