bello, bianco, plagiato - Il "Mastino Abruzzese"

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bello, bianco, plagiato - Il "Mastino Abruzzese"
BELLO, BIANCO, PLAGIATO
Oggetto:
Richiesta di tutela legislativa della razza autoctona " Mastino Abruzzese" con il nome
Pastore Abruzzese razza ufficiale all’E.N.C.I. fino al 1956.
Lo zoccolo duro, la memoria storica, atavica, sociale della nostra regione Abruzzo si è conservata
quasi immutata nella sua pur ancestrale vetustà, tanto che, se vogliamo risalire storicamente nel
tempo possiamo trovare, oltre a rovine di vestigia in disfacimento, prove attuali del modus vivendi
di millenni addietro come pietrificata nel codice genetico, cioè pietrificate in un codice fisico, socioculturale e, antropologico. Così per sapere delle origini del nostro cane "Mastino Abruzzese", oltre cercarle nell’archeologia e in fondo alla coscienza popolare sorta di musa omerica, basta vederlo
vivere ed operare, ancora oggi, nel suo ambito naturale, tra le masserie estivanti sui monti abruzzesi: dalla Majella, al Gran Sasso, al Matese, alla Laga, al Terminillo e al Cicolano. Perché è rimasto
così immutato nel tempo? Ma perché non v’è nessun motivo che l’optimum cambi.
Il Mastino Abruzzese, ancor oggi è il cane da masseria numericamente più significativo, caratterialmente più funzionale, in Italia e nel mondo, come dimostrano le recenti sue adozioni nelle Americhe. Come una cometa con il nucleo nell’oggi, la sua esistenza attraversa tutta la nostra storia con
una lunghissima scia di testimonianze archeologiche, antropologico-culturali, artistiche, storiografiche e orali, prove di autenticità e valore indiscutibile nel mondo bertoniano, italico, greco-romano e
via via nell’alto e basso Medio Evo, nel Rinascimento. Nel XVIII secolo era tenuto in grande considerazione alla Corte di Luigi XV di Francia, da diventarne il cane ufficiale. Vari viaggiatori stranieri (inglesi, tedeschi ecc..) dell’800 lo descrivono esaltandone le qualità psicofisiche che esprimono
essere superiori a quelle del Terranova. Alla fine dello stesso secolo, più o meno inibridito, l’esercito italiano fa’ un primo e vano tentativo d’addestramento per usi bellici. Sempre nello stesso periodo e poi all’inizio secolo alcuni cinofili del Kennel Club italiano lo citano dandone una descrizione
su pubblicazioni specializzate insieme al pastore delle Alpi (bergamasco) ed al pecoraio calabrese,
le uniche tre razze a uso pastorale esistenti in Italia, essendosi ormai quasi estinto il pecoraio siciliano; quindi allora esistevano due razze di tipo "mastino" nel meridione e uno di tipo toccatore a settentrione. Nella prima guerra mondiale fu impiegato dagli alpini nel servizio di sussistenza (trasporto di vettovaglie, medicinali, feriti, munizioni ecc...) sul fronte austriaco, ad oltre 3000 metri sui
ghiacciai dell’ Adamello .
Nel 1938, nel suo libro "Cane da guardia, da difesa e poliziotto" (Ed. Hoepli-Milano) Giuseppe
Couplet, Presidente del Club del Cane da Pastore belga a Bruxelles e giudice, esorta i cinofili italiani ad essere meno esterofili e di avere più a cuore le due belle razze da pastore italiane (la Bergamasca e l’Abruzzese già non si parla più del Calabrese) e di occuparsi dell’addestramento come cani
da difesa e da polizia. Sempre nel 1938 apparve sul n. 6 della "Rassegna Cinofila" (E.N.C.I.) autore
il Prof. G. Solaro, un articolo sulle differenze tra il Mastino Abruzzese ed il fantomatico maremmano, si può notare dalle descrizioni che sono tutt’altro che simili. (vedasi Allegato 1).
Nel 1952 il dott. F. Cagnoli il Prof. L. Colonna e il Prof. G. Pischedda elaboravano lo standard dell’Abruzzese e costituivano all’Aquila una società di promozione della razza. Nel 1953 il Conte Brasavola di Massa riaffermava l’autonomia della razza, dopo una ricognizione mirata.
Nel 1954 in base ai rilievi del Conte Brasavola veniva redatto con il contributo del Prof. G. Solaro
e il Prof. Cajelli un nuovo standard e i Mastini Abruzzesi (Pastori Abruzzesi), furono iscritti al "Libro Origini" (L.O.I.) e alcuni assunsero il titolo di campione della razza.
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Nel 1956 diventato presidente dell’ E.N.C.I. il Sig. Tommaso Corsini, affermò che le razze (?) erano simili e le fuse artificiosamente in un’unica razza, guarda caso maremmana-abruzzese e spesso
per contrazione soltanto maremmana, esempio paradossale, in Olanda esiste il club del "Pastore
delle montagne della Maremma". In questo contesto il Prof. G. Solaro venne isolato e avversato
persino dal Conte Brasavola.
Dov’è la razza?
Un soggetto si dice di pura razza quando ha entrambi i genitori appartenenti allo stesso tipo. Esempio, i cuccioli di un Pastore tedesco maschio puro e un Pastore tedesco femmina pura sono Pastori
tedeschi di razza pura. se si accoppiano soggetti di tipo puro ma diversi (un Pastore tedesco e un
Pastore belga ad esempio), i cuccioli che nascono sono detti incroci. Un bastardo è un misto di molte razze, tanto che in esso non se ne distingue più nessuna (vedasi la descrizione del maremmano
fatto dal Prof. Solaro nel 1938 sul n.6 di "Rassegna Cinofila").
A voler essere troppo magnanimi, riconoscendo che sia esistita una razza maremmana (...) con l’accoppiamento si sarebbe, per lo meno, ottenuto un incrocio. L’E.N.C.I. ufficialmente vieta questi incroci, addirittura anche tra cani che si potrebbero ben definire "varietà di una stessa razza", come
tra i segugi italiani a pelo forte e a pelo raso. D’altro canto all’estero gli altri Enti appartenenti alla
Federazione Cinologica Internazionale hanno da sempre fatto, giustamente, e fanno tuttora la stessa
cosa: tra i quattro Pastori belga per la varietà del pelo; con gli Schnauzer tedeschi, sia per le tre varietà di taglia che per la varietà del colore del pelo (nero e pepe-sale); tra i tre Pastori olandesi, confondibili con i belga, per la varietà di pelo; tra gli Alani per i colori ecc....
Sempre sotto la presidenza di Tommaso Corsini, e con la sorella Anna presidente del circolo maremmano-abruzzese, l’E.N.C.I. nel 1958 pubblica lo standard del cane da pastore maremmano-abruzzese ed è qui che il Prof. G. Solaro, dimenticando ogni legge della genetica e tralasciando l’etica professionale sottoscrive l’opposto di quello che aveva affermato fino al 1954; un così grande
esperto di veterinaria canina, un luminare, che diede un grande contributo alla cinofilia mondiale,
perfezionista fino a volersi dare una preparazione di disegnatore artistico per esprimere meglio i
suoi standard, infatti la precisione di essi era dovuta al fatto che venivano seguiti da disegni illustrativi, omise giusto nello standard del maremmano-abruzzese l’accompagnamento dei soliti disegni
descrittivi. Inoltre Solaro diceva che nel cane la razza la fa la testa ed allora come è possibile che le
sue misure diano solo per questo standard una testa irreale, antifisiologica, aberrante, un "UFO"
della biologia caduto chissà da dove. Nello stesso anno dello standard uscirà pubblicato dall’
E.N.C.I. autore il Prof. G. Solaro, il "Sunto delle lezioni di zoognostica canina".
Contemporanei di Solaro, Giulio Colombo e il Prof. Fabio Cajelli, insieme al primo sono ritenuti
quanto di più importante la cinofilia italiana abbia avuto a livello di giudici. Ed era proprio il Prof.
Cajelli a consigliare ai suoi allievi: "Quando avrà la funzione di giudice, non guardi più alto della
statura del cane in esame"1, aggiungo io nel nostro caso nemmeno il pedigree. Che metro di valutazione avranno usato, fino ad oggi, i giudici per giudicare la cosiddetta "razza" con uno standard così
errato fasullo? Mica avranno guardato al di sopra dell’impugnatura del guinzaglio?
Giudicate voi.
Per completare l’opera, specialmente negli anni 60-70, viene ripetutamente immesso sangue straniero (Pirenaico, Kuvasz, ecc...) nei cani d’allevamento, cosiddetto sportivo del centro-nord Italia,
attuando in pratica una ibridazione su ibrido, giustificata dall’E.N.C.I. e dal circolo con la banale
scusa del rinsanguamento, mentre alcuni insieme a cani stranieri prendevano e prendono ancora
monte e soggetti sulle nostre montagne mischiandole ai loro soggetti ed inquinandone, così, il baga1
LUCREZIO MISURACA, “Morfologia delle principali razze da ferma e del segugio italiano”, Editoriale Olimpia (Firenze)
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glio biologico. Queste eterozigosi hanno portato oltre a caratteristiche strutturali diversi, gravi
scompensi psichici, con immotivata aggressività (schizofrenia) verso persone familiari, fenomeno
che si riscontrava sovente nel Dobermann, ormai corretto dal cinofilo tedesco Otto Göller e dagli
altri allevatori che gli sono succeduti, con una intelligente opera di selezione. E oggi riemerge a
volte in alcuni Pastori tedeschi, Rottwailer e altri cani di recente, anche se giudiziosa, selezione effettuata con l’ausilio di più tipi di cani. Tale comportamento da taluni "specialisti" e confuso con
"l’istinto di dominazione". Ne è convinto anche un veterinario di Albinia che dichiara sul n.1/93
pag. 38 del notiziario interno del C.C.P.M.A.: "Quando mi trovo costretto ad abbattere un cane
nove volte su dieci si tratta di un maremmano". Sebbene l’imporre o rendere stabile lo "status quo"
da parte di un individuo su altri sia un espressione di aggressività, il più delle volte non si arriva
alla lotta concreta, ma bastano le sole minacce per mantenere il rapporto di dominanza. Quantunque
la lotta tra dominante e insediante sia cruenta, il vincitore non arriva mai ad ammazzare il perdente
per non rompere gli equilibri che regolano il gruppo sociale, quando ciò succede avviene maggiormente per disgrazia. Quale uomo disarmato non soccomberebbe ad un cane robusto e che supera i
70 cm di altezza, figuriamoci una donna o un bambino, rimarrebbero paralizzati al primo attacco ed
il cane stabilito il rapporto di dominanza si fermerebbe. Del resto il fatto che l’uomo cammini a stazione eretta è già un fattore di dominanza per il cane. Alcuni soggetti della razza Mastino abruzzese
potrebbero reagire malamente verso un familiare solo avendo la percezione che questi volesse togliergli un osso o del cibo; giustificata la causa della reazione ritornano sottomessi e tranquilli più
di prima. L’aggressività immotivata dei cani di Albinia è, in realtà un’espressione molto spinta di
paura o ansietà e timidezza, conseguenza dell’ibridazione caratteriale. Altra prova di ibridazione nei
cani degli specialisti (allevatori sportivi) del centro nord Italia ci viene dal Prof. Coppinger dell’Hampshare University del Massachusetts che nel 1984 in un convegno all’Aquila ha affermato
che i cani italiani importati in America per proteggere le pecore hanno avuto il maggior successo rispetto alle altre razze importate, sia da altri paesi europei che asiatici e che la consistenza in quel
momento dei Mastini abruzzesi era di 100 esemplari; evidenziando il fatto che la primitiva importazione di cuccioli da allevamenti cinofili, di proprietà di quelli che si erano e si auto definiscono
"specialisti-cinotecnici", hanno presentato dei problemi tali da dover essere tolti dal progetto, mentre quelli che erano stati selezionati dai pastori d’Abruzzo hanno dato un risultato più che positivo.
In pratica i primi erano bastardi con pedigree ed i secondi ottimi cani di razza dei Pastori senza pe digree. Tutto ciò è scontato, perché non si può fissare , attitudini mentali specifiche ereditarie in un
lavoro che richiede un’ elevata versatilità come quello di guardiano nella pastorizia impiegando
quindi cuccioli di riproduttori che sul piano genetico, all’infuori del colore, non hanno nessun nesso
causale con l’ambiente della masseria e come abbiamo visto in precedenza a proposito del temperamento anomalo spesso nemmeno con l’ambiente umano!
Approvato dal consiglio direttivo dell’E.N.C.I. aggiornato al 27/11/1989, l’1/1/1990 entra in vigore
il nuovo standard del pastore maremmano-abruzzese. Esso non è altro che una stesura diversa di
quella firmata da Solaro in vigore dal 1/1/58 e del quale accetta e assume tutti gli errori che gli specialisti "cinotecnici" chiamano contenuti tecnici. Unica cosa nuova hanno essi aggiunto a premessa
dei "Brevi cenni storici" a dir poco singolari: "antica razza da gregge le cui origini vanno ricercate
in cani da pastore tuttora utilizzati in Abruzzo dove ancora oggi prospera la pastorizia e, in cani
da pastore un tempo presenti nella Maremma toscana e laziale. Con la transumanza delle greggi
da una regione all’altra, iniziava un naturale processo di fusione, in particolare dopo il 1860".
A prescindere che la Maremma non è una regione e che fino all’intervento del Prof. Coppinger non
si era mai parlato di Maremma laziale ma solo di quella toscana, ciò accade solo adesso per rafforzare la loro già banale tesi, tirando in ballo un’altra regione il Lazio che entrò a far parte del Regno
d’Italia solo nel 1870. Non vi è mai stata una transumanza dall’Abruzzo alla Maremma, né prima
né dopo il 1860 per molteplici motivi sia politici che naturali. Un motivo politico è che prima del
1860 esistevano dei confini di stato ben delimitati da superare: quello dello Stato Pontificio e dopo
quello del Gran Ducato di Toscana; fuori regno chi li avrebbe protetti i transumanti dal brigantagpag. 3
gio, dall’abigeato e dalle baronie? Supposto che fosse stato facile scendere nella campagna romana,
senza le insidie sopra citate come avrebbero attraversato il confine del Gran Ducato di Toscana.
Memorabile fu la fuga da Roma di Michelangelo inseguito dalle guardie di Giulio II, che si salvò
attraversando il confine ed entrando nella Toscana senza essere raggiunto. Nella stessa Toscana non
esisteva una pastorizia né verticale tanto meno orizzontale com’è esistita da millenni in Abruzzo,
perché non esistono monti con quote elevate e non era possibile spostare gli animali dal territorio di
un comune (città stato) all’altro, spesso in lotta tra loro, nemmeno dopo l’unificazione ad opera dei
Medici. Esisteva quindi un allevamento che si effettuava all’interno dei confini comunali e rapportato alle sue esigenze con il rientro la sera dentro le mura cittadine (vedasi l’affresco "Il buon go verno" nel palazzo del governo a Siena). Maremma è un nome comune che si può identificare anche in palude o chiana di sicura derivazione latina infatti il termine esiste anche nella lingua spagnola, infatti famose sono in Andalusia le marismas delle foci del fiume Guadalquivir (marismeños
= della marismas). Nell’Italia centrale si estende lungo la costa tirrenica della Toscana centromeridionale e del Lazio settentrionale, dalla foce del Cecina e i territori a nord di Civitavecchia. Resa
fertile dagli Etruschi con un capillare e efficiente sistema di canali sotterranei di drenaggio rimasta
quasi intatta in epoca romana decadde nella tarda età imperiale. L’abbandono del sistema di drenaggio, riportò il territorio ad essere paludoso e malarico. Solo alla fine del 1800 iniziò l’opera di bonifica terminata nella prima metà del 1900. All’inizio del secolo, ancora in latifondo, fu avviata all’agricoltura secondo gli allora moderni metodi nord europei, come fu per gran parte del tavoliere
dopo il 1870. Con l’istituzione, nel 1951, dell’Ente per la colonizzazione in questi territori vi furono costruite strade e case coloniche e le terre maremmane, espropriate ai latifondisti, verranno distribuite ad agricoltori per lo più veneti e anche abruzzesi e appoderate a cereali e viti.
Una bella e interessante descrizione della Maremma toscana degli anni che vanno dal 1870 al 1917
lo si legge nel libro "Giornate di caccia" del marchese fiorentino Eugenio Niccolini. Dove si parla
di animali selvatici, chiaramente in massima parte di palude, di cani da caccia, uno chiamato Parigi
vecchio protagonista della sua ultima cacciata, definito di razza pastorina bianca con orecchie giallognole, di sicuro un derivato di pastore abruzzese portato in Maremma da qualche boscaiolo-carbonaio abruzzese che vi lavorava stagionale, e un segugio locale. Abitata da contadini, cacciatori e
bracconieri, da banditi (il famoso Tiburzi) che vi trovavano un sicuro rifugio. Ricca di paludi, di
botri, forteti, foreste e carbonaie dove l’insidia della malaria era una realtà e l’inverno era tutt’altro
che mite. In pratica era un luogo ideale per portarci gli armenti per fare i salassi dopo una abbuffata
di quattro mesi con le erbe troppo nutrienti delle montagne abruzzesi. Non sarebbe stato più comodo per la distanza e il clima portarli nelle paludi Pontine, o gli allevatori abruzzesi si spingevano
con gli armenti sino in Toscana soltanto per far accoppiare i Mastini abruzzesi con le varie cagne
toscane?
E’ proprio il caso di dire che l’E.N.C.I. spesso "va menando i can per l’aia", chi più di esso lo può
fare, è o non è un ente cinofilo quindi è proprio in tema.
Spesso vengono alla ribalta degli individui in incognito o firmando e qualificandosi esperti e cinotecnici, che non vuol dire perito industriale o geometra cinese, sia ben chiaro, anche perché dichiarano anche cariche e titoli acquisiti: gradi, lauree, detentori di blasoni insomma grossi membri della
cinofila italiana, con più o meno accanimento e prosopopea cercano di confondere l’ignaro lettore
ribaltando la realtà con scritti inveritieri che celano intolleranza razzistica e sovente dichiaratamente
offensivi verso gli abruzzesi. Tutto ciò per far apparire razionale l’irrazionale, ossia regolare quello
che si è fatto nei riguardi della razza abruzzese in seno all’ E.N.C.I. specialmente negli anni che
vanno dal 56 al 58. E cioè come già abbiamo provato ampiamente, aver creato una razza canina
senza aver operato una selezione. Così l’ E.N.C.I. eretto in Ente morale con Regio Decreto 13 giugno 1940 n. 1051, il cui scopo che si prefigge è quello di svolgere attività dirette a migliorare e incrementare l’allevamento di tutte le razze canine pure, inoltre disciplinarne e favorirne l’impiego ai
fini sportivi e commerciale; è l’unico Ente cinofilo al mondo che esulando dai suoi principi si è arpag. 4
rogato il diritto di creare o meglio inventare una razza canina sulla carta, imponendole un nome
padulo-montano già di per sé irreale. L’E.N.C.I. finora ha eluso nei confronti della razza Mastino
abruzzese il concetto di specie, razza, varietà patria o culla andando contro la vera Scienza di Linneo, Lamark, Couvier, C.R. Darwin, Mendel, Huxley, di Thomas Hunt Morgan e degli altri genetisti del XX secolo.
Del già citato naturalista Thomas Henry Huxley voglio ricordare questa frase emblematica a proposito dell’argomento trattato:
“noi viviamo in un mondo pieno di miseria e di ignoranza ed il semplice dovere di ciascuno e di
tutti noi è di cercare di rendere quella particella di mondo sulla quale possiamo avere influenza,
un poco meno miserabile e ignorante di come l’abbiamo trovata”.
Dimentico di quanto appena detto si propone l’autore del libro “I Pastori Italiani” sottotitolato “Il
Pastore Bergamasco Il Maremmano Abruzzese” De Vecchi Ed. SpA, 1991 Milano, l’esimio prof.
Luigi Guidobono Cavalchini, libero docente di zootecnia generale e direttore dell’Istituto do Zootecnia presso la facoltà di Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano ed allevatore di pastori
bergamaschi con l’affisso, ereditato dal padre, “Valle Scrivia”. Detto luminare asserisce l’esistenza
di una transumanza centro-meridionale volendo necessariamente includere l’areale geografico
(chiaramente per sostenere il neo-standard) della Maremma e riportando anche le tesi (storielle) dispregiative sostenute dallo zootecnico cattedratico in pensione Franco Simone. Questi teoremi spregiativi, nell’ambito del libro mettono in ridicolo ambedue gli autori, il Simone per l’assurda antistoricità delle tesi ed il Cavalchini per aver ospitato le medesime pur avendo scritto il contrario nelle
pagine precedenti.
Il teorema ospitato nel su citato libro, pari-pari riemerge in un articolo redatto dallo stesso autore
sul notiziario interno del Circolo Pastore Maremmano Abruzzese n° 2 del 1992, con l’aggiunta di
altri apprezzamenti nei nostri confronti, come quella che per la crudezza del clima invernale. noi
abruzzesi andiamo in semi letargo. Quindi noi saremmo delle mezze bestie?
Il prof. Simone immemore, ora, delle numerose e famose sue visite sui monti abruzzesi dove ebbe
l’unica opportunità di usufruire, con sua grande attrazione, di stalloni, fattrici e monte in genere.
Opportunità, tra l’altro, gettata al vento, e non parlo dal punto di vista commerciale, in quanto l’accoppiamento dei suoi soggetti con quelli prelevati dall’Abruzzo si rivela morfologicamente e caratterialmente deleterio.
Ci permettiamo ora di ribadire che la pastorizia “transumante orizzontale” è assolutamente riferita
al meridione, tanto che anche le nostre sorelle regioni del mezzogiorno la dichiarano espressamente
naturale dell’Abruzzo.
La critica nostra è spontanea e motivata - oltre dalla necessità di un chiarimento “universale” - dal
dovere di precisare con esattezza la lacunosa nomenclatura usata dalla copiosa terminologia appartenente al gergo pastorale abruzzese, dove il buttero è coadiuvato dal butteracchio alla custodia dei
bovini, degli asini, cavalli e muli che, in cordata di sette, erano adibiti al trasporto delle masserizie,
ecc.; la morra era un branco composto da 200 a 370 capi; i tratturelli ed i tratturi erano larghi da 80
a 120 passi (ogni passo equivale ad 1 metro), durante il fascismo, causa le sanzioni, furono ridotti a
60 metri per essere coltivati a grano (battaglia del grano). Inoltre l’autore non distingue la differen za tra manzo (montone castrato, addestrato a guidare la morra, seguita dai mastini e dal pastoricchio, ragazzo scapolo, guardiani) e ragazzino.
Ciò che più ci meraviglia è che il Guidobono Cavalchini dottor Luigi non sia in sintonia con la verità affermata da suo padre, il Probo barone Annibale Guidobono Cavalchini, primo possessore dell’allevamento “Valle Scrivia” e primo presidente della società amatori Pastore Bergamasco presso
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l’E.N.C.I., dato che quest’ultimo in un significativo studio postumo sulle origini del Pastore bergamasco, nella descrizione dei primitivi grandi cani bianchi guardiani (mastini), così affermava:
“Tali ancora noi li vediamo: il nostro Pastore abruzzese, l’ungherese Kuvasz, il Pastore ellenico ed
il grande cane da montagna dei Pirenei”2.
Ultimo nostro appunto, chiaramente riferito al libro, si rivolge alle affermazioni della sig.ra Anna
Corsini (della quale rispettiamo l’anzianità) la quale sostiene che la sua decantata vecchiaia le dia
l’opportunità di saperne più di qualsiasi giovane abruzzese facendo riferimento solo alla sua età
confondendo, ignorando, la storia di chi al mondo pastorale, vi appartiene da millenni.
Noi, “relativamente giovani di età che ci occupiamo oggi della razza”, essendo stati orfani in seno
all’E.N.C.I. dal finire degli anni ‘50 ad oggi, le chiediamo pubblicamente:
come avete fatto, costretto, a far cambiare idea all’esimio prof. G. Solaro facendogli sottoscrivere
un secondo standard nel 1957 che abiurava il suo precedente standard E.N.C.I. del 1954 del “Pastore Abruzzese” e tutto quello che aveva asserito scientificamente fino ad allora?
E per finire voglio ricordare all’esimia nobildonna ed ai suoi sostenitori che il grande cane bianco
non è un “oggetto transazionale” né un servo, ma un pastore “inter pares”. E se, come in passato decantò il Tommaso Corsini che nel secondo decennio del 1900 il primo cagnetto bianco entrò a rallegrare ulteriormente l’infanzia felice ed ovattata della sig.ra Anna Corsini e la sua, nello stesso periodo il gelo di una improvvisa tormenta sterminava, sul Gran Sasso, un’intera famiglia di Castel
del Monte: un padre pastore con i due figli che lavoravano spalla a garrese con i cani e la moglie
che ne condivise il destino nell’anelito di salvarli.
“Non è la stirpe che rende nobile l’uomo, ma è l’uomo che rende nobile la stirpe” (Dante
Alighieri).
Rocco Di Fiore
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“Grande Enciclopedia del Cane”, Vol. 1, De Agostini (Novara)
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ALLEGATO 1
Caratteri descrittivi differenziali fra il tipo maremmano ed il tipo abruzzese,
quali li descrive il Prof. Giuseppe Solaro, apparsa nel 1938 sul n. 6 di “Rassegna
Cinofila”, giornale dell’E.N.C.I..
“Le differenze del tipo maremmano ed il tipo abruzzese nel cane da pastore italiano, consistono:
• nella taglia, che è inferiore nel tipo maremmano;
• nella qualità del pelo, che nel maremmano è fortemente ondulato e a bioccoli e quasi ricciuto,
mentre nell’abruzzese è liscio, stirato e più lungo;
• nella qualità del pelo che è meno folto nel maremmano e più folto nell’abruzzese;
• nella presenza di un foltissimo collare di peli lunghi che parte dalla regione del canale delle ganasce sino al petto nell’abruzzese, da conferirgli l’apparenza come è nel collo, di orso bianco, mentre tale collare nel maremmano è assente;
• nel colore del manto, che nell’abruzzese è bianco candido senza o con piccole macchie arancio
pallido alle orecchie, mentre nel maremmano il manto bianco totale è raro e si riscontrano
invece per lo più soggetti color isabella chiaro, o a manto bianco con molte macchie arancio
sbiadito;
• nei bordi palpebrali, nella mucosa visibile del bordo labiale, nella pelle del tartufo che nell’abruzzese sono o dovrebbero essere nere o a fondo nero, mentre nel maremmano possono essere e lo sono quasi sempre - marrone chiaro”.
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ALLEGATO 2
A
B
Schema elaborato nel 1952 da:
Standard E.N.C.I. elaborato nel 1954 da:
Dr. Franco Cagnioli, Prof. Lamberto Colonna e Prof. Solaro, Conte Dr. Brasavola, Dr. Caielli, di
Prof. Giovanni Pischedda
concerto con il circolo del Pastore Abruzzese
SCHEMA DI STANDARD
della razza del cane da pastore abruzzese
POSTO NELLA CLASSIFICA SCIENTIFICA
Secondo la classifica di Pierre Megnin appartenente al
gruppo lupoide
POSTO NELLA CLASSIFICA UTILITARIA
Cane da pastore
ORIGINE
Italiana
Caratteristiche generali
Caratteristiche generali precisanti la razza
Cane di grande taglia, possente e muscoloso; di carattere docile, ma (aspetto generale, conformazione, proporzioni e armonia): la confordeciso; d’aspetto maestoso.
mazione generale è quella di un pesante mesomorfo, il cui tronco è
più lungo dell’altezza al garrese (lunghezza misurata dalla punta della
spalla alla punta della natica), arminico rispetto al formato (eterometria) e relativamente ai profili (elloidismo).
Uso
Testa
Cane da gregge, da guardia, da difesa, da attacco, da traino, da poli- Dolicocefala; lunghezza totale raggiunge i 4/10 dell’altezza al garrezia.
se; lunghezza del muso 1/10 inferiore alla lunghezza della regione
cranica. Le direzioni degli assi longitudinali del cranio e del muso,
sono parallele: la testa è grossa, di forma conica e deve ricordare la testa dell’orso bianco.
Cranio leggermente convesso, piuttosto largo fra gli occhie va restringendosi verso il muso. La depressione naso-frontale è poco accentiata. Sutura metopica poco profonda, apofisi occipitale poco marcata.
Carattere
Tranquillo, affettuoso. Facilmente addestrabile nonostante la mole.
Coraggiosissimo, non teme pericoli di sorta. Morde se gravemente
provocato o su ordine del padrone
Tartufo
con narici ben aperte, grandi, sulla stessa linea della canna nasale con
margine grosso; visto di profilo non deve sporgere sulla linea verticale anteriore delle labbra. Il pigmento del tartufo, dell’orlo delle labbra
e delle palpebre (mucose apparenti) deve essere nero.
Testa e collo
Cranio lievemente convesso. Salto fronto-nasale poco pronunciato.
Muso largo e piuttosto lungo, leggermente appuntito. Mascelle potenti, con dentatura a forbice e ben addentantisi. Pelle del tartufo e dei
bordi labiali visibili, nera o marrone. Macchie del colore delle labbra
possono trovarsi sul palato. Naso con narici bene aperte. Occhio di
media grandezza, piuttosto ovale, con espressione intelligente, di colore scuro, mai azzurro chiaro.
Orecchie attaccate piuttosto alte, non grandi, a forma di triangolo con
il vertice arrotondato, portate pendenti e staccate leggermente dalle
guance, contro le quali le punte non debbono aderire, ricoperte di
pelo corto, ma denso: talvolta sono tagliate con margine arrotondato e
portate piuttosto erette. Mai l’amputazione, che talora è necessaria
quando il cane sia esposto alla lotta coi lupi, deve essere fatta con taglio a punta: lo richiede la millenaria tradizione dei pastori d’Abruzzo.
Collo muscoloso, di dimensioni proporzionate a quelle del corpo senza o con lieve giogaia.
Muso
canna nasale rettilinea con labbra poco sviluppate in altezza, da coprire appena i denti della mandibola. Il muso non deve essere, però, molto appuntito e visto di fronte è quadrato.
Mascelle
con arcate dentarie combacenti a forbice (la superiore anteriormente
all’inferiore) dentatura sana, normalmente sviluppata.
Occhi
non molto grandi, piazzati un po' obliquamente; iride color marrone o
nocciola scuro
Collo
forte, poco più corto della testa, fornito di pelo lungo e abbondante
che forma collare, privo di giogaia.
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ALLEGATO 3
TIPO REALE
Altezza al garrese (h)
= 70 cm
Lunghezza testa (lt)= 4/10 di h
= 28 cm
Lunghezza cranio (A)= 58% o 3/5 circa di l t = 16,24 cm
Lunghezza muso (B)= 42% o 2/5 circa di l t
= 11,76
cm
Altezza del muso = o lievem. > sua lunghezza = 11,76
cm
STANDARD E.N.C.I. (prima stesura
1958, seconda stesura 1990)
Altezza al garrese (h)
Lunghezza testa (l t)= 4/10 di h
Lunghezza cranio (A) = 1/10 superiore a B (*)
Lunghezza muso (B) = 1/10 inferiore ad A (*)
Altezza del muso = 5/10 di B
= 70 cm
= 28 cm
= 14,74 cm
= 13,26 cm
= 6,63 cm
_____________
(*)
Per il calcolo di A e B, notiamo che:
(1)
A + B = lt = 28 cm
e, contemporaneamente che
B = 0,9 A
per cui sostituendo in (1) tale relazione si ha:
A + 0,9 A = 1,9 A = 28 cm
da cui
A = 28/1,9 = 14,74 cm
e quindi
B = lt - A = 28 - 14,74 = 13,26 cm
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